Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

IL DOLCE STIL NOVO E DANTE, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti sullo Stil novo e Dante Alighieri (Rime e Vita nova)

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 16/07/2023

GiuliaDelPrete
GiuliaDelPrete 🇮🇹

39 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica IL DOLCE STIL NOVO E DANTE e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Il Dolce stil novo Con l’espressione Dolce stil novo, si indica una tendenza poetica che nasce a Firenze negli anni Ottanta del Duecento (1280- 1310) e resta viva fino ai primi decenni del Trecento, propagandosi oltre i confini della Toscana e condizionando i destini della lirica, da Petrarca in poi. L’etichetta storiografica è stata coniata nell’Ottocento da Francesco De Sanctis, che la ricava da un passaggio del canto XXIV del Purgatorio: «Di questo dolce stil nuovo il precursore fu Guinizzelli, il fabbro fu Cino, il poeta fu Cavalcanti. La nuova scuola non era altro che una coscienza più chiara dell’arte. La filosofia per sé sola fu stimata insufficiente, e si richiese la forma». Qui Dante incontra nel girone dei golosi l'anima del poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani, che vuole sapere se di fronte a sé abbia "colui che fore / trasse le nove rime, cominciando / Donne ch'avete intelletto d'amore", cioè colui che aveva dato avvio a una nuova poesia con la canzone che nella Vita nova inaugura la loda di Beatrice. Dante risponde con una professione di modestia, enunciando al contempo un fondamentale principio di poetica: lui - dice - è solo uno di quelli che sanno dare fedele espressione a ciò che Amore detta dentro di loro. *Questo testo che segue di Dante è importante per capire la storia della letteratura del suo tempo: la Commedia non è solo la storia di un itinerario di salvezza, Dante rappresenta il suo cammino che lo porta dall’inferno fino alla contemplazione di Dio, e offre una rappresentazione del mondo e della storia dell’aldiquà nella sua globalità e complessità. Attraverso il mondo ultraterreno, ci offre una rappresentazione del mondo terreno (della storia, del passato, del suo tempo). Attraverso gli incontri con i vari personaggi, delinea una sorta di percorso e fissa di una serie di lineamenti per lui importanti per definire la spiegazione di cosa sia poesia. Dante, Purg. XXIV 49-63 «[…] Ma dì s'i' veggio qui colui che fore trasse le nove rime, cominciando Donne ch'avete intelletto d'amore». E io a lui: «I' mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando». «O frate, issa [= ora] vegg’io», diss'elli, «il nodo che 'l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch'i' odo! Io veggio ben come le vostre penne di retro al dittator sen vanno strette, che de le nostre certo non avvenne; e qual più a gradire oltre si mette, non vede più da l'uno a l'altro stilo»; e, quasi contentato, si tacette Ma dimmi se io vedo qui davanti me colui che iniziò un modo nuovo di poetare (iniziò le nuove rime) con la canzone “Donne ch’avete intelletto d’amore”». E io gli risposi: «Io sono uno che, quando Amore lo ispira, prende nota e vado esprimendomi a parola in quel modo in cui mi detta dentro il cuore (→il poeta trascrive ciò che amore gli ispira e gli dà una forma vera, che è conforme al dettato di amore. Il poeta non è nient’altro che qualcuno che dà una traduzione verbale a un’ispirazione che è superiore a lui e allo stesso tempo interiore: per Dante la sua poesia è capacità di rimanere strettamente fedeli a questo trattato interiore)». «O fratello, adesso io capisco» disse lui «il nodo che trattenne il Notaio e Guittone e me al di qua del dolce stil novo che adesso ascolto. Io vedo bene come le vostre penne seguono strettamente colui che detta, cosa che certamente non avvenne per le nostre e se uno volesse procedere oltre, non vedrebbe altra differenza dall'uno all'altro stile»; e poi tacque, come se la cosa lo soddisfacesse. * Donne che avete intelletto d’amore→ testo che fa parte della Vita nova, manifesto dello stile della loda, innovazione poetica di Dante. Quest’opera ruota attorno all’innamoramento di Dante per Beatrice, figura presente in tutta la scrittura dantesca. Il momento più importanti di questa vicenda amorosa è l’incontro cui si accompagna il saluto di Beatrice, e delinea una parabola che ha inizio proprio da questo saluto, che successivamente viene negato al poeta. Il saluto era il contraccambio della donna per il servizio dell’amante, in cui la dama riconosce il servizio di vassallaggio e fedeltà dell’amante. In Donne che avete intelletto d’amore si afferma che il fine dell’amore non è più il piacere che deriva dalla presenza della donna e dalla speranza di essere ricambiata da lei, ma il piacere legato alla semplice testimonianza della bellezza dell’amata. Inaugura quindi la poetica della lode, con l’idea che la lode sia il vero fine dell’amore stesso. Rispondendo a Dante che gli aveva esposto la propria poetica stilnovistica, Bonagiunta dice di averne compreso la “novità” e le ragioni che la oppongono alla precedente tradizione poetica, indicando così il discrimine che separa Giacomo da Lentini, Guittone d’Arezzo e lui stesso da un lato e i rappresentanti della nuova poesia dall’altro. Da notare inoltre come in questi versi Dante parli di sé come caposcuola di un nuovo gruppo di poeti, come capofila di un nuovo movimento poetico. “Dolce stil novo” è quindi la denominazione con cui Dante nella Commedia definisce una nuova poetica letteraria. Vittorio Sermonti: «Forse non esiste nel repertorio universale della poesia un passo che abbia finito per assumersi responsabilità così specifiche di fronte alla storia della letteratura e a chi deve studiarsela. Fatto sta che, se a Bonagiunta non scappavano dette quelle tre parole di fila, nessun compendio o antologia della Letteratura Italiana si fregerebbe, sul finire della sezione “Origini”, del titoletto: “Dolce stil novo”». Ma vi è un problema della definizione di scuola: Dante si riferisce solo a sé o a un gruppo di poeti? Quanto è applicabile quello che dice Dante ad altri poeti oltre a lui? Quello che noi chiamiamo stil novo è un gruppo coeso di poeti o un insieme di personalità che hanno alcuni tratti in comune? Gli studiosi hanno discusso a lungo se sia legittimo estrapolare dai versi della Commedia l’indicazione di un autentico movimento poetico. Oggi si ritiene che il dolce stil novo si possa e si debba continuare a parlare. Perché continuare a parlare di stil novo? • “avanguardia” poetica, che si stacca dai poeti coevi, in particolare Guittone e i guittoniani (Dante in particolare identifica in Guittone il poeta che incarna i difetti della poesia precedente, per affermare la novità della propria). Es. polemica tra Bonagiunta e Guido Guinizelli; il primo accusa Guido di avere mutata la mainera / de li plagenti ditti de l’amore • senso di appartenenza a un’élite, che si fonda sulla raffinatezza d’animo e di sentire: l’amore è visto come l’esperienza più alta e sganciato il più possibile da elementi contingenti e dall’idea cortese del servizio e della ricompensa da parte dell’amata, vista come essere che trascende le capacità conoscitive dell’amante e spesso lodata per le sue altissime virtù A livello tematico gli stilnovisti rifiutano l’allargamento della materia poetica che aveva avuto luogo in Toscana (la “novità” del “dolce stil” va ricercata proprio nell’assoluta fedeltà all’ispirazione d’Amore, cui invece si sarebbero sottratti sia i siciliani che i siculo-toscani), concentrandosi esclusivamente sull’Amore, visto come un’esperienza assoluta, riservata solo a spiriti dotati dell’autentica nobiltà, quella di cuore: non a caso gli stilnovisti eleggono come loro rappresentante Guinizelli, con la sua poesia Al cor gentil rempaira sempre amore. Guinizelli afferma la superiorità della raffinatezza d’animo, che si esprime nell’amore per una donna che ha “d’angel sembianza” e può essere paragonata addirittura a Dio Si parla quindi di un nuovo concetto di nobiltà: -nel corso del Duecento la civiltà italiana muta profondamente. La nuova borghesia, legata innanzitutto al commercio e alle professioni pubbliche, aspira ormai a posizioni di potere e di egemonia culturale e cerca una legittimazione sociale e ideologica che non dipenda esclusivamente dai legami familiari e di sangue -nell’Italia comunale manca un sovrano che conferisca titoli, per cui il tema della nobiltà si fa particolarmente sentire → Gli stilnovisti si considerano una cerchia eletta che trova nella propria superiorità culturale e nella propria raffinatezza spirituale le ragioni di un prestigio sociale non più dipendente dalla nobiltà di sangue, ma solo da quella dell’animo (“gentilezza”) • tendenza alla analisi interiore del fenomeno amoroso, attraverso il ricorso al linguaggio filosofico e scientifico (amore come processo che implica una fisiologia) • repertorio di immagini e vocabolario selettivi (spiriti, saluto, personificazioni…) • dettato dolce, piano, limpido, che serve a veicolare densità di significati: rottura rispetto all’artificiosità guittoniana; indica una soavità del dettato poetico che porta con sé un’idea di chiarezza, veicola messaggi raffinati concettualmente con un linguaggio che vuole essere limpido, trasparente. Occorre insomma un volgare illustre che sia il più possibile elevato e puro e insieme musicale e melodioso. L’ideale stilnovistico è rappresentato da una soavità espressiva del tutto coerente sia con il clima rarefatto, aristocratico, lontano dalla cronaca che caratterizza la nuova poesia, sia con la delicatezza dei sentimenti e delle immagini con cui essa si esprime coblas capfinidas: tecnica che deriva dalla poesia trobadorica, che consiste nel legare le stanze attraverso la ripetizione di un termine (o l’uso di termini similari) alla fine di una stanza e all’inizio della successiva. In Al cor gentil: vv. 10-11 foco, vv. 20-21 ’nnamora-Amor, vv. 30-31 ferro-Fere (relazione paronomastica) vv. 40-41, splendore-Splende La relazione di stretta capfinidad manca tra quinta e sesta stanza, che funge da congedo (o tornada). Similitudini: uccello (v. 2), sole (vv. 5-7), fuoco (v. 10), pietra (vv. 12 ss.), fiamma (vv. 22-24), acqua-fuoco (vv. 26-27), adamàs (v. 30), sole-fango (vv. 31-32), acqua-cielo (vv. 39-40), intelligenze celesti (vv. 41 ss.) Ripetizioni: • cor gentil o gentil cor(e): vv. 1, 4, 11, 18-19, 21, 28, 38; anche gentilezza (vv. 8, 36), gentil (vv. 33, 49). • amor(e) e simili: vv. 1, 3, 4, 8, 11, 20, 21, 26, 28, 54, 60. • ripetizioni di termini e immagini tra loro legate: natura (vv. 4, 18, 25), sole (vv. 5, 7, 14, 16, 31, 32, 34, 42), splendore/splende (vv. 6, 23, 40, 48), calore (v. 10, 32), clarità/clar (vv. 10, 23), fuoco (vv. 10, 11, 22, 26), stella (vv. 13, 17, 20, 40, 41), acqua (vv. 26, 39), cielo (vv. 40, 41, 43, 44, 53) La casata dei Cavalcanti era tra le più potenti e nobili di Firenze, schierata con i guelfi bianchi e con la famiglia dei Cerchi. Guido si dedicò con passione alla vita politica fiorentina, finché gli Ordinamenti di Giano della Bella non esclusero i rappresentanti della vecchia nobiltà dalla assegnazione di cariche pubbliche. La inimicizia con la famiglia dei Donati, di parte nera, assunse un carattere di rivalsa personale tra Guido e Corso Donati. In seguito a nuovi violenti disordini scoppiati tra le due fazioni cittadine, i capi delle due parti furono condannati all'esilio, e tra questi vi era anche Guido, che fu esiliato a Sarzana (al confine fra Toscana e Liguria). Tema unico della poesia di Cavalcanti è l'amore, vissuto ancora come opportunità insostituibile di nobilitazione, ma soprattutto come devastante esperienza tragica. L'esperienza dell'amore non può essere sottoposta al controllo razionale: la passione amorosa è al tempo stesso una condizione di eccezionale intensità vitale e una minaccia di disgregazione per l'io. Anzi, l'esperienza dell'amore divide l'individuo nelle sue diverse funzioni vitali (definite «spiriti») e ne distrugge l'armonia. Questo aspetto si manifesta con la "teatralizzazione" che domina numerosi suoi testi, in cui per esempio le varie componenti della condizione dell'innamoramento (gli occhi, il cuore, la mente) diventano quasi personaggi: la scrittura diviene il teatro nel quale si muovono i vari «spiriti». L'amore è rappresentato come una minaccia per la vita stessa dell'individuo, un eccesso e una disavventura. Ne risultano inevitabilmente trasformati i temi del saluto e della lode: l'incontro con l'amata sembra portare distruzione più che salvezza. Tuttavia non mancano liriche in cui Cavalcanti loda la donna e celebra la gioia amorosa. Caratteri della poesia di Cavalcanti: -mette in atto «meccanismi di spietata analisi della devastazione amorosa» -seziona «l’essere umano riducendolo alle entità attrici di un teatro continuo del dolore» -insiste su immagini che rimandano alla guerra e all’ambito del processo (giudizio, condanna, tortura) -vede nella sofferenza estrema e nell’annientamento del soggetto un destino inevitabile («ti convien morire»; convien = è necessario, inevitabile) -adozione della terminologia filosofica e scientifica -volontà di analisi e scomposizione dei fenomeni interiori -spiriti: «personificazione dei fluidi sottili esalati dal sangue che secondo la fisiologia antica dirigono le funzioni vitali» GUIDO CAVALCANTI (1259-1300) Guido Cavalcanti, Chi è questa che vèn Chi è questa che vèn Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira, che fa tremar di chiaritate l’âre e mena seco Amor, sì che parlare null’omo pote, ma ciascun sospira? O Deo, che sembra quando li occhi gira! dical’ Amor, ch’i’ nol savria contare: cotanto d’umiltà donna mi pare, ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ ira. Non si poria contar la sua piagenza, ch’a le’ s’inchin’ ogni gentil vertute e la beltate per sua dea la mostra. Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose ’n noi tanta salute, che propiamente n’aviàn canoscenza. «L’oggetto d’amore non è […] semplicemente irraggiungibile, ma razionalmente incomprensibile» Della donna viene fatto un elogio, è una creatura di straordinaria virtù. La figura femminile può essere esaltata, ma la sua superiorità la rende irraggiungibile, sia verbalmente (impossibilità di parlare di esprimersi) sia razionalmente, e il suo potere soverchiante sbigottisce e annichilisce l’uomo, provocando quasi sempre una sofferenza che riempie la mente (come affermato nel sonetto Tu m’hai sì piena di dolor la mente). Ciò che differenzia Cavalcanti dagli altri poeti suoi contemporanei, è il modo tragico in cui vive tale disorientamento: di fronte alla perfezione indicibile della donna, egli prova sgomento e un doloroso sentimento di insufficienza. Si impone così a poco a poco l’affermazione dei limiti, anche angosciosi, della capacità umana di conoscere: compare con forza un sentimento di indicibilità (ineffabilità) che si ritrova anche in Dante Guido Cavalcanti, Tu m’hai sì piena Tu m’hai sì piena di dolor la mente, che l’anima si briga di partire, e li sospir’ che manda ’l cor dolente [cor dolente: sogg.] mostrano agli occhi che non può soffrire [soffrire: resistere oltre] Amor, che lo tuo grande valor sente, dice: «E’ mi duol che ti convien morire [convien: è inevitabile] per questa fiera donna, che nïente [che evidentemente non vuole ascoltare niente che induca pietà verso te] par che pietate di te voglia udire». l’ vo come colui ch’è fuor di vita, che pare, a chi lo sguarda, ch’omo sia fatto di rame o di pietra o di legno, che si conduca sol per maestria e porti ne lo core una ferita che sia, com’egli è morto, aperto segno. La mente di cui si parla è la sede della memoria, dove l’immagine dell’amata si insedia, alimentando un desiderio ossessivo e privo di qualunque possibilità di appagamento. Cavalcanti paragona sé stesso a un automa, che funzionava attraverso un congegno, che riproduceva le fattezze umane. Il poeta rappresenta sé stesso come qualcuno che è annichilito dall’amore della donna amata. Così Cavalcanti dà vita a un’analisi drammatizzata dei fenomeni interiori, che ha per protagonisti gli occhi, il cuore, la mente, l’anima (cioè lo spirito vitale) e gli spiriti (fluidi sottili che presiedono ai processi fisici e psichici): sono le “entità attrici di un teatro continuo del dolore”, che ha come esito inevitabile l’annientamento dell’individuo Ritratto di Cavalcanti nel Decameron (VI 9): Tralle quali brigate n'era una di messer Betto Brunelleschi, nella quale messer Betto e' compagni s'erano molto ingegnato di tirare Guido di messer Cavalcante de' Cavalcanti, e non senza cagione: per ciò che, oltre a quello che egli fu un de' miglior loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale (delle quali cose poco la brigata curava), si fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto e ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente seppe meglio che altro uom fare; e con questo era ricchissimo, e a chiedere a lingua sapeva onorare cui nell'animo gli capeva che il valesse. Ma a messer Betto non era mai potuto venir fatto d'averlo, e credeva egli co' suoi compagni che ciò avvenisse per ciò che Guido alcuna volta speculando molto abstratto dagli uomini divenia; e per ciò che egli alquanto tenea della oppinione degli epicuri, si diceva tralla [cioè: tra la] gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse. Centralità della mente in Cavalcanti «Guido sancisce […] la natura fantasmatica della passione. L’oggetto d’amore non è la donna “reale”, bensì il suo phantasma mentale. In conformità con i modelli della psicologia aristotelica, la forma della donna, percepita attraverso gli occhi e astratta dalle sue qualità sensibili all’interno dell’immaginativa, si imprime nella memoria, divenendo oggetto di un desiderio ossessivo. […] Di qui l’inedita centralità dello psiconimo mente» L’amore si risolve nell’azione dell’immagine mentale, che diventa più forte della persona reale della donna. «La mente è la sede del processo cognitivo di astrazione, elaborazione e conservazione del phantasma amoroso, che, come precisato in Donna me prega, occupa la memoria […], facoltà dell’anima sensitiva […] preposta alla conservazione della conoscenza sensibile […]. Il fallimento del tentativo di sostenere e completare l’elaborazione mentale del phantasma della donna conduce alla constatazione dell’insufficienza delle stesse facoltà intellettive […]. L’organo psichico diviene così oggetto di un inarrestabile processo di doloroso annientamento […], cui [il poeta] può soltanto tentare di dare sfogo emotivo e verbale […]» Guido Cavalcanti, Donna me prega Donna me prega, per ch’eo voglio dire D’un accidente che sovente è fero Ed è sì altero ch’è chiamato amore: Sì chi lo nega possa ’l ver sentire! Ed a presente conoscente chero, Perch’io no spero ch’om di basso core A tal ragione porti canoscenza […] Una donna mi prega, per cui io voglio parlare di un accidente che è spesso feroce ed è così potente che gli si è dato nome di Amore [dandogli sostanza e facendone una divinità]: e chi lo nega possa fare esperienza della verità! E per un tale argomento richiedo un uomo dotato di competenze sufficienti, poiché non mi aspetto che un uomo vile possa spingere la propria conoscenza a comprendere un ragionamento di questo livello. In quella parte dove sta memora Prende suo stato, sì formato, come Diaffan da lume, d’una scuritate La qual da Marte vène, e fa demora; Elli è creato (ed ha, sensato, nome), D’alma costume e di cor volontate. Vèn da veduta forma che s’intende, Che prende nel possibile intelletto, Come in subbietto, loco e dimora (L’amore) risiede in quella parte in cui si trova la memoria [cioè nell’anima sensitiva], trasformandosi (in atto), allo stesso modo in cui un corpo trasparente (si trasforma) per mezzo della luce, grazie a un’oscurità che proviene da Marte e si insedia (nell’anima sensitiva). Esso è prodotto (e, in quanto oggetto di sensazioni, ha nome) come disposizione dell’anima e scelta [o passione?] del cuore. Deriva dalla vista di una forma sensibile che diventa oggetto intellettivo, che prende dimora, come sede appropriata, nell’intelletto possibile [quello in cui il pensiero dipende dalle sensazioni che riceve dalla fantasia e dalla memoria]. Dante, Guido i vorrei che tu e Lapo ed io Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento, e messi in un vasel ch’ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio, sì che fortuna od altro tempo rio non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse ’l disio. E monna Vanna e monna Lagia poi con quella ch’è sul numer de le trenta con noi ponesse il buono incantatore: e quivi ragionar sempre d’amore, e ciascuna di lor fosse contenta, sì come i’ credo che saremmo noi. Guido, io vorrei che tu, Lapo [Gianni] ed io fossimo presi (sott. da amore) da un incantesimo e messi in una piccola imbarcazione che andasse in mare spinto da ogni vento, secondo i vostri e i miei desideri, cosicché né il fortunale [vento tempestoso] né altro tempo sfavorevole ci potesse fare da ostacolo, anzi, vivendo sempre nella medesima volontà, [vorrei] che crescesse il desiderio di stare insieme. La navigazione era la pratica più pericolosa nel tempo, esprime in metafora la drammaticità della vita umana: vita come navigazione in preda a una tempesta E [vorrei che] il buon mago [Merlino] mettesse insieme a noi monna Vanna, monna Lagia e quella donna che occupa il numero trenta [nella lista delle sessanta donne più belle di Firenze]: e [vorrei che] qui noi potessimo parlare sempre d'amore, e ciascuna di loro fosse felice, come credo che saremmo anche noi. Guido, i’ vorrei è un testo non incluso nella Vita nova, ed è uno dei documenti più famosi dell’amicizia tra Dante e Cavalcanti. Dante si rivolge infatti all’amico Guido Cavalcanti, esprimendogli il desiderio di essere posto da un buon mago, insieme a Guido e a un terzo comune amico (il poeta Lapo Gianni) e con le rispettive amate, su un vascello guidato dall’amore e dal desiderio dei passeggeri. Il sonetto deve essere collegato al genere galloromanzo del plazer, elenco più o meno realistico e realizzabile di piaceri e di desideri, o meglio a «quella sottospecie del plazer che si definisce souhait ‘augurio’», che consiste in «un elenco di cose o spettacoli piacevoli che il poeta augura a sè stesso o al destinatario del testo»; in questo caso «il genere del souhait s’incrocia con la féerie [magia, incantesimo, che dà al testo questa atmosfera incantata], posto che a essere immaginati non sono beni e piaceri materiali […] bensì un viaggio fiabesco». Dante non immagina cose belle né doni fantastici; «il suo è un sogno cortese di affetti e di pace, non di ricchezze» Secondo Gianfranco Contini, questo testo «sviluppa il motivo sentimentale principe del dolce stile in quanto ‘scuola’, cioè a dire la necessità corale dell’amicizia che non può scompagnarsi dall’amore cortese». Benché strutturato come evasione fantastica e sogno, il sonetto è costruito nell'attenta considerazione dei fondamenti della poetica stilnovistica. Il tema centrale è l'amore, e la scelta di condividere la fuga felice, nel sogno, con altre due coppie di amanti testimonia l'intenzione di dare concretezza ai valori dei fedeli d'amore, una vera e propria "setta" dotata di un codice culturale e comportamentale comune. Parallela rispetto a questa rivendicazione, e a essa conseguente, è la critica implicita della società reale, quella dalla quale viene qui immaginata la fuga: la società dei nuovi mercanti e delle lotte politiche cittadine, cioè di discorsi su tutt'altro che l'amore e di rapporti interpersonali tutt'altro che concordi e unanimi (nostalgia per un’ideale armonioso di civiltà messo in crisi dalla logica mercantile dei Comuni) «con quella ch’è sul numer de le trenta»: sono state proposte in sostanza due interpretazioni di questo verso: 1) Il verso indicherebbe una donna diversa da Beatrice: in particolare qui Dante alluderebbe a un testo del quale parla anche all’inizio della Vita nova, dedicato alle più belle donne di Firenze 2) Trenta sarebbe un numero generico e le trenta indicherebbe le donne più belle (come in una canzone di Arnaut Daniel); Dante allora direbbe che questa donna sta ‘al di sopra’, ‘più in alto’ delle più belle donne di Firenze. LA VITA NOVA Tra il 1292 e il 1295, Dante pose un punto fermo alla poesia delle Origini, creando con la Vita nova un testo profondamente innovativo. Si tratta di un prosimetro, ovvero un’opera mista di prose e versi. Spicca tra i modelli considerati permanenti il De consolatione Philosophiae di Manlio Severino Boezio (V-VI sec.), opera che cita nel Convivio insieme al De amicitia di Cicerone; è un prosimetro che ha per protagonista l’autore stesso, il quale, caduto in disgrazia, si trova in carcere, dove riceve la visita della Filosofia. Un altro modello sono le vidas e razos dei trovatori: unite spesso ai testi dei trovatori nei manoscritti vi sono biografie (vidas) e spiegazioni della genesi dei testi, dei fatti e personaggi a cui essi alludono (razos, “ragione”, leggi “razò”, commento ed esposizione delle occasioni di testi poetici), quindi raccontavano la vita degli autori e l’occasione della composizione. La Vita nuova può essere intesa quindi sia come testo autobiografico (in fiction), sia come commento dei propri testi, che intende spiegare come siano nati. I trentuno testi poetici si dividono tra: venticinque sonetti (di cui due rinterzati), cinque canzoni (di cui una stanza e una doppia stanza), una ballata. Dante accompagna una scelta di propri testi con una prosa che ha principalmente tre funzioni: ne spiega la genesi (il contesto della loro composizione), quindi li connette attraverso un racconto (lega narrativamente i testi) e li commenta secondo il metodo delle divisioni: il libro non suddivide i testi sulla base del loro genere metrico, ma la forma metrica ha comunque un significato rispetto allo sviluppo del libro. I due sonetti rinterzati (con settenari che si inseriscono in sedi fisse) sono all’inizio: la loro forma è legata alla maniera guittoniana. Il primo testo diverso dal sonetto è una ballata, genere di valore intermedio rispetto alla canzone (il testo contiene una richiesta di scusa da parte di Dante). Le tre canzoni pluristrofiche segnano momenti di particolare importanza L’Incipit Vita Nova: «In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere si trova una rubrica la qual dice: Incipit vita nova, sotto la qual rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’assemplare (scrivere da un exemplum) in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia» Occorre distinguere tra composizione dei singoli testi e momento della composizione del libro. Le ipotesi sulla composizione del libro oscillano tra 1292 e inizio 1296. I testi poetici in buona parte preesistono alla prosa, ma possono essere stati modificati, riscritti o anche composti in funzione dell’opera. Nella tradizione manoscritta sono stati individuati tredici testi che presenterebbero delle differenze significative rispetto alla versione del libro (alcune varianti rispetto al prosimetro, ad es. in Tanto gentile…): questi documentano il fatto che hanno avuto una circolazione individuale e sono stati modificati da Dante una volta inseriti nell’opera. Ogni momento della narrazione è direttamente inserito in un sistema simbolico (o allegorico) che è l’unica garanzia della sua interpretabilità: • rappresentazione della realtà: ridotta all’essenziale • Firenze non è mai nominata, e lo stesso accade per Cavalcanti, definito come il primo dei suoi nemici • Prevalere una narrazione ricca di significati simbolici, che fanno di Beatrice una figura cristologica (procedura caratteristiche delle agiografie: racconto della vita dei Santi): il nome Beatrice (colei che dà beatitudine: la donna diventa una figura teologica portatrice di una missione salvifica); il numero 9, ricorrente lungo l’opera, è il numero di Beatrice. Il numero 9 sarebbe il prodotto della trinità per sè stessa = miracolo (Beatrice quindi è un miracolo che la santa trinità produce in sé stesso). Dante a volte ci dà l’idea di forzare i dati di realtà per poterli leggere proprio attraverso questo numero simbolico. La metafora della natura angelica della donna, viene caricata in senso propriamente teologico: Beatrice non è solo colei che dà beatitudine, un segno sulla Terra della grandezza divina, ma anche il tramite tra esperienza individuale e storia universale, ovvero tra verità incarnata e verità trascendente La Vita nova ricostruisce la storia di Dante del suo amore per Beatrice: il primo incontro a nove anni, nel 1274, un secondo nove anni dopo, a diciotto (nel 1283), in cui riceve il saluto della donna, e a cui risale anche il primo testo, e poi l’elaborazione legata ai rituali dell’amore cortese di due “donne dello schermo” (destinate a celare l’identità dell’amata, con cui Dante LA VITA NOVA protegge quindi il proprio amore dalla curiosità altrui→ un modo per obbedire a questo precetto era l’invenzione di un finto amore per un’altra donna, che avesse la funzione di “schermo”, cioè di copertura ), lo sdegno della donna (la finzione di Dante nei confronti della donna schermo è così convincente che si spargono voci su una relazione passionale tra i due) e la conseguente negazione del saluto (disperazione del protagonista, soverchiato e annichilito dalla presenza della donna (episodio del ‘gabbo’): fase ‘cavalcantiana’*), la morte di Beatrice, avvenuta, secondo i dati offerti da Dante, l’8 giugno 1290, il conforto cercato nella “donna gentile” e infine il ritorno dell’amore per la prima amata. Dopo la negazione del saluto, vi è una progressiva autosufficienza dell’amore: la lode della donna basta a sè stessa (Donne ch’avete intelletto d’amore: elaborata per la sofferenza provata dopo la negazione del saluto), la poesia viene dunque a concepirsi come sufficiente a sé stessa, senza nessuna ambizione a una ricompensa da parte dell’amata. Al progressivo superamento che servono a fare dell’amore per Beatrice qualcosa che è in grafo di resistere a qualunque realtà, si accosta un senso di crisi: -alla negazione del saluto da parte di Beatrice (nascita della poesia della loda). saluto: assume anche il significato di una salvezza spirituale per chi lo riceve (salute e salvezza derivano dalla stessa parola latina salus). Il tema del saluto è dotato di forte significato simbolico: è infatti lo strumento con cui la donna comunica le sue virtù a chi lo riceve con la giusta disposizione dell’animo -alla morte di Beatrice (svolta cruciale del libro, preannunciata da diversi eventi) -alla “tentazione” dovuta alla pietà manifestata da una “donna gentile”: passando per un luogo che gli ricorda Beatrice, Dante è profondamente turbato e si guarda intorno per verificare se qualcuno, vedendolo, si rende conto del suo stato. Si accorge così che una bellissima e nobile donna lo osserva da una finestra con atteggiamento pietoso. Dante, commosso, si allontana per non mostrarle il proprio turbamento e il pianto, e riflette che la pietà rivelatagli dalla gentile donna non può che essere espressione di amore da lei stessa provato La vita nova non è storia dell’amore di Beatrice, ma anche superamento da un punto di vista poetico. Fino alla negazione del saluto potremmo parlare di poesia prestilnovistica, quella conseguente a una parte cavalcantiana, in cui si dà sfogo alla propria disperazione per la mancata corrispondenza da parte della donna amata. Ciò si supera attraverso l’invenzione della poesia della loda. Dopo la morte di Beatrice c’è un’ulteriore crisi, creata dalla pietà di una donna gentile (Beatrice invece era designata con “gentilissima”), che manifesta pietà con lo sguardo di fronte alla disperazione provata da Dante; questo fatto è visto come una tentazione, un venir meno della fedeltà per Beatrice (l’episodio della donna gentile introduce una deviazione nel romanzo di Dante e Beatrice) L’amore per la donna amata va oltre la sua morte (di cui non si può parlare perché coincide con l’assunzione in Cielo di Beatrice); prosegue quindi anche in assenza di lei. Questo amore resiste anche alla ‘tentazione’ della donna ‘gentile’ che ha pietà di Dante (il conflitto tra i due amori è presente anche nella canzone del Convivio Voi che ’ntendendo; nel trattato l’amore è visto come amore per la filosofia e vince su quello per Beatrice). Come la morte di Cristo rivela agli uomini l'amore infinito di Dio, cosi la morte di Beatrice è lo strumento attraverso il quale Dante approda a un più alto grado dell'amore. L’opera si conclude con l’itinerario mistico compiuto dal pensiero innamorato di Dante che si eleva fino alla sede dei beati. Quando ritorna sulla Terra, il «sospiro», cioè il pensiero carico di desiderio, parla una lingua incomprensibile. L'oscura promessa con la quale si chiude l'opera sembra profetizzare la Commedia (preannuncio, a seguito di una visione, di un’opera futura che possa «dire di lei quello che mai non fue detto d’alcuna»). La figura di Beatrice, profondamente rinnovata, riapparirà infatti a distanza di anni, facendo dapprima la sua comparsa nel secondo canto dell'Inferno e diventando una delle guide di Dante nel suo viaggio verso Dio. *Per quanto riguarda Cavalcanti, vi è un’ambiguità per quanto riguarda il suo rapporto: egli è indicato costantemente come «primo amico» e a un certo punto come dedicatario, ma visto anche, forse limitativamente, come precursore, qualcuno da superare. Dante è debitore nei confronti di una tradizione di discendenza cavalcantiana; tuttavia, se il punto di partenza è lo stesso, ben diversi sono gli esiti a cui Cavalcanti e Dante giungono. Per Cavalcanti, l’amore è un fenomeno irrazionale e devastante, capace di disgregare l’armoniosa cooperazione degli spiriti (la sua visione dell’amore è tragica e conflittuale).
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved