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Il documento è un riassunto molto dettagliato di tutto il libro Psicologia generale, Appunti di Psicologia Generale

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Tipologia: Appunti

2021/2022

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Scarica Il documento è un riassunto molto dettagliato di tutto il libro Psicologia generale e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! CAPITOLO 1: Le radici della psicologia La psicologia è lo studio scientifico della mente e del comportamento. Mente e comportamento sono due aspetti diversi. Mente si riferisce alla nostra personale esperienza interiore di percezioni, pensieri, ricordi e sentimenti. Comportamento si riferisce alle azioni osservabili degli esseri umani e degli animali. Qual è lo scopo della psicologia? È in generale cercare di capire il comportamento delle persone e di spiegare come funziona tutta quell'attività che nasce principalmente dal cervello e che regola fondamentalmente il nostro comportamento nell'ambiente e la nostra vita sociale. Prima di arrivare alla psicologia di oggi impariamo a conoscere la psicologia del passato. Il termine della psicologia deriva dal greco psyché = spirito, anima e da logos = discorso, studio. Quindi letteralmente psicologia indica lo studio dello spirito o dell'anima. Il termine stesso della psicologia venne coniato nel 1500 ma il suo uso lo troviamo a partire dal 1700 con le opere di Christian Wolff il quale compie la distinzione fra psicologia razionale e psicologia empirica. Qual è la differenza? Sostanzialmente la psicologia razionale studia l’essenza dell’anima e le sue facoltà. La psicologia empirica si occupa dei fatti psichici fondati sull’esperienza. Tuttavia la nascita ufficiale della psicologia come scienza autonoma si ha con Wilhelm Wundt quando nel 1879 apre nell’Università di Lipsia il primo laboratorio di Psicologia Sperimentale dedicato esclusivamente agli studi psicologici; è per questo che Wundt è anche considerato il fondatore della psicologia scientifica. Tuttavia abbiamo un ritardo nella nascita della psicologia, come mai? Perché la psicologia potesse nascere come scienza sperimentale c’era bisogno che l’uomo fosse riconosciuto come un oggetto valido di studio scientifico. La possibilità però di studiare gli esseri umani in maniera scientifica per alcuni secoli venne vietata in virtù di alcune correnti di pensiero cristiane. La seconda problematica è invece legata alla difficoltà nella misurazione degli eventi psichici. GLI ALBORI DEL PENSIERO PSICOLOGICO Inizialmente nell'antichità si tendeva a considerare che la sede della mente e dei processi psichici non fosse tanto il cervello ma il cuore. Già nella filosofia greca però si inizia a cambiare e si inizia ad attribuire un ruolo maggiore al cervello. Importanti pensatori da citare sono: - Pitagora che identifica il cervello sede della ragione. Pitagora parla di tre attività psichiche: 1. la passione 2. l'intelligenza e 3. la ragione. La passione ha sede nel cuore ed è qualcosa che noi condividiamo con gli altri animali. L'intelligenza la vedeva legata al cervello ma la vedeva sempre come qualcosa che uomini e animali condividono. Quello che è esclusivo agli esseri umani è la ragione che è incentrata nel cervello. - Ippocrate che cercò di mettere in relazione mente e corpo attraverso la Dottrina dei caratteri e gli Studi neurologici. Iniziamo con la Dottrina dei caratteri = per Ippocrate si possono identificare 4 tipologie di persone in base a quali sono gli umori che prevalgono nel loro corpo. Questi sono: il sangue, la bile gialla, la bile nera e i flegma. Dunque per Ippocrate il temperamento (la personalità) dipendeva da quale di questi quattro umori prevaleva. Ad esempio se prevaleva la bile nera era sinonimo di temperamento malinconico. Se prevaleva la bile gialla avremmo avuto un temperamento polemico. Se prevaleva il sangue era sinonimo di comportamento sanguigno (cioè allegro, schietto, sensuale). L’altro contenuto con cui ha provato a mettere in relazione mente e corpo sono gli Studi neurologici perché lui va a studiare e scrivere trattati di fenomeni come traumi cranici. - Aristotele che aveva una concezione molto naturalistica dell’uomo cioè per lui l’uomo fa parte della natura e quindi può essere studiato allo stesso modo e sullo stesso piano degli animali. Inoltre nel De Anima mette a punto descrizioni molto moderne dei processi mentali cioè riteneva che la mente del bambino è una sorta di tabula rasa, una lavagna vuota, su cui si iscrivono le esperienze. Era poi un sostenitore dell’empirismo filosofico, concezione secondo cui tutte le conoscenze sono acquisite attraverso l’esperienza. - Platone a differenza di Aristotele sosteneva l’innatismo, concezione filosofica secondo cui certi tipi di conoscenza sono innati o connaturati. Per esempio per Platone un bambino prima ancora di ricevere un’istruzione formale si è già impadronito delle regole fondamentali del linguaggio perché i bambini molto presto scoprono che i suoni possono avere un significato e che si possono organizzare in parole e le parole a loro volta organizzare in frasi. UNA BATTUTA D’ARRESTO Si assiste poi ad una battuta d’arresto in quanto nel medioevo a causa dell’influenza della cultura cristiana viene vietato la possibilità di studiare l’uomo così come si studia la natura e gli altri animali sia dal punto di vista della mente che del corpo perché si inizia a prendere coscienza del fatto che il mondo ha una struttura organica con a capo Dio e sotto l’uomo che non è parte della natura. LA NASCITA DELLA SCIENZA MODERNA Superato il medioevo tra il 1500 e il 1600 avviene una rivoluzione molto importante, si tratta della rivoluzione copernicana. Copernico affermò che la terra non è al centro dell'universo ma che la terra ruota intorno al sole. È in questo periodo che nasce la scienza moderna che si fonda sull'empirismo e sul razionalismo. In cosa consiste l’empirismo? È la concezione secondo cui è possibile acquisire conoscenze accurate attraverso l’osservazione dei fenomeni. Insieme all’empirismo ci vuole anche il razionalismo quindi cercare di formulare delle teorie che tengono di conto delle osservazioni e in base a queste teorie poi fare delle ulteriori osservazioni, previsioni, per andare a vedere se la mia teoria è corretta o no. Questo è praticamente l'essenza del metodo scientifico sperimentale (sviluppato da Francis Bacone) che si fonda su: osservare il fenomeno, cercare di formulare delle teorie (= spiegazione ipotetica di un fenomeno naturale), cercare di ragionare e applicare la logica per formulare delle ipotesi (= previsione falsificabile derivata da una teoria) e fare ulteriori osservazioni per verificare le ipotesi. CARTESIO (1596-1650), è razionalista Con l’introduzione del sapere scientifico si hanno una serie di conseguenze problematiche soprattutto per l’interpretazione del senso della vita umana. A questo risponde Cartesio attraverso il dualismo. Per Cartesio nel mondo dobbiamo distinguere due sole sostanze: la res cogitans, l’anima dell’uomo che contiene idee innate, e la res extensa, il corpo dell’uomo visto come una macchina che obbedisce alle leggi della natura. Ma se mente e corpo sono cose diverse, fatte di sostanze diverse, come riescono ad interagire? Cioè per esempio come fa la mente a dire al corpo di muovere un piede in avanti? Il legame fra le due parti lo identificò nella ghiandola pineale collocata nel cervello. provoca un danno a quest’area? L’incapacità di comprendere il linguaggio e di produrre aree sensate. DARWIN - TEORIA DELL’EVOLUZIONE L’ultimo contributo lo dobbiamo a Charles Darwin per la teoria dell'evoluzione della specie la quale ebbe un’influenza fortissima. Esempio ne è il lavoro di Galton. Darwin sosteneva che la disparità tra numero di individui e risorse disponibili porta necessariamente a una lotta per l’esistenza in cui sopravvivono soltanto i più adatti quindi per Darwin l’evoluzione avviene come risultato di caso e necessità. Su questa scia Galton indagò sull’eredità di caratteristiche mentali. LA PSICOLOGIA COME SCIENZA AUTONOMA STRUTTURALISMO Come ho già detto la nascita della psicologia come scienza autonoma lo si deve a Wundt. L’oggetto di studio della psicologia per Wundt era l’esperienza diretta o immediata a differenza delle scienze naturali che studiano l’esperienza indiretta o mediata. Infatti Wundt si rese conto che lo psicologo studia il fenomeno che osserva per come viene percepito direttamente cioè senza la mediazione di strumenti di misurazione mentre il chimico o il fisico invece studiano il fenomeno tramite la misurazione effettuata con gli strumenti di laboratorio. Ma qual era il suo metodo di indagine? Utilizzava come metodo d’indagine l’introspezione cioè l'osservazione soggettiva della propria esperienza personale. Perché? Perché per poter capire cosa accade quando io vedo un colore, una forma, sento un suono devo guardarmi dentro ed analizzare quello che sto provando mentre sto guardando il colore, la forma. L’introspezione però non era uno strumento attendibile perché l’introspezione modifica i contenuti della coscienza. Allora quale potrebbe essere la soluzione? Porre attenzione a come varia per esempio il sentimento del soggetto al variare della situazione in cui il soggetto si trova. Perché? Perché in questo modo la variazione non è influenzata né dall’atto di introspezione né dall’eventuale differenza di contenuti di coscienza tra soggetti. Inoltre Wundt sviluppò un approccio chiamato strutturalismo che consisteva nell’analizzare gli elementi fondamentali che costituiscono la mente scomponendo la coscienza in emozioni e sensazioni elementari. Di particolare rilievo per la diffusione dello strutturalismo fu Titchener che per due anni studiò con Wundt all’Università di Lipsia poi si trasferì negli Stati Uniti dove presso la Cornell University fondò un proprio laboratorio di psicologia. FUNZIONALISMO La scuola psicologica che si oppose allo strutturalismo fu il funzionalismo con a capo William James. James era d'accordo con Wundt sul fatto che l’oggetto di studio della psicologia fosse l’esperienza diretta o immediata ma secondo James cercare di isolare un momento particolare della coscienza per poi analizzarlo, come facevano gli strutturalisti, voleva dire distorcere la natura della coscienza. Per questo decise di sviluppare un approccio che prese il nome di funzionalismo cioè lo studio di come i processi mentali consentano alle persone di adattarsi al proprio ambiente. Quindi qual è la principale differenza tra strutturalismo e funzionalismo? Mentre lo strutturalismo esaminava la struttura dei processi mentali, il funzionalismo si proponeva di individuare quali funzioni svolgessero quei processi. Anche il lavoro di James è stato fortemente influenzato dalla teoria dell’evoluzione di Darwin. In che modo? Come le caratteristiche utili alla sopravvivenza hanno maggiore probabilità rispetto ad altre caratteristiche di essere trasmesse alle generazioni successive anche le abilità mentali devono essersi evolute perché aiutavano gli esseri umani a risolvere i problemi; da qui viene anche che la coscienza è un flusso in continua evoluzione e cambiamento (stream of consciousness). Per cui sostenne che la coscienza doveva assolvere a qualche funzione biologica e che il compito degli psicologici era di capire quali fossero queste funzioni. PSICOLOGIA DELLA GESTALT Gestalt è un termine tedesco che significa buona forma. La psicologia della Gestalt nasce in risposta allo strutturalismo (di Wundt) dicendo che per spiegare il tutto non è possibile guardare alle singole parti perché il tutto precede le parti che assumono significati diversi a seconda del tutto di cui sono parti. Qual era l’obbietto di questa psicologia? La psicologia della Gestalt cercava di comprendere il funzionamento della mente studiando come le parti si unificano nel tutto per formare l’esperienza cosciente. La sua nascita possiamo farla risalire a Max Wertheimer quando pubblicò un articolo sulla percezione del movimento apparente trattando di un esperimento oggi conosciuto come fenomeno Phi. Wertheimer mostrò ad un soggetto due luci, una dopo l’altra. Quando l'intervallo di tempo tra i due lampi di luce era relativamente lungo l'osservatore vedeva due luci che lampeggiavano alternate ma quando l'intervallo tra i due lampi di luce veniva ridotto l'osservatore vedeva un'unica luce muoversi avanti e indietro. Che cosa dimostrò questo esperimento? Che il tutto, in questo caso il movimento percepito, è qualcosa di più e di diverso dalla somma dei singoli componenti. Perché? Perché se la percezione fosse il risultato diretto di quello che accade nel fenomeno fisico noi dovremmo vedere luci che si accendono una dopo l’altra e non una luce in movimento. Quindi è la nostra mente che interviene attivamente nella costruzione del fenomeno percettivo e lo coglie nella sua totalità. Altri esponenti della Gestalt sono stati: - Wolfgan Köhler - Kurt Koffka - Kurt Lewin LA PSICOLOGIA CLINICA E UMANISTICA Nello stesso periodo in cui alcuni elaboravano gli approcci dello strutturalismo e del funzionalismo altri iniziarono a studiare persone con disturbi psicologici. Charcot e Janet fecero delle scoperte studiando i pazienti che presentavano una condizione di isteria. I pazienti isterici diventavano ciechi paralizzati o perdevano la memoria ma ogni volta non si riusciva a risalire a una causa fisica dei loro problemi. Se però questi pazienti venivano sottoposti a ipnosi i loro sintomi scomparivano. Anche se temporaneamente perché quando lo stato di ipnosi finiva i pazienti non ricordavano nulla e i sintomi si ripresentavano. Queste osservazioni attirarono l’interesse di Sigmund Freud. Freud teorizzò che all’origine di molti dei problemi dei pazienti ci fossero delle esperienze infantili dolorose che la persona non riusciva a ricordare e si convinse che l’influsso generato da questi ricordi in apparenza perduti rivelava l’esistenza di una mente inconscia. Infatti secondo Freud l'inconscio è la parte della mente che opera al di fuori della consapevolezza cosciente ma influenza le azioni, i pensieri e i sentimenti consci. In base a questa idea Freud elaborò la teoria psicoanalitica in base alla quale è importante far riemergere quelle esperienze dolorose. E come si fa? Sulla sua teoria Freud sviluppò la terapia della psicoanalisi il cui scopo è far emergere il materiale inconscio e portarlo al livello della consapevolezza cosciente in modo da chiarire tutti i disturbi psicologici che affliggono il paziente. Freud e le sue teorie persero la loro rilevanza con l’emergere della psicologia umanistica. Gli psicologici umanisti vedevano le persone come liberi agenti dotati di un bisogno innato di evolversi, crescere e realizzare a pieno il proprio potenziale per questo al centro dell'attenzione degli psicologi umanisti c’erano le aspirazioni più elevate delle singole persone. IL COMPORTAMENTISMO Le scuole di pensiero presenti sulla scena della psicologia agli inizi del XX secolo era diverse tra loro ma tutte cercavano di capire il funzionamento profondo della mente. Con l’avanzare del XX nasce un nuovo approccio che prende il nome di comportamentismo e affermava che gli psicologi dovevano limitarsi allo studio del comportamento oggettivamente osservabile. Fondatore del comportamentismo possiamo considerare Watson il quale riteneva che la psicologia per essere una scienza oggettiva dovesse basarsi su misure oggettive e replicabili di fenomeni accessibili ad ogni osservatore. Inoltre sempre per Watson si doveva abbandonare l’introspezione e la mente come oggetto di studio perché diceva che la mente è come una black box cioè riceve input e produce output ma non è conoscibile in quanto non direttamente osservabile. Grande influenza su Watson la ebbe il lavoro svolto da Ivan Pavlov. Pavlov voleva studiare la produzione di saliva prodotta dai cani quando vedevano del cibo. I suoi studi hanno però rivelato i meccanismi di una forma di apprendimento che venne chiamata condizionamento classico. Il condizionamento classico si ha quando uno stimolo neutro arriva a evocare una data risposta dopo essere stato abbinato a uno stimolo che spontaneamente suscita quella risposta. Pavlov si rese conto che i cani non salivavano soltanto alla vista del cibo ma anche alla vista degli inservienti che gli portavano da mangiare. Come mai? Per darsi una spiegazione Pavlov sviluppò una procedura. Definì la presentazione del cibo stimolo incondizionato (SI) e la salivazione risposta incondizionata (RI). Poi decise di abbinare allo stimolo incondizionato quindi alla presentazione del cibo il suono di un campanello che definì stimolo condizionato (SC). Questa fase in cui lo stimolo condizionato e lo stimolo incondizionato vengono presentati insieme la chiamò acquisizione. Ovviamente all’inizio al solo suono del campanello il cane non salivava ma quando al cibo, quindi stimolo incondizionato, per un po’ di tempo viene abbinato il suono del campanello, quindi stimolo condizionato, il cane impara ad associare il cibo al suono e alla fine il solo suono del campanello, quindi il solo stimolo condizionato, sarà sufficiente a produrre la salivazione. La salivazione prodotta da uno stimolo condizionato Pavlov la chiamò risposta condizionata. Dopo che un condizionamento classico si è stabilizzato Pavlov passò ad osservare un fenomeno detto condizionamento di secondo ordine. Come? Allo stimolo condizionato quindi al suono del campanello Pavlov abbinò un quadrato nero. Dopo un certo numero di volte i cani iniziarono evento che faccia diminuire le probabilità che il comportamento verificato si verifichi di nuovo. Per mantenere distinte queste possibilità Skinner usò i termini positivo per le situazioni in cui uno stimolo viene presentato e negativo per le situazioni in cui lo stimolo viene eliminato. Una determinante importante per capire l’efficacia del rinforzo è la quantità di tempo che intercorre fra la produzione di un comportamento e la comparsa del rinforzo. È stabilito che maggiore è la distanza di tempo fra i due eventi e minore è l’efficacia del rinforzo. Una chiara dimostrazione di questo effetto proviene da esperimenti in cui ratti affamati ricevevano il cibo, ovvero il rinforzo, a intervalli di tempo differenti dopo che avevano premuto una leva. I ricercatori provarono a variare l'intervallo di tempo che intercorreva fra la pressione sulla leva e l'arrivo del cibo e quello che registrarono è che il numero delle pressioni sulla leva diminuiva in misura sostanziale con l'allungarsi degli intervalli di tempo. La spiegazione più probabile è che il ritardo rendesse difficile per i ratti individuare con precisione quale comportamento dovessero produrre per riuscire a ottenere il rinforzo. Una grande influenza sugli studi di Skinner l’ha esercitata Thorndike. Thorndike condusse numerosi esperimenti utilizzando una gabbia-problema che consisteva in una gabbia di legno con uno sportello che si apriva ogni volta che una leva nascosta veniva spostata nel modo giusto. Inizialmente un gatto affamato messo in una gabbia-problema metteva in atto vari tipi di comportamento per uscire come grattare lo sportello, miagolare forte, infilare le zampe fra le sbarre e solo per caso riusciva ad aprire lo sportello. Quando poi però Thorndike rimetteva il gatto nella gabbia questi dopo una serie di volte diventavano molto veloci a far scattare la leva per uscire. In base a questa osservazione sviluppò la legge dell’effetto il principio secondo cui i comportamenti che producono uno stato soddisfacente tendono a essere ripetuti mentre quelli che producono uno stato spiacevole tendono a non essere riprodotti. Un’altra cosa che Thorndike riuscì a cogliere è che l’apprendimento avviene in precisi contesti. Sulla base di questo Skinner fece una riformulazione dicendo che buona parte del comportamento è sotto il controllo dello stimolo, cioè una risposta particolare si verifica soltanto quando è presente uno stimolo discriminativo ovvero uno stimolo che indica che una certa risposta riceverà un rinforzo. Definì questo processo contingenza a tre termini: in presenza di uno stimolo discriminativo una certa risposta produce un rinforzo. Ad esempio: un gruppo di compagni e seduto intorno al tavolo di una caffetteria (stimolo discriminativo) e stanno facendo commenti scherzosi sul fatto che al professore diminuiscono i capelli (risposta). Questo produce delle risate (rinforzo). Comunque anche nel condizionamento operante quando il comportamento smette di essere rinforzato va incontro all’estinzione. E anche qui Skinner scoprì una cosa fondamentale. Stava preparando con farina mescolata all'acqua palline da utilizzare come rinforzo per i ratti nel corso dei suoi primi esperimenti quando gli venne in mente che forse poteva risparmiare tempo e fatica non dando ai ratti una pallina di cibo ogni volta che facevano pressione sulla leva ma secondo uno schema intermittente. Questa intuizione fornì risultati sorprendenti perché i ratti non solo continuarono ad abbassare la leva ma a seconda dei tempi e della frequenza con cui ricevevano il rinforzo modificarono anche la frequenza e la modalità con cui lo facevano. Da qui scoprì che a differenza del condizionamento classico in cui ciò che importava era il numero delle prove di apprendimento nel condizionamento operante fondamentale era il pattern (mezzo/modo) con cui veniva fornito il rinforzo. A tal proposito Skinner analizzò numerosi di quelli che oggi sono diventati noti con il nome di schemi di rinforzo. Le due forme più importanti sono gli schemi intervallo, basati sull’intervallo di tempo tra un rinforzo e l’altro, e gli schemi e rapporto, basati sul rapporto numerico fra le risposte e i rinforzi. Iniziamo con gli schemi a intervallo che possono essere: - schemi a intervallo fisso = i rinforzi vengono forniti a intervalli di tempo fissi purché sia stata data la risposta corretta. Quindi in uno schema a intervallo fisso di 2 minuti la risposta verrà rinforzata ma solo trascorsi 2 minuti dall'ultimo rinforzo. Sottoposti a questi schemi i ratti e i piccioni nella Skinner box produssero pattern comportamentali prevedibili. Cosa mostrarono? Una scarsa risposta immediatamente dopo la presentazione del rinforzo ma avvicinandosi la fine del successivo intervallo di tempo produssero tutta una serie di risposte in rapida successione. Allo stesso modo possiamo dire che si comportano molti studenti. Studiano con un impegno basso ma quando arriva l’avvicinarsi di un esame si immergono nello studio. - schemi a intervallo variabile = un comportamento viene rinforzato secondo un valore medio. In uno schema a intervallo variabile di 2 minuti le risposte verranno rinforzate in media ogni 2 minuti ma non dopo i 2 minuti. E che tipo di comportamento producono? Solitamente producono risposte costanti e regolari perché è meno possibile prevedere quanto tempo trascorrerà fino al rinforzo successivo. Tuttavia sia gli schemi a intervallo fisso che quelli a intervallo variabile tendono a determinare una risposta lenta perché i rinforzi seguono una scala temporale indipendente dal numero delle risposte che vengono prodotte. Passiamo agli schemi a rapporto che possono essere: - schemi a rapporto fisso = il rinforzo viene fornito dopo che è stato prodotto numero specifico di risposte. - schemi a rapporto variabile = il rinforzo è fornita in base al numero medio di risposte. Gli schemi a rapporto variabile producono tassi di risposta leggermente più alti di quelli a rapporto fisso perché l’organismo non sa mai quando comparirà il rinforzo successivo. Poi ci sono gli schemi a rinforzo parziale o intermittente = in cui solo alcune delle risposte corrette sono seguite dal rinforzo. In questo caso il comportamento prodotto risulta essere più resistente all’estinzione perché per l’organismo diventa più difficile individuare quando il comportamento deve iniziare la fase di estinzione. Per esempio se mettiamo in un distributore di lattine una moneta noi ci aspettiamo la lattina. Se però il distributore è rotto la lattina non uscirà e allora noi difficilmente metteremo altri soldi nel distributore. Però se mettiamo una moneta all’interno di una slot machine che a nostra insaputa è rotta smettiamo subito di mettere altri soldi? No perché si sa che anche dopo molte giocate si può non vincere nulla. Successivamente Skinner si accorse che a volte faceva fatica a insegnare agli animali il comportamento che voleva fargli produrre. Infatti mettendo il ratto dentro la Skinner box con l'aspettativa che l'animale premesse la leva finiva per aspettare molto tempo. Allora riflettendo disse: provo a rinforzare tutte le azioni che non sono l'azione desiderata ma vanno nella direzione dell'azione giusta. E così fece. Ogni volta che il ratto guardava la leva Skinner gli dava del cibo come ricompensa di modo da rinforzare il dirigersi verso la leva e rendere il movimento di premerla più probabile. Gli forniva altro cibo anche quando il ratto faceva un passo verso la leva. Da qui affermò che la maggior parte dei nostri comportamenti sono il risultato del modellamento (o shaping). Da qui abbiamo capito che una delle chiavi per formare un comportamento operante stabile è la correlazione tra la risposta dell’organismo e il presentarsi di un rinforzo. Però il fatto che due cose siano correlate quindi che tendono a verificarsi insieme non implica che siano legate da una relazione casuale cioè che il verificarsi dell’una comporti per forza il verificarsi dell’altra. Skinner organizzò un esperimento in grado di dimostrare questa differenza. Mise alcuni piccioni all'interno di una Skinner box, programmò il distributore automatico in modo che dispensasse il cibo a ogni gabbia ogni 15 secondi e poi lasciò che gli uccelli facessero ciò che volevano. Quando tornò vide che gli uccelli beccavano senza scopo in un angolo della gabbia. Perché? Per Skinner quei piccioni stavano ripetendo comportamenti che erano stati casualmente rinforzati perché un piccione a cui era capitato che il rinforzo del cibo comparisse mentre stava per caso beccando in un angolo della gabbia aveva collegato l’arrivo del cibo a quel comportamento. Quindi i piccioni di Skinner agivano come se ci fosse una relazione casuale tra i loro comportamenti e la comparsa del cibo ma in realtà si trattava solo di una correlazione accidentale. NEOCOMPORTAMENTISMO All’apice del comportamentismo iniziano a venire fuori una serie di problemi che non sono di facile soluzione. Uno studioso molto importante a questo riguardo è Edward Tolman. Secondo Tolman il condizionamento produce nell’organismo la convinzione che in quella particolare situazione se viene prodotta una specifica risposta si realizzerà una ricompensa. Questa relazione ricorda il modello di Rescorla-Wagner. Entrambe le teorie si focalizzano meno sulla connessione stimolo- risposta (S-R) e più su quel che accade nella mente dell'organismo di fronte allo stimolo. In particolare Tolman fece studi incentrati sull’apprendimento latente, una condizione in cui si apprende qualcosa ma questo apprendimento non si manifesta fino a un certo momento nel futuro. Tolman fece entrare tre gruppi di ratti in un complicato labirinto tutti i giorni per oltre due settimane e li lasciò liberi di muoversi per trovare la via d’uscita dal labirinto. I ratti del gruppo di controllo non ricevettero mai nessun rinforzo e migliorarono di poco la loro prestazione nel percorrere il labirinto. Il secondo gruppo di ratti ricevette regolarmente un rinforzo e mostrarono un chiaro apprendimento nel raggiungere la via d’uscita. I ratti del terzo gruppo invece per i primi 10 giorni vennero trattati come i ratti del primo gruppo mentre negli ultimi 7 giorni vennero trattati come i ratti del secondo gruppo. Il miglioramento dei ratti al 12º giorno nel trovare la via d’uscita dimostrò che i ratti avevano appreso molto sul labirinto e sulla localizzazione dell’uscita del labirinto anche se non avevano mai ricevuto nessun rinforzo. Dimostrarono quindi che era avvenuto un apprendimento latente. Questi risultati fecero capire a Tolman che i ratti avevano sviluppato un’immagine mentale del labirinto. La definì una mappa cognitiva ovvero una rappresentazione mentale delle caratteristiche fisiche dell’ambiente. L'apprendimento latente e le mappe cognitive indicano che il condizionamento operante implica molto di più della risposta di un animale a uno stimolo. Inoltre per i suoi esperimenti e per verificarli utilizzò due tipi di labirinto. Nel primo labirinto i ratti dovevano percorrere un tratto diritto, poi girare a sinistra, poi girare a destra e poi ripercorrere un tratto diritto. Quando i ratti arrivarono a padroneggiare questo labirinto li spostò in un altro in cui la via diritta principale era bloccata. È qui che i ratti invece di imboccare i rami più vicini alla via principale imboccavano il percorso che portava direttamente al punto in cui durante l’addestramento avevano trovato la via d’uscita. Perché? Perché i ratti si erano formati una mappa dell’ambiente e quindi a livello spaziale sapevano dove dovevano arrivare. Un altro studioso come Tolman fu Clark Hull. Al centro della sua teoria troviamo l’impulso. L’essere umano ha esigenze biologiche che deve soddisfare. La necessità fa sì che nell'organismo ci pochissimo se non vengono selezionate per andare ad alimentare altri processi cognitivi. MODELLO TOTE Il TOTE è il metodo che tutti noi utilizziamo per organizzare le nostre azioni, i comportamenti e fare delle scelte. T.O.T.E. è l’acronimo di Test Operate Test Exit ed è stato creato da: George Miller, Eugine Galanter e Karl Pribram che presero ispirazione da una scienza appena nata, la scienza cibernetica. Questi tre studiosi furono anche gli autori del libro “Piani e Struttura del Comportamento” dove veniva spiegato come il nostro cervello lavora in due direzioni contemporaneamente, esegue processi e monitora tali processi. Il funzionamento del modello è suddiviso in 4 fasi: 1) TEST: verificare lo stimolo o il risultato 2) OPERATE: fare i cambiamenti necessari per ottenere risultati differenti 3) TEST: verificare i cambiamenti avvenuti. Se il risultato ottenuto non è soddisfacente tornare alla fase precedente e testare nuovamente. 4) EXIT: uscire dal modello TOTE e mettere in atto i comportamenti quando si è ottenuto i risultati voluti grazie ai cambiamenti apportati. Un esempio del modello TOTE è il primo giorno di guida. All’inizio ci rimane complesso anche far partire l’auto dopo aver inserito la marcia figuriamoci dover controllare gli specchietti e tener conto delle variabili esterne come i veicoli ed i segnali stradali. È un continuo TOTE (verifica, apporta cambiamenti, verifica, esci). Col tempo però queste azioni diventano automatiche e facilmente gestibili insieme ad altre. CRITICA DI CHOMSKY A SKINNER All’emerge della psicologia cognitiva Skinner pubblicò un libro intitolato “Verbal Behaviour“ (Comportamento verbale) in cui veniva proposto un’analisi del linguaggio dal punto di vista comportamentista. Questo libro però fu oggetto di un’aspra critica fatta da Noam Chomsky il quale disse che l’insistenza sul comportamento osservabile aveva fatto perdere di vista a Skinner alcuni degli aspetti importanti del linguaggio. Secondo Chomsky infatti il linguaggio si basa su regole mentali che ci consentono di comprendere e produrre parole e frasi nuove. ULRIC NEISSER L’entusiasmo dell’approccio della psicologia cognitivista fu espresso da Neisser nel libro “Cognitive Psychology” (Psicologia cognitiva) che divenne fondamentale nello sviluppo della psicologia cognitiva. Emerge la necessità di studiare i processi mentali e oggetto di studio della psicologia diventano processi come attenzione, memoria e percezione attraverso cui giungiamo ad ottenere una conoscenza del mondo attorno a noi. Come ho già detto l’emergere dei computer influì sul piano concettuale dei processi mentali i quali vennero visti come operazioni di elaborazione di informazioni. Si andò a consolidarsi così il paradigma noto come HIP (Human Information Processing). Questo paradigma cerca di capire quali sono le operazioni mentali che vengono fatte e si basa sul parallelismo mente e cervello che sono viste entrare in relazione tra di loro in maniera analoga alla interazione che intercorre tra il software e l’hardware di un computer. Come funziona questo paradigma? Gli stimoli vengono visti come degli input, che vengono elaborati all’interno della black box cioè all’interno della mente (black box perché lo scopo é proprio do cercare di capire quali tipo di elaborazioni avvengono), infine una volta elaborati abbiamo la risposta, l’output. Ma su che base avvengono queste elaborazioni mentali? Su rappresentazioni che ci siamo costruiti all’interno della nostra mente che contengono informazioni sul mondo esterno. Il nome di questo studio deriva da Lindsay e Norman. Norman studiava come fare a rendere le cose di tutti i giorni più semplici da usare tenendo conto di come funziona la mente. In questo diagramma si prevede che l'informazione colta dall'ambiente passi attraverso una serie di stadi. COGNITIVISMO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE La psicologia cognitiva cerca di costruire modelli di processi mentali simulabili al computer. Questo fa nascere un’affermazione: se è possibile simulare processi cognitivi individuali allora è possibile realizzare quella che si chiama intelligenza artificiale. Quest’idea per la prima volta venne in mente ad Alan Turing il quale pensò che l’attività della mente potesse essere concepita proprio come una serie di calcoli che vengono fatti sulla base di rappresentazioni del mondo. Un modo per capire se una macchina può effettivamente pensare come un uomo Turing lo fece mettendo in atto il test comportamentale, conosciuto oggi come test di Turing. Nel suo test Turing prese in considerazione un interrogante che, attraverso un terminale, si doveva rivolgere a un uomo e a un computer chiusi in due stanze diverse. Il compito dell’interrogante era capire attraverso delle domande fatte quale degli interlocutori fosse l’uomo e quale la macchina. La difficoltà però risiedeva nel fatto che gli interrogati potevano rispondere come credevano per cercare di ingannare il loro interrogante. Alla fine se l'interrogante aveva sbagliato e indovinato con la stessa frequenza, cioè se la macchina era riuscita a fingere e/o a convincere l'interrogante tanto bene quanto l'essere umano, allora questo secondo Turing era un indizio del fatto che la macchina può pensare. CRITICHE AL COGNITIVISMO L’approccio del cognitivismo con il passare del tempo venne criticato. Critiche arrivarono per esempio da Broadbent che in particolare criticò l’atteggiamento di andare a sviluppare modelli molto piccoli di processi mentali perché in questo modo si rischiava di andare a fare dei modelli sterili che non spiegavano il comportamento dell’organismo nel loro complesso. Questi modelli erano poi lineari cioè andavano a ignorare il fatto che spesso ci sono stadi successivi che vanno ad influenzare elaborazioni che avvengono in un secondo momento. Infine c’era il problema degli stadi. L’idea di separare uno stadio dall’altro era una semplificazione artificiale ma dove finisce uno stadio e dove inizia l’altro(?). Lo stesso Neisser neanche 10 anni dopo alla pubblicazione del manifesto del cognitivismo "La psicologia cognitiva" pubblicò un altro libro "Cognizione e realtà". Questo testo fu una delusione per molti perché si pensava che portasse avanti quello che aveva iniziato ma in realtà fu molto critico dell'approccio che si andava costituendo. Per primo criticò il fatto che il cognitivismo si stava molto chiudendo dentro i laboratori. Per secondo fece una critica a cosa fosse l’informazione perché si rese conto che c’era molta vaghezza nel definire cos’era. Le critiche che Neisser fece le prese riflettendo sui lavori di un altro psicologo, James Gibson che aveva scritto "Un approccio ecologico alla percezione visiva". Gibson rifiutava questo approccio rappresentazionale perché pensava che gli organismi cogliessero direttamente le informazioni che trovavano nell'ambiente cogliendo le proprietà più rilevanti. A tal proposito parlava di una percezione diretta delle informazioni che noi ricaviamo attraverso il flusso ottico (flusso ottico vuol dire come si modificano le immagini che riceviamo sul fondo della nostra lente nel momento in cui noi ci muoviamo nell'ambiente e l'ambiente o parte dell'ambiente si muove intorno a noi). Introdusse poi il concetto di affordances, l’idea che gli oggetti presentino delle caratteristiche che in qualche modo ne suggeriscano l’uso. Le ultime critiche vennero fatte in relazione al fatto che furono rilevate una serie di differenze fondamentali fra mente e programmi e cervello e computer: 1) Il computer svolge delle operazioni sequenziali mentre il cervello svolge le sue operazioni mentali in maniera diversa, in maniera parallela. 2) Differenza di velocità e di calcoli che vengono effettuati. 3) Differenza di accesso alle informazioni. Nel computer le memorie sono indicizzate mentre il cervello ha accesso ai contenuti della memoria per contenuto. 4) Modo in cui vengono scritti questi programmi. I computer vengono programmati da qualcuno mentre un cervello non viene programmato da nessuno ma apprende quello che sa fare attraverso l'esperienza. LA NASCITA DI UN NUOVO APPROCCIO - CONNESSIONISMO Karl Lashley condusse una serie di esperimenti in cui addestrava dei ratti a percorrere un labirinto. Dopo avere rimosso chirurgicamente parti diverse del cervello di questi animali Lashley misurava di nuovo la capacità dei ratti nel percorrere il labirinto perché sperava di riuscire in questo modo a individuare l'esatta area cerebrale in cui ha sede l'apprendimento. Purtroppo risultò che non vi era un'unica area coinvolta e da questi esperimenti trovò semplicemente che maggiore era l’area celebrale asportata e maggiori erano le difficoltà del ratto a percorrere il labirinto. Un passo in avanti venne però fatto dagli studi di Brenda Milner su un paziente, Henry Molaison (conosciuto anche come H.M. o Henry M.), che soffriva di una forma non trattabile di epilessia. Nel tentativo di fermare le crisi epilettiche i medici che avevano in cura Henry decisero di asportargli chirurgicamente alcune parti dei lobi temporali tra cui l’ippocampo. Quello che emerse dopo l’intervento è che Henry riusciva a conversare, a capire e usare il linguaggio ma riusciva a memorizzare per poco tempo le informazioni. Spesso per esempio dimenticava di aver mangiato o non riconosceva i membri del personale ospedaliero che ogni giorno gli prestavano assistenza. Questi studi hanno dimostrato che l’ippocampo ha un ruolo importante nell’introdurre una nuova informazione nella memoria a lungo termine. È da questi lavori che nasce un nuovo campo di ricerca noto oggi come neuroscienze del comportamento, un approccio che collega i processi psicologici alle attività del sistema nervoso. Inoltre grazie alle conquiste di nuove tecnologie si svilupparono tecniche non invasive di visualizzazione celebrale (neuroimaging) grazie alle quali fu possibile osservare quello che accade nel cervello di una persona mentre è impegnata in compiti come leggere, immaginare, ascoltare o ricordare. Tenendo conto di tutte le critiche che vennero fatte al cognitivismo negli anni 80 del 900’ si sviluppò il paradigma del connessionismo secondo il quale per studiare la mente è necessario studiare il sistema nervoso. Ispirati a queste proprietà del sistema nervoso un gruppo di studiosi iniziò a studiare le reti neurali artificiali, cioè dei programmi al computer che però simulano le reti neurali naturali. TIPOLOGIE DI RICERCA IN PSICOLOGIA Le ricerche in psicologia sono diverse. Possiamo avere una ricerca di base = quella ricerca che aggiunge ulteriore conoscenza alla conoscenza effettiva, e una ricerca applicata = che cerca di risolvere specifici problemi pratici. Poi come sappiamo la ricerca può avvenire sia in laboratorio che sul campo. Infine abbiamo la differenza sui dati. Abbiamo i dati raccolti dalla ricerca qualitativa e i dati raccolti dalla ricerca quantitativa. VARIABILI E MISURA Legato all'aspetto dei tipo di dati raccolti è importante parlare di variabili e misura. Che cos’è una variabile? Una variabile è la proprietà che il valore può assumere. Diventa quindi importante sapere come vado a definire queste variabili e a tal proposito si parla di definizione operativa cioè la descrizione di una proprietà in termini misurabili. Quello che è fondamentale quando vado a definire le variabili è che nel mio strumento di misura ci sia: - validità = la misura coglie davvero quello che intende misurare? - sensibilità = capacità dello strumento di cogliere la proprietà anche quando è presente in piccole quantità - affidabilità = tendenza dello strumento di produrre lo stesso risultato quando misura la stessa cosa - accuratezza/precisione = che margine di errore c’è nella misurazione. Riguardo alla misura è importante caratterizzare i diversi tipi di scale di misura che ci sono. A questo proposito citiamo Stanley Stevens che ha individuato 4 livelli di misura: - scala nominale - scala ordinale - scala a intervallo - scala a rapporti. STATISTICA DESCRITTIVA Una volta effettuato le osservazioni e ricavato risultati diventa importante trovare dei modi per riassumere l’insieme delle misure che ho ricavato. Per fare questo si ricorre alla statistica descrittiva, un insieme di tecniche per descrivere e riassumere dati. Il tipo di rappresentazione più comune è la distribuzione di frequenza = una rappresentazione grafica fatta in base al numero di volte in cui una misura è stata rilevata. Una distribuzione di frequenza può assumere qualunque forma ma molto comune è la cosiddetta curva a campana che nella terminologia specifica è chiamata distribuzione normale (è molto tipica dei fenomeni naturali) e presenta quasi sempre le stesse caratteristiche: la curva è simmetrica, ha un picco nel mezzo e va diminuendo gradualmente con l’avvicinarsi agli estremi. Una distribuzione di frequenza ci fornisce un quadro completo delle nostre misurazioni. Ma se noi vogliamo cogliere le informazioni essenziali di una distribuzione di frequenza come facciamo? Ricorriamo alle statistiche descrittive. Le più importanti sono quelle che descrivono la tendenza centrale e quelle che descrivono la variabilità di una distribuzione di frequenza. Le descrizioni della tendenza centrale riguardano le misure che tendono a essere al punto centrale di una distribuzione di frequenza e le tre più usate sono: -moda = il valore più frequente fra tutte le misure osservate, -media = il valore medio di tutte le misure osservate, -mediana = il valore centrale della distribuzione di frequenza cioè il valore maggiore o uguale a metà dei valori nella distribuzione e minore o uguale all’altra metà dei valori. Mentre le descrizioni della variabilità riguardano il grado in cui le misure differiscono fra di loro. Quella più semplice consiste nell’intervallo (o range) di variazione ovvero nell’intervallo compreso tra il valore più alto e il valore più basso di tutte le misure che compongono una distribuzione di frequenza. CORRELAZIONI TRA VARIABILI Quando ho due variabili che covariano cioè che variano in modo simile si parla di correlazione. Se su quella correlazione io formulo una previsione come faccio a sapere se sia accurata o no? Per esempio: io prevedo che una persona riposata avrà una maggiore capacità di ricordare. Sicuramente spesso avrò ragione ma ci sta che la previsione che ho fatto non sia sempre corretta. Per vedere se la mia previsione sarà accurata devo misurare la direzione e la forza della correlazione su cui la mia previsione è basata. Iniziamo dalla direzione che può essere positiva o negativa. Positiva quando al crescere dell’una cresce anche l’altra. Esempio: maggiore è la quantità di sonno e maggiore è la capacità di memoria e minore è la quantità di sonno e minore è la capacità di memoria. Negativa quando al crescere di una variabile l’altra diminuisce oppure quando al diminuire di una variabile l’altra cresce. Esempio: maggiore è il consumo di sigarette e minore è la longevità oppure minore è il consumo di sigarette e maggiore è la longevità. Per la forza invece è un po’ più complicato perché devo prendere in considerazione il coefficiente di correlazione di Pearsons un indice numerico che quantifica la forza e la direzione di una correlazione tra variabili che può variare da -1 a +1. Il segno + e - indicano la direzione ( + = destra mentre - = sinistra) mentre il valore di r indica con quanta sicurezza possiamo tratte previsioni. Più il valore di correlazione è basso e più che questi grafici assumono la forma di una nube sparsa. Viceversa, più il valore di correlazione è alto più tendono ad essere raggruppati lungo una linea. Io posso ottenere: - una correlazione positiva perfetta (r = 1) quando all’aumento del valore di una variabile aumenta anche il valore dell’altra variabile. Per esempio se con l’aumento del sonno di 30 minuti ricordo il nome di 2 presidenti degli Stati Uniti allora la quantità di sonno e la capacità di ricordare avrebbero una correlazione positiva perfetta. - una correlazione negativa perfetta (r = -1) quando all’aumento del valore di una variabile il valore dell’altra variabile diminuisce. Per esempio se con l’aumento del sonno di 30 minuti non ricordo il nome di 2 presidenti degli Stati Uniti allora la quantità di sonno e la capacità di ricordare avrebbero una correlazione negativa perfetta. - due variabili non correlate (r = 0) quando all’aumento di una variabile l’altra non aumenta né diminuisce. CORRELAZIONE E CASUALITÀ + ESPERIMENTI La correlazione tra due variabili però non implica per forza una casualità tra le due. Poniamo il caso che tra l’esposizione mediatica alla violenza e un comportamento aggressivo ci sia una forte correlazione. Io posso dire sulla base di questo che è l’esposizione alla violenza a causare un comportamento aggressivo? No. Perché? Perché per esempio bambini che per natura sono più aggressivi potrebbero avere una particolare propensione a cercare tutte le opportunità per utilizzare videogiochi violenti o per guardare spettacoli con scene di violenza. Oppure potrebbe esserci un’altra variabile che non è stata considerata ma che in realtà causa entrambe le variabili. La terza variabile potrebbe essere la mancata supervisione da parte dei genitori. Come facciamo allora? Si ricorre all’esperimento, una tecnica che ha lo scopo di individuare una relazione causale tra due variabili. La sperimentazione si svolge in 3 fasi: 1) si effettua la manipolazione di una variabile al fine di identificarne il potere causale. La variabile che viene manipolata prende il nome di variabile indipendente (indipendente perché in quanto manipolata dallo sperimentatore è indipendente da quello che fa il partecipante). Quando viene effettuata una manipolazione però è necessario formare due gruppi di partecipanti: -il gruppo sperimentale = cioè quello sottoposto alla manipolazione e -il gruppo di controllo = quello non esposto alla manipolazione. 2) si misura l’altra variabile cioè la variabile dipendente (dipendente perché dipende da quello che il partecipante fa). 3) verifico se la manipolazione della variabile indipendente ha prodotto dei cambiamenti. Importante poi per arrivare a concludere l’esperimento è controllare che tra i due gruppi di persone che partecipano all’esperimento non ci siano altre differenze se non quelle create da me sperimentatore che manipolo e stare attenti che l’assegnazione di una persona al gruppo sperimentale o di controllo avvenga in modo casuale. E chi sono le persone che gli psicologi osservano durante l'esperimenti? Solitamente viene osservato un campione, un insieme parziale di persone estratto dalla popolazione. Inoltre, gli esperimenti poi possono classificarsi in vari modi. Parliamo di disegno della ricerca per identificare il modo in cui uno studioso imposta uno studio di ricerca, manipola le variabili e verifica le ipotesi. Alcuni dei disegni sono: - disegni tra i soggetti = uso individui diversi in condizioni diverse. Esempio: prendo un gruppo di 10 bambini a cui faccio vedere un film violento e altri 10 bambini a cui faccio vedere una commedia. - disegni entro i soggetti = uso le stesse persone in tutte le condizioni sperimentali - disegni fattoriali = prendo in considerazione più di una variabile indipendente - disegni misti = prendo in considerazione più di una variabile indipendente ma di tipo diverso. Per esempio potrei avere una variabile manipolata da me sperimentatore e una variabile manipolata dai soggetti. ESEMPIO DI UN ESPERIMENTO (BOBO) Prendiamo come esempio l’esperimento condotto da Albert Bandura per capire meglio l’apprendimento per osservazione. Lo scopo era di verificare il ruolo dell’esposizione alla violenza sui bambini in età prescolare. Come venne svolto? Vennero prese in osservazione un campione formato da 48 maschi e 48 femmine. Il campione poi venne diviso in gruppi e a ogni gruppo venne fatto vedere una cosa diversa. I bambini di un gruppo uno per uno vennero portati all’interno di una stanza in cui erano presenti diversi giochi tra cui un Bobo doll (grande pupazzo di plastica). Poi all’interno della stanza entrava anche una persona adulta che si sedeva nell’angolo opposto a dove si trovava il bambino. La persona adulta inizialmente giocava con Bobo tranquillamente poi però iniziava ad aggredire il pupazzo picchiandolo, saltandoci sopra e tirandogli calci. Quando più tardi i bambini che avevano osservato questo comportamento venivano lasciati da soli con la possibilità di giocare in autonomia con i giocattoli quello che emerse è che con Bobo interagirono nella stessa maniera aggressiva con cui aveva interagito la persona adulta. Agli altri venne fatto osservare un film in cui un adulto attua comportamenti aggressivi su Bobo, un cartone animato in cui un personaggio attua comportamenti aggressivi su una versione a cartone di Bobo mentre un gruppo non venne sottoposto a nessun comportamento aggressivo. Che cosa emerse? Una differenza significativa tra i gruppi esposti a un comportamento aggressivo e il gruppo non esposto a nessun comportamento aggressivo. Nessuna differenza significativa tra Noticeable Difference) cioè la differenza appena rilevabile tra due stimoli. Un classico esperimento che Weber faceva riguardava l’osservazione delle diverse reazioni sensoriali dell’uomo rispetto alle variazioni di un peso. Vide che aumentando di una certa quantità il peso di un oggetto tenuto in mano la percezione dell’incremento del peso era tanto meno accentuata quanto più pesante era l’oggetto. Per esempio se io ho in mano un peso di 5 Kg e ne aggiungo un altro di 500 g la sensazione di variazione di peso è quasi impercettibile ma se invece parto inizialmente tenendo in mano un peso pari a 100 g e ne aggiungo uno di 500 g la sensazione di pesantezza sarà percepita con maggiore intensità. Da qui deriva la Legge di Weber = che dice che la minima differenza percettibile è costante ma indipendente all’intensità dello stimolo. Successivamente Fechner partendo dal lavoro svolto da Weber elaborò un’equazione matematica che permettesse di quantificare l'intensità di uno stimolo e la percezione che si ha di questo stimolo dunque l'intensità della sensazione. Questa equazione è conosciuta come Legge di Weber- Fechner. ADATTAMENTO SENSORIALE Se per esempio ci tuffiamo nell’acqua fredda all’inizio la temperatura percepita è quasi insopportabili ma dopo qualche minuto ci abituiamo. Da cosa dipende? È l’adattamento sensoriale, il fenomeno per cui una stimolazione prolungata porta la sensibilità a ridursi nel tempo perché l’organismo si adatta alla condizione in cui si trova. CATENA PSICOFISICA La catena psicofisica è un processo che ci permette di analizzare gli stimoli esterni ed elaborare la realtà. Come funziona? Abbiamo uno stimolo distale = energia emessa dagli oggetti nel mondo esterno che colpisce i nostri organi di senso, uno stimolo prossimale = i recettori sensoriali si attivano e traducano l'energia in impulsi nervosi. I nervi sensoriali poi trasmettono le informazioni al sistema nervoso centrale, e il precetto = la sensazione soggettiva percepita. Per capire meglio guardiamo la catena psicofisica nella vista. Per poter capire che cosa accade quando osserviamo qualcosa prima dobbiamo capire la luce. La luce può essere immaginata sotto forme di onde di energia. Le onde luminose hanno tre proprietà: 1) lunghezza = determina il colore 2) ampiezza o intensità = determina la luminosità della luce 3) purezza = determina la saturazione o l’intensità del colore. La luce che viene riflessa dall’oggetto entra nel nostro occhio attraverso la cornea trasparente. I raggi della luce vengono poi deviati per passare attraverso la pupilla che si trova al centro dell’iride (parte colorata dell’occhio). Dietro l’iride troviamo il cristallino (detto anche lente) che attraverso i muscoli interni dell’occhio viene appiattito se gli oggetti sono lontani o incurvandolo se gli oggetti sono vicini. Questo processo è detto accomodazione. In base alla curvatura del cristallino i raggi luminosi vengono di nuovo deviati e indirizzati sulla retina che riceve l’immagine e la trasforma in impulsi elettrici. Come fa? Attraverso i fotorecettori che sono: - i coni = che rilevano il colore e consentono la messa a fuoco dei dettagli fini, - i bastoncelli = che si attivano solo in condizioni di luce debole (visione notturna). I bastoncelli sono distribuiti su tutta la retina tranne che nella fovea (parte centrale della retina). I fotorecettori trasducono (= trasmettono) gli impulsi nervosi attraverso il nervo ottico al cervello. Nel cervello gli impulsi vengono elaborati e l’immagine prende forma. L’immagine prende forma però attraverso gli impulsi nervosi di entrambi gli occhi perché il nervo ottico dell’occhio destro e il nervo ottico dell’occhio sinistro nel chiasma ottico si incontrano e si incrociano. Quindi il nervo ottico del campo visivo destro va a finire nel campo visivo sinistro e il nervo ottico del campo visivo sinistro va a finire nel campo visivo destro. Di conseguenza le informazioni che provengono dal campo visivo destro finiscono nell'emisfero sinistro e quelle del campo visivo sinistro finiscono nell'emisfero destro. Dopo questo intreccio che avviene nel chiasma ottico il nervo ottico che emerge da entrambi gli occhi si dirige al nucleo genicolato laterale (LGN). Da qui l’informazione visiva contenuta negli impulsi si dirige verso la parte posteriore del cervello ovvero verso la corteccia visiva primaria (V1) dove viene elaborata per formare l’immagine. L’ORGANIZZAZIONE DEL CERVELLO VISIVO Man mano che ci spostiamo all’interno del sistema visivo troviamo che i neuroni visivi rispondono a stimoli sempre più complessi analizzati in vie parallele e separate. Le vie principali sono: - la via ventrale (via del cosa - what) = che comprende le aree del cervello coinvolte nel riconoscimento della forma e dell’identità di un oggetto - la via dorsale (via del come - how) = identifica la posizione e il movimento di un oggetto. ORGANIZZAZIONE PERCETTIVA La capacità del cervello di effettuare contemporaneamente l’analisi delle caratteristiche di un oggetto è detta elaborazione in parallelo. Tutti i processi di elaborazione però poi alla fine devono convergere insieme per avere una percezione unitaria dell’oggetto. Ma come convergono? Attraverso le regole di organizzazione percettiva (leggi della percezione visiva). Quali sono? - vicinanza = all’interno di un’immagine gli elementi tra loro vicini vengono percepiti come un elemento unitario. Grazie alla legge della vicinanza noi tendiamo a percepire le cose vicine tra loro in modo uniforme come se appartenessero ad un’unica forma - somiglianza = all’interno di un immagine gli elementi tra loro simili per forma, colore, dimensione, orientamento, chiarezza o spessore vengono percepiti come un elemento unitario - chiusura o completamento = in un’immagine linee e forme familiari vengono percepite come chiuse e complete anche se graficamente non lo sono - continuità. Un’altra scoperta della psicologia della Gestalt relativa alla percezione del mondo è l'articolazione figura-sfondo cioè la tendenza a riconoscere gli oggetti come figure che si staccano dallo sfondo. Per figura intendiamo quell’elemento che solitamente è delimitato da un contorno e per sfondo la parte dell’immagine che avvolge la figura. PERCEZIONE E REALTÀ È facile pensare che quello che percepiamo sia una copia fedele di quello che c'è fuori (questo atteggiamento viene chiamato realismo ingenuo) ma non è sempre così perché spesso posso non vedere qualcosa che invece nella realtà è presente come succede per esempio nelle figure nascoste o mascherate. Oppure al contrario posso vedere qualcosa che nella realtà non c’è come succede per esempio se guardo l’illusione ottica del Triangolo di Kanizsa. Oppure semplicemente posso vedere qualcosa ma in modo sbagliato da come è in realtà come succede per esempio nell’illusione Müller-Lyer. Questi errori prendono il nome di congiunzione illusoria. Ma perché succede questo? Perché come ho detto gli oggetti sono visti come delle figure che si staccano da uno sfondo. Quando questa distinzione non è chiara il nostro cervello ha difficoltà ad attribuire un significato a quello che i nostri occhi stanno vedendo. Edgar Rubin si basò su questo per sviluppare un’illusione ottica conosciuta come vaso di Rubin. Questa immagine può essere vista come un vaso bianco su uno sfondo nero oppure come due profili neri posti uno davanti all’altro su uno sfondo bianco. Questo succede perché il margine che dovrebbe separare la figura dallo sfondo non è ben assegnato. Lo studio dell’articolazione figura-sfondo ha portato poi alla scoperta di una serie di leggi: - legge dell’Inclusione = diventa figura la ragione inclusa - legge della convessità = diventa figura la regione convessa - legge dell’area relativa = diventa figura la regione di area minore - legge dell’orientamento = diventa figura la regione in cui gli assi sono allineati con gli assi verticali e orizzontali - legge della simmetria = diventa figura la regione simmetrica rispetto al suo asse rettilineo o curvilineo. PERCEPIRE LO SPAZIO IN 3D In che modo il cervello riesce a farci percepire la profondità di un oggetto e la sua distanza? La risposta sta in una serie di indizi di profondità. Questi sono: - indizi binoculari (indizi stereoscopici) = siccome i nostri occhi sono separati da uno spazio ciascun occhio registra una visione del mondo diversa. Questi indizi si basano proprio sulla differenza delle immagini registrate da entrambi gli occhi - indizi monoculari = sono basati sulle informazioni che vengono dai muscoli interni di un singolo occhio. Riguarda il processo di accomodamento e di convergenza. - indizi dinamici = sono basati sulle informazioni contenute nel modo in cui cambiano le immagini sulla retina a causa del nostro movimento nell'ambiente o del movimento degli oggetti nei nostri confronti - indizi pittorici = si chiamano indizi pittorici perché molto spesso sono stati messi a punto da dei pittori che cercavano dei mezzi per rappresentare in maniera più fedele la realtà. Gli indizi pittorici si basano per esempio sull’occlusione, sull’altezza dell’oggetto rispetto all’orizzonte, sull’ombreggiatura e sull’illuminazione. COSTANZE PERCETTIVE Legato alla profondità e al fatto che in base a dov'è il nostro punto di osservazione la proiezione che otteniamo su un oggetto cambia il nostro cervello deve sempre cercare di distinguere gli aspetti legati alle proprietà dell'oggetto dalle proprietà incidentali. Questo è il fenomeno delle costanze percettive. Da questo fenomeno sono nate numerose illusioni ottiche, come esempio possiamo prendere La stanza di Ames. Una stanza costruita in modo che vista frontalmente con un solo occhio da un piccolo foro sembri una stanza normale quando invece ha una forma trapezoidale. Inoltre il pavimento e il soffitto sono inclinati. Per effetto dell'illusione una persona in piedi in un angolo della stanza appare un gigante mentre un'altra persona situata nell'angolo opposto sembra minuscola. L’ATTENZIONE (non è sul libro, sto seguendo le sue lezioni). L’attenzione è un insieme di processi che ci danno la capacità di: - orientare le risorse mentali verso gli stimoli che provengono dagli oggetti nel mondo e dagli eventi di tutti i giorni continuamente. Che cosa intendiamo per coscienza? Uno stato soggettivo in cui abbiamo consapevolezza di cosa c'è nell'ambiente e di noi stessi come parte dell'ambiente. La difficoltà di studiare la coscienza è legata al fatto che è qualcosa di privato e soggettivo. Uno dei grandi misteri infatti è il cosiddetto problema delle menti altrui cioè la nostra difficoltà a percepire la coscienza delle altre persone perché la coscienza non si osserva quindi non posso sapere se gli altri sono sempre coscienti e non posso nemmeno sapere se le esperienze degli altri siano uguali alle mie. Per esempio io so come appare a me il colore rosso ma non posso sapere se appare allo stesso modo anche alle altre persone. Un ulteriore problema è legato al concetto di mente/corpo. Cartesio aveva sostenuto (dualismo cartesiano) che mente e corpo fossero due entità separare dove il corpo era visto come una macchina e la mente come una sostanza pensante. Oggi però sappiamo che la coscienza è legata a pattern di attività neurale. Questo anche grazie ad un esperimento fatto da Benjamin Libet. Ai partecipanti era richiesto semplicemente di muovere una mano. Situati però davanti ad un orologio dovevano dire il momento esatto in cui avevano preso la decisione cosciente di muovere la mano. La cosa che emerse dall’esperimento è che il nostro cervello inizia a mostrare un’attività elettrica prima della decisione cosciente di compiere un’azione. Tuttavia per quanto possa essere “oscura” la coscienza i ricercatori sostengono che abbia quattro proprietà: 1) proprietà dell’intenzionalità = la coscienza ha sempre un contenuto perché è sempre cosciente di qualcosa. 2) proprietà dell’unità = la coscienza ha la capacità di integrare in un unico insieme tutti gli input sensoriali che provengono da ogni parte del nostro corpo. 3) proprietà della selettività = la coscienza mentre integra in un unico insieme tutti gli input decide quali escludere 4) proprietà della transitorietà = ha la tendenza a cambiare, si agita di continuo. I LIVELLI DI COSCIENZA La coscienza non è qualcosa di unitario, ci sono diversi livelli. Prima di tutto dobbiamo distinguere la coscienza dallo stato di vigilanza che riguarda la capacità del cervello di mantenere il contatto con l’ambiente esterno durante la fase sonno/veglia. Al primo livello troviamo la coscienza minima = la capacità di rispondere agli stimoli ambientali. Si tratta della consapevolezza minima che possiamo avere per esempio quando siamo addormentati. Poi abbiamo la coscienza piena = che consiste nell’essere consapevoli del proprio stato mentale e di riferirlo. Si tratta dell’essere consapevoli dei nostri pensieri. Infine abbiamo la coscienza del sé = consiste nell’essere consapevoli di noi stessi in quanto oggetto. Quando per esempio siamo al centro dell’attenzione noi abbiamo piena consapevolezza di noi stessi. Per studiare la coscienza di sé Gordon Gallup utilizzò il test dello specchio. In che cosa consisteva? Consisteva nel marchiare con un segno rosso la fronte dell’animale e poi porlo davanti ad uno specchio. Se l’animale specchiandosi rivolgeva la sua attenzione al segno dimostrava di avere piena consapevolezza di sé perché percepiva che il segno era estraneo al suo corpo. I primi che furono sottoposti a questo test furono gli scimpanzé. FUNZIONI DELLA COSCIENZA Consapevolezza cognitiva = ci fornisce una maggiore consapevolezza di quello che c’è nel mondo Controllo dei processi cognitivi = comporta la capacità di monitorare i nostri processi mentali. Non tutto però è facile da monitorare. Per esempio quando le preoccupazioni prendano il sopravvento noi siamo in grado di esercitare un controllo mentale, che consiste nel tentativo di cambiare gli stati consci della mente, andando a sopprimere quel pensiero. Ma controllare la mente è veramente molto difficile perché quando cerchiamo di sopprimere un pensiero spesso abbiamo un effetto rebound (rimbalzo) cioè più cerchiamo di non pensare a una determinata cosa e più quella cosa si presenta nella nostra coscienza. Questi processi sono stati definiti processi ironici. E non tutti i processi mentali sono consci. Che cosa accade per esempio quando ci viene posto un problema semplice come quanto fa 5+4? A meno che per rispondere non dobbiamo usare le dita non succede niente, rispondiamo semplicemente. La risposta viene alla mente tramite passaggi che non ci richiedono di essere consapevoli eppure dei passaggi vengano fatti. Questo ci indirizza alla mente inconscia. Il primo ad interessarsi della mente inconscia sappiamo che fu Freud. Oggi però l’inconscio non è visto come lo descriveva lui ma è visto come un rapido processore automatico che influenza tutti i nostri pensieri, sentimenti e comportamenti. Infatti secondo la moderna visione cognitiva il nostro cervello possiede due sistemi: 1) indicato come Sistema 1 = si occupa dell’elaborazione veloce, automatica e inconscia. E interviene per esempio quando ci viene chiesto quanto fa 2+2(?) 2) indicato come Sistema 2 = si occupa dell’elaborazione lenta, impegnativa e conscia. E interviene per esempio quando ci viene chiesto quanto fa 245x32(?). IL SONNO Il sonno è uno stato in cui mente e cervello sembrano spegnere le loro funzioni. Ogni individuo ha un orologio biologico naturale della durata di circa 24 ore che si ripete ciclicamente e che regola l’alternanza tra sonno e veglia. Questo ciclo viene chiamato ritmo circadiano del sonno. Il ciclo del sonno però è molto più di una semplice routine acceso/spento. Quello che sappiamo sulle fasi del sonno avviene tramite la registrazione dell’attività del cervello attraverso elettrodi esterni, si tratta dell’elettroencefalogramma (EEG). Fase 1: addormentamento = le onde beta, che caratterizzano lo stato di veglia, vengono sostituite dalle onde alpha, che caratterizzano lo stato di rilassamento cioè lo stato in cui stiamo per addormentarci. Da questo punto entriamo nella fase del sonno Fase 2: sonno = arriva il sonno vero e proprio, la frequenza delle onde si abbassa e le onde alfa vengono sostituite dalle onde theta. Nonostante questo troviamo sempre dei picchi di attività elettrica, sono i cosiddetti complessi K. Come mai? Perché siamo sempre sensibili agli stimoli dei nostri sensi. Fase 3 e 4: sonno profondo = nella fase 3 e 4 siamo nel sonno profondo la frequenza delle onde è molto bassa e le onde theta sono sostituite dalle onde delta. Fase 5: sonno REM = arriviamo all’ultima fase del sonno caratterizzata da movimenti oculari rapidi e involontari e da un’elevata attività cerebrale. Nel corso di una notte noi più o meno ogni 90 minuti passiamo tra i vari cicli del sonno. I SOGNI Tutti noi facciamo dei sogni anche se a volte non ci sembra. La difficoltà di ricordare il sogno infatti è proprio una delle caratteristiche della coscienza onirica. Ma perché non lo ricordiamo? Per evitare di confondere quello che è avvenuto nella nostra mente dalla realtà. I sogni poi da quanto possono essere intensi e illogici a volte ci fanno provare emozioni molto forti. Comunque non tutti i sogni che facciamo sono fantastici e surreali perché molte volte consistono in frammenti di esperienza relativi a quello che abbiamo vissuto di recente o a quello che abbiamo fatto durante la giornata. Ecco perché spesso sono privi di senso. Il primo a proporre un’interpretazione dei sogni è stato Freud. Secondo la sua teoria i sogni rappresenterebbero i desideri ritenuti inaccettabili. Riteneva anche che l’argomento apparente di un sogno in realtà ne nascondesse il vero significato. Per esempio sognare un albero che brucia in un parco che si trova vicino alla casa in cui prima abitava un amico voleva significare per Freud la morte dell’amico. Un’altra teoria deriva dall’ipotesi dell’attivazione-sintesi secondo la quale i sogni sono prodotti perché il cervello cerca di dare un senso all’attività neurale casuale che avviene durante il sonno. Ma quando sogniamo nel cervello cosa succede? Per vedere ci siamo avvalsi della risonanza magnetica funzionale (fMRI) e abbiamo osservato che durante il sogno varie aree celebrali risultano attive. Per esempio, nei sogni spesso possiamo provare emozioni come la paura. Quando proviamo queste emozioni l’amigdala, che è coinvolta nelle risposte di eventi stressanti o minacciosi, dalla risonanza magnetica funzionale si vede che è attiva. Risulta invece non attiva per esempio la corteccia pre-frontale. Di solito le aree prefrontali sono associate alla pianificazione e all’esecuzione di azioni e spesso i sogni appaiono vaghi anche per questo motivo. I DISTURBI DEL SONNO Tutti desideriamo dormire bene ma a volte questo non succede. Tra i disturbi più comuni del sonno troviamo: - l’insonnia = difficoltà ad addormentarsi o a rimanere addormentati. Le cause dell’insonnia possono essere legate allo stile di vita delle persone, all’ansia o a qualsiasi altra condizione. - l’apnea del sonno = un disturbo in cui la persona smette di respirare per alcuni brevi periodi durante il sonno. - il sonnambulismo = fenomeno che si verifica quando la persona si alza dal letto e si mette a camminare nonostante sia addormentata. CAPITOLO 5: La memoria La memoria è la capacità di immagazzinare informazioni e di recuperarle nel corso del tempo. Per fare questo implica 3 procedimenti: 1) codifica = processo con cui le informazioni recepite tramite i sensi vengono acquisite 2) immagazzinamento = processo che permette di conservare le informazioni nella memoria nel corso del tempo 3) recupero = processo che riporta alla mente le informazioni in precedenza codificate e immagazzinate. CODIFICA Abbiamo tre diversi tipi di codifica: 1) codificazione semantica = mette in relazione nuove informazioni con conoscenze già immagazzinate tramite il significato. 2) codificazione visiva = consiste nell’acquisire nuove informazioni trasformandole in immagini mentali 3) codificazione organizzativa = classificare in categorie una serie di parole/oggetti in base alle loro relazioni. Molto camerieri per esempio prendano le ordinazioni senza annotarsi niente ma come - la memoria esplicita = quando le persone consciamente o intenzionalmente recuperano dalla memoria il ricordo di esperienze passate. Esistono due tipi di memoria esplicita: 1) la memoria semantica = l’insieme di fatti e concetti che formano la nostra conoscenza generale del mondo. 2) la memoria episodica = l'insieme delle esperienze personali passate avvenute in un tempo e in un luogo ben precisi. La memoria episodica ci permette di viaggiare all’indietro nel tempo ma ha un ruolo importante anche nel farci viaggiare in avanti. Questo venne scoperto da Endel Tulving tramite studi condotti su Kent Cochrane (conosciuto anche come paziente K.C), un uomo che a causa di un incidente in moto soffriva di amnesia. Kent non era in grado di ricordare nessun episodio del suo passato e quando gli veniva chiesto di immaginare un episodio sul futuro riferiva un vuoto. - la memoria implicita = quando le esperienze passate influenzano il nostro comportamento anche se non si sta cercando di ricordarle né si è consapevoli di ricordarle. Cioè i ricordi impliciti non vengono richiamati alla mente in maniera consapevole ma la loro presenza è implicita nelle nostre azioni. Esempi di memoria implicita sono l'essere capaci di andare in bicicletta o allacciarsi le scarpe. Questa conoscenza riflette un tipo di memoria implicita che è la memoria procedurale = imparare a fare le cose tramite la pratica. Le cose ricordate poi vengono automaticamente tradotte in azioni. Ma non tutti i ricordi impliciti sono di tipo procedurale perché possono dipendere anche dal priming = capacità di riconoscere uno stimolo al quale si è stati esposti una prima volta. In un esperimento ai partecipanti venne chiesto di studiare una serie di parole. Poi gli venne mostrato frammenti di parole e gli fu chiesto di completarle. Alcune furono completate con facilità mentre altre no. Le parole completate con facilità erano le stesse che avevano studiato nella lista. - la memoria collaborativa = cioè condividere i nostri ricordi in gruppo. Il ricordare insieme all’interno di un gruppo porta a richiamare alla memoria più informazioni di quante si riuscirebbe a ricordarne da soli. Inoltre quando i membri di un gruppo discutono insieme di ciò che hanno ricordato possono aiutarsi l'un l'altro a correggere e a ridurre gli errori di memoria. La memoria collaborativa però ha anche effetti negativi. Per esempio, facciamo imparare una lista di parole sia a un gruppo collaborativo sia a un gruppo nominale cioè un gruppo composto da individui che ricordano ognuno per conto proprio. Vedremo che il gruppo collaborativo ricorderà meno parole del gruppo nominale. Come mai? Una spiegazione probabile è che le strategie per ricordare le parole di ogni singola persona all’interno del gruppo si contrastino con quelle degli altri componenti. IL MODELLO DI ATKINSON E SHIFFRIN I primi modelli della memoria umana che sono stati proposti nascono dalla psicologia cognitiva. Esaminiamo quello proposto da Atkinson e Shiffrin. Il modello prevedeva tre sistemi: 1) il registro sensoriale = cattura l’informazione 2) magazzino a breve termine 3) magazzino a lungo termine ERRORI DELLA MEMORIA 1. Labilità Con il passare del tempo i ricordi vengono dimenticati. E possono essere anche distorti perché inizialmente la memoria mantiene una registrazione dettagliata dell’evento ma con il passare del tempo i dettagli vengono dimenticati. Infatti quando vogliamo ricordare quell’evento passato da tanto tendiamo a fare affidamento sui ricordi generali. 2. Distrazione Una mancanza di attenzione determina una dimenticanza. Come abbiamo visto infatti senza una giusta attenzione qualsiasi cosa ha meno probabilità di essere immagazzinata nella memoria a lungo termine. Un’altra fonte comune della distrazione è il dimenticarsi di fare ciò che abbiamo programmato per il futuro. Questo prende il nome di memoria prospettica = ricordarsi di fare le cose nel futuro. 3. Blocco È l’incapacità di recuperare informazioni nonostante ci si sforzi di raggiungerle. Come succede per esempio quando abbiamo la sensazione di avere le parole sulla lingua ma non ci vengano. 4. Attribuzione erronea del ricordo Consiste nell’attribuire un ricordo o un’idea alla fonte sbagliata. Un esempio di errata attribuzione è quando diciamo di aver avuto un déjà vu, la sensazione di aver già sperimentato qualcosa anche se non è successo. 5. Suggestionabilità Tendenza a incorporare nei ricordi personali dettagli fuorvianti provenienti da fonti esterne. 6. Distorsione o bias Consiste nelle influenze che le conoscenze, le convinzioni e le sensazioni del presente esercitano sui ricordi di esperienze passate alterandoli. Anche lo stato dell’umore può distorcere i ricordi di esperienze. Inoltre la distorsione può portarci a modificare il passato per renderlo coerente con il presente, a esagerare i cambiamenti avvenuti tra passato e presente o a ricordare il passato in un modo che ci fa apparire sotto una luce migliore. 7. Persistenza Consiste nel ricordare di avvenimenti che vorremmo poter dimenticare. Questo perché le esperienze emotivamente intense sono più facili da ricordare. CAPITOLO 6: L’apprendimento L’apprendimento è un processo che non si interrompe mai. Per definirlo possiamo dire che è l’acquisizione mediante l'esperienza di nuove conoscenze, abilità o risposte, che provocano in chi apprende un cambiamento di stato duraturo e stabile. Inoltre non è un processo unificato perché esistono diverse forme di apprendimento. A tal proposito esistono due fenomeni che sono diversi dall’apprendimento: - l’abituazione o assuefazione = è quel processo in cui l’esposizione ripetuta o prolungata a uno stimolo porta a una graduale riduzione della risposta. Per esempio mettiamo il caso che ci siamo appena trasferiti in una casa che si trova vicino ai binari della ferrovia. All’inizio ci viene naturale far caso al rumore che fa il treno quando passa. Con il passare del tempo però la nostra attenzione a quel rumore diminuisce. - sensibilizzazione = quando la presentazione di uno stimolo porta a un aumento della risposta a uno stimolo successivo. Le persone che hanno subito un furto nella propria abitazione per esempio possono diventare molto sensibili a rumori che prima non sentivano nemmeno. 1. APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO Consiste nel formare delle connessioni tra esperienze ed eventi che sono separati tra di loro ma che il nostro cervello associa. Si distinguono due tipi di apprendimenti associativi: 1) condizionamento classico = è un processo che avviene senza che noi lo vogliamo e consiste nell'associare uno stimolo neutro a uno stimolo o a un evento significativo. L’associazione che si va a formare quindi è tra stimolo e stimolo (S-S). 2) condizionamento operante = consiste nel rinforzare i comportamenti di un organismo per verificare se il comportamento sarà ripetuto oppure no. L’associazione che si va a formare quindi è tra stimolo e risposta (S-R). CONDIZIONAMENTO CLASSICO Il condizionamento classico fu quello scoperto e studiato da Ivan Pavlov. Pavlov voleva studiare la produzione di saliva prodotta dai cani quando vedevano del cibo. I suoi studi hanno però rivelato i meccanismi di una forma di apprendimento che venne chiamata condizionamento classico. Il condizionamento classico si ha quando uno stimolo neutro arriva a evocare una data risposta dopo essere stato abbinato a uno stimolo che spontaneamente suscita quella risposta. Pavlov si rese conto che i cani non salivavano soltanto alla vista del cibo ma anche alla vista degli inservienti che gli portavano da mangiare. Come mai? Per darsi una spiegazione Pavlov sviluppò una procedura. Definì la presentazione del cibo stimolo incondizionato (Si) e la salivazione risposta incondizionata (RI). Poi decise di abbinare allo stimolo incondizionato quindi alla presentazione del cibo il suono di un campanello che definì stimolo condizionato (SC). Questa fase in cui lo stimolo condizionato e lo stimolo incondizionato vengono presentati insieme la chiamò acquisizione. Ovviamente all'inizio al solo suono del campanello il cane non salivava ma quando al cibo, quindi stimolo incondizionato, per un po' di tempo viene abbinato il suono del campanello, quindi stimolo condizionato, il cane impara ad associare il cibo al suono e alla fine il solo suono del campanello, quindi il solo stimolo condizionato, sarà sufficiente a produrre la salivazione. La salivazione prodotta da uno stimolo condizionato Pavlov la chiamò risposta condizionata. Dopo che un condizionamento classico si è stabilizzato Pavlov passò ad osservare un fenomeno detto condizionamento di secondo ordine. Come? Allo stimolo condizionato quindi al suono del campanello Pavlov abbinò un quadrato nero. Dopo un certo numero di volte i cani iniziarono salivare alla vista del quadrato nero anche se il quadrato non era mai stato direttamente associato al cibo. Dopo aver indagato sul processo di acquisizione Pavlov si domandò che cosa sarebbe successo se avesse continuato a presentare il suono del campanello quindi lo stimolo condizionato e invece smesso di presentare il cibo ovvero lo stimolo incondizionato. Come ci possiamo immaginare il cane smise di salivare al suono del campanello. Questo processo prende il nome di estinzione. Si chiese poi se l'eliminazione della risposta condizionata quindi della salivazione fosse permanente quindi se bastasse soltanto una fase di estinzione per eliminare completamente la risposta condizionata. Per indagare Pavlov lasciò che i cani avessero un breve periodo di pausa. Dopo di che gli animali furono riportati nel laboratorio e di nuovo gli venne presentato lo stimolo condizionato i cani mostrarono un recupero spontaneo. Infine Pavlov ha studiato anche il fenomeno della generalizzazione e della discriminazione. La generalizzazione si ha quando la risposta condizionata avviene anche se lo stimolo condizionato è leggermente diverso da quello usato durante la fase di acquisizione. La discriminazione si ha quando la risposta condizionata avviene anche se lo stimolo condizionato è leggermente diverso da quello usato durante la fase di acquisizione ma diminuisce. PROCESSI DI CONDIZIONAMENTO Skinner studiò poi l’efficacia dell’apprendimento in base al modo in cui veniva fornito il rinforzo. Nascono così gli schemi di rinforzo. Le due forme più importanti sono gli schemi a intervallo = basati sull'intervallo di tempo tra un rinforzo e l'altro, e gli schemi a rapporto = basati sul rapporto numerico fra le risposte e i rinforzi. Iniziamo con gli schemi a intervallo che possono essere: - schemi a intervallo fisso = i rinforzi vengono forniti a intervalli di tempo fissi purché sia stata data la risposta corretta. Quindi in uno schema a intervallo fisso di 2 minuti la risposta verrà rinforzata ma solo trascorsi 2 minuti dall'ultimo rinforzo. Sottoposti a questi schemi i ratti e i piccioni nella Skinner box produssero pattern comportamentali prevedibili. Cosa mostrarono? Una scarsa risposta immediatamente dopo la presentazione del rinforzo ma avvicinandosi la fine del successivo intervallo di tempo produssero tutta una serie di risposte in rapida successione. Allo stesso modo possiamo dire che si comportano molti studenti. Studiano con un impegno basso ma quando arriva l'avvicinarsi di un esame si immergono nello studio. - schemi a intervallo variabile = un comportamento viene rinforzato secondo un valore medio. In uno schema a intervallo variabile di 2 minuti le risposte verranno rinforzate in media ogni 2 minuti ma non dopo i 2 minuti. E che tipo di comportamento producono? Solitamente producono risposte costanti e regolari perché è meno possibile prevedere quanto tempo trascorrerà fino al rinforzo successivo. Passiamo agli schemi a rapporto che possono essere: - schemi a rapporto fisso = il rinforzo viene fornito dopo che è stato prodotto numero specifico di risposte. - schemi a rapporto variabile = il rinforzo è fornita in base al numero medio di risposte. Gli schemi a rapporto variabile producono tassi di risposta leggermente più alti di quelli a rapporto fisso perché l'organismo non sa mai quando comparirà il rinforzo successivo. MODELLAMENTO Skinner si accorse che a volte faceva fatica a insegnare agli animali il comportamento che voleva fargli produrre. Infatti mettendo il ratto dentro la Skinner box con l’aspettativa che l’animale premesse la leva finiva per aspettare molto tempo. Allora riflettendo disse: provo a rinforzare tutte le azioni che non sono l’azione desiderata ma vanno nella direzione dell’azione giusta. E così fece. Ogni volta che il ratto guardava la leva Skinner gli dava del cibo come ricompensa di modo da rinforzare il dirigersi verso la leva e rendere il movimento di premerla più probabile. Gli forniva altro cibo anche quando il ratto faceva un passo verso la leva. Da qui affermò che la maggior parte dei nostri comportamenti sono il risultato del modellamento (o shaping). Da qui abbiamo capito che una delle chiavi per formare un comportamento operante stabile è la correlazione tra la risposta dell’organismo e il presentarsi di un rinforzo. Però il fatto che due cose siano correlate quindi che tendono a verificarsi insieme non implica che siano legate da una relazione casuale cioè che il verificarsi dell’una comporti per forza il verificarsi dell’altra. Skinner organizzò un esperimento in grado di dimostrare questa differenza. Mise alcuni piccioni all'interno di una Skinner box, programmò il distributore automatico in modo che dispensasse il cibo a ogni gabbia ogni 15 secondi e poi lasciò che gli uccelli facessero ciò che volevano. Quando tornò vide che gli uccelli beccavano senza scopo in un angolo della gabbia. Perché? Per Skinner quei piccioni stavano ripetendo comportamenti che erano stati casualmente rinforzati perché un piccione a cui era capitato che il rinforzo del cibo comparisse mentre stava per caso beccando in un angolo della gabbia aveva collegato l’arrivo del cibo a quel comportamento. Quindi i piccioni di Skinner agivano come se ci fosse una relazione casuale tra i loro comportamenti e la comparsa del cibo ma in realtà si trattava solo di una correlazione accidentale. 2. APPRENDIMENTO PER OSSERVAZIONE È quell’apprendimento che si verifica guardando le azioni degli altri. E non si verifica solo negli esseri umani ma anche in molte specie animali. Un esperimento molto importante sull’apprendimento per osservazione venne fatto Albert Bandura. Lo scopo era di verificare il ruolo dell'esposizione alla violenza sui bambini in età prescolare. Come venne svolto? Vennero prese in osservazione un campione formato da 48 maschi e 48 femmine. Il campione poi venne diviso in gruppi e a ogni gruppo venne fatto vedere una cosa diversa. I bambini di un gruppo uno per uno vennero portati all'interno di una stanza in cui erano presenti diversi giochi tra cui un Bobo doll (grande pupazzo di plastica). Poi all'interno della stanza entrava anche una persona adulta che si sedeva nell'angolo opposto a dove si trovava il bambino. La persona adulta inizialmente giocava con Bobo tranquillamente poi però iniziava ad aggredire il pupazzo picchiandolo, saltandoci sopra e tirandogli calci. Quando più tardi i bambini che avevano osservato questo comportamento venivano lasciati da soli con la possibilità di giocare in autonomia con i giocattoli quello che emerse è che con Bobo interagirono nella stessa maniera aggressiva con cui aveva interagito la persona adulta. Agli altri venne fatto osservare un film in cui un adulto attua comportamenti aggressivi su Bobo, un cartone animato in cui un personaggio attua comportamenti aggressivi su una versione a cartone di Bobo mentre un gruppo non venne sottoposto a nessun comportamento aggressivo. Che cosa emerse? Una differenza significativa tra i gruppi esposti a un comportamento aggressivo e il gruppo non esposto a nessun comportamento aggressivo. Nessuna differenza significativa tra le diverse tipologie di esposizione. Differenza significativa nel reagire dopo l'esposizione alla violenza tra maschi e femmine. Inoltre ulteriori ricerche hanno poi mostrato come l'apprendimento per osservazione tende a propagarsi tramite un processo definito catena di diffusione. Quel processo in cui alcuni individui apprendono un comportamento osservando altri individui per poi metterlo in atto e diventare loro stessi modelli da cui altri individui apprenderanno quel comportamento. I NEURONI SPECCHIO PER L’APPRENDIMENTO OSSERVATIVO L’apprendimento osservativo implica anche una componente neurale. I neuroni specchio generano impulsi quando un’animale compie un’azione. Per esempio quando una scimmia cerca di prendere un pezzo di cibo i neuroni specchio generano impulsi. Alcuni ricercatori hanno scoperto che i neuroni specchio generano impulsi anche quando viene osservato fare la stessa azione. Per esempio i neuroni specchio generano impulsi quando le scimmie osservano altre scimmie oppure gli esseri umani prendere un pezzo di cibo. È stato anche scoperto che l'attività di questi neuroni è come se fosse in grado di codificare la finalità di un dato movimento. Infatti quando l’afferrare il cibo viene poi seguito dall’azione del mangiare abbiamo una massima attività dei neuroni. La massima attività si ha anche quando l’animale osserva l’essere umano prendere il cibo e portarlo alla bocca per mangiare. 3. APPRENDIMENTO CULTURALE L’apprendimento culturale, secondo una teoria proposta da Michael Tommasello, è un processo che sta alla base dei fenomeni di trasmissione, formazione ed evoluzione della cultura. E si basa sul fatto che le persone in una situazione sociale interagiscono tra di loro e collaborano. Propone tre diverse forme di apprendimento culturale: 1) apprendimento per imitazione È quell’apprendimento che si verifica quando una persona osserva gli altri e poi riproduce consapevolmente quell’azione per raggiungere lo stesso scopo che hanno raggiunto gli altri tramite quel comportamento. È un comportamento che emerge nella fascia di età dei 9-14 mesi. 2) apprendimento istruito Consiste nell’interiorizzare le istruzioni che ci vengono fornite su come svolgere un compito. Ma consiste anche nell’apprendere la comprensione che l’istruttore ha del compito. Da questo tipo di apprendimento possiamo individuare la teoria della mente altrui = la capacità di attribuire stati mentali (intenzioni, desideri, emozioni o conoscenze) a sé stessi e agli altri e la capacità di comprendere che gli altri hanno stati mentali diversi dai propri. Questo tipo di comportamento si manifesta intorno ai 4/5 anni. 3) apprendimento collaborativo Non è un apprendimento in cui qualcuno insegna a qualcun altro ma avviene quando due persone collaborano insieme per risolvere un problema. Questo tipo di comportamento emerge intorno ai 6/7 anni. 4. APPRENDIMENTO INDIVIDUALE Consiste nell’acquisire nuove informazioni attraverso l'esperienza personale nell'interazione diretta con l'ambiente. 5. APPRENDIMENTO SOCIALE È la capacità di acquisire nuove conoscenze e pratiche tramite e con i propri simili. Quali sono le sue caratteristiche? È attendibile, perché le procedure per risolvere un determinato compito sono già state verificate, e svolge una funzione di coesione sociale. Un limite di questo apprendimento è legato al fatto che in situazioni di instabilità e di cambiamento si tende a mettere in pratica forme di comportamenti che possono risultare non valide. E ritorna importante apprendere individualmente. CAPITOLO 7: Le emozioni L’emozione è un’esperienza positiva o negativa associata a un particolare pattern di attività fisiologica. Per capire come l’emozione e l’attività fisiologica siano correlate sono state fatte numerose teorie. La prima venne proposta da William James il quale riteneva che le emozioni non sono altro che la percezione delle nostre risposte corporee. Per esempio se mentre siamo a fare una passeggiata nel bosco vediamo un orso il nostro cuore batte più forte e i muscoli entrano in tensione. In questo modo per James abbiamo fatto esperienza della paura. Dopo James intervenne Carl Lange proponendo un’ipotesi molto simile. Le due teorie infatti sono state unite e hanno dato vita alla teoria di James-Lange = secondo la quale uno stimolo innesca una risposta corporea che a sua volta produce un’esperienza emozionale. Quindi secondo questa teoria le esperienze emozionali sono la conseguenza delle nostre reazioni corporee. Contrari a questa teoria furono Walter Cannon e Philip Bard che proposero la teoria di Cannon- riferisce al significato della frase e -la struttura superficiale = che si riferisce al modo in cui una frase è espressa in parole. SVILUPPO DEL LINGUAGGIO Fra gli 0-4 i neonati sanno discriminare i suoni linguistici ma non sanno riprodurli bene. Fra i 4-6 mesi inizia la lallazione. Fra i 10-12 mesi iniziano a pronunciare le prime parole. Fra i 12-18 mesi i bambini hanno un vocabolario ridotto di parole ma riescono a comprenderne molte di più. Intorno ai 2 anni cominciano a formare frasi di due parole. Queste frasi sono definite linguaggio telegrafico. Infine intorno ai 3 anni i bambini iniziano a formulare frasi semplici e complete che includono parole grammaticali. Per esempio dammi la palla. Come possiamo vedere lo sviluppo del linguaggio avviene tramite una sequenza di tappe in cui un determinato livello deve consolidarsi prima che si possa passare a quello successivo. Possono gli animali imparare il nostro linguaggio? Sono stati fatti diversi tentativi per far imparare il nostro linguaggio alle scimmie. Quello che è emerso è che sono in grado di apprendere un nuovo vocabolario e di costruire frasi semplici ma hanno forti limitazioni. TEORIE DELLO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO Durante lo sviluppo i bambini acquisiscono le regole grammaticali senza ricevere nessun insegnamento esplicito. Secondo una risposta comportamentista di Skinner l’apprendimento del linguaggio si basa sui principi del condizionamento operante quindi tramite rinforzi (qualunque stimolo o evento che faccia aumentare le probabilità che il comportamento verificato si verifichi di nuovo), punizioni (qualunque stimolo o evento che faccia diminuire le probabilità che il comportamento verificato si verifichi di nuovo) e modellamento (apprendimento che scaturisce dal rinforzo di approssimazioni successive a un comportamento finale desiderato). Secondo la teoria innatista di Chomsky invece gli esseri umani nascono con una predisposizione biologica ad elaborare il linguaggio. Chomsky quindi considera il linguaggio come un’abilità innata. Infine secondo la teoria interazionista nonostante i bambini nascano dotati della capacità innata di apprendere il linguaggio le interazioni sociali svolgono un ruolo importante. AREA DI BROCA E DI WERNICKE L’elaborazione del linguaggio comprendono principalmente due aree. L’area di Broca (prende il nome di Paul Broca) si trova nella corteccia frontale sinistra ed è coinvolta nella produzione del linguaggio. Un danno a quest’area infatti mantiene la capacità di comprendere il linguaggio ma non si ha più la capacità di articolarlo. L’area di Wernicke (prende il nome di Carl Wernicke) si trova nella corteccia temporale sinistra ed è coinvolta nella comprensione del linguaggio. Un danno a quest’area mantiene la capacità di articolare il linguaggio nonostante tenda ad essere privo di significato e comporta difficoltà a comprenderlo. Tuttavia anche l’emisfero cerebrale destro è importante all’elaborazione del linguaggio. VANTAGGI E SVANTAGGI DEL BILINGUISMO Il bilinguismo porta vantaggi nelle fasi più avanzate della vita. Studi hanno mostrato come nelle persone bilingue l’alzheimer tende ad essere più tardivo. Inoltre, imparare una seconda lingua in età precoce fa aumentare la densità della materia grigia nel cervello. Tuttavia il bilinguismo porta anche degli svantaggi. Le persone bilingue tendono ad avere un vocabolario più ristretto e elaborano il linguaggio più lentamente. LINGUAGGIO E PENSIERO La psicologia oggi tratta i fenomeni mentali come processi cognitivi = quei processi attraverso i quali un organismo acquisisce informazioni sull'ambiente e le elabora a livello di conoscenze. Queste conoscenze poi vengono organizzate in un sistema di categorie. Il modo in cui formiamo le categorie riflette la nostra storia personale, il nostro rapporto con l'ambiente e cosa è rilevante per noi per sopravvivere meglio ad un ambiente. Per spiegare come avviene questa categorizzazione sono state elaborate tre teorie: - teoria della somiglianza di famiglia (di Wittgenstein) = i membri di una categoria hanno tratti comuni ma possono non essere condivisi da tutti. Questa rete di somiglianze e differenze assomiglia a quello che accomuna i membri di una famiglia. Nessun volto ha in comune tutte le caratteristiche di un altro volto ma ciascun membro ha in comune qualcosa con gli altri. - teoria dei prototipi (di Eleanor Rosch) = non tutti i membri di una categoria sono rappresentativi allo stesso modo della categoria. L’esponente più tipico è il prototipo con cui si confrontano i nuovi oggetti. - teoria degli esemplari = confrontiamo i nuovi oggetti con i ricordi immagazzinati in memoria degli esemplari già incontrati della stessa categoria. PRINCIPI DI CATEGORIZZAZIONE Eleanor Rosch individuò due principi fondamentali nei processi di categorizzazione: 1) principio di economia cognitiva Il nostro cervello cerca di sfruttare le categorie in maniera da avere più informazioni possibili con il minimo sforzo. Questo comporta: 1) la capacità di discriminare oggetti diversi, che porta ad un aumento del numero di categorie 2) la capacità di raggruppare oggetti diversi ma simili tra loro, che porta alla diminuzione del numero di categorie. 2) principio della struttura del mondo percepito = si riferisce alla struttura dell'informazione che proviene dall'ambiente ed afferma che il mondo percepito si presenta a noi come informazione strutturata. In virtù di questi due principi, sempre per Eleanor Rosch, il sistema delle categorie risulta essere organizzato nella nostra mente in base a due dimensioni: 1) dimensione verticale = si riferisce alla generalità del concetto (rappresentazione mentale che raggruppa caratteri comuni di oggetti, eventi o altri stimoli) e ha una struttura gerarchica nel senso che gli oggetti possono essere organizzati in base a livelli diversi di astrazione. Per esempio un gatto può essere categorizzato in: “essere vivente” - “animale” - “mammifero” - “gatto siamese”. All’interno di tutti questi livelli il livello base è quello che usiamo spontaneamente perché permette di elencare facilmente le caratteristiche condivise con gli altri membri. 2) dimensione orizzontale = riguarda le relazioni tra i membri di una stessa categoria. CATEGORIE FUNZIONALI e AD-HOC Le categorie di cui si è occupata Rosch sono le categorie che ci formiamo in base alla nostra esperienza. Esistono però anche altre categorie. A tal proposito troviamo le categorie funzionali = che si basano sullo scopo. Per esempio ho tre oggetti una matita, una calcolatrice e un foglio a quadretti. Questi oggetti sono tipicamente usati per fare il compito di matematica. Poi troviamo le categorie ad-hoc (formulate da Larry Barsalou) = le quali vengono create sul momento per risolvere un problema che posso avere in un determinato momento. Per esempio c’è vento e ho bisogno di tenere ferma la porta. Oggetti come un sasso, una sedia e un mattone possono formare una categoria. GIUDIZI E PRESE DI DECISIONI Le categorie analizzate di sopra ci servono da guida per le decisioni e i giudizi che formuliamo durante la giornata. Che cosa si intende per giudizio? È il processo attraverso il quale si formano opinioni, si traggono conclusioni e si fanno valutazione degli eventi o delle persone. Che cosa si intende per presa di decisione? Processo attraverso il quale si sceglie tra più alternative. Ma come vengono effettuate queste decisioni? Se fossimo razionali attraverso la teoria della scelta razionale = secondo la quale la decisione viene stabilendo quale probabilità ha una certa cosa di accadere, giudicando il valore dell’esito e poi moltiplicando tra loro i due fattori. Qual è il problema? La nostra razionalità è sia limitata che imperfetta perché non possiamo sempre prevedere quello che succederà in base alle nostre scelte e senza prevedere è difficile fare una scelta razionale. Quindi in realtà la maggior parte delle decisioni le prendiamo in condizioni di incertezza. E come facciamo a scegliere? Generalmente basiamo le nostre scelte e giudizi su delle scorciatoie mentali. Queste prendono il nome di euristiche e sono procedure compiute in maniera intuitiva che richiedono poco sforzo. In genere producono buoni risultati però quando non compiono un giudizio ben accurato portano a commettere degli errori. Abbiamo diversi tipi di euristiche: - euristica della disponibilità = tendenza a basare i nostri giudizi in base alla facilità con cui ci vengono in mente esempi simili. - euristica della rappresentatività = tendenza a basare i nostri giudizi confrontando un oggetto o un evento con un prototipo dell’oggetto o dell’evento. - fallacia della congiunzione = tendenza a pensare che due eventi abbiano più probabilità di verificarsi insieme che di verificarsi singolarmente. Questo comporta un’errata concezione del caso. Quando giochiamo per esempio alla roulette dopo che esce tante volte il rosso tendiamo a credere che la prossima volta uscirà il nero. In realtà ogni evento è indipendente dagli altri per cui la probabilità di ottenere nero dopo aver fatto cinque volte rosso è sempre la stessa. EFFETTI DEL CONTESTO O FRAMING È il fenomeno per cui si danno risposte diverse allo stesso problema in base al modo in cui il problema è stato espresso. Uno degli effetti del contesto è la cosiddetta fallacia dei costi irrecuperabili = che si verifica quando le decisioni vengono prese basandosi sui costi fatti precedentemente. BIAS DELL’OTTIMISMO Infine la decisione risulta essere influenzata anche dal cosiddetto bias dell’ottimismo = la tendenza delle persone a credere di avere in confronto alle altre più probabilità di avere fortuna. quindi il feto può risentire gli effetti dei cibi mangiati dalla donna. Si chiama teratogeno qualsiasi sostanza che passando dalla madre al feto danneggia il suo processo di sviluppo. All’interno del grembo inoltre il feto riesce ad ascoltare i suoni. PRIMA INFANZIA La prima infanzia è la fase dello sviluppo che inizia con la nascita e dura fino a un'età compresa tra 18 e 24 mesi. Alla nascita i bambini hanno una portata visiva limitata ma sono in grado di vedere e ricordare quello che gli viene mostrato. Diverso è per il movimento perché i bambini non imparano da subito il movimento motorio. Lo sviluppo motorio è infatti l'emergere della capacità di compiere azioni fisiche e tende ad obbedire a due regole generali: - legge cefalo-caudale = tendenza delle abilità motorie a emergere in sequenza procedendo dalla testa verso i piedi. I bambini tendono infatti ad acquisire prima il controllo della testa, poi delle braccia e del tronco e infine delle gambe. - legge prossimo-distale = tendenza delle abilità motorie a emergere in sequenza procedendo dal centro alla periferia. Tuttavia imparano molto presto a estendere un braccio verso un oggetto o ad afferrare perché i neonati nascono dotati di una serie di riflessi. Ma i neonati sono anche in grado di pensare? Lo sviluppo cognitivo è il processo con cui durante tutta l'infanzia il bambino acquisisce la capacità di pensare e di capire. Jean Piaget si dedicò a studiare questo e secondo lui lo sviluppo cognitivo del bambino passa attraverso quattro stadi: 1) stadio senso-motorio = attraverso i movimenti e i sensi il bambino impara ad acquisire informazioni sul mondo e inizia a svilupparsi schemi. Per esempio se impara che tirando un giocattolo questo si avvicina in un’altra situazione in cui vorrà avvicinare un altro oggetto applicherà lo stesso movimento. Piaget chiamò questo processo assimilazione = processo che avviene quando il bambino applica un proprio schema a una situazione nuova. Ovviamente poi se capita che tiri la coda al gatto questo non si avvicinerà a lui ma scapperà quindi il bambino dovrà rivedere il proprio schema di tirare per avvicinare le cose. Piaget chiamò questo processo accomodamento = processo che avviene quando il bambino rivede il proprio schema alla luce di nuove informazioni. SECONDA INFANZIA La seconda infanzia = è il periodo che comincia tra i 18 e i 24 mesi e dura fino agli 11-14 anni. Secondo Piaget la seconda infanzia coincide con l’inizio dello 2) stadio pre-operatorio = che comincia intorno ai 24 mesi e dura fino ai 6 anni. All’interno di questo stadio i bambini pensano in modo egocentrico cioè pensano che le cose che appiano in un modo nella loro mente appaiano in quel modo anche nella realtà. 3) stadio operatorio concreto = comincia intorno ai 6 anni e si conclude intorno agli 11 anni. È lo stadio in cui si comprende la nozione di conservazione cioè che gli oggetti hanno proprietà durevoli (non cambiano) nonostante alcune modificazioni nell’aspetto esteriore dell’oggetto stesso. E qui i bambini si rendono conto che il modo in cui il mondo appare e il modo in cui il mondo è possono essere ben diversi. 4) stadio operatorio formale = comincia intorno agli 11 anni. Qui il bambino è in grado di pensare in modo logico su concetti astratte e ipotetici. Infine quando i bambini comprendono che loro stessi come le altre persone hanno una mente e che la mente rappresenta il mondo in modo diverso si dice che il bambino ha acquisito una teoria della mente = la comprensione del fatto che la mente produce rappresentazioni del mondo e che tali rappresentazioni guidano il comportamento. Nonostante le teorie di Piaget non fossero sbagliate gli psicologi moderni vedono lo sviluppo cognitivo progredire in maniera più fluida e in maniera molto più veloce. LO SVILUPPO DEI LEGAMI AFFETTIVI DURANTE LA 1º E 2º INFANZIA Gli esseri umani hanno bisogno di poter restare vicino alla mamma. E come lo fanno? Piangendo o sorridendo perché sono segnali a cui gli adulti rispondo. John Bowlby si dedicò a capire in che modo si stabilisce l’attaccamento dei bambini alle figure che lo accudiscono. Secondo Bowlby i bambini sono predisposti a sviluppare un attaccamento alla persona che risponde meglio ai loro richiami (caregiver primario). Per determinare lo stile di attaccamento Mary Ainsworth ha sviluppato quello che è diventato noto con il nome di test della Strange Situation: la figura di accudimento e il bambino vengono portati in una stanza poi ad un certo punto la figura di accudimento lascia la stanza per ritornare dopo un po’ di tempo. Le reazioni all’entrata della figura di accudimento hanno portato a individuare quattro tipi di attaccamento: 1) attaccamento sicuro = i bambini possono oppure no mostrare stress. Quelli non stressati dall’assenza accolgono la figura di accudimento con un saluto mentre quelli stressati dall’assenza gli vanno subito incontro. 2) attaccamento evitante = non mostrano segni di stress durante l’assenza e quando la figura di accudimento rientra non la accolgono 3) attaccamento ambivalente = quando la figura di accudimento lascia la stanza i bambini mostrano segni di stress ma quando la figura rientra la rifiutano 4) attaccamento disorganizzato = non mostrano una risposta costante né all’uscita né al rientro della figura. Lo stile di attaccamento di un bambino è in parte determinato dalla sua biologia perché ogni bambino nasce con un proprio temperamento. Ma un ruolo fondamentale lo svolgono anche le interazioni che intercorrono tra il bambino e le sue figure di accudimento. In base alle interazioni infatti i bambini sviluppano un modello operativo interno delle relazioni = un insieme di credenze relative a sé stessi, alla figura di accudimento e alla relazione che esiste fra loro. Precisamente: - i bambini con uno stile di attaccamento sicuro sembrano essere certi che la figura di accudimento risponderà quando hanno bisogno - i bambini con uno stile di attaccamento evitante sembrano essere certi che la figura di accudimento non risponderà - i bambini con uno stile di attaccamento ambivalente non sono sicuri se la figura di accudimento risponderà. Ma lo stile di attaccamento sviluppato nella prima infanzia ha una qualche influenza su ciò che il bambino diventerà crescendo? Si, i bambini che nella prima infanzia hanno sviluppato un attaccamento sicuro sembrano ottenere risultati migliori sia negli studi, nel benessere psicologico e nelle relazioni sociali. LO SVILUPPO MORALE Fin dal momento in cui vengono al mondo gli esseri umani sanno distinguere tra bene e male. Ma come lo vede il bene e il male un bambino piccolo? Secondo Piaget il pensiero su ciò che è giusto e sbagliato avviene in tre modi: 1) il pensiero passa dal realismo al relativismo = i bambini molto piccoli tendono a considerare le regole morali come verità che non dipendono da ciò che le persone dicono o fanno. Man mano che maturano cominciano a capire che alcune regole morali sono invenzioni 2) il pensiero passa dalle prescrizioni ai principi = i bambini piccoli tendono a pensare alle regole morali come a linee guida per azioni specifiche in situazioni specifiche. Poi però cominciano a capire che le regole sono espressione di principi più generali. 3) il pensiero passa dalle conseguenze alle intenzioni = a un bambino piccolo un'azione non intenzionale che provoca un danno grave sembra più sbagliata di un'azione intenzionale che provoca un danno lieve. Sulla base di queste intuizioni Lawrence Kohlberg propose una teoria dettagliata basata su tre stadi: 1) stadio preconvenzionale = si valuta la moralità delle azioni in base alle conseguenze materiali delle azioni 2) stadio convenzionale = si valuta la moralità delle azioni in base a quanto si conformano con le regole sociali 3) stadio postconvenzionale = si valuta la moralità delle azioni in base a un insieme di principi generali. Alcuni studiosi però fanno notare che nonostante il livello del ragionamento morale del bambino sia correlato con il suo comportamento morale questa correlazione non è molto forte. Allora che cos’è a determinare il comportamento morale? I giudizi morali. L’ADOLESCENZA Il periodo dell’adolescenza ha inizio con la pubertà che si verifica intorno agli 11-14 anni e dura fino ai 18-21 anni. La pubertà non inizia a tutti nello stesso momento ma c’è una grande variabilità tra individui, culture e addirittura generazioni. Rispetto ad alcuni decenni fa la pubertà avveniva molto più tardi e all’incirca coincideva con il periodo in cui le persone erano pronte a rivestire un ruolo adulto nella società come per esempio sposarsi. Oggi invece la pubertà si verifica molto prima quindi i ragazzi si trovano a vivere in un periodo in cui sono troppo piccoli per entrare nella società adulta e per questo vengono applicate una serie di limiti e proibizioni alle loro azioni. Ma questo comporta come un periodo di tumulto interiore che dà luogo a una serie comportamenti spericolati. Gli adolescenti infatti si sentono spinti ad agire in modo da opporsi a tutte queste restrizioni per cui si impegnano in azioni come fumare, bere e fare uso di droghe. Nonostante siano più impulsi gli adolescenti sono comunque capaci di prendere decisioni sagge. L’ETÀ ADULTA L’età adulta inizia tra i 18-21 anni e finisce con la morte. Cambiamento importante che avviene con l’età adulta è la separazione dai genitori nel senso che i giovani adulti lasciano la casa di origine per andare in una loro casa. Possono poi decidere di sposarsi, convivere oppure di avere dei figli. CAPITOLO 11: La personalità La personalità sembra svilupparsi naturalmente nel corso della vita e riguarda caratteristiche individuali come lo stile di comportamento, di pensiero e di sentimenti. Per studiare la personalità gli psicologi hanno sviluppato una serie di tecniche come quella del self- report in cui le persone forniscono informazioni soggettive attraverso questionari o interviste. Oggi uno dei test di personalità comunemente usato è il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) costituito da 338 affermazioni descrittive alle quali la persona deve rispondere vero, falso, non so.
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