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"il figliol prodigo", Sintesi del corso di Storia dell'Educazione

recensione del libro "il figliol prodigo"

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 19/06/2020

margherita0394
margherita0394 🇮🇹

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Scarica "il figliol prodigo" e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Educazione solo su Docsity! RECENSIONE DEL LIBRO “Il figliol prodigo. Parabola dell’educazione”. Il volume preso in questione, intitolato “Il figliol prodigo. Parabola dell’educazione” di Fulvio De Giorgi (edito nel 2018 dalla casa editrice Morcelliana di Brescia), rappresenta un’analisi ben articolata e ricca di citazioni e studi sulla “parabola del figliol prodigo” (Lc 15, 11-32) chiamata anche “parabola del padre misericordioso” oppure, citando le parole dello stesso De Giorgi, « Si potrebbe intitolare […] e definirla la “parabola della madre assente”» prendendo in considerazione la completa mancanza della figura della madre all’interno della parabola. Lo storico con la sua ricerca e analisi, oltre che al richiamo teologico-spirituale, già consolidato da vari studi, percorre una nuova linea possibile di lettura, ovvero, quella psicologica e pedagogica-educativa. In generale, una lettura priva del carattere onnisciente del Padre Celeste per farsi più vicina ad un’educazione umana, possibile di errore, ermeneutica, attenta ai dettagli e che indaga e si interroga sui fatti accaduti. In una prima parte, prendendo le fila delle varie interpretazioni classiche in chiave cristiana, viene raccontata la paternità di Dio. Infatti la figura del padre è considera del tutta positiva per i suoi aspetti riconducibile al Padre Celeste. Il figlio maggiore è del tutto negativo, rifiuta il pentimento del fratello, rifiuta l’abbraccio del fratello e non festeggia il suo ritorno, ma rimane all’interno del suo ego. Egli raffigura il fariseo e l’egoismo. Il figlio minore, invece, è una figura con dei caratteri non del tutto delineati, un “peccatore” che si pente e si converte. De Giorgi mette in evidenza dagli studi come si possano identificare i due culmini della parabola: sul piano teologico l’abbraccio tra il padre e il figlio minore e sul piano apologetico il dialogo tra il padre e il figlio maggiore che chiude il racconto evangelico di Luca. Cruciale è la differenza tra il padre descritto sul piano teologico-spirituale, e la stessa figura secondo la concezione elaborata da De Giorgi all’interno di un’etica educativa. Qui, la figura del padre non è più vista come raffigurazione di un Padre Celeste ma bensì di un uomo. Sul piano teologico, infatti, la figura del padre «svela il cuore di Dio», cioè, di un padre misericordioso che rispetta la libertà del proprio figlio mostrando un amore incondizionato, riconducibile ad un amore materno «Dio ama come solo una madre sa amare, con un amore irradiante tenerezza»; quest’ultimo amore, De Giorgi lo spiega attraverso il dipinto di Rembrandt “il ritorno del figliol prodigo” che raffigura la scena di un padre che abbraccia il figlio sul suo grembo. Cosa del tutto diversa su un piano educativo. Qui, tutti i personaggi presentano aspetti positivi e negativi. In questa nuova chiave, il padre tanto misericordioso che concede la libertà, viene interpretato come un padre “umano” che da solo ha la responsabilità di educare i propri figli. La “libertà” data al figlio, utilizzata nella parabola come mezzo, in ambito educativo diviene il fine dell’educazione. De Giorgi, infatti, sottolinea come tale fallimento educativo è dato dal fatto che, il padre non ha educato i figli all’autonomia e all’equilibrio, al fine di permettere loro di acquisire gli strumenti adatti per gestire la liberta, ma al contrario, ha educato all’ubbidienza. Il fulcro principale di tale squilibrio educativo, o meglio, come lo stesso De Giorgi definisce «fallimento educativo» è dato, come prima menzionato, dalla mancanza della madre, simbolo dell’affetto e della protezione che viene meno. Della Parabola, De Giorgi individua e sviluppa tre paradigmi educativi: l’educazione autoritaria, l’educazione libertaria e l’educazione liberatrice. Nel racconto, evidenzia come a livello educativo la parabola cumula in se tutti e tre i paradigmi, passando da un padre che in principio impartisce un educazione autoritaria, ad un padre che quando vede il proprio figlio si converte ad un educazione libertaria fino ad arrivare a quella veramente liberatrice. Il primo paradigma, ovvero, l’educazione autoritaria, viene analizzato e paragonato a quello di Siracide. Al centro vi è il padre-educatore. E’ lui stesso che insegna la legge di Siracide, legge dove non vi è spazio ai sentimenti e al dialogo, vi è solo l’ubbidienza totale verso il padre. Cosa ben diversa se ci fosse stata la figura della madre. Il padre così facendo non aiuta i figli all’apprendere la vita. Tale situazione verrà a rompersi quando il figlio minore chiederà il patrimonio per andare via, ribellandosi a quella autorità del padre. Come osserva De Giorgi citando le parole di Peter: «la condotta del figlio minore fa pensare che l’educazione paterna non è servita a niente. L’audacia del figlio prodigo manda in frantumi tutta la pedagogia del padre». Dunque, in sintesi, il figlio si allontana da casa, il padre non reagisce, ma lascia una totale libertà che si dimostra un abbandono ( il figlio dell’abbandono). Altro momento dove manca la figura della madre. Contrariamente una madre non sarebbe rimasta inerme a tale allontanamento, ma avrebbe almeno pianto il figlio. Ulteriore punto nevralgico dell’ermeneutica realizzata da De Giorgi è il cammino interiore “verso il cuore” fatto dal figlio minore, fino ad arrivare al nuovo incontro con il padre. Tale percorso si potrebbe ricondurre alla maieutica di Socrate racchiusa in quella affermazione: “conosci te stesso”. Ecco, il figlio prodigo, nel suo viaggio dentro di sé, comincia a capire la differenza tra padre Celeste e paternità umana costruendo una propria un’identità autonoma. Da un uomo delle mancanze, guidato dall’istinto arriva ad una presa di coscienza, diventa maturo. In un certo senso avviene in un lui una sorta di “catarsi”. «Il figlio minore si era allontanato da casa pieno di ‘averi’ e vuoto di un proprio ‘essere’, vi ritorna vuoto di ‘averi’ e pieno di un’identità di ‘essere’» (De Giorgi, pag. 111). Adesso si ripone l’attenzione sul padre. Egli non si oppone all’allontanamento del figlio, rimane padrone del patrimonio e il figlio maggiore passivo. Qui si dipana il periodo di attesa del padre, tra momenti di angoscia dove pensa che il figlio possa essere morto e momenti di speranza che prima o poi il figlio faccia ritorno. Da qui, si innescare un processo di presa di coscienza in lui molto lento e celato che arriva al suo culmine quando «lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Proprio in questa scena, in lui avviene una conversione. Crolla la “cappa dell’orgoglio”. Per quanto “aulica” possa essere la scena, ancora una volta De Giorgi evidenzia la nevralgica assenza della figura materna, le sue lacrime e il suo ascolto. Il padre, dalla descrizione, sembra che interrompa il figlio, preoccupandosi subito della preparazione della festa del figlio perduto e appena ritrovato, svilendo ciò di cui potrebbe veramente aver bisogno, cosa che, invece, avrebbe notato una madre. A parte ciò, vi è un cambiamento nel padre da non escludere, un miglioramento. Si passa da un educazione autoritaria a una libertaria, opposta alla precedente. Egli interrompe la condanna prevista dalla Legge e diventa permissivo, iperprotettivo, mette al centro il figlio (l’educando). Si genera in lui una gioia liberatrice nel rivedere il figlio. Nella parabola, non vi sono tracce di perdono da parte del padre, nessuna relazione, nessun chiarimento, nessun dialogo di riappacificazione con il figlio, ma coesistono solo due monologhi. Il dialogo autentico, come era assente nell’educazione autoritaria, è assente anche in tale paradigma educativo. Il padre devia, salta questo passaggio, non gli importa. Questo in ambito pedagogico è un atto diseducativo perché come nota Nussbaum: «anche il ‘perdono’ del genitore è utile se contribuisce a ristabilire la fiducia: tu hai deluso le mie aspettative, ma io spero ancora, perché ti voglio bene e tu mi dai prova che ho ragione di sperare. Ripartiamo e non parliamone più».
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