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Il dolore illegittimo. Un'etnografia della sindrome fibromialgica., Sintesi del corso di Antropologia Medica

Breve riassunto del testo ad esclusione delle pp 186-269; 291-326

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Il dolore illegittimo. Un'etnografia della sindrome fibromialgica. e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia Medica solo su Docsity! Il dolore illegittimo. Un'etnografia della sindrome fibromialgica Malati di dolore cronico. 1. Soffrire di dolore Intersoggettività Il dolore rimanda al modo in cui si percepisce un'entità e non all'entità stessa: esso non è l'oggetto percepito ma come è percepito ed è il dolore se è considerato come tale dalla persona che lo sente e lo vive. È in un certo senso un'attività praticata in maniera differente da tutti. Inquadrare il dolore come tipo di evento consente in primo luogo di analizzare come esso sia stato manifestato dai soggetti e in secondo luogo di osservare da un lato come le forze all'interno di un contesto storico-sociale abbiano delineato le coordinate del sapere e dell'agire collettivo nei confronti di tale oggetto e di conseguenza tale processo di riconoscimento e legittimazione ha riplasmato le modalità di esperire il dolore individualmente e collettivamente. Nei fatti, il dolore è un fenomeno esternamente pubblico in quanto il linguaggio utilizzato per comunicarlo è collettivamente riconosciuto poiché per esprimere dolore si usano codici culturalmente e socialmente definiti. Nonostante codici culturali guidino la verbalizzazione di un'esperienza così intima, parlare del proprio dolore è complesso poiché si tenta di renderlo accessibile a chi non lo prova, a chi non lo sente. Comunicare il proprio dolore può esporre al rischio di stigmatizzazione, di vedere la propria sofferenza delegittimata e non riconosciuta dalle altre persone. Secondo Elaine Scarry in “La sofferenza del corpo. La distruzione e la costruzione del mondo” il dolore resiste all'oggettivazione del linguiaggio poiché non ha referenti ed è anche per questo che distrugge il linguaggio quotidiano dando però, in concomitanza, nuove forme di comunicazione in cui le metafore diventano elementi centrali poiché permettono di riorganizzare l'esperienza per poi comunicarla. Difatti, il linguaggio delle eprsone affette da dolore cronico è pieno di metafore e allegorie che non sono usate per descrivere il dolore in sé ma per descrivere come esso sia sentito. Nonostante sia incomunicabile e diffcilmente socializzabile e spesso confinato nella dimensione individuale, il dolore permanente ha un carattere pratico poiché produce uantrasformazione concreta dell'esistenza quotidiana. Analizzare il dolore come evento/type of event permette di osservare il legame esistente tra pain situation e pain experience e di constatare come un'esperienza diventi dolore e sia vissuta in questi termini dando senso, significato e nome a quel che si sta vivendo. Non bisogna tralasciare la dimensione attiva presente nel dolore, il fatto cioè che il dolore non sottrae la “capacotà di agire” ma è dotato di una peculiare agency. Il dolore non comporta solo una distruzione ma anche una rideterminazione del proprio esserci: in termini demartiniani si potrebbe affermare che il dolore non determina solo una crisi della presenza ma risulta essere importante nei processi di plasmazione e costruzione di una nuova presenza mai fissa e stabile. Nel dolore vissuto, la crisi della presenza può configurarsi come forma innovativa del fare esperienza. Mediante il concetto di sofferenza sociale si richiama l'attenzione su come malattia e malessere individuale mostrino le proprie radici nelle contraddizioni e nelle forze storico-sociali nonché in quelle forme di violenza strutturale che caratterizzano i diversi contesti. Un ulteriore elemento che permette di osservare la dimensione sociopolitica che caratterizza il dolore è il suo essere medicalizzato, ossia esaminato in termini di una patologia o di un fenomeno da dover trattare ed eliminare tramite saperi e pratiche biomediche. Il sociologo Peter Conrad ha definito la “medicalizzazione” come un processo mediante il quale i problemi non biomedici iniziano ad essere tratatti coem tali ovvero quando un problema è definito in termini biomedici, descritto per mezzo di un linguaggio medico nel quadro interpretativo medico. Attraverso la medicalizzazione del dolore, , quest'ultimoviene considerato come evento deviante, anormale e da reintegrare. I processi di medicalizzazione mostrano ancor più il carattere artificiale del dolore rendendo maggiormente visibile come quest'ultimo sia anche il risultato di un'edificazione puramente sociale. 2. Il dolore degli altri Disease Per comprendere come la medicina si occupi di fibromialgia è essenziale indagare su una specifica tipologia di dolore, cioè il dolore cronico e il dolore-malattia; indi qui si tenterà di analizzare come la medicina abbia nel tempo sviluppato una serie di ipotesi che hanno poi portato alla costruzione di una visione intenzionata ad approcciarsi a forme dolorose, croniche e complesse che non sono più indeterminabili e inquadrabili alla luce di una causa organica specifica e sempre rintracciabile all'origine. L'evoluzione storica che qui verrà analizzata porterà a focalizzare l'attenzione su una serie di teorie che a partire dalla metà deò 20 sec hanno in primo luogo delineato uno specifico approccio al dolore cronico e ne hanno determinato anche la nascita in termini di categoria medica a sé stante. Ciò avviene in medicina mediante il distacco totale della visione del dolore che si era radicata nell'800 quando, a seguito del processo di laicizzazione del pensiero avvenuto col secolo dei Lumi, il dolore cominciava a definirsi come oggetto di analisi. Ls ricerca e lo studio del dolore all'epoca si distaccarono ben presto dalla tematica della sofferenza: infatto il 19 sec segna un passaggio che ha permesso lo sviluppo di modelli neuroanatomici e neurofisiologici sempre più sofisticati che possono analizzare il dolore come entità fondamentalmente biologica. Da qui in poi il dolore è analizzato in termini di disease ovvero come oggettivazione e spersonificazione della sofferenza. In questo contesto storico prende forma nella medicina dell'800 la teoria della specificità che si traduce in una visione secondo la quale il dolore è una modalità particolare di sensibilità, dotata di un proprio apparato afferente che è distinto da quelli che regolano altre sensazioni e che permette la trasmissione diretta della sensazione dai recettori periferici al cervello; è quindi una correlazione precisa tra danno e dolore in cui quest'ultimo è considerato in termini di sintomo. La teoria della specificità dal 1800 in poi si imporrà nel corso degli anni senza mai essere messa del tutto in crisi. Di conseguenza, 20 e 21esimo sec si configurano come anni centrali per una nuova evoluzione del concetto di dolore in medicina poiché in questo lasso di tempo vi sono cambiamenti che tentano di rivalutare l'inquadramento nettamente meccanicistico del fenomeno doloroso che viene considerato come un'entità non esaminabile alla luce dei soli fatti organici. Lo sviluppo avviato nello scorso secolo consente di comprendere meglio come il dolore sia generalmente inquadrato oggi in medicina non più in termini di una semplice sensazione meccanica o di un sintomo ma come fenomeno in sé. Nel 1979 la IASP ha definito il dolore come “un'esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”. La consapevolezza della necessità di sviluppare un approccio comprensivo al fenomeno ha in poco tempo portato alla nascita di due processi distinti ma tra loro correlati. Da un lato la lenta riorganizzazione delle pratiche e dei saperi medici sul dolore connesse a una già esistente medicina applicata al dolore e dall'altra la nascita di una medicina del dolore, ovvero lo sviluppo, all'interno del sistema medico, di una specialistica interamente dedicata allos tudio del fenomeno, specie nella sua forma cronica. Il dolore come complessità. Una nuova visione. In tale prospettiva importante è l'edizione del 1953 di The Management of Pain di Bonica il quale nel 1944 iniziò a lavorare come anestesista negli USA dove si confronta con determinate tipologie di dolore presentate soprattutto da militari che sembravano non avere alcuna spiegazione. Egli, trovandosi dinnazni a manifestazioni particolari, anormali e resistenti ai trattamenti come nel caso del dolore dell'arto fantasma o del dolore spontaneo senza lesione, coglie il limite dell'approccio medico per constatare la necessità di analizzare il dolore come un nuovo concetto/entità. Da ciò Bonica arriva alla conclusione di dover trattare il dolore non solo il prima possibile per evitare forme di cronicizzazione, ma soprattutto doverlo considerare non più nei termini di un semplice sintomo di malattia bensì come malattia in sé. L'opera citata ad inizio paragrafo è divenuta il manuale di riferimento della nascente medicina del dolore. Una delle prime azioni che Bonica compie è quella di classificare le diverse tipologie di dolore: il doloredi origine periferica, che deriva da meccanismi che coinvolgono i recettori che trasportano gli impulsi causando la sensazione dolorosa; il dolore di origine centrale, determinato da un malfunzionamento di parti del sistema nervoso centrale e infine il dolore psicogeno che è presente nei casi in cui la persona riferisce dolore senza che ci sia la possibilità evidenze organiche soddisfacenti che ne giustificano la sensazione. All'interno delle prime categorie Bonica individua un ulteriore gruppo, ovvero i dolori ribelli che definisce come anche anormali e sono dolori che persistono senza alcuna ragione nonostante nonostante il danno iniziale sia stato riparato non seguendo dunque le traiettorie comuni e normali del dolore. L'atto classificatorio coduce Bonica a entrare nello specifico di un' ulteriore questione, ovvero l'implicazione dei fattori psicologici nel fenomeno doloroso. Per Bonica, qualunque dolore segue delle fasi: la percezione degli impulsi che comportano la sensazione dolorosa e la reazione a tale sensazione. Mentre la percezione è inquadrata nei termini di un processo fisico e psicopatologico, la reazione è un processo più complesso poiché corrispond e fibromialgia si potrà riscontrare il medesimo processo all'origine di un dolore cronico post- operatorio o post traumatico. Archetipi. Il dolore cronico rientra in una classificazione ben precisa: dal punto di vista ezziologico è suddiviso in: 1)infiammatorio=dolore connesso a una reazione locale-tissutale e di norma scompare dopo che il danno è stato riparato, 2)nocicettivo= appare in seguito ad un evento lesivo ed è dovuto alla stimolazione dei nocicettivi periferici, 3)neuropatico=compare in seguitoa una lesione interna del sistema nervoso centrale o periferico ed è considerato come dolore continuo che può manifestarsisia in assenza di stimoli sia come conseguenza di sollecitazioni talmente lievi da essere solitamente innocue o poco dolorose, 4)misto=ha le caratteristiche tipiche sia del dolore nocicettivo che di quello neuropatico, 5)psicogeno= dolore di natura psicosomatica e quindi si presenta quando non c'è alcun danno/lesione all'origine, 6)oncologico=seppur legato alla malattia tumorale, può essere causato anche dalle procdure diagnostiche e terapeutiche a cui si sottpongono i malati di cancro, 7)acuto=dolore di recente insorgenza ed è considerato un dolore utile in quanto allerta il corpo riguardo la presenza di un pericolo interno o esterno e 8)cronico= è l'evoluzione del precedente anche in caso di adeguato trattamento della condizione dolorosa. Gli aspetti psicologici del dolore cronico. Nella medicina del dolore e nella medicina applicata al dolore, il ricorso a spiegazioni che riconoscono ai disturbi psicologici un'assoluta centralità non solo espone al rischio di inquadrare la persona come colpevole del proprio dolore ma porta anche a naturalizzare la sofferenza e ad analizzarla alla luce di dispositivi discorsivi che cercano di contenere una complessità all'interno di una striminzita griglia analitica mirata a prendere in carico l'aspetto puramente fisico del dolore. Il diritto a non soffrire. La cosiddetta Dichiarazione di Montreal del 2010 sottoscrive 3 articoli fondamentali: art1-> Il diritto di tutte le persone ad avere accesso ai servizi di gestione del dolore senza discriminazione; art 2- >Il diritto delle persone che soffrono di vedere riconosciuto il loro dolore e di essere informate su come questo può essere valutato e gestito; art 3-> Il diritto di tutte le persone con dolore ad avere accesso a una appropriata valutazione e trattamento del dolore da parte di oepratori sanitari adeguatamente formati. Pochi mesi prima della dichiarazione, in ita veniva pubblicata sulla gazzetta ufficiale n 64 del 19 marzo 2010 la Legge 38 concernente le Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, norma che per la prima volta regolamentava “il diritto a soffrire” invitando chi di competenza a prendersi carico del dolore. Nel processo di revisione avviato dalla legge 38, il medico di base emerge come attore fondamentale in quanto primo riferiemnto al quale la persona si rivolge e che quindi deve riconoscere adeguatamente il dolore cronico e valutare attentamente il paziente in modo da poterlo mandare nella struttura più adeguata per il trattamento del dolore. La riorganizzazione dei centri dedicati al trattamento e alla terapia del dolore è il secondo processo al cuore della Legge 38 e coinvolge tutti i livelli assistenziali e diverse professionalità sanitarie mentre nei fatti prevede la costruzione di una rete territoriale di strutture sanitarie e di assistenza domiciliare al fine di garantire le cure palliative e la terapia del dolore su base regionale e omogenea. Per creare e gestire ciò il livello assistenziale si basa sulla suddivisione di due tipi di centri quali HUB(centri ospedalieri di riferimento di terapia del dolore) e SPOKE( centri ambulatoriali di terapia antalgica). I primi sono più adatti in quanto offrono un servizio a 360 gradi mentre i secondi offrono un servizio minore. Sympathetic Character. Una retorica dell'inefficacia. L'approccio compassionevole ed empatico al dolore ha, secondo la storica Johanna Bourke, radici nel 18 sec quando i clinici cominciarono a confrontarsi con l'irriducibilità del fenomeno iniziando a considerare il proprio mestiere come una vocazione. Secondo la Bourke il sentimento di compassione e l'empatia iniziano a prendere forma all'interno dei rapporti paziente-medico quando quest'ultimo comincia a ridefinirsi nei termini di sympathetic man o gentleman. Quindi lo si faceva in primo luogo per mantenere il proprio status sociale ed in secondo luogo poiché empatia e compassione portavano sollievo al dolore. Fibromialgia e pratiche mediche quotidiane 1. La sindrome fibromialgica In principio era il verbo La sindrome fibromialgica si è imposta come categoria medica di recente, cioè a fine del secolo scorso ed è in stretta connessione col concetto di dolore cronico inteso in termini di patologia. La contemporanea visione del dolore cronico e di chi ne fa esperienza mostra limiti importanti poiché propone e veicola un discorso intriso di una compassione che tradisce i propri intenti. La tendenza ad approcciare il dolore con compassione ed empatia ha generato nel tempo pratiche ed ha lasciato emergere discorsi che hanno paradossalmente relegato la persona che soffre ai margini dei processi in questione. Di base la fibromialgia non è una malattia bensì una sindrome e quindi è intesa come insieme di sintomi e segni che caratterizzano tale malessere. La fibromialgia come sindrome complessa E' una sindrome che colpisce una fetta importante della popolazione mondiale tant'è che solo nel contesto europeo è stata diagnosticata a 14 milioni di persone e il 90% di esse sono donne. La sintomatologia è molto complessa: è caratterizzata principalmente da dolore muscolo-scheletrico più altri e vasti sintomi e ciò che rende la sindrome problematica è il fatto che la sua sintomatologia non sembra essere giustificata da specifiche alterazioni organiche accertabili mediante esami medici. L'origine del disturbo è ancora ignota anche se l'insieme dei possibili fattori la rende una delle sindromi da sensibilizzazione centrale. Quest'ultimo concetti tenta di far luce sulla complessa sintomatologia della fibromialgia considerandola come determinata sia da un processo di sensibilizzazione del dolore sia come il risultato di un meccanismo che coinvolge più sistemi biologici. Tra i vari discorsi inerenti la fibromialgia, c'è quello che vede tale sindrome come sviluppo diretto a seguito dei processi di sensibilizzazione al dolore e del malfunzionamento del sistema dello stress e il tutto si può inqyadrare seguendo due modelli: da una parte vi è quello prettamente biomedico che individua la causa della sindrome negli apparati deputati alla trasmissione e percezione del dolore e dall'altra vi è una visione più attenta alla centrale influenza dei fattori emotivi, cognitivi, comportamentali e psicosociali nella percezione del dolore e nella sua cronicizzazione nonché alle modalità che creano disequilibri organici. Il discorso dell'implicazione dei fattori psicologici nella fibromialgia risulta molto articolato come nel caso del dolore cronico senza lesione. I costi diretti e indiretti diverivanti dalla sindrome sono rilevanti: nel caso dell'italia, i costi diretti annuali si aggirano attorno a 700€ mentre i costi indiretti nella fibromialgia sono legati sia alla diminuzione delle giornate di lavoro sia alla perdita di autonomia nello svolgimento delle attività quotidiane. Sofferenza, catastrofismo e stress Il concetto di “educazione al paziente” è strettamente connesso a un punto centrale della concezione medica della fibromialgia: l'atteggiamento che il paziente assume nei confronti della propria patologia. La letteratura scientifica dimostra ampliamente quanto il catastrofismo caratterizzi la maggior parte delle esperienze di malattia nella fibromialgia. Il catastrofismo associato ai disturbi dell'umore ha condotto a ipotizzare l'esistenza di una sorta di “personalità fibromialgica” strettamente connessa alla vulnerabilità psicologica dei soggetti affetti dalla sindrome. Tra i disturbi più presenti tra i fibromialgici c'è la depressione ed entrambe le patologie presentano sintomi comuni e inoltre condividono meccanismi eziopatogeni compromessi. La relazione tra i due disturbi è stata accertata anche per via dell'efficacia per entrambi degli antidepressivi e per quanto concerne la fibromialgia sugli effetti che producono nei meccanismi che interessano le molecole inibitrici della ricaptazione della serotonina. Inoltre è stato scoperto che il 70% delle persone affette da fibromialgia abbia in passato sofferto di depressione che a sua volta spesso causa una scarsa efficacia delle cure. Inoltre la fibromialgia è spesso associata ai disturbi ansiosi e allo stress poiché gli eventi traumatici del passato o le situazioni di forte stress a essi correlati ed hanno un alto tasso di incidenza in persone con fibromialgia tanto da portare alcuni autori a inserire la sindrome nello spettro delle patologie stress-correlate. L'ipotesiche tenta di spiegare il meccanismo patogenetico della fibromialgia alla luce della perturbazione del sistema dello stress si focalizza sui disequilibri che avvengono nell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e dunque di conseguenza nel sistema nervoso che modula la percezione del dolore. L'attività costante dell'asse citato poco fa per risposta allo stress determina una produzione di ormoni responsabili dei processi omeostatici nonché di oppioidi endogeni che hanno un effetto analgesico sul dolore ma solo nella sua forma acuta; nel dolore cronico e quindi nella fibromialgia, la disfunzione di tale asse sembrerebbe portare a un malfunzionamento nel sistema nervoso centrale proprio nei meccanismi che regolano la trasmissione e la modulazione del dolore legati agli oppioidi. La PNEI Tale sigla rappresenta la psiconeuroendocrinoimmunologia che si è fatta spazio a metà del secolo scorso e che non si delinea come una nuova specializzazione prettamente biomedica anche se vuole rappresentarsi come un paradigma applicabile in diversi campi del sapere. È inoltre frutto dell'unione di varie discipline quali biologiche e psicologiche in primo luogo poiché analizza le relazioni bidirezionali tra organismo e psiche. L'obiettivo è quello di offrire un approccio sistemico capace di cogliere come i processi fisiologici siano condizionati da elementi non solo psichici ma anche sociali, culturali e ambientali. Sulla base di ciò si edificano le proposte terapeutiche indicate che oltre all'uso di farmaci prevedono il ricorso a tecniche capaci di ristabilire un equilibrio psico- fisico. La PNEI applica una metodologia di analisi che si rivela inadeguata per la capacità di andare in profondità proponendo una visione che riduce in fin dei conti il ragionamento alla dimensione del funzionamento del corpo biologico dando per scontati i processi sociali delle varie categorie mediche. Le critticità dell'approccio medico alla fibromialgia Nel momento in cui il paziente affetto da tale patologia si rivolge al servizio di medicina generale, si delineano due tipologie di pazienti: chi verrà indirizzato vs una consultazione specialistica e vi chi si rivolgerà autonomamente poiché il medico di famiglia non è a conoscenza della sindrome o non la riconsoce come una patologia reale e da trattare. Prima di ricevere la diagnosi, i pazienti si scontrano con lo scietticismo e l'incredulità del personale sanitario. -Emotional distress Una problematica evidente risiede nella mancanza di una definizione univoca e condivisa della sindrome fibromialgica, cosa correlata alla coesistenza di varie ipotesi che tentano di inquadrare i meccanismi eziologici alla luce di quelle che sono state le varie spiegazioni proposte. La visione medica odierna sulla sindrome è il passaggio fondamentale anche se mai del tutto concluso e che ha portato a riqualificarla mediante una revisione parziale delle spiegazioni mediche poposte negli anni. Linguisticamente fibromalgia sta ad indicare un dolore che investe le strutture connettivali fibrose e i muscoli poiché inizialmente era considerata un reumatismo extra-articolare o più specificamente una sindrome dolorosa causata da un disturbo muscolo-scheletrico. Dal 1990 la fibromalgia inizia ad essere considerata come sindrome da sensibilizzazione centrale causata da un disturbo a livello nocicettivo e da mutate attività neuronali nel sistema nervoso. Oltre a essere analizzata alla luce delle diverse teorie che nel tempo sono state avanzate, la sindrome è inquadrata differentemente in base alle conoscenze che ogni professionista mette in campo alla luce delle varie specializzazioni: l'approccio reumatologico risulta diverso rispetto a quello neurologico. La questione dell'indeterminazione emerge non solo attraverso l'analisi della letteratura medica, ma caratterizza anche le relazioni esposte durante i convegni che vedono la fibromialgia essere sempre al centro di un acceso dibattito. In biomedicina l'analisi della fibromalgia è caratterizzata dal costante richiamo al ruolo giocato dalla psiche in quanto in primo luogo esso permette di riempire il vuoto epistemologico facendo così fronte alla varietà che caratterizza l'insieme delle persone che soffrono individuando così spiegazioni differenti in base ai casi di fg mediche che si confrontano. -Maladaptive behaviour Altro punto critico rintracciabile nella visione medica della patologia risiede nell'importanza data ai meccanismi prettamente emoionali e cognitivi coinvolti nella sindrome e che a loro volta sono capaci di reincidere sullo stato organico e fisico generale. È seguendo questo discorso che nella fibromalgia è fondamentale indagare e correggere il comportamento della persona malata o meglio il suo maladaptive behaviour. La letteratura si concentra particolarmente qui facendo emergere un elemento importante quale la visione esistente di un comportamento “tipico” del paziente fibromalgico.
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