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Il Gattopardo riassunto, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Il file contiene il riassunto dei capitoli del Gattopardo e l'analisi di alcuni temi e personaggi fondamentali.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 03/06/2020

chiara_rabino97
chiara_rabino97 🇮🇹

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Scarica Il Gattopardo riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! IL GATTOPARDO RIASSUNTO Il romanzo è diviso in otto capitoli preceduto da un indice degli avvenimenti e da una data. I primi sei racchiudono le vicende di due anni ( dal maggio 1860 al luglio del 1862), il settimo è ambientato nel 1882, l'ottavo nel 1910. Maggio 1860 È il racconto di un’intera giornata del Principe Fabrizio di Salina. Nel salone rococò del palazzo vicino a Palermo tra gli affreschi mitologici, che dalle pareti e dal soffitto rammentano le antiche glorie della famiglia, si svolge la quotidiana recita del rosario. In questa cornice ci viene presentato il protagonista, grande, biondo, altero e autoritario, amato e temuto dall’intera famiglia, composta dalla moglie Stella e dai numerosi figli. Dopo una passeggiata nel lussureggiante e un po' selvaggio giardino, dove qualche giorno prima era stato trovato un soldato morto, e dopo la cena, il Principe fa preparare i coupé e si reca a Palermo a soddisfare la propria vitalità lussuriosa con una facile avventura; questa poi gli lascia un vago senso di ripugnanza e una tenerezza per la moglie, da lui molto amata, ma così poco incline ai piaceri della carne! Il giorno successivo il Principe riceve la visita del nipote Tancredi Falconeri, da lui allevato dopo la morte di entrambi i genitori, e amato e apprezzato più dei suoi stessi figli. Con grande sorpresa dello zio, legato come tutti i nobili siciliani alla casa borbonica, Tancredi è in partenza per unirsi a Garibaldi. La sua decisione è determinata non da idealità risorgimentali, ma da considerazioni di opportunismo politico: «Se non ci siamo anche noi quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi» afferma sorridendo il disincantato giovane. Di fronte a questa lezione di spregiudicatezza, il Principe, ammirato, fa sua la tesi del nipote. Seguiamo don Fabrizio nelle incombenze dell’amministrazione e quindi nel suo osservatorio dov’egli trascorre i momenti migliori della giornata, elevandosi al di sopra della contingenza umana, nel puro mondo della matematica e delle stelle. Dopo il pranzo, l’incontro con il figlio Paolo, indignato per il “tradimento” di Tancredi, conferma il Principe nella stima verso l’intelligenza duttile di quest’ultimo, a confronto con l’ottusità del figlio verso il quale ha parole di stizza malamente contenuta. Il capitolo si conclude con un altro rosario. Agosto 1860 In una Sicilia arsa e decomposta dalla calura estiva, sì svolge il viaggio di trasferimento della famiglia in campagna, nel feudo di Donnafugata. Siamo alla vigilia del plebiscito, i Borboni sono stati cacciati e la chiaroveggenza del Principe, ravvivata dalla popolarità di Tancredi, che in guerra ha ricevuto una leggera ferita all’occhio, gli assicura, nonostante la «rivoluzione», un trattamento di tutto rispetto da parte degli entusiasti siciliani. L'accoglienza a Donnafugata è infatti trionfale e don Fabrizio può illudersi che nulla sia cambiato. In realtà i cambiamenti ci sono stati e si manifestano ben evidenti nella persona di don Calogero Sedara, piccolo arrivista senza scrupoli, che in poco tempo, sfruttando la guerra, la carestia e la mancanza di oculatezza dei nobili in bolletta, ha accumulato una fortuna che quasi supera quella della casa Salina; egli è il sindaco del paese. Il ritorno a casa è comunque sereno, solo turbato un po' dalla richiesta di padre Pirrone di consentire al matrimonio di Concetta la figlia prediletta del Principe, innamorata di Tancredi che, pur senza essersi ancora dichiarato, mostra sincera devozione per la graziosa cugina. Ma don Fabrizio ha per Tancredi altri progetti: egli, con la sua intelligenza pronta, con la simpatia che attira su di sé naturalmente, con la stessa mancanza di scrupoli, è destinato a grandi imprese, ma è assolutamente privo di mezzi; per lui il Principe desidera una moglie ricca e ambiziosa ma ben diversa dalla dolce e riservata Concetta. La sera dell’arrivo a Donnafugata ha luogo la tradizionale cena solenne a cui sono invitate le autorità del luogo. don Calogero Sedara, non potendo farsi accompagnare dalla moglie, una bellissima ma incolta contadina, chiede il permesso di portare con sé la figlia Angelica. Al suo arrivo, in un ridicolo frac, la famiglia trattiene a stento le risa, ma l'entrata di Angelica lascia tutti senza fiato: ella è una fanciulla bellissima, splendente di gioventù e dalla grazia un po' affettata, rifinita nel collegio fiorentino in cui è stata educata. Tancredi soprattutto appare rapito da lei e si sente incoraggiato ad esibirsi con una sfacciataggine che di imprime come un'offesa insanabile nel cuore di Concetta. Ottobre 1860 Il capitolo si apre con la partenza di don Fabrizio per la partita di caccia, consueto svago a Donnafugata, in compagnia del fedele Ciccio Tumeo e dei cani Bendicò e Teresina. Ma la serenità della giornata è turbata dal ricordo della lettera di Tancredi, che chiede al principe di domandare per lui la mano di Angelica Sedara; per quanto ammirato come sempre dalla disinvoltura del nipote, che sa unire il fuoco della passione al calcolo economico, don Fabrizio si sente imbarazzato e sminuito nel dover rivolgere tale richiesta a don Calogero, specie dopo aver saputo da don Ciccio quali imbarazzanti avi si nascondano dietro la splendente bellezza della ragazza. Un’altra spina nella sensibilità del Principe è il ricordo del plebiscito a favore dell’annessione, che ha ottenuto un inaspettato consenso: «Iscritti 515 votanti 512; sì 512; no zero». Ma che fine ha fatto il no certo di don Ciccio Tumeo, incrollabilmente fedele ai Borboni per una grazia ricevuta? Il plebiscito d’altronde ha definitivamente ratificato l’ascesa di quel ceto avido e volgare rappresentato egregiamente da don Calogero. Al ritorno dalla caccia don Fabrizio fa convocare il sindaco cui chiede, a nome di Tancredi, la mano di Angelica. La dote della ragazza è superiore alle aspettative: il matrimonio si rivela certamente un affare. Novembre 1860 La prima visita di Angelica alla famiglia si svolge secondo un copione perfetto: la fanciulla fa sfoggio di una grazia esibita con discrezione e disinvoltura. Una sera di tempesta, durante la lettura collettiva di un libro edificante, fa irruzione Tancredi con l’amico piemontese, il conte Carlo Cavriaghi. Entrambi non portano più la camicia rossa garibaldina, ma vestono l’elegante uniforme degli «ufficiali dell’esercito regolare di Sua Maestà, il Re di Sardegna per qualche mese ancora, d’Italia fra poco». Con l’arrivo di Tancredi, il palazzo viene investito da un ciclone di sensualità. I due giovani vivono la loro infatuazione in lunghe perlustrazioni per le infinite e sconosciute stanze del palazzo, rincorrendosi e perdendosi per poi ritrovarsi febbrilmente eccitati dal gioco e dalla passione, tanto più forte quanto più trattenuta e insoddisfatta. La mal contenuta sensualità della coppia contagia tutti, tranne l’altera Concetta, che oppone la sua scostante freddezza alla corte del giovane Cavriaghi, innamorato di lei senza speranza. Uno di quei giorni giunge a Donnafugata il cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo, segretario prefettizio, con l’incarico di proporre al Principe Fabrizio un seggio al Senato del nuovo regno. Don Fabrizio, consapevole della crisi storica che sta attraversando il paese, ma incapace di credere a una possibilità di miglioramento nel nuovo assetto politico e sociale, influenzato da una visione fatalistica e scettica della storia in generale e contagiato dalla millenaria inerzia della sua terra, rifiuta la nomina. Con un tocco di ironia gattopardesca suggerisce, al suo posto, il nome di Calogero Sedara, vera espressione dei nuovi empi (“... il casato, mi è stato detto, è antico o finirà per esserlo; … illusioni non credo che abbia più di me, ma è abbastanza svelto per sapere crearsele quando occorra”). Febbraio 1861 Il capitolo è dedicato a padre Pirrone che tornato a San Cono, suo paese d’origine, per il quindicesimo anniversario della morte del padre, oltre ad essere spettatore del malcontento dei paesani dopo I unificazione, che per molti ha significato solo un aumento di tasse e tributi, si trova ad affrontare un dramma familiare. La nipote Angelina (anzi ’Ncilina), figlia dell’amata sorella Sarina, si è lasciata sedurre dal cugino Santino. L’affronto ha tutta l’aria di un regolamento di conti. Il padre di Santino, Turi, è stato infatti molto tempo prima turlupinato dalla buonanima di Gaetano (il padre del sacerdote e nonno di Angelina) e da quel momento i rapporti tra le due famiglie sono stati improntati all’odio e al disprezzo. Di fronte alla disperazione della sorella, che teme il carattere violento del marito Vincenzino, padre Pirrone, dopo essersi fatto promettere da lei che avrebbe lasciato in dote alla figlia la metà del mandorleto di Chibbaro, oggetto della antica contesa tra i fratelli, si reca a casa di Turi e propone il matrimonio riparatore, accompagnato naturalmente dalla pattuita dote nuziale. Rabbonisce infine il cognato offrendo in dono a ’Ncilina la sua parte di eredità, e assiste alla celebrazione del fidanzamento che sancisce la Pace familiare, ma che lo lascia turbato per la meschinità dell'umanità. Novembre 1862 Il capitolo è dedicato al grande ballo che si svolge nel palazzo dei principi di Ponteleone, il più importante della stagione mondana, particolarmente importante peri Salina, che vi avrebbero presentato ufficialmente Angelica Sedara, fidanzata di Tancredi. Le preoccupazioni di don Fabrizio per il frac di don Calogero sono fugate all’arrivo di questi: l’abbigliamento e la rasatura del ricco possidente sono infatti quasi impeccabili, grazie alle premure di Tancredi. Angelica poi, in una nuvola di rosa, appare luminosa di gioventù e di bellezza, nonché abile nel destreggiarsi tra tanta aristocrazia. Ma l’umore del Principe è ugualmente depresso: egli avverte in se stesso e nell’ambiente che lo circonda (le ragazze bruttine e cicalanti che gli appaiono come tante scimmie saltellanti, gli uomini rigidi e sciocchi, il quadro in biblioteca che rappresenta l’agonia di un vecchio) il presagio della morte e della inarrestabile decadenza del suo ceto. Solo il valzer con la bella Angelica strappa don Fabrizio ai suoi cupi, funerei pensieri riportandolo alle fresche emozioni della gioventù: ma è l'illusione di un momento, subito risucchiata dal penoso senso della vanità e della precarietà della vita. All'uscita dal ballo, all’alba, don Fabrizio preferisce tornare a piedi: uno scorcio di cielo tra le strette viuzze gli rivela lo sfumato splendore di Venere, la stella sua compagna nelle Uscite mattutine. Essa è il richiamo dell’eternità: «Quando si sarebbe decisa a dargli un appuntamento meno effimero, lontano dai torsoli e dal sangue, nella propria regione di perenne certezza?». Luglio 1883 Sono trascorsi oltre vent'anni dalla sera del ballo, ed è tanto tempo che il Principe avverte dentro di sé come una fuga lieve ma incontenibile del fluido vitale. Ma adesso seduto su una poltrona sul balcone dell'albergo Trinacra, dove è stato costretto a fermarsi dopo un faticoso viaggio per l'incalzare della malattia, <<sentiva che la vita usciva da lui a larghe ondate incalzanti, con un fragore spirituale paragonabile a quello delle cascate del Reno>>. Dal balcone ha la visuale dei colli ai cui piedi si trova la sua casa e don Fabrizio viene afferrato dalla pena, non della sua prossima morte ma dall'imminente fine di tutte le cose a lui care. Egli sente di essere l'ultimo dei Salina: ci sono i figli, ma l'unico che gli somiglia, Giovanni, è perduto tra le brume di Londra; il nipote, Fabrizietto, tanto caro, è ormai orientato verso una vita borghese; è lui l'ultimo a portare con sé le memorie del casato e della tradizione. <<Quel Garibaldi, quel barbuto Vulcano, aveva dopo tutto vinto>>. Nel bilancio della sua vita don Fabrizio rievoca i momenti di gioia, i soli in cui può affermare di aver veramente vissuto: in totale non più di tre anni. Gli altri settanta sono stati solo noia e dolore. Concetta Tra tutti i figli è quella che assomiglia di più a don Fabrizio di lui ha il carattere fiero, l’orgoglio della casata, la tendenza alla contemplazione. La delusione d’amore segna nella sua esistenza una svolta che la conduce a consumarsi in una altezzosa solitudine. Dopo aver covato per anni nell'intimo un sordo rancore verso il padre, si trova, alla fine della vita, interiormente svuotata, con la dolorosa coscienza di essere l'unica causa della propria infelicità. È a lei che si deve il gesto finale che liquida definitivamente la memoria di casa Salina: l'eliminazione dei resti del cane Bendicò. Padre Pirrone È il cappellano di casa Salina. Condivide con il Principe l'inclinazione per l’astronomia e, pur col dovuto rispetto, sa mantenere, di fronte a lui, la propria posizione quando si trova in disaccordo. La sua vita all’interno del mondo nobiliare non ha del tutto cancellato le sue origini popolari e paesane, come appare evidente nel quinto capitolo a lui dedicato interamente. La sua visione del mondo, sia quando osserva il mondo aristocratico di cui ammira l'elegante riserbo, sia quando partecipa alle crude vicende della sua famiglia, sia quando analizza la situazione politica, è di sofferto pessimismo. ‘Altri personaggi Molti altri sono i personaggi del romanzo, ognuno descritto col suo carico di tormentata umanità: Stella, la moglie di don Fabrizio, piccola e fragile quanto il marito è grande e forte, pudica e vergognosa anche dopo le numerose maternità, soggetta a qualche crisi isterica che presto si estingue lasciando nell’aria solo un delicato profumo di valeriana; il figlio Paolo, poco amato dal Principe per la mancanza di duttilità e di intelligenza, invidioso dei privilegi, nel cuore del padre, del cugino Tancredi; don Onofrio, l’amministratore di Donnafugata, una delle rare persone stimate dal Principe, onesto e rispettoso in modo maniacale; don Ciccio Tumeo, l’organista del duomo, compagno di caccia del Principe, coerentemente attaccato alla fede borbonica e intimamente indignato, oltre che per i brogli elettorali di don Calogero, per la perdita di prestigio del Principe; il conte Carlo Cavriaghi, giovane ingenuo e romantico, innamorato senza speranza di Concetta; e infine il cane Bendicò, fedele compagno ed emblema della dissoluzione della famiglia. STRUTTURA NARRATIVA Il Gattopardo può apparire a prima vista un romanzo di stampo verista, riconducibile soprattutto alla grande lezione di De Roberto. Una lettura più attenta ci permette però di misurare la grande distanza da questo modello; la narrazione infatti non si sviluppa in modo ordinato e consequenziale ma procede per blocchi articolati ciascuno in modo diverso dall’altro; gli avvenimenti storici non hanno rilievo in sé, ma traggono il loro significato dal riflesso che producono sull’animo del protagonista; in definitiva il romanzo, se si eccettuano il quinto e l’ottavo capitolo, è la storia del declino di un animo, nel quale si riflette la dissoluzione di un mondo, l’aristocrazia, e in ultima analisi, il destino effimero di tutta l’umanità. Voce narrante e focalizzazione Il narratore, esterno e onnisciente, non è calato, come nei romanzi veristi, nell'ambiente che rappresenta, ma è presente continuamente nel racconto con la sua ironia, con commenti e giudizi personali. La focalizzazione è però variabile, oscilla infatti tra il punto di vista esterno, e quello interno: il narratore infatti spesso si identifica con il principe Fabrizio, quasi un suo alter ego, ed è attraverso lo sguardo dei moti della coscienza di questi che ci appaiono situazioni o personaggi; questi ultimi in particolare si caratterizzano, come abbiamo già potuto notare nella loro descrizione, per il rapporto che ognuno di essi ha con il protagonista. Spazio Prevalentemente lo spazio in cui si svolge la vicenda è interno: sono infatti i saloni del palazzo Salina di Palermo, l’innumerevole sequenza di stanze di Donnafugata, le sale del ballo dai Ponteleone, la cupa ed estranea stanzetta d’albergo dove il Principe muore, la cappella delle reliquie e la camera, anch’essa con le sue reliquie, di Concetta nell’ultimo capitolo. Esiste anche uno spazio esterno, il giardino, la campagna e i monti intorno a Donnafugata, la Sicilia in generale, ma esso si presenta chiuso, come oppresso da una coltre di calore e di immobilità che quasi tolgono il respiro. Ma lo spazio di gran lunga più significativo è quello interiore, è la coscienza del principe di Salina, con la sua ironia lucida, con il suo disinganno assoluto, col suo lento “corteggiamento della morte” Tempo Il tempo della storia va dal 1860 al 1910, ma ogni blocco narrativo ha un suo tempo breve e concluso e potrebbe rappresentare una storia a sé; infatti tra i capitoli ci sono ellissi variabili, che possono durare un mese o quasi trent'anni. Come nella più grande narrativa del Novecento dunque, il tempo non ha una sua oggettività, ma si restringe o si dilata come un organetto ad indicare una dimensione temporale scandita su ritmi interni. Tecniche narrative e stile Il romanzo, per la particolarità del suo intreccio, basato su blocchi narrativi autonomi e scarsamente legati tra loro, presenta differenti tecniche: l’autore fa infatti uso del sommario di descrizioni paesaggistiche caratterizzate da una corrispondenza tra ambiente e personaggio, di discorso diretto e indiretto. Ma nei capitoli più importanti, quelli legati alla vicenda interiore di don Fabrizio Salina, prevale la tecnica del monologo interiore, che permette al narratore di seguire i percorsi, le suggestioni e le sfumature della coscienza del suo personaggio, al quale egli affida l’espressione della propria tormentata sensibilità e della propria disillusa visione del mondo.
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