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Il dopoguerra e la crisi, repubblica di weimar, nuovo quadro geopolitico, inizi fascismo, Appunti di Storia

Riassunto dettagliato che comprende il dopoguerra e la crisi, la repubblica di weimar e il nuovo quadro geopolitico e l'avvento del fascismo in Italia (7 pagine)

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 02/07/2023

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Scarica Il dopoguerra e la crisi, repubblica di weimar, nuovo quadro geopolitico, inizi fascismo e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! LA SVOLTA STORICA DELLA GRANDE GUERRA Il quadro geopolitico La Grande guerra fu la prima guerra totale della storia. Fece da 8 a 10 milioni di morti. Mobilitò non solo gli eserciti, ma popolazioni, istituzioni e mezzi di informazione. Le principali eredità furono:  sul piano geopolitico, la definizione di una nuova gerarchia e di un nuovo assetto territoriale in Europa e nel Medio Oriente;  sul piano economico, l'evoluzione dei sistemi industriali verso la produzione di massa;  sul piano politico-sociale, mobilitazione delle masse, inasprimento dei conflitti sociali e crisi delle istituzioni liberali. La guerra portò con se la crisi della centralità europea. L'Europa iniziò a perdere quel ruolo di baricentro economico e politico del mondo che aveva ricoperto per secoli. Poiché gli Stati Uniti non erano ancora disponibili ad assumersi tale ruolo, il dopoguerra si trovò privo di un vero centro intorno al quale ricostruire un ordine internazionale equilibrato, che impedisse analoghe tragedie. Nel gennaio 1918, prima della fine del conflitto, il presidente Wilson aveva indicato i Quattordici punti su cui fondare la politica internazionale del dopoguerra; Wilson con questi punti offriva una base per trattare un'eventuale pace in caso di vittoria dell'Intesa e, soprattutto, per impostare i rapporti internazionali nel dopoguerra. Il programma wilsoniano si ispirava a due principi: quello liberale classico della libertà di commercio e il principio di nazionalità o autodeterminazione, basato sull'idea che a una nazionalità dovesse corrispondere uno Stato. A garanzia della pace futura si proponeva la trasparenza della diplomazia, il contenimento degli armamenti e la fondazione di una Società delle Nazioni, cui peraltro proprio gli Stati Uniti, nel dopoguerra, non aderirono. Molto poco di tale programma venne realizzato. La Società delle Nazioni, istituita nell'aprile 1919, nacque già debole per l'esclusione della Russia bolscevica e della Germania, ma soprattutto, per la mancata partecipazione degli Stati Uniti. La conferenza di pace di Parigi (gennaio-giugno 1919), detta "pace di Versailles" perché li si svolse la discussione sulla questione più importante, il trattato di pace con la Germania. La linea moderata sostenuta da Wilson si scontrò con l'intransigenza della delegazione francese, animata dalla volontà di ridurre quanto più possibile il potenziale territoriale, economico e militare tedesco. La conferenza di Versailles fu dominata dai quattro grandi vincitori: gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia che ebbe un ruolo secondario. Germania e Austria non furono ammesse. Altrettanto accadde alla Russia bolscevica. Il problema principale era quello di ridisegnare la carta politica d'Europa, sconvolta dal collasso di quattro grandi imperi che erano anche i pilastri dell'ordine europeo centro- orientale. Da lunghe ed estenuanti trattative sortirono cinque trattati di pace:  di Versailles, con la Germania (28 giugno 1919);  di Saint-Germain, con l'Austria (10 settembre 1919);  di Neuilly, con la Bulgaria (27 novembre 1919);  del Trianon, con l'Ungheria (4 giugno 1920);  di Sèvres, con l'Impero ottomano (10 agosto 1920). Molte delle decisioni prese a Parigi rappresenteranno una pesante eredità. In particolare:  l'umiliazione inflitta alla Germania, costretta ad accettare di assumersi l'intera responsabilità del conflitto e condizioni di pace assai dure e punitive; infatti fu condannata a risarcire i danni di guerra, il cui pagamento avrebbe distrutto l'economia tedesca;  la creazione, di nuovi stati multietnici: Iugoslavia, Cecoslovacchia, Polonia;  l'emarginazione delle minoranze etniche in molti di questi stati e la presenza di milioni di profughi e apolidi;  insoddisfazione dell'Italia, che ebbe il Trentino, il Sud Tirolo-Alto Adige sino al confine con il Brennero, Trieste e l'Istria, ma non la Dalmazia e Fiume;  la sistemazione del Medio Oriente in base a logiche di potenza che delusero le aspirazioni dei movimenti nazionalisti arabi. Piena di conseguenze fu la sistemazione della Polonia; essa venne ricostituita come grande stato sovrano, incorporando territori in precedenza tedeschi e austriaci. Alla Polonia venne assegnata la città libera di Danzica, raggiungibile attraverso un passaggio in territorio tedesco, che separava la Prussia orientale dal resto della Germania. I confini polacchi rimarranno indeterminati fino alla conclusione della guerra russo-polacca, scoppiata nel 1920. La guerra era stata un bagno di sangue e anche la pace fece le sue vittime. Una delle conseguenze più drammatiche, fu data dallo sradicamento di gruppi umani, in particolare nell'Europa centro-orientale e nei Balcani. I trattati di pace ridisegnarono la carta europea tentando di far coincidere stato e nazione, sulla base del modello occidentale. Nasce la figura dell'apolide, un essere umano sprovvisto di riconoscimento e cittadinanza. La Turchia iniziava la sua storia come stato, nei territori mediorientali le aspirazioni all'indipendenza delle popolazioni arabe si intrecciarono con gli interessi di Gran Bretagna e Francia, in competizione per assicurarsi il controllo di un'area strategica dal punto di vista commerciale e delle risorse naturali. Nel 1916, Gran Bretagna e Francia si erano accordate su come spartirsi l'area mediorientale. Finita la guerra, i territori vennero costituiti in mandati: la Società delle Nazioni, impossibilitata ad amministrare direttamente quei territori, demandò tale compito alle potenze vincitrici: alla Gran Bretagna fu affidato il mandato sulla Palestina e sulla Transgiordania; alla Francia quello su Siria e Libano. Nel resto dell'area mediorientale i vincitori imposero una geografia che rispecchiava gli interessi anglo-francesi. Questa sistemazione geopolitica non poteva soddisfare il nazionalismo arabo, che rivendicava l'identità culturale e l'indipendenza dei popoli arabi dal dominio turco. Durante la guerra, la Gran Bretagna aveva appoggiato la rivolta araba contro gli ottomani. In quella circostanza, il governo di Londra aveva fatto promesse, di indipendenza, prospettando la creazione di un grande stato arabo (compresa la Palestina). Promesse che non vennero mantenute e che non potevano esserlo, dato che contemporaneamente, inglesi e francesi decidevano come dividersi il controllo dell'area dopo la sconfitta dell'impero. La sistemazione geopolitica di tipo coloniale ebbe conseguenze particolarmente gravi in Palestina, le rivendicazioni d'indipendenza si intrecciarono con il difficile rapporto fra arabi ed ebrei. Nei primi vent'anni del Novecento, l'emigrazione ebraica in Palestina promossa dal sionismo aveva portato ebrei, in maggioranza provenienti dall'Europa orientale. Nacquero le prime tensioni a livello locale fra coloni e nativi, dovute sia alle diversità linguistiche, culturali, religiose, sia a contese di natura economica, come l'incerta definizione di un confine fra due proprietà o il rifiuto dei fittavoli arabi di lasciare i terreni acquistati dagli ebrei. Durante la guerra, la situazione si aggravò a seguito di una dichiarazione del ministro degli Esteri inglese Arthur J. Balfour, che nel 1917 appoggiò la creazione in Palestina di un «focolare nazionale per il popolo ebraico». Il primo riconoscimento ufficiale, da parte di una grande potenza, del sionismo e dei suoi obiettivi. Provocò entusiasmo negli ebrei, risentimento negli arabi e questi ultimi, delusi per il mancato rispetto delle promesse fatte iniziarono a identificare sempre più strettamente imperialismo occidentale e sionismo, considerando entrambi avversari nella lotta per l'indipendenza nazionale. Qui troviamo le radici di un problema che ha attraversato tutto il Novecento e che è ancora aperto. L’Europa prima e dopo la grande guerra (pg verdi) Con la fine della Grande guerra sono ben quattro gli imperi che cessano di esistere: quello austro-ungarico, quello tedesco, ottomano e russo. La più importante conseguenza, balza all'occhio confrontando le due carte: l'Europa si popola di nuovi stati nazionali indipendenti e la fisionomia politica si avvicina sensibilmente a quella odierna. Profondo è lo sconvolgimento nell'Impero austro-ungarico. All'Austria vengono riconosciuti confini assai limitati, che ne fanno uno stato secondario caratterizzato da un enorme capitale, Vienna. I domini balcanici l'esperienza della morte di massa, ma anche elaborato sentimenti di cameratismo, solidarietà, identità collettiva, accompagnati spesso dall'idea di essere i soli a pagare, e a morire, per combattere un nemico, esterno o interno che fosse. Nel dopoguerra, tali sentimenti non furono abbandonati; si tradussero in quella militarizzazione della politica che caratterizzò alcuni paesi, come l'Italia e la Germania. VINCITORI E VINTI La repubblica di Weimar Il 19 gennaio 1919 si tennero le elezioni per l'Assemblea costituente: i socialdemocratici ebbero la maggioranza relativa, e formarono un governo di coalizione con i liberali e i cattolici del Zentrum, presieduto dal socialdemocratico Philipp Scheidemann. Nell'agosto la nuova Germania repubblicana definì il proprio ordinamento istituzionale con l'approvazione della Costituzione di Weimar. La Costituzione bilanciava il potere del parlamento, eletto ogni 4 anni, con quello del presidente della repubblica, eletto ogni 7 anni direttamente dal popolo. Questo dualismo di poteri rifletteva sul piano giuridico e istituzionale il "compromesso" fra la nuova e la vecchia Germania su cui si reggeva la Repubblica di Weimar. I primi anni della Repubblica di Weimar furono estremamente difficili. I governi introdussero riforme sociali ma dovettero fronteggiare sia l'opposizione della sinistra rivoluzionaria sia la sempre maggiore aggressività della destra, che traeva alimento dalle dure condizioni di pace imposte alla Germania dal trattato di Versailles. La pratica della violenza si diffondeva a macchia d'olio. Alla violenza si sommava la crisi economica. L'inflazione e la conseguente perdita di potere d'acquisto della moneta raggiunsero livelli devastanti dal punto di vista sociale. Sul piano economico, fu decisivo l'intervento delle potenze occidentali, e in particolare degli Stati Uniti, consapevoli di quanto la crisi tedesca fosse pericolosa per la stabilità del continente, ma anche del Fatto che la ripresa dell'economia era una condizione necessaria per consentire alla Germania di pagare i suoi debiti. Il piano Dawes rateizzava i debiti di guerra e assicurava ampi finanziamenti all'industria tedesca. Nel 1929 la Germania rientrava a pieno titolo nella comunità internazionale grazie all’iniziativa del primo ministro Gustav Stresemann; nell'ottobre del 1925 egli stipulò con la Francia il trattato di Locarno, che stabilizzava la situazione occidentale secondo quanto deciso a Versailles, cioè con l'assegnazione alla Francia dell'Alsazia-Lorena, e impegnava i due paesi a non violare la frontiera comune. L'anno seguente la Germania veniva ammessa alla Società delle Nazioni. Sembrava che la Germania avesse superato la sua crisi e che potesse svolgere un ruolo di sviluppo economico e di stabilità politica. L’Unione Sovietica Nel dicembre 1922 nasceva l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, il primo stato socialista della storia. La costituzione del 1924 assegnava tutto il potere ai soviet degli operai, dei contadini e dei soldati. In realtà, il potere effettivo era esercitato dal Partito comunista e dai suoi apparati. Le condizioni del nuovo stato erano molto critiche. L'Unione Sovietica era un paese più povero e rurale della Russia d'anteguerra. La produzione industriale era un quinto di quella del 1914 e quella agricola poco più della metà. Il comunismo di guerra ebbe conseguenze disastrose nelle campagne, perché i contadini reagirono alle requisizioni di grano riducendo la produzione e aggravando ulteriormente la crisi agricola. La scarsità di beni faceva fiorire il mercato nero. Masse di popolo si spostavano dalle città alle campagne, alla ricerca di condizioni minime di sopravvivenza. Nell'inverno 1920-21 scoppiarono grandi rivolte contadine contro le requisizioni di grano nella Russia sud-occidentale, nell'Ucraina e nella Siberia occidentale. La popolarità del Partito comunista si era indebolita. Il caso più grave si verificò nel marzo 1921, quando fu repressa la rivolta dei marinai della base militare di Kronstadt, vicino a Pietrogrado, che erano stati in prima fila nella rivoluzione e che ora chiedevano la fine della dittatura bolscevica e la libertà politica. A questa crisi interna si aggiungeva l'isolamento del paese sul piano internazionale. Lo Stato sovietico doveva constatare il fallimento della rivoluzione europea, sulla quale il gruppo dirigente bolscevico aveva inizialmente puntato. La drammatica situazione dell'inizio del 1921 indusse Lenin a un radicale mutamento di linea. Il comunismo di guerra venne abbandonato e fu avviata la Nuova politica economica, che reintroduceva elementi di profitto individuale e di libertà economica, con l'obiettivo di rianimare la produzione interna. Con la Nuova politica economica:  cessarono le requisizioni;  i contadini vennero lasciati liberi di vendere le eccedenze e di assumere manodopera;  venne permesso il commercio interno, per consentire ai contadini di vendere le eccedenze;  vennero ammesse piccole imprese private artigianali e commerciali, lo Stato conservò tuttavia il controllo delle principali attività economiche. La Nep fu accolta con grande favore nelle campagne e diede risultati positivi: nel 1926 la produzione agricola, industriale e il reddito nazionale erano ritornati ai livelli d'anteguerra. Sul piano internazionale, le maggiori potenze europee, interpretando la Nep come una sorta di "ritorno al capitalismo", riconobbero l'Unione Sovietica e ripresero le relazioni diplomatiche e commerciali. Risultati positivi, ma a causa di questi, la Nep incontrò una forte opposizione nel partito: chiamava in causa, il problema di come sviluppare l'economia socialista. I sostenitori della Nep, ritenevano che essa fosse l'unica strategia per consentire lo sviluppo del paese senza perdere il consenso dei contadini, che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione. Sul fronte opposto, gli oppositori della Nep, fra i quali Trockij, ritenevano invece necessario accelerare l'industrializzazione, sfruttando le due grandi risorse: le materie prime strategiche (ferro, carbone, petrolio) e la forza lavoro. Il dibattito sulla politica economica s'intrecciò, con il problema del potere nel Partito comunista, conteso fra Stalin e Trockij. Terreno dello scontro fu la prospettiva strategica in cui si doveva muovere il processo di edificazione del socialismo. Trockij sosteneva la teoria della rivoluzione permanente, in cui l'Unione Sovietica avrebbe dovuto intensificare il proprio slancio rivoluzionario procedendo a un'industrializzazione accelerata e mettendosi alla testa di una rivoluzione internazionale. Stalin sostenne invece la teoria del socialismo in un solo paese, necessario era prioritario consolidare il socialismo nell'Unione Sovietica, senza far conto sull'estensione della rivoluzione, rivelatasi illusoria. Stalin era segretario generale del partito, un ruolo che gli consentì di costruirsi una solida base di potere nell'apparato. Il suo atteggiamento risultò convincente agli occhi dei quadri del partito, e portati a vedere in lui la più sicura garanzia di difesa del loro ruolo e prestigio nell'organizzazione. Nel 1927, quando Stalin e Trockij giunsero allo scontro, l'apparato si schierò con Stalin; Trockij venne espulso dal partito e nel 1929 esiliato (verrà ucciso nel 1940 in Messico, dove si era rifugiato, da un sicario di Stalin). Con l'espulsione di Trockij, Stalin si installò saldamente alla testa del partito e del paese. IL DOPOGUERRA IN ITALIA E IL FASCISMO La crisi del dopoguerra Gli obiettivi per cui si era combattuto sembravano raggiunti; la guerra, sia pure al prezzo di enormi sacrifici sembrava avesse cementato l'unità della nazione e rinsaldato il suo sistema politico. Un'acutissima conflittualità sociale e politica lacerò il paese per quattro anni. Il primo periodo del dopoguerra, dall'inizio del 1919 fino all'autunno del 1920, il cosiddetto "biennio rosso", fu dominato dalle grandi lotte contadine e operaie; il successivo, dall'autunno del 1920 all'autunno del 1922, ebbe come protagonista il fascismo, che mise il paese a ferro e fuoco, sino a conquistarne il governo. In questo tornante emersero tutta la fragilità delle istituzioni liberali e le tensioni del dopoguerra sfociarono in Italia in una vera e propria crisi di sistema, che non produsse un mutamento di dirigenza politica nel quadro delle strutture liberali, ma il sovvertimento di queste ultime e l'instaurazione di una dittatura. II primo dato da considerare è la grave situazione finanziaria con pesante debito estero verso i paesi alleati. La conseguenza fu una forte inflazione, dovuta all'eccesso di moneta circolante. A ciò si sommava il problema della riconversione dalla produzione di guerra a quella di pace, che comportò una grave disoccupazione. Nel corso del conflitto, l'industria italiana si era molto sviluppata, finito il conflitto, però, lo Stato non era più in grado di sostenere le imprese con commesse pubbliche. La guerra aveva mobilitato contadini e operai suscitando grandi aspettative di miglioramento economico e di maggiore giustizia sociale. Il dopoguerra presentava una realtà dura e deludente. A partire dalla primavera del 1919 iniziò un ciclo di lotte sociali e sindacali che coinvolsero milioni di lavoratori, mescolando rivendicazioni economiche e aspettative rivoluzionarie. Le agitazioni davano luogo a scontri di piazza. Nella primavera-estate del 1919 iniziarono le occupazioni delle terre incolte da parte dei contadini poveri nel Centro-sud. Contemporaneamente, nelle regioni del Centro e in molte città importanti esplodevano violenti tumulti popolari contro il carovita. Un carattere più organizzato ebbe l'imponente ciclo di scioperi per aumenti salariali che si avviò negli stessi mesi nelle campagne e nelle fabbriche del Nord. A guidarli erano le grandi organizzazioni sindacali: la Federterra (l'organizzazione socialista dei braccianti) e la Cgdl ma anche la nuova Confederazione italiana dei lavoratori (Cil), il sindacato di ispirazione cattolica fondato nel 1918. Il governo, presieduto da Vittorio Emanuele Orlando, poi da Francesco Saverio Nitti, un liberale di orientamento progressista, reagì alternando l'uso della forza per mantenere l'ordine con la ricerca di soluzioni positive per non inasprire lo scontro sociale. Il movimento dei lavoratori ottenne effettivamente importanti risultati:  gli operai conseguirono rilevanti aumenti salariali e lo storico accordo per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore;  nelle campagne i braccianti conquistarono aumenti di paga, l'imponibile di manodopera (una quantità minima di assunzioni in proporzione alle dimensioni dell'azienda) e il controllo sindacale del collocamento;  i mezzadri e i coloni ottennero miglioramenti dei patti agrari;  al Sud, il governo operò una parziale redistribuzione ai contadini delle terre incolte che erano state occupate. La rappresentanza politica di questo movimento sociale sarebbe spettata naturalmente al Partito socialista. Ma il partito venne radicalizzando le proprie posizioni in senso rivoluzionario. Il congresso di Bologna dell'ottobre 1919 confermò la netta prevalenza della componente guidata da Giacinto Menotti Serrati, chiamata massimalista perché proponeva il «programma massimo dell'espropriazione capitalistica borghese», cioè della rivoluzione socialista. Esso escludeva ogni possibilità di collaborazione con il governo e teorizzava la violenza di classe e la dittatura del proletariato, sull’esempio della rivoluzione bolscevica, senza indicare alcuna chiara strategia politica. La minoranza riformista di Filippo Turati e Claudio Treves sosteneva che bisognava battersi per ottenere riforme sociali e una piena democrazia politica, a cominciare dall'abolizione della censura sulla stampa. Il Partito socialista si trovò in un momento storico cruciale, privo di una direzione unitaria.
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