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IL GATTOPARDO, riassunto, Guide, Progetti e Ricerche di Letteratura

Riassunto e Analisi IL GATTOPARDO

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2017/2018
In offerta
30 Punti
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Caricato il 05/11/2018

Marina1981
Marina1981 🇮🇹

3.3

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Scarica IL GATTOPARDO, riassunto e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Letteratura solo su Docsity! Trama La casata dei Salina, e in particolare la figura del Principe Don Fabrizio, è la prospettiva da cui vengono guardati i mutamenti portati in Sicilia dalla discesa dei Mille e dall’Unità d’Italia. Il Principe è fiducioso di poter mantenere intatti i propri privilegi sociali, economici e territoriali: si dimostra benevolo verso il rinnovamento, nel tentativo di non esserne travolto. Nessuna rivoluzione fa una comparsa burrascosa a villa Salina di Palermo o del possedimento feudale di Donnafugata. È possibile continuare a dedicarsi ai passatempi preferiti, come la caccia o l’astronomia, e a tessere i propri interessi: è quanto Don Fabrizio fa chiedendo per il nipote la mano di Angelica e procurandogli la buona dote offerta dal sindaco Don Calogero. Il Principe, risoluto a non intaccare le proprie abitudini aristocratiche, non riesce a trovare nella nuova Italia un ambiente a lui favorevole. Mentre Tancredi a Angelica sapranno sfruttare il cambiamento diventandone partecipi, le discendenti di casa Salina rimarranno bloccate in un immobilismo improduttivo. Personaggi Don Fabrizio: è il patriarca della casata dei Salina. A quarantacinque anni la sua presenza fisica è degna di nota: senza essere grasso è «immenso e fortissimo». Tutti lo ammirano, lo rispettano, lo temono. Insieme all’attenta e lucida supervisione di quanto gli appartiene – denaro, territori e relazioni sociali – la sua logica si esprime con un’insolita inclinazione verso la matematica e con una passione per l’astronomia. Non esita a intercalare la relazione con la moglie Maria Stella con qualche «avventura galante di basso rango». Padre Pirrone: è il sacerdote di casa Salina. Accompagna la famiglia nelle preghiere quotidiane, ricorda soprattutto a Don Fabrizio la necessità di confessarsi ed è pronto ad ascoltare e consigliare tutti i Salina. Uomo di origini umili e campagnole, cresciuto però in condizioni economiche relativamente buone, è entrato in seminario a sedici anni. Ha un carattere disponibile, paziente, ma non brillante come quello del Principe. Tancredi Falconieri: è figlio ventenne della sorella del Principe e a lui è stato affidato alla morte dei genitori. Le sue condizioni economiche sono precarie e si trova a gestire un patrimonio male amministrato e ormai ridotto all’osso, scialacquato dal padre; supplisce però alle difficoltà con la sua prontezza e lungimiranza. Nonostante l’insolenza che Tancredi, Don Fabrizio «senza confessarlo a se stesso avrebbe preferito aver lui come primogenito», ritenendolo più simile a sé di quanto non fossero i suoi propri figli. Don Calogero Sedàra: è il sindaco di Donnafugata, un possedimento dei Salina. È un personaggio ricco e influente sul paese da lui amministrato, dove lo si considera «intelligente come il diavolo». Si dimostra rozzo e avaro, ma, calcolatore, sa spendere nelle occasioni da lui considerate utili. È sposato con Bastiana, una donna rustica al cui fianco si rifiuta di apparire. Alle sue prime comparse nel romanzo indossa vestiti eleganti, ma solo lentamente riuscirà a servirsene per apparire nobilitato. Angelica: Don Calogero compare ad un pranzo presso i Salina accompagnato dalla figlia Angelica. Al presentarsi della ragazza, «la prima impressione fu di abbagliata sorpresa»: con la sua statura slanciata, con il fascino dei i capelli mori e degli occhi verdi riesce a mettere in ombra alcuni piccoli difetti fisici. È una ragazza vivace, ma avendo studiato in collegio a Firenze ha acquisito un tono raffinato: è orgoglio del padre e figura capace di destare la curiosità di chiunque, avendola conosciuta da bambina, la trova straordinariamente cambiata. Riassunto Maggio 1860. Nella villa dei Salina vicino a Palermo un’aria di turbamento modifica la vita di tutti i giorni. I membri della nobile casata avvertono l’irruzione della storia nel loro privato, come simboleggia il ricordo di un soldato trovato «sbudellato» nel giardino della villa o la tensione di un «cattivo» e inusuale congedo in un incontro del Principe con il re Ferdinando. A Caserta quest’ultimo aveva rivolto al suo interlocutore l’invito ad essere un tutore maggiormente responsabile, a far mettere la testa a posto al nipote Tancredi, apparentemente immischiato con i piemontesi. La sensazione di trovarsi ad uno snodo storico importante appartiene ormai al senso comune e l’interrogativo sulla successione al re è diventato un tema su cui incedono le chiacchiere. Si contempla ormai anche in Sicilia la possibile successione del Galantuomo Piemontese o, addirittura, il rischio di una repubblica. A confermare i timori del re, quando Tancredi fa la sua prima apparizione sulla scena è per avvertire il principe della sua imminente partenza. Il ragazzo Luglio 1883. Don Fabrizio muore in una stanza d’albergo a Napoli il cui balcone si affaccia sul mare. È circondato dalla sua famiglia e sono presenti anche Tancredi e il figlio di lui Fabrizietto. Maggio 1910. Le figlie Salina, rimaste nubili, devono subire un ennesimo scacco con l’ispezione alla cappella familiare, i cui «tesori», voracemente accumulati, vengono dichiarati privi di valore come reliquie. L’atmosfera in villa Salina viene momentaneamente movimentata dall’arrivo in automobile della Principessa Angelica, vitale ed energica nei preparativi per i festeggiamenti dei cinquant’anni dalla spedizione dei Mille. Commento Il Gattopardo si pone, con caratteristiche autonome, nel solco del romanzo storico ottocentesco e della narrativa siciliana post- risorgimentale. Guardando ad un filone che va dai Viceré di De Roberto a I vecchi e i giovani di Pirandello, propone uno spunto di «riflessione sulla funzione del romanzo una volta esauritasi la spinta neorealistica, sul rapporto fra narrativa, ideologia e storia»1. L’opera riesce così ad affiancare al giudizio disincantato sul Risorgimento italiano un ampliamento di prospettiva ideologica: permette una riflessione sul presente e contribuisce ad infliggere una «pugnalata mortale nel corpo ormai esangue del Neorealismo» In questa cornice la figura di Don Fabrizio appare da subito nella propria singolarità: si pensi alla sua statura imponente, ma anche alla cura dell’autore nello specificare, parlando della sua predisposizione alla matematica, come egli fosse «primo (ed ultimo)» del casato ad avere confidenze con i numeri. La particolare lungimiranza di Don Fabrizio, la sua capacità di discostarsi dal comune e chiuso atteggiamento aristocratico e di osservare con distacco gli avvenimenti nazionali, sottolineeranno lo scacco da lui subìto rimanendo escluso dagli effetti positivi della creazione del Regno d’Italia. «Il punto di vista di un gran signore scettico»3, su cui lungamente si focalizza la narrazione, agisce spesso da contrappeso nei confronti del senso comune. La narrazione risulta così basata sull’alternanza di lucidità e dubbio, chiarezza e incomprensione. Inizialmente si percepisce una difficoltà a inquadrare i fatti cui si assiste, la sensazione di qualcosa di stridente nell’interpretazione della cronaca. In altri momenti la verità viene presentata, a dispetto dell’apparenza complessa, nel suo aspetto semplice e univoco, spesso spiacevole, esprimibile con sentenze pungenti. Viene ad esempio dichiarato come il cambiamento della casa reale porterebbe come unica conseguenza «dialetto torinese invece che napoletano; e basta». La contemplazione di una verità storica è per i protagonisti tutt’altro che definitiva: Don Fabrizio, illeso dopo il momento più burrascoso verificatosi con l’arrivo dei garibaldini, vede tuttavia il proprio potere travolto dal confronto con la dimensione politica e sociale del nuovo Regno. Egli stesso offre la dimostrazione dell’impossibilità di sottrarsi al cambiamento storico. È significativo come siano le stesse parole del Principe a scalfire la sua immagine di signore feudale. «Il Principe che aveva trovato il paese immutato venne invece trovato molto mutato lui che mai prima avrebbe adoperato parole tanto cordiali; e da quel momento, invisibile, cominciò il declino del suo prestigio»: così Tomasi di Lampedusa commenta la decisione di estendere un invito per il dopo pranzo a «tutti gli amici» che avevano accolto i Salina all’arrivo a Donnafugata. Da qui comincia un declino reso ancora più visibile dal confronto con la sorte brillante di Tancredi e Angelica. Ma non risulta compromessa solo la sorte dei Salina e dello stesso autore, di cui Don Fabrizio è un’«evidente proiezione»4: appaiono chiaramente intaccati i presupposti di crescita dello Stato italiano, in particolare «una neonata, la buonafede; proprio quella creaturina che si sarebbe dovuta curare». Lo dimostrano i brogli elettorali in occasione del Plebiscito, in cui le poche voci dissonanti vengono ignorate e inghiottite. Lo stesso Giuseppe Tomasi di Lampedusa, aspettando la pubblicazione del romanzo alla quale però non riuscirà ad assistere, commenta inoltre come la crisi descritta nell’opera «non è detto sia soltanto quella del 1860»5. L’esito della vicenda è legato al suo scontrarsi con l’incapacità dell’atteggiamento siciliano di modificarsi, di crescere con il mutare dell’ambiente circostante. Sono sì descritti eventi storici assolutamente unici e peculiari, ma, sullo sfondo, «la Sicilia è quella che è; del 1860, di prima e di sempre»6. Lo stesso Don Fabrizio, rifiutando la proposta di entrare in Parlamento, dà un’amara conferma di un simile immobilismo: «in Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di fare».
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