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Biennio Rosso e l'ascesa del Fascismo in Italia, Appunti di Storia

La situazione economica e politica in Italia dopo la prima guerra mondiale, con la vittoria ma problemi economici e sociali. Suffragio universale maschile, partiti socialisti e popolari. Congresso di Livorno crea il Partito Comunista d'Italia. Trattato di Rapallo risolve la questione di Fiume. Nasce il fascismo con Mussolini, inizialmente socialista poi nazionalista. Fascismo difende proprietà privata e interessi borghesia. Elezioni 1921 portano fascismo in parlamento. Mussolini trasforma movimento in partito nazionale fascista e organizza 'marcia su Roma'. Re Vittorio Emanuele III permette nuovo governo guidato da Mussolini, primo a salire al potere con la forza.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 04/03/2024

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Scarica Biennio Rosso e l'ascesa del Fascismo in Italia e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! BIENNIO ROSSO Nonostante fosse risultata una delle potenze vincitrici, al termine della Grande Guerra l'Italia dovette affrontare numerosi problemi economici e sociali: era necessario riconvertire l'economia e l'Italia si trovava ad affrontare un gravissimo problema di debito pubblico. Infine, la continua emissione di moneta negli anni della guerra aveva avuto come conseguenza inevitabile una fortissima inflazione. Alle difficoltà economiche si affiancavano problemi sociali, ai contadini arruolati nell'esercito era stato promesso che sarebbero stati ricompensati con l'assegnazione di terre, ma la promessa non era stata ancora mantenuta. I braccianti e i coloni del Nord chiedevano contratti migliori e paghe più alte, mentre gli operai delle fabbriche la riduzione della giornata lavorativa a otto ore e l'aumento di salario in grado di proteggere i loro guadagni dall'inflazione. A queste tensioni si aggiungevano quelle relative al reinserimento sociale dei reduci e solo nel 1923 fu approvata una legge che definiva la loro posizione giuridica. Dopo l'introduzione del suffragio universale maschile nel 1912, anche in Italia le masse erano divenute soggetti politici da cui non era più possibile prescindere. A raccogliere grandi consensi furono soprattutto il Partito socialista italiano (fondato da Filippo Turati nel 1892) e il Partito popolare italiano (fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo). Nelle elezioni del 16 novembre 1919 iI PSI ottenne il maggior numero di voti, il PPI ebbe un risultato inferiore e Francesco Saverio Nitti fu nominato come Presidente del Consiglio. Le tensioni sociali sfociarono nel cosiddetto "biennio rosso", un'ondata di agitazioni scoppiate fra il 1919 e il 1920, che coinvolsero tutto il paese. Si trattò inizialmente di moti spontanei, successivamente gli operai e i braccianti moltiplicarono gli scioperi di protesta e alla fine giunsero a occupare le fabbriche e le terre, ambivano a diventare proprietari delle fabbriche. Gli scontri furono particolarmente duri nel settore metalmeccanico: gli operai rallentavano i ritmi di produzione per protesta; alcuni industriali decisero di attuare una "serrata", ossia di chiudere gli stabilimenti, impedendo agli operai di lavorare. Anche per opporsi alle serrate, gli operai si diedero all'occupazione delle fabbriche, che vennero presidiate con le armi per evitare che la forza pubblica potesse sgomberarle con la forza. Le occupazioni di fabbriche e terre suscitarono il panico e questo finì per spaventare anche i sindacati, che temevano di vedere il paese sprofondare nella guerra civile. Giolitti riuscì a ricomporre il conflitto e a mettere fine alle occupazioni, convincendo gli industriali a riconoscere un aumento dei salari e la possibilità di far partecipare i lavoratori al controllo della produzione. Le lotte del biennio rosso si conclusero, nell'immediato, con una vittoria degli operai e dei contadini sul piano sindacale, ma nel lungo periodo non ebbero conseguenze positive sul piano politico. Il Partito socialista era diviso tra riformisti, aperti collaborazione con altre forze politiche, e massimalisti, che erano favorevoli a una rivoluzione (i massimalisti prevalgono). A Torino era nata la rivista «L’Ordine Nuovo», che vedeva tra i suoi fondatori Antonio Gramsci. Sempre nel 1919, il PSI aveva aderito alla Terza Internazionale, in occasione della quale Lenin aveva indicato le condizioni che ogni partito avrebbe dovuto rispettare necessariamente per continuare a farne parte: tra queste comparivano sia l'obbligo di sostituire il nome "socialista" con "comunista", sia l'espulsione dal partito dei riformisti. Nel congresso convocato a Livorno nel 1921 nasce il Partito Comunista d'Italia (tra i fondatori, oltre a Gramsci, spiccavano Amadeo Bordiga, Palmiro Togliatti e Umberto Terracini). L'ala riformista di Turati diede vita al Partito socialista unitario, che nominò segretario Giacomo Matteotti. Reduci e nazionalisti erano insoddisfatti poichè l'esito della guerra aveva portato a risultati inferiori rispetto alle aspettative del paese: la vittoria italiana fu considerata per questo una "vittoria mutilata", come la definì D'Annunzio, nonostante la missione di Trieste e Trentino Alto Adige. Se da un lato all'Italia non vennero concesse l'Istria e la Dalmazia, promesse in base al patto di Londra, dall'altro i nazionalisti reclamavano l'annessione all'Italia, oltre che di quelle due regioni, anche della città di Fiume. Il 12 settembre del 1919 D'Annunzio, alla testa di un gruppo di militari in servizio o da poco congedati, occupò la città di Fiume, la dichiarò annessa all'Italia e vi insediò il governo provvisorio del Carnaro. Solo il 12 novembre del 1920, i governi italiano e quello del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni trovarono un accordo e firmarono il trattato di Rapallo, che pose fine alla questione fiumana: in base all'accordo all'Italia sarebbe andata l'Istria, mentre il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni avrebbe ottenuto la Dalmazia; fu inoltre deciso che Fiume rimanesse una città-stato indipendente. L’AVVENTO DEL FASCISMO Nacque di un nuovo movimento politico, il fascismo, sotto la guida di Benito Mussolini, che nel corso degli anni aveva mutato i propri convincimenti politici. Nel 1910 era segretario del Partito socialista di Forlì e si ostentava posizioni repubblicane, nel 1912 si era affermato come leader nazionale del socialismo rivoluzionario e dopo la presa di posizione a sostegno dell'entrata in guerra e la conseguente espulsione dal Partito socialista, aveva fondato un nuovo giornale «Il Popolo d'Italia», ispirato a valori marcatamente nazionalistici. Nel 1915 aveva preso parte al conflitto e una volta terminata la guerra si impegnò nella fondazione di una nuova forza politica: la sua idea era quella di dar vita a una formazione che potesse dar voce ai ceti medi, che contrastasse contemporaneamente il socialismo e la grande borghesia capitalistica. Il 23 marzo 1919 Mussolini fondò a Milano il primo "fascio di combattimento", da cui derivò il fascio littorio, ossia un'arma che i littori portavano con sé per proteggere i magistrati. Al movimento dei Fasci di combattimento aderirono anche giovani ufficiali ed ex combattenti dei reparti d'assalto, i cosiddetti "Arditi", abituati alla violenza e scontenti delle condizioni di pace, secondo loro accettate passivamente dal governo liberale. Tra loro emersono due tendenze: la prima, maggioritaria e conservatrice, si affiancò ai fascisti nella lotta contro i socialisti e i sindacalisti; la seconda riunì anarchici, repubblicani e socialisti, fornendo agli Arditi una milizia antifascista che tra il 1921 e il 1922 lottò con le armi per fermare la violenza fascista. In concomitanza con la fondazione dei fasci, fu presentato il cosiddetto "programma di San Sepolcro", che conteneva i principi e gli obiettivi nel movimento. Nel programma erano presenti richieste di riforme economiche e sociali radicali e aspirazioni tipiche dei movimenti nazionalisti. Oltre a esprimere disprezzo verso il parlamentarismo e i principi liberali, il movimento si connotava per un forte anticlericalismo e chiedeva inoltre la sostituzione della monarchia con la repubblica. Al momento della nascita, il movimento fascista raccolse pochissimi consensi. Alla fine del 1920 Mussolini decise di abbandonare i punti più radicali del programma di San Sepolcro e il fascismo si propose cosi come una nuova forza di destra, che aveva come scopo principale la tutela della proprietà privata e degli interessi della borghesia produttiva. Le leghe bracciantili, in Pianura Padana, erano riuscite a ottenere dai proprietari terrieri alcune misure a tutela dei lavoratori, come il numero minimo di braccianti da impiegare. Lo strumento utilizzato dal fascismo per ottenere sempre più credito furono le squadre d'azione, le cosiddette "squadracce fasciste", ovvero formazioni armate che con metodi violenti combattevano la politica socialista e miravano a smantellare il sistema di leghe rosse. Le squadre armate fasciste erano dette anche "camicie nere" per il colore delle loro divise. I fasci di combattimento iniziarono a essere sostenuti anche dai proprietari terrieri, si parla per questo di "fascismo agrario”. Il movimento iniziò a ingrandirsi, vedendo affluire al proprio interno ceti medi, ex ufficiali e intellettuali; proprio per questo si parla di successo fascista. I principali simboli del Fascismo erano il fascio littorio, l'Aquila Imperiale, il saluto romano con il braccio destro alzato e l'appellativo di Duce. Le forme architettoniche e la statuaria dell'epoca fascista riproposero l'imponenza celebrativa dell'arte romana. POLITICA ECONOMICA Il regime fascista voleva modernizzare l'Italia meccanizzando l'agricoltura per aumentare la produzione dei beni primari. Nel 1927 il Gran Consiglio emanò la Carta del lavoro e furono istituite corporazioni che comprendevano imprenditori, tecnici e operai, divennero organismi burocratici con compiti consultivi. L'economia dell'Italia fascista era fondata prevalentemente sul settore agricolo, a partire dal 1925 con il contributo dell'economista Arrigo Serpieri, la politica agraria fascista vide tra le sue iniziative la battaglia del grano, che aveva l'obiettivo di produrre tutto il grano necessario all'Italia senza dover ricorrere alle importazioni. Tra i vantaggi di questa battaglia ci fu la messa a coltura di terreni incolti nel meridione, anche se si arricchirono soprattutto i grandi proprietari e, allo stesso tempo, finì con il penalizzare tutte le coltivazioni legate alle esportazioni (come l'olivo e la vite). In Italia c'erano terre paludose e improduttive e Mussolini volle che fossero risanate e si impegnò nel piano di bonifica integrale, la bonifica Pontina fu un successo ma non fu seguita da altre opere poiché non c'erano le giuste risorse e il settore non era sufficientemente meccanizzato, mancavano le industrie di trasformazione. Mussolini insieme al Ministro delle finanze Giuseppe Volpi decise di adottare una politica di tipo protezionista, fondata su maggiore interventismo dello stato in campo industriale, l'idea era quella di sostenere il capitale privato per ridurre le importazioni e aumentare la produzione interna. Per incentivare l'occupazione il governo avviò un piano di lavori pubblici, che mirava al miglioramento della rete ferroviaria e stradale e alla costruzione delle prime autostrade. L'obiettivo della politica economica fu il regime di autarchia, ovvero un sistema economico capace di bastare a se stesso e rendere l'Italia un paese autosufficiente. Il fascismo non eliminò i problemi di fondo ereditati dallo Stato liberale, ne migliorò il tenore di vita della popolazione, il tentativo di rendere il paese indipendente dalle importazioni richiedeva grandi sacrifici e inoltre non fu mai colmato il divario tra nord e sud, poiché il Meridione rimaneva arretrato. Il fascismo non riuscì nemmeno a creare un apparato burocratico efficiente. LA POLITICA ESTERA Il governo fascista seguì inizialmente una linea prudente e moderata e ambiva a recuperare un ruolo egemone nel mar Mediterraneo:si impegnò nella revisione dei trattati di pace, che non erano stati favorevoli all’Italia. Fra le aree di maggior interesse vi erano i Balcani, la Dalmazia, e Mussolini riuscì ad ottenere la città di Fiume. Lo stato fascista si mostrò molto aggressivo anche nei confronti della Grecia. Con la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio e la Germania nel 1925 Mussolini sottoscrisse il patto di Locarno, con l’obiettivo di mantenere l’Italia nell’equilibrio geopolitico europeo. Negli anni successivi però l’Italia abbandonò l’atteggiamento moderato e Mussolini si avvicinò alla Germania di Hitler: decisiva in questo avvicinamento fu l’invasione italiana dell’Etiopia. L'alleanza fra i due regimi dittatoriali si consolidò tanto che nel 1938, durante la conferenza di Monaco, Mussolini sarebbe divenuto il principale sostenitore di Hitler. Altre zone di influenza dell'Italia erano la Libia e il Corno d'Africa, cioè la Somalia e l'Eritrea, il fascismo riprese una politica espansionistica caratterizzata da una forte aggressività, la Libia che era una colonia italiana dal 1911 non era mai stata pacificata e le forze di occupazione erano costrette alla guerriglia. Nel 1921 il Libia giunse un nuovo governatore, Giuseppe Volpi, che decise di passare all'offensiva e furono soffocate nel sangue tutte le sacche di resistenza delle popolazioni locali. Mussolini il 3 ottobre del 1935 decise di dichiarare guerra all'Etiopia, uno dei pochi stati africani ancora indipendenti e ricco di risorse naturali; per Mussolini ottenere l'Etiopia era fondamentale per estendere l'area di influenza italiana nel Corno d'Africa. L’esercito italiano ricorse ai Gas asfissianti e oltre 230.000 persone morirono, furono effettuati anche bombardamenti aerei sui centri abitati, colpendo gli ospedali della Croce Rossa. La Società delle Nazioni condannò l'azione italiana e decretò delle sanzioni economiche. LEGGI RAZZIALI Verso la fine degli anni trenta l'ideologia fascista assunse connotati razzisti, un forte incentivo venne proprio dalla campagna di Etiopia, gli italiani che si erano trasferiti nelle colonie africane vivevano a contatto con la popolazione locale e molti di loro ebbero figli con le donne africane. Mussolini cominciò a pensare sempre più agli italiani come a una razza da proteggere dalle altre mescolanze; erano discorsi in voga in Germania, quando era salito al potere il nazismo che proclamava la superiorità biologica e culturale della razza ariana rispetto a tutte le altre. Nel 1937 nelle colonie italiane in Africa venne imposta una prima legislazione razzista, che prevedeva la separazione fra la popolazione locale e i colonizzatori italiani. In seguito al progressivo avvicinamento di Mussolini a Hitler, anche il Duce si convertì al razzismo antisemita e abbracciò l'idea che gli ebrei dovessero rimanere estranei alla nuova razza guerriera. Nel 1938 fu pubblicato Il Manifesto degli scienziati razzisti, in cui si condannavano gli ebrei. Tra il 1938 e il 1939 furono approvate le leggi per la difesa della razza e tutti gli ebrei furono esclusi dalle scuole e dalle università come studenti e insegnanti, non potevano più arruolarsi come soldati o ufficiali nell'esercito e non potevano lavorare negli enti pubblici né sposarsi con non ebrei. L'atteggiamento della chiesa cattolica non fu univoco: poiché Papa Pio XI definì l'antisemitismo inammissibile e pubblicò molti articoli che esprimevano posizioni fortemente antisemite, faceva una forte critica al razzismo ma in alcuni passaggi riemergeva l'antisemitismo teologico. L'antisemitismo facilitò I nfatti l'accettazione delle discriminazioni e dell'esclusione dalla società degli ebrei italiani.
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