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Il filosofo in camicia nera - Mimmo Franzinelli, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Libro di narrativa storica che analizza il ruolo di Giovanni Gentile durante il ventennio fascista. Viene posta particolare attenzione ai rapporti interpersonali intercorsi con Mussolini attraverso la documentazione epistolare.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Il filosofo in camicia nera - Mimmo Franzinelli e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Mimmo Franzinelli – Il filosofo in camicia nera. Giovanni Gentile e gli intellettuali di Mussolini Giovanni Gentile è noto soprattutto come filosofo e autore della riforma scolastica del 1923, nonché direttore dell’Enciclopedia italiana. Dal 1922 fino alla sua morte nel 1944 sviluppa un notevole protagonismo politico:  Ministro della pubblica istruzione  Senatore del Regno d’Italia  Membro del Gran Consiglio del fascismo  Ideatore del Manifesto degli intellettuali fascisti  Ideatore del giuramento di fedeltà del 1931  Direttore della Scuola Normale di Pisa  Fondatore e presidente dell’Istituto nazionale fascista di cultura Giovanni Gentile si immedesima completamente con il fascismo, contribuisce ad alimentare il culto del duce impersonando il potere nelle più diverse espressioni: politiche, culturali, editoriali e accademiche. Reinterpreta il Risorgimento per proporre Mussolini quale realizzatore delle idealità mazziniane. Importante: senza quell’alleanza o sudditanza, Gentile sarebbe rimasto uno dei tanti accademici di prestigio, mentre il suo ruolo nel regime non fu solo quello di filosofo, bensì di politico e organizzatore culturale, forse il maggiore della prima metà del Novecento. Emerge dalle lettere tra Gentile e Mussolini la soggezione psicologica al Capo, dentro un preciso e reciproco gioco di convenienze che frutta a Gentile vantaggi ai più vari livelli, compreso quello economico. Marci su Roma: 28 ottobre 1922. 16 novembre 1922: Mussolini fa richiesta di pieni poteri alla Camera dei deputati e pronuncia il famoso discorso: “Potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti.” Marcia su Roma: distruzione delle sedi dei partiti di opposizione, violenze generalizzate contro gli antifascisti. Giovanni Giolitti, in seguito ai fatti dichiara il pieno sostegno a Mussolini: nel 1922 è presidente del Consiglio. Anche il senatore Benedetto Croce valuta positivamente il quadro politico e vota la fiducia al nuovo esecutivo. Il 17 novembre ottiene pieni poteri, dopo il discorso, con una maggioranza schiacciante: 306 voti contro 116 (assenti 113). Giovanni Gentile: nel primo ventennio del secolo ha pubblicato un importante corpus di studi filosofici, letterari e storiografici e si è affermato dopo Benedetto Croce come il più acuto pensatore di area liberale. Nel 1910 viene nominato professore ordinario di Storia della filosofia all’Università di Palermo e nell’agosto 1914 con il passaggio all’Università di Pisa come ordinario di Filosofia teoretica. È caposcuola dell’attualismo, corrente di pensiero imperniata sull’autocoscienza soggettiva, considerata superiore alle differenziazioni tra bene e male, libertà e autorità. Corrente filosofica tacciata da Croce di indifferentismo morale. È interventista, a differenza di molti altri intellettuali interventisti come Calamandrei, Prezzolini, Salvemini, Gentile continua la vita civile grazie all’esonero concessogli nel 1901 nel distretto militare di Trapani. 1 Interventista convinto, interpreta il conflitto europeo come coronamento delle campagne di indipendenza della giovane nazione italiana e aderisce al fronte antigiolittiano capeggiato dal socialista Benito Mussolini: è questo il primo incontro tra i due. Nel 1917 Gentile entra nella giunta del Consiglio superiore della Pubblica istruzione, ottiene l’11 novembre la cattedra di Storia della filosofia all’Università di Roma, e viene insignito del cavalierato della Corona d’Italia. Dopo la prima guerra mondiale guarda con nuovi occhi alla politica, considerata indispensabile strumento di riforma degli italiani, in una compenetrazione tra filosofia e vita civile per il potenziamento della coesione nazionale, la rivitalizzazione dell’eredità risorgimentale e il rafforzamento del legame popolo-classe dirigente. Il ministro di Mussolini Nella fase embrionale del primo governo Mussolini, i vertici del PNF designano alla Pubblica istruzione l’avvocato Dario Lupi; Mussolini, deciso a dare un alto profilo al nascente esecutivo, accoglie i suggerimenti del pedagogista Ernesto Codignola, del sindacalista Agostino Lanzillo e del sociologo Camillo Pellizzi di riservare quel ministero-chiave a Giovanni Gentile. Il duce ne apprezza la visione statalista e conservatrice, favorevole a un governo forte; è consapevole che una simile scelta gli gioverebbe sia sul piano dell’immagine sia su quello dei contenuti. Lupi deve dunque accontentarsi del sottosegretariato: incarico poco più che onorifico, poiché il ministro lo emarginerà metodicamente, escludendolo dalla preparazione della riforma scolastica. Il filosofo pone due condizioni: l’inserimento nel programma di governo dell’esame di Stato e il ristabilimento delle pubbliche libertà. Non intende insomma far parte di un governo dittatoriale. Mussolini lo rassicura su entrambi i punti. La nomina è apprezzata dai principali quotidiani, inclusi molti tra quelli ostili a Mussolini. Il foglio romano “La Tribuna” confida nel ministro Gentile per frenare le misure contro la libertà di informazione. Marcia su Roma: circa 60.000 camicie nere sfilano per la città, suddivise in squadre per provincia d’appartenenza, dirette all’Altare della Patria e al palazzo del Quirinale, per omaggiare il Milite ignoto e il sovrano. A margine dell’evento diffuse violenze contro avversari politici (alcuni uccisi) e spedizioni punitive nelle abitazioni di vari parlamentari. Il silenzio complice di Gentile è l’accettazione della sopraffazione sugli insegnanti non allineati, come accade al professor Giorgio Levi Della Vida, sottoposto alla tortura dell’olio di ricino. Riforma scolastica: sin dagli immediati provvedimenti, Gentile imposta un robusto accentramento gerarchico sia dell’organizzazione interna al ministero sia nel mondo scolastico, a rispecchiamento dell’impostazione mussoliniana. La valorizzazione della vittoria da parte del fascismo passa anche attraverso circolari ministeriali nelle quali si rievoca, in chiave nazionalista, la Grande Guerra, l’assegnazione alle principali sedi scolastiche di professori decorati con medaglie al valor militare. Tra le decisioni rivelatrici dall’inizio del 1923 vi è l’introduzione, in tutte le scuole elementari, dell’obbligo di chiudere la settimana scolastica salutando il tricolore col braccio teso al canto di inni patriottici. Gentile più che fascista è mussoliniano, esalta la sua figura in un rapporto di subalternità al duce. Nella visione gentiliana il fascismo è la naturale prosecuzione del Risorgimento italiano, al punto tale da essere nobilitato, negando l’interpretazione di alcuni intellettuali che lo definiscono fenomeno di superficie, legato alle contingenze della lotta politica postbellica e all’antisocialismo. 2 A causa dell'atteggiamento critico di Spinazzola su Benito Mussolini, egli dovette lasciare gli scavi di Pompeii nel 1923. La sua caduta in disgrazia e il suo declino professionale furono in gran parte determinati dall'accanita ostilità, dovuta a motivi sia politici sia personali, che contro di lui manifestò l'allora ministro della pubblica istruzione Giovanni Gentile[1]. Spinazzola lavorò fino alla sua morte sui ritrovamenti degli anni 1910-1923 per pubblicarli. Non riuscì a vedere la pubblicazione, perché le bozze destinate alla pubblicazione, poco prima di andare in stampa, durante la seconda guerra mondiale, andarono distrutte durante un bombardamento e il manoscritto fu considerato come andato perso. Ma ne era stata conservata una copia, che è stata pubblicata nel 1953 in due volumi, per decisione del governo italiano, nella sua interezza con il titolo "Pompei alla Luce degli Scavi nuovi di Via dell'Abbondanza (anni 1910- 1923)". Il lavoro è stato curato da Salvatore Aurigemma, il genero, che aveva sposato la figlia del primo matrimonio di Spinazzola, Maria Giulia. Massone, fu iniziato nel 1911 nella Loggia massonica "Propaganda Massonica" di Roma. Il delitto Matteotti e i dilemmi del ministro Gentile Nei due mesi compresi fra il trionfo fascista alle elezioni politiche dell'aprile 1924 e l'assassinio dell'onorevole Giacomo Matteotti gentile esprime ad amici e collaboratori il proprio entusiasmo per poter partecipare ruoli da protagonista a questa rinnovata primavera dello spirito italico. A turbare l'idillio tra il ministro della pubblica istruzione e il presidente del consiglio interviene l'omicidio del deputato sociale riformista Giacomo Matteotti perpetrato nel pomeriggio del 10 giugno 1924 dal gruppetto di squadristi capeggiati da Amedeo Dumini e Albino Volpi, alle dirette dipendenze del Duce. Durante la seduta alla camera del 12 giugno, lo svolgimento dei lavori è interrotto dalla agghiacciante annuncio di Mussolini sulla scomparsa dell'onorevole Matteotti, “avvenuta in circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate ma comunque tali da legittimare l'ipotesi di un delitto virgola che, se compiuto virgola non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del governo e del Parlamento.” Al Consiglio dei ministri, convocato la sera del 12 giugno per decidere il da farsi, assenza di de Stefani delle finanze, Gentile della pubblica istruzione e Oviglio della giustizia è un segnale di scollamento. A essi si unisce Federzoni ministro delle colonie, nel chiedere a Mussolini la allontanamento di tre personaggi coinvolti nelle indagini di polizia: il portavoce della Presidenza del consiglio Cesare Rossi, il sottosegretario all'interno Aldo Finzi e il segretario amministrativo del PNF Giovanni Marinelli, costretti alle dimissioni dopo un paio di convulse giornate. Gentile non compie un passo indietro ma a lato due si ritira cioè dal governo, senza con questo condannare Mussolini per il delitto Matteotti. L’ Esplosione della crisi Matteotti isola Mussolini, abbandonato da molti seguaci: alcuni per questioni di coscienza dinanzi a un delitto così terribile, altri per paura o opportunismo. C’è Stato dunque un momento virgola dopo il delitto Matteotti virgola in quegli straordinari giorni in cui il fascismo avrebbe potuto essere strozzato in culla, se gli aventiniani non fossero stati quelli che erano, un momento in cui gentile provo un turbamento, si dissociò pur senza denunciare, ed è quando si scoprì contiguo a delinquenti politici quali Amerigo Dumini e Albino Volpi. Ma il suo non era un turbamento morale era una vergogna sociale. Il disgusto del borghese salito alle alte sfere del paesucolo siculo che si vedeva accanto ai sicari, non ancora in quella fase ripuliti. Giovanni Gentile non cita mai Matteotti: né nei discorsi né né gli iscritti; evidentemente quel nome gli è ostico per tante ragioni sia personali sia per l'impossibilità di giustificare un delitto politico così efferato punto meglio, dunque, il silenzio per favorire l'oblio. 3 gennaio 1925: “Il Paese tutto si sveglia e torna a Lei” Nel primo quinquennio del potere mussoliniano Gentile e a un tempo operatore culturale è dirigente politico ed è senz'altro l'intellettuale fascista di maggior prestigio. 5 È la personificazione dell'intellettuale militante, coadiuvato da schiere di intellettuali funzionari. Il suo allineamento al Duce e totale, tant'è che si felicità per la sterzata dittatoriale del 3 gennaio 1925, quando dopo oltre sei mesi di instabilità politica il capo del governo assume dinanzi alla camera la responsabilità del delitto Matteotti. improvvisamente il Duce supera la crisi Matteotti, mentre polizia e camicie nere perseguitano gli oppositori punto su direttiva governativa, i prefetti chiudono tutti i circoli e i ritrovi sospetti dal punto di vista politico, sciolgono tutte le organizzazioni che sotto qualsiasi pretesto possano raccogliere elementi turbolenti o che comunque tendano a sovvertire i poteri dello Stato ed effettuano retate di elementi pericolosi. Gli ultimi liberali rimasti con Mussolini si ritirano ma ora, differentemente dal giugno dell'anno precedente, il Duce non ha bisogno di alleati: gli bastano gli squadristi e l'apparato repressivo statale. Gentile Cyr allegra per l'assegnazione della segreteria del PNF all'estrememista Farinacci. Le congratulazioni a Mussolini per la svolta dittatoriale e le Lodi al fanatico farinacci rispondono logiche di convenienza: Gentile infatti suggerisce contestualmente al Duce di ufficializzare il proprio status di legislatore mentre blandisce il segretario culturalmente politicamente a lui estraneo nella speranza di trasformarlo in difensore della riforma scolastica attaccata dal ministro Fedele e da altri notabili. Nella sua visione provvidenzialista il fascismo diviene religione e concezione di vita, culmine del processo plurisecolare costruito da Galilei, Alfieri, Mazzini: le camicie rosse di Garibaldi aprono la strada alle camicie nere di Mussolini e il Risorgimento è Vangelo fascista. 2. L’organizzatore del consenso – Il Manifesto degli intellettuali fascisti Nel saggio Caratteri religiosi della presente lotta politica, pubblicato il 6 Marzo 1925 su Il Popolo d’Italia, Gentile concilia riflessione filosofica e militanza politica, facendo derivare questa da quella. E inneggia al vessillo nero, emblema di un movimento dal carattere schiettamente religioso. mentre i dissidenti vengono metodicamente perseguitati, il filosofo rivendica alla nascente dittatura la piena attuazione dei precetti liberali: il liberalismo, proclama, si è trasformato e ora si chiama e si deve chiamare fascismo: la più coerente, la più storicamente matura e perfetta concezione dello Stato come libertà. Il Manifesto degli intellettuali italiani fascisti agli intellettuali di tutte le nazioni, Corretto personalmente dal Duce e pubblicato sulla prima pagina de Il Popolo d’Italia il 21 Aprile (Natale di Roma), e un testo che riassume talvolta in modo dozzinale la visione gentiliana del fascismo come pervaso da religiosità mazziniana. grazie a Mussolini l'Italia perviene a nuova spiritualità e la critica agli oppositori e senza misericordia. inizialmente non vengono riprodotti i nomi dei firmatari limitandosi alla generica formula seguono centinaia di firme. Se avverte in realtà una certa fatica a trovare adesioni di peso. Dopo insistenti pressioni, la squadra dei firmatari prende corpo: D’Annunzio, Bottai, Pericle Ducati, Curzio Malaparte, Marinetti, Ojetti, Ungaretti, Pirandello, Soffici, Gioacchino Volpe. Al documento che rispecchia in tutto e per tutto il progetto gentiliano di fascistizzazione della cultura reagiscono prontamente Benedetto Croce, Guido de Ruggiero e altri studiosi di area liberale. Il giorno stesso della divulgazione del manifesto, Giovanni Amendola sollecita Benedetto Croce a una presa di posizione, per arginare l'offensiva antiliberale, e la proposta viene subito accolta. Viene abbozzata una risposta che raccoglie 42 firmatari tra cui spiccano Luigi Einaudi, Matilde Serao, Guglielmo Ferrero. In pochi giorni si superano le 400 adesioni, tra le più significative: Luigi Albertini, Eugenio Montale, Gaetano Salvemini. Uno smacco doloroso per gentile che pure gioca la carta dei premi e dei disincentivi derivatagli dall'esercizio del potere. Il documento crociano individua nel fascismo una degenerazione morale, ribadisce l'autonomia della cultura e considera il manifesto un vero e proprio errore. A Gentile si imputa la 6 contaminazione della cultura, con modalità da studente pasticcione; i firmatari sono accusati di asservimento e nemici della patria e di incomprensione delle esigenze popolari: gli italiani non vogliono un'astratta libertà, ma una nazione grande e rispettata. Presidente dell’Istituto nazionale fascista di cultura A sancire il ruolo di capofila degli intellettuali mussoliniani a fine 1925 il filosofo assume la Presidenza del neo costituito istituto nazionale fascista di cultura, voluto dal Duce per valorizzare e diffondere cultura nazionale e idealità fascista. Gentile proclama dunque l'asservimento della cultura alla volontà del dittatore abdicando a indipendenza e libertà di pensiero per trasformarsi in collettore del consenso. Accede a posizioni di potere che ne aumentano l'influenza e gli attirano giovani desiderosi di fare carriera nelle università, o di trovare un posto in uno dei tanti enti da lui amministrati. L'istituto nazionale fascista di cultura è il massimo organo culturale del regime e sotto l'autorevole vigilanza del filosofo sorgono 158 istituti fascisti di cultura, con oltre 100.000 affiliati, una fitta produzione editoriale e una molteplicità di corsi e conferenze. Nel concetto fascista la cultura non è un semplice ornamento dell'intelligenza ma uno strumento nella lotta per la vita e un'arma del regime per il regime, secondo la logica mussoliniana. Il giuramento dei professori Gentile con l'intelligenza e il cinismo che gli sono propri, individua l'escamotage per acquisire forzatamente il consenso della classe intellettuale due il giuramento di fedeltà al regime. L'idea gli viene suggerita nel febbraio 1929 dal matematico Francesco Severi e la proposta lo convince. Il 20 novembre 1931 gentile giura, imitato dalla quasi totalità dei docenti universitari; il giorno dopo, proclama a fianco del Duce l'irreversibile vittoria della cultura fascista e la liquidazione dell'intellettuale sbandato, “che con la nuova legge sparisce dalle nostre università dove rimase sino a ieri annidato e la pace del lavoro torna nella scuola.” Nell'app pattuglia degli inadempienti figurano amici e collaboratori del filosofo che ne hanno respinto i consigli: egli infatti si era speso personalmente nel convincere i dubbiosi al rispetto della legge. È il caso ad esempio dell'orientalista Levi Della Vida che aveva già chiesto invano il 31 ottobre 1922 al ministro dell'Istruzione tutela dalle aggressioni squadriste virgola e che gli spiega di non poter giurare. offre spontaneamente le dimissioni da redattore dell'enciclopedia qualora la sua permanenza creasse difficoltà al direttore gentile pur nella netta differenziazione politica, riafferma la propria stima e lascia uno spiraglio alla collaborazione. Anche l'antichista Gaetano De Sanctis, respinge l’abiura, e Gentile pur rammaricandosi della scelta, anche in questo caso mantiene una porta aperta, acconsentendo al mantenimento dei redattori non giuranti. In questa vicenda che funge da spartiacque nella storia della cultura italiana del gentile assume dunque posizioni schizofreniche: da un lato esige che i docenti giurino in buona fede altrimenti bisognerebbe comunque espellerli dalle università, dall'altro esprime stima ai dissenzienti dell'università di Roma, ed è proprio questo suo atteggiamento che gli attira le critiche dei fanatici virgola che ricorrono alla segnalazione anonima pur di nuocergli. Il duce e il suo succubo Per comprendere genesi e significato delle posizioni politiche di Gentile, bisogna considerare i rapporti personali intrattenuti con Benito Mussolini: e questo, infatti, il terreno sul quale fiorisce una devozione che ha i tratti della sudditanza psicologica. Tranne il breve interludio di metà giugno 1924, quando l'emergenza della crisi Matteotti lo stacco dal Duce, gli è costantemente al fianco come organizzatore culturale, autore del manifesto, suggeritore del giuramento di fedeltà, fondatore e presidente dell'istituto fascista di cultura, propagandista instancabile delle realizzazioni del regime. Gentile Non è un fanatico il suo fideismo ha una 7 Le raccomandazioni sono un altro tratto costitutivo del gentile barone accademico abile orientatore di concorsi universitari, disponibile a favorire carriere impiegatizie di ogni ordine e grado, compiaciuto di un ruolo arbitrale che ne conferma lo status. Tuttavia non sempre i suoi interventi sono scorrevoli così come l'uomo di potere agevola i clientes, allo stesso modo il filosofo del regime può decidere di penalizzare i nemici. Nelle polemiche con intellettuali dissidenti, l'uomo di potere rivela un risvolto inquietante, scagliando contro alcuni suoi critici l'accusa di antifascismo. Il bersaglio principale e Benedetto Croce, presentato nella prolusione del dicembre 1930 di inaugurazione dei corsi dell'istituto fascista di cultura, quale ostacolo ha la maturazione della coscienza politica nazionale. 3. Per la guerra patriottica La guerra è una presenza costante nell'elaborazione ideologica gentiliana. Per il filosofo, come per il Duce, il conflitto italo-austriaco segno un decisivo punto di svolta: “la guerra ne sono profondamente persuaso, è stata una grande e salutare riscossa di tutte le energie politiche e morali della Nazione”, dichiara nel novembre 1923. E definisce il fascismo figlio della guerra. Nel 1935 ha offerto al Duce i propri figli per la campagna di Etiopia per poi celebrare la vittoria esortando gli italiani a nuovi combattimenti. Quando l'Europa è percorsa da 20 di guerra, il filosofo ritrova la determinazione per schierarsi nuovamente al fianco del Duce; a spingerlo non è soltanto il senso del dovere, ma una profonda convinzione interiore, espressa in pubblicazioni e nella corrispondenza privata virgola che gli fa intravedere un grande avvenire per il regime. Nell'aprile 1940 ne accenna al nuovo presidente dell'istituto fascista di cultura, Camillo Pellizzi, formatosi alla sua scuola filosofica e concorde nella finalizzazione mussoliniana del Risorgimento. mentre il Duce getta l'Italia in una guerra subalterna a Hitler, il suo filosofo ne decanta la genialità di filantropo propugnatore di giustizia e libertà dei popoli. Simili incensamento rafforzano in Mussolini la convinzione di possedere doti straordinarie virgola e di tenere in pugno la vittoria. Intanto la guerra stacca dal regime vari collaboratori e interlocutori di gentile virgola che ora guardano alle sorti del paese in modo ben diverso dal suo. Anche nel contesto bellico mantiene comunque atteggiamenti soccorrevole con qualche antifascista che gli prospetta situazioni delicate. Anita Mondolfo, direttrice della Biblioteca Nazionale centrale di Firenze, licenziata nel 1938 in applicazione alla legislazione razzista, trovò grazie a Gentile Ehi un impiego a Roma nella collana ministeriale “Indici e cataloghi delle biblioteche italiane”, e mantenne l'incarico di redattrice dell'Enciclopedia italiana. Arrestata il 10 giugno 1940, contestualmente la dichiarazione di guerra in quanto ebrea antifascista ritenuta capace di turbare l'ordine pubblico in tempi eccezionali, finisce al confino. Gentile che ne ammira la professionalità, nell'ottobre 1941 preme sul capo della polizia che però conferma la misura punitiva. Dopo un accorato appello la richiesta trova però accoglimento virgola e in un mese viene revocato il confino. I suoi interventi, riguardano intellettuali stimati professionalmente e di cui in passato era stato amico. Il 1943 inizia sotto pessimi auspici per l'asse. L'armata rossa sferra l'offensiva finale a Stalingrado e accerchia gli alpini sul Don. A metà gennaio, Roosevelt e Churchill pianificano a Casablanca lo sbarco in Sicilia duepunti a contrastare la campagna d'Italia, saranno prevalentemente i tedeschi punto il regime barcolla e ora i gerarchi vedono Mussolini come un invasato fuori controllo, rinchiuso così in una realtà parallela. Invasato dal mito mussoliniano, il filosofo considera il conflitto in corso come giudizio di Dio virgola che premierà secondo giustizia la causa dell'Asse. Il disastroso andamento bellico innesca la crisi del regime, con la diaspora degli uomini di cultura, molti dei quali disertano Mussolini e la sua causa, vuoi per rinsavimento vuoi per opportunismo. Rimangono con il Duce, tranne isolate eccezioni, personaggi di contorno sostanzialmente irrilevanti. Il dittatore reagisce in 10 modo confuso e attua una disastrosa strategia di nomine, sostituendo per esempio a inizio giugno 1943 il presidente dell'istituto nazionale fascista di cultura Pellizzi con il grigio e il professorale Vincenzo Buronzo. Il discorso agli italiani: Allarmato dal crollo dei consensi il neosegretario del PNF Scorza, lanciano nel maggio 1943 una straordinaria mobilitazione mediante conferenze patriottiche di intellettuali ufficiali delle forze armate, cappellani militari, decorati e invalidi di guerra. I tempi sono difficili e molti inviti vengono respinti con vari pretesti: rifiuta persino Dino Grandi, Presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, designato oratore a Bologna sua città d'origine (gli verrà rinfacciato al processo di Verona di inizio 1944 virgola che lo condannerà a morte in contumacia). Un solo personaggio di prestigio accetta l'incarico del segretario del PNF: Giovanni Gentile. Nel ringraziarlo della fascistica adesione, tratterà delle ragioni storiche, morali e giuridiche della nostra guerra e dei motivi ideali e vitali che impegnano gli italiani a protendere tutti i loro sforzi verso la vittoria. L'apparato propagandistico del partito assicura la massima mobilitazione per il discorso del filosofo programmato in Campidoglio alle 11:00 di giovedì 24 giugno. Il Discorso agli italiani del 24 giugno 1943 è il capolavoro oratorio di Giovanni Gentile: il suo canto del cigno. Mai si rivolse a un uditorio così esteso, con parole radio trasmesse e stampate in centinaia di migliaia di copie punto e nel momento più difficile per il paese travagliato dalla crisi militare morale. Le sue argomentazioni sono sapientemente bilanciate tra fascismo e patriottismo con l'accorato appello all'unità per recuperare consensi alla dittatura agonizzante. Per rendere credibile l'invito alla coesione nazionale, ammette che il regime possa aver sbagliato in qualche aspetto, ma l'emergenza bellica impone la coesione, poiché non è il momento delle polemiche: “Nessun italiano ha oggi il diritto di dire questa non è la mia guerra, io non l'ho voluta”. Gentile e orgoglioso di quel vero insperato trionfo: a indurlo a valutazioni fuor di misura sono gli applausi della platea e le congratulazioni di amici e corrispondenti; non comprende che il suo campione non è affatto rappresentativo della pubblica opinione. L'epistolario gentiliano dimostra infatti che gli apprezzamenti provengono esclusivamente dalla generazione anziana, che si è battuta nella grande guerra è ancorata al Risorgimento. Quel tipo di oratoria, insomma virgola non mobilità i giovani. Al plauso della stampa di regime corrispondono alle critiche degli antifascisti (Vedi ad esempio la critica di Togliatti). il 28 giugno 1943 il Duce accoglie il filosofo a palazzo Venezia e si felicita per l'orazione in Campidoglio. E’ il loro ultimo incontro durante il regime. Dopo un paio di mesi Mussolini prigioniero di badoglio nel riconsiderare gli eventi giudicherà quel discorso molto buono ma senza effetto a causa del precipitare degli insuccessi militari. Il 9 10 luglio gli angloamericani sbarcano in Sicilia. L'operazione Husky avvia la campagna d'Italia e il filosofo ne è doppiamente colpito come patriota e come siciliano attaccatissimo alla sua terra. A metà mese lascia Roma e si stabilisce a Tronghi, una località collinare a una ventina di chilometri da Firenze, nella villa di un amico. Sul piano familiare il discorso ha un'importantissima conseguenza: spinge il secondogenito dei Gentile, Federico (direttore della casa editrice Sansoni), A presentare domanda di arruolamento. Viene inviato in Francia, nel corpo di occupazione italiano virgola in un reparto di artiglieria antiaerea dislocato in Costa Azzurra. Un evento destinato a incidere profondamente nelle scelte politiche paterne. Nel cono d’ombra di Badoglio: negli ultimi giorni del luglio 1943 al crollo del regime corrispondono grandiose manifestazioni di piazza, con l’abbattimento dei simboli mussoliniani e isolati episodi di vendetta. Gentile è sconvolto dalla rivelazione di impopolarità del fascismo. 11 La famiglia Gentile è sconvolta dalla repentina uscita di scena del duce. Ora il filosofo guarda al re e a Badoglio come garanti della concordia nazionale, a lui tanto cara. Monarchico e statalista, non vede ostacoli alla prosecuzione della propria attività di organizzatore culturale nel differente contesto politico, come pure non li immagina il capofila degli storici fascisti, Gioacchino Volpe, direttore della Scuola di storia moderna e contemporanea. La loro, è un’opzione governativa e filomonarchica, non antifascista: essendosi il regime liquefatto, gli uomini d’ordine sostengono il maresciallo Badoglio e la sua assicurazione che la guerra continua. Gentile fa affidamento oltre che sul proprio prestigio, sulla presenza nel nuovo governo di due suoi fiduciari: il ministro delle finanze Domenico Bartolini, dal 1933 direttore generale dell'istituto dell'enciclopedia italiana, è il titolare dell'educazione nazionale Leonardo severi. Quest'ultimo gli deve tutto: grazie a lui infatti è uscito dal grigiore della burocrazia ministeriale diventando nel novembre 1922 capo gabinetto al ministero dell'istruzione. E’ proprio a lui che il filosofo si rivolge suscitando la sgradevole sensazione di venir manovrato virgola in forza dei rapporti pregressi risoluto approvare a sé e agli altri la propria indipendenza e il proprio antifascismo, con brusco voltafaccia lo getta in pasto all'opinione pubblica, desiderosa di veder crollare nella polvere gli uomini della dittatura. Per atteggiarsi a integerrimo antifascista, Severi ha insomma squalificato Gentile, liberandosi da un ingombrante tutela. il filosofo vorrebbe mantenere gli incarichi precedentemente suoi e non formalizza le dimissioni dalle 8 nomine, sperando in un accomodamento. Pur tra incertezze ripensamenti, il governo volta pagina, reintegrando alcuni docenti cacciati dalla dittatura e insediando il 19 agosto la commissione per l'epurazione dei professori compromessi col fascismo. Investito da una tempesta senza precedenti, riceve dolorose pugnalate alla schiena, ma anche consolanti solidarietà come quella del ministro Bottai. Il Corriere della Sera, che fino a un mese prima lo definiva pensatore geniale, ora lo declassa a “professore di filosofia, ironizzando sul discorso agli italiani di questo intellettuale prosperoso sicuro degli applausi del giorno.” 4. Nella Repubblica sociale se dopo il 25 luglio lo aveva colpito il fuoco amico del ministro Severi, ora è bersagliato dall'ala intransigente del fascismo, per la quale simboleggia le compromissioni che azzoppano il regime. L’accusa di Badoglismo lo pone tra i peggiori nemici della Repubblica: gli opportunisti e i traditori. Ad aprire il fuoco e virgola dall'emittente collaborazionista radio Monaco, il razzista e filonazista Giovanni Preziosi. Gentile sei nella mente col ministro dell'educazione nazionale Biggini, suor referente nel governo, ma il segretario del neo costituito partito fascista repubblicano non la fa per smorzare gli attacchi considerati sacrosanti. Gentile a dunque insidiosi nemici dentro la RSI. Suo acre detrattore è Ezio Maria Gray, Gerarca novarese mediocre e arrivista virgola che durante il regime imploro favori dal caro maestro e che ora è un avversario pericoloso: dirige il quotidiano torinese La Gazzetta del Popolo, ed è commissario straordinario della radiofonia repubblicana. Sferra pesanti attacchi al filosofo. Col duce nella guerra civile: Nel settembre-ottobre 1943, gentile si sente un uomo sopravvissuto ai suoi tempi, isolato, turbato e impotente al centro di attacchi mossi contro di lui da ogni direzione. Sembra destinato alla definitiva eclissi, insieme a ciò che ha faticosamente costruito e che ora è in frantumi.in quella fase tribolata, convivono in lui la tendenza alla rassegnazione e il desiderio di ripresa. Mussolini, desideroso di impersonare la continuità dello Stato, vuole riattivare le strutture da lui stesso ideate. Per l'Accademia d'Italia vede in Gentile l'unico personaggio in grado di rifondarla. Il loro rapporto però è profondamente mutato chi è più cambiato e soprattutto Mussolini cola ridotto all'ombra del dittatore di un tempo punto il crollo del regime, la prigionia badogliana, l'umiliazione della liberazione da parte tedesca e 12 che il filosofo siciliano non critica quelle fucilazioni, chiudendosi in un silenzio che lo colloca, per i partigiani fiorentini, dalla parte degli oppressori. All’offensiva del terrore per attirare i giovani in età di leva ai centri di reclutamento, il PCI vorrebbe rispondere in modo adeguato, ma i gappisti sono in crisi per l’uccisione del loro dirigente “Vittorio”. In questa fase si rinnovano i vertici dell’organizzazione comunista in Toscana. Dirigente dell’apparato clandestino cittadino è Giuseppe Rossi, un autodidatta con percezione delle situazioni e una spiccata capacità di capire gli uomini. Aldo è Luigi Gaiani, bolognese, a fine 1943 costituisce a Bologna il nucleo della settima Brigata GAP. Gaiani è tra gli organizzatori dell’agguato mortale all’archeologo Pericle Ducati, amico di Gentile, cofondatore nel dopoguerra del Fascio di combattimento bolognese. Gaiani e Rossi forniscono un impulso decisivo alle forze partigiane toscane; grazie alla padronanza della clandestinità e al loro affiatamento, l’apparato gappista effettua un salto qualitativo: i suoi componenti ricevono tessere annonarie e uno stipendio, per ridurre le difficoltà della vita regolare. Si decide di puntare, dopo vari tentennamenti su chi dovesse essere il prossimo bersaglio, e si decide di optare per un intellettuale di prestigio. L’eco del discorso inaugurale dell’Accademia d’Italia del 9 marzo, fa cadere la scelta su Gentile, il più autorevole pensatore rimasto al fianco di Mussolini. L’azione viene affidata ai gappisti Massimo e Paolo. Massimo è il nome di battaglia di Bruno Fanciullacci (muore nel 1944 a soli 25 anni). Paolo è Giuseppe Martini, figlio anche lui di un perseguitato come Bruno; è tiratore scelto dei GAP, freddo e risoluto come nessuno, al punto da fare paura qualche volta agli stessi compagni. Nel frattempo il filosofo persegue i propri progetti, inconsapevole di essere sotto tiro. Le sue continue pressioni sul duce per il rimpatrio del figlio Federico, gli valgono il 27 marzo, una lettera ottimista. Nonostante le cupe avvisaglie continua a non chiedere la scorta: non sa di avere i giorni contati. Anzi, nella terza settimana di aprile vorrebbe discutere con Mussolini i problemi che lo assillano: il montare delle violenze della guerra civile, la sorte del figlio internato, la sua nomina ai vertici di alcune istituzioni. Non ne avrà la possibilità. Proprio in quel periodo viene assassinato il segretario della casa editrice Sansoni, Brunetto Fanelli. Segnalato ai tedeschi come antifascista, viene prelevato il 10 aprile nella sua villa di Cercina e fucilato con sei uomini del luogo. Da metà febbraio a metà aprile i gappisti fiorentini attuano diciassette attentati, con sei vittime e vari feriti. Le vittime appartengono all’apparato militare fascista o germanico, il filosofo sarà il primo e unico bersaglio civile. Alle 12.25 di sabato 15 aprile, Bruno Fanciullacci (Massimo) e Giuseppe Martini (Paolo), si appostano fuori dal cancello di Villa Montalto, insieme ad altri tre gappisti dislocati in posizione strategica. Verso le 13.30 Gentile arriva, e dopo essersi avvicinati alla macchina con un pretesto, Massimo e Paolo esplodono attraverso il vetro sette revolverate. Due pallottole perforano il cuore. I cinque giovani fuggono in bicicletta, mentre l’autista riparte a tutta velocità per l’ospedale, dove Gentile giunge cadavere. I gappisti credono di eliminare un emblema del collaborazionismo, mentre uccidono un uomo scomodo ai settori estremisti del fascismo, e il cui programma era sull’orlo del fallimento. Si ritrovò in ogni caso nel mirino dei gappisti per quello che aveva rappresentato nel regime e ciò che nuovamente significava nella RSI, non già come oggi molti sostengono, per eliminare un ostacolo all’egemonia culturale comunista. Dopo la sua morte si prepara una rappresaglia esemplare. Farinacci e altri camerati pretendono la fucilazione di dieci professori antifascisti, per far pari con Giovanni Gentile. I famigliari sono tuttavia contrari a vendette e ritorsioni. Nel frattempo il duce insiste nella sua richiesta agli alleati, che rilasciano il 15 figlio Federico, che può rientrare a casa. Dopo lungaggini burocratiche, il feretro del filosofo giunge nel Tempio di Santa Croce, dove sono sepolti Michelangelo, Macchiavelli, Alfieri. Nei giorni seguenti Mussolini conferma l’impressione generale che a segnare la sorte di Gentile sia stato il discorso fortemente politicizzato del 19 marzo. La tragica morte di Gentile segna la fine dell’Accademia d’Italia e della Nuova Antologia. Per l’Accademia non si riesce a trovare un successore all’altezza del defunto presidente. Inizialmente Mussolini chiede a Papini di sostituirlo, ma questi infine rifiuta (era tra le altre avverso a Gentile). La richiesta viene fatta poi a Giotto Dainelli, podestà di Firenze, che accetta per trasferirsi al nord, visto che l’arrivo degli angloamericani è ormai agli sgoccioli. L’Accademia non riaprirà più i battenti, e i suoi archivi verranno trasferiti nei pressi del lago di Como. 16
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