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il fascismo in Italia: la crisi e il biennio rosso, la crisi dei partiti politici, Appunti di Storia

il fascismo in Italia: la crisi e il biennio rosso, la crisi dei partiti politici

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 10/05/2023

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rosalba-visiello-1 🇮🇹

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Scarica il fascismo in Italia: la crisi e il biennio rosso, la crisi dei partiti politici e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! LA CRISI SOCIALE E IL “BIENNIO ROSSO” In Italia le conseguenze della Grande Guerra furono molto gravi. Nonostante l’Italia fosse uscita vincitrice dal conflitto, la sua era stata una vittoria mutilata perché gli interventisti erano insoddisfatti in quanto non era stata annessa all’Italia l’Anatolia, inoltre c’era la questione della città di Fiume che era stata dichiarata città libera. Gabriele D’annunzio la occupò con dei volontari. La società delle nazioni unite condannò l’impresa e il governo non assunse una posizione chiara. In più c’erano disagi sociali, infatti i reduci di guerra ritornati a casa si ritrovarono in condizioni peggiori ed incapaci di reinserirsi nella società; lo Stato era in deficit ; i prezzi delle merci aumentavano e la lira perdeva potere d’acquisto (inflazione). A tutto ciò si aggiungeva l’aumento della disoccupazione, infatti fu necessario convertire l’industria di guerra in industria di pace e di conseguenza diminuirono i posti di lavoro degli operai. La classe operaia si era data un’organizzazione sindacale a tutela dei propri diritti. I sindacati a partire dal 1919 organizzarono vaste ed imponenti manifestazioni, tanto che il biennio 1919-1920 fu chiamato “biennio rosso” (rosso come i colori delle bandiere socialiste e sindacali innalzate nelle manifestazioni popolari). nella primavera del 1920 nelle grandi fabbriche del nord scoppiò una vertenza operaia per gli aumenti salariali, successivamente questi scioperi si tramutarono in occupazioni delle fabbriche. I lavoratori riescono ad ottenere alcuni miglioramenti delle condizioni di lavoro. Nel 1906 nasce la Confederazione generale del lavoro LA CRISI DEI PARTITI POLITICI Nel novembre del 1919 si tennero le elezioni politiche per la prima volta con il sistema proporzionale (cioè i seggi attribuiti a ogni partito furono in proporzione dei voti ottenuti). Vi parteciparono: •il Partito popolare, fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo, un partito cattolico che raccoglieva una tendenza conservatrice moderata e una riformista; e si batteva per un’apertura verso le esigenze dei ceti più deboli; •il Partito socialista, una corrente al cui interno era lacerata perché c’erano alcuni membri che non condividevano l’interpretazione del marxismo offerta dalla rivoluzione bolscevica, altri al contrario come Antonio Gramsci vedevano il modello sovietico come l’unico possibile . Dopo le elezioni del 1919 il governo rimase in mano ai liberali; dopo un breve governo Nitti, fu chiamato a guidare il paese l’ormai anziano Giolitti che presiedette il Consiglio dei ministri dal giugno 1920 al luglio 1921. Giolitti di fronte all’occupazione delle fabbriche e delle terre decise di non intervenire pensando che le proteste si sarebbero estinte da sole, ma così non fu. Egli come i vecchi liberali non comprese i cambiamenti che c’erano alla base delle lotte politiche e sociali del paese. Egli individuava nei socialisti il maggior pericolo, pertanto cercò di allearsi con i popolari e anche con il nuovo partito che era apparso sulla scena italiana che era i fasci italiani di combattimento. Fondato a Milano nel marzo del 1919 da Benito Mussolini. Benito mussolini era direttore del quotidiano storico del partito socialista L’Avanti. I «Fasci italiani di combattimento» era un movimento di estrema destra, a cui aderirono nazionalisti, ex interventisti, reduci di guerra... Il giovane Mussolini si faceva interprete di una politica favorevole ai lavoratori, gli aderenti al movimento furono prevalentemente i reduci di guerra e coloro che appartenevano ai ceti medi delusi e colpiti dalla crisi economica. Presentatisi alle elezioni del 1919, i Fasci riportarono una cocente sconfitta, non riuscirono ad ottenere alcun seggio in Parlamento. Mentre i fasci di combattimento ottenevano sempre maggiori consensi, il Partito socialista si indeboliva e nel gennaio del 1921 Antonio Gramsci e Amedeo Bordigia lasciarono il partito socialista e fondarono il Partito Comunista d’Italia. Successivamente dall’indebolimento del partito socialista, nel 1922 Giacomo Matteotti fondò il Partito socialista unitario. Fascismo Movimento che prende il nome dai fasci di bastoni legati con una scure, simbolo di potere nell’antica Roma Il fascismo sfrutta il risentimento dei reduci disoccupati e ottiene l’appoggio dei nazionalisti umiliati dalla “vittoria mutilata”. Ottiene infine il sostegno della classe dirigente, dei proprietari terrieri e della borghesia. L’ASCESA DEL FASCISMO Dopo le delusione elettorale del 1919 il movimento fascista si schierò apertamente contro i sindacati. A partire dal 1920 i fascisti organizzati in squadre paramilitari (le camicie nere) organizzarono soprattutto in Emilia Romagna e in Toscana spedizioni punitive ai danni di scioperanti e sindacalisti. Nel maggio del 1921 i fascisti vennero inseriti nelle liste elettorali ed ottennero 35 deputati in Parlamento. Nel novembre del 1921 i fasci di combattimento si trasformarono in Partito Nazionale fascista per dargli un’apparenza legale, pur continuando con le violenze squadriste. Nel frattempo Giolitti lasciò l’incarico ed il suo successore fu incapace di affrontare la violenza fascista che era ormai incontrollabile. Il consenso per il partito fascista aumentava sempre più tanto che essi organizzarono una violenta spedizione di 40,000 camicie nere sulla capitale, la “marcia su Roma” (28 ottobre 1922), sbandierando cartelli con la scritta “Roma o morte”, per prendere il potere con la forza. Mussolini sosteneva la necessità di uno Stato forte e autoritario Il re Vittorio Emanuele III, invece di firmare lo stato d’assedio, li lasciò passare e incaricò Mussolini di costituire un nuovo governo. All’inizio Mussolini tenne un atteggiamento moderato, ma col tempo la violenza fascista divenne uno strumento politico “normale”, utile a spegnere ogni voce critica. Per le elezioni del 1924 venne introdotta la legge Acerbo (dal nome del giurista che la elaborò), studiata a tavolino per garantire la maggioranza a Mussolini: assegnava i 2/3 dei seggi parlamentari alla lista che superava il 25% dei voti. Nelle elezioni del 1924, così, grazie anche all’intimidazione delle squadre fasciste e numerosi brogli elettorali (Brogli= imbrogli messi in atto per alterare il risultato di una votazione), Mussolini ottienne la maggioranza assoluta. LA DITTATURA DI MUSSOLINI SI CONSOLIDA: Delitto Matteotti Nel 1924 Mussolini fece assassinare il deputato socialista Giacomo Matteotti (fondatore del partito socialista unitario), che aveva denunciato le violenze, le minacce, i brogli elettorali dei fascisti. Molti deputati, indignati, abbandonarono il parlamento per protesta con la secessione dell’Aventino. La secessione dell’Aventino rievoca il ritiro sul colle Aventino della plebe romana contro il potere dei patrizi. Il regime faceva credere agli italiani che stavano partecipando a un nuovo progetto di Stato e di società: il fascismo era abile nel mobilitare le folle e organizzava feste, sbandierava i suoi slogan («Credere, obbedire, combattere», «Vincere!») e i suoi simboli (saluto romano, camicia nera), obbligava ad usare il «voi» e non più il «lei», (considerato poco solenne), introdusse la censura, incoraggiava il matrimonio, la procreazione, la donna veniva esaltata come «angelo del focolare», ma contemporaneamente venne emarginata dalla vita pubblica. Le donne- funzionario vennero allontanate dagli uffici statali e le professoresse dai licei. Il regime aveva un’anima maschilista. Le decisioni del governo andavano accettate senza discutere e ribellarsi era inutile o pericoloso. Il gusto per la discussione politica e per la democrazia sarebbe riapparso tra gli italiani solo dopo il 1945, perché per adesso erano rassegnati. Un sentimento di indifferenza invase il Paese: il romanzo «Gli indifferenti» di Alberto Moravia fotografa benissimo questo stato d’animo. Molti oppositori al regime vennero condannati (il leader comunista Antonio Gramsci, il segretario del Partito popolare Alcide De Gasperi, il socialista Filippo Turati, il fondatore del Partito popolare don Luigi Sturzo). L’unico oppositore che il regime risparmiò fu il filosofo Benedetto Croce perché era protetto dall’immenso prestigio internazionale. Croce continuò dunque a scrivere sulla sua rivista intitolata «La Critica». Filippo Tommaso Marinetti e Gabriele d’Annunzio avevano fiancheggiato il fascismo e parlavano liberamente; Mussolini li temeva, ma non poteva eliminarli. Perciò li isolò, stendendo il silenzio attorno a loro. Luigi Pirandello si iscrisse al partito nel 1924, ma poco dopo, deluso, pese le distanze dal regime. LE SCELTE ECONOMICHE DI MUSSOLINI Dal 1922 al 1925 si attuò con il ministro delle finanze Alberto De Stefani una politica economica liberista che però determinò una forte inflazione, così dal 1925 al 1928 con Giuseppe Volpi si attuò una politica economica caratterizzata dall’interventismo statale. Il regime cercò di fascistizzare anche il mondo del lavoro, nel 1927 fu approvata la Carta del Lavoro che istituì il sistema corporativo. Le corporazioni erano associazioni che riunivano tutti i lavoratori e gli imprenditori di un determinato settore che dovevano collaborare tra loro per organizzare la produzione. Le corporazioni sostituirono i sindacati lasciando i lavoratori privi di tutele. Fra il 1925 e il 1927 Mussolini lanciò la politica di quota novanta con lo scopo di rafforzare la lira sul mercato monetario. Nel 1925 la sterlina valeva 153 lire, lo scopo era quello di abbassarne la quotazione a 90; per far questo si attuò una politica deflazionistica che comportò meno credito alle imprese, meno moneta circolante e contrazione dei salari. Effettivamente la lira scese nel 1927, ma i prodotti industriali ed agricoli italiani divennero meno competitivi sul mercato e di conseguenza un calo delle esportazioni. Lo Stato attuò anche una politica protezionistica, infatti furono aumentati i dazi doganali con lo scopo di scoraggiare il consumo dei prodotti provenienti dall’estero. Grande importanza ebbe la battaglia del grano nel 1925, infatti Mussolini voleva rendere l’Italia autosufficiente dal punto di vista alimentare aumentando le aree coltivabili e utilizzando nuove tecniche agricole. Furono bonificate molte aree come l’agro pontino, i tavoliere delle puglie, il basso volturno. Molte opere di bonifica delle zone paludose non furono mai completate ed il sistema produttivo al sud non migliorò, restò sempre arretrato. Comunque la battaglia del grano effettivamente diede risultati positivi, la produzione aumentò, ma non fu diversificata e la politica protezionistica ne mantenne alto il prezzo danneggiando le classi sociali più deboli. Negli anni Trenta, con la crisi economica, l’economia italiana diventa mista, in parte privata e in parte pubblica. Dal 1929 Mussolini incrementò i lavori pubblici, fece costruire poste, scuole, ferrovie e creò: - nel 1931 l’Imi (istituto mobiliare italiano)con il compito di finanziare le attività industriali e in tal senso sostituendosi alle banche; - nel 1933 nacque l’Iri (istituto per la ricostruzione industriale) l’ente doveva acquisire il controllo delle imprese in difficoltà, risanarle e poi rivenderle ai privati; - Nacque l’agip (aziende generale italiana petroli) etc. Dal 1935 la situazione economica dell’Italia si complicò, in seguito alle severe sanzioni che furono imposte dalle nazioni unite per l’invasione dell’ Etiopia. Da quel momento si puntò soltanto al rafforzamento dei rapporti con la Germania, poi essendo l’Italia priva di materie prime, si trovò a dipendere economicamente dalla Germania. Contemporaneamente venne inaugurata una politica di autarchia economica cioè di autosufficienza produttiva. Mussolini impose ai cittadini italiani di consumare solo prodotti italiani al posto di quelli di importazione, per esempio al posto del caffè l’orzo. L’alleanza tra Mussolini e la Germania di Hitler spinse il regime fascista ad introdurre le leggi razziali contro gli Ebrei (1938- 1945). Gli Ebrei vengono considerati biologicamente estranei alla razza italiana, inferiori, diversi dagli ariani (ariani= non ebrei) e pericolosi. Il regime diffonde un’aggressiva propaganda antiebraica.Gli Ebrei vengono esclusi dalla vita pubblica italiana. In Italia, però, l’antisemitismo (cioè l’ostilità conto gli ebrei) non era un sentimento diffuso. Il risultato fu che molti italiani cominciarono ad aprire gli occhi sulla vera natura del fascismo. LA POLITICA ESTERA DI MUSSOLINI Dal 1935 Mussolini adotta una politica estera aggressiva, deciso ad intervenire nell’Africa orientale dove l’Italia possedeva già Somalia ed Eritrea. Un esercito invase l’Etiopia, uno Stato indipendente retto dall’imperatore Hailè Selassiè. Il 5 Maggio 1936 il generale Badoglio entrò vittorioso nella capitale e l’Etiopia fu unita a Somalia ed Eritrea nella nuova colonia dell’Africa Orientale italiana. Il regime seppe presentare la cosa come una vittoria epica, ma in realtà si trattava di un’area poverissima. I territori coloniali italiani nel 1939 IL PATTO D’ACCIAIO Nel maggio 1939, Italia e Germania firmarono il cosiddetto Patto d’acciaio. La loro diventava una vera e propria alleanza militare. Con questo Patto, infatti, i 2 Paesi si impegnavano a sostenersi militarmente in guerra, in ogni caso. Mussolini si consegnava alla follia guerrafondaia di Hitler. Mussolini pensava che la Germania avrebbe dominato tutta l’Europa e, perciò, sedersi sul “carro del vincitore” avrebbe portato grandi vantaggi all’Italia. Inoltre Mussolini era affascinato dalla disciplina con cui I Tedeschi seguivano il loro Fuhrer (“capo”, “guida”).
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