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Il disegno nella storia dell'arte italiana - riassunto, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Riassunto del libro "il disegno nella storia dell'arte italiana" di F. Negri Arnoldi, S. Prosperi Valenti.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Scarica Il disegno nella storia dell'arte italiana - riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! IL DISEGNO NELLA STORIA DELL’ARTE ITALIANA – Riassunto 1. Il disegno come tecnica, come pratica, come idea. Molti sono gli strumenti e i procedimenti operativi che sono stati impiegati nella pratica del disegno. Sin dall’origine si possono tuttavia individuare due distinte tecniche, che sono poi alla base di tutte le successive applicazioni ed elaborazioni del disegno: la tecnica per incisione o graffito, e quella per riporto o apposizione di segni. Si tratta in pratica dei due procedimenti, per sottrazione o per aggiunta di materia, che contraddistinguono il modo di operare dell’artista rispettivamente nel campo della scultura e in quello della pittura. Più semplice e diretta, la tecnica per incisione consiste nell’eseguire il disegno sulla superficie levigata di oggetti in terracotta, legno, pietra, avorio, osso o altro, mediante uno strumento appuntito. Tale tecnica ebbe in tutto il mondo antico ampia diffusione e molteplici applicazioni. Largo impiego ha poi sempre avuto nell’oreficeria; da questa è derivata anche la tecnica dell’incisione calcografica. Più complessa, e più ricca di esiti e di possibilità espressive è la tecnica del disegno eseguito per apposizione di segni monocromi su una superficie di diverso colore. Oltre che dai materiali impiegati nel disegno per incisione, tale tecnica si avvarrà preferibilmente di supporti cartacei appositamente predisposti. Alla varietà dei materiali di supporto corrisponde inoltre quella dei mezzi e degli strumenti usati per eseguire il disegno, che può essere tracciato in modo diretto, mediante sostanze coloranti solide, o in modo indiretto, applicando sostanze liquide con appositi strumenti o semplicemente con le dita. L’evoluzione delle tecniche Il progressivo arricchimento dei mezzi tecnici accompagna le tendenze del disegno verso forme sempre più elaborate, che si allontanano sempre più dall’effetto grafico per avvicinarsi a quello pittorico. Tale tendenza appare ben manifesta in età moderna, in cui si assiste al graduale passaggio dal disegno a tratto con sola delimitazione dei contorni delle figure a un tracciato grafico sempre più dettagliato anche nei particolari interni alla figura. Determinante per lo sviluppo della produzione grafica in generale è in epoca moderna anche la diffusione dell’uso della carta. Già in antico, supporti cartacei utilizzati per la scrittura erano stati adottati anche per la pratica artistica. Così il papiro, le foglie di palma, ma soprattutto la pergamena o carta pecora. Quest’ultimo tipo di supporto usato per tutto il medioevo per la scrittura, il disegno e la miniatura, venne a poco a poco sostituito dalla carta, nuovo materiale introdotto in Italia dagli Arabi già dal XII secolo. Ancora limitato nel ‘300, l’uso della carta si diffuse a partire dalla metà del ‘400, quando diminuì il costo di produzione e aumentò notevolmente la domanda. Oltre a quello economico, la carta offriva agli artisti altri vantaggi, come la leggerezza, la praticità d’uso, la varietà di superfici, di formati e anche di tinte. Ma, soprattutto, la carta consentiva l’impiego di tutte le tecniche disegnative in uso suggerendone anche di nuove. Al tempo del Vasari si disegnava “con penna, con stile, con carbone o con altra cosa”. Ma ognuno di questi mezzi offriva possibilità diverse d’impiego. La penna veniva usata con inchiostro nero, marrone, seppia, ma anche blu d’indaco, verde e rosso. Gli stessi inchiostri, diluiti con acqua, venivano usati per tracciare linee di contorno o ombreggiature a pennello. Lo stilo poteva essere a punta d’argento, di piombo o di ottone. Il carboncino veniva molto usato. Altri mezzi di largo impiego per il disegno erano poi la sanguigna o matita rossa, introdotta alla metà del ‘400, e la matita nera o pietra d’Italia. La pratica del disegno Tutta l’arte delle antiche civiltà presuppone la pratica del disegno. Di tale pratica testimoniano d’altronde le fonti letterarie, che parlano della costante applicazione al disegno dei più celebri artisti greci. Anche per l’età medievale restano significative testimonianze. Ma è soprattutto a partire del ‘300 con la rinascita dell’arte italiana, che abbiamo la più chiara e documentata visione della pratica del disegno. Il primo a trattare diffusamente dell’argomento è Cennino Cennini che, nel suo Libro dell’Arte espone le sue idee sull’utilità del disegno e impartisce una serie di norme non solo di carattere pratico, ma persino morale e igienico sull’esercizio di tale pratica. Anche il Ghiberti, nei suoi Commentari insiste sull’importanza del disegno, che si apprende con lungo “studio” e “disciplina”, fino al Vasari, che fa del disegno il padre di tutte le arti e che insiste sulla necessità per l’artista di un lungo studio ed esercizio nel disegno. Il disegno è lo strumento base per diventare artisti, e quindi si deve fare molta pratica; il disegno significherà in un primo tempo ripresa dai modelli dei grandi maestri, e in un secondo tempo ripresa dal vero, dal “naturale”. che l’apprendimento dell’artista si sia basato in ogni epoca sull’esercizio del disegno appare abbastanza verosimile, essendo la tecnica più semplice e il mezzo più economico. Disegno preparatorio e disegno di studio Il disegno ha sempre avuto nella realizzazione dell’opera d’arte anche una funzione strumentale, in quasi tutte le tecniche artistiche rappresenta un passaggio obbligato e una fase del procedimento operativo, che corrisponde al disegno preparatorio. Esso può essere espresso in forme diverse e viene utilizzato con due distinti procedimenti:  Diretto, viene eseguito direttamente sul supporto dove sarà realizzata la pittura, generalmente mediante il carboncino o la terra di Sinobe. Tecnica analoga è quella del disegno tracciato, con stilo o con penna, sulla pergamena per l’esecuzione delle miniature. In tutti questi casi il disegno ha una funziona puramente strumentale ed è destinato a scomparire.  Indiretto, eseguito su un supporto mobile e maneggevole per essere poi trasferito sulla tavola o sul muro mediante vari sistemi di riporto. Il raggiungimento di tale padronanza risponde anche a particolari esigenze che vengono maturando in età Rinascimentale, con l’affermarsi di un nuovo concetto artistico in cui l’ideazione prevale sull’imitazione. Il disegno, rivolto all’osservazione esterna, viene ora inteso in funzione di una diretta e fedele espressione dell’idea concepita all’interno della mente del soggetto. Il disegno tra pratica e teoria Il problema del disegno viene trattato nel Rinascimento anche in sede teorica; anzi, si può dire che nel ‘500 l’interesse per l’aspetto teorico della questione prende il sopravvento sull’aspetto della pratica artistica. Appare tuttavia evidente come la pratica del disegno e la sua elaborazione teorica si produca uno sfasamento. Eppure, il duplice problema è, almeno agli inizi, strettamente e conseguentemente collegato; i due aspetti sono posti tra loro in un rapporto funzionale. Il concetto di disegno nel ‘500 Agli sviluppi della pratica e della teoria sul disegno avevano contribuito anche le teorie neoplatoniche diffuse dalla metà del ‘400. La superiorità dell’idea rispetto alla realtà ben si collegava al concetto di disegno inteso come proiezione immediata dell’idea stessa. Il disegno viene infatti a rappresentare il momento più importante e decisivo nella genesi dell’opera d’arte. Questa valorizzazione del disegno investe tuttavia un problema più generale e molto dibattuto in questi anni: è il problema del riscatto della pittura e dell’arte in genere dal ruolo subalterno in cui l’aveva relegata l’antica distinzione tra attività teoretiche e attività pratiche. Per affermare l’appartenenza dell’arte alla sfera delle attività teoretiche era necessario porre in risalto il prevalere in essa dell’idea e del pensiero sulla pratica di mestiere. A tal fine artisti e teorici del rinascimento avevano rilevato una distinzione e una separazione tra momento ideativo e momento esecutivo. La conseguente appassionata disputa sul primato delle arti, pittura o scultura, vede schierati in campi opposti i maggiori ingegni del tempo. Da tale disputa, che si concluderà nel migliore dei casi con l’affermazione della parità delle arti, trae vantaggio soprattutto il concetto di disegno, inteso come prima e più immediata manifestazione del pensiero artistico e quindi come padre comune di tutte le arti. A partire dalla metà del ‘500 il disegno esula dalla sfera dell’attività pratica e tecnica, per divenire espressione e manifestazione delle capacità intellettuali e fantastiche dell’artista. Questi due aspetti verranno poi definitivamente separati dallo Zuccari che, con la sua distinzione tra un “disegno interno” e un “disegno esterno” viene a eludere il problema di fondo che altri si erano sforzati di risolvere. Nel ‘400, sia Leon Battista Alberti che Piero della Francesca concepivano il disegno come definizione geometrica della figura. Con Leonardo si aprono nuovi orizzonti al disegno, ma si determina ancora una scala di valori, anche se egli è il primo a stabilire una priorità delle espressioni artistiche sulla base del maggior “discorso mentale”, e a teorizzare i concetti di “abbozzo”. È solo dalla metà del ‘500 che artisti e trattatisti prendono posizione in favore dell’abbozzo e dello schizzo, riconoscendovi la forma d’espressione Disegno e apprendistato Sempre dai precetti del manuale del Cennini possiamo desumere in che cosa consistesse la pratica del disegno. Come fondamento dell’arte, il disegno è la base dell’apprendistato, esso richiede per tanto un lungo esercizio e una continua applicazione da parte dell’allievo che dovrà improntare l’intera vita alla disciplina. L’apprendistato attraverso il disegno dovrà inoltre essere attuato per gradi: il primo consiste nel copiare le opere dei grandi maestri, l’ultimo nell’affrontare il disegno dal vivo, del naturale. L’uso di trarre copie dai grandi maestri non era del tutto nuovo ma la finalità è ora diversa. Mentre in precedenza tali copie avevano il preciso scopo di conservare la memoria iconografica di pitture destinate a scomparire, ora serve per apprendere le novità, sia iconografiche che formali, per assimilare lo stile del maestro. Anche i taccuini di disegni, tra ‘300 e ‘400, arricchiscono il loro repertorio e mutano in parte la loro funzione. Non sono più soltanto raccolte iconografiche di exempla, ma spesso strumenti di indagine e di studio. Dalla pratica di bottega all’Accademia del disegno. Le teorie sul disegno Il perfezionamento e la diffusione della pratica del disegno furono favoriti da due principali fattori: l’arricchimento e affinamento dei mezzi tecnici e il tipo di organizzazione del lavoro nell’ambito della bottega. Ancora per tutto il ‘400 la bottega rappresenta il luogo deputato per la formazione dell’artista che segue i vari stadi dell’apprendimento. Alla base di tale insegnamento è, come abbiamo visto, l’esercizio del disegno che mira a un duplice scopo: il raggiungimento di una tecnica perfetta e l’acquisizione di una padronanza assoluta del mezzo. Questi requisiti rispondono a due distinte ma complementari esigenze: la prima pertinente al momento tecnico-esecutivo e anche all’aspetto socio-economico della produzione artistica, la seconda più legata al fatto creativo e all’invenzione. È soprattutto con Leonardo e i suoi concetti di “abbozzo” e di “macchia” che il disegno uscirà dal ruolo tradizionalmente assegnatogli nell’ambito della pratica di mestiere, per acquistare un proprio autonomo valore. Nuovi materiali e nuove tecniche Per quanto riguarda la tecnica furono fondamentali l’introduzione della sanguigna e la diffusione della carta. Una dettagliata descrizione dell’uso dei procedimenti tecnici adottati in questo periodo ci viene fornita dal Vasari, che classifica i disegni a seconda del grado di elaborazione. È interessante notare come questa distinzione trovi una corrispondenza precisa nei due fatti che alla fine del ‘400 provocano una vera rivoluzione nel campo delle tecniche artistiche: l’invenzione dell’incisione calcografica e la pittura ad olio. Anche queste due tecniche artistiche ripropongono le due distinte tendenze: da una parte verso la precisione e chiarezza, la purezza del segno grafico, dall’altro verso una sempre maggiore fusione e unione delle forme e dei campi di colore. Il disegno preparatorio resta un elemento fondamentale, anzi acquista un’ulteriore importanza nella pratica della pittura a fresco, dove l’utilizzo del sistema di riporto diretto sull’intonaco riduce al minimo le distanze tra il cartone e la sinopia. Il disegno preparatorio finito permette al maestro di affidare l’esecuzione pratica dell’affresco ad allievi e collaboratori. Inoltre il disegno preparatorio, come il disegno di studio, in virtù della sua compiutezza assume un valore autonomo, può servire di modello ai giovani artisti, o essere esposto al pubblico. I nuovi modelli Tra gli artisti che fanno scuola c’è naturalmente Leonardo cui spetta il merito della priorità dell’impostazione di alcune specifiche problematiche del disegno, dal punto di vista sia pratico che teorico. Oltre il disegno a tratto e il disegno libero pittorico Leonardo sperimenta e illustra una forma di disegno indefinito, in cui la ripetizione dei tratti segna varianti di posizioni o effetti di movimento delle figure. Più che disegno di studio si tratta di rapide, immediate impressioni di forme “abbozzate” che rivelano l’idea generale della figura o della composizione. Tali concetti aprono nuove vie alla pratica artistica e arricchiscono le possibilità espressive del disegno, permettendo anche di meglio individuare e apprezzare le distinzioni tra le varie tendenze di scuola e tra le “maniere” dei singoli artisti. La scuola tosco-romana La scuola tosco-romana è quella che più di altre coltiva la pratica del disegno, un disegno tendenzialmente elaborato e finito. Massimi disegnatori di questa scuola sono Raffaello e Michelangelo, la loro è una pittura in cui il disegno preparatorio è ancora supporto e struttura essenziale. Massimo interprete di questa cultura del disegno sarà Giorgio Vasari che raccoglie l’apporto di tutta una tradizione che risale al Cennini e cerca di conciliare il dato tecnico e sperimentale. La scuola veneta Diversamente da quella toscana che del disegno si serve in modo funzionale, la pittura veneta ne fa un uso eminentemente strumentale. Ma anche quando ciò non accade, il disegno non rappresenta per i pittori di quella scuola il problema di fondo del processo creativo, in cui ad assumere un ruolo determinante non è il valore espressivo della linea ma quello del colore. La scuola veneta è la prima in Italia ad adottare, e perfezionare, la tecnica della pittura ad olio, e la produzione grafica è formata prevalentemente da abbozzi e schizzi di un tipo di disegno tendenzialmente pittorico. Il trionfo del disegno Il ‘500 è il secolo del trionfo del disegno, è vastissima la produzione grafica in questo periodo. Del disegno tuttavia si esalta il valore espressivo, piuttosto che la funzione tecnica, il che determina un certo distacco e disinteresse per il problema esecutivo. L’artista si dedica soprattutto all’invenzione, mentre l’opera viene eseguita praticamente da altri. I disegni pertanto restano la sola documentazione autografa dello stile del maestro, la sola testimonianza diretta della sua capacità creativa. Nasce una specie di culto del disegno. 3. I centri, le scuole, gli artisti Nella ricca produzione grafica dei secoli del nostro rinascimento artistico si possono distinguere varie fasi e varie tendenze, in ragione del diverso grado di sviluppo e del diverso orientamento assunti dalle singole scuole pittoriche locali. Nello svolgimento dei fatti artistici il panorama del disegno non sempre tuttavia coincide con quello della pittura. Per tutto il ‘300 e parte del ‘400 abbiamo ancora una prevalenza assoluta del disegno preparatorio diretto, la sinopia, rispetto al disegno eseguito su supporto cartaceo. Appare tuttavia evidente già in questo periodo l’affermarsi della pratica disegnativa nelle botteghe di artisti delle scuole fiorentina e senese. Per tutto il ‘400 e il ‘500 il maggiore centro di produzione grafica è comunque Firenze. È dall’attività dei maestri fiorentini che il disegno assume uno sviluppo e un valore progressivi e paralleli all’evolversi dell’arte plastica e pittorica. Ad essa appartiene la parte più cospicua del patrimonio grafico pervenutoci. Da Leonardo, Raffaello e Michelangelo discende un’intera generazione di artisti dediti prevalentemente al disegno accanto ai massimi rappresentanti della maniera, opera Giorgio Vasari, la nostra più preziosa fonte di conoscenza per quanto riguarda la cultura artistica fondata sulla pratica disegnativa. La diffusione del Manierismo tosco-romano e il suo innesto su tradizioni e culture locali genera, nel ‘500, una straordinaria varietà di esiti, espressi in modo palese nelle tecniche disegnative individuali. Il disegno del ‘300 in Toscana e in Italia settentrionale L’origine del disegno, inteso come forma d’arte autonoma si fa risalire al ‘300, in concomitanza con il rinnovamento della tradizione artistica in Italia, fondata sulla rivoluzione attuata da Giotto a Firenze. I disegni fiorentini del ‘300 giunti sino a noi sono tuttavia pochissimi. La dispersione quasi totale del patrimonio grafico trecentesco dipende prevalentemente da motivi tecnici. I giovani artisti usavano per i loro esercizi grafici una tavoletta di legno rivestita di polvere di osso, su cui disegnavano incidendo con uno stilo o punta di metallo; ogni volta il disegno veniva cancellato per far posto al successivo. La scarsità dei fogli del ‘300/400, in particolare per quanto riguarda i grandi cicli di affreschi, può essere in parte giustificata dell’esistenza delle sinopie scoperte negli anni del dopoguerra. L’uso delle sinopie ha una vastissima diffusione in tutt’Italia, e in particolare in Toscana e nelle zone limitrofe sino quasi alla metà del ‘400, quando il cartone eseguito nella bottega per essere trasportato sull’intonaco sostituisce in genere il vecchio procedimento, l’incidenza di questa tecnica nella storia della grafica è tale che di alcuni artisti abbiamo solo disegni sotto forma di sinopie (Simone Martini, Masolino da Panicale). Dei rari fogli del ‘300 fiorentino che ci sono pervenuti nessuno è originale di Giotto. Non è un fatto casuale che la grande diffusione del disegno in Italia coincida con la fioritura dell’arte gotica: la produzione artistica di questo periodo riscopre infatti l’importanza dell’elemento decorativo, e il mercato linearismo gotico trova nel disegno la forma espressiva più idonea. Alle soglie del ‘400, in Toscana notiamo un incrementarsi del disegno su carta, che preclude al grande sviluppo assunto dalla grafica nel secolo successivo. Curiosamente però, mentre non ci sono pervenuti disegni degli artisti più rappresentativi si è conservato qualche esempio grafico di maestri tardo-gotici. Il più prolifico disegnatore toscano di questo periodo è senza dubbio Parri Spinelli, un artista che nella produzione pittorica ad affresco risente dell’influenza giottesca del padre Spinello Aretino e della cultura tardo-gotico imperante. Nei disegni, tutti eseguiti a penna, si dimostra invece assai raffinato nell’eleganza del segno calligrafico, che allunga a dismisura le figure. Quanto alla grafica senese, in analogia con ciò che avviene a Firenze non abbiamo documenti sicuri dell’attività grafica dei grandi esponenti del ‘300, come Simone Martini e i fratelli Pietro e Ambrogio Lorenzetti. Nell’Italia settentrionale sono molto scarse le tracce di produzione di disegni sino alla metà del ‘300, però dalla seconda metà del XIV secolo e per tutto il ‘400, in questa zona e soprattutto in Lombardia, si nota il risorgere del disegno, legato all’illustrazione di manoscritti di romanzi cavallereschi e di opere letterarie provenienti dalla Francia. È attraverso il disegno illustrativo che si sviluppa l’aspetto più raffinato dell’arte gotica cortese, caratterizzato da un’estrema eleganza formale e da un gusto descrittivo volto al particolare. Il centro di questa fioritura dell’arte gotica internazionale fu Milano. Il maggiore esponente della cultura lombarda dell’ultimo ventennio del ‘300 è Giovannino de’ Grassi che ha apposto la sua firma in uno dei 31 fogli del taccuino di disegni della Biblioteca Civica di Bergamo, quest’ultimo è un libro di modelli, non scaturiti dalla fantasia dell’artista ma desunti da esemplari più antichi o coevi, che costituiscono il patrimonio figurativo indispensabile per la formazione di un artista. Agli inizi del ‘400 in Lombardia continuano la tradizione disegnativa di Giovannino de’ Grassi il suo allievo Michelino da Besozzo che le fonti antiche celebrano per la sua abilità nel disegnare animali. L’influenza di Michelino e con essa quella dell’arte gotico-fiorita milanese si estende sino al Veneto: a Verona quest’eredità venne accolta da Stefano da Zevio. Nei suoi schizzi compone con la penna eleganti figure che dimostrano una nuova comprensione dello spazio nel modo con cui è campita la figura nel foglio, e una grandiosità di concezione che non ha più nulla a che vedere con il mondo della miniatura. Nella bottega di Stefano fece il suo esordio il Pisanello, il massimo esponente in Italia della pittura gotica internazionale. Il ‘400 a Firenze Dei grandi protagonisti del rinnovamento dell’arte italiana a Firenze e in Toscana del primo ‘400 ci sono pervenuti solo rarissimi fogli; è una mancanza deplorabile se si pensa che in questo periodo si riscopriva il rapporto tra l’uomo e la natura, si codificava la prospettiva e si rimeditavano le proporzioni dell’arte classica, processi tutti attuati nella prima fase conoscitiva proprio attraverso il disegno. È probabile che questa mancanza sia motivata dalle stesse ragioni addotte per il secolo precedente. Nella concezione umanistica fiorentina, che concepisce l’arte come rappresentazione veridica della realtà, il disegno assume un ruolo primario in quanto essenza mentale e forma pura, fondamento comune di tutte e tre le arti maggiori codificate in questi anni. Per gli artisti fiorentini del ‘400 il momento di ideazione dell’opera d’arte si identifica con la sua progettazione grafica. La diffusione sempre più estesa della prassi disegnativa portò di conseguenza da una parte a una proliferazione delle tecniche, e dall’altra alla formulazione di nuove tipologie di disegno. Dal punto di vista tecnico, abbandonata ormai la pergamena per la carta si viene diffondendo sia l’uso della punta di metallo sia l’uso più corrente di matite rosse e nere, del bistro e della penna; sopravvivono infine alcune tecniche miniaturistiche come la lumeggiatura a biacca. Questi mutamenti tecnici rispondono alle esigenze dell’artista che viene elaborando in questi anni nuove tipologie di disegni: i modelli, gli schizzi o primi pensieri e gli studi di figure singole, di particolari anatomici o di panneggi. Non è facilmente documentabile attraverso la grafica il passaggio tra il mondo tardo-gotico e i primi influssi del Rinascimento. Una figura ancora da definire è Beato Angelico alla cui mano sono riconducibili alcuni fogli degli Uffizi di grande nitidezza spaziale. La problematica degli studi sulla prospettiva si riflettono in modo esemplare nei disegni di Paolo Uccello, l’unico artista del primo ‘400 fiorentino di cui si conservi agli Uffizi un piccolo gruppo di fogli omogenei, studi condotti con oggettività razionalistica e improntati al problema del rapporto tra figura umana e spazio circostante. Analoga concezione statuaria si ritrova nello studio di una Testa di uomo, unico disegno certo pervenutoci di Andrea del Castagno caratterizzato da un aspro linearismo che costruisce la figura nello spazio, con un plasticismo memore del messaggio masaccesco e del dinamismo scultoreo di Donatello, e che inaugura nel disegno uno stile incisivo, che sarà dolce del Perugino che dalla sua frequentatissima bottega divulgò la fortunata combinazione della lezione di Piero con quella del Verrocchio. I suoi disegni, dai contorni delicatamente modulati, riflettono la visione classica del suo operato artistico. In questo ambiente si forma Raffaello Sanzio giunto fanciullo a Perugia dalla natia Urbino. Sin dal suo primo operare, egli intese il mezzo grafico come elemento imprescindibile dell’espressione artistica. I suoi fogli giovanili riflettono il concetto di armonia e di vaghezza già enunciati dal Perugino, ma espressi nel giovane artista al massimo della perfezione creativa. Sin dagli studi per l’Incoronazione di S. Nicola da Tolentino di Città di Castello Raffaello si dimostra già dominatore dello spazio, conoscitore profondo dell’anatomia umana e padrone della tecnica. Il cartonetto per la Partenza di Enea Silvio Piccolomini per il Concilio di Basilea mostra evidenti i richiami al mondo figurativo umbro-peruginesco, anche se le figurine in primo piano hanno una vitalità più accentuata e ricordano il Signorelli. Il passaggio slontanante nello sfondo rivela inoltre un’intensità luminosa pierfrancescana, e un senso atmosferico che si accosta a Leonardo, tanto da autorizzare l’ipotesi di un primo viaggio non documentato di Raffaello a Firenze anteriore a quello accertato del 1504. L’importanza di questo viaggio per la maturazione artistica di Raffaello è stata ampiamente sottolineata, egli ha modo di avvicinare e studiare i grandi esempi dell’arte fiorentina quattrocentesca, nonché le opere dei suoi contemporanei Leonardo e Michelangelo. Nella vasta produzione grafica risalente a questo periodo Raffaello, superato ogni sentimentalismo umbro raggiunge un nitore nel segno e nella dolcezza degli affetti, in cui si intravedono influssi della scultura antica e del classicismo robbiano, mentre le modulazioni lineari del segno e il tratteggio morbido degli studi di teste si rifanno alla grafica cinquecentesca di Fra Bartolomeo e di Mariotto Albertinelli. La personalità che maggiormente influenzò Raffaello nel suo soggiorno fiorentino fu quella di Leonardo; lo dimostrano la scioltezza del tratto della penna e il dinamismo vibrante e ancora pollaiolesco che anima il San Giorgio e il drago degli Uffizi. Il dinamismo di Leonardo si risolve però in Raffaello in una perfetta compiutezza e in un equilibrio sommo. In questi anni fiorentini l’artista si dedica, attraverso l’elaborazione grafica, alla definizione di un tema che da allora gli sarà particolarmente congeniale: la Madonna con bambino. Il Sanzio si arricchisce man mano di nuove esperienze; oltre alle già sottolineate suggestioni leonardesche, si rifà alle nuove soluzioni di questo tema offerte da Michelangelo nel Tondo Doni sfociando in una complessità volumetrica delle figure, saldamente costruite e connesse fra loro. L’influenza michelangiolesca si coglie anche nell’ultima opera ideata a Firenze da Raffaello, la celebre Deposizione oggi alla Galleria Borghese, concepita inizialmente come un compianto su Cristo morto viene poi ricondotta a un trasporto di Cristo al sepolcro. In questi fogli Raffaello sembra allargare il suo orizzonte artistico: a differenza dei disegni del primo periodo umbro l’artista ora punta l’accento sull’effetto corale dell’insieme o di singole parti e si dedica molto meno allo studio di particolari come teste, mani o figure singole. Inoltre, negli studi per la Deposizione Raffaello indaga e approfondisce il ruolo sentimentale ed emotivo di ciascuna figura all’interno del contesto corale, con un’ottica ben più ampia delle precedenti opere fiorentine. Nel 1508 Raffaello si reca a Roma. Se elementi di classicismo erano già percepibili nei disegni del periodo fiorentino, l’incontro diretto con il mondo antico a Roma determina nell’artista un arricchimento profondo. Tramite la presentazione del Bramante Raffaello entrò a far parte della corte di papa Giulio II della Rovere. La prima grande impresa che vede occupato l’artista a Roma la realizzazione della Disputa dei Sacramenti, di cui numerosi sono i fogli preparatori, e inaugura qui un metodo di esercitazione grafica che diverrà caratteristica della cultura classica accademica: Raffaello studia dapprima le figure da modelli nudi per definire più esattamente l’anatomia e il senso del moto, e le riveste poi dei panneggi con i quali appaiono nel dipinto. In questi anni l’artista intuisce l’importanza della stampa per la diffusione della sua opera: a tale scopo elabora una composizione con la Strage degli Innocenti che affida a Marcantonio Raimondi perché venga tradotta su rame. In questo soggetto violento e patetico è evidente il richiamo al combattimento di nudi del Pollaiolo, o al cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo; ma nel nostro artista movimento e pathos vengono armonizzati in una versione che attesta sino a che punto Raffaello avesse assimilato la grande lezione del classicismo antico. Nell’anno 1511, quando Raffaello si accinge ad affrescare la Stanza di Eliodoro, si avverte nella sua opera un profondo cambiamento, che balza evidente nel confronto stilistico con la decorazione della stanza precedente. Alle giovanili acquisizioni fiorentine, l’artista aggiunge ora una concitazione drammatica, un dinamismo più vitale, un senso plastico delle forme e una sensibilità per il colore e la luce del tutto sconosciuta nelle opere anteriori. Le motivazioni di questo cambiamento si fanno risalire all’influenza esercitata sull’artista dal soffitto della Cappella Sistina di Michelangelo e all’incontro con la pittura di Sebastiano del Piombo, che gli aprì la strada alla ricchezza cromatica dell’arte veneta. I segni di questo mutamento si notano anche nella produzione grafica contemporanea: la linea non è più astratta e calligrafica, pur mantenendo la sua purezza si fa ora più fluida e pastosa, avvolge e crea la figura in una vigorosa volumetria che si impone dominatrice dello spazio circostante. Nel modello conservato agli Uffizi per la Liberazione di San Pietro, dipinta nelle stanze di Eliodoro, Raffaello risolve la problematica fondamentale dell’opera, quella luminosa, creando intorno alle figure un alone di chiaroscuro in cui i personaggi sviluppano la propria essenza cromatica. La produzione grafica di questo periodo è dunque caratterizzata dal chiaroscuro e da effetti cromatici. Sono questi gli anni della piena maturità di Raffaello, in cui realizza alcune delle sue opere più celebri, dalla Madonna Sistina e di Foligno agli ultimi affreschi nelle Stanze, ai cartoni per gli Arazzi vaticani. I disegni per tutte queste commissioni sono caratterizzati da un’armonia senza precedenti nella bellezza della linea, nella chiarezza strutturale della composizione esattamente equilibrata, e nell’unità pittorica e chiaroscurale cui si aggiunge un nuovo senso di monumentalità delle figure inserite nello spazio. In questi ultimi anni Raffaello ebbe importanti incarichi che lo costrinsero a valersi in misura sempre maggiore dell’aiuto degli allievi per la realizzazione delle sue opere. Oltre alle numerose commissioni per il pontefice e per il banchiere Agostino Chigi, egli progettò anche fabbriche architettoniche e dal 1515 fu nominato soprintendente alle antichità di Roma. Il suo intervento perciò si limitava spesso alla sola ideazione e alla supervisione delle imprese, mentre l’esecuzione era affidata alla sua frequentatissima bottega. Negli studi per le figure mitologiche della Favola di Amore e Psiche della Farnesina, Raffaello concretizza e raggiunge nel modo più completo il senso della bellezza classica del Rinascimento italiano: nelle composizioni ritmiche degli spicchi della volta, le forme tonde, piene di vita e di sentimento delle modelle femminili esprimono al massimo l’edonismo nella rievocazione del mito classico. Lo stesso stile pieno e maturo presentano gli studi per la Trasfigurazione, commissionata nel 1517 e lasciata incompiuta dal maestro morto nel 1520. Michelangelo e il disegno eroico Michelangelo Buonarroti, educato a Firenze negli ultimi anni del ‘400, partecipò prima della cultura neoplatonica imperante in quella crisi religiosa della riforma cattolica. Considerato ancora in vita il maestro dell’arte contemporanea, la sua instancabile applicazione grafica contribuì all’affermazione del primato del disegno. Attenendosi alla concezione espressa dai teorici fiorentini precedenti, Michelangelo definisce il disegno l’elemento prioritario di ogni espressione artistica, in quanto concretizzazione dell’idea che l’artista si è formato nella mente sulla base dello studio della natura. Nonostante che Michelangelo abbia fatto distruggere molti suoi fogli e cartoni, i numerosi disegni pervenutici sono tali da farci comprendere l’importanza che ebbe per l’artista il procedimento ampiamente studiato. Riprendendo una consuetudine delle botteghe fiorentine del ‘400, Michelangelo recupera attraverso il disegno le radici della tradizione monumentale toscana, copiando assiduamente gli affreschi di Giotto attestando l’importanza che il mondo classico ebbe nella sua formazione artistica. Ancora sulla scia della tradizione delle botteghe fiorentine il disegno ebbe sempre per Michelangelo una funzione strumentale. Molto rari sono nella sua produzione i modelli fini a sé stessi; quasi tutti i suoi fogli sono infatti studi preparatori per opere. Egli non ricercò mai valori estetici o decorativi nel disegno, ma i suoi fogli, soprattutto nel periodo giovanile, appaiono affollati di studi, utilizzati per schizzi relativi a duo o tre opere eseguite contemporaneamente; es. il foglio del Louvre con lo studio del David di bronzo eseguito nel 1501-03 per il Soderini, che reca anche lo studio per il braccio del David di marmo oggi alla Galleria dell’Accademia. Così, pur disponendo le figure sulla superficie del foglio in modo monumentale, affidava l’immagine alla penna o alla matita rossa o nera, rifiutando di ricorrere a effetti pittorici attraverso matite colorate o biacca ed esprimendo i suoi concetti nell’essenzialità scarna del mezzo tecnico. In perfetta antitesi con Leonardo, nei disegni del quale le figure sono immesse attraverso lo sfumato nel sottile effetto fenomenico della luce, Michelangelo evidenzia il contorno dei nudi alla ricerca della forma pura, che si staglia nettamente dallo sfondo senza alcuna caratterizzazione atmosferica o evidenzia il contrasto luce-ombra. Protagonista assoluto della grafica michelangiolesca è il corpo umano. Il cartone per la Battaglia di Cascina era la realizzazione grafica di Michelangelo in cui trionfava maggiormente il nudo. Commissionato nel 1503 dal gonfaloniere Pier Soderini per la sala del Consiglio di Palazzo Vecchio, doveva contrapposti alla Battaglia di Anghiari di Leonardo. In seguito al fallito esperimento tecnico leonardesco, anche Michelangelo abbandonò l’impresa; i due cartoni però furono a lungo esposti e copiati da giovani artisti e vennero poi smembrati. Dai numerosi disegni preparatori risulta che, in un primo momento, Michelangelo pensò di articolare la scena come uno scontro di cavalleria per poi rientrare nel campo del nudo. Il cartone raffigurava infatti i soldati fiorentini in atto di bagnarsi nell’Arno, e che si apprestano a rivestirsi per affrontare il nemico. Le pose statuarie di nudi tradiscono chiaramente la ripresa dall’antico e l’intera composizione appare ispirata al Pollaiolo e al Verrocchio. Attraverso l’elaborazione grafica è possibile ricostruire anche l’impresa più sofferta e mai realizzata da Michelangelo, che tenne occupata la mente dell’artista per 40 anni: la Tomba di Giulio II. Concepita inizialmente come un monumento trionfale grandioso riprendeva prototipi classici nell’unione di struttura architettonica e decorazione plastica. Nuovi incarichi assegnatigli dal committente, e la successiva morte fecero si che la concezione profondamente innovatrice della tomba di Giulio II venisse ridimensionata, e ridotta a un prospetto appoggiato al muro nella chiesa di San Pietro in Vincoli. Già nel 1508 infatti lo stesso Giulio II affidava a Michelangelo un nuovo incarico: la decorazione della volta della Cappella Sistina. L’artista eseguì in un primo momento numerosi studi d’insieme, cartoni e disegni, dai quali emerge il carattere plastico dinamico della decorazione. Le forme del corpo, generalmente più possenti e grandiose di quelle del periodo giovanile, sono evidenziate da un contorno accentuato a carboncino o a sanguigna, che sottolinea nella torsione dei busti il senso plastico del movimento. A differenza di Leonardo, Michelangelo utilizza la luce in senso scultoreo facendone risaltare il senso di moto e di forza ma isolandole dallo spazio intorno. Nei disegni della maturità, che coincidono con gli studi per la vasta impresa della Cappella Medicea (1520- 34), Michelangelo muta profondamente il suo stile. Egli attenua l’incisività del segno grafico, abbandona il tratteggio incrociato a penna e arriva a delineare il corpo umano con effetti di morbidezza attraverso un fittissimo sfumato. La sua ottica si amplia: al singolo studio del nudo succede ora una visione d’insieme dove le figure si inseriscono in un caotico affollamento nello spazio indeterminato, intuito e aperto verso all’infinito. A questo periodo risalgono gli studi di teste femminili, che il Vasari chiamò “teste divine”, di cui uno splendido esempio è la testa preparatoria per la Leda e il cigno agli Uffizi, un’opera perduta dove il segno apertamente classicista definisce con forza e insieme delicatezza il modellato del volto. In questo il periodo dell’attività grafica michelangiolesca, una parentesi significativa è costituita dai disegni che il maturo artista fece tra il 1532 e 1533 per il giovane Tommaso Cavalieri. Per la prima volta, Michelangelo esegue disegni fini a sé stessi, se lo stile di questi fogli è caratterizzato sempre dalla morbidezza del modellato, i soggetti presi a prestito dalla mitologia determinano un segno più oggettivo e classicheggiante. I temi di questi fogli sono Ganimede, la Caduta di Fetonte, gli Arcieri e un Baccanale di putti. L’ultimo periodo dell’attività di Michelangelo testimonia una profonda religiosità: conquistato dalle idee della Riforma cattolica, l’artista subisce un profondo mutamento nel suo linguaggio figurativo che lo porta ad abbandonare ogni ricerca di bellezza corporea, per giungere a esprimere solo la spiritualità interiore. Fondamentale per tale mutamento fu l’incontro nel 1536 con Vittoria Colonna, per lei Michelangelo eseguì numerosi disegni tutti di soggetto religioso. In questi fogli, eseguiti per pura meditazione spirituale, l’artista tralascia i dettagli e traduce con uno stile sommario i trattati essenziali della composizione. Questo processo di impoverimento formale si verifica anche nella sua produzione pittorica e in quella scultorea. Il soggetto del dramma religioso torna anche negli ultimi disegni di Michelangelo, tutti eseguiti a matita nera, con tratto sommario e quasi incerti nel segno, in cui le forme perdono il senso plastico e si rarefanno in immagini sfumate, corrose e larvali. L’artista crea come un alone luminoso intorno alle figure, che sembrano illuminare dal di dentro e rimangono sospese nello spazio indeterminato. La critica ha sottolineato più volte la modernità dell’ultimo linguaggio espressivo michelangiolesco che, partito da una concezione plastico-dinamica del nudo ed erede della cultura quattrocentesca fiorentina, arriva a una visione soggettiva della realtà più interiore, anticipando in modo sconvolgente il mondo espressivo di artisti seicenteschi o addirittura ottocenteschi. Il disegno veneto del ‘400 e ‘500 Lo studio e l’apprezzamento dei disegni veneti del ‘400 e del ‘500 hanno subito in qualche modo le conseguenze del giudizio negativo espresso dal Vasari sugli artisti veneziani in genere e su Giorgione e Tiziano in particolare che celavano sotto la “vaghezza de’ colori lo stento del non saper disegnare”. Condizionato dalla grande considerazione che godeva a Firenze il disegno il Vasari non poteva comprendere schematizzazione delle forme, accentuate da un sottile modellato, e nel ruolo dominante del contorno. La solitudine intellettuale dell’artista lo portano a cercare nelle stampe di Dürer un’altra fonte di ispirazione più profonda e interiorizzata. A un’analoga versione soggettiva e deformata della realtà giunge il senese Domenico Beccafumi, che nel disegno rivela le sue preoccupazioni luministiche. L’emulazione di Michelangelo fu una caratteristica dell’opera dello scultore Baccio Bandinelli, il suo stile classico neoellenistico nasce dalla scultura giovanile di Michelangelo, che egli copia cercando di avvicinarsi all’originale attraverso un caratteristico segno a penna largo e ampiamente tratteggiato. L’influenza di questa “maniera” fu tale che intorno alla metà del ‘500 a Firenze si nota il proliferare di disegni di scultori, fenomeno del tutto nuovo nel panorama artistico italiano, dove l’elaborazione grafica appare piuttosto legata alla pittura. Alla prima fase di astrazione intellettuale, di soggettiva interiorizzazione e di eccitazione fantastica tipica del Rosso, di Pontormo e di Beccafumi, segue nella generazione successiva degli artisti toscani un mutamento di stile che si basa sulla ricchezza dell’invenzione per produrre un’arte piena di fantasia, densa di contenuti simbolici e allegorici, in cui si riassume figurativamente la cultura raffinata del Rinascimento italiano. Preoccupati di esprimersi nel disegno attraverso una “maniera grande”, gli artisti fiorentini della seconda metà del ‘500 vengono codificando precise regole artistiche, basate sulla simmetria, sul contrapposto e su effetti compositivi, e soluzioni plastiche per lo più di derivazione michelangiolesca. Superata ormai la distinzione fra arti maggiori e minori, il disegno diventa ora un elemento di coesione fra i vari aspetti dell’attività artistica, l’esempio viene dato ancora una volta dai grandi del Rinascimento italiano: Raffaello aveva eseguito cartoni per arazzi, Giulio Romano ideava progetti per vasellame e argenti, Michelangelo aveva lasciato studi per maschere. I pittori fiorentini si spingono ancora più avanti in questa direzione e l’esempio più celebre è la sistemazione di Palazzo Vecchio da parte di Cosimo I, iniziata intorno al quarto decennio del secolo e che coinvolge tutti gli artisti di quella generazione. Gli stravaganti progetti di oreficeria realizzati da Francesco Salviati, dal Vasari e da molti altri, riflettono l’eleganza e il gusto della clientela cortigiana. Il pittore ufficiale della corte medicea è Agnolo Bronzino che esprime negli studi per arazzi e in quelli per la decorazione a fresco della cappella di Eleonora di Toledo in Palazzo Vecchio la concezione intellettualistica ripresa dal Pontormo. Nei suoi nudi il contorno gelido della matita nera accentua eccessivamente l’effetto plastico riducendo la figura umana a un astratto arabesco decorativo. L’artista che meglio riassume nella sua opera grafica l’elegante eclettismo del Manierismo fiorentino è Francesco Salviati, il quale ebbe modo di allargare il suo orizzonte nei viaggi a Roma, dove conobbe gli allievi di Raffaello, e a Venezia dove fu attratto dal pittoricismo della grafica del Parmigianino. Nei suoi raffinati disegni affiorano queste due componenti, unite a una forte adesione alla monumentalità michelangiolesca, alla linea serpentina e al contrapporsi delle figure. Il protagonista della vita artistica e culturale di Firenze in quegli anni è Giorgio Vasari, la cui fama è soprattutto legata alle Vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori e Architetti , dove in molte occasioni egli professa ufficialmente la teoria del disegno inteso come fondamento di ogni espressione artistica. Le affermazioni di Vasari ebbero vasto eco nel panorama artistico italiano della seconda metà del secolo, e un’evidente ripercussione nell’evoluzione del disegno. Vasari mette in pratica i suoi stessi insegnamenti realizzando una vastissima produzione grafica con uno stile eminentemente decorativo, e infatti il punto più alto nel disegno l’artista lo raggiunge nei progetti per la decorazione di Palazzo Vecchio. Il Vasari è anche il primo grande collezionista di grafica: il suo celebre Libro de’ Disegni raccoglieva fogli di artisti dall’epoca di Giotto sino ai suoi contemporanei. I pittori fiorentini della generazione seguente sono profondamente influenzati dallo stile grafico del Vasari. In quegli anni l’orizzonte culturale fiorentino si viene arricchendo di altre componenti, tra cui la più rilevante è l’influenza del Naturalismo nordico, importata dal fiammingo Joannes van der Straadt, italianizzato in Stradano, e più tardi dal veronese Jacopo Ligozzi. Le esigenze naturalistiche vengono inoltre propugnate negli ultimi decenni del ‘500 dalle richieste della Chiesa controriformata che valorizzava un’arte meno intellettuale e sofisticata, comprensibile a un più ampio pubblico. Questo nuovo indirizzo implica un vasto mutamento culturale che segna un lento estinguersi del tardo Manierismo a Firenze. Correggio e il Manierismo emiliano La raffinata cultura classicheggiante delle piccole corti dell’Emilia nel primo ‘500 è alla base dello stile originalissimo del pittore parmese Antonio Allegri da Correggio. Se pure l’artista non fu un cosi prolifico disegnatore le profonde innovazioni stilistiche del suo linguaggio si colgono chiare anche nei pochi fogli pervenutici: la passione per l’arte di Leonardo, e la comprensione della “grazia” di Raffaello sono alla base degli effetti atmosferici e sensuali nonché del senso della luce e del colore che caratterizzano le sue figure. La tecnica prediletta del Correggio è la sanguigna, talvolta fortemente acquerellata e ripassata a penna, appena lumeggiata a biacca. L’elemento coloristico appare evidente nei disegni dell’artista e nella produzione emiliana che a lui si ispira: le fonti tra l0altro parlano del Correggio come iniziatore della grafica dell’uso dei gessetti colorati o pastelli. Sebbene non ci restino fogli dell’artista eseguiti con questa tecnica coloristica, va sottolineato il fatto che il disegno per l’artista non è considerato fine a sé stesso, ma sempre preparatorio: è probabile che a ciò si debba la dispersione della sua attività grafica. Se il Correggio utilizza il disegno come propedeutico a un’opera, Francesco Mazzola detto il Parmigianino concepisce invece il disegno come sperimentazione fine a sé stessa, e la sua attività grafica supera di gran lunga quella pittorica. Partito dallo studio del Correggio, l’artista si avvia ben presto verso soluzioni personalissime. Disegnatore nato, egli dà il meglio di sé nell’attività grafica, dando vita a raffinatissimi virtuosismi tecnici: attraverso la sperimentazione della penna giunge a creare ritmi lineari di grande fluidità; con i suoi chiaroscuri fortemente macchiati e lumeggiati a biacca raggiunge effetti di pittoricismo a lungo imitati dagli artisti contemporanei; e infine, con la sanguigna, arriva a risultati di morbidezza epidermica raffinatissimi. Il viaggio a Roma nel 1524 gli offre l'occasione di conoscere Raffaello e Michelangelo, e di cogliere nelle opere dei due maestri importanti suggestioni, gli elaborati e poi dalla sua fervida fantasia in modo assai personale. Tornato in patria dopo il sacco di Roma l'artista si dedica con accanimento al disegno, sperimentando senza sosta le possibilità di varie tecniche. In questi anni l'artista si dedica anche all’incisione con la tecnica libera dell'acquaforte: nei suoi lievi schizzi a penna OA sanguigna, preparatori per la traduzione su rame, traspare una nuova sottigliezza inquietante e un’eleganza aristocratica nelle figure inverosimilmente allungate, come a voler negare la divina proporzione raffaellesca. Anche l'ultima fatica del Parmigianino, la decorazione della chiesa della Steccata nella sua città natale, è accompagnata da un incessante attività grafica. Negli studi per le sofisticate figure femminili che sorreggono anfore, le donne si fondono con i particolari decorativi raggiungendo nella Suprema estrazione della forma nello spazio il momento più irreale del Manierismo italiano. Lo stile eminentemente grafico del Parmigianino riscuote subito gran successo nel mondo emiliano, e ben presto echi del suo linearismo elegante si riscontrano nella grafica degli artisti di tutta l'Italia. A Bologna l'influenza dell'artista trova forse la sua massima fortuna, nell’adesione piena tributatagli da artisti quali Francesco Primaticcio e Nicolò dell’Abate. la formazione del Primaticcio a luogo tra Bologna e Mantova, Nel 1532 è già in Francia, intendo a progettare gli stucchi, dipinti, decorazione e arazzi per la corte di Francesco I. lo stile del Primaticcio in questo periodo presente nella schematizzazione intellettuale della forma della vicinanza del Rosso, Artista più dotato, ma conserva pur sempre l'eleganza del Parmigianino e un interesse per la prospettiva di sotto-in-su da collegare agli esperimenti illusionistici del Correggio nonché ai soffitti con forti scorci di Giulio romano a Mantova. Le stesse componenti culturali sì colgono nell’opera grafica del bolognese Nicolò dell'abate, chiamato nel 1552 anche lui a Fontainebleau da Enrico II. Imitando in modo più corrente lo stile grafico del Parmigianino, Niccolò usa tecniche molto sofisticate, impreziosisce i suoi fogli con lumeggiature a biacca, illustra soggetti eroici o mitologici e paesaggi fantastici tutti Contraddistinti da un’eleganza formale che contribuisce a creare uno stile di corte aulico e aristocratico. Importanza dell'arte del Primaticcio e di Nicolò dell’Abate consiste nell’aver dato origine, insieme al Rosso alla cosiddetta scuola di Fontainebleau, improntata a uno stile di grande fascino decorativo che trae origine dal Manierismo italiano, e che è alla base dello sviluppo dell’arte francese della seconda metà del XVI secolo. Tornando al panorama artistico emiliano, intorno alla metà del secolo si viene a costituire a Bologna un nucleo di artisti che subiscono più o meno l’influenza del Correggio e del Parmigianino, anche se ormai l’attrazione esercitata da Roma con le opere di Raffaello e Michelangelo diventa sempre più forte rispetto a quella di Parma. Il Manierismo a Roma Nei primi decenni del ‘500 Roma diventa la capitale artistica del Rinascimento italiano, succedendo a Firenze. Si può dire che è impossibile dare una definizione di “scuola romana”, caratterizzata com'è dall’eclettismo che dalla convivenza di linguaggi artistici di varia estrazione. Le personalità attive in quegli anni nella città provengono da molti luoghi. Le componenti essenziali che danno a Roma un ruolo primario a partire dal secondo decennio del secolo sono sia l'arte classica che la presenza di Michelangelo e Raffaello intenti a decorare la Sistina e le stanze del Vaticano. I due artisti venivano elaborando in queste opere un'inesauribile fonte di motivi formali virgola cui si allacceranno gli artisti di due generazioni successive. Negli ultimi anni di vita Raffaello lavora a stretto contatto con i suoi discepoli e la maturità di stile con cui esordiscono Giulio romano, Giovan Francesco Penni, Perino del Vaga, Polidoro e altri esponenti del primo manierismo romano usciti dalla sua scuola, dimostra come il maestro rispettasse le individualità dei suoi seguaci. Alla morte di Raffaello, Giulio romano terminò gli affreschi della sala di Costantino: la sua influenza sul manierismo romano è però ridotta perché nel 1524 si trasferì alla Corte di Mantova. Qui lo spirito vigoroso delle sue composizioni e il marcato espressionismo realistico delle fisionomie ancora raffaellesche avranno invece ripercussioni nel Veneto e in particolare a Verona, dove viene ripreso il caratteristico linearismo arabescato dei suoi disegni penna. Meno originale di Giulio, Giovan Francesco Penni si attiene nella sua opera grafica al classicismo raffaellesco, addolcendolo in modo un po' stucchevole con effetti luministici. Tra gli allievi di Raffaello Polidoro da Caravaggio è senza dubbio l'interprete più originale del mondo classico: l'artista si specializza nella decorazione di fregi monocromi ad affresco nelle facciate dei palazzi romani. Influenza esercitata da Polidoro con queste composizioni eroiche nella grafica dei secoli successivi è notevolissima: già nella seconda metà del XVI secolo i suoi fregi venivano copiati con accanito fervore. Se sono rari i disegni di Polidoro per queste composizioni, sono più numerosi i suoi vibranti studi di paesaggio ricchi di spunti luministici desunti dalla pittura nordica e fiamminga. Più eminentemente decorativo e lo stile grafico di un altro allievo, Perino del Vaga: fiorentino di nascita, si inserisce a Roma nell’orbita del maestro, dal cui linguaggio sviluppa uno stile fluente estremamente ricercato. Il discorso facile e lineare dell’artista è molto importante per la diffusione del raffaellismo fuori Roma, tanto da costituire un punto di riferimento essenziale nella formazione dei giovani artisti della generazione successiva. A Roma in quegli anni erano affluiti i massimi esponenti del primo Manierismo italiano, come Rosso, Parmigianino e Peruzzi: nel 1527, dopo il Sacco, essi fuggono nelle rispettive città di origine e con loro portano Perin del Vaga alla volta di Genova e Polidoro verso Messina, portatori in tutta Italia del linguaggio raffaellesco. Nel volgere di un decennio la tendenza colta si trasforma però nel clima rigidamente intellettuale voluto dalla Controriforma. Il prototipo cui si rifanno artisti come Sebastiano del Piombo, Marcello Venusi, Girolamo Siciolante da Sermoneta o Pellegrino Tibaldi, tutti attivi a Roma intorno al quarto-quinto decennio del secolo, è piuttosto Michelangelo che non Raffaello. Abbandonato il morbido pittoricismo veneto, Sebastiano del Piombo si orienta in questi anni nel disegno verso un classicismo asciutto e austero nelle forme. Dal mondo figurativo dello scultore fiorentino Pellegrino Tibaldi deriva invece il gigantismo e la terribilità delle sue figure, anche se i motivi realistici e fantastici insieme alle grottesche e animali, che decorano vari complessi, si rifanno al repertorio abusato del raffaellismo più corrente. La caratteristica più tipica del Manierismo italiano è che gli artisti si impadroniscono del linguaggio formale di Raffello e Michelangelo, ma lo utilizzano per esprimere contenuti del tutto alieni da quelli originali. Attorno alla metà del secolo si assiste a un nuovo indirizzo della “maniera romana” promosso da Taddeo Zuccari. Artista eclettico e dotato di una grande capacità di sintesi, egli torna a ispirarsi direttamente a Raffello, attuando una sorta di “contromanierismo” volto verso una direzione più classica e armoniosa. La grande diffusione che lo zuccarismo ha nella seconda metà del secolo in Italia si deve all’opera di divulgazione della fortunata formula neoraffaellesca di Taddeo da parte del fratello Federico Zuccari, che esercita a Roma una posizione d’egemonia culturale analoga a quella svolta da Vasari a Firenze. Abile disegnatore, anch’egli come Vasari scrive saggi dove teorizza l’importanza del disegno e nel 1593 è il principale promotore della fondazione della romana Accademia di San Luca. L’opera più interessante cui collaborano i due fratelli Zuccari è la decorazione a fresco della Villa Farnese a Caprarola. In quest’impresa sono attivi anche numerosi altri artisti provenienti da altre parti d’Italia come Raffaellino da Reggio, Antonio Tempesta, Matteo Brill e molti altri, che contribuiscono a definire quel particolare linguaggio del Manierismo internazionale eminentemente eclettico. A questo stile più moderno mostrano di aderire i numerosi artisti accorsi da ogni parte d’Italia per lavorare nelle grandi imprese decorative promosse dai pontefici Gregorio XIII, Sisto V e Clemente VIII. Di esse ci restano numerosi disegni, come studi di decorazioni a grottesche per opere in palazzi, soggetti religiosi da realizzarsi in chiese e in conventi o studi accademici di figure, tutti improntati a uno stile molto omogeneo, che rende molto difficile la distinzione critica delle mani dei vari artisti. Da questa folta schiera emergono le figure di Cavalier d’Arpino concetto di disegno torna in un certo senso su posizioni teoriche tradizionali. Per Raphael Mengs il disegno perfetto è quello che si ispira alla natura, ma scegliendo e correggendo. Pratica artistica e insegnamento accademico Come sul piano teorico anche su quello pratico non vi sono dopo il ‘500, e sino all’introduzione della matita Conté alla fine del ‘700, importanti innovazioni. Si disegna soprattutto a sanguigna e carboncino, o a penna e inchiostro, su carte bianche o preparate, a volte con procedimenti originali dovuti all’estro personale di qualche artista; È il caso di Luca Giordano. Dal punto di vista della pratica artistica gli aspetti più interessanti dell’attività grafica di questi secoli sono certamente la varietà dei campi di applicazione del disegno e il progressivo distacco che si viene a stabilire tra metodo di insegnamento ed esercizio dell’arte. L’insegnamento impartito nell’Accademia si basa sulla ripresa dei modelli di studio o di opere dei grandi maestri e ha per soggetto quasi esclusivo la figura umana nuda. Per facilitare l'apprendimento entrano in uso anche appositi manuali. Nuovi generi Fuori dall'Accademia, la produzione grafica legata all'attività professionale si dirama nei più diversi settori e nei nuovi generi dal paesaggio, del ritratto, della caricatura, della scenografia, del disegno scientifico e dell’illustrazione libraria. Vastissima è la produzione grafica del campo delle arti decorative e applicate. Nell'ambito dell'attività pittorica si possono distinguere due diverse tendenze: quella del disegno di “fantasia”, che ha la sua più libera espressione nel capriccio, e quella del disegno per così dire di osservazione. A quest'ultimo appartengono gli appunti grafici sempre più frequenti nei taccuini di viaggio, non solo degli artisti ma anche degli studiosi di Scienze naturali, degli esploratori e dei geografi. E non si tratta in genere di disegni dilettanteschi, poiché in questo periodo l'apprendimento del disegno fa parte della formazione e del bagaglio culturale dell'uomo di lettere o di scienza. A questo genere di documentazione grafica si possono avvicinare anche le copie di pitture e sculture antiche, eseguite a partire dalla fine del ‘700 per la traduzione a stampa di raccolte iconografiche d'arte italiana. Particolarmente interessante, a questo proposito, l’opera del pittore olandese Humbert De Superville straordinario disegnatore soprannominato Giottino. I disegni da lui eseguiti negli ultimi due decenni del ‘700 riprendono in modo così fedele lo stile dell'originale pittorico da costituire non più soltanto una documentazione iconografica, ma uno strumento di indagine critica. Queste tendenze sono connesse con due importanti fenomeni che andranno a caratterizzare la produzione grafica dell'Ottocento. Il primo riguarderà il passaggio dalla tradizionale fonte d'ispirazione, il mondo classico, alla ripresa di forme e contenuti dell’arte e della letteratura tardomedievali. Il secondo fenomeno, anch’esso già in atto in periodo neoclassico sarà lo sviluppo della grafica illustrativa, cui si applicano grandi artisti disegnatori come Flaxman. 5. Il disegno nell’Otto e Novecento Sia l’artista neoclassico che l’artista romantico affidano spesso le loro nuove idee artistiche alla semplice espressione grafica. Entrambi d’altronde partono dalle stesse premesse, il rifiuto del freddo studio accademico, ed entrambi proseguono una forma grafica lineare ed essenziale, che approderà al disegno purista. Il conflitto tra disegno corretto e disegno espressivo nasce tuttavia all’interno dello stesso movimento romantico. Si ripropone quindi anche in questo periodo l’opposizione tra il disegno preciso, obiettivo e finito, e il disegno libero, “pittoresco”. Per un artista come Ingres “il disegno comprende tutto, eccetto il colore”, “il disegno comprende tre quarti e mezzo della pittura”. All’opposto pittori come Géricault e Delacroix cercano l’effetto pittorico già nel bozzetto. Queste due posizioni sono ben illustrate nella distinzione che fa Charles Baudelaire tra “disegno dei disegnatori” e “disegno dei coloristi”. Sarà il disegno libero, pittoresco e a schizzi spesso acquerellati, usato dai paesisti inglesi e francesi, a prevalere e a preparare il terreno all’avvento dell’Impressionismo. La storia del disegno nell’800 è infatti caratterizzata da questa duplice tendenza, da un lato, all’arricchimento e affinamento della tecnica grafica, dall’altro, al progressivo svuotamento della funzione costruttiva e compositiva del disegno; quest’ultimo fenomeno è provocato dalla reazione all’insegnamento accademico, e conduce alla pittura senza disegno degli Impressionisti. Va tuttavia considerato che innanzitutto gli stessi Impressionisti non erano affatto alieni alla pratica del disegno e che in secondo luogo, in altri ambienti, analoghe premesse sortiscono esiti molto diversi. È il caso della vicenda italiana della pittura macchiaiola che, a differenza di quella degli Impressionisti, è plastico-volumetrico-lineare e il disegno conserva una funzione determinante. Il maggior pittore macchiaiolo, Giovanni Fattori, è uno dei più forti disegnatori italiani dell’800. Ma anche in Francia il disinteresse per l’attività grafica viene presto superato da artisti che recuperano la funzione strutturale del disegno, come Degas e Cezanne, o il suo ruolo di delineazione di contorni, come Gauguin e Toulouse- Lautrec. È il disegno di Cezanne ad aprire nuove prospettive all’arte del ‘900 e ad esercitare un’influenza determinante sulle maggiori personalità artistiche dei primi anni del secolo. Molte delle vicende della produzione grafica dell’800 e del primo ‘900 sono da porre in rapporto con l’altra grande invenzione tecnica che invade in questi anni il mondo della cultura figurativa, quella della fotografia. È infatti l’impatto dell’espressione artistica con la ripresa fotografica che pone in crisi la forma di rappresentazione mimetica naturalistica. La diffusione della fotografia esercita una grande influenza in una duplice direzione: da una parte sull’abbandono di ogni forma di ripresa fedele e oggettiva della realtà, e dall’altra un’assunzione e un’utilizzazione del prodotto fotografico come modello di studio o come supporto grafico per la stesura cromatica. Si può far risalire al tempo del Vasari, se si vuole, l’interesse critico per il disegno, cosi come al ‘600 lo sviluppo del collezionismo e al ‘700 i primi tentativi di ordinamento delle raccolte. È tuttavia a partire dall’800 che i disegni ormai entrati nei musei ed esposti in mostre divengono oggetto di studio e di indagine filologica da parte di artisti e storici dell’arte anche se raramente tale ricerca verrà intesa come un’approfondita analisi critica del valore estetico del “documento grafico”. Sulle orme del Baldinucci, del Resta e del Mariette, W. Young Ottley pubblica nel 1823 la sua raccolta di disegni di scuola italiana, con riproduzioni a stampa, notizie biografiche sugli autori e commento alle opere. Nel 1891-92 F. Wickhoff pubblica il suo esemplare catalogo dei disegni italiani dell’Albertina di Vienna, in cui affronta il problema delle attribuzioni. Egli sostiene che non può essere considerato falso un disegno soltanto perché viene erroneamente attribuito a un grande maestro; anche un disegno autonomo, ma che rechi l’impronta di una personalità, sia pur minore, è un’opera originale. Falsa è soltanto la copia e l’imitazione spersonalizzata. Sulla qualità estetica fonda il suo criterio attributivo Bernard Berenson, che pubblica nel 1903, il suo fondamentale catalogo ragionato dei disegni dei pittori fiorentini. In una successiva opera il Berenson illustra il suo concetto di “linea funzionale” in rapporto al movimento, che caratterizza ogni “buon disegno”. I problemi teorici e metodologici dello studio del disegno hanno invece impegnato altri studiosi tedeschi, come B. Degenhart, che nel saggio sulla Grafologia del disegno individua nei particolari grafici, nella “scrittura” del disegno, alcune costanti ricorrenti nell’ambito di una scuola regionale, e persino di aree geografiche, riscontrabili a suo avviso anche in prodotti di epoche diverse. Nel 1947 L. Grassi pubblica la sua Storia del Disegno, che ripercorre la discussione sulle problematiche teoriche del disegno dal Rinascimento, e apre nuove prospettive alla indagine critica in questo difficile campo di studio. Pioniere degli studi sul disegno in Italia e raro conoscitore, Grassi ha poi condotto sistematici lavori sui disegni del ‘300/400 e fornito una serie di altri notevoli contributi per la ricostruzione dell’attività grafica di molti maestri. 6. I centri, le scuole, gli artisti Il disegno del ‘600 a Firenze Sulla scia della grande tradizione quattro-cinquecentesca, nel XVII secolo il disegno vive a Firenze la sua ultima stagione felice. A partire dagli ultimi decenni del ‘500 gli artisti toscani si dedicano al disegno con un accanimento e un impegno difficilmente eguagliati in altre regioni d’Italia, raggiungendo spesso nella grafica risultati ben più alti che nella realizzazione pittorica. Una trattazione della grafica fiorentina del ‘600 deve necessariamente prendere l’avvio dalla riforma attuata da Santi di Tito intorno al 1570 in reazione al Manierismo imperante e in analogia con quanto avverrà a Bologna un decennio più tardi. Prolifico disegnatore Tito fonda la sua reazione sul disegno e sul recupero della tradizione toscana del ‘400 e del primo ‘500 abbandona le esasperazioni manieristiche per recuperare la simmetria, l’equilibrio e la compostezza compositiva. L’importanza di Tito è dovuta al fatto che i suoi principi venivano a coincidere con le richieste della Controriforma. All’esempio di Tito si uniforma la folta schiera di allieva, disegnatori accaniti e la cui attività si estende già nel ‘600: sono Agostino Ciampelli, Gregorio Pagani e il più dotato Andrea Boscoli. Quasi tutti gli artisti fiorentini attivi tra gli ultimi decenni nel secolo XVI e i primi del successivo partecipano di questo nuovo clima instaurato da Tito, in perfetta adesione con le nuove idee controriformistiche. Bernardo Poccetti ad esempio, brillante disegnatore, si riallaccia alla poetica narrativa di Andrea del Sarto nella formulazione di un linguaggio semplice e comprensivo. Anche a Siena in quegli stessi anni si assiste a un grande rinnovamento di chiese e conventi, dettato dalla Controriforma, che porta al fiorire di una ricca produzione grafica preparatoria per l’opera pittorica. Francesco Vanni, Ventura Salimbeni e altri si ispirano al tardo Manierismo tosco-romano e soprattutto al Barocci. Il tentativo di arricchire il disegno toscano del colorismo veneto, tentato da Domenico Cresti detto il Passignano ha una ripercussione più valida nel campo del disegno che non nella pittura. Ben altro respiro ha la grafica di Ludovico Cardi detto il Cigoli, il più elegante disegnatore fiorentino di questo periodo. Uno stile grafico del tutto nuovo in area toscana, in cui il luminismo veneto viene ad intaccare il rigido impianto disegnativo fiorentino, aprendo la strada a una morbidezza cromatica già seicentesca. Se le ultime scelte del Cingoli, morto a Roma nel 1613, in direzione caraccesca rimangono senza seguito, il suo stile grafico farà da scuola alla prima generazione di artisti fiorentini seicenteschi. Una profonda traccia nella grafica fiorentina di quegli anni lascia la presenza dell’incisore francese Jacques Callot, noto per le sue composizioni fantastiche e per le sue lambiccate figurine eredi del Manierismo internazionale. Del Callot sembra risentire anche Matteo Rosselli, abile disegnatore dotato di grande capacità accademica, ma che mostra i limiti della tradizione disegnativa fiorentina chiusa nelle strette maglie della linea. Merito del Rosselli è di aver formato nella sua scuola gli ingegni più fervidi del ‘600 fiorentino: oltre probabilmente a Giovanni da San Giovanni, ancora da studiare sotto il profilo grafico sono il Vignali, Furini e Cecco Bravo. L’indiscussa qualità della grafica di Francesco Furini affonda le radici in una consumata applicazione al disegno e nella conoscenza della pittura veneta del Correggio. I risultati sono tra le pagine più intense della grafica italiana del ‘600, profondamente interiorizzate e rese con una finezza esecutiva e con una sapienza del mezzo tecnico, che fonde con estremo equilibrio il naturalismo dei tratti, l’idealizzazione del volto ispirato al classicismo e una morbosa sensualità. I personalissimi disegni a sanguigna di Francesco Montelatici, detto Cecco Bravo, si rifanno alle scene visionarie dei primi manieristi toscani differenziandosi completamente dallo sviluppo più accademizzante della grafica toscana del periodo. Un vero temperamento grafico ha Stefano della Bella, brillante artista che si dedica quasi esclusivamente al disegno e all’incisione. Egli approda nella sua maturità a una modernissima maniera personale; caratterizzata da un segno filante e aggrovigliato della penna, sottolineato da ombre trasparenti con tenue acquerello grigio. Negli ultimi anni della sua produzione il segno di Stefano si fa più limpido, e i suoi disegni acquistano una maggiore sensibilità atmosferica per l’influenza della pittura barocca cortonesca vista a Roma. Sebbene recepita solo in parte, la presenza di Pietro da Cortona e del suo allievo Ciro Ferri, segna una svolta nella cultura fiorentina del tempo. Artisti, quali Vincenzo e Pier Dandini, Anton Domenico Gabbiani e soprattutto Baldassarre Franceschini detto il Volterrano, sentono la nuova ventata delle esperienze barocche e modificano il loro linguaggio artistico, chiuso entro i limiti del disegno tosano, a favore di una linea franta, spezzata e aggrovigliata, che costruisce la composizione in un turbinìo di volumi concentrici. Il disegno sei-settecentesco a Bologna Il rifiuto del dominante linguaggio convenzionale vasariano e zuccaresco, e la ricerca di uno stile alternativo spinge Ludovico, Agostino e Annibale Carracci a una verifica sul reale, non solo in quanto ripresa di spunti tratti dalla vita quotidiana ma anche perché studiano ogni particolare riprendendolo direttamente dal modello vero. All’osservazione diretta della realtà i Carracci affiancano uno studio approfondito dei grandi maestri del Rinascimento, dove il colorismo di Tiziano, Veronese e Tintoretto e il senso atmosferico basato sul movimento della luce di Correggio acquistano per la prima volta un rilievo pari all’opera di Raffaello e Michelangelo. Per conoscere, studiare e copiare le opere di questi artisti Ludovico intraprende il suo celebre “studioso corso” a Parma, Mantova, Venezia e in Toscana. Tornato a Bologna, fonda nel 1582 con i due cugini l’Accademia degli Incamminati, nel cui ambito il disegno assume un ruolo preciso e fondamentale perché diventa un mezzo di espressione basilare tanto per lo studio dell’arte del passato quanto per la ripresa del reale. Nella prima grande fatica che i tre cugini intraprendono insieme, la decorazione dei fregi di Palazzo Fava e Palazzo Magnani a Bologna, si viene delineando con sempre maggiore chiarezza l’incidenza teorica dell’importanza del disegno nella genesi di un’opera d’arte. Formulando uno schizzo complessivo a penna e poi studiando a parte da modelli veri le figure, essi si composizioni grafiche. Dallo stile più tardo del Cortona prendono l’avvio Ciro Ferri e Lazzaro Baldi, disegnatori accaniti e autori di schizzi a penna sommari e frettolosi. L’importanza di questi ultimi sta nell’essere i responsabili della diffusione dello stile grafico del Cortona tanto a Roma nelle loro frequentate botteghe, quanto a Firenze dove il Ferri tenne una sorta di Accademia. Più indipendenti degli artisti soprannominati sono i due fratelli Giacomo e Guglielmo Courtois, italianizzati in Cortese e soprannominati Borgognoni. Il primo di questi, rimasto sempre legato ai modi della cultura nordica e francese, è noto per aver eseguito quasi esclusivamente soggetti di battaglie. Guglielmo Cortese segue invece più da vicino le orme del Cortona, distinguendosi però dagli altri allievi del maestro per una maggior apertura verso le novità del suo tempo. Insieme al Cortona, Gian Lorenzo Bernini è il protagonista principale del Barocco romano. Grande disegnatore, egli affida al mezzo grafico tutta la vitalità del suo ingegno. Con pochi tratti concisi egli riesce a fissare sulla carta la sua idea, con chiarezza e una forza espressiva raramente raggiunta sa altri artisti nella sua epoca. La qualità più evidente dei suoi disegni, dichiaratamente antiaccademici, è la luminosità di ascendenza neoveneta che, pur definendo la massa scultorea, ne evidenzia al massimo il movimento nello spazio. Nei ritratti e negli studi di figure appaiono più evidenti i rapporti con la cultura romana contemporanea. Negli schizzi a penna, invece. Si coglie evidente la mobilità del su segni, volto a rendere una luminosa spazialità atmosferica. Negli ultimi anni dell’attività grafica del Bernini il nervosismo del tratto si stempera ammorbidendosi in un segno più sfumato che, avvalendosi dell’uso del carboncino nero, dà evidenzia plastica alle figure e ai particolari privilegiata dall’artista lasciando indeterminato il resto della composizione. I disegni di Bernini sono tanto più rilevanti perché sono molto scarsi i fogli attribuiti a scultori nel ricco panorama della grafica italiana a partire dal XV secolo sino a tutto il XVIII. L’artista che maggiormente riprende la grafica del Bernini è il pittore genovese Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio, approdato a Roma nel 1637 con il suo bagaglio di cultura fiamminga ed entrato ben presto a far parte dell’equipe del grande maestro. Il suo ricchissimo corpus grafico consente di ripercorrere la sua attività di decoratore ufficiale delle imprese più grandiose del Barocco romano. In contrapposizione alla cultura del Barocco, ma in contemporanea, operava a Roma in quegli anni Carlo Maratta erede della tradizione classicista e accademica di Annibale Carracci. Disegnatore abilissimo, egli riprende tramite un lungo tirocinio dall’antico i principi di questa tradizione. L’importanza del Maratta disegnatore, al di là delle sue indiscusse capacità grafiche, consiste nell’essere stato consacrato dal Belloni già in vita quale assertore ufficiale del classicismo: infatti, tutta la sua attività tende alla dimostrazione pratica della superiorità del concetto del disegno alla base delle arti figurative. Una vasta schiera di allievi del Maratta contribuisce a tenere in vita questa tradizione anche dopo la morte dell’artista; sono tutti caratterizzati da una strettissima aderenza stilistica alla grafica del maestro, al punto da rendere molto problematica la distinzione delle mani. Il disegno sei-settecentesco a Napoli Sugli artisti napoletani grava ancora la convinzione che non sapessero o non volessero disegnare. Tale pregiudizio deriva dal fatto che, a seguito delle teorie codificate dall’Accademia del disegno fiorentina, l’esercitazione grafica era considerata un’astrazione intellettualistica fine a sé stessa, mentre i disegni dei pittori napoletani consistevano per lo più in schizzi molto liberi e propedeutici al dipinto. Inoltre, la pittura nella città partenopea risorge nel ‘600 con l’arrivo di Caravaggio, dato il suo disinteresse per il disegno ne sarebbe derivata la convinzione che anche i suoi seguaci disprezzassero la pratica disegnativa. La prima smentita viene da un piccolo gruppo di figure a carboncino del pittore caravaggesco Battistello Caracciolo. La vera grande rivoluzione nel campo del disegno napoletano si ha con Giuseppe Ribera detto lo Spagnoletto. Artista di cultura caravaggesca, egli usa tuttavia costantemente il disegno per l’ideazione di dipinti, i suoi schizzi a penna sono caratterizzati da un tratto rapido, sintetico e compendiario, ma utilizza anche il disegno accademico a sanguigna per le sue figure. L’influenza maggiore della grafica di Ribera si esercita nel campo del disegno a penna, che diventa una tecnica caratteristica della scuola napoletana, da Miccio Spadaro a Salvator Rosa, quest’ultimo porta alle estreme conseguenze la linearità del segno di Ribera, la sua rapidità di esecuzione e il rifiuto di ogni accademismo, esasperando ancora di più i contrasti luministici con l’acquerello per ottenere drammatici effetti di luce non sperimentati dallo Spagnoletto. Anche per Mattia Preti, l’artista che per primo esporta e diffonde il messaggio artistico napoletano nei suoi viaggi a Roma, in Emilia e a Malta, il disegno costituisce un costante esercizio propedeutico all’indispensabile elaborazione dell’opera. Un esempio quale lo studio per il San Girolamo, preparatorio per la cupola di S. Domenico Soriano a Napoli (perduta), dà la misura della forza espressiva della grafica pretiana, caratterizzata da una compiutezza di segno quasi classica, ma in cui gli effetti di luce sono sfruttati per dare evidenza plastica alle forme. Dopo una prima fase riberesca, caratterizzata da un lieve segno a penna acquarellato, Luca Giordano arriva nei disegni del periodo maturo a uno stile molto sciolto e libero. L’eredità del Preti e del Giordano viene ripresa nel ‘700 da Francesco Solimena che elabora in dimensione accademica la perfezione del modellato e il senso plastico dell’uno con il luminismo dell’altro, raggiungendo risultati disegnativi di grande qualità. Questa sorta di compromesso stilistico caratterizza la vivace produzione grafica del ‘700 napoletano e la grande stagione del disegno partenopeo del XVII e XVIII secolo si chiude con i bozzetti molto macchiati del giordanesco Domenico Mondo. Il disegno sei-settecentesco a Genova La situazione artistica a Genova nei primi decenni del XVII secolo subisce un profondo rinnovamento determinato dalla presenza di due componenti: il naturalismo caravaggesco e l’influenza dell’arte fiamminga. Se tutti gli artisti genovesi del XVII secolo hanno risentito dell’influenza della pittura fiamminga, solo Giovan Benedetto Castiglione detto il Grechetto riesce a fondere, in un suo linguaggio disegnativo personalissimo, le giovanili suggestioni di Van Dyck e Rembrandt con quelle neovenete e di Poussin. A Roma, dove fu a partire dal 1631, si sente attratto dal classicismo intellettualistico di Poussin e sceglie complessi soggetti mitologici, allegorici e classici per le sue invenzioni grafiche. Dopo un breve soggiorno a Napoli intorno al ’35, lavora negli ultimi anni per la corte di Mantova accentuando gli elementi visionari già presenti nella fase giovanile. Nei fogli più tardi domina un cromatismo sfocato e il segno acquista una tale libertà da arrivare a sfaldare le forme. Intorno alla metà del XVIII secolo inizia a Genova il grande fiorire della pittura decorativa, che risente della duplice influenza emiliana e romana. I disegni a penna dal segno nervoso e aggrovigliato di Valerio Castello, il primo dei decoratori del ‘600, mostrano evidenti derivazioni dal Correggio e dal Parmigianino. Protagonista indiscusso della grafica a Genova nel XVII secolo è Domenico Piola, disegnatore accanito e prolificissimo. Dopo una giovanile influenza della grafica del Grechetto, egli ammorbidisce il suo linguaggio con l’apporto di componenti romane ed emiliane, giungendo a formulare uno stile decorativo e pittorico talora volto a facili effetti di superficialità, ma destinato a influenzare gli artisti genovesi della generazione successiva. La grande tradizione grafica genovese si conclude nel ‘700 con l’attività disegnativa di Alessandro Magnasco. Nei suoi schizzi su fogli di taccuini egli riassume con il segno nervoso e spezzato dello stile del Grechetto e di Piola, aggiungendovi elementi della cultura lombardo-veneta nel gusto macchiettistico per scene popolaresche o per soggetti realistici, o ancora per figurine di un naturalismo caricato, cui non è estranea la componente fiamminga. Il ‘700 a Venezia Venezia nel ‘700 vive uno dei suoi momenti più felici e fecondi in ogni campo della cultura. La grande stagione della pittura veneziana di questo periodo, caratterizzata dal fiorire delle arti grafiche del disegno e dell’incisione, è favorita dalla presenza di artisti di grande livello. A Sebastiano Ricci spetta il merito di aver fissato i canoni del disegno veneziano del ‘700, caratterizzato da una luminosità splendente nel segno decorativo della penna, franto e sinuoso, che cerca di far rivivere nelle raffinate ombreggiature all’acquerello la chiarezza solare della grafica di Veronese. Un altro interprete di questo stile grafico è Giannantonio Pellegrini, il senso del colore, del pittoricismo e della preziosità cromatica trapela dai suoi schizzi vivacissimi, caratterizzati da effetti di macchia in cui si coglie il suo interesse per la pittura olandese e da un contorno lineare e fluente. La libertà di segno e la luminosità degli schizzi del Ricci e del Pellegrini costituiscono l’adesione della cultura veneta al Rococò, che diviene ben presto il linguaggio ufficiale della pittura locale settecentesca. Alla grafica libera di questi artisti si contrappone Giovan Battista Piazzetta, fondatore di un’importante scuola di pittura dove si insegnava lo studio del nudo accademico e del ritratto. Dalla scuola del Piazzetta esce Giovan Battista Tiepolo, il più grande disegnatore del ‘700 veneziano. Dalla grande quantità di fogli a lui attribuiti emerge una forte personalità di instancabile creatore di forme: sono da ricordare gli schizzi a penna liberissimi, luminosi e frettolosamente macchiati con inchiostro acquerellato, ma anche gli studi di teste e di particolari anatomici affidati a pochi tratti di carboncino e resi con una sorprendente capacità di sintesi. Il mondo di Tiepolo è lo specchio di quel raro momento di equilibrio vissuto dalla società veneziana prima della grande crisi sociale, politica e storica che sconvolgerà negli ultimi anni del secolo la tradizione culturale e artistica della Repubblica veneta. Di questo mutamento si accorge il figlio Gian Domenico Tiepolo che ritrae nei suoi fogli brani di vita contemporanea, con una satira pungente e amara della società del suo tempo. Un grande successo riscuote a Venezia la pittura di paesaggio e questa fortuna si riflette anche nella produzione grafica. Giovanbattista Piranesi, anche se trasferitosi ben presto a Roma non dimentica nei suoi disegni di vedute l’educazione di origine: nei suoi schizzi domina infatti una concezione atmosferica e una luminosità che si ispira alla grafica di Tiepolo e di Canaletto. Un fenomeno a sé, esclusivamente veneto, è il sorgere del vedutismo nel corso del XVII secolo. Le origini di questa rappresentazione oggettiva della realtà cittadina sono da ritrovare probabilmente nell’ottica più rigorosa dei pittori nordici e fiamminghi dei secoli XVII e XVIII. Anton Canal detto il Canaletto è il primo disegnatore italiano capace di riprodurre attraverso la penna vedute oggettive ed estremamente realistiche di Venezia. Padre riconosciuto del vedutismo, ha subito un largo seguito nei disegni di Luca Carlevaris, di Bernardo Bellotto e soprattutto Francesco Guardi che ne offre un’interpretazione personalissima. Il disegno scientifico Già nel corso del ‘500 si era venuta affermando l’utilizzazione del disegno a scopi scientifici, questo tipo di attività grafica ha il suo massimo sviluppo nei secoli XVI e XVII, venendo a coincidere con le nuove scoperte scientifiche e geografiche e diventando in molti casi uno strumento necessario per l’indagine naturalistica. Rappresentare il corpo umano assume per gli umanisti un profondo significato di conoscenza dell’universo, che l’uomo riassume e simboleggia in sé e nella sua struttura antropomorfa. Molto più della pittura e della scultura, il disegno è sia per Leonardo che per Michelangelo il mezzo imprescindibile per l’indagine e la conoscenza dell’uomo attuata attraverso lo studio dei cadaveri e del modello nudo. La raffigurazione del corpo umano riprende inoltre una prassi della tradizione classica, e non a caso Leon Battista Alberti collega lo studio dell’anatomia alla teoria delle proporzioni. Dalla fine del ‘400 sino a tutto il ‘600 la pratica disegnativa dell’anatomia diventa uno strumento fondamentale per l’educazione di un giovane artista. Nel ‘500 a Firenze, oltre a Leonardo e Michelangelo, anche i pittori manieristi Rosso e Pontormo si dedicano allo studio del nudo, e con essi anche gli esponenti del secondo Manierismo indirizzati dal Vasari. Sempre a Firenze, nella seconda metà del ‘500, l’intento didascalico di illustrare testi di anatomia o l’esigenza di approfondire alcuni aspetti del corpo umano, porta a fiorire una particolare tipologia di disegni che hanno come soggetto la muscolatura o gli scheletri. La ricerca di un’oggettività già moderna porta nel ‘600 al trionfo del disegno scientifico, dove l’anatomia diventa fine a sé stessa. A partire della seconda metà del ‘500 la nascita della scienza moderna porta con sé il fiorire di una vasta produzione disegnativa di carattere scientifico, che ha come oggetto l’investigazione oggettiva del mondo naturalistico nei più vari aspetti. L’artista lavora spesso dietro una richiesta diretta del committente o in collaborazione con lo scienziato. A partire dai primi decenni del ‘600 la diffusione della pittura di fiori, frutta e insetti provoca il moltiplicarsi di una parallela produzione grafica. I soggetti naturalistici diventano emblematici dell’arte fiamminga, che riscuote un gran successo anche in Italia. Nell’ambito del disegno scientifico è da inquadrare anche la cartografia, questa ha avuto una scarsa importanza nel medioevo, mentre a partire dal ‘300 si ha una vasta diffusione di carte nautiche e portolani. Alla fine del ‘400 rinasce l’interesse topografico a opera soprattutto dei fiamminghi attivi in Italia. Infine, nei secoli XVII e XVIII le vedute delle città assumono una caratterizzazione più oggettiva e vengono rappresentate con planimetrie precise di piazze, strade e monumenti, come nelle piante più moderne. A partire dalla seconda metà del ‘500 anche la raffigurazione geografica subisce una profonda metamorfosi, dovuta in primo luogo alle nuove scoperte scientifiche e in secondo luogo alla mutata e più oggettiva mentalità rappresentativa. Il disegno caricato emiliana che, infrangendo gli schemi tradizionali, introduce il principio della veduta ad angolo e della prospettiva su diagonale unica. Questi principi erano già stati annunciati in parte nella produzione grafica e pittorica dei quadraturisti bolognesi, ma vengono portati alle estreme conseguenze dai Bibiena, che diffondono in Europa una moda scenografica eccentrica. Il disegno neoclassico e romantico La reazione all’insegnamento accademico si manifesta, a partire dagli ultimi decenni del ‘700, nel movimento neoclassico che afferma l’esigenza di un’interpretazione più dura e astratta della forma classica. Su entrambi sopravvive la corrente ottocentesca romantica, che rivendica una più libera espressione del sentimento e dell’esperienza individuale dell’artista. Tra queste due tendenze considerate in genere in opposizione, non mancano tuttavia alcuni punti di contatto. Il disegno degli artisti neoclassici, pur nella sua comune tendenza alla purezza e alla chiarezza del segno e alla semplificazione lineare della figura, mostra spesso sia una vivacità di tratto ancora tutta settecentesca, che una veemenza espressiva già sostanzialmente romantica. Tali caratteri, presenti in qualche misura nell’opera grafica dei primi grandi protagonisti europei del movimento neoclassico si scoprono con maggiore evidenza in artisti italiani come Andrea Appiani o Vincenzo Camuccini. Una piena libertà d’interpretazione dei modelli antichi caratterizza l’opera grafica di Felice Giani. Pur vivendo nel pieno dell’età neoclassica, il Giani può considerarsi già un romantico, per il suo anticonformismo e per la vivacità della sua immaginazione. Analoghi esiti, in forme espressive libere dal rigore del disegno academico come dai canoni dell’estetica neoclassica, si riscontrano anche nella produzione grafica dei maggiori scultori di quest’età. Anche qui, residui di cultura settecentesca o precoci sintomi di inquietudine romantica determinano una continua oscillazioni tra disegno lineare, tendente al purismo, e l’espressione grafica mossa e dinamica di gusto pittorico. Antonio Canova meglio di altri sembra illustrare questa varietà di soluzioni. Nella sua ricca produzione troviamo forme d’espressione grafica diverse, dalla copia dall’antico con disegno a tratto e precisa definizione dei contorni, ai più liberi disegni d’invenzione, ritratti e paesaggi, eseguiti a schizzo e da cui trapela tutta la freschezza e il pittoricismo della tradizione veneta. Il Canova infonde ne disegno e nel bozzetto scultoreo una partecipazione sentimentale e un’immediatezza che poi scompare nell’opera realizzata, e proprio in queste forme d’espressione si sono voluti cogliere i sintomi di una sensibilità già romantica. Un artista in certo senso isolato dalle correnti ufficiali è Ingres. La sua pittura è fondata sul disegno, un disegno equidistante sia dalle norme accademiche che dallo stile neoclassico o romantico, ma al contempo collegato a tutte e tre le tendenze. Al disegno formalmente perfetto di Ingres si oppone quello nervoso, immediato e dinamico, dei pittori Géricault e Delacroix che, dopo la parentesi neoclassica, figurano come i più tipici rappresentanti del disegno espressivo romantico, fatto di energia e movimento evocante lo schizzo barocco. Fondamentale in questo periodo il rapporto del disegno con le tecniche calcografiche, in particolare la litografia, che spesso sembra condizionare lo stile dell’espressione grafica. La reazione alle tematiche e alle tendenze formali dell’arte neoclassica trae alimento dall’opera degli stessi artisti neoclassici. La tendenza verso la purezza linearistica e le opere dei Nazzareni, che si ispirano all’antica pittura nordica, costituiscono le premesse anche per lo sviluppo della corrente romantica purista italiana. Dai Nazzareni parte ad esempio Minardi, che per quasi un decennio si applica quasi esclusivamente al disegno, un disegno sempre più corretto e pulito, un disegno “puro” che ricade tuttavia spesso nel conformismo accademico. Sempre ai Nazzareni si ricollega il gruppo dei Preraffaelliti che si ribellano al classicismo accademico in nome del pathos romantico. Neoclassico all’inizio e vicino a Canova a Rom nel secondo decennio del secolo, è Francesco Hayez. Il suo disegno finito, che parte dalla definizione dei contorni della figura ma che si avvale poi di un’accurata modellazione chiaroscurale e di aggiunte di colore per rivestire di un sentimento romantico forme sostanzialmente accademiche. Una grossa parte della produzione grafica ottocentesca è costituita dai disegni di vedute e paesaggi. Tra i soggetti più rappresentati ci sono le vedute della campagna romana, che unisce in sé l’evocazione storica e il pittoresco. Mentre da un lato abbandonano tali raccolte di memorie, di appunti e di impressioni tratte da artisti viaggiatori, relativamente più scarsa appare la documentazione dei disegni preparatori per la pittura di paesaggio. Fa scuola infatti la nuova tecnica degli inglesi Constable e Turner, che traducono le loro impressioni ottiche con pennellate ad acquerello o a guazzo che non seguono linee prestabilite di contorno. È infatti soprattutto la tecnica dell’acquerello che riduce o elimina la funzione del supporto grafico. Non tutti i pittori paesaggisti seguono tuttavia questa tendenza. I romantici tedeschi ad esempio praticano un disegno preciso e analitico. L’impressionismo e il primo ‘900 All’importanza annessa al disegno si contrappone un calo d’interesse per la sua funzione espressiva tra gli artisti innovatori, che cercano di rappresentare la realtà per impressione diretta. L’uso di dipingere en plen air adottato dagli Impressionisti richiedeva d’altronde una ripresa rapida ed essenziale. Ciò malgrado, non si può dire che il disegno venisse bandito dalla pratica degli stessi pittori impressionisti. In Italia è soprattutto in ambiente lombardo che il disegno si dissolve nella forma pittorica. Già sfumata secondo la foggia leonardesca la trama disegnativa viene interamente cancellata da effetti di luce-colore nelle evanescenti figure di Tranquillo Cremona. Sui presupposti della Scapigliatura lombarda, oltre che sull’esempio del Puntinismo francese, intorno al 1890 si afferma nella stessa area culturale la corrente dei Divisionisti che si servono solo in misura minima del supporto grafico. Resta comunque significativo il fatto che, anche in queste soluzioni formali, negli effetti di ondulazione linearistica si possono cogliere anticipazioni o già riflessi di una moda artistica che fonda la sua espressione unicamente sul disegno, l’Art Nouveau. Molto diversa è l’opera grafica dei pittori Macchiaioli toscani, la cui arte si pone quasi in antitesi a quella Impressionista. Per i Macchiaioli il disegno svolge una funzione fondamentale; è una pittura sorretta da un energico disegno, da una scansione grafica a volte molto netta e quasi analitica, e a volte solo da linee di contorno. La reazione alla pittura impressionista, se in un primo momento si manifesta all’insegna dell’esaltazione del colore, si attua poi in realtà attraverso un graduale recupero della funzione compositiva, strutturale e plastica del disegno. Tutta disegno si può definire l’arte di Toulouse-Lautrec, un disegno condotto con un tratto agile e nervoso ma con un diligente studio della fisionomia e del gesto delle figure, spinto fino alla caricatura, e con un’attenta indagine e notazione dell’ambiente circostante. Proprio dal carattere disegnativo dei pittori postimpressionisti nasce quel diffusissimo stile che si diffonde a cavallo tra l’800 e il ‘900, invadendo tutti i settori della produzione artistica, grafica e artigianale: l’Art Nouveau. Nell’ambito di questa diffusissima cultura grafica maturano nei primi anni del ‘900 le nuove correnti artistiche dei Fauves e degli espressionisti tedeschi della die Brücke, dei Cubisti e dei Futuristi italiani. I maggiori esponenti di questi movimenti sono anche i più forti disegnatori del ‘900. Dal disegno applicato al disegno astratto Un ulteriore impulso alla pratica disegnativa nell’esercizio dell’arte determina, nei primi decenni del ‘900, la riunificazione delle arti un tempo dette “del disegno” nell’ambito del concetto di progettazione comune, valido tanto per il prodotto artistico che per quello artigianale e industriale. Tale concetto, teorizzato e in parte applicato già da Morris e Ruskin, ampiamente affermatosi con l’Art Nouveau, viene assunto come principio e compito specifico del Bauhaus, creato nel 1919 da Walter Gropius. Nel Bauhaus operano grandi artisti come Klee, Kandinsky e Mondrian, che sono i padri dell’arte astratta. Con Klee e Kandinsky il disegno acquista ritmi lineari, tendenzialmente decorativi e astratti. L’arte italiana del ‘900 risente in modo molto più evidente delle correnti interne come il Futurismo e dell’influenza di grandi artisti come Picasso e Matisse, il cui accentuato grafismo risulta molto più congeniale alla tradizione disegnativa nostrana. Accomunati da un uso funzionale del disegno sono gli artisti appartenenti al gruppo di Valori Plastici come De Chirico, o Carrà la cui pittura metafisica si fonda sulla nitida definizione di volumi e spazi a mezzo di un disegno di contorno nitido e preciso; e ancora Morandi che mira soprattutto alla chiarezza plastico- volumetrica delle forme. Quest’interesse dell’arte italiana per i tradizionali problemi di resa volumetrico- spaziale è comprovato dal fatto che tra i più grandi disegnatori del nostro secolo figurano soprattutto scultori. Anche molta della pittura astratta contemporanea in Europa e in Italia si risolve essenzialmente nell’espressione grafica, a volte con recuperi tecnico-formali antichissimi, come il segno inciso o graffito, l’ideogramma o il carattere simbolico. Di un tessuto grafico si avvale spesso anche la pittura informale pur trattandosi di un’espressione artistica che si realizza senza precostituzione formale.
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