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Il fu Mattia Pascal: riassunto capitolo per capitolo, Appunti di Italiano

Riassunto del libro "Il fu Mattia Pascal" + breve contesto in cui Luigi Pirandello scrisse l'opera.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 05/11/2023

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Scarica Il fu Mattia Pascal: riassunto capitolo per capitolo e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! IL FU MATTIA PASCAL LUIGI PIRANDELLO Quando Pirandello, tra il 1904 e il 1905, scrive questo romanzo stava affrontando un momento di grande difficoltà economica e decide, quindi, di accettare una scommessa con se stesso e la sua forza creativa. Difatti l’autore scrive questo romanzo di getto, di cui, al momento dell’impegno, non sapeva nulla se non il nome del protagonista: Mattia Pascal. La narrazione è divisa in 18 capitoli numerati e titolati. La storia comincia dalla fine della vicenda vissuta: ormai estraneo alla vita, già “fu Mattia”, il protagonista racconta in prima persona la propria storia. Questo romanzo si apre con due premesse: 1) PREMESSA NARRATIVA; 2) PREMESSA FILOSOFICA A MÒ DI SCUSE; La premessa narrativa apre l’intero romanzo che inizia con l’affermazione da parte di Mattia Pascal della propria identità. Il protagonista descrive e definisce la sua situazione come un caso strano e diverso ed è una situazione talmente atipica che fa fatica a raccontare. Mattia Pascal rivela qui di non avere grande fiducia nella letteratura ["Non mi par più tempo, questo, di scriver libri, neppure per ischerzo"], ma alla fine decide di scrivere comunque la storia perché si rende conto di trovarsi in uno stato "eccezionale”. Il luogo del racconto è la biblioteca del Monsignore Boccamazza, dove Mattia Pascal lascerà il suo manoscritto con l’obbligo però che nessuno possa aprirlo se non cinquant’anni dopo. La biblioteca piena di miseri libri tutti in disordine è uno spazio simbolico : rappresenta l’indifferenza verso lo studio e la letteratura degli abitanti di Miragno (cittadina immaginaria della Liguria). Nella premessa filosofica il narratore-protagonista descrive la sua visione del mondo moderno, aiutando e guidando il lettore verso la giusta inquadratura filosofica del romanzo. Questa seconda premessa, inserita “a mo di scusa” dall’autore, si divide principalmente in due parti: -Nella prima, l’autore introduce il reverendo Elogio Pellegrini, suo collega - mentore, nonché amico, a cui affiderà la custodia del manoscritto e colui che ha coltivato in Mattia la passione ed il gusto letterario e che lo ha convinto a narrare le proprie vicende. Entrambi lavorano nella biblioteca comunale, sorta in una “chiesetta sconsacrata”, dentro la quale il protagonista ha deciso di risorgere per vivere una vita al di fuori delle convenzioni sociali, a leggere e, ora, a scrivere. La biblioteca appare piena, impolverata, e per alcuni versi trascurata, divenendo allegoria della crisi della figura dell’intellettuale, destinato ad essere emarginato dalla società in modo definitivo. -Nella seconda parte della premessa, racconta di un momento di confidenza con l’amico reverendo, durante il quale, aggredisce Copernico, spiegando che, con l’affermazione delle sue teorie, ha demolito, non solo le certezze tradizionali dell’individuo ma, anche la sicurezza e la fierezza che, nell’antichità, mostrava nei confronti di se stesso. L’uomo moderno, oramai, risulta definitivamente decentralizzato da una Terra che appare come “un’invisibile trottolina”, e non è più stimolato nel raccontare la propria storia, che paragonata alla realtà infinita dell’universo, risulta privata del suo valore originario. LA CASA E LA TALPA III Mattia Pascal vive a Miragno con la madre e il fratello Roberto di due anni più grande. Perde il padre all’età di quattro anni, ma lascia alla famiglia una gran fortuna. L’uomo possedeva terre e case ed era “sagace e avventuroso” e la sua morte porterà alla rovina della famiglia. Nel capitolo segue la descrizione della madre che Mattia definisce santa ma di indole schiva e placida. La donna è senza esperienza di vita e infantile nel modo di parlare. Eccessivamente morbosa e apprensiva nei confronti dei figli, dopo la morte del marito divenne sempre più cagionevole di salute. Ad amministrare i beni della famiglia vi è, invece, Batta Malagna (il cui vero nome era Giambattista) chiamato “la talpa” [“ci scavava soppiatto la fossa sotto i piedi”]. Tutti si accorgono che la talpa sta derubando la famiglia tranne la madre di Mattia Pascal. Addirittura zia Scolastica, cognata della donna, insiste affinché si sposi con un certo Gerolamo Pomino e allontani il truffatore. Mattia Pascal racconta che lui e suo fratello Berto sono due scansafatiche spendaccioni che non si sono mai preoccupati di nulla, erano stati educati da Pinzone (il cui vero nome era Francesco o Giovanni del Cinque), loro precettore, un omone alto da “far ribrezzo”, “acuto e beffardo” e che “gode velenosamente” della sorte sciagurata famiglia. La narrazione si sposta poi sulla descrizione di Mattia e Roberto Pascal. Dice il protagonista che Berto, molto vanitoso, era bello di volto e di corpo rispetto a lui, amante del lusso e dei vizi. Mentre Mattia aveva una faccia placida, grossi occhiali che gli avevano imposto per raddrizzare un occhio che tendeva a guardare altrove. FU COSÌ IV Giambattista Malagna è un uomo molto panciuto e sempre affamato, punito dal fato per aver sposato Guendalina. Dopo la morte di quest’ultima, senza, però, alcun erede, decide di sposare Oliva figlia di un fattore. La ragazza non riusciva a rimanere incinta e proprio per questo veniva spesso umiliata dal Malagna almeno fin quando, dopo tre anni, finalmente è in attesa di un bambino il cui padre però è Mattia Pascal. Nonostante ciò Batta Malagna crescerà questo bambino come se fosse il suo. Ed è proprio per questo che probabilmente Mattia, un po’ per vendetta e un po’ per scherzo, seduce e fa innamorare Romilda Pescatore, nipote di Batta Malagna. Con il tempo però Mattia imparerà ad apprezzare la donna, vittima costante della perfida madre Marianna Dondi vedova Pescatore. Quest’ultima ha un temperamento intrigante e furioso, non sopporta il genero, che giudica inetto e scapestrato, siccome non riesce a mantenere la sua famiglia, ed è quindi indegno di sua figlia. ACQUASANTIERA E PORTACNERE X Adriano si trasferisce a Roma e sceglie questa città per ben due ragioni: la prima è che gli piacque sopra ogni altra città e poi perché gli parve più adatta ad ospitare con indifferenza un forestiere come lui. Affitta una camera a via Ripetta, ammobiliata da Signor Alderamo Paleari. È un sessantenne che non lavora e che passa tutto il tempo a praticare la sua filosofia. Pensa che la sua inquilina, Silvia Caporale, abbia capacità di medium ed è inoltre ossessionato dalla morte. Il signor Paleari ha una figlia: Adriana che portava avanti le redini della casa e definita da Adriano come “mammina”. Ella ha una personalità molto sensibile e innocente e ciò non fece altro che far nascere in Adriano un certo interesse verso di lei. Che dimostrava, dal canto suo, di ricambiare questa simpatia. DI SERA, GUARDANDO IL FIUME XI Man mano che Adriano entrava in confidenza con il padrone di casa gli risultava sempre più difficile mantenere il suo segreto e spesso provava addirittura rimorso proprio per questo cercava di stare il più in disparte possibile iniziando a misurare i confini di questa sua libertà. Durante una notte Adriano sente la signorina Caporale parlare a gran voce con il cognato di Adriana: Terenzio Papiano (la sorella di Adriana è morta). Oggetto della conversazione tra i due è proprio lui e la sua ricchezza. L’OCCHIO E PAPIANO XII In questo capitolo, Adriano Meis racconta che Anselmo Paleari gli parlava molto di teatro e di commedia. Intanto Terenzio mette sotto pressione Adriano, perché vuole sapere veramente chi fosse, in quanto aveva capito la simpatia che c’era tra Adriano ed Adriana. Poiché Terenzio Papiano non voleva restituire la dote per la morte della prima moglie, era, infatti, interessato alla dote di Adriana. Ed infine Adriano decise di cacciar via l’ultimo tratto caratteristico di Mattia Pascal, decide così di chiamare il dottor Ambrosini, medico consigliato dalla signorina Caporale. IL LANTERNINO XIII Dopo essersi operato Adriano è costretto a stare quaranta giorni al buio e per consolarlo, il signor Paleari, volle condividere con lui la sua concezione filosofica: la lanterninosofia. Questa filosofia sostiene che ogni uomo porta dentro di sé una lanternina accesa che ci fa vedere il male e il bene però questa lanterna proietta intono a sé un’ombra che ci spaventa ma che noi non vedremo se non avessimo questo lanternino. L’ombra, dunque, non è altro che un’illusione creata da noi. Il signor Paleari è un tipo un po’ particolare e proprio per questo Adriano non gli dà tanta importanza anche perché poco dopo introduce l’idea di fare delle sedute spiritiche all’interno della casa alla quale avrebbero dovuto partecipare tutti gli affittuari. Durante la seduta gli si presenta uno spirito di nome Max che a quanto pare era il compagno della signorina Caporale. LE PRODEZZE DI MAX XIV L’episodio è esilarante: durante il buio il tavolo si muove, gli oggetti si spostano ma in realtà a far tutto ciò non era di certo uno spirito ma il fratello di Terenzio Papiano, Scipione che soffre di nevrosi isterica. Ma durante tutto il caos Adriano riesce a baciare finalmente Adriana, un bacio “lungo e muto”. IO E L’OMBRA MIA XV Quel bacio con Adriana aveva destato una fortissima impressione all’interno del protagonista ed infatti non riusciva a smetterci di pensarci. Per lui, Adriana, era la vita che gli era stata tolta (vita normale) a causa delle anomalie della Fortuna. Inizialmente, il fu Mattia Pascal, aveva sperimentato quella che lui pensava fosse la libertà senza limiti rendendosi conto, poi, che in realtà era più giusto chiamarla solitudine e noia che l’aveva condannato ad una terribile pena: la compagnia di solo e soltanto sé stesso. Troppe cose lui e Adriana si erano detti in quel bacio, bacio che aveva suggellato il loro amore. A questo punto dunque Adriano era pronto a confessare a sé stesso i suoi sentimenti per Adriana tuttavia non lo era per raccontarle la verità difatti, quando la donna varcò la soglia della sua camera, egli non le diede alcuna certezza in quanto l’amore e la pietà gli toglievano il coraggio d’infrangere così d’un tratto le speranze di lei. Ebbene la donna era entrata in camera di Adriano con una nota del dottor Ambrosini e quando il protagonista va’ per prendere le 6mila lire dal suo mobiletto dove possedeva gli effetti personali e il denaro si accorge di essere stato derubato di circa 12mila lire. Il ladro era stato sicuramente Terenzio Papiano ed inizialmente Adriano era intenzionato a denunciarlo tuttavia, ben presto, si rende conto che lui in realtà non esiste, non era nessuno. A fine di questo capitolo, dunque, Adriano Meis si paragona ad un’ombra: chiunque sarebbe potuto passarci sopra e si sentì escluso per sempre dalla vita senza possibilità di rientrarvi. IL RITRATTO DI MINERVA XVI La notizia del furto presto dilagò nella pensione e, così, Adriano per calmare i bollenti spirti mente dicendo di aver ritrovato il denaro. Terenzio Papiano allora propose di andare, il pomeriggio stesso, nel palazzo del marchese Giglio d’Auletta per distendere gli animi e per riportare la pace fra tutti. Prima di partire, il signor Anselmo Paleari fece notare ad Adriano che aveva un berrettino da viaggio sulla testa che indossava sempre quando era in casa; Adriano prese il cappellino e lo infilò nella tasca del cappotto senza dargli troppa importanza. Effettivamente alle 16, tutti, compresa Adriana, andarono nel palazzo del marchese. E per creare un distacco tra lui e Adriana, Adriano, tentò di fare la corte a Pepita Pantogana, nipote del marchese. Tuttavia Bernaldez, pittore e uomo che amava la donna, cerca di dare un pugno al povero Adriano che pensa, così, di sfidarlo a duello. Si rivolse a due ufficiali dell’esercito per fargli da padrini ma i due gli risero in faccia. A questo punto Adriano Meis, umiliato, costernato e sbigottito, riflette ancora una volta su quella libertà che da due anni non gli aveva recato altro che dolore e amarezza e decide così di porre fine alla vita di Adriano Meis. Difatti, la sera stessa, mentre passeggiava sul lungo Tevere, decise di fingere di suicidarsi un’altra volta. Lasciò il capello che aveva in tasca e il bastone e, pian piano, proprio come un ladro, si allontanò dirigendosi verso la stazione. RINCARNAZIONE XVII Il nostro protagonista ritorna ad essere Mattia Pascal e il suo primo pensiero è quello di raggiungere suo fratello Berto ad Oneglia. Quest’ultimo è sconvolto di rivedere il fratello ancora vivo in quanto convito fosse morto. Berto, appena comprende che il fratello sarebbe subito voluto ritornare a casa, però, lo informa subito che Romilda ha sposato Pomino, un suo amico e uomo che in realtà era innamorato della donna ancor prima che lui e Romilda convolassero a nozze. Nonostante ciò Mattia Pascal si convince ancora di più a far ritorno a Miragno in quanto gli sarebbe fatto piacere sgretolare la vita della moglie e della suocera. IL FU MATTIA PASCAL XVII Quando Mattia Pascal ritorna a Miragno è abbastanza deluso in quanto nessuno lo aveva ancora riconosciuto. Nonostante ciò, però, non demorde e giunge a casa di Pomino e Romilda quando gli viene aperta la porta si rende conto che i due nel frattempo avuto addirittura una bambina e dunque le sue intenzioni di mettersi in mezzo iniziano a vacillare. La reazione di marito e moglie è molto simile infatti Pomino si trovava in uno stato di completo shock e Romilda, alla vista del defunto marito aveva avuto un mancamento. Alla fine Mattia Pascal dice addio ai due, lasciandoli vivere nel loro nido d’amore e va vivere da zia Scolastica tornando a lavorare, successivamente, in biblioteca. Ogni tanto va dalla sua tomba e un giorno qualcuno gli chiese: “Ma insomma voi chi siete?” e lui stringendosi nelle spalle, socchiudendo gli occhi rispose “Eh caro mio..io sono il Fu Mattia Pascal”.
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