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IL GATTOPARDO - (letteratura II prof. Ardissino), Appunti di Letteratura

commento della professoressa + riassunti fatti con frasi tratte dal libro

Tipologia: Appunti

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Scarica IL GATTOPARDO - (letteratura II prof. Ardissino) e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! IL GATTOPARDO IL GATTOPARDO: LETTERATURA 2 Prof Ardissino DOMANDE ESONERO SCRITTO MODULO A: 1. Novella e fiaba: due generi prossimi e lontani. Ne parli  2. Temi affrontati nel ballo a Palermo del 1862 nel Gattopardo  3. Valore della lettura a scuola (didattica) 4. Cosa pensa l’autore del Gattopardo sull’Unità di Italia  5. L’incontro di Don Fabrizio con Chevalley  6. “La fine del mondo” di Buzzati, caratteristiche narrative 7. Il percorso universitario di Levi  8. La battuta di caccia nel Gattopardo  9. Identificazione letteraria e implicazioni psicologiche e psicosomatiche  10. Evoluzione del personaggio di Concetta nel Gattopardo  11. Esperienza lavorativa in Levi  12. Fare esperienza attraverso i testi (didattica) 13. I bambini in Levi  14. La figura di Don Pirrone nel Gattopardo. 15. Confronto romanzo-racconto  16. Discorso tra principe salina e don Ciccio durante la caccia nel Gattopardo  17. Nelle attività per la classe prima quali criteri si indicano per la scelta dei libri da leggere (didattica) 18. Aspetti importanti del primo pranzo a Donnafugata nel Gattopardo  19. Confronto ferro di Levi e bosco degli animali di Calvino  20. Confronto favola-fiaba  21. Tancredi e il suo ruolo  22. Meccanismi di identificazione nella lettura (didattica) 23. Percorso universitario di Levi  24. Visione della Sicilia nel Gattopardo  25. Esperienza attraverso la lettura (didattica). 26. - don pirrone e la religione nel gattopardo 27. -analisi di un brano su donnafugata e la decadenza dell aristocrazia 28. - oro e primo levi partigiano 29. - elementi stilistici del bosco degli animali di Calvino 30. - generi delle autobiografie 31. - neuroni specchio e processi psicologici 32. Commento del momento in cui Don Fabrizio comunica a don Calogero le intenzioni di Tancredi con Angelica (importante commento stilstico) 33. La chimica per primo Levi in Ferro 34. Come viene visto Garibaldi nel Gattopardo 35. La novella caratteristiche e origini 36. La prima esperienza lavorativa di Levi in Nichel 37. I piani della lettura nel capitolo "Formazione di sè"( non ricordo bene il titolo) 38. testo da commentare de Il Gattopardo, 39. Le caratteristiche del racconto moderno, 40. Idrogeno e Zinco e lo studio della chimica in Levi, 41. i temi affrontati durante la caccia nel Gattopardo, 42. aspetti psicologici della lettura, 43. la lettera di Manzoni a Chauvet Tomasi di Lampedusa Il Gattopardo è un romanzo pubblicato nel 1958, Tomasi di Lampedusa era un nobile professore siciliano ma non ha scritto moltissimo. Questo romanzo ebbe subito uno straordinario successo anche se prima di pubblicarlo gli fu rifiutato da diversi editori, che non l’avevano apprezzato. Quando poi venne pubblicato fu preso come fonte per un film da Luchino Visconti e fu proprio il film a lanciare il romanzo nell’Italia di fine anni ’50. Subito conobbe successo, anche grazie allo straordinario impegno che Luchino Visconte aveva messo in quel film. 1 IL GATTOPARDO Il romanzo è uscito subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in un momento di boom economico e anche di ripresa dell’identità nazionale. IL. ROMANZO. Ci occupiamo del gattopardo come testo narrativo lungo. I romanzi esistevano già nel medioevo (romanzi cavallereschi) ma non era considerata letteratura alta come era il poema epico. Il romanzo era più una questione di intrattenimento, non aveva fini moralistici ecc. Quali sono gli elementi che caratterizzano il romanzo? - La dilatazione dei tempi. Nel gattopardo ad esempio abbiamo 50 anni. Queste parte non sono divise in parti eque: fino al cap 4 siamo al 1860; cap 5 1862 ecc; poi passiamo agli ultimi capitoli: quando muore il Principe nel 1863; e l’anniversario dell’Unità 1910 - Personaggi descritti in maniera ricca e variegata. Il romanzo è l’attenzione verso i personaggi, anche attraverso flashback abbiamo la biografia del personaggio. - L’epoca di un romanzo è ben definita. Questo romanzo è la storia di un’epoca. - Anche gli oggetti e le cose vengono descritti: attenzione che viene data al paesaggio, alle reliquie ecc. perché il romanzo è fatto di queste cose - Riflessioni sul mondo: il romanzo può contenere prospettive sul mondo. - Al giorno d’oggi è il romanzo il genere maggiore, nel ‘900 abbiamo l’esplosione di questo genere. - IL GATTOPARDO Il gattopardo inizia con il rosario (il rosario ogni 50 ave maria c’è un mistero della fede: richiede la partecipazione di un gruppo di persone). L’inizio del gattopardo è la fine del rosario e queste conclusione della preghiera contiene “…e l’ora della nostra MORTE”: il gattopardo è infatti, a un occhio attento, un romanzo che parla di morte. Non è il tema dell’amore tra Tancredi e Angelica, non il tema del cambiamento politico ma una meditazione sulla morte. Morte di chi? Del Principe innanzitutto però, questa morte, coincide con la morte di una classe sociale. Lui è l’ultimo dei Salina (anche quando guarda suo nipote pensa che non gli somiglia; che non è un vero Salina). Dal libro: “C'erano anche i nipoti: Fabrizietto, il più giovane dei Salina, così bello, così vivace, tanto caro. Tanto odioso. Con la sua doppia dose di sangue Màlvica, con gl'istinti goderecci, con le sue tendenze verso un'eleganza borghese. Era inutile sforzarsi a credere il contrario, l'ultimo Salina era lui, il gigante sparuto che adesso agonizzava sul balcone di un albergo. Perché il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, nei ricordi vitali; e lui era l'ultimo a possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre famiglie; Fabrizietto avrebbe avuto dei ricordi banali, eguali a quelli dei suoi compagni di ginnasio, ricordi di merende economiche” È la morte appunto di una dinastia, casata: ormai il mondo è diverso; con il risorgimento nasce l’età borghese anche per la Sicilia. Abbiamo quindi la morte di una famiglia ma anche di un’epoca. Inizia l’epoca in cui c’è un Parlamento, ad esempio, e questo cambiamento è sentito molto nel romanzo. Ad esempio, quando Tancredi dirà al Principe che andrà ad arruolarsi con i garibaldini: “Sei pazzo, figlio mio! Andare a mettersi con quella gente!, Sono tutti mafiosi e imbroglioni. Un Falconeri dev'essere con noi, per il Re." Gli occhi ripresero a sorridere. "Per il Re , certo, ma per quale Re?" Il ragazzo ebbe una delle sue crisi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. "Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?" Qui ci sono i due punti di vista: una visione statica del Principe che vede la necessità di rimanere fedele al re e il nipote che pensa che rimanere fedele porterebbe alla morte totale della 2 IL GATTOPARDO consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran parte colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso." “Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia… ecc” Coerenza di un popolo che rinuncia al cambiamento preferendo la staticità della morte alla vitalità dei cambiamenti Ritornando alla caccia: “Arguto depose ai piedi del Principe una bestiola agonizzante. Era un coniglio selvatico: la dimessa casacca color di creta non era bastata a salvarlo. Orrendi squarci gli avevano lacerato il muso e il petto. Don Fabrizio si vide fissato da due grandi occhi neri che, invasi rapidamente da un velo glauco, lo guardavano senza rimprovero ma che erano carichi di un dolore attonito rivolto contro tutto l'ordinamento delle cose; le orecchie vellutate erano già fredde, le zampetto vigorose si contraevano in ritmo, simbolo sopravvissuto di una inutile fuga; l'animale moriva torturato da un'ansiosa speranza di salvezza, immaginando di poter ancora cavarsela quando di già era ghermito, proprio come tanti uomini; mentre i polpastrelli pietosi accarezzavano il musetto misero, la bestiola ebbe un ultimo fremito, e morì; ma Don Fabrizio e Tumeo avevano avuto il loro passatempo; il primo anzi aveva provato, in aggiunta al piacere di uccidere, anche quello rassicurante di compatire.” Anche qui abbiamo descrizione della morte su cui l’autore si ferma suscitando in noi lettori un senso di pietà e ci conferma attenzione alla morte. Andando avanti, mentre stanno andando al ballo, si vede un prete che sta andando da un moribondo. Stanno andando al ballo dei Ponteleone e c’è questa scena che è inutile al fine della storia ma utile per parlare nuovamente della morte “Là dove la discesa dei Bambinai sbocca sull'abside di S. Domenico, la carrozza si fermò: si sentiva un gracile scampanellio e da uno svolto comparve un prete 5 IL GATTOPARDO recante un calice col Santissimo; dietro un chierichetto gli reggeva sul capo un ombrello bianco ricamato in oro; davanti un altro teneva nella sinistra un grosso cero acceso, e con la destra agitava, divertendosi molto, un campanellino di argento. Segno che una di quelle case sbarrate racchiudeva un'agonia; era il Santo Viatico. Don Fabrizio scese, s'inginocchiò sul marciapiede, le signore fecero il segno della croce, …” Continuando abbiamo la scena del Principe che durante il ballo vede, nella biblioteca, il quadro della “Morte del Giusto” dove guardandolo fa una riflessione: “Subito dopo chiese a sé stesso se la propria morte sarebbe stata simile a quella: probabilmente si, a parte che la biancheria sarebbe stata meno impeccabile (lui lo sapeva, le lenzuola degli agonizzanti sono sempre sudice, ci son le bave, le deiezioni, le macchie di medicine...) e che era da sperare che Concetta, Carolina e le altre sarebbero state più decentemente vestite. Ma, in complesso, lo stesso. Come sempre la considerazione della propria morte lo rasserenava tanto quanto lo aveva turbato quella della morte degli altri; forse perché, stringi stringi, la sua morte era in primo luogo quella di tutto il mondo?” La porta si apri. "Zione, sei una bellezza stasera. La marsina ti sta alla perfezione. Ma cosa stai guardando? Corteggi la morte?" Tutto questo prepara alla parte settima, ovvero: l’incontro con la morte. Come viene rappresentata la morte? Come una donna bellissima che gli va incontro alla stazione e lui incomincia ad intravederla ma non lo avvicina ancora; lo avvicinerà quando muore poco dopo quando muore in albergo dove la morte lo bacerà. Il corteggiare la morte è effettivamente la rappresentazione che ci dà l’autore della morte del Principe. La scena della morte è tutt’altro che tragica e si completa ciò di cui si è parlato in tutto il romanzo. Se poi consideriamo che l’ultimo capitolo parla delle RELIQUIE si capisce proprio quanto il tema della morte sia presente. Le reliquie rappresentano proprio questo mondo finito che però non è finito nella testa di Concetta e le sorelle. CONCETTA: la fine del libro si chiude con la celebrazione dei 50 anni dell’Unità di Italia e vengono celebrati anche a Palermo; Angelica è una delle organizzatrici. Viene Tassoni che è un amico di Tancredi (che è ormai morto) e vuole assolutamente incontrare Concetta. Angelica non è molto d’accordo ma lui insiste. Questo incontro con Concetta è molto importante: lui le racconta che Tancredi gli ha confessato che il racconto di quando erano giovani, (quello un po’ audace di quando avevano violato un convento e avevano fatto con delle suore un discorso un po’ sporco) era in realtà una frottola, un’invenzione. E lei ha basato tutto il suo dispiacere e distacco su quel racconto (infatti lei era rimasta contrariata a questo racconto che parlava di un eventuale stupro). Tutta la sua vita in dispregio verso Tancredi e da emarginata è basata sul niente. Lei finalmente capisce che è stata lei la nemica di se stessa (non Tancredi, non suo padre). Tassoni è dispiaciuto di come reagisce Concetta al racconto e chiede il perché ad Angelica; lei risponde che lei amava Tancredi ma lui non l’ha mai ricambiata. Questa è una bugia: in verità qui scopriamo, all’ultimo capitolo, che Tancredi in realtà amava Concetta e tutto l’odio che lei provava per lui è stato un 6 IL GATTOPARDO autoinganno: qui si rivela la vera storia. Si scopre quindi che non è una storia d’amore tra Angelica e Tancredi ma è una storia molto più complessa. LA QUESTIONE POLITICA DEL GATTOPARDO Ritorniamo all’inizio, prima parte, quando il Principe va nelle stanze dell’amministrazione dove ha i suoi segretari che amministrano i suoi beni ma qui ci rendiamo conto che i beni della famiglia Salina sono estremamente precari: questi beni si riducono. Anche il Principe di Salina, benchè ricchissimo, sta perdendo denaro. Dovette però esiliarsi presto da quei sereni regni stellari. Entrò don Ciccio Ferrara, il contabile. Era un ometto asciutto che nascondeva l'anima illusa e rapace di un liberale dietro occhiali rassicuranti e cravattini immacolati. Questo è un personaggio che fa il doppio gioco: da una parte nasconde un’anima liberale e rapace dall’altra è rassicurante. Infatti questo don Ciccio Ferrara bara: ruba amministrando. Ferrara era in realtà un liberale che è contro i borboni (Lui fece finta di essere triste per l’arrivo dei garibaldini) - Questo è un po’ il quadro politico che viene rappresentato nel romanzo. Il vero momento clou è quando si parla del plebiscito: infatti Sedara, essendo favorevole all’annessione della Sicilia al Piemonte, fa un broglio elettorale dicendo che tutti hanno votato “si”. Don Ciccio Tumeo dice che aveva votato "Io, Eccellenza, avevo votato 'no'. 'No,' cento volte 'no.' la sua fedeltà è, infatti, rivolta alla Regina che gli ha permesso di studiare da organista. A questo evento Tomasi di Lampedusa dedica molta attenzione e polemica: “Don Fabrizio aveva sempre voluto bene a don Ciccio, … Ma adesso provava anche una specie di ammirazione per lui e nel fondo, proprio nel fondo, della sua altera coscienza una voce chiedeva se per caso don Ciccio non si fosse comportato più signorilmente del Principe di Salina; e i Sedàra, tutti questi Sedàra da quello minuscolo che violentava l'aritmetica a Donnafugata a quelli maggiori a Palermo, a Torino,' non avevano forse commesso un delitto strozzando queste coscienze? … Don Fabrizio non poteva saperlo allora, ma una parte della neghittosità, dell'acquiescenza per la quale durante i decenni seguenti si doveva vituperare la gente del Mezzogiorno, ebbe la propria origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà che a questo popolo si era mai presentata. “ Quest’ultima frase è fondamentale: innanzitutto perché è una prolessi (anticipazione); qui siamo solo nel 1900 quando la Sicilia appare arretrata rispetto al nord, la povertà e quindi qui abbiamo anticipazione di quando questo accadrà ne 1950 (epoca di Tomasi di Lampedusa). Tutti questi problemi ricompaiono nel discorso di Chevalley con Fabrizio: (Chevalley è una persona seria che crede in quello che sta facendo) 7 IL GATTOPARDO la propria origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà che a questo popolo si era mai presentata. "Don Ciccio, statemi a sentire. Voi che vedete tante persone in paese, che cosa si pensa veramente di don Calogero a Donnafugata?" "Dopo tutto, Eccellenza, don Calogero Sedàra non è peggiore di tanta altra gente venuta su in questi ultimi mesi." L'elogio era modesto ma fu sufficiente a permettere a Don Fabrizio d'insistere "Perché, vedete, don Ciccio, a me interessa molto di conoscere la verità su don Calogero e la sua famiglia." …madre bella e ignorante, nonno ‘Merda, sexy angelica "Calmatevi, caro don Ciccio, calmatevi; a casa ho una lettera di mio nipote che mi incarica di fare una domanda di matrimonio per la signorina Angelica; da ora in poi ne parlerete col vostro consueto ossequio. Siete il primo a conoscere la notizia, ma per questo vantaggio dovrete pagare: ritornato a palazzo sarete rinchiuso a chiave insieme .a Teresina nella stanza dei fucili; avrete il tempo di ripulirne e oliarne parecchi e sarete posto in libertà soltanto dopo la visita di don Calogero; non voglio che niente trapeli prima." Sorpresi così alla sprovvista, le cento precauzioni, i cento snobismi di don Ciccio crollarono di botto come un gruppo di birilli centrati in pieno. Sopravvisse solo un sentimento antichissimo. "Questa, Eccellenza, è una porcheria! Un nipote, quasi un figlio vostro non doveva sposare la figlia di quelli che sono i vostri nemici e che sempre vi hanno tirato i piedi. Cercare di sedurla, come credevo io, era un atto di conquista; così, è una resa senza condizioni. È la fine dei Falconeri, e anche dei Salina!" Detto questo chinò il capo e desiderò, angosciato, che la terra si aprisse sotto i suoi piedi. Il Principe era diventato paonazzo, financo le orecchie, … Però era uno stupido: questo matrimonio non era la fine di niente ma il principio di tutto; era nell'ambito di secolari consuetudini. I pugni si riaprirono, i segni delle unghia rimasero impressi nei palmi. "Andiamo a casa, don Ciccio; voi certe cose non le potete capire. D'accordo come prima, siamo intesi?" CHEVALLEY  PAG 95-105 "Ma allora, principe, perché non accettare?" "Abbia pazienza, Chevalley, adesso mi spiegherò; noi Siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva agli esattori bizantini, agli emiri berberi, ai viceré spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto 'adesione' non 'partecipazione.' In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha 10 IL GATTOPARDO posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei, Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran parte colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso." "Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi- desti; da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l'incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto." "Siamo troppi perché non vi siano delle eccezioni; ai nostri semi-desti, del resto, avevo di già accennato. In quanto a questo giovane Crispi, non io certamente, ma Lei potrà forse vedere se da vecchio non ricadrà nel nostro voluttuoso vaneggiare: lo fanno tutti. D'altronde vedo che mi sono spiegato male: ho detto i Siciliani, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l'ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più che le dominazioni estranee e gl'incongrui stupri hanno formato l'animo: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; che non è mai meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali; questo paese che a poche miglia di distanza ha l'inferno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che c'infligge sei mesi 11 IL GATTOPARDO di febbre a quaranta gradi; li conti, Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l'inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo; Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un Siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l'energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l'acqua che non c'è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le pioggie, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio li dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche, del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d'arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo. L'inferno ideologico evocato in quello studiolo sgomentò Chevalley più della rassegna sanguinosa della mattina. Volle dire qualche cosa, ma Don Fabrizio era troppo eccitato adesso per ascoltarlo. "Non nego che alcuni Siciliani trasportati fuori dall'isola possano riuscire a smagarsi: bisogna però farli partire quando sono molto, molto giovani: a vent'anni è già tardi; la crosta è già fatta, dopo: rimarranno convinti che il loro è un paese come tutti gli altri, scelleratamente calunniato; che la normalità civilizzata è qui, la stramberia fuori. Ma mi scusi, Chevalley, mi son lasciato trascinare e la ho probabilmente infastidito. Lei non è venuto sin qui per udire Ezechiele deprecare le sventure d'Israele. Ritorniamo al nostro vero argomento. Sono , molto riconoscente al governo di aver pensato a me per il Senato e la prego di esprimere a chi di dovere questa mia sincera gratitudine; ma non posso accettare. Sono una rappresentante della vecchia classe, inevitabilmente compromesso col regime borbonico, e ad esso legato dai vincoli della decenza in mancanza di quelli dell'affetto. Appartengo ad una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d'illusioni; e che cosa se ne farebbe il Senato di me, di un legislatore inesperto cui manca la facoltà d'ingannare sé stesso, questo requisito essenziale per chi voglia guidare gli altri? Noi della nostra generazione dobbiamo ritirarci in un cantuccio e stare a guardare i capitomboli e le capriole dei giovani attorno a quest'ornatissimo catafalco. Voi adesso avete bisogno di giovani, di giovani svelti, con la mente aperta al 'come' più che al 'perché' e che siano abili a mascherare, a contemperare volevo dire, il loro preciso interesse particolare con le vaghe idealità politiche." 12 IL GATTOPARDO nel guanciale. Alzò seccamente la voce: "Domenico" disse a un servitore "vai a dire a don Antonino di attaccare i bai al coupé; scendo a Palermo subito dopo cena "Padre Pirrone, venga con me, saremo di ritorno alle undici; potrà passare due ore a Casa Professa con i suoi amici." si scorgeva a sinistra la villa semidiruta dei Falconeri appartenente a Tancredi, suo nipote e pupillo.  parla di tancredi voci napoletane intimarono l'"alt," smisurate baionette balenarono sotto l'oscillante luce di una lanterna "Scusate, Eccellenza, passate." "Sono un peccatore, lo so, doppiamente peccatore, dinanzi alla legge divina e dinanzi all'affetto umano di Stella. Non vi e dubbio e domani mi confesserò a padre Pirrone." Sorrise dentro di sé pensando che forse sarebbe stato superfluo Mariannina che lo chiama “il principone” Quando si trovò nella camera matrimoniale, il vedere la povera Stella con i capelli ben ravviati sotto la cuffietta, dormire sospirando nel grandissimo, altissimo letto di rame, lo commosse e intenerì. "Sette figli mi ha dato, ed è stata mia soltanto. La mattina dopo il sole illuminò un Principe rinfrancato. Aveva preso il caffè ed in veste da camera rossa fiorata di nero si faceva la barba dinanzi allo specchietto. "Tancredi, cosa hai combinato la notte scorsa?" "Buon giorno, zio. Cosa ho combinato? Niente di niente: Era davvero troppo insolente, credeva di poter permettersi tutto "Ma perché sei vestito così? Cosa c'è? Un ballo in maschera di mattina?" Il ragazzo divenne serio: il suo volto triangolare assunse una inaspettata espressione virile. "Parto, zione, parto fra mezz'ora. Sono venuto a salutarti." Il povero Salina si senti stringere il cuore. "Un duello?" "Un grande duello, zio. Contro Franceschiello Dio Guardi. Vado nelle montagne, a Corleone; non lo dire a nessuno Sei pazzo, figlio mio! Andare a mettersi con quella gente!, Sono tutti mafiosi e imbroglioni. Un Falconeri dev'essere con noi, per il Re." Gli occhi ripresero a sorridere. "Per il Re, certo, ma per quale Re?" Il ragazzo ebbe una delle sue crisi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. "Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato? "Arrivederci a presto. Ritornerò col tricolore." "Tancredi, Tancredi, aspetta," corse dietro al nipote, gli mise in tasca un rotolino di "onze" d'oro, gli premette la spalla. Quello rideva: "Sussidi la 15 IL GATTOPARDO rivoluzione, adesso! Ma grazie, zione, a presto; e tanti abbracci alla zia." E si precipitò giù per le scale. Le stanze dell'Amministrazione erano ancora deserte silenziosamente illuminate dal sole attraverso le persiane chiuse. Benché fosse quello il posto della villa nel quale si compivano le maggiori frivolità, il suo aspetto era di austerità severa. Per il povero Re l'amministrazione fantomatica teneva luogo di morfina; lui, Salina, ne aveva una di più eletta composizione: l’astronomia. Dovette però esiliarsi presto da quei sereni regni stellari. Entrò don Ciccio Ferrara, il contabile "Tristi tempi, Eccellenza" disse dopo gli ossequi rituali "stanno per succedere grossi guai, ma dopo un po' di trambusto e di sparatorie tutto andrà per il meglio, nuovi tempi gloriosi verranno per la nostra Sicilia "Don Ciccio" disse poi "bisogna mettere dell'ordine nella esazione dei canoni di Querceta; sono due anni che da lì non si vede un quattrino." "La contabilità è a posto, Eccellenza." Era la frase magica Era irritato… contro la stupidaggine di Ferrara nel quale aveva ad un tratto identificato una delle classi che sarebbero divenute dirigenti. Poco dopo venne Pietro Russo il soprastante, l'uomo che il Principe trovava più significativo fra i suoi dipendenti. era per lui la perfetta espressione di un ceto in ascesa. "Pietro, parliamoci da uomo a uomo, tu pure sei immischiato in queste faccende?" "Ma debbo dire che il mio cuore è con loro, con i ragazzi arditi." "Vostra Eccellenza lo sa; non se ne può più: perquisizioni, interrogatori, scartoffie per ogni cosa, uno sbirro a ogni cantone; un galantuomo non è libero di badare ai fatti propri. Dopo, invece, avremo la libertà, la sicurezza, tasse più leggere, la facilità, il commercio. Tutti staremo meglio: i preti soli ci perderanno. Il Signore protegge i poveretti come me, non loro." Vostra Eccellenza è il nostro padre, ed io ho tanti amici qui. I Piemontesi entreranno solo col cappello in mano per riverire le Eccellenze Vostre. E poi lo zio e il tutore di don Tancredi!" Il Principe si sentì umiliato: adesso si vedeva disceso al rango di protetto degli amici di Russo; Fabrizio:"Ho capito benissimo: voi non volete distruggere noi, i vostri 'padri'; volete soltanto prendere il nostro posto. Con dolcezza, con buone maniere, mettendoci magari in tasca qualche migliaio di ducati. Adesso aveva penetrato tutti i riposti sensi: le parole enigmatiche di Tancredi, quelle enfatiche di Ferrara, quelle false ma rivelarne di Russo, avevano ceduto il loro rassicurante segreto. Molte cose sarebbero avvenute, ma tutto sarebbe stato una commedia, una rumorosa, romantica commedia con qualche macchia di sangue sulla veste buffonesca. Questo era il paese degli accomodamenti, non c'era 16 IL GATTOPARDO la furia francese; anche in Francia d'altronde, se si eccettua il Giugno del Quarantotto, quando mai era successo qualcosa di serio? 'Perché tutto resti com'è.' Come è, nel fondo: soltanto una lenta sostituzione di ceti. salì una lunga scaletta e sboccò nella grande luce azzurra dell'Osservatorio. Padre Pirrone, con aspetto sereno del sacerdote che ha detto la messa e preso caffè forte con i biscotti di Monreale, sedeva ingolfato nelle formule algebriche Vostra eccellenza viene a confessarsi?" "In poche parole voi signori vi mettete d'accordo coi liberali, che dico con i liberali! con i massoni addirittura, a nostre spese, a spese della Chiesa. "Non siamo ciechi, caro Padre, siamo soltanto uomini. Viviamo in una realtà mobile alla quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano sotto la spinta del mare. Alla Santa Chiesa è stata esplicitamente promessa l'immortalità; a noi, in quanto classe sociale, no. "Avrete due peccati da confessarmi Sabato, Eccellenza: uno della carne di ieri, uno dello spirito, di oggi. Ricordatevene." Quando la campanella del pranzo li richiamò giù, Concetta che era la sola a conservare un'ombra sulla bella fronte. "La ragazza deve avere un sentimentuccio per quel briccone. Sarebbe una bella coppia, ma temo che Tancredi debba mirare più in alto, intendo dire più in basso." In Amministrazione dove Don Fabrizio discese di nuovo dopo il pranzo la luce entrava adesso di traverso e dai quadri dei feudi, ora in ombra, non ebbe a subire rimproveri. "Voscenza benedica" mormorarono Pastorello e Lo Nigro i due affittuari che avevano portato i "carnaggi," Quando risalì Don Fabrizio trovò Paolo, il primogenito, il duca di Querceta che lo aspettava nello studio sul cui divano rosso egli soleva far la siesta. "Volevo chiederti, papa, come dovremo comportarci con Tancredi quando lo rivedremo." Il padre capì subito e cominciò ad irritarsi. "Che intendi dire? cosa c'è di cambiato?" "Ma, papà, certo tu non puoi approvare: è andato a unirsi a quei farabutti che tengono la Sicilia in subbuglio; queste sono cose che non si fanno." La gelosia personale, il risentimento del bigotto contro il cugino spregiudicato "Caro Fabrizio, mentre scrivo sono in uno stato di prostrazione estrema. Leggi le terribili notizie che sono sul giornale. I Piemontesi sono sbarcati. Siamo tutti perduti. Questa sera stessa io con tutta la famiglia ci rifugieremo sui legni inglesi. Certo vorrai fare lo esso; se lo credi ti farò riservare qualche posto. Il Signore salvi ancora il nostro amato Re. Un abbraccio. Tuo Ciccio." Ripiegò il biglietto, se lo pose in tasca e si mise a ridere forte. Quel Màlvica! Era stato sempre un coniglio. 17 IL GATTOPARDO Vi era Ciccio Tumeo, l'organista del Duomo, il quale a rigor di termini non avrebbe avuto rango sufficiente per schierarsi con le autorità, ma che era venuto lo stesso quale amico e compagno di caccia Anche Tancredi era oggetto di grande curiosità: tutti lo conoscevano da tempo ma adesso egli appariva come trasfigurato: non si vedeva più in lui il giovanotto spregiudicato ma l'aristocratico liberale, Le carrozze con i servi, i bambini e Bendicò andarono direttamente al palazzo, ma, come voleva un antichissimo uso, gli altri prima di mettere il piede in casa dovevano assistere a un Tè Deum alla Chiesa Madre. sulle pareti delle case le iscrizioni di "Viva Garibbaldi" "Viva Re Vittorio" e "Morte al re Borbone" invitò a pranzo per quella stessa sera il Sindaco, languidamente l'invito al sindaco venne esteso alla di lui moglie: "Se le Loro Eccellenze lo permettono verrò con mia figlia, con Angelica, Il Principe che aveva trovato il paese immutato venne invece trovato molto mutato lui che mai prima avrebbe adoperato parole tanto cordiali; e da quel momento, invisibile, cominciò il, declino del suo prestigio. Il palazzo Salina era attiguo alla Chiesa Madre. Don Onofrio Rotolo, l'amministratore locale "Sono felice di dare alle Loro Eccellenze il benvenuto nella Loro casa. Riconsegno il palazzo nello stato preciso in cui è stato lasciato." Don Onofrio era una delle rare persone stimate dal Principe e forse la sola che non lo avesse mai derubato Tutto era in perfetto ordine: Don Onofrio : poi si mise a raccontare le cronache di Donnafugata : oi vennero le notizie private che si adunavano attorno al grande fatto dell'annata: la continua rapida ascesa della fortuna di don Calogero Sedàra  e rendite di don Calogero eguaglieranno fra poco quelle di Vostra Eccellenza qui a Donnafugata  Insieme alla ricchezza cresceva anche la sua influenza politica; era divenuto il capo dei liberali a Donnafugata ed anche nei borghi vicini; q non era vero che nulla era mutato; don Calogero ricco quanto lui! "Eccellenza, ho pensato a far preparare un bagno; dev'essere pronto adesso." "Padre Pirrone chiede di vedere subito Vostra Eccellenza. Aspetta qui accanto che Vostra Eccellenza esca dal bagno." Il Principe fu sorpreso; se era successo un guaio era meglio conoscerlo subito. "Niente affatto; fatelo entrare adesso." 20 IL GATTOPARDO "Ecco, Eccellenza: sono stato incaricato di una missione delicata Si tratta della signorina Concetta." Pausa. "Essa è innamorata." Don Fabrizio fu un poco rassicurato: da dove mai quella ragazzina avrebbe dovuto attingere una esperienza che le permettesse di veder chiaro nelle intenzioni di un giovanotto? e di un giovanotto come Tancredi, per di più! Si trattava probabilmente di semplici fantasie, Ma pericolo per chi? Egli amava molto Concetta: di lei gli piaceva la perpetua sottomissione, Il Principe amava molto questa sua figlia; ma amava ancor più Tancredi. Tancredi, secondo lui, aveva dinanzi a sé un grande avvenire; egli avrebbe potuto essere l'alfiere di un contrattacco che la nobiltà, sotto mutate uniformi, poteva portare contro il nuovo ordine politico. Dite a Concetta, vi prego, che non sono affatto seccato ma che di tutto questo riparleremo quando saremo sicuri che non si tratta soltanto di fantasie di una ragazza romantica. A Presto, Padre." Dopo un'ora si svegliò rinfrescato e discese in giardino. C’era Tancredi: aveva paura che gli parlasse di Concetta. Ma non è così; vanno a vedere i peschi Il Principe aveva sempre tenuto a che il primo pranzo a Donnafugata avesse un carattere solenne: Su di un solo particolare transigeva: non si metteva in abito da sera per non imbarazzare gli ospiti che, evidentemente, non ne possedevano "Papà, don Calogero sta salendo le scale. È in frack!" Tancredi valutò l'importanza della notizia un secondo prima degli altri; il Principe al quale, è lecito dirlo, la notizia fece un effetto maggiore del bollettino dello sbarco a Marsala. il principe contemplava la Rivoluzione stessa in quel cravattino bianco e in quelle due code nere che salivano le scale di casa sua. L'attimo durò cinque minuti; poi la porta si apri ed entrò Angelica. La prima impressione fu di abbagliata sorpresa. I Salina rimasero col fiato in gola; Tancredi senti addirittura come gli pulsassero le vene delle tempie.. l'invincibilità della donna di sicura bellezza "Angelica mia, da quanto tempo non ti avevo vista. Sei molto cambiata; e non in peggio." La Principessa non credeva ai propri occhi; ricordava la tredicenne poco curata e bruttina di quattro anni prima Angelica, dimenticò i migliaccini toscani e parte delle proprie buone maniere e divorava con l'appetito dei suoi diciassette anni e col vigore che la forchetta 21 IL GATTOPARDO tenuta a metà dell'impugnatura le conferiva. Tancredi, tentando di unire la galanteria alla gola, si provava a vagheggiare il sapore dei baci di Angelica, sua vicina Tutti erano tranquilli e contenti. Tutti, tranne Concetta. Tancredi sedeva fra lei ed Angelica e con la compitezza puntigliosa di chi si sente in colpa divideva equamente sguardi, complimenti e facezie fra le sue due vicine; ma Concetta sentiva, animalescamente sentiva, la corrente di desiderio che scorreva dal cugino verso l'intrusa, Tancredi raccontava “Niente datare, sorelle, abbiamo da badare ad altro; ritorneremo quando ci farete trovare le novizie!' "Se ci fosse stata lei, signorina, non avremmo avuto bisogno di aspettare le novizie." Prima di andare a letto Don Fabrizio si fermò un momento sul balconcino dello spogliatoio. Le stelle apparivano torbide: L'anima di Don Fabrizio si slanciò verso di loro, verso le intangibili, le irraggiungibili, quelle che donano gioia senza poter nulla pretendere in cambio, "Esse sono le sole pure, le sole persone per bene" pensò con le sue formule mondane. Bendicò nell'ombra gli strisciava il testone sul ginocchio. "Vedi, tu Bendicò, sei un po' come loro, come le stelle: felicemente incomprensibile, incapace di' produrre angoscia." Abitudini secolari esigevano che il giorno seguente all’arrivo la famiglia Salina andasse al Monastero di Santo Spirito a pregare sulla tomba della beata Corbèra, antenata del Principe, che aveva fondato il convento, Il monastero era soggetto ad una rigida regola di clausura e l'ingresso ne era sbarrato agli uomini. Appunto per questo Don Fabrizio era particolarmente lieto di visitarlo, perché per lui, discendente diretto della fondatrice, la esclusione non vigeva e di questo suo privilegio che divideva soltanto col Re di Napoli, era geloso e infantilmente fiero. era la causa principale ma non l'unica della sua predilezione per Santo Spirito. Tancredi improvvisamente disse al Principe: "Zio, non potresti fare entrare anche me? Dopo tutto sono per metà Salina, e qui non ci sono stato mai." Il Principe fu in fondo lieto della richiesta, ma scosse risolutamente il capo. "Ma, .figlio mio, lo sai: io solo posso entrare qui; per gli altri è impossibile." "Scusa, zione; ho riletto stamane l'atto di fondazione in biblioteca: 'potrà entrare il Principe di Salina e insieme a lui due gentiluomini 22 IL GATTOPARDO bianco! Per una volta che potevo dire quello che pensavo quel succhiasangue di Sedàra mi annulla gli ho anche dedicato una mazurka composta da me quando è nata quella... (e si morse un dito per frenarsi) quella smorfiosa di sua figlia!" chi era stato strangolato a Donnafugata, in cento altri luoghi, nel corso di quella nottata di vento lercio: una neonata, la buonafede il voto negativo di don Ciccio, cinquanta voti simili a Donnafugata, centomila "no" in tutto il Regno non avrebbero mutato nulla al risultato, lo avrebbero anzi reso più significativo, don Ciccio: “Ero un 'fedele suddito,' sono diventato un 'borbonico schifoso.' Ma adesso provava anche una specie di ammirazione per lui e nel fondo, proprio nel fondo, della sua altera coscienza una voce chiedeva se per caso don Ciccio non si fosse comportato più signorilmente del Principe di Salina; e i Sedàra, Don Fabrizio non poteva saperlo allora, ma una parte della neghittosità, dell'acquiescenza per la quale durante i decenni seguenti si doveva vituperare la gente del Mezzogiorno, ebbe la propria origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà che a questo popolo si era mai presentata. "Don Ciccio, statemi a sentire. Voi che vedete tante persone in paese, che cosa si pensa veramente di don Calogero a Donnafugata?" "Dopo tutto, Eccellenza, don Calogero Sedàra non è peggiore di tanta altra gente venuta su in questi ultimi mesi." L'elogio era modesto ma fu sufficiente a permettere a Don Fabrizio d'insistere "Perché, vedete, don Ciccio, a me interessa molto di conoscere la verità su don Calogero e la sua famiglia." "La verità, Eccellenza, è che don Calogero è molto ricco, e molto influente anche; "Eccellenza, la moglie di Don Calogero non l'ha vista nessuno da anni, bella ma rozza; figlia di un affittuario sudicio chiamato ‘Peppe Mmerda’ E Angelica? “Della signorina, Eccellenza, non c'è niente da dire: essa parla da sé: i suoi occhi, la sua pelle, la sua magnificenza sono esplicite e si fanno capire da tutti. E intelligente poi grazie agli anni a Firenze.. uel petto... Uuh! altro che odore di beccume! le sue lenzuola devono avere il profumo del paradiso!" Il Principe si seccò: tanto geloso è l'orgoglio di classe, anche nel momento in cui traligna, che quelle lodi orgiastiche alla procacia della futura nipote lo offesero; "Calmatevi, caro don Ciccio, calmatevi; a casa ho una lettera di mio nipote che mi incarica di fare una domanda di matrimonio per la signorina Angelica; 25 IL GATTOPARDO "Questa, Eccellenza, è una porcheria! Un nipote, quasi un figlio vostro non doveva sposare la figlia di quelli che sono i vostri nemici e che sempre vi hanno tirato i piedi. Però era uno stupido: questo matrimonio non era la fine di niente ma il principio di tutto; era nell'ambito di secolari consuetudini. Quando alle quattro e mezza precise gli venne annunziata la venuta puntualissima di don Calogero, il Principe non aveva ancora finita la propria toletta Don Calogero se ne stava li all'impiedi, piccolissimo, minuto e imperfettamente rasato; “mio nipote è pazzo di Angelica” "Lo sapevo, Eccellenza, lo sapevo. Sono stati visti baciarsi Martedì 25 Settembre, la vigilia della partenza di Don Tancredi “e chiede la sua mano” “Si perché io conosco tutto ciò che avviene nel cuore e nella mente di Angelica, e credo poter dire che l'affetto di Don Tancredi, che tanto ci onora tutti, è sinceramente ricambiato." Il Principe è felice per Tancredi "se è inutile parlarvi dell'antichità di casa Falconeri, è anche, disgraziatamente, inutile, perché lo sapete di già, dirvi che le attuali condizioni economiche di mio nipote non sono eguali alla grandezza del suo nome; "Principe, queste cose le sapevo, ed altre ancora; e non me ne importa niente." Si rivesti di sentimentalità. "L'amore, Principe, l'amore è tutto, ed io lo posso sapere." E forse era sincero il pover'uomo se si ammetteva la probabile sua definizione dell'amore. Ma è giusto che i giovani conoscano quello su cui possono contare subito: nel contratto matrimoniale assegnerò a mia figlia il feudo di Settesoli, Tenendo in mano una candela andò poi a liberare Tumeo che se ne stava rassegnato al buio fumando la propria pipa. 26 IL GATTOPARDO PARTE QUARTA – Novembre 1860 - il Principe e Don Calogero si influenzano - la prima visita di Angelica da fidanzata - il Principe legge romanzi alla famiglia e il ritorno di Tancredi con i soldati - Cavriaghi fa la corte a Concetta - Visita di Chevalley di Monterzuolo Dai più frequenti contatti derivati dall'accordo nuziale cominciò a nascere in Don Fabrizio una curiosa ammirazione per i meriti di Sedàra ed egli fu libero di avvedersi della rara intelligenza dell'uomo; molti problemi che apparivano insolubili al Principe venivano risolti in quattro e quattro otto da don Calogero egli procedeva nella foresta della vita con la sicurezza di un elefante che, svellendo alberi e calpestando tane avanza in linea retta non avvertendo neppure i graffi delle spine Pian piano, quasi senza avvedersene, Don Fabrizio esponeva a don Calogero i propri affari ma il risultato finale dei consigli fu che con l'andar degli anni casa Salina si acquistò fama di esosità (avidità) verso i propri dipendenti, anche una frequentazione più assidua del Principe aveva avuto un certo effetto anche su Sedàra: Quando, poi, ebbe imparato a conoscere meglio Don Fabrizio ritrovò sì in lui la mollezza e l'incapacità a difendersi che erano le caratteristiche del suo pre- formato nobile-pecora, ma in più una forza di attrazione differente in tono ma uguale in intensità a quella del giovane Falconeri; inoltre ancora una certa energia tendente verso l'astrazione, una disposizione a cercare la forma di vita in ciò che da lui stesso uscisse e non in ciò che poteva strappare agli altri; Lentamente don Calogero capiva che un pasto in comune non deve di necessità essere un uragano di rumori masticatori e di macchie d'unto; e che adoperando simili accorgimenti, cibi, donne, argomenti e interlocutori vengono a guadagnarci a tutto profitto anche di chi li ha trattati bene. 27 IL GATTOPARDO Uno di quei giorni Don Fabrizio aveva ricevuto una lettera del prefetto di Girgenti, redatta in stile di estrema cortesia, che gli annunziava l'arrivo a Donnafugata del cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo, PARTE QUINTA pag 105 – storia di padre Pirrone Febbraio 1861 I natali di Padre Pirrone erano rustici: era nato infatti a S. Cono, un paese piccino piccino che adesso, in grazia degli autobus, è quasi una delle stie- satelliti di Palermo ma che un secolo fa apparteneva, per così dire, a un sistema planetario a sé stante, lontano com'era quattro o cinque ore- carretto dal sole palermitano. Padre Pirrone si era allontanato da quella casa a sedici anni quando i suoi successi alla scuola parrocchiale e la benevolenza dell'Abbate Mitrato di S. Eleuterio lo avevano incamminato verso il seminario arcivescovile, ma, a distanza di anni, vi era ritornato più volte o per benedire le nozze delle sorelle o per dare una (mondanamente, s'intende) superflua assoluzione a don Gaetano morente e vi ritornava adesso, sul finire del Febbraio 1861, per il quindicesimo anniversario della morte del padre; ed era una giornata ventosa e limpida, proprio come era stata quella. All'arrivo fu accolto con lacrimosa allegria. Abbracciò e benedisse la madre che ostentava i capelli candidi e la cera rosea delle vedove di fra le lane di un lutto imprescrittibile, salutò le sorelle e i nipoti ma, fra quest'ultimi guardò di traverso Carmelo che aveva avuto il pessimo gusto d'inalberare sulla berretta, in segno di festa, una coccarda tricolore. Appena entrato in casa fu assalito, come sempre, dalla dolcissima furia dei ricordi giovanili: tutto era immutato ….. Al centro della stanza, sotto la lucerna, si appiattiva al suolo il grande braciere racchiuso in una fascia di legno lucido sulla quale si posavano i piedi; tutt'intorno sedie di corda con gli ospiti. Vi era il parroco, i due fratelli Schirò, proprietari del luogo e don Pietrine, il vecchissimo erbuario: cupi erano venuti, cupi rimanevano perché, mentre le donne sfaccendavano abbasso, essi parlavano di politica e speravano di aver notizie consolanti da Padre Pirrone che arrivava da Palermo e che doveva saper molto dato che viveva fra i "signori." Il desiderio di notizie era stato appagato, quello di conforto però fu deluso perché il loro amico gesuita un po' per sincerità, un po' anche per tattica mostrava loro nerissimo l'avvenire: su Gaeta sventolava ancora il 30 IL GATTOPARDO tricolore borbonico ma il blocco era ferreo e le polveriere della piazzaforte saltavano in aria una per una, …. I fratelli Schirò e l'erbuario già sentivano il morso della fiscalità; per i primi vi erano stati contributi straordinari e centesimi addizionali; per l'altro una sconvolgente sorpresa: era stato chiamato in Municipio dove gli avevano detto che, se non avesse pagato venti lire ogni anno, non gli sarebbe più stato consentito di vendere i suoi semplici. "Ma io questa senna, questo stramonio, queste erbe sante fatte dal Signore me le vado a raccogliere con le mie mani sulle montagne, pioggia o sereno, nei giorni e nelle notti prescritte! me le essicco al sole che è di tutti e le metto in polvere da me col mortaio che era di mio nonno! Che c'entrate voi del Municipio? perché dovrei pagarvi venti lire? così per la vostra bella faccia?" Le parole gli uscìrono smozzicate dalla bocca senza denti, ma gli occhi gli s'incupirono di autentico furore. "Ho torto o ragione, Padre? Dimmelo tu!" "Avete ragione, don Pietrine, cento volte ragione. E come no? Ma se non prendono i soldi a voi e agli altri poveretti come voi dove li trovano per fare la guerra al Papa e rubargli ciò che gli appartiene?" "Ma, Padre, tu che vivi in mezzo alla 'nobbiltà,' che cosa ne dicono i 'signori' di tutto questo fuoco grande? Che cosa ne dice il principe di Salina, grande, rabbioso e orgoglioso come è?" Già più d'una volta Padre Pirrone aveva posto a sé stesso questa domanda e rispondervi non era stato facile sopratutto perché aveva trascurato o interpretato come esagerazioni quanto Don Fabrizio gli aveva detto una mattina in osservatorio quasi un anno fa. Adesso lo sapeva ma non trovava il modo di tradurlo in forma comprensibile a don Pietrine che era lungi dall'essere uno sciocco ma che s'intendeva meglio delle proprietà anticatarrali, carminative e magari afrodisiache delle sue erbe che di simili astrazioni. "Vedete, don Pietrine, i 'signori' come dite voi, non sono facili da capirsi. Essi vivono in un universo particolare che è stato creato non direttamente da Dio ma da loro stessi durante secoli di esperienze specialissime, di affanni e di gioie loro; essi posseggono una memoria collettiva quanto mai robusta e quindi si turbano o si allietano per cose delle quali a voi ed a me non importa un bei nulla ma che per loro sono vitali perché poste in rapporto con questo loro patrimonio di ricordi, di speranze, di timori di classe. La Divina Provvidenza ha voluto che io divenissi umile particella dell'Ordine più glorioso di una Chiesa sempiterna alla quale è stata assicurata la vittoria definitiva; voi siete all'altro limite della scala, e non dico il più basso ma solo il più differente. Voi quando scoprite un cespo vigoroso di origano o un nido ben fornito di cantaridi (anche quelle cercate, don Pietrine, lo so) siete in comunicazione diretta con la natura che il Signore ha creato con possibilità indifferenziate di male e di bene affinché l'uomo possa esercitarvi la sua libera scelta; e quando siete consultato dalle vecchiette maligne o dalle ragazzine vogliose voi scendete nell'abisso dei secoli sino alle epoche oscure che hanno preceduto la luce del Golgota." 31 IL GATTOPARDO "Ma se è così, Padre, andranno tutti all'inferno!" "E perché? Alcuni saranno perduti, altri salvi, a secondo di come avranno vissuto dentro questo loro mondo condizionato. Ad occhio e croce Salina, per esempio, dovrebbe cavarsela; il giuoco suo lo gioca bene, segue le regole, non bara; il Signore Iddio punisce chi contravviene volontariamente alle leggi divine che conosce, chi imbocca volontariamente la cattiva strada; ma chi segue la propria via, purché su di essa non commetta sconcezze, è sempre a posto. Se voi, don Pietrino, vendeste cicuta invece di mentuccia, sapendolo, sareste fritto; ma se avrete creduto di essere nel vero, la gnà Tana farà la morte nobilissima di Socrate e voi andrete dritto dritto in cielo con tonaca e alucce, tutto bianco." "Voi, don Pietrine, se in questo momento non dormiste, saltereste su a dirmi che i signori fanno male ad avere questo disprezzo per gli altri e che tutti noi, egualmente soggetti alla doppia servitùdell'amore e della morte, siamo eguali dinanzi al Creatore; ed io non potrei che darvi ragione. Però aggiungerei che non è giusto incolpare di disprezzo soltanto i 'signori,' dato che questo è vizio universale. Chi insegna all'Università disprezza il maestrucolo delle scuole parrocchiali, anche se non lo dimostra, e poiché dormite posso dirvi senza reticenze che noi ecclesiastici ci stimiamo superiori ai laici, ecc….. "Grazie, ci sono abituato. Ci vedremo domani e allora mi dirai come il principe di Salina ha sopportato la rivoluzione." "Ve lo dico subito in quattro parole: dice che non c'è stata nessuna rivoluzione e che tutto continuerà come prima." "Evviva il fesso! E a tè non pare una rivoluzione che il Sindaco mi vuoi far pagare per le erbe create da Dio e che io stesso raccolgo? o ti sei guastato la testa anche tu?" Padre Pirrone pensava che il mondo doveva sembrare un gran rompicapo a chi non conoscesse matematiche ne teologia. "Signor mio, soltanto la Tua Omniscienza poteva escogitare tante complicazioni." Un altro campione di queste complicazioni gli capitò fra le mani l'indomani mattina. Quando scese giù pronto per andare a dir messa in Parrocchia trovò Sarina sua sorella che tagliava cipolle in cucina. Le lagrime che essa aveva negli occhi gli sembrarono maggiori di quanto quell'attività comportasse. "Cosa c'è, Sarina? Qualche guaio? Non ti avvilire: il Signore affligge e consola." La voce affettuosa dissipò quel tanto di riserbo che la povera donna possedeva ancora; si mise a piangere clamorosamente, con la faccia appoggiata all'untume della tavola. Fra i singhiozzi si sentivano sempre le stesse parole: "Angelina, Angelina... Se Vicenzino lo sa li ammazza a tutti e due... Angelina... Quello li ammazza!" Non era difficile capire: Angelina era la figlia nubile di Sarina, il Vicenzino del quale si temevano le furie, il padre, suo cognato. L'unica incognita dell'equazione era il nome dell'altro, dell'eventuale amante di Angelina. Angelina (anzi 'Ncilina) si era lasciata sedurre; il grosso patatrac era successo durante l'estate di S. Martino; andava a trovare l'innamorato nel pagliaio di donna Nunziata; adesso era incinta di tre mesi; pazza di terrore s! era 32 IL GATTOPARDO La principessa Maria-Stella sali in carrozza, sedette sul raso azzurro dei cuscìni, raccolse il più possibile attorno a sé le fruscìami pieghe della veste. Intanto Concetta e Carolina salivano anch'esse Don Fabrizio saliva anche lui. La carrozza fu piena come un uovo il servitore ricevette gli ordini. "A palazzo Ponteleone." Si andava al ballo. Palermo in quel momento attraversava uno dei suoi intermittenti periodi di mondanità, i balli infuriavano Il ballo dai Ponteleone sarebbe stato il più importante di quella breve stagione: importante per tutti per lo splendore del casato e del palazzo, per il numero degli invitati; più importante ancora per i Salina che vi avrebbero presentato alla "società" Angelica, la bella fidanzata del nipote. Era costata un po' di fatica il far rimettere a loro uno di quei biglietti: nessuno li conosceva, e la principessa Maria-Stella, dieci giorni prima, aveva dovuto sobbarcarsi a fare una visita a Margherita Ponteleone tutto era andato liscio, si capisce, ma nondimeno era stata questa una delle spinucce che il fidanzamento di Tancredi aveva inserito nelle delicate zampe del Gattopardo. Don Fabrizio pregustava l'effetto che la bellezza di Angelica avrebbe fatto su tutta quella gente Un'ombra però oscurava la sua soddisfazione: come sarebbe stato il "frack" di don Calogero? Alla porta del primo salone s'incontrarono i padroni di casa: lui, Don Diego, canuto e panciuto che gli occhi arcigni soltanto salvavano dall'apparenza plebea; lei, donna Margherita, che di fra il corruscare del diadema e della triplice collana di smeraldi mostrava il volto suo adunco di vecchio canonico. "Anche Tancredi è già qui." Infatti nell'angolo opposto del salone il nipote, nero e sottile come una biscia, teneva circolo a tre o quattro giovanotti e li faceva sbellicare dalle risa per certe sue storielle certamente arrischiate, ma teneva gli occhi, inquieti come sempre, fissi alla porta d'ingresso. "Ed aspettiamo anche il colonnello Pallavicino, quello che si è condotto tanto bene ad Aspromonte." Questa frase del principe di Ponteleone sembrava semplice ma non lo era. In superficie era una costatazione priva di senso politico tendente solo ad elogiare il tatto, la delicatezza, la commozione, la tenerezza quasi, con la quale una pallottola era stata cacciata nel piede del Generale; In fondo al cuore del Principe, poi, il Colonnello si era "condotto bene" perché era riuscito a fermare, sconfiggere, ferire e catturare Garibaldi e ciò facendo aveva salvato il compromesso faticosamente raggiunto fra vecchio e nuovo stato di cose. il Colonnello comparve alla scala. gli attesi erano giunti (Angelica e don Calogero). Negli abiti di lui non vi era eleganza ma decenza si, questa volta; solo suo errore fu quello di portare all'occhiello la croce della Corona d'Italia conferitagli di recente; essa, per altro, comparve presto in una delle tasche clandestine del "frack" d1 Tancredi. 35 IL GATTOPARDO Il fidanzato aveva di già insegnato ad Angelica l'impassibilità, questo fondamento della distinzione ("Tu puoi esser espansiva e chiassosa soltanto con me, cara; per tutti gli altri devi essere la futura principessa di Falconeri, superiore a molti, pari a chiunque"), a un ceno momento vi fa una vera calca di giovanotti che volevano farsi presentare e richiedere un ballo: a ciascuno Angelica dispensava un sorriso ….. dopo un'ora Angelica si trovava a suo agio fra persone che del selvaggiume della madre e della taccagneria del padre non avevano la minima idea. Poiché Tancredi le aveva detto il giorno prima "Vedi, cara, noi (e quindi anche tu, adesso) teniamo alle nostre case ed al nostro mobilio più che a qualsiasi altra cosa; nulla ci offende più della noncuranza rispetto a questo; quindi guarda tutto e loda tutto ma non troppo Le lunghe visite al palazzo di Donnafugata avevano insegnato molto ad Angelica, ssa cominciò già da quella sera ad acquistare la fama di cortese ma inflessibile intenditrice di arte Don Fabrizio sentiva che il cattivo umore lo invadeva lentamente. . Anzitutto, la casa non gli piaceva: i Ponteleone da settanta anni non avevano rinnovato l'arredamento Ma non lo disse mai a Diego perché queste sue opinioni nascevano solo dal malumore e dalla sua tendenza alla contradizione, Le donne che erano al ballo non gli piacevano neppure: Non gli si poteva dar torto; in quegli anni la frequenza dei matrimoni fra cugini, vevano riempito i salotti di una turba di ragazzine incredibilmente basse, inverosimilmente olivastre, insopportabilmente ciangottanti; Più le vedeva e più s'irritava; gli sembrava di essere il guardiano di un giardino zoologico posto a sorvegliare un centinaio di scimmiette Leggermente nauseato, il Principe passò nel salotto accanto: li invece stava accampata la tribù diversa e ostile degli uomini: i giovani ballavano ed i presenti erano soltanto degli anziani, tutti suoi amici. i luoghi comuni, i discorsi piatti intorbidivano l'aria Fra questi signori Don Fabrizio passava per essere uno "stravagante"; il suo interessamento alla matematica era considerato quasi come una peccaminosa perversione,…… faceva perdere le staffe agli interlocutori ed egli si trovava spesso isolato non già per rispetto, come credeva, ma per timore. Aveva fatto male a venire al ballo: "Tant'è, adesso ci sono; andarsene sarebbe scortese. Andiamo a guardare i ballerini." in quella sala eminentemente patrizia gli venivano in mente immagini campagnole: il timbro cromatico era quello degli sterminati semineri attorno a Donnafugata, estatici, imploranti clemenza sotto la tirannia del sole: 36 IL GATTOPARDO Sedàra si era posto vicino a lui, i suoi occhietti svegli percorrevano l'ambiente, insensibili alla grazia, attenti al valore monetario. Don Fabrizio, ad un tratto, senti che lo odiava; era all'affermarsi di lui, di cento altri suoi simili, ai loro oscuri intrighi, alla loro tenace avarizia e avidità che era dovuto il senso di morte che adesso incupiva questi palazzi; "Bello, don Calogero, bello. Ma ciò che supera tutto sono i nostri due ragazzi." Angelica e Tancredi passavano in quel momento davanti a loro, Essi offrivano lo spettacolo più patetico di ogni altro, quello di due giovanissimi innamorati che ballano insieme, ciechi ai difetti reciproci, sordi agli ammonimenti del destino, illusi che tutto il cammino della vita sarà liscio come il pavimento del salone, attori ignari cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione. Ne l'uno ne l'altra erano buoni, ciascuno pieno di calcoli, gonfio di mire segrete; ma entrambi erano cari e commoventi mentre le loro non limpide ma ingenue ambizioni erano obliterate dalle parole di giocosa tenerezza che lui le mormorava all'orecchio, dal profumo dei capelli di lei, dalla reciproca stretta di quei loro corpi destinati a morire. Don Fabrizio senti spetrarsi il cuore: il suo disgusto cedeva il posto alla compassione per questi effimeri esseri che cercavano di godere dell'esiguo raggio di luce Cercò un posto dove poter sedere tranquillo, lontano dagli uomini, amati e fratelli, va bene, ma sempre noiosi. Lo trovò presto: la biblioteca, piccola, silenziosa, illuminata e vuota Si mise a guardare un quadro che gli stava di fronte: era una buona copia della "Morte del Giusto" di Greuze. Il vegliardo stava spirando nel suo letto, fra sbuffi di biancheria pulitissima, circondato dai nipoti afflitti e da nipotino che levavano le braccia verso il soffitto. Le ragazze erano carine, procaci, il disordine delle loro vesti suggeriva più il libertinaggio che il dolore; si capiva subito che erano loro il vero soggetto del quadro. Subito dopo chiese a sé stesso se la propria morte sarebbe stata simile a quella: probabilmente si, Come sempre la considerazione della propria morte lo rasserenava tanto quanto lo aveva turbato quella della morte degli altri La porta si apri. Tancredi era a braccio di Angelica: tutti e due erano ancora sotto l'influsso sensuale del ballo, stanchi. I due giovani guardavano il quadro con noncuranza assoluta. Per entrambi la conoscenza della morte era puramente intellettuale, era per così dire un dato di coltura e basta, non un'esperienza che avesse loro forato il midollo delle ossa. La morte, si, esisteva, senza dubbio, ma era roba ad uso degli altri; "Principe" diceva Angelica Volevo chiederle di ballare con me la prossima 'mazurka.' Il Principe fu contentissimo, si sentiva tutto ringalluzzito. Altro che cripta dei Cappuccini 37 IL GATTOPARDO Fu anzi dal sorriso consolatorio delle persone che lo aspettavano alla stazione, dal loro finto, e mal finto, aspetto rallegrato che gli si rivelò il vero senso della diagnosi di Sémmola che a lui stesso aveva detto soltanto delle rassicuranti generalità; il sorriso del nipote non fosse una volta tanto beffardo, anzi come fosse tinto di malinconico affetto; e da questo ricevette la sensazione agrodolce che il nipote gli volesse bene ed anche che sapesse che lui era spacciato, "Ma dove andiamo, Tancredi?" La propria voce lo sorprese, vi avvertiva l'eco del rombo interiore. "Zione, andiamo all'albergo Trinacria; sei stanco e la villa è lontana; ti riposerai una notte e domani tornerai a casa. Non ti sembra giusto?" Lo trattavano come un neonato; di un neonato, del resto, aveva appunto il vigore. Don Fabrizio si guardò nello specchio dell'armadio: riconobbe più il proprio vestito che sé stesso: Perché mai Dio voleva che nessuno morisse con la propria faccia? Perché a tutti succede così: si muore con una maschera sul volto; anche i giovani; Il cameriere entrò con una bacinella di acqua tiepida e una spugna, gli tolse la giacca e la camicia, gli lavò la faccia e le mani, come si lava un bimbo, come si lava un morto. Poté volgere la testa a sinistra: a fianco di Monte Pellegrino si vedeva la spaccatura nella cerchia dei monti, e più lontano i due colli ai piedi dei quali era la sua casa; irragiungibile com'era questa gli sembrava lontanissima; ripensò al proprio osservatorio, ai cannocchiali destinati ormai a decenni di polvere; al povero Padre Pirrone che era polvere anche lui; ai quadri dei feudi, alle bertucce del parato, al grande letto di rame nel quale era morta la sua Stelluccia; a tutte queste cose che adesso gli sembravano umili anche se preziose, a questi intrecci di metallo, a queste trame di fili, a queste tele ricoperte di terre e di succhi d'erba che erano tenute in vita da lui, che fra poco sarebbero piombate, incolpevoli, in un limbo fatto di abbandono e di oblio; il cuore gli si strinse, dimenticò la propria agonia pensando all'imminente fine di queste povere cose care C'erano i figli, certo. I figli. Ma gli altri... C'erano anche i nipoti: Fabrizietto, il più giovane dei Salina, così bello, così vivace, tanto caro. Tanto odioso. Con la sua doppia dose di sangue Màlvica, con gl'istinti goderecci, con le sue tendenze verso un'eleganza borghese. Perché il significato di un casato nobile è tutto nelle tradizioni, nei ricordi vitali; e lui era l'ultimo a possedere dei ricordi inconsueti, distinti da quelli delle altre famiglie; Fabrizietto avrebbe avuto dei ricordi banali, eguali a quelli dei suoi compagni di ginnasio, ricordi di merende economiche, 40 IL GATTOPARDO ed il senso del nome si sarebbe mutato in vuota pompa sempre amareggiata dall'assillo che altri potessero pompeggiare più di lui. Si sarebbe svolta la caccia al matrimonio ricco quando questa sarebbe divenuta una routine consueta e non più un'avventura audace e predatoria come era stato quello di Tancredi. E di lui sarebbe rimasto soltanto il ricordo di un vecchio e collerico nonno che era schiattato in un pomeriggio di Luglio proprio a tempo per impedire al ragazzo di andare a fare i bagni a Livorno. Lui stesso aveva detto che i Salina sarebbero sempre rimasti i Salina. Aveva avuto torto. L'ultimo era lui. Quel Garibaldi, quel barbuto Vulcano aveva dopo tutto vinto. bisognava farlo venire; non mi sarei mai consolata se non lo si fosse chiamato." Comprese subito: si trattava del prete. rea il principe di Salina e come un principe di Salina doveva morire, con tanto di prete accanto Voleva confessarsi. Le cose si fanno o non si fanno. Tutti uscirono, ma quando dovette parlare si accorse che non aveva molto da dire: ricordava alcuni peccati precisi ma gli sembravano tanto meschini che davvero non valeva la pena di aver importunato un degno sacerdote in quella giornata di afa. Non che si sentisse innocente: ma era tutta la vita ad esser colpevole, non questo o quel singolo fatto; vi è un solo peccato vero, quello originale; e ciò non aveva più il tempo di dirlo Fabrizietto e Tancredi gli sedettero vicino e gli tenevano ciascuno una mano; il ragazzo lo guardava fisso con la curiosità naturale in chi assista alla sua prima agonia, e niente di più Tancredi gli stringeva forte la mano e parlava, parlava molto, parlava allegro: esponeva progetti cui lo associava, commentava i fatti politici Il Principe era grato delle chiacchiere, e gli stringeva la mano con grande sforzo ma con trascurabile risultato. Era grato, ma non lo stava a sentire. Faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall'immenso mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d'oro dei momenti felici: eccoli. un gruppo di persone estranee che lo guardavano fisso con un'espressione impaurita: via via li riconobbe: Tancredi, Concetta, Angelica, Francesco-Paolo, Carolina, Fabrizietto; chi gli teneva il polso era il dottor Cataliotti; credette di sorridere a questo per dargli il benvenuto ma nessuno poté accorgersene: tutti, tranne Concetta, piangevano; anche Tancredi che diceva: "Zio, zione caro!" Fra il gruppetto ad un tratto si fece largo una giovane signora: Era lei, la creatura bramata da sempre che veniva a prenderlo: strano che così giovane com'era si fosse arresa a lui; 41 IL GATTOPARDO PARTE OTTAVA – Maggio 1910 Chi andava a far visita alle vecchie signorine Salina trovava quasi sempre almeno un cappello di prete sulle sedie dell'anticamera. Le signorine erano tre, segrete lotte per l'egemonia casalinga le avevano dilaniate, e ciascuna di esse, caratteri forti a proprio modo, desiderava avere un confessore particolare. In quel tale pomeriggio di Maggio 1910 l'adunata di cappelli era addirittura senza precedenti. La riunione di quel giorno, infatti, non era roba da poco. il cardinale- arcivescovo aveva iniziato una ispezione agli oratori privati dell'Archidiocesi allo scopo di assicurarsi dei meriti delle persone che avevano l'autorizzazione di farvi officiare, La cappella privata delle signorine Salina era la più nota della città e una delle prime che Sua Eminenza si proponeva di visitare; L'attenzione del Cardinale era stata attratta su di una immagine venerata nella cappella e sulle reliquie, sulle diecine di reliquie, esposte: circa l'autenticità di esse erano corse le dicerie più inquietanti e si desiderava che la loro genuinità venisse comprovata. Le tre sorelle erano tutte poco al di qua o poco al di là , della settantina, e Concetta non era la maggiore; nessuno avrebbe mai pensato a contestarle il rango di padrona di casa. Nella persona di lei emergevano ancora i relitti di una passata bellezza: grassa e imponente nei suoi rigidi abiti di moire nera, portava i capelli bianchissimi rialzati; le conferiva un aspetto autoritario e quasi imperiale; Monsignor Vicario riassunse i propri argomenti: "Sua Eminenza paternamente desidera che il culto celebrato in privato sia conforme ai più puri riti di Santa Madre Chiesa ed è proprio per questo che si rivolge fra le prime alla vostra cappella” Carolina: "Questo Papa dovrebbe badare ai fatti propri; farebbe meglio." Concetta intervenne: "Non lasciarti trascinare a dire cose che non pensi, Carolina. Che impressione riporterà di noi Monsignore qui presente?" Padre Corti, il Gesuita, volle rallentare la tensione. "Io, Monsignore, sono fra quelli che meglio possono confermare le Vostre parole. Padre Pirrone, la cui memoria è venerata da quanti lo hanno conosciuto, mi narrava spesso, quando ero novizio, del santo ambiente nel quale le signorine sono state allevate; del resto il nome di Salina basterebbe a render conto di tutto." Ai tempi del Principe Fabrizio nella villa non vi era cappella : Dopo la morte di Don Fabrizio però, quando per varie complicazioni ereditarie che sarebbe 42 IL GATTOPARDO deporre il mio omaggio ai piedi di chi fu la consolatrice di uno dei più puri eroi del nostro Riscatto!" Si commosse alle parole del senatore, non vide più in Tassoni il violatore di conventi, ma un vecchio, un sincero amico di Tancredi che parlava di lui con affetto, "E che cosa Le diceva di me il mio caro cugino?" "Ah! molte cose! parlava di lei quasi quanto parlasse di donna Angelica; questa era per lui l'amore, Lei invece era l'immagine dell'adolescenza soave, di quell'adolescenza che per noi soldati passa tanto in fretta." Il gelo strinse di nuovo il vecchio cuore; “ Tacredi ci confessò con la sua ironia impareggiabile, un peccato, un suo imperdonabile peccato, come diceva lui, commesso contro di lei; si, contro di lei, signorina” ci raccontò come una sera, durante un pranzo a Donnafugata, si fosse permesso d'inventare una trottola e di raccontarla a Lei; una trottola guerresca in relazione ai combattimenti di Palermo nella quale figuravo anche io; e come Lei lo avesse creduto e si fosse offesa perché il fatterello narrato era un po' audace, secondo l'opinione di cinquant'anni fa. Lei lo aveva rimproverato. 'Era tanto cara' diceva 'mentre mi fissava con i suoi occhi incolleriti e mentre le labbra si gonfiavano graziosamente per l'ira come quelle di un cucciolo; era tanto cara che se non mi fossi trattenuto la avrei abbracciata li davanti a venti persone ed al mio terribile zione. Lei, signorina, lo avrà dimenticato; ma Tancredi se ne ricordava bene, tanta delicatezza vi era nel suo cuore; se ne ricordava anche perché il misfatto lo aveva commesso proprio il giorno nel quale aveva incontrato donna Angelica per la prima volta." L'improvvisa rivelazione penetrò nella sua mente con lentezza e dapprima non la fece troppo soffrire. Ma quando congedatisi e andati via i visitatori essa rimase sola, cominciò a veder più chiaro e quindi a patire di più. Gli spettri del passato erano esorcizzati da anni; si trovavano, naturalmente, nascosti in tutto Certo sarebbe assurdo dire che Concetta amasse ancora Tancredi; là eternità amorosa dura pochi anni e non cinquanta; ma come una persona da cinquant'ànni guarita dal vaiolo ne porta ancora le macchie sul volto benché possa aver dimenticato il tormento del male, essa recava nella propria oppressa vita attuale le cicatrici della propria delusione ormai quasi storica ripensava a quanto era avvenuto a Donnafugata in quell'estate lontana si sentiva sostenuta da un senso di martirio subito, di torto patito, dall'animosità contro il padre che la aveva sacrificata, da uno struggente sentimento riguardo a quell'altro morto; questi sentimenti derivati che avevano costituito lo scheletro di tutto il suo modo di pensare si disfacevano anch'essi; non vi erano stati nemici ma una sola avversaria, essa stessa; il suo avvenire era stato ucciso dalla propria imprudenza, dall'impeto rabbioso dei Salina; le veniva 45 IL GATTOPARDO meno adesso, proprio nel momento in cui dopo decenni i ricordi ritornavano a farsi vivi, la consolazione di poter attribuire ad altri la propria infelicità, consolazione che è l'ultimo ingannevole filtro dei disperati. E l'infelice Concetta voleva trovare la verità di sentimenti non espressi ma soltanto intravisti mezzo secolo fa! La verità non c'era più; la sua precarietà era stata sostituita dall'irrefutabilità della pena. Il Cardinale di Palermo era davvero un sant'uomo; non era siciliano, non era neppure meridionale o romano e quindi l'attività sua di settentrionale si era molti anni prima sforzata a a far lievitare la pasta inerte e pesante della spiritualità siciliana ……nei primi anni, che fosse possibile rimuovere abusi, poter sgombrare il terreno dalle più flagranti pietre d'inciampo. Presto si era dovuto accorgere che era come sparar fucilate nella bambagia: tutto restava come prima, con in più il costo della polvere, il deterioramento del materiale e il ridicolo dello sforzo inutile. i era presto formata su di lui la reputazione che fosse un fesso. Il prelato anziano che la mattina del quattordici Maggio si recò a villa Salina era quindi un uomo buono ma disilluso "Signorina" disse a Concetta che aveva sul volto i segni di una notte insonne "per tre o quattro giorni non si potrà celebrare nella cappella il Servizio Divino; ma sarà mia cura di far provvedere prestissimo alla riconsacrazione. Concetta si ritirò nella sua stanza; non provava assolutamente alcuna sensazione: l Dopo un po' le portarono una lettera : Carissima Concetta, ho saputo della visita di Sua Eminenza e sono lieta che alcune reliquie si siano potute salvare. Spero di ottenere che Monsignor Vicario venga a celebrare la prima messa nella cappella riconsacrata. Il senatore Tassoni parte domani e si raccomanda al tuo bon souvenir. Io verrò presto a vederti e intanto ti abbraccio con affetto insieme a Carolina e Caterina. Tua Angelica. Continuò a non sentir niente: il vuoto interiore era completo; Bendicò insinuava ricordi amari. Suonò il campanello. "Annetta" disse "questo cane è diventato veramente troppo tarlato e polveroso. Portatelo via, buttatelo." 46
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