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Il gattopardo, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Trama e analisi dell'opera.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016
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Caricato il 24/03/2016

erika.gerolimini
erika.gerolimini 🇮🇹

4.5

(126)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il gattopardo e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! IL GATTOPARDO Trama PARTE PRIMA Maggio 1860 Il principe Fabrizio di Salina, alle dipendenze del re Ferdinando delle due Sicilie, fa parte di una monarchia ormai in declino. È una figura possente e decisa, capo della sua famiglia e della sua terra, con tutti i servitori, tradisce la moglie con una donna che abita a Palermo (per questo motivo Stella è soggetta a violente crisi) e come tutti i suoi avi non è in grado di amministrare autonomamente i propri beni (Ciccio Ferrara è il suo contabile). La situazione politica è grave: i fermenti di rivolta sono diffusi, e presto scoppieranno (il cadavere di un giovane soldato era stato trovato poco tempo fa sotto un suo albero di limoni). La sua famiglia è composta da ragazze e ragazzi, ma il secondogenito Giovanni, il più amato e il più scontroso se n'è andato a Londra, rifiutando quello stile di vita, per lavorare in una ditta di carboni. Il suo pupillo scapestrato, Tancredi (figlio di sua sorella, rimasto orfano a quattordici anni), partecipa ai moti: è meglio che tutto cambi affinché tutto resti com’è; per il bene dei Signori attuali è meglio alimentare queste rivolte. Lui pensa, e forse è vero così: alla fine tutto si risolverà con un cambiamento delle classi al potere. Le notizie dei cambiamenti politici preoccupano molto Padre Pirrone (il loro pastore di fiducia, ma rendono allegri Ciccio Ferrara (nonostante si sforzasse di non darlo a vedere) e Russo il soprastante. Il Principe passa la giornata successiva con la sua più grande passione: l’astronomia. Poi viene a sapere che Garibaldi era sbarcato: altri nobili stavano scappando, ma lui era tranquillo. PARTE SECONDA Agosto 1860 Dopo tre giorni di penoso viaggio con il permesso dei garibaldini va a passare le vacanze a Donnafugata, una città particolarmente cara al Principe perché in essa è rimasto il senso di possesso feudale. Fortunatamente tutto sembra come prima, ma la sua innaturale cordialità è indice del decadimento del suo prestigio. Dopo aver fatto una passeggiata con l’amministratore viene a sapere che Don Calogero sta diventando ricco quanto lui. In seguito va a fargli visita Padre Pirrone che per volontà di Concetta, figlia del principe, gli riferisce che ella è innamorata di Tancredi e crede che il suo amore sia ricambiato. Il principe crede che Concetta non sia la donna giusta per l'amato nipote: il suo futuro sarà la politica e poiché la sua famiglia è in decadenza economica, è necessario trovare una donna con una gran dote e che sia all'altezza della vita mondana. In serata il Principe organizza una cena, ma l’attenzione di tutti è concentrata sulla figlia di don Calogero, Angelica, dalla bellezza indescrivibile. Anche Tancredi è sorpreso, e Concetta inizia a soffrire di una terribile gelosia. Prima di andare a letto Don Fabrizio si ferma a guardare le stelle, uniche perché senza problemi, ma che preannunciano qualcosa di male. Il giorno dopo, secondo le abitudini, va in un convento di clausura fondato da un’antenata in cui solo lui, maschio, può entrare. Poi vede Tancredi entrare in casa di Don Calogero. PARTE TERZA Ottobre 1860 Il principe trascorre le sue serate a caccia, un rituale che non lo soddisfa per i risultati della caccia stessa, ma per quelle piccole azioni che deve compiere. Il suo soggiorno a Donnafugata gli aveva recato molti problemi: Tancredi era partito da più di un mese per Caserta, da dove il re era stato cacciato, e mandava molte lettere allo zio. In una si diceva innamorato di Angelica, e chiedeva allo zio di chiederla in sposa in nome suo. Così ne parla alla moglie che, offesa per l'oltraggio recato alla figlia Concetta, si oppone e si infuria, ma la decisione sarebbe spettata al principe. In seguito va a caccia con Don Ciccio, organista. È nervoso perché tra poco avrebbe parlato con Don Calogero, suo avversario: identifica gli animali uccisi con lui, e poi chiede a Ciccio informazioni: gli racconta del giorno del Plebiscito sulla rivoluzione, in cui nonostante lui avesse votato no, poi Don Calogero, sindaco, aveva detto che tutti avevano votato si. Poi gli parla della moglie, bella ma ignorante (è analfabeta), del suocero, detto Peppe Merda, e di Angelica, la cui bellezza è indescrivibile. Il principe gli confida del prossimo matrimonio tra Angelica e suo nipote, ma per precauzione lo tiene rinchiuso nella stanza dei fucili fino alla fine della conversazione con Don Calogero. Quando Don Calogero lo va a trovare gli spiega la proposta di Tancredi e la sua situazione familiare e Don Calogero si accorda riguardo alla dote che avrebbe dato ad Angelica. Il Principe fa un sospiro di sollievo: tutto si era concluso per il meglio. PARTE QUARTA Novembre 1860 Dell’incontro tra i Sedora e i Falconari entrambi cambiano: i primi diventano più nobili, raffinati; il principe acquista quelle caratteristiche di economicità, che poi però lo danneggeranno tra il popolo. Uno degli ultimi giorni, mentre il principe, rasserenato ormai, leggeva alla famiglia dei libri (non belli a causa delle tante censure), torna Tancredi; i Garibaldini si erano sciolti e lui era nell’esercito del re di Savoia. Subito arriva Angelica e le regala un bell’anello. I giorni seguenti Tancredi e Angelica, insieme ad alcuni della servitù, girano tutte le stanze del palazzo, anche quelle più sconosciute (anche dal principe), e speso riuscivano a stare delle ore intere da soli seminando la compagnia. Caviraghi, un amico di Tancredi, cerca di sedurre Concetta con pessimi risultati. Un giorno arriva a fargli visita il prefetto, un piemontese, timoroso di ogni cosa che vedeva in Sicilia, ma l’accoglienza ricevuta a Donnafugata lo rasserena. Era venuto per chiedere al principe di partecipare al nuovo Senato del Regno di Italia, ma il Principe, consapevole del sue scarse abilità politiche, non accetta. Le tante invasioni subite, avevano spento nei siciliani quella voglia di cambiare ora necessaria: prima era stato tutto loro imposto ora non vogliono cambiare perché credono di essere i migliori, perfetti. Inoltre ha tanti legami con la vecchia monarchia. Propone Don Calogero Sedara; egli ha ancora quella voglia di cambiamento necessaria ad un senatore. Il giorno dopo lo accompagna alla partenza. PARTE QUINTA Febbraio 1861 Padre Pirrone va a san Cono suo paese nativo, in occasione dei 15 anni dalla morte del padre. Parla male con gli amici della rivoluzione poi cerca di spiegare la posizione dei Salina con l'erbuario, ma si dilunga in astrazioni sulla classe dominante. Il giorno dopo risolvere una disputa in famiglia : una sua nipote si era fidanzata ed era in cinta del cugino Vincenzino, ma tra i due rami della famiglia per ragioni antiche e di eredità vi era un profondo astio. Egli ottiene prima il consenso del padre di Vincenzino, annunciandogli il fidanzamento e le prossime nozze, dalle quali il figlio riceverà in dote quella parte di eredità che reclamavano per loro, poi con il padre di Sarina, sua nipote, il quale amaramente dovette accettare. PARTE SESTA Novembre 1862 Uno dei momenti più attesi dall’aristocrazia palermitana erano i balli: l’Italia era unita, e i Pantaleone avevano indetto un ballo per festeggiare di trovarsi ancora lì. Questa volta il principe aveva insistito che ci fossero i Sedara, per presentare Tancredi ed Angelica. Arrivarono presto, e furono accolti degnamente. Quando arrivò Angelica catturò l’attenzione di tutti. La festa cominciò ma il principe si annoiava: tutto era come sempre, e gli altri non avevano i suoi interessi (astronomia, matematica). Cominciò a vagare per i saloni, era di umore nero: riteneva che il senso di morte che incupiva quei palazzi fosse dovuto all'affermazione di persone come i Sedara, ai loro oscuri intrighi e alla loro avarizia. Si rifugia in una piccola biblioteca, dove, attirato da un quadro, compie una riflessione sulla morte per lui sempre più vicina. Poi arrivano Tancredi e Angelica, che gli chiede di ballare con lei. Il principe accetta: ringiovanisce come quando aveva 20 anni. Poi vanno al bauffet, e si siede accanto al generale che aveva ferito Garibaldi nella battaglia di Aspromonte, e che ora raccontava quella battaglia, e la situazione politica contemporanea (l'Italia è unita politicamente, ma continua ad essere divisa: Torino vuole rimanere capitale, Firenze ha paura che portino via le opere d'arte, Napoli piange per le industrie che perde, …). Poi il ballo si affievolisce. Alle sei del mattino tutti vanno via: il principe preferisce andare a piedi per guardare le stelle, e come ogni mattina vede il carro di Venere, e chiede ad esso di portarli via con sé lontano dalla bruttezza della vita terrena. PARTE SETTIMA Luglio 1883 Già da tempo il Principe aveva capito che la vita stava passando e la morte si avvicinava, ma mai come ora. Al ritorno da Napoli, per un consulto medico, si sente poco bene e lo portano in un albergo. È solo attorniato da Tancredi, Paolo, Angelica, il nipote Fabrizietto (Giovanni era ancora a Londra, ma ora commerciava brillanti) , si ritiene l'ultimo dei Salina poiché è l'ultimo a ricordare le tradizioni, ad avare dei ricordi inconsueti rispetto alle altre famiglie, Fabrizietto invece avrebbe avuto dei ricordi banali, uguali a quelli dei suoi compagni di ginnasio. Chiamano un prete. Pensa a Tancredi e alla sua carriera da deputato, poi all'età che ha vissuto. A un certo punto entra una bella donna giovane (la morte), che lo porta via. Lo scorrere dell’acqua della vita, ormai con la forza di un oceano, si interruppe per sempre. PARTE OTTAVA Maggio 1910 Parecchi anni dopo la villa era diventata ormai proprietà delle tre sorelle Concetta, Caterina, Carolina (che erano le figlie di Don Fabrizio, ormai sulla settantina). Il prestigio di casa Salina era sempre meno evidente; rimanevano solo ottimi rapporti con l’arcivescovado. Avevano anche costruito nella villa una cappella e avevano raccolto delle reliquie e un quadro considerato sacro. Ma ora l’arcivescovo voleva riportare tutto a una sacralità più pura, e vi avrebbe fatto visita. Concetta aveva un potere maggiore delle altre, ma aveva voluto rinnegare tutto il suo passato: Bendicò (il cane) era imbalsamato e tutti i suoi ricordi chiusi in delle casse. Intanto aveva ottimi rapporti con Angelica (Tancredi era morto), che ora faceva parte del comitati per i 50 anni da Garibaldi, e l’aveva invitata in tribuna d’onore. L’arcivescovo venne, cordiale ma freddo, fece togliere il quadro e fece conservare solo cinque reliquie le altre potevano anche essere buttate. Concetta (che una volta avrebbe reagito con fermezza dei nobili) era fredda, si ritirò in camera. Fece buttare via Bendicò, in tal modo non rimase più niente del suo passato. - Fabrizio Corbera (il protagonista): Appartiene a una delle famiglie della più alta aristocrazia siciliana e lo stemma del suo casato è il Gattopardo, animale cui viene paragonato spesso il protagonista, anche da lui stesso. Fisicamente il principe viene descritto già dall’inizio con un ritratto preciso che evidenzia in particolare alcune caratteristiche: è un uomo immenso e fortissimo, con un peso da gigante, è di molto più alto degli altri uomini, la sua testa sfiora i lampadari e accartoccia le monete con le dita. Nonostante la sua forza è anche capace di essere molto delicato con ciò a cui tiene di più, cioè la moglie Maria Stella e gli attrezzi che costituiscono il suo osservatorio personale. Inoltre la grandezza della sua persona rispecchia anche quella caratteriale. L’aspetto esteriore è tipico di un uomo germanico, infatti la sua famiglia è di origini tedesche. Ha capelli biondi e una pelle bianchissima perciò risalta molto tra i siciliani che hanno capelli e pelle più scuri. Questa diversità non è solo fisica ma anche morale e intellettuale: una sua particolarità è il carattere fortemente influenzato dalla discendenza germanica che lo porta a tenere un “temperamento autoritario, una certa rigidità morale, una propensione alle idee astratte che nell’habitat molliccio della società palermitana si erano mutati in prepotenza capricciosa, perpetui scrupoli morali e disprezzo per i suoi parenti che gli sembrava andassero alla deriva nel lento fiume pragmatistico siciliano.”Questo viene detto nella prima parte del libro ma in seguito don Fabrizio parlando con Chevalley descrive il vero carattere dei siciliani e il loro modo di pensare come se anche lui provasse gli stessi sentimenti ma allo stesso tempo parla di loro dall’esterno. Ritiene che i siciliani siano stanchi e svuotati perché sono sempre stati una colonia e non hanno mai sviluppato da loro stessi una civiltà. Il peccato che non perdonano è semplicemente quello di fare, non importa se del bene o del male, ed è per questo motivo e perché si credono perfetti così come sono che non vogliono partecipare alla vita politica ma preferiscono rimanerne esclusi. Il principe è differente anche dalle altre persone che appartenevano al suo casato, infatti loro non riuscivano a fare addizioni e differenze mentre lui è portato per la matematica e applica i suoi calcoli anche all’astronomia, materia di cui è molto appassionato, arrivando a pensare, spinto dal suo forte orgoglio, che gli astri stessi obbediscano ai suoi calcoli. il Gattopardo ama tanto osservare le stelle perché si rende conto di quanto siano differenti dalle persone: esse sono lontane, onnipotenti e docili ai suoi calcoli. Sono quindi l’esatto contrario degli uomini che il principe giudica fin troppo vicini, deboli e riottosi. Don Fabrizio per le altre persone si trova spesso a provare disgusto, sentimento che poi si trasforma in compassione perché si accorge che alla fine è impossibile e ingiusto odiare degli esseri che sono inevitabilmente destinati a morire, inoltre, nonostante lui si senta superiore a loro, più intelligente e più colto, è consapevole di non essere eterno nemmeno lui e che quegli esseri per cui prova disgusto sono i più simili a lui. Anche nel contesto della famiglia padroneggia sugli altri. E’ l’unico che prende decisioni e queste sono rispettate da tutti. Si comporta come un buon pater familias, ad esempio quando a tavola scodella sempre lui stesso la minestra, ma nel contempo intimorisce i suoi figli e chi gli sta attorno poiché spesso, a volte per motivi futili, viene preso da ira. Pensando ai figli il principe si trova relativamente scontento di loro perché quello che più aveva amato è scappato a Londra e il primogenito, che in futuro avrebbe dovuto governare la casa, è inadatto a questo ruolo. Crede che il sangue dei Salina scorra solo nelle sue figlie femmine, in particolare in Concetta, ma sa che questo non conta perché una donna non può portare avanti il casato. L’unico che gode davvero della sua stima è il nipote Tancredi, che avrebbe preferito come primogenito; il ragazzo è intelligente e intraprendente ed il principe si rispecchia in lui. Il suo orgoglio lo porta a non subire nessun effetto quando gli vengono fatte delle lusinghe perché si attribuisce già da sé i suoi meriti ed è abituato a sentire dei complimenti. Sempre a causa del suo orgoglio non accetta l’idea di poter essere un peccatore, ad esempio quando si reca da Mariannina per sentirsi ancora un uomo vigoroso sa di non fare la cosa giusta ma cerca tutte le scuse con sé stesso dicendosi che aveva amato molto la moglie ma ora lei è troppo prepotente e anziana. Così facendo cerca di convincersi che la vera peccatrice sia lei, ma in seguito si pente perché sa di aver sbagliato. Per quanto riguarda la posizione sociale, come già detto, don Fabrizio è principe di Salina, è un importante e potente nobile che ha in possesso alcune terre della Sicilia. Un motivo per cui il protagonista assomiglia all’animale raffigurato nello stemma del suo casato, il Gattopardo, è il fatto che è imponente e dominatore, infatti egli è consapevole della propria grandezza e del suo signoreggiare su uomini e fabbricati. Viene spesso ribadito che il principe è l’ultimo del suo casato, infatti un importante tema del libro è il declino della classe nobiliare a vantaggio di quella borghese. Il Gattopardo è consapevole di ciò ma agisce comunque in modo passivo, osservando la rovina del proprio ceto e la perdita del proprio patrimonio senza avere neanche la voglia di fermare questi eventi perché li dà già per scontati e vive perciò in un perpetuo scontento. Il declino del suo prestigio ha inizio esattamente nel momento in cui acquisisce modi cordiali nei confronti della gente di Donnafugata mentre prima aveva sempre dominato su queste persone vivendo quasi in un mondo a parte, padrone degli altri. Ma da quando la gente nota in lui una certa debolezza dovuta alla consapevolezza dell’evolversi della situazione le cose cambiano. Così come don Fabrizio è la personificazione del nobile dell’epoca, don Calogero è quella della classe emergente della borghesia, che nel suo piccolo, nel paesino di Donnafugata continua la sua ascesa al potere. Il principe venendo a conoscenza di quanto don Calogero Sedara si sia arricchito, comprende di non essere più lui stesso la persona più rilevante del paese. Vorrebbe essere ancora il padrone e quando deve incontrarsi con il borghese si illude di poter essere un gattopardo dal pelo liscio e profumato che sbranerà uno sciacalletto impaurito, ma presto capisce che non conta essere vestiti con abiti migliori e avere un aspetto più imponente perché ormai i tempi stanno cambiando e lui stesso ammette che sa che i Gattopardi e i leoni verranno sostituiti dagli sciacalletti e dalle iene ma comunque tutti loro continueranno a credersi il sale della terra. Questo perché continuamente nel mondo c’è gente che perde o acquista potere ma, anche se solo nel suo piccolo, si reputa di essere fondamentale e diverso dagli altri. Don Calogero dalla sua parte conoscendo meglio don Fabrizio cerca di adeguarsi ai modi usati dal nobile; Sedara dice di ritrovare nel principe la mollezza e l’incapacità di difendersi dei nobili, ma anche una grande forza di attrazione e capisce che questa energia scaturisce in gran parte dalle buone maniere. Il principe si trova spesso a rimpiangere il passato, dove poteva dire tutto ciò che gli passava per la testa perché gli sarebbe stato scusato visto che lui era il Gattopardo, ora invece deve stare attento al suo linguaggio e al suo contegno. Poiché vive in questa situazione di scontento dove osserva che anche i palazzi degli altri nobili sono così incupiti da un senso di morte, sente di odiare don Calogero e attribuisce tutta la colpa a lui e ai suoi simili avari, pieni di rancore e di sensi di inferiorità. Ma infine capisce che questo non conta e che anche Sedara è un infelice come gli altri. Un altro tema fondamentale è quello del viaggio riferito in parte al declino sociale di cui si è parlato e in parte all’esistenza del Gattopardo. Don Fabrizio paragona il viaggio che compie per recarsi a Donnafugata alla sua vita: l’inizio è piacevole ma poi il viaggio e la vita diventano sempre più difficili, pieni di ostacoli, per arrivare infine in “interminabili ondulazioni di un solo colore, deserte come la disperazione”, quando la vita appare senza un senso e si crede impossibile che possano avvenire cambiamenti significativi. Alla fine del libro il principe giunge alla morte così come la famiglia dei Salina perde definitivamente potere. Don Fabrizio durante tutta la sua vita sente uscire da lui ogni attimo dell’esistenza e sa di averlo perso per sempre, in un continuo sgretolamento della personalità, questo scorrere lo paragona a particelle di vapore acqueo che vanno a formare nel cielo le nubi leggere e libere. Pensa di essere l’unico a percepire queste sensazioni e da ciò ne trae disprezzo nei confronti degli altri. Il tema della morte è sempre più presente fino a quando don Fabrizio nota che anche il suo aspetto sta peggiorando: è ormai solo l’involucro del Gattopardo che era. Si sente sempre più solo e lo rattrista il pensiero di essere l’ultimo dei Salina, l’ultimo a possedere i ricordi della sua famiglia, diversa dalle altre. Nei suoi ultimi momenti di vita cerca di ricordarsi ciò che di più bello c’è stato nella sua vita e si accorge che, nonostante abbia 73 anni, ne ha realmente vissuti solo due o tre e tutto il resto è costituito da dolori e noia. E quando infine muore la morte gli appare più bella di quanto avesse pensato. - Tancredi: Tancredi Falconeri è il nipote del principe Fabrizio Salina, ed è una delle persone a lui più care. Viene nominato per la prima volta a pag 34, quando il protagonista passa davanti alla villa decaduta dei Falconeri e il narratore descrive il pupillo di casa Salina visto dagli occhi del principe: un ragazzo caro per quei modi ironici e frivoli spezzati da interventi di una serietà forse troppo matura per la sua giovinezza. Nonostante i vizi del nipote, le cattive frequentazioni e il passato burrascoso, il principe preferirebbe avere lui con il suo carattere brioso come primogenito invece di Paolo, il suo figlio maggiore, di tutt’altro temperamento. La descrizione viene pienamente confermata durante la sua prima apparizione, dove addirittura si permette di rimproverare suo zio, colpevole di aver passato una notte brava a Palermo; tuttavia i toni giocosi del ragazzo nn fanno che aumentare la simpatia nei suoi confronti. E’ proprio durante questo primo colloquio che Tancredi esprime la sua decisione di partire al fianco di Garibaldi al fine di difendere la sua posizione secondo la logica che esprime nelle concise parole “Se volgiamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. In futuro rinnegherà il suo pensiero rivoluzionario garibaldino arruolandosi nell’esercito della corona, al fianco della monarchia. E’ molto evidente nel libro l’innata eleganza e bellezza di Tancredi, infatti durante il viaggio a Donnafugata questo è l’unico che dopo tante ore passate in condizione disagiate si presenti ancora fresco e pulito, in ottime condizioni rispetto al resto della famiglia. Nello stesso frangente di lui viene detto che dopo il viaggio così stancante aiuta la principessa a scendere dalla carrozza, spolvera lo zio, rallegra le cugine, distribuisci caramelle ai cugini: è questo suo charme che unito alla sua bellezza riesce ad incantare tutti e ad ammaliare tutti, soprattutto il cuore della cugina Concetta, che sente il suo amore per il giovane ricambiato. L’amore di Concetta è puro eppure quando il giovane viene a conoscenza della giovine Angelica rimane colpito ed estasiato dal fascino e dalla bellezza della fanciulla, innamorandosene al punto di non vedere i suoi difetti, dimostrando quindi tutta la sua debolezza. Tuttavia anche stavolta Tancredi si dimostra un uomo scaltro, infatti la ragazza rappresenterebbe per lui non solo una bella moglie al suo cospetto e alle cerimonie ufficiali, ma un ricco introito per le casse del suo squattrinato casato e quindi un posto assicurato nell’alta società palermitana e una futura carriera politica assicurata dal denaro e dai titoli nobiliari. Concetta oltre a non avere una dote così ricca da garantire un futuro prestigioso al cugino, non è adatta dato il suo carattere riservato a essere la donna di uomo dal così avvenente futuro, ed anche per questo che Tancredi pur sapendo del suo amore per lui decide di scegliere la signorina Sedàra e non la cara cugina. Durante la cena che segna il loro incontro Tancredi fa di tutto per attirare l’ attenzione della bella Angelica, scadendo nella volgarità pur di farla ridere e ricevere la sua attenzione, offendendo però l’animo di Concetta, che lo credeva una persona perbene. Questo però si dimostra sensibile e gentile d’animo e si accorge di aver ferito al cugina prediletta e vuole rimediare, ma le parole dure della cugina che non vuole perdonarlo lo feriscono più del previsto mettendo in luce l’animo buono del ragazzo. Tancredi inoltre si dimostra scaltro anche nell’entrata in società di Angelica che avviene durante il ballo dei Ponteleone, infatti si preoccupa di istruirla proposito le maniere e la mentalità della nobiltà palermitana, per evitare che la ragazza, non abituata a simili esperienze, possa cadere in qualche gaffe rovinandosi la reputazione. Il ragazzo si dimostra quindi ancora una volta molto attento alle formalità della sua relazione con Angelica, tutto in funzione di una sua futura carriera politica, resa possibile solo attraverso il patrimonio di Angelica. Durante la morte di Don Fabrizio, Tancredi resta l’unico personaggio che sia veramente caro al Principe, e l’unico di cui gradisce la vista il vecchio morente. Viene menzionato per l’ultima volta alla fine del libro, in un dialogo tra Concetta, Angelica e il senatore Tassoni, mentre si ricordano i tempi passati e gli episodi della loro gioventù, e vediamo che il nome di Tancredi è ancora in grado di suscitare non solo ricordi, ma anche vivide emozioni nelle persone che lo hanno conosciuto e che hanno avuto a che fare con lui. Questo è dovuto sicuramente al suo carattere così spontaneo e brillante e al suo temperamento frizzantino. - Angelica: È la figlia di Don Calogero, e diventerà la fidanzata e futura moglie di Tancredi, nipote di Don Fabrizio. Di li viene detto, prima che entri in scena, che ha studiato in un collegio a Firenze dove ha imparato le buone maniere togliendosi l’impronta di sicilianità datagli dall’attaccamento al piccolo paese di Donnafugata. Questa fa la sua prima comparsa in società al pranzo che indice Don Fabrizio al suo arrivo a Donnafugata, e fino ad allora la si ricordava come una tredicenne bruttina e insulsa, e tutti rimangono estasiati dalla sua bellezza e dal suo fascino di donna sicura della propria bellezza. Di lei ci viene data una descrizione fisionomica dettagliata, e viene detto che durante la cena tutte le attenzioni erano per lei e attorno alla casa si era insinuata un aura di sensualità. Da qui capiamo che Angelica, pur non essendo abituata a ricevere tante attenzioni da parte del pubblico maschile, si trova perfettamente a suo agio di fronte a tanti complimenti rivolti alla sua bellezza, e da qui in poi sviluppa una sicurezza dovuta al suo fascino che la renderà una perfetta donna aristocratica. Angelica possiede comunque un gran numero di difetti e dettagli che rendono la sua bellezza vulnerabile, tutti notati dalla sua rivale Concetta, che vengono però annullati davanti al fascino che sprigiona la sua persona. Anche Tancredi nota questi particolari negativi, senza però alcun risultato. Assume un significato importante anche la prima visita di Angelica a casa Salina come fidanzata di Tancredi: qui per la prima volta si forma la convinzione che il giovane l’abbia senz’altro istruita sulle maniere e i modi da tenere, su come vestirsi e sulle parole da rivolgere, e la ragazza appare come una marionetta nelle mani del fidanzato, intento a toglierle le ultime tracce della sua sicilianità di provincia. Angelica tuttavia, come del resto il fidanzato, non è veramente innamorata di Tancredi, il suo carattere troppo ambizioso e il suo orgoglio impediscono il vero amore tra i due, tuttavia in quei primi tempi ella è innamorata di Tancredi, e prova un affetto profondo nei suoi gesti e nella sua persona. Purtroppo quel che impedirà ad Angelica di innamorasi veramente del futuro marito sarà sempre la suo ambizione: infatti essa in Tancredi vede soprattutto un posto assicurato nell’alta società palermitana e un titolo nobiliare di cui disporre, meriti di cui, senza il fidanzato, non avrebbe mai potuto godere, e non coglie invece la vera bellezza del ragazzo, che consiste in tante piccole sfumature caratteriali e comportamentali. Dopo che avviene il primo incontro tra i due innamorati dopo il fidanzamento, in una giornata di pioggia, Angelica viene pienamente accettata a palazzo e durante il periodo di permanenza di Tancredi a Donnafugata, saranno sempre più frequenti le visite di lei: i due passano interi pomeriggi ad inseguirsi per il palazzo nei suoi luoghi più sconosciuti, intenti a stuzzicare la loro malizia, spingendosi sempre al limite senza oltrepassarlo mai: è anche questo il segreto della loro unione perfetta di quei giorni, pur essendo sempre presente il desiderio, anche grazie ai trascorsi della casa, questi non si spingono mai oltre e la pazienza dell’attesa è forse la loro più forte prova d’amore che vivranno in tutta la durata della loro unione e di quello che verrà definito “un matrimonio mal riuscito”. Ritroviamo Angelica durante il ballo a palazzo Ponteleone, dove si prepara a fare i suo debutto nella società palermitana: anche e soprattutto in questa circostanza la ragazza è stata istruita a dovere dal fidanzato a proposito del comportamento da tenere e l’atteggiamento da mostrare, e soprattutto sulle abitudini e la mentalità dei nobili. La ragazza tuttavia se la cava benissimo e riesce ancora una volta ad ammaliare tutti con la sua bellezza e il suo fascino così che molti uomini si pentono di non aver nei propri feudi delle belle simili. Angelica dal canto suo è ormai pienamente trasportata dal suo ruolo e si sta lentamente abituando alla vita da nobile palermitana, tutta eventi mondani e frivolezze. Ella è infatti un personaggio dinamico, prima è una borghese che non conosce i modi di fare aristocratici, ma dopo l’incontro con Tancredi ella diviene nobile e i suoi atteggiamenti divengono sempre più vicini a quelli dell’aristocrazia. La troviamo infine alla fine del racconto ormai vecchia e vedova di Tancredi, durante una sua visita a Concetta, divenuta sua cara amica e confidente dove si presenta come una signora anziana aristocratica, dai modi gentili e amichevoli nei confronti dell’amica, che rimpiange il marito defunto pur non avendo mai avuto una vera vita matrimoniale con lui. - Maria Stella: La principessa Stella è la moglie di Don Fabrizio: questa ha un ruolo relativamente marginale nella vita del marito, e nessuna importanza nel prendere delle decisioni. Il suo carattere introverso è spesso sovrastato rivolta però maggiore attenzione agli avvenimenti tra il 1860 e il 1862,quando sta per verificarsi l’unità d’Italia e il decadimento dell’aristocrazia,anche se la vicenda si svolge tra maggio 1860 e maggio 1910. - 1°parte: Maggio 1860: Il racconto inizia nell’anno in cui si verificano i moti per l’indipendenza italiana. L’autore evidentemente tiene molto a localizzare subito nel tempo il suo racconto, poiché fin dal quarto capoverso fornisce dei riferimenti al tempo e alla situazione storica. Infatti la prima informazione temporale la si trova nella seconda pagina: ‘da più di un mese, dal giorno dei “moti” del Quattro Aprile..’. A pag. 38 si descrive il ritorno da Palermo in carrozza da parte di Padre Pirrone e Don Fabrizio; l’ecclesiastico ha ricevuto nuove notizie riguardanti la situazione che si sta sviluppando in Sicilia: ‘..si temeva uno sbarco dei Piemontesi nel sud dell’isola,...e le autorità avevano notato nel popolo un muto fermento: la teppa cittadina aspettava il primo segno di affievolimento del potere, voleva buttarsi al saccheggio e allo stupro.’ La situazione si sta complicando per la nobiltà e i sostenitori del regno borbonico, mentre si avvicina lo sbarco garibaldino. - 2° parte: Agosto 1860: Sono passati un paio di mesi da quando il lettore aveva lasciato la famiglia Salina nel capitolo precedente, ed ora la ritrova in viaggio per recarsi a Donnafugata, la residenza estiva. A pag. 25 viene descritto il clima di giubilo che serpeggia tra la gente del paese, e che pare futile ed inutile al Principe. Le persone della cittadina anche se ormai apparentemente senza più motivo, continuano a portare coccarde tricolori, declamare ed organizzare cortei. Dopo l’arrivo a Donnafugata, il Principe invita le persone più importanti del paese a cena alla Villa, e rimane scosso quando apprende che Don Calogero, il sindaco rappresentante una classe in rapida ascesa, sta per arrivare vestito in frac. Questa apparizione lo preoccupa molto, perché mentre lo sbarco dei Piemontesi o l’instaurarsi della Repubblica possono sembrargli avvenimenti lontani, quello è il primo effetto della Rivoluzione vicino, immediato e tangibile per lui. Tuttavia i timori di Don Fabrizio si rivelano infondati perché il vestito non appare eseguito correttamente e anzi, fa un po’ sfigurare colui che lo indossa. Questo avvenimento può essere interpretato come una metafora della rapida e prossima ascesa della classe borghese, che momentaneamente fallisce ancora al cospetto della nobiltà, ma è solo questione di poco tempo perché riesca nel suo intento. Infine, sempre per localizzare meglio nel contesto storico la vicenda, a pagina 83 si trovano alcuni riferimenti ad avvenimenti reali: la marcia notturna su Gibilrossa, la scenata fra Bixio e La Masa, l’assalto alla porta di Termini. - 3° parte: Ottobre 1860: Questa parte inizia con un breve sommario riguardante il tempo atmosferico che ha regnato sulla Sicilia nell’arco di tempo che viene omesso dall’ellissi tra un capitolo e l’altro. Successivamente, il Principe va a cacciare con don Ciccio Tumeo, e ne approfitta per chiedere il suo parere riguardo al Plebiscito del ‘giorno Ventuno’. Infatti, il risultato del Plebiscito svoltosi nella cittadina di Donnafugata era suonato strano alle orecchie del Gattopardo: risultava un ‘sì’ unanime. Egli era infatti sicurissimo che almeno una ventina di persone, per vari motivi, avessero votato contrariamente, ma i risultati lo smentivano; allora il protagonista decide di chiarire i suoi dubbi con il compagno di caccia. Don Ciccio, dopo un momento di forte incertezza ed imbarazzo, riesce ad esprimere il suo pensiero, e confessa al padrone di aver portato al sindaco un voto contrario, e dice di sentirsi profondamente offeso ed ignorato. Questo dialogo svoltosi tra Don Fabrizio e don Ciccio è interamente riportato in scena, e quindi si prolunga abbastanza nel tempo della narrazione; questo probabilmente accade perché l’autore vuole mettere in evidenza questo avvenimento, cioè che già al primo Plebiscito della storia italiana, l’opinione di molte persone fu calpestata e ignorata. Tutto ciò ci fornisce un ritratto molto esauriente della mentalità delle persone al potere in quell’epoca di forti trasformazioni sociali. Significativa è la frase a pagina 111: ‘...una parte della pigrizia, dell’arrendevolezza per cui durante i decenni seguenti si doveva vituperare la gente del Mezzogiorno, ebbe la propria origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà che a questo popolo si era mai presentata.’ _ 4° parte: Novembre 1860: In questo capitolo viene dato un piccolo scorcio culturale riguardante il periodo, in generale, e la Sicilia, più in particolare. Infatti questo fu un periodo di profonde trasformazioni a livello culturale e di diffusione di idee, soprattutto grazie alla grande circolazione di romanzi d’autore. ‘Erano quelli, appunto, gli anni durante i quali, attraverso i romanzi, si andavano formando quei miti letterari che ancora oggi dominano le menti europee...’(pag. 136). La Sicilia però rimane esclusa da questo processo per vari motivi: il suo tradizionale rifiuto verso il nuovo, l’ignoranza di qualsiasi altra lingua, e la censura borbonica, che agiva tramite le dogane. Quindi nemmeno dove si poteva avere la possibilità di alcuni scambi culturali verso l’esterno, questi si verificavano, come accade ad esempio in casa Salina: ‘Il livello delle letture era quindi piuttosto basso, condizionato com’era dal rispetto per i pudori verginali delle ragazze, da quello per gli scrupoli religiosi della Principessa e dallo stesso senso di dignità del Principe, che si sarebbe rifiutato a far udire delle ‘porcherie’ ai suoi familiari riuniti..’. Da tutto ciò si può intuire quanto quindi in quel periodo il livello di cultura e alfabetizzazione fosse basso e inadeguato. - 5° parte: Febbraio 1861: In questo capitolo, padre Pirrone si reca al suo paese natale, e lì aggiorna i suoi compaesani sui recenti fatti politici e storici di cui non sono ancora informati. Il padre traccia un quadro generale molto duro e pessimista; parte da Gaeta, su cui sventola ancora il tricolore borbonico ma dove il blocco è ferreo; si sposta poi a parlare della Russia, definendola ‘amica ma lontana’; Napoleone III, invece, è secondo lui ‘infido e vicino’; infine preferisce tacere, forse per vergogna, sugli insorti di Basilicata e Terra di Lavoro. L’autore, con queste informazioni vuole meglio inserire la sua storia nelle vicende storiche dell’epoca e specificare il contesto in cui si svolge. - 6° parte: Novembre 1862: In questo capitolo viene descritta una festa che viene data a Ponteleone e a cui partecipa l’intera famiglia Salina. Vi sono molte descrizioni degli ambienti, che però possono essere anche utili per l’aspetto temporale dell’epoca, poiché il lettore ne può dedurre il tenore di vita che conducevano determinate persone nella Sicilia dell’Ottocento. La situazione che viene descritta riguarda naturalmente solo una piccola minoranza della popolazione sicula, poiché ciò che emerge di più sono il lusso, lo sfarzo, la raffinatezza e maestosità degli ambienti. - 7° parte: Luglio 1883: Dalla parte precedente sono trascorsi ventuno anni, e il lettore può notare molti cambiamenti nei personaggi a causa del tanto tempo passato. Il penultimo capitolo tratta della morte del protagonista. Don Fabrizio aveva avuto un malore durante il viaggio verso la villa ed i familiari decidono di fermarsi e chiamare un dottore. Nell’albergo in cui è stato portato, il Principe può ammirare il paesaggio, il mare, e far spaziare la mente in mille pensieri, che si riconoscono molto lucidi nonostante la condizione del fisico. Una parte di questi pensieri riguarda il tempo, cioè Don Fabrizio calcola quanto tempo ha effettivamente vissuto; egli giunge all’amara conclusione che di anni ne ha veramente vissuti all’incirca due o tre, mentre gli anni di dolori e noia erano stati settanta, ovvero tutto il resto. È in questo momento che il Gattopardo si rende conto di quanto è stata vuota la sua vita e di come avrebbe potuto impiegare meglio il suo tempo. - 8° parte: Maggio 1910: Sono passati ben ventisette anni dalla morte del Principe di Salina e quindi dall’ultima parte di narrazione. Durante quest’ultimo capitolo vi sono molte frasi che riprendono avvenimenti successi nel lasso di tempo escluso dalla narrazione, e che ne permettono una ricostruzione. La vicenda si riallaccia attorno a quattro personaggi: Angelica, Carolina, Caterina, ma in particolare Concetta; tutte loro hanno subito molti cambiamenti soprattutto fisici a causa del tempo trascorso. Si viene a sapere, infatti, che le tre sorelle hanno uno stato di salute un po’ precario. Di fronte alla trasformazione fisica, il lettore riscontra però che il tempo non ha portato alcun cambiamento nei caratteri delle persone, in particolare quello giusto ed autoritario di Concetta. Lei si rifiuta di rimuovere dalla sua mente il passato, come dimostrano gli oggetti nella sua camera; solo alla fine del capitolo, con l’eliminazione di Bendicò, vuole provare a ‘dimenticare’, ma sa che non vi riuscirà mai. Così si conclude il romanzo, a cinquant’anni dall’inizio dell’intera vicenda, in un mondo che un po’ rimanda al passato, ma che è in realtà profondamente cambiato. SPAZIO: La vicenda è interamente ambientata in Sicilia, e i luoghi in cui si svolge la maggior parte del racconto sono la Villa presso Palermo e la residenza estiva di Donnafugata. Il racconto si apre dopo il tramonto ed il momento del rosario, quando il Principe si reca nel giardino della villa, di cui viene data una descrizione molto particolareggiata; innanzitutto lo spazio ha un aspetto molto racchiuso e quasi cimiteriale, quasi a metafora del carattere chiuso ed a tratti scontroso del protagonista. Ciò che emerge in forma maggiore dalla descrizione, è il senso di confusione e d’abbandono dell’ambiente, ma nello stesso tempo colpisce la ricercatezza nella soddisfazione del senso dell’olfatto, con i più svariati profumi della natura (p. 26/27). In seguito viene descritto il prototipo della visita al Re, che dovrebbe ostentare fasto, lusso e ordine, ma che si apre con un percorso in cui ‘ci si infila in anditi sudicetti e scalette mal tenute, sbucando in un’anticamera dove parecchia gente sta aspettando.’ Anche lo studio del Re non viene descritto con le caratteristiche che ci si aspetterebbe; infatti è piccolo e semplice, sulle pareti si alternano ritratti squallidi di personaggi importanti a santi di terz’ordine, mentre sulla scrivania regna la confusione tra carte di colori e funzioni diverse. Questa descrizione si può definire focalizzante per quanto riguarda il periodo di decadenza di quella classe sociale e, più in generale, della monarchia. (pag. 29). La seconda parte del racconto si apre con una lunga descrizione del paesaggio che osservano gli appartenenti alla famiglia Salina durante il viaggio che va dalla loro casa alla residenza estiva, a Donnafugata. Il paesaggio che scorre davanti agli occhi dei personaggi è arido, spoglio, polveroso, assolato e monotono, e la fattoria a due ore dalla meta è vista come un’oasi felice che può servire da riposo. Dopo l’arrivo alla casa di Donnafugata, il Principe desidera lavarsi, e qui viene sottolineata la differenza tra gli innumerevoli saloni riccamente decorati e il piccolo, semplice e quasi spoglio stanzino del bagno, in cui il protagonista riesce a trovare pace ed intimità, che però verranno presto interrotte da Padre Pirrone. Successivamente, Don Fabrizio si reca sul balconcino della biblioteca, da cui può osservare il paesaggio circostante e dominare la vista di Donnafugata. Il clima del centro abitato è molto tranquillo, paesano e semplice, e le vecchiette al sole, i monelli che giocano e i muli legati, sono visti quasi con disprezzo e compassione dal nobile. Tutta la situazione è naturalmente accompagnata da numerosi riferimenti all’arido sole cocente tipico della zona. Nel III° capitolo viene descritta la situazione in cui Don Fabrizio e Tumeo si recano a cacciare. Il paesaggio è caldo, ricco di vegetazione e segnato dal continuo vento marino, che disperde i profumi delle piante aromatiche. Il paesaggio che osservano i due personaggi viene paragonato a quello che in passato hanno potuto vedere gli altri popoli sbarcati in Sicilia e viene detto che sostanzialmente non è mutato; ancora una volta emerge la staticità e il rifiuto del cambiamento della Sicilia e del suo popolo. Nella terza parte sono descritte le scorribande e i vagabondaggi dei due fidanzati, Angelica e Tancredi, per le immense e inesplorate stanze del palazzo. Infatti in quell’epoca viene utilizzata solo una piccola parte delle stanze della reggia di Donnafugata, mentre il resto rimane abbandonato e inesplorato, e quindi si dice che i due personaggi hanno a disposizione per la loro intimità un intrico labirintico e misterioso. I due amanti vanno alla scoperta di questo mondo nascosto proprio perché rappresenta l’incognito e l’avventura, che sono due elementi che poi caratterizzano, più generalmente il loro rapporto che è appena nato ed è proiettato verso uno sconosciuto futuro. Da pag. 160, viene descritto il colloquio di Don Fabrizio con il piemontese Chevalley di Monterzuolo; qui, il Principe dà un dettagliato quadro generale della situazione e dell’ambiente in cui si svolge la vicenda, attraverso una digressione sulla Sicilia e la mentalità degli abitanti di quest’isola. Don Fabrizio parte da una breve introduzione sulla storia della regione, in cui si sono susseguite occupazioni, governi stranieri e di diversa religione, tutti provenienti da civiltà già pienamente sviluppate; ciò ha impedito una vera e propria crescita da parte di questa ‘terra di conquista’, o meglio ‘colonia’. Questo, secondo Salina, spiegherebbe l’attrazione e la dedizione del popolo siciliano verso correnti di pensiero e artistiche già tramontate e che rimandano al passato. Poi rivolge il pensiero all’inattività e alla pigrizia della gente siciliana con questa frase: ‘In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi.’ Don Fabrizio successivamente si corregge, dicendo che invece che parlare di ‘siciliani’ avrebbe dovuto parlare di ‘Sicilia’, sottolineando il forte legame che c’è tra questa terra ed i suoi abitanti. Infatti l’indole dei siciliani, secondo lui, è sicuramente dovuta anche all’ambiente, alla violenza del paesaggio, che non è mai meschino, terra-terra, distensivo e umano, ma infernale e pericoloso, alla crudeltà del clima, che infligge alle persone sei mesi interminabili ‘come l’inverno russo’ di febbre a quaranta gradi, difficile da combattere e che impedisce ogni forma lavorativa, a cui seguono le piogge, che sconvolgono tutto ciò che prima era morente di sete. Secondo il Principe tutte queste cose hanno formato il carattere dei Siciliani, così ‘condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo’, e quindi sottolinea il desiderio stesso di isolamento da parte delle persone, che rimarranno sempre convinte che la normalità civilizzata è dove vivono, mentre la bizzarria è all’esterno. Il V° capitolo si apre con una breve descrizione del paese natale di Padre Pirrone, in cui sembra essere diffusa l’usanza di impedire il circolare di alcune informazioni attraverso l’eliminazione dei loro possessori attraverso pochi colpi di schioppo. Successivamente si trovano altre brevi descrizioni riguardanti la vallata ventosa in cui si trova il paesino e la casa di Padre Pirrone, che appena entrato viene assalito dai ricordi d’infanzia. Nella sesta parte viene descritta la grande festa che viene data a Ponteleone, a cui tutta la famiglia Salina partecipa. Numerose sono le descrizioni riguardanti l’ambiente, quindi i grandi saloni, lo sfarzo e il lusso dell’arredamento, la tipologia di persone che partecipano alla festa. Da tutto questo quadro generale in cui emergono principalmente il lusso, la superficialità e l’allegria, si distingue il pensiero del protagonista, il cui filo dei pensieri è seguito dal lettore per tutta la durata della festa. Egli disprezza in fondo tutto questo ambiente quasi finto e si ritiene superiore, ma allo stesso tempo è abbattuto alla vista della società che cambia. Nel VII° capitolo sono narrati gli ultimi momenti che precedono la morte di Don Fabrizio. Egli decide di posizionarsi in balcone, dove può ammirare il mare, liscio, tranquillo e inerte, su cui troneggia un sole immobile ma ben piantato a gambe larghe che lo ‘frusta’ senza pietà. Questa è la metafora che esprime in realtà i sentimenti del protagonista, grande e imponente come il mare, ma ridotto all’inerzia e alla calma dalla morte, che lo sta per cogliere. Pochi versi più avanti, Don Fabrizio ritorna sul balcone e può far spaziare lontano lo sguardo, ripensando alla sua casa o agli altri ambienti della sua vita, come il paese di Donnafugata, e ai ricordi che questi luoghi gli suggeriscono. L’ultimo capitolo si apre con uno scorcio della casa delle tre signore Salina; gli elementi che si vogliono sottolineare sono la devozione e la fede delle abitanti della casa, e questo è reso possibile attraverso la descrizione dell’anticamera del palazzo in cui abitano, in cui si trova quasi sempre almeno un cappello di prete sulle sedie. Da pag. 255 in poi viene data la descrizione focalizzante della camera di Concetta: innanzitutto si dice che è una camera solitaria, a sottolineare che è lei l’unica e vera Salina rimasta, che non trova conforto nemmeno nelle sorelle. La peculiarità di questa stanza è l’avere due volti: uno, che si presenta ad un visitatore esterno, e uno, che si rivela a chi conosce veramente i fatti come sono. Infatti, esteriormente, la camera non dà l’impressione di essere diversa da una normale camera di una vecchia zitella, soleggiata, con finestre sul giardino, pavimento bianco e decorato, mobilio antiquato e di cattivo gusto, molte immagini sacre, acquerelli e ritratti alle pareti; da tutto ciò trasudano pulizia e ordine. Solo un angolo fa eccezione al resto della stanza, in cui si trovano quattro vecchi bauli e un mucchietto informe di pelliccia. Invece, per chi conoscesse davvero i fatti, si afferma che per Concetta quella stanza costituisce un ‘inferno di memorie mummificate’; infatti le quattro casse contengono il corredo della donna, preparato invano cinquant’anni prima e ricco di ritratti di persone decedute che in vita avevano inferte ferite che erano il solo motivo per il quale erano ricordate, mentre il mucchietto di pelliccia non era altri che Bendicò, il cane di Don Fabrizio, morto e imbalsamato quarantacinque anni prima. NARRATORE – PUNTO DI VISTA: Il narratore coincide con l’autore e la narrazione avviene in terza persona. Il narratore è onnisciente e qualche volta interviene esprimendo giudizi. LINGUA E STILE: Il Gattopardo è un romanzo storico. Le tecniche narrative sono: discorso diretto, analessi, discorso indiretto, il monologo interiore e digressioni.
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