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Il decadentismo: Pascoli e D'annunzio, Appunti di Italiano

Decadentismo, simbolismo ed estetismo. Gli autori Giovanni Pascoli e Gabriele D'annunzio: vita, opere, temi presenti nelle loro opere e analisi di alcuni brani

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 16/11/2022

veronica-sciandra
veronica-sciandra 🇮🇹

4.7

(3)

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il decadentismo: Pascoli e D'annunzio e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! IL DECADENTISMO Nell'ottocento nasce la letteratura per ragazzi come esempio in Italia abbiamo Collodi con Pinocchio. Il decadentismo fu un termine per indicare negativamente una produzione letteraria ritenuta deteriore rispetto a quella grande tradizione romantica. Il termine nacque in Francia per indicare la poetica di un gruppo di artisti dalla vita sregolata e dissipata, detti poeti maledetti che ostentavano un forte anticonformismo che li contrapponeva al moralismo borghese. Il precursore fu Charles Baudelaire con la sua opera i fiori del male qui l'individualismo romantico si confronta con il contrasto lacerante tra il bene il male, traveste si è discusso della vita, trattazione per la folle senso di solitudine, tra pagamento e frustrazione. Poco dopo Baudelaire abbiamo Paul Verlain e Arthur Rimbaud che accettano di sottolineare la propria diversità. Nel 1886 esce una rivista dal nome ‘Le Décadent?, che afferma mescolanza di arte e vita: non si sa dove finisca una inizi l’altra. Il decadentismo si caratterizza per una forte componente di irrazionalismo. Questa sensibilità radicata nell'irrazionale viene però sviluppata dai decadenti e soprattutto in contrapposizione all'oggettività e all'in personalità ricercate dal positivismo e dal naturalismo. Dalla seconda metà dell'ottocento vi è la convivenza tra decadenti e naturalisti: mentre escono i testi di Verlain, Rimbaud e Mallarmé, che rappresentano la realtà in modo angosciato e visionario, vengono pubblicati anche Zola e Maupassant, Che descrivono la società con minuziosa documentaria e leggendola attraverso l'esperienza, la scienza e la ragione. La stessa cosa accade in Italia: nell'81 escono i Malombra di Antonio Fognazzo, insieme a Giovanni Pascoli e a D'Annunzio, ma anche i malavoglia di Verga mentre nel 1889 vengono pubblicati sia il piacere di D'Annunzio sia mastro- don Gesualdo. In Italia il critico croce definisce con disprezzo "tre malati di nervi: i massimi autori del decadentismo: Antonio Fognazzaro, Giovanni Pascoli e Gabriele D'Annunzio. Croce li accomuna in una condanna formulata su basi moralistiche; i tre autori vengono definiti decadenti in quanto non partecipi di una medesima corrente letteraria, , In quanto espressione di un più generale declino degli ideali risorgimentali e post unitari e di una diffusa sfiducia nelle capacità del pensiero di dominare la realtà. I critici arrivati in seguito hanno offerto interpretazioni più o meno estensive del termine. Simbolismo ed estetismo È possibile cogliere due tendenze dominanti: il simbolismo, che riguarda soprattutto la poesia, e l'estetismo che riguarda specialmente la narrativa. IL SIMBOLISMO Il simbolismo nasce in Francia prima come fenomeno letterario, poi come movimento artistico, anche se le opere di taluni artisti figurativi già anticipano tratti che sarebbero stati proprio del movimento. La data di nascita ufficiale è il 1886, quando Jean Moréas pubblica sul giornale "Le Figaro" un manifesto del simbolismo, con il quale annuncia l'esaurimento della letteratura di ispirazione romantica, naturalista, e in particolare parnassiana (tendenza sviluppatasi a seguito della pubblicazione dal 1866 dei versi di un gruppo di poeti francesi tra i quali Gautier, Lisle e Prudhomme; nella raccolta Parnasse Contremporaine; tale tendenza era caratterizzata dal rifiuto di ogni atteggiamento sentimentale e da una concezione della poesia come arte pura che aveva quali presupposti l'impersonali ta e la perfezione tecnica, vista da molti come espressione di un'arte troppo fredda e accademica), cioè lontana dalla vita reale. Il simbolo è un'immagine, una parola, una figura o un oggetto che evoca o rappresenta qualcos'altro. Ciò a cui il simbolo allude può essere definito o indefinito, gli artisti e poeti non si servono quasi mai di simboli immediatamente comprensibili: anche quando nominano un oggetto concreto, richiamano sempre l'esistenza di qualcosa che sta al di là di esso e che il lettore è chiamato a riconoscere. Spesso il rapporto tra l'oggetto e la realtà che su evoca non è univoco, e l'autore stesso mette in conto che diversi lettori danno diverse interpretazioni di un medesimo testo. Il simbolo rifiuta l'idea che la realtà autentica sia quella dell'esperienza e della ragione e aspira a rivelare l'ignoto e l'inconscio interpretando i segreti nascosti sotto la superficie delle cose. Non a caso Charles Baudelaire parla della natura come una "foresta di sintesi", Animata da corrispondenze fra ambiti diversi e in particolare fra colori, suoni e profumi. • Viene rifiutata l'idea della poesia come discorso. Chi fa poesia non deve affermare idee concetti, piuttosto suggestionare il lettore, suggerire emozioni e sensazioni; • La parola poetica non deve comunicare, ma evocare da qui il proliferare di libere associazioni di immagini, per mezzo dell'analogia e la sinestesia. I procedimenti analogici sostituiscono così quasi del tutto quelli logici; • Scelgono un linguaggio allusivo e una sintassi disarticolata, che trasmettono una certa componente di incertezza e oscurità: i verbi vanno così usati all'infinito anche dove ci si di 1 21 aspetterebbe una forma coniugata, troviamo anche inversioni grammaticalmente ingiustificate, soppressione della differenza tra singolare e plurale; • Per sciogliere il mistero che si nasconde nella natura e nella realtà, assume importanza la musicalità. Il suono prevale sul significato, le valenze musicali su quelle semantiche, ovvero dei termini; • Affinché la musica del verso fluisca in maniera libera, vengono reinterpretati autonomamente o respinti i metri tradizionali, attraverso la graduale introduzione del verso libero, che nel novecento diventerà dominante. Alla rima giudicata troppo costrittiva, viene preferita l'assonanza (Pascoli non adotterò il verso libero). ESTETISMO Estetismo è un vocabolo utilizzato in Inghilterra per riferirsi ad autori come Pater e Oscar Wilde, accomunati da una concezione della vita come ricerca e culto del bello. In Francia abbiamo i potenti come Huysmans, Creatore del romanzo controcorrente, e in Italia Gabriele D'Annunzio, autore del romanzo il piacere il cui protagonista, Andrea Sperelli, condivide alcuni tratti con Desesseintes, il protagonista dell'autore francese. Lo stesso Wilde si spira all'autore francese per la sua opera il ritratto di Dorian gray. L'esteta decadente esibisce atteggiamenti raffinati e anticonformisti, propone di sé un'immagine aristocratica, eccentrica e narcisista, considera nell'opera d'arte e soprattutto o esclusivamente il valore "musicale" dell’espressione. Il suo stile di vita si contrappone ai valori dell'uomo borghese, considerati i volgari e materialistici: attività, produzione, ricerca del profitto. L'orizzonte comune lo delude e lo nausea: da qui la sua fuga verso un mondo di bellezza insolita e ricercata. Temi e motivi del decadentismo La letteratura decadente può essere considerata una "letteratura del negativo", in quanto i suoi esponenti non sono in grado di proporre nuovi ideali. Tale tendenza si configura spesso come autentico nichilismo, cioè come un atteggiamento che, negando l'esistenza di qualsiasi valore verità, svaluta il senso stesso del vivere. Le diete di questi autori sono spesso caratterizzate dagli eccessi autodistruttivi (alcol e droghe) oppure per un ripiegamento interiore che li porta all'isolamento o alla marginalità sociale. Ciò si riflette inevitabilmente sul contenuto delle loro opere: i personaggi evocati ritratti sono degli insofferenti, ribelli, inetti; nelle vicende narrate manca il tradizionale lieto fine e anche la poesia esprime la sofferenza e la crisi dell'individuo. La condizione di chi è o si sente "Inadatto alla vita" sfocia nella malattia vera e propria, che ne diventa il segno manifesto. Si tratta di una malattia di tipo psicologico, come la malinconia o lo Speen di Baudelaire o l'isterismo di Marina, la protagonista di Malombra, ma può anche trattarsi di una malattia allo stesso tempo fisica e morale, Come quella del protagonista del romanzo dello scrittore russo Dostoevskij, considerato un anticipatore dei motivi decadenti. Con un simile percorso il decadentismo introduce e anticipa tematiche che ritroveremo nella letteratura del novecento. Inettitudine e malattia verranno sviluppate da Italo Svevo, Pirandello, Montale, Kafka, Moravia e Gadda. L'artista ha la sensazione di vivere uno stato psicologico abnorme e allucinato: si guarda vivere, abbandonandosi a suggestioni autopunitive, sulla soglia dell'autolesionismo. Sviluppa un'attenzione per il proprio vissuto interiore e per la propria psiche, perlustrando le contraddittorietà e le spinte dell'inconscio. Verrà studiata all'inizio del 900 la psicanalisi, con Freud. Già valorizzata dal romanticismo, ora, la conoscenza dei fondamenti istintivi dell'essere viene ulteriormente approfondita. I poeti decadenti osservano l'io come un elemento sperduto nel cosmo, percepiscono il fermento di istinti incontrollabili, avvertono l'esistenza di qualcosa che agisce al di fuori della consapevolezza razionale. L'io non è più soggetto del pensiero, ma una forma vuota in cui gli stessi pensieri nascono autonomamente. La scoperta di questo mondo interiore determina conseguenze drammatiche. Tale dimensione per i romantici rappresentava la possibilità di un'apertura positiva all'ignoto mentre per i decadenti comporta un senso di vertigine e nulla. Il personaggio decadente è in preda a forze che lo trascendono e non è più in grado di distinguere chiaramente tra il bene il male, tra sentimenti positivi e negativi: incapace di perseguire la coscienza e la volontà, risponde impulsi profondi che ne determinano comportamenti indipendentemente dalle sue decisioni. Strettamente legato a questo senso di tragico smarrimento è il motivo del doppio, come lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Anche il sogno viene ripreso come uno strumento grazie al quale esplorare la natura più profonda dell'uomo. L'autore decadente è un poeta-veggente, rivelatore dell'ignoto; per lui non ci sono più da una parte la realtà dall'altra il sogno, ma tutta la realtà si presenta in una dimensione onirica. La letteratura decadente coglie il nesso strettissimo tra inconscio e sessualità, nonché tra sessualità e nevrosi. In epoca romantica l'amore era sentimento e passione, ora diventa erotismo. di 2 21 poemi del Risorgimento pubblicati postumi da Maria nel 1913 insieme a Lino a Roma e l'inno a Torino. LA PRODUZIONE POETICA IN LINGUA LATINA: iniziata con il poemetto Veianius I raccolta nel 1914 sotto il titolo Carmina, l'opera latina di Pascoli accompagna quella in lingua italiana, a cui l'accomunano immagini, tematiche tecniche compositive. Il poeta immette nella lingua, nei personaggi e negli ambienti dell'antica Roma repubblicana e imperiale e nella storia cristiana i suoi tipici stati d'animo, Inquieti e inclini alla dimensione onirica. Da qui scaturisce l'identificazione con i personaggi condannati o reietti: gladiatori, schiavi, sconfitti dalla storia, con i quali Pascoli sente di condividere la dimensione del dolore e dell'ingiustizia. E il suo latino è ben diversa da quella della tradizione classica: frequenti sono il ricorso a termini tecnici e specialistici e l'impegno di espressioni tardo medievali E perfino di calchi di vocaboli italiani. Ciò testimonia l'estrema libertà di parola del poeta nel relazionarsi con le forme le immagini del passato. LA PRODUZIONE IN PROSA: oltre che per il saggio il fanciullino, il testo a cui affidato la definizione della sua poetica, edito in 20 brevi capitoli nel 1897 sulle colonne della rivista fiorentina il Marzocco, Pascoli occupa il tavolo della prosa soprattutto per studiare e scrivere su Dante e su Leopardi. Nei suoi volumi Minerva oscura del 1898, sotto il velame 1900 e la mirabile visione del 1906, analizza in particolare la funzione allegorica della figura di Beatrice nella vita nuova e nella commedia. Si tratta di studi critici per molti versi innovativi di tesi a esplorare l'universo dantesco nei suoi significati simbolici e religiosi per reconditi. Alla prosa affida anche i suoi sporadici interventi pubblici intorno a temi civili. Non rinuncia a dare espressione invece se la propria te lo Gia politica, nella quale si intrecciano un generico umanitarismo venato di buoni sentimenti e un amore per le Greta nel passato sconfinato e nella celebrazione nazionalistica. Ciò emerge nell'opera la grande proletaria si è mossa del 1911, in questo scritto che fu pubblicato in occasione della guerra libica, celebra l'impresa militare come un'opportunità per sanare le pieghe vocali dell’immigrazione E garantire terre nuove da lavorare e ceti più poveri. Non si tratta di un colonialismo infarcito come quello di D'Annunzio, di volontà di potenza aggressiva e pulsioni bellicisti che; l'esaltazione pascoliane dell'umile Italia bisognosa di riscatto e motivata dalla convinzione che solo recuperando i nobili resti del passato si sarebbe potuta ripristinare la concordia tra le diverse classi sociali a difesa della nazione contadina. I Grandi Temi LA POETICA DEL FANCIULLINO Pascoli fissa le linee di fondo della sua riflessione sulla poesia nel saggio il fanciullino. L'idea centrale è che anche nell'età adulta di ogni individuo sopravviva un fanciullino che osserva il mondo e vede tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta. Qui utilizzerà una lingua ingenua, senza la malizia e le prescrizioni sociali che snaturano le strategie comunicative dell'individuo. La verità delle cose e del mondo si rivelerà in tal modo autentica, priva di retorica, finalmente pura e libera da ogni condizionamento culturale. La rivendicazione del potere conoscitivo del linguaggio poetico si accompagna una nuova concezione della poesia: non sarà più fondata sulla logica razionale del reale, che si limita a distinguere e catalogare, ma sull'intuizione e sull'immaginazione. La poesia diventa luogo della conoscenza istintiva delle cose, si può penetrare nella profondità della natura. L'emozione e la sensibilità percettiva del fanciullino possono così rivelare il valore segreto che risiede anche negli oggetti più umili. Il carattere analogico, ossia estraneo alla logica, in qualche modo dissonante, della poesia permette di esplorare territori misteriosi, scoprendo cose che sfuggono ai nostri sensi. La parola poetica non descrive ne interpreta la realtà: piuttosto la crea. Conseguenza di questa atteggiamento irrazionalistico e la ricerca di un linguaggio poetico che permetta dimostrare con analogie e relazioni impreviste tra gli oggetti. Secondo Pascoli la poesia è un'attività perlopiù metaforica, che recupera le voci della natura e adotta una lingua che è ancora in fase pre grammaticale, come viene nell'infanzia, quando il linguaggio figurato, particolari descrittivi, le comparazioni e similitudine rappresentano la normale espressione della percezione del mondo. I fanciulli sono portati a personificare le cose, allegare le manifestazioni naturali all'intervento di forze soprannaturali, ad attribuire vita e sentimento per esempio la pioggia, il sole, il vento, a considerare il sogno come un'esperienza reale. Allo stesso modo, il poeta risalirà fino agli albori della propria esistenza, assegnando caratteristiche umane agli animali e alle piante e ripristinando un rapporto magico con la realtà, in un'ottica straniante rispetto a quella abituale. Pur senza ignorare l'implicito un messaggio sociale insita nella poesia Pascoli sottolinea l'autonomia dell'atto poetico e la sua natura spontanea e disinteressata. L'unico obiettivo che la poesia riconosce se stessa e quello di esprimersi con purezza, rifiutando di essere applicata a finalità prefissate e interessi politici strumentali o contingenti. di 5 21 Si tratta di una rivoluzione per molti aspetti inconsapevoli: il poeta ha sul piano teorico una conoscenza limitata del significato storico della propria sperimentazione. D'altra parte accanto alle molte novità formali sopravvivono istanze consolidate, come la conservazione della rima il rispetto delle forme metriche: un'ambivalenza che fa di lui un rivoluzionario nella tradizione. Tuttavia la rottura con i canoni del classicismo ormai compiuta. IL NIDO Traumatizzato dai lutti familiari, Pascoli tenta di trovare sicurezza negli affetti familiari. Le immagini più ricorrenti della sua poesia evidenziano una costante opposizione interno-esterno: è il primo elemento sono associate le sensazioni di calore, dolcezza purezza e amore, al secondo quelli di freddo, dolore, paura e morte. Il desiderio di un mondo semplice senza violenza, legata ai valori contadini lo porta a osservare con terrore la civiltà industriale e la società di massa organizzata: per pascoli il positivismo anziché garantire sicurezza all'uomo, lo esposto nuovi pericoli, rendendolo piccolo e smarrito. Pascoli non crede in Dio ma non sa rinunciare alla sua immagine. Per pascoli è l'unica possibilità per conservare la propria integrità e salvare l'innocenza consiste regredire all'età d'oro dell'infanzia, mitico tempo sereno, non toccato dall'inquietudine della modernità della vita adulta. La fondamentale custode è la madre: la sua immagine costituisce, Nell'universo psichico e poetico di Pascoli, il nome dei luoghi più protetti, del nido e del camposanto. Il primo è il luogo di ricomposizione dell'unità familiare, lo spazio chiuso che permette il riparo dalla società brutale e inospitale; il secondo rappresenta il recinto del culto dei morti dove è possibile ripristinare in maniera illusoria l'ultimo colloquio con ciò che nella realtà si è perduto per sempre. Di questa perdita Pascoli teme di non trovare disperatamente un risarcimento: se la morte significa distruzione della vita della casa e degli affetti, il mito del nido nasce come tentativo di opporsi alla loro fragilità la loro rovina. Nessuno deve interferire in questo universo difensivo e primogenito. La madre e simbolo del nido: è il ventre, la culla, il focolare, la casa, la garante, cioè, del rapporto con la terra misteriosa, che governa la vita con i suoi cicli alterni. La madre simboleggia la felicità dell'infanzia, non è ancora compromessa dalla conoscenza del male, E al tempo stesso la sopravvivenza gli unici vincoli possibili per l'uomo: quelli di sangue e della discendenza. La madre è una sorta di divinità-guida nella sfera degli affetti: la sua morte coincide con una perdita irreparabile con un lutto che non può conoscere riparazione. Ma violazione del nido comporta la scoperta di tutto ciò che di spaventose letale sta fuori di esso. La rievocazione della condizione protetta dell'infanzia cura il dolore e l'angoscia della vita e vissuta tra gli adulti. Perduto il padre è privo della tutela genitoriale Pascoli si sente un orfano condannata lo sradicamento: grazie alla poesia può tornare indietro e trovare nella memoria una luce pallida che lo conforta, che lo assiste e lo culla, rassicurandolo di fronte le difficoltà dell'esistenza. La situazione reale del poeta è quella dell'incertezza, dello smarrimento, della paura proprio perciò nella sua poesia troviamo tante voci in articolate e tanti segni di regressione all'infanzia negli esseri viventi: il vagito del neonato, il belato dell’agnello, il pigolio dell’uccellino. Si tratta di suoni più che di parole, quasi Pucci Prever Bali: tra una ninnananna è una cantilena funebre, tra un canto che apre la vita è uno che prepara la morte, una continua onomatopea accompagna il viaggio del poeta nei respiri, nei disegni, nella mente e nelle grida che si percepiscono nel cielo, nelle cose, nella natura prima che svanisca nel nulla, perduti per sempre. D'altronde il ricordo della lontana intima felicità infantile non consola il poeta: l’impossibilità di non poterla concretizzarla nel presente, di riproporla ciò che nella realtà, aumenta il rimpianto di non poter più abitare in quel paradiso perduto. L'incontro con il passato non puoi venire su questa terra ma solo aldilà dello spazio del tempo, nell'immaginazione soprattutto nel sogno, l'unica realtà dove il colloquio con le anime con i morti ancora possibile. IL SIMBOLISMO I quadri di vita campestre che Pascoli rappresenta nascono da un'osservazione filtrata sempre attraverso le suggestioni del suo universo interiore. Suoni e paesaggi e cose si caricano di un sovra senso simbolico, che può essere colto solo abbandonando la logica ordinaria e razionale con cui ci resti relazione alla realtà. In particolare gli oggetti, rimandano sempre a qualcos'altro di più profondo e ignoto: il poeta può penetrare nell'anima del mondo tramite la propria soggettività e le proprie sensazioni. Per pascoli si tratta di ricercare il senso perduto della realtà e del mondo e cogliere il frammento che riveli la totalità, l'immagine che gli assume una verità universale. Il simbolo non è esplicitato in termini razionali: il significato della poesia si afferra mediante le associazioni suggerite dei suoni, la rispondenza evocativa delle immagini, l'esistenza di dimensione nascosta. di 6 21 Del resto il poeta non è tenuto a illustrare o commentare il contenuto dei suoi testi. Sta al lettore afferrare i sensi riposti, comprendere le allusioni cifrate e cogliere l'impalpabile verità del mondo, che non proviene dalla concretezza degli elementi descritti, ma dalle possibilità dell'animo di riconoscere aspetti che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Per questo nella poesia di Pascoli troviamo un affollato repertorio di ombre e di morti, di misteriosi arcani strumenti musicali, di sottintesi analogici, fino alle prolungate sequenze ardite di sinestesie. Apri ma vista le cose sulle quali si posa lo sguardo del poeta sono minute, quotidiane, semplici, come gli elementi naturali dei quadri degli impressionisti; ma questa attenzione per il dettaglio non ha lo scopo di illustrare oggettivamente la realtà, per quanto essa sia nominata con estrema precisione. Pascoli tende a riferirsi alle cose non per come sono ma per come le sente e le vede mediante un'ottica rovesciata e visionaria che scruta aldilà del fenomeno, alterando le prospettive, rapporti I proporzioni. Dunque se a prima vista può sembrare che gli elementi della natura siano rappresentati come realismo non vanno comunque considerati in sé ma all'interno dei nessi emozionali che li legano alla dimensione interiore dell’io poetico.b dunque il poeta non ha interesse a perlustrare il registrare la varietà superficiale della natura: il suo compito è quello di percepire le parvenze velate e le essenze celate, leggendo il mondo come una foresta di simboli già immaginata da Baudelaire. L’IMPEGNO CIVILE Negli ultimi anni della sua vita coltiva l'abitudine di comporre poesie d'occasione a commento di avvenimenti storici o di attualità. Queste produzioni di stampo quasi giornalistico può apparire molto lontana dalla sua vocazione soprattutto poetica. Pascoli desidera ritagliarsi un ruolo politico che lo ponga in contatto con la massa di lettori: per quanto lontano dai salotti della mondanità della vita culturale nazionale, non è insensibile all'idea di competere con il rivale D'Annunzio, abile comunicatore, sempre al centro dell'attenzione. Ma vi è anche una ragione ideologico-culturale più profonda. Nel fanciullino ci dice che al poeta non si chiede solo di esprimere la propria sensibilità soggettiva, ma anche di interpretare il sentimento collettivo, dando voce alle aspirazioni E ai bisogni dell'intera comunità popolare nazionale. Raccolte come odi e inni, la canzone di re Enzio E i poemi risorgimentali esprimono questa sua ambizione di Cantatore della storia delle gallerie nazionali; questa ambizione la troviamo nella grande proletaria si è mossa del 1911: l'impresa coloniale libica come una soluzione al dramma dell'emigrazione. Conferisce al proprio no nazionalismo una motivazione umanitari stica, affermando il diritto degli Stati meno ricchi a conquistare nuove terre in cui i concittadini possono trasferirsi. In tal modo ogni italiani, costretti a emigrare e spesso umiliati, possono riacquistare dignità e lavoro, rinnovando la gloriosa tradizione di un popolo civilizzato ore. Anche prima di questa campagna libica non mancano occasioni nelle quali Pascoli riversa sulla pagina quello spirito di fratellanza già prefigurato nel socialismo invocato nel fanciullino. La pace sociale viene auspicata Intro un invito alla solidarietà e alla condivisione aldilà e al di sopra delle classi. Recupera la lezione leopardiana della ginestra dando un messaggio di concordia gli uomini che non si inserisce però in una compiuta ideologia politica: non supera mai l'orizzonte psicologico del nostalgico cantatori dei buoni e semplici valori contadini, neutralizzando all'interno di un ingenuo dimensioni di laica i veri e duri conflitti che ci sono in Italia del suo tempo. Anche il nazionalismo non coincide con un'autentica aggressiva volontà di potenza, ma con la viscerale difesa di una nazione di un popolo oppressi. Il modello privato del nido, da proteggere gelosamente dall'ingerenza degli estranei si proietta così su quello pubblico della patria, da esaltare con passione e sentimento nella strenua difesa delle radici, dell'identità e delle tradizioni. MYRICAE La prima raccolta poetica di Pascoli, è fondamentale per la storia della lirica italiana: sia per gli aspetti linguistico-formali, fortemente innovativi, sia per i contenuti, insieme quotidiani e simbolisti. Si tratta di un'opera che risente del clima culturale europeo dell'epoca forse molto più di quanto Pascoli stesso sospettasse e che fa di lui un autore fondamentale per documentare il passaggio della letteratura dell'ottocento a quella del 900. È una raccolta di poesie che viene pubblicata per la prima volta nel 1891, ma sarà modificata più e più volte, in numerose edizioni, ciascuna con aggiunte di componimenti e revisioni da parte dell’autore: 1. 1891: prima edizione con 22 componimenti 2. 1892: seconda edizione con 72 componimenti 3. 1894: terza edizione con 116 componimenti 4. 1897: quarta edizione con 152 componimenti (a partire da questa edizione Pascoli suddivide la raccolta in 15 sezioni, omogenee e più dal punto di vista metrico che non da quello tematico) 5. 1900: quinta edizione con il totale definitivo di 152 componimenti di 7 21 Fa parte della raccolta campi di Castelvecchio, è stata composta nel 1900 e pubblicata lo stesso anno sulla rivista il Marzocco. Descrive la fine di una giornata di pioggia, quando ogni cosa sembra risvegliarsi a nuova vita. E come la sera è attraversata da dolci suoni e voli di rondini, così anche la vecchiaia del poeta sembra consolata dei puri della fantasia del ricordo, che acquisiscono in lui il desiderio di addormentarsi come quando era bambino, di sentire la presenza della madre chinata a darmi il bacio della notte e poi immergersi nel sonno Dopo un giorno di tempesta la sera sopraggiunge la quiete è una gioia tranquilla e leggera pare contagiare la natura. Nella calma il poeta rivive il proprio passato. Tutta la lirica è strutturata sul confronto tra la giovinezza inquieta e la vecchiaia finalmente serena. Cos'è il componimento sviluppa un'intensa meditazione autobiografica. Non a caso la sera per il poeta è un possesso esclusivo. Il sottofondo del suono delle campane prepara prima il ricongiungimento del poeta con la madre e con l'infanzia, poi lo sprofondamento nel sonno, quasi a dire nulla, nell'abisso riservata al destino umano. Rimanda tra immagini concrete e significati simbolici questo componimento offre un esempio tra i più efficaci dell'espressività poetica di Pascoli. Lo stacco tra passato e presente è suggerito nel primo verso dove il verbo al passato remoto e il; segnano una netta censura con i versi successivi. La gioia, appena accennata, per la pace serale è indotta dal gracidio delle rane, dal tessuto di suoni reso armonico grazie alla ricorrenza della "e" e della “r", Dalla live ebrezza che fa tremare le foglie, dall'analogia sottintesa tra le stelle nel cielo che devono apparire il corolle dei fiori su un prato. Come l'uomo, abituato al pianto per le sofferenze patite, anche la natura non dimentica il proprio turbamento e ora che la tempesta è passata rivela ancora una sottile inquietudine; d'altro canto la sera suggerisce al poeta di guardare con maggiore distacco ai dolori vissuti. Ma questo non è l'unico richiamo autobiografico che è possibile cogliere sotto la superficie della descrizione naturalistica di un momento del giorno. Si può anzi dire che la seconda parte del componimento si mostra chiaramente l'esperienza personale. Alla fine della terza strofa esprime la propria stanchezza, cercando nella sera riposo che le sofferenze della vita gli hanno precluso.nella penultima abbiamo un altro parallelismo: la vita del poeta viene assimilata alla giornata, priva di cibo, vissuta dalle piccole rondini, alle quali si allude per una metonimia. Anche il poeta, come loro, non ha avuto nel corso degli anni la porzione di felicità che gli spettava. L'ultima strofa è dominata dall'evocazione fonosimbolica: l'onomatopea del suono delle campane e l'insita allitterazione creano un’atmosfera di sonnolenza che fa scivolare il soggetto verso l'infanzia e al tempo stesso verso il nulla. Il tono di voce delle campane si fa sempre più basso; l'anticlimax dei verbi dicono, cantano, sussurrano, bisbigliano sembra suggerire proprio questa lenta, silenziosa e progressiva discesa verso l'incoscienza. L'esperienza di questa dimensione è complicata dall'uso simultaneo di una sinestesia e di un ossimoro: Le voci risucchiano indietro verso il nulla, che insieme la culla della nascita e il voto della fine. Le campane, innocente ricordo dell'infanzia, diventa al tempo stesso un sinistro suono di morte. L’aspetto metrico ribadisce la grande originalità della poesia di Pascoli che pur mantenendosi all'interno di schemi consolidati scompone e reinterpreta le forme chiuse della tradizione. Fa uso di novenari e semmai: è una scelta innovativa, dal momento che si privilegiavano l’endecassilabo e il settenario. Ma l'aspetto più importante è legato alla modalità: assolutamente personale. il novenario presenta un'accettazione alquanto variata, che ritmicamente produce scansioni diverse: alcuni versi si aprono con l'accento tonico sulla prima sillaba, altri sulla seconda. La presenza delle censure determina la frattura del verso. Una disgregazione delle forme canoniche è ancora più evidente dalle esclamazioni. Il gelsomino notturno Appartiene alla raccolta dei canti di Castelvecchio, è stato composto tra il 16 e il 19 luglio del 1901, questa poesia appartiene a un sottogenere lirico che i greci chiamavano epitalamo: consiste in una sorta di serenata cantata presso la stanza nuziale la sera del matrimonio. Il componimento nasce da un motivo occasionale, le nozze di un amico poeta. In quelle ore gli sbocciò un fiorellino: nacque Dante Gabriele Giovanni. La lirica ha un senso profondo, nella quale la consueta trama di significati simbolici allusivi rimanda alla realtà di un atto d'amore da cui nasce la nuova vita. La dimensione narrativa i nessi logici sono quasi del tutto annullati per lasciare posto a un flusso di impressioni colte nella loro immediatezza e depositata in una serie di immagini e suoni carichi di mistero. È il momento in cui scende la sera, e gelsomini notturni si aprono in silenzio sì ho the solo il mormorio proveniente da una casa, prima che anche questo leggero rumore si spenga insieme alle luci. Poi quando spunta all'alba i petali del fiore tornano a chiudersi per custodire un nuovo fremito vitale. Le manifestazioni della natura rappresentano allegoricamente l'atto d'amore di 10 21 che si consuma nella casa e che la sensibilità poetica umana di Pascoli richiama solo per allusione. Pascoli cerca di tacitare e sfumare il proprio turbamento, però esso si manifesta comunque attraverso una serie di emergenze. D'altra parte è il contenuto della poesia a insistere sulla medesima, inconfessabile ossessione, intrecciando nello stesso arco di tempo, che va dalla mattina alla sera due vicende richiamate per analogia: il ciclo della fecondazione dei fiori che culmina nell'odore di fragole rosse e si conclude con l'immagine simbolica dei petali sgualciti e la storia parallela che avviene all'interno della casa, dove l'unione dei due sposi e preparata dai bisbigli dal lume che si spegne. Mentre si svolge l'incontro d'amore e si forma la nuova vita, si consuma per contrasto l'esperienza solitaria del poeta che descrive gli altri rimanendo vincolato al solo ricordo dei morti. L'immaginazione del rito di fecondazione avviene dall'esterno; ma si tratta di una vista nascosta, quasi proibita, come se il poeta stesse spiando una situazione che non potrà mai vivere di persona. Egli, incapace di amare, vive nella notte, nel silenzio e nel pensiero della morte; gli sposi-amanti sono invece insieme nel creatore di un lume. Al tempo stesso la pulsione sessuale innesca, Come per un arcano e occulta corrispondenza, la presenza simbolica della morte. Il tema della fecondazione della nascita, pare agitare l'intero universo con la nuova vita: da essa nasce l'erba i petali, socchiuse per il concepimento, paiono un poco gualciti, mentre lo voglio di un fiore, simbolo del grembo materno frequentato, viene definito urna, un termine ambiguo che evoca suggestioni al tempo stesso funebri e sacrali. Tuttavia tenta di reprimere lo sgomento abbandonandosi all'immensità dello spazio notturno che appare dolce, familiare e amichevole. L’universo è per una volta rasserenato in una tenera concordia con l'animo del poeta. Bloccato in una condizione infantile reale, di cui ha bisogno in cui si sente protetto, il poeta può così dare il proprio consenso alla trasgressione dell'amore, anche se questa felicità rimane per lui sconosciuta e almeno in parte persino repellente. Abolito ogni rapporto logico con la realtà, Pascoli non ha interesse a descrivere avvenimenti o fenomeni: lo scopo che si prefigge è creare la suggestione grazia non all'analogia, giustapponendo sensazioni e impressioni diverse tipo per evocare l'atmosfera misteriosa di una notte in cui si mescolano carnalità e turbamento. Proprio per questo prevale uno stile nominale, fatto di sostantivi, aggettivi, immagine prodotte fonicamente, contaminazioni di sfere sensoriali diverse che enfatizzano il valore della percezione. Le libere associazioni del poeta tendono a creare una situazione indefinita, a bisbigliare non sono le persone ma la casa, in una metonimia non dormono gli uccellini mai nidi; la sacralità violata dell'urna molle e segreta non hai detta in termini chiari ma vaghi e reticenti. Su tutto questo repertorio di immagini si posa lo sguardo selettivo del poeta, che trasferisce su inducenti e neutrali elementi della natura la propria voce i propri pensieri. Arano Scritta nel 1885, appare nella prima edizione della raccolta, del 1891. Descrive una scena di vita nei campi: il lavoro dei contadini in un paesaggio autunnale, si sposta poi sull'osservazione degli uccelli che spiano i gesti degne aratori, pregustando il piacere di beccare i semi appena sparsi sul terreno. Questo paesaggio campestre descritto in tre diverse prospettive, corrispondenti alle tre strofe: inizialmente vediamo il campo coperto dalla nebbia ma acceso dal rosso vivo delle ultime foglie di vite, poi sulle attività dei contadini; infine ci si sposta sugli uccelli. Il poeta seleziona alcuni aspetti della realtà osservata, costruendo un quadretto personale: il fanciullino cerca gli spunti emozionali per trovare quiete oltre il male e lo sgomento. Pascoli descrive in maniera nuova gli aspetti della natura, parte della propria sensibilità a prescindere dal peso della cultura letteraria tradizionale. Si merge nella vita campestre simpatizzando con i contadini e con gli uccelli, che finiscono per diventare protagonisti del quadro, perché e come se nell'ultima strofa la scena fosse osservata dal loro punto di vista. Osserviamo allo sgretolamento della sintassi: le frasi sono brevi, la paratassi prevale sull'ipotassi, I singoli versi sono spezzati dalla punteggiatura. La lirica può essere letta come unico periodo, continuamente spezzato da congiunzioni coordinanti e segni di punteggiatura. Non si tratta di uno stile prosastico, poiché numerosi fermati garantiscono la poeticità del testo. L'assenza di rapporti gerarchici fra le frasi determina un'organizzazione dei contenuti in cui tutti gli aspetti rappresentati sono posti come sullo stesso piano, simultaneamente presenti e cooperanti a un’unica visione di insieme. Lavandare In un giorno autunnale, il poeta contempla un paesaggio campestre e percepisce dei rumori la presenza, lungo le rive di un vicino canale, alcune lavandaie. Queste donne stanno cantando un motivo tipico di stornelli popolari: il lamento di una donna abbandonata dall'amato, che è partito lasciandola sola e sconsolata. La rappresentazione è solo in apparenza descrittiva in quanto costituisce la proiezione di uno stato d'animo ed una condizione interiore. Le parole chiariscono il di 11 21 senso simbolico delle immagini presenti nel componimento: l'aratro abbandonato, il campo aratro per metà E solitario, senza vuoi e senza uomini, e la nebbia leggera rimandano a un'idea di privazione e di mancanza, non chiedi attesa rassegnata. L'autunno della natura allude a una pena esistenziale. La prima terzina sviluppo impressioni di carattere visivo, scandito e mediante lenti cadenze e pausa e forti, che danno un ritmo malinconico; nella seconda terzina prevalgono le sensazioni uditive, sollecitate dall'utilizzo di vocaboli fonosimbolici. La quartina rovescia l'ordine sensoriale, registrando prima i dati uditivi e poi quelli visivi e il tono cantilenante e accenna allo stesso tempo tipico dei canti popolari. La poesia acquista un andamento lento che sembra riprodurre la ripetitività monotona è un po' stanca del lavoro delle lavandaie: abbiamo a enjambement, chiasma, allitterazioni, assonanze e termini onomatopeici che alimentano quell'atmosfera di evocazione e sospensione emotiva tipica dell'arte pascoliana. X agosto È una delle liriche più celebri e sofferta della raccolta: è stata scritta nel 1896 e ripercorre l'evento più doloroso della vita di Pascoli: l'assassinio del padre, avvenuto il 10 agosto 1867. La sciagura familiare è associata alla festività di San Lorenzo, quando si verifica il fenomeno delle stelle cadenti: il dolore personale si riflette in una corrispondenza cosmica, dilatandosi fino a diventare l'allegoria del dramma universale della vita. La violenza immotivata è prodotta dall'uomo e non dalla natura, a cui non vengono attribuite responsabilità: essa appare lontana e distante dalle sofferenze degli uomini, ma in realtà piange, accendendo la volta celeste con le stelle cadenti, le quali non sono altro che lacrime del cielo. In tal modo si manifesta l'empatia dell'universo per le sciagure umane. Quella commozione della natura offre un'estrema consolazione per la condizione che accomuna gli uomini e gli animali: sia il poeta che i puliti rondine conoscono il trauma della protezione infranta, la tragedia dell'essere orfani, la distruzione del nido, la precarietà e la solitudine che irrompono nella vita, spezzando per sempre la serenità innocente dell'infanzia. È presente un grande equilibrio compositivo, incentrato su una serie di simmetrie e parallelismi; i tuoi racconti corrispondono: quello ambientato nel mondo della natura (la rondine uccisa) e quella del mondo degli uomini (l'uomo ucciso, cioè il padre del poeta). I due universi sono tanto affini tra loro da potersi scambiare perfino i termini chiave: la rondine torna al suo tetto, mentre l'uomo torna al suo nido. La prima strofa e l'ultima incorniciano il dramma della violenza della morte; la seconda e la terza quartina descrivono l'uccisione di una rondine che portava il cibo ai suoi piccoli; la quarta e la quinta rappresentano l'assassino dell'uomo, che non potrà più portare alle sue figlie le bambole che abbiamo comprato per loro. La rondine introduce un'analogia: la sua morte anticipa e richiama quella del padre del poeta; il tatto della rondine diventa poi il mito dei Pascoli; l'uccello portava il sostegno materiale alla sua famiglia, così come il padre di Pascoli era l'unico sostegno economico per la moglie e gli otto figli. Oltre alla similitudine tra la rondine il padre troviamo anche quella con il martirio di Cristo: il sacrificio di Ruggero Pascoli per la propria famiglia viene assimilato a quello di Gesù per l'intera umanità. La rondine abbattuta rimane con le ali aperte e gli Spini sembrano rimandare alla corona di spine. Le rondini, nella leggenda popolare, Sono gli uccelli che consolarono Gesù in croce. Anche il perdono offerto ai carnefici ricorda le parole di Cristo. Tuttavia è assente una consolazione religiosa: se la morte di Cristo è fonte di salvezza per tutti gli uomini, l'uccisione del padre resta un fatto assurdo e privo di significato salvifica; è un sacrificio inutile poiché le tenebre non sono dissipate da alcuna luce divina e la morte crudele non apre alcuna forma di redenzione. Temporale, lampo, tuono L'osservazione della natura coinvolge anche i fenomeni atmosferici la cui genesi per millenni è stata percepita come oscura e inesplicabile. Dimentico delle scoperte scientifiche raggiunte nella sua epoca, il poeta-fanciullo si pone con inquieto stupore di fronte alle immagini che annunciano un temporale e di fronte al lampo e il tuono che si manifestano al suo inizio, cogliendo in questi fenomeni motivi di turbamento e paura. Queste tre liriche sono tematicamente legate tra loro, ma composta in momenti diversi: temporale fu concepito durante un viaggio a Siena nel 1892 ed è pubblicata nella terza edizione della raccolta. Lampo è composta nel 1891 viene pubblicata anch’essa nella terza edizione si distingue dalle altre due ballate minime per la sensazione disarmante di paura che la natura può trasmettere quando si mostra in tutta la sua incontrollata potenza. La rapida apparizione della casa bianca sembra corrispondere a una visione fulminea di un'occhio umano stupefatto, tanto che il componimento è stato interpretato come una metafora degli ultimi momenti del padre agonizzante. Tuono, invece, appartiene a una fase successiva, inserito nella quinta edizione e posto a seguito di lampo. Alla paura generata dal lampo segue, ancora inquietante, il fragore del tuono, che però si smorza presto, fino a un silenzio rotto a sua volta, finalmente, da una voce umana che si eleva limpida, rassicurante e consolante: quella di una madre che canta una ninna nanna. I temporali di pascoli non si risolvono solo nella pioggia, in di 12 21 si spinge fino a picchiare il figlio di Giovanni, questi lo pugnala a morte. L'innocente è la storia di un delitto, il protagonista Tullio Hermil, Confessa un anno dopo il suo compimento. L'uomo è un intellettuale dissoluto, sposato con Giuliana che costringe a umiliazioni continue. Quando la moglie sta per dare alla luce un bambino, frutto dell'unico tradimento di cui si è macchiata, Tullio si riavvicina a lei come per un bisogno di autopunizione e di purificazione. Dopo il parto egli concepisce e mette in pratica un terribile disegno: uccidere il bambino esponendolo al gelo della morte di notte di Natale. Solo in tal modo egli è convinto di poter ripristinare il rapporto con la moglie. L'infanticidio avviene con la complicità di Giuliana che accetta la morte del piccolo innocente, intruso all'interno di un amore malato. • Poeme Paradisiaco la raccolta è divisa in tre sezioni. Il tema del giardino allude alla natura e alla purezza degli affetti semplici. Tale aspirazione alla semplicità si risolve in toni estenuati, che lasciano pur sempre intravedere un certo compiacimento estetizzante. I romanzi del superuomo Individui eccezionali, volontà di potenza, amori torbidi, fallimenti esistenziali: questi i temi che accomunano i romanzi dannunziani scritti dopo il piacere. Le trame si assomigliano sempre di più, lasciando maggiore spazio descrizioni, riflessioni introspettive, ossessioni psicologiche dei protagonisti che incarnano l'ideologia superomistica dell'autore, convinti di appartenere a una specie superiore capace di dominare la realtà, ma che si rivelano poi incapaci di tradurre in azioni reali fantasie di cui sono portatori. • Trionfo alla morte • Le vergini delle rocce • Il fuoco • Forse che sì forse che no Le laudi • Maia il primo libro delle laudi è ispirato a un viaggio in Grecia, il poeta rievoca e trasfigura su un piano mitico ideale, lontana da ogni riferimento alla realtà. Il libro occupato interamente da Laus Vitae (Inno alla vita), un poema autobiografico di 8400 versi in cui riprende il mito di Ulisse, incarnazione del superuomo che si slancia oltre i limiti umani alla ricerca della pienezza dell'essere e della felicità. • Elettra nel secondo libro delle laudi, pubblicato nel 1903, a conquistare la scena politica al posto del mito sono l'oratoria e la propaganda politica. Da aspirante vate della nazione celebra il passato popolato di eroi da emulare come Dante e Garibaldi, al quale contrappone la miseria del tempo presente. Una sezione rilevante il libro dedicata alle città del silenzio, come Pisa Ferrara Ravenna e Urbino, dove un’eco non ancora spenta del glorioso passato e presagire un futuro nuovamente illuminante dalla forza e dalla bellezza. • Merope e Asterope gli ultimi due libri delle laudi, pubblicati nel 1912 e nel 1933, testimoniano l'inaridirsi della vena poetica del di D'Annunzio, ridotta a celebrazione della retorica nazionalista: Merope raccoglie i versi scritti in terzine dantesche in occasione dell'impresa coloniale in Libia. Asterope raduna le poesie composte durante la prima guerra mondiale. Le ultime opere Prosa più asciutta e meno celebrativa. • La leda senza cigno È un racconto lungo romanzo breve edito nel 1916, tratta una figura femminile bella e misteriosa la quale vive una torbida e tragica esistenza, dalla rovina economica del padre ha un fatale incontro con un uomo che la ricatta fino a costringerlo al suicidio. • Le faville del maglio con questo titolo vengono raccolte in due volumi distinti il venturi ero senza ventura e il compagno dagli occhi senza cigli, le prose pubblicate dal poeta sul Corriere della Sera. • Notturno in seguito a un incidente aereo D'Annunzio è costretto a stare immobile e con gli occhi bendati per tre mesi per salvare l'occhio sinistro. Scrive pensieri, ricordi, descrizioni e visioni su migliaia di strisce di carta, i cosiddetti cartigli, descrive sofferente di ferite, incidenti, traumi e morti, senza più traccia di proclami universali e retorici slogan. L'angoscia viene resa attraverso il prevalere di percezioni sensoriali e notazioni talvolta perfino macabre sul disfacimento dei corpi della carne. La sensualità diventa allusione morbosa e sofferta, priva di energia e vitalità. Lo stile è frammentario, paratattiche, ridotto a un'essenzialità quasi espressionistica, frasi concise, frequente punteggiatura. Il carattere meditativo e intimo si esplicita all'allusività del lessico e in una sintassi scarna che riproduce la scrittura istantanea dei taccuini. L'asciutta prosa e soffusa di ritmo lirico. di 15 21 Il teatro la volontà di raggiungere più direttamente il pubblico e il sodalizio con Eleonora Duse spingono D'Annunzio dedicarsi al teatro. Con il proposito di realizzare un teatro in versi lontano dal dramma borghese realistico aspira secondo la teoria di Wagner a fondere recitazione, musica e danza, rinnovando la tradizione della tragedia greca. Amore, morte, pulsioni superomistica e passioni logoranti vengono rappresentate in ambientazioni diverse. I grandi temi Il divo narcisista e il pubblico di massa D'Annunzio lancia ogni iniziativa con sfrenato esibizionismo e con uno spirito pubblicitario e imprenditoriale: combinando l'arte con la vita. D'Annunzio ripropone una concezione tradizionale della poesia come valore assoluto, strumento di libertà e di conoscenza del mondo, e del poeta come esteta raffinato. Trasforma nel senso di disadattamento e alienazione in un vantaggio, in disprezzo per l'esistenza comune, in culto di una bellezza mitica e accessibile a pochi eletti. Al tempo stesso non si sottrae alle leggi e alle esigenze del mercato: la società volgare che tanto disdegna è il suo pubblico. D'Annunzio è il divo, l'amante, l'atleta, il tribuno, l'eroe, il comandante, in ciascuna di queste vesti rappresenta l'uomo che varca i propri limiti. Nell'opera dannunziana non viene mai meno la ricerca del sublime come scelta artistico letteraria e come strategia di seduzione dei lettori. Quando ci troviamo dinnanzi alle sue opere, abbiamo sempre la sensazione che tutto questo repertorio di meraviglie sia escogitato per esaltare il proprio talento e divulgare un'idea di bellezza da contemplare e adorare. Quest'autore non rinuncia mai alla celebrazione narcisistica delle proprie esperienze, all'entusiasmo delle proprie azioni, alla ricerca continua del piacere: ed è in questa tensione inesausta a godere dei frutti terrestri e esaltare il proprio istinto vitale che risiede ancora oggi quel misto di fascinazione e avversione che facilmente e gli suscita. L’estetismo dannunziano Il culto della bellezza, la teorizzazione dell'arte per l'arte, l'identificazione di arte e vita sono aspetti che avevano già segnato la cultura decadente europea di fine secolo e l'opera di poeti simbolisti e parnassiani. Il poeta interpreta l'estetismo nella prima fase che culmina con la stesura del piacere. L'opera di D'Annunzio è caratterizzata da una sorta di saccheggio di poeti italiani delle origini anche quelli minori e soprattutto nei testi degli scrittori francesi e inglesi contemporanei. La bellezza deve essere raggiunta, non importa come, in un processo di innalzamento rispetto agli altri e di continuo affinamento del gusto. Tale visione edonistica è alla base di due caratteri intrecciati della produzione letteraria dannunziana, uno stilistico e uno ideologico. Sul piano della forma opta per soluzioni lessicali, sintattiche, retoriche che privilegiano i toni sostenuti e le modulazioni più solenni della lingua letteraria. La preziosità dello stile, la ricerca ridondante del sublime, l'uso costante di classicismo accomunano la sua poesia e la sua prosa. Sul piano ideologico, l'esteta è colui che assapora tutti i doni dell'esistenza, si tiene lontano dalla massa volgare e da ogni impegno attivo, sociale e politico, per vivere in un mondo aristocratico. L'esteta dannunziano non è in grado di celebrare fino in fondo il proprio privilegio: è destinato alla solitudine, alla sconfitta nel rapporto affettivo con le donne, alla paralisi dell'azione. L’io finisce per disgregarsi e perdere il proprio centro. Non siamo ancora alla coscienza della crisi dell’identità del soggetto, che caratterizzerà la letteratura del primo novecento e Pirandello ma sembrano anticipare i tratti caratteriali tipici della figura dell'inetto, incapace di vivere dentro i meccanismi della società moderna. La maschera dell’innocenza L'autore ha cercato di rielaborare di continuo la propria personalità letteraria, coltivando diversi generi e sperimentando una gamma di poetiche che vanno dal verismo al simbolismo, fino alla prosa originalissima del notturno. Questa varietà riflette anche nei toni e nei atteggiamenti spirituali: il poeta sa muoversi con disinvoltura dalla sensualità prorompente al mesto languore, dalla giugno da vitalità ha un senso di debolezza e convalescenza interiore. Il trasformismo di D'Annunzio si traduce un certo punto nell'abbandono delle pose estetizzanti messa in mostra nel piacere e nell'emergere di uno stato d'animo diverso. Il ripiegamento malinconico matura durante il soggiorno napoletano. Messe da parte le esagerazioni di Sperelli, D'Annunzio, riconosce la stanchezza della carne stanca e decide di cercare la salvezza dello spirito nella rigenerazione e nel ritorno le cose del passato: l'infanzia, la nutrice, la madre. Nei romanzi di questo periodo come Giovanni Episcopo e l'innocente troviamo un intimismo esasperato e un malessere che annebbia l'animo dei personaggi. Occorre fare attenzione a questa esibita ricerca di purezza. L'intento di rientrare in un paradiso di semplicità e di pace, in contrasto con il tumulto dei sensi in cui lo scrittore ha consumato la giovinezza, è dichiarato con accenti retorici troppo scoperti per non rivelarne l'ambiguità. L'estetismo dannunziano non entra di 16 21 in crisi ma introduce un ulteriore aggiunta all’esplorazione dell’esistenza. Il tono elegiaco e l'atmosfera stanche malinconica non cancellano il sospetto della falsità, il poeta cambia di nuovo maschera. Il superuomismo L'approdo superomistico è visibile a partire dalla stesura dei romanzi pubblicati dopo il piacere. Estetismo e superomismo sono strettamente connessi tra loro. Il superuomo è un individuo eccezionale al quale spettano il diritto e il dovere di opporsi all'insulsa realtà borghese, per realizzare il proprio dominio sulla realtà. D'Annunzio assimilò il pensiero di Nietzsche del quale accoglie l'esaltazione della volontà di potenza, il disprezzo per le masse, il culto della civiltà classica e la rivendicazione della componente dionisiaca e irrazionale dell'uomo a scapito di quella apollinea e ordinata, mentre ignora la critica radicale delle ideologie del progresso, che pure ne costituisce un aspetto centrale. D'Annunzio interpreta gli elementi più aggressivi vitalistici, insiste sulla polemica contro l'uguaglianza e sottolinea la concezione dell'uomo e dell'artista posti al di sopra delle norme morali. In tal modo il pensiero di Nietzsche da critico diventa pratico, una sorta di morale dell'azione, diventa una sorta di facile ideologia fatta di bei gesti, azioni eroiche, proclami e pulsioni democratiche. Il superuomo si impegna anche nella battaglia politica. Il sistema di idee di D'Annunzio è al di sopra degli schemi, risulta del tutto soggettivo e si risolve ancora una volta in un'autocelebrazione. E sempre alla ricerca di un'affermazione personale, l'isolamento nella sua villa esprime il proprio fallimento quale uomo d'azione, costretto a vivere in solitudine e ad accettare dal regime una venerata maestra imbalsamazione. Dolore e sentimento della morte nella fase “notturna” Oltre all'immagine ufficiale ha manifestato nella vita e nell'opera letteraria una più segreta e dolorosa interiorità, che emerge soprattutto durante la vecchiaia e nelle prose autobiografiche. Questi scritti propongono aspetti tipici della cultura decadente: l’ossessione per la vecchiaia, la contemplazione della morte, l'esplorazione dell'ignoto, l'immersione le tenebre dell'oscurità. Il notturno è una prosa lirica nella quale D'Annunzio sembra rinunciare alle prose eroiche e superomistica della sua produzione. Non emergono gli eccessi retorici, la sua voce acquista un tono naturale, sfumato. Il poeta cerca di scandagliare la propria interiorità, saggiando le inedite sensazioni di chiscopre la nuova fisicità di una creatura terrestre insonne sofferente, che vive e sente il proprio corpo costretto in una sorta di letto bara. Al mito non rinuncia: il comandante senza vista che scrive al buio le sue sensazioni possiede la vista lunga dell'oracolo che legge la realtà sotto le apparenze, la scompone e la porge in frammenti comuni mortali. La componente sublime dell'arte dannunziana si mantiene intatta: conserva gli attributi del poeta artefice e veggente a cui è permesso esprimere ogni esperienza, anche la più oscura. L’ALCYONE Il poeta riesce accogliere a contatto con il paesaggio estivo le più sottili musicali note della natura. Vuole divinizzare l'uomo attraverso i sensi, il mito si attua traducendo la parola in musica e facendo fluire immagini e impressioni in un'atmosfera di elegante suggestione. I versi di alcyone sono liberi dei riferimenti eruditi, segnano il punto di partenza di tutte le esperienze liriche del 900 italiano, che non potranno prescindere dalle innovazioni metriche e linguistiche presenti nella raccolta. Struttura È il terzo libro del ciclo poetico delle laudi: prende il nome da una stella delle Pleiadi. Pubblicato nel dicembre del 1903 il volume raccoglie 88 poesie, strutturate come un vero e proprio diario, un libro organico e non un insieme di componimenti lirici isolati. La struttura è ricca di simmetrie, corrispondenze e richiami che collaborano allo scopo di narrare un'esperienza realmente vissuta, ma trasfigurata in poesia: un'estate trascorsa lungo il litorale toscano, tra il mare e un paesaggio di pini, boschi e monti. L'inizio della stesura delle liriche risale al giugno del 1899, quando D'Annunzio, in compagnia di Eleonora Duse fa ritorno alla villa. Qui vuole celebrare l'estate nella sua evoluzione, dalla fine della primavera all'apparire dell'autunno. La struttura del libro, divisa in cinque sezioni, segue la parabola della stagione: l'attesa dell'estate, corrispondente al mese di giugno (prima sezione); la sua esplosione, nei primi giorni di luglio (seconda sezione); il pieno rigoglio, alla fine di luglio e i primi di agosto (terza sezione); il culmine dell'estate è presagi autunnali, tra la metà di agosto e l'inizio di settembre (quarta sezione); infine, il suo lento declinare, soppiantata dalla malinconia autunnale (quinta sezione). Le sezioni presentano una specifica ambientazione e contengono tematiche peculiari, che si legano i diversi stati d’animo del poeta. Il libro si apre con un Proemio intitolato la tregua, nel quale D'Annunzio prende congedo dalla tensione eroico-civile delle opere precedenti e si chiude con un epilogo, il commianto, dedicato a Pascoli; tra una sezione e l'altra sono inserite dei componenti detti ditambro, preceduti a loro di 17 21 e sensazioni, nel quale il lessico, impressionistica allusivo, e la sintassi, scarna e strutturata quasi esclusivamente per coordinazione, sembrano trasformare l’opera in un taccuino sul quale il poeta annota con immediatezza e senza apparente studio, le dolorose percezioni del proprio corpo. La prosa sconfina nel verso vero e proprio grazie a ripetizioni, parallelismi, metafore e sinestesie; frequenti sono le assonanze e allitterazioni: in particolare la ripetizione della S nei verbi con cui iniziano i primi capoversi. LA SERA FIESOLANA È la prima delle composizioni di alcyone in senso cronologico. È scritta nel giugno 1899 nella villa la Capponcina, dove D'Annunzio si trova in compagnia di Eleonora Duse, la lirica viene pubblicata per la prima volta nel settembre dello stesso anno sulla rivista nuova antologia con le tre strofe di cui si compone intitolate la Natività della luna, la pioggia di giugno e le colline. È una sera di giugno bagnata dalla pioggia e illuminata dal pallido barlume della luna, nel momento evanescente del crepuscolo: un momento di paesaggio, di trasformazioni impercettibili, carico di attesa e suggestione. Nel silenzio immobile del calare del giorno si percepiscono solo vaghi, lievissimi suoni, piccole variazioni di luce, il fruscio delle foglie del gelso che un contadino, sulla scala appoggiata al tronco raccoglie. Il paesaggio collinare fiorentino assiste alla fine della primavera, che muore e si trasforma in estate: in questa atmosfera sta il poeta che contempla e loda la sera tuffandosi nel suo grembo fresco e dolce, pronto ad afferrare tutte le fuggevoli sensazioni che provengono dalla natura. Accanto a lui si coglie una presenza femminile, silenziosa in attesa di apprendere dall'amante una ricca una rivelazione: il mistero sacro dell’amore. La lirica si articola in un libero fluire di immagini e percezioni legate tra loro da una catena di analogie. Più che descrivere il poeta esprime uno stato d'animo sospeso e indefinito attraverso impressioni e suggestioni. Anche l'apparizione della luna, che è l'immagine centrale della prima strofa non viene rappresentata ma evocata come il momento miracoloso della sera, contemplata nel gioco degli scambi tra dimensione psichica e dato naturale, tra realtà fisica e trasfigurazione antropomorfica. La stessa tacita presenza della donna è ridotta al minimo, mentre la sera viene personificata in una languida figura femminile. Siamo all'opposto di una resa oggettiva o realistica: la natura è interiorizzata e umanizzata dal poeta che rappresenta la luna e gli altri elementi del paesaggio come figure umane, partecipi della vita divina che anima l'universo in ogni sua fibra. Al tempo stesso egli e la donna amata si compenetrano nella natura, entrando in essa e condividendo nella continuità, vitale e armoniosa metamorfosi. D'Annunzio si assume il compito di rivelare l'essenza e la musica segreta grazie a una sapiente modulazione dei suoni ritmi e immagini. Come un poeta veggente si sente l'unico in grado di decifrare la complessità dell'esistenza, di farsi interprete di profonde verità in solidali da parte dell'uomo comune, di decodificare la foresta di simboli con le corrispondenze che si celano dietro il reale, in una fitta trama di rapporti tra le cose. Il testo è attraversato da una notevole tensione espressiva. La magia enigmatica del potere dei suoni e delle sensazioni può essere evocata soltanto nella trasfigurazione di una vita panica e sublime. Sotto la superficie pura e innocente di questa sera, d’Annunzio ribadisce le prerogative esclusive di una sensibilità superiore. La ricerca della musicalità emerge dalla fluidità melodica delle strofe, che si susseguono con una punteggiatura ridotta al minimo e con un’accentuata concatenazione sia sintattico-retorica sia contenutistica. Ci sono molti enjambement. Le figure sono la rima, le allitterazione, e fonosimboli. La relazione tra i diversi aspetti delle cose viene sottolineato dalla metafora frequente al fine di rendere l'immagine umanizzata nella natura. Il medesimo processo di umanizzazione tocca anche gli altri aspetti naturali evocati sono audaci le sinestesie, che rimarcano la compresenza di piani sensoriali diversi. Nella delicatezza di immagini e suoni che caratterizzano la lirica non manca un'importante lezione dell'estetismo misticheggiante tipicamente decadente. Richiama il cantico delle creature di San Francesco D’Assisi. LA PIOGGIA NEL PINETO Una passeggiata senza meta in compagnia della donna amata, qui chiamata Ermione, lungo una pineta del litorale pisano, e la pioggia che cade sulla vegetazione e sui due amanti, i quali finiscono per sciogliersi nel paesaggio: la metamorfosi panica, la trama musicale data dal ritmo della pioggia, la segreta armonia della natura dominano questa celebre lirica, composta probabilmente nell’estate del 1902. Sulle sogli di una solitaria pineta, lungo il litorale toscano una pioggia estiva sorprende il poeta e la donna amata, chiamata qui Ermione, durante la passeggiata. Le gocce crepitano sui rami e fanno germogliare una nuova vita nella calura estiva. Il silenzio della natura interrotto dei suoni: il ritmo della pioggia compone una lunga sinfonia insieme in frusciare delle foglie e allego diversi di animali. Mentre vagano nel paesaggio naturale estraniati dal resto del mondo immerso nel suono, di 20 21 il poeta e la compagna si svestono dei panni umidi e iniziano un processo di trasformazione verso una forma di vita vegetale che si attua in crescendo fino a che la loro comunione con la natura è completa. Ormai tutto una colpa scolorita non è più umana. Abbattuta ogni barriera tra l’io e la natura, l’ultima strofa sancisce il compimento dell’identificazione. L’ispirazione nasce da un’acquazzone estivo che bagna il poeta e la sua compagna. È un esile pretesto, subito trasfigurato nella dimensione mitica della fusione panica con la natura. il panismo dannunziano coincide sempre con l’affermazione di un privilegio riservato solo a creature superiori. Il processo apparentemente regressivo – dall’umano al vegetale – coincide di fatto con un esercizio di potenziamento di sé, grazie al quale il soggetto, assimilandosi alla natura attraverso la percezione sensoriale, trascende i propri limiti individuali e realizza una piena comunione con il tutto. La sensibilità musicale di D’Annunzio ci definisce il ritmo, il rumore il rumore della pioggia e altre componenti del paesaggio. Per esprimere analogicamente il perpetuo cambiamento l'autore dà vita a una struttura irregolare diverse misure in eguale, ordinata su strofe omogenee per numero diversi, 32. Le proposizioni sono in massima parte brevi, vengono frammentate grazie alla brevità delle battute e alla frequenza di ripetizione dello stesso termine. L'assoluta libertà metrica che D'Annunzio si concede gli permette di ottenere una musicalità spezzata, tesa a imitare la cadenza variabile delle gocce di pioggia e degli altri sono i naturali. La musicalità è accentuata dagli effetti fonici prodotti dall'uso di figure di suono come allitterazioni, fonosimbolismo e da un lessico semplice dei significati ma costellato di termini ricercati e aggettivi letterari, usati dal poeta più per le loro energie musicali che per il loro valore semantico. STABAT NUDA AESTAS Il titolo, letteralmente, l’estate stava nuda, è tratto da un verso delle metamorfosi di Ovidio, una delle principali fonti d’ispirazione dell’alcione. La lirica celebra l’estate, qui personificata in una divinità femminile. L'ispirazione a Ovidio si ferma in superficie, poiché il poeta latino rappresenta l'estate accanto al trono del sole, in un atteggiamento solenne, D’Annunzio invece la vede correre in mezzo a un bosco di ulivi, la insegue e la raggiunge prima che essa si dilegui nuovamente, infine la chiama e la rivede, tra le alghe, nuda e con i capelli immersi nella schiuma delle onde del mare. Non si sa se sia una fanciulla reale o il fantasma di una creatura mitica oppure se il poeta abbia volutamente confuso i ricchi elementi del paesaggio con le belle fattezze di una donna, immersa nella natura lussureggiante fino a risolversi completamente in essa. Ammirata di spalle del poeta, che ne ha progressivamente svelato la bellezza, la natura si svela così nella sua perturbante femminilità, al termine di un inseguimento sottolineato anche dal piano ritmico del testo. Soggetto umano e natura si scambiano i ruoli e fattezze: la donna si trasforma il paesaggio, tanto che D'Annunzio ne avverte la presenza attraverso sensazioni uditive termiche e cromatiche. È infatti un'allodola di aiutare il poeta comprendere il fenomeno e a spingerla consacrarsi senza timore a una comunione panica e divina con la natura. I PASTORI La poesia fa parte della sezione intitolata sogni di terre lontane. La data di composizione è ignota di 21 21
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