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Il Golem. Tutto quello che dovremmo sapere sulla scienza (Riassunto), Sintesi del corso di Sociologia della Scienza

Sociologia della scienza, case studies.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 26/01/2022

GregorioRog
GregorioRog 🇮🇹

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Scarica Il Golem. Tutto quello che dovremmo sapere sulla scienza (Riassunto) e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia della Scienza solo su Docsity! IL GOLEM Conoscenza commestibile: il trasferimento chimico della memoria Introduzione Tra gli anni ’50 e ’70 cominciò a farsi strada l’idea che un giorno saremmo stati in grado di costruire la nostra memoria in maniera molto meno faticosa del solito: McConnell e Ungar eseguirono esperimenti riguardo al trasferimento chimico della memoria nei vermi e nei ratti. Essi erano convinti di poter dimostrare che la memoria era immagazzinata in componenti chimiche che potevano essere trasferite da un animale all’altro. Vermi McConnell eseguì gli esperimenti sui vermi: egli mostrava ai vermi che nuotavano rilassati un fascio di luce, e poi li sottoponeva ad un leggero shock elettrico che li costringesse ad incurvare i loro corpi. Alla fine i vermi iniziarono ad associare la luce alla scossa ed iniziarono ad incurvare il corpo ogni qual volta erano sottoposti ad un fascio di luce: quelli che facevano così erano considerati vermi “ammaestrati”. McConnell iniziò poi a sezionare i vermi, capaci di rigenerarsi, per vedere se la memoria si conservava: la cosa strana fu che anche la metà sprovvista di cervello era in grado di conservare l’istruzione acquisita: si fece strada l’idea che la memoria potesse essere immagazzinata chimicamente lungo tutto il corpo del verme. Discussioni sugli esperimenti con i vermi Alcuni furono scettici sulla possibilità che la memoria si potesse trasferire chimicamente: sostenevano che forse i vermi non istruiti avevano ricevuto “innesti” di vermi addestrati, piuttosto che aver assorbito la sostanza relativa alla memoria. Altri critici sostenevano invece che i vermi piatti erano troppo primitivi per essere istruiti: se qualcosa veniva trasferito davvero da verme a verme, si trattava allora di una sostanza sensibilizzante piuttosto che di qualcosa che trasportava una specifica facoltà mnemonica. Altri accusatori sostengono che i vermi non addestrati preferiscono seguire i loro compagni istruiti non a causa del trasferimento di una particolare sostanza, ma grazie alle tracce di bava lasciate dalle precedenti reclute. Nel caso degli esperimenti sui vermi, furono riconosciute fino s 70 variabili per giustificare la discrepanza nei risultati sperimentali: maggiore è il numero delle variabili potenziali, più difficile è decidere se un esperimento riproduce effettivamente le condizioni di realizzazione di un altro esperimento. The Worms Runner’s Digest Fra gli atti meno convenzionali di McConnell bisogna ricordare la fondazione, nel 1959, di una rivista chiamata WRD. Si trattava di una rivista anche burlesca (che poi si sdoppiò), ma che impediva che il lavoro fosse preso sul serio. La conclusione della controversia sui vermi Con l’apparente dimostrazione della possibilità del trasferimento chimico della memoria in ratti e topi, le obiezioni alla possibilità di apprendimento da parte dei vermi si dissolsero: tuttavia tutta l’attenzione fu catturata da queste reazioni da parte dei mammiferi. Mammiferi Primi esperimenti I primi a rivendicare la paternità sugli esperimenti di trasferimento della memoria nei mammiferi furono quattro diversi ricercatori: Fjerdingstad, Jacobson, Reinis e Ungar. Le ricerche furono eseguite nel 1964, e i risultati pubblicati nel 1965. Prime reazioni Le prime reazioni furono violente e scioccate, forse anche a causa dell’associazione con gli esperimenti sui vermi compiuti in precedenza. Tratti fondamentali del lavoro di Georges Ungar I ratti hanno un’inclinazione per il buio, ma Ungar cercò di suscitare in loro una paura del buio, associandolo con una scarica elettrica. Poi uccise questi ratti e preparò un estratto di materia proveniente dal loro cervello: si iniettò poi questo in altri ratti, per cercare di capire se questi fossero diventati più inclini ad evitare il buio rispetto a quelli a cui era stato iniettato un estratto preparato con i cervelli di ratti ordinari. Ripetibilità degli esperimenti sui mammiferi Ungar pubblicò i risultati sperimentali ottenuti fra il ’65 e il ’75: 105 esperimenti avevano avuto esito positivo, 23 negativo. I numeri incoraggianti e la possibilità di replicare gli esperimenti non sono però di solito sufficienti per convincere la comunità scientifica a credere in risultati così poco convenzionali (ciò che conta è anche la fama dello scienziato e del laboratorio di provenienza). Il dibattito con il gruppo di Standford Il gruppo di Standford cercò di replicare gli esperimenti di Ungar, senza pregiudizi, ma arrivò a risultati diversi, concludendo che per il successo di un esperimento sul trasferimento di memoria le condizioni dovevano essere stabilite con maggiore precisione. Ne derivò un dibattito fra i due gruppi, con Ungar che li accusava di non rispettare i criteri del suo lavoro. Strategie a confronto Per McConnell e altri psicologi la paura del buio poteva essere interpretata come una disposizione generale piuttosto che come qualcosa di specifico che era stato appreso: egli desiderava scoprire se potesse essere trasferita ciò che gli psicologi chiamano “coscienza di tipo A”. Egli cercò dunque di insegnare ai ratti comportamenti più complessi, come la scelta di curvare a destra o a sinistra ad un bivio per arrivare al cibo. Ungar era invece un farmacologo di professione, e nutriva maggiore interesse per una strategia biochimica. Egli desiderava isolare, analizzare e sintetizzare molecole attive. La fine della storia McConnell chiuse il suo laboratorio nel ’71: si rese conto che aveva ragione Ungar, gli psicologi avevano perso la partita contro la grande scienza della biochimica. Ungar iniziò a fare esperimenti sui pesci rossi, ma le quantità di materiale non erano mai sufficienti. Quando egli morì nel 1977, questo tipo di ricerche morì con lui, non ci fu nessuno a cui passare il testimone. Nessun esperimento dimostrò mai la non esistenza dei fenomeni relativi al trasferimento della memoria, ma tre pubblicazioni a quell’epoca sembrarono decisive. Tuttavia questa possibilità non fu mai confutata categoricamente, ha solo cessato di impegnare la mente della scienza. Due esperimenti che “hanno dimostrato” la teoria della relatività Con gli esperimenti di Eddington ci fu un accordo nell’essere d’accordo, piuttosto che una teoria, seguita da una verifica, seguita da una conferma. A Eddington era necessaria la teoria di Einstein per stabilire che cosa rappresentassero quelle sue osservazioni. La natura dell’esperimento L’esperimento consisteva nel confrontare la posizione delle stelle nel cielo con la loro posizione apparente quando la radiazione luminosa da queste emessa transita in prossimità del sole: le stelle possono essere osservate in prossimità del sole solamente durante un’eclissi solare. Ciò condusse a numerose difficoltà di natura tecnica. Spedizioni e relative osservazioni Dopo la realizzazione dell’esperimento, uno degli strumenti suffragava la teoria di Newton, mentre l’altro propendeva per la previsione di Einstein: tuttavia il sostegno a quest’ultima era indebolito dalle caratteristiche del telescopio. Alla fine tuttavia, dopo vari calcoli e aggiustamenti, si sostenne che le osservazioni confermavano la teoria di Einstein. Interpretazione dei risultati Per cercare di ricavare dalle osservazioni una conferma delle previsioni di Einstein, Eddington e gli altri assegnarono il ruolo cruciale ai risultati ottenuti con il telescopio di 10 cm di Sobral e si servirono delle due lastre scattate a Principe come prova minore, trascurando completamente le 18 lastre fotografiche scattate dall’astrografo di Sobral. CONCLUSIONE ALLA PRIMA E SECONDA PARTE Descrivere i fatti secondo lo schema di una deduzione quasi logica di una previsione teorica, seguita poi da un tentativo di diretta osservazione, è assolutamente sbagliato. Ciò che noi abbiamo visto sono i contributi teorici e sperimentali ad un mutamento culturale, un mutamento che era sia una legittimazione ad osservare il mondo in un certo modo, sia una conseguenza di quelle osservazioni. La relatività a quel tempo fu una verità determinata dall’accordo nell’accordarsi riguardo a nuovi fatti: non era una verità cui si era costretti sulla base di una logica inesorabile di una serie di esperimenti cruciali. Il sole in provetta: la storia della fusione fredda Nel 1989 Fleischmann e Pons, scienziati dell’Università dell’Utah, annunciarono di aver realizzato in una provetta la fusione: ciò innescò in ambito scientifico l’equivalente di una corsa all’oro. Successivamente tuttavia molti dubbi iniziarono a farsi largo, e alla fine quest’oro divenne semplicemente l’oro degli sciocchi. La strada della piccola scienza vero la fusione La strada percorsa da Pons e Fleischmann fu aperta, anche se loro lo ignoravano, da altri scienziati nei decenni passati: Paneth e Peters, nella Germania post prima guerra mondiale, e Tandberg a Stoccolma nel 1927. Il ruolo di Jones In questo quadro bisogna tenere presente anche il ruolo svolto dall’altro gruppo dell’Utah, diretto da Steven Jones. Fu una sfortuna per entrambi i gruppi che ricerche così simili fossero portate avanti in centri tanto vicini: ne seguì un’accesa rivalità. La controversia Alle dichiarazioni di Pons e Fleischmann seguì un grande dibattito, soprattutto nel mondo dei fisici. Si concluse che, se c’era qualcosa di vero, tutto sarebbe presto diventato chiaro: Pons e Fleischmann disponevano di due tipi di prove per suffragare le loro affermazioni: l’eccesso di calore e i prodotti nucleari. Queste prove dovevano essere verificate. Tentativi di ripetizione Ci furono molte difficoltà nel riuscire a ripetere tale esperimento, anche a causa della mancanza di informazioni sufficientemente dettagliate su quanto era stato eseguito dagli altri due. Inoltre veniva a galla il classico problema della ripetibilità durante una controversia: se i risultati erano negativi, si affermava che le condizioni in cui si era tenuto l’esperimento erano differenti da quelle a cui ci si era inizialmente attenuti. Inoltre anche le prove apportate per confutare l’esperimento non poggiavano su basi molto solide: esse erano soggette alle medesime ambiguità dei risultati che affermavano di screditare. Fusione fredda: un’impossibilità teorica? Molti sostenevano che la fusione fredda non fosse possibile su basi teoriche: la maggior parte dei fisici fu felice di schierarsi con queste teorie già accettate. Ciò rappresenta il punto di vista ordinario e tradizionale. Credibilità Il problema che Pons e Fleischmann dovevano risolvere era che essi godevano di credibilità come elettrochimici ma non come fisici nucleari: ed era proprio nel campo della fisica nucleare che i loro risultati avrebbero prodotto un più forte impatto. Presenza di neutroni Per molti fisici, le misure relative alla quantità di neutroni presenti avrebbero fornito la miglior prova dell’avvenuta fusione: eppure, paradossalmente, queste misure rappresentavano l’argomento più fragile nelle dichiarazioni di Pons e Fleischmann. Le misure erano state eseguite in ritardo e sotto forti pressioni esterne. Inoltre nessuno dei due era particolarmente esperto su come condurre tali misure. I germi del dissenso: Louis Pasteur e le origini della vita Generazione spontanea Generazione spontanea è il termine per indicare quella dottrina di pensiero secondo cui, in condizioni appropriate, la vita può avere origine dalla materia inanimata. Il dibattito su questa possibilità e la sua estensione infuocò l’ambiente intellettuale e scientifico del diciannovesimo secolo. Con alcuni brillanti esperimenti eseguiti nel 1860, Pasteur sconfisse coloro che credevano nella generazione spontanea: ma la sua vittoria si basò sui pregiudizi di coloro che erano tenuti a prendere una decisione e su un colpo di fortuna, piuttosto che sui fatti e la ragione. Solo in un’analisi retrospettiva possiamo renderci conto di quanto sia stato fortunato Pasteur. La natura degli esperimenti Gli elementi dell’esperimento sono: 1. Occorre sapere che il mezzo colturale è sterile ma ha un valore nutritivo; 2. Occorre sapere che cosa accade quando vengono aperte le beute sigillate; si sta facendo entrare l’aria sterile o anche la contaminazione? Risposte concrete ai problemi sperimentali Nel diciannovesimo secolo le tecniche per determinare che cosa era sterile e che cosa non lo era dovevano ancora consolidarsi; non era chiaro neppure che cosa doveva essere considerato vita. Non era neppure infine evidente che cosa si intendesse con aria sterile. Dunque la maggior parte degli esperimenti si concentrò sul tentativo di purificare l’aria, e il conseguente dibattito ruotava intorno all’eventuale riuscita o meno di questi tentativi. Il dibattito Pasteur-Pouchet Pasteur sconfisse Pouchet in una serie di famosi esperimenti, ma il racconto trionfale a posteriori dissimula le ambiguità che in realtà contraddistinsero gli esperimenti in questione. Esperimenti “sotto mercurio” Pouchet realizzò degli esperimenti sotto mercurio per cercare di dimostrare la verità della generazione spontanea, e parve riuscirci: sembrò vero che, dal momento che tutte le sorgenti organiche erano state eliminate, la nuova vita potesse essersi originata spontaneamente. Pasteur rispose a Pouchet che probabilmente egli non era stato abbastanza attento e scrupoloso nello svolgimento dei suoi esperimenti. Per Pasteur l’errore consisteva nel mercurio, che sarebbe stato contaminato di microorganismi. Le beute vengono esposte in altura Pasteur realizzò degli esperimenti in alta montagna, e scoprì che nella maggior parte delle beute esposte all’aria in luoghi comuni si producevano delle muffe, mentre quelle esposte all’aria in alta montagna raramente subivano cambiamenti. Pouchet si realizzò in alta montagna per replicare gli esperimenti, e asserì che tutte le sue otto beute manifestarono la presenza di muffa (assicurò di aver seguito tutte le indicazioni di Pasteur). I peccati della commissione Le dispute scientifiche erano risolte da commissioni dell’Academie des Sciences con sede a Parigi: nel caso presente si riunirono due commissione, una prima e una dopo gli esperimenti di Pouchet sui Pirenei. Il caso volle che tutti i membri di entrambe le commissioni simpatizzasse per le idee di Pasteur e avesse dei pregiudizi verso Pouchet: ciò determinò il suo ritiro dalla competizione e la conseguente vittoria di Pasteur, per le cui idee quasi tutta la comunità scientifica era già favorevole. Esame in retrospettiva e in prospettiva del dibattito Pasteur-Pouchet Sebbene le due commissioni fossero vergognosamente pregiudiziali, siamo certi che questa fosse semplicemente una circostanza fortuita di carattere storico che non avrebbe influenzato l’accurata conclusione scientifica che esse raggiunsero? È interessante notare che oggi sembra che, se Pouchet non si fosse perso d’animo, forse non avrebbe perso la sfida: prima del 1876 non si sapeva ancora che le infusioni di fieno permettono la sopravvivenza di una spora che non si elimina facilmente con la bollitura (Pouchet avrebbe potuto riportare un successo, sebbene per le ragioni sbagliate). condizioni di eccessivo affollamento in cattività, come sostenevano i critici, o invece un aspetto essenziale e precedentemente trascurato del comportamento riproduttivo. Con il procedere della controversia, anche l’abilità e la competenza necessarie per eseguire questo tipo di osservazioni diventarono oggetto di discussione. Per illustrare la loro metodologia, gli avversari di Crews ammisero di aver notato questo comportamento delle lucertole, che non vi fosse nulla di nuovo; e qui parte la strategia utilizzata da Crews contro i suoi oppositori: egli li descrive come arretrati, legati a modelli e invischiati nelle vecchie tradizioni, piuttosto che ricettivi e pronti a vedere che cosa c’era da vedere. “Morsi per amore e cenni di zampa” Spesso, nel corso di una controversia scientifica, alcune piccolezze precedentemente ignorate diventano estremamente importanti, oggetto di accese discussioni: in questo caso era diventato significativo sia il numero di morsi per amore che le lucertole passive subivano sia il fatto che esse agitassero o no le loro zampe in segno di sottomissione sessuale. Una dignitosa parità Oggi l’opinione generale è che Crews e i suoi oppositori abbiano combattuto raggiungendo una dignitosa parità. Analisi del cuore del sole: la strana storia dei neutrini solari mancanti La storia mutevole delle stelle, incluso il nostro sole, è descritta dalla teoria dell’evoluzione stellare (una delle teorie basilari della moderna astrofisica). Tuttavia la sua assunzione fondamentale, e cioè che la fusione nucleare (conversione della materia di una stella in energia) sia la sorgente dell’energia di una stella, è stata verificata direttamente solo in tempi recenti: nel 1967 Ray Davis cercò di rivelare i neutrini solari (particelle subnucleari prodotte dalla fusione del nostro sole), difficilissimi da rivelare, dal momento che interagiscono poco con la materia. Questo esperimento ha avuto un esito che suscita perplessità: i flussi previsti di neutrini non si sono trovati. Un test che era considerato il coronamento delle verifiche sull’attendibilità della teoria dell’evoluzione stellare ha invece prodotto sconcerto e costernazione. Tuttavia fin qui nessuno può affermare con certezza in che cosa si è sbagliato. Siamo quindi in un classico caso di scontro fra esperimento e teoria: l’ambito teorico e quello sperimentale non possono essere tuttavia facilmente separati. PARTE PRIMA: PREPARAZIONE DELL’ESPERIMENTO E DEL GRUPPO DI LAVORO L’esperimento di Davis non nacque dal nulla: erano in gioco vent’anni di duro lavoro portati avanti da lui e da altri. La tecnica sperimentale da lui utilizzata deriva da un settore di ricerca a metà tra la radioattività e la chimica, conosciuto come radio-chimica. Collaborazione con il Cal Tech Davis si trovava ora di fronte ad un dilemma: aveva sviluppato un ottimo sistema di rivelazione, ma non aveva neutrini da rivelare. Fu William Fowler che gli offrì la chiave per risolvere questo dilemma. Nel 1958 Fowler e i suoi collaboratori del Cal Tech misurarono nuovamente una velocità di reazione essenziale per la realizzazione del ciclo di reazioni nucleari del sole e fu scoperto un errore. Sembrava che il sole producesse alcuni neutrini ad energia piuttosto alta, che Davis doveva essere in grado di rivelare. Fowler lo avvertì immediatamente di tale possibilità e da quel momento in poi i due collaborarono per portare a buon fine i progetti di rivelazione dei neutrini. Bahcall: un estraneo diventa il “teorico di casa” La fine della stretta collaborazione del Cal Tech con Davis fu determinata dalla comparsa sulla scena di un giovane studente di post dottorato di Fowler, John Bahcall. Bahcall era un fisico teorico, e sulla base delle sue qualità a livello teorico, il suo compito consisteva nel coordinare le energie degli scienziati del Cal Tech. La previsione del numero di neutrini che Davis avrebbe dovuto misurare era un compito complesso che richiedeva un’ampia conoscenza di diversi settori della scienza. Quando Bahcall stesso non disponeva delle conoscenze necessarie, si rivelava molto abile nel reclutare altri per aiutarlo. Finanziare l’esperimento Davis valutava il costo dell’esperimento in circa $600.000: negli anni ’60 si trattava di una grossa somma per un esperimento che poteva servire solo per produrre un tipo di misure. Per ottenere fondi e agevolazioni gli scienziati devono ricorrere a pressioni politiche e ad altre forme di persuasione: nel reperire il denaro per l’esperimento di Davis alcune circostanze furono fondamentali. Bisogna anche sottolineare che nel tentativo di ricevere questi finanziamenti, questi esperimenti sono stati annunciati come cruciali: la retorica della crucialità è ovviamente dipendente dal contesto. Inoltre ci sono prove del fatto che le previsioni teoriche del flusso dei neutrini solari cambiavano in base alla necessità di finanziamenti da parte dei fisici. Preparare l’esperimento Ricevuti i finanziamenti, Davis doveva trovare una miniera con una galleria abbastanza profonda in cui collocare le sue attrezzature: alla fine riuscì a trovare un accordo con una compagnia mineraria e con altre compagnie commerciali. PARTE SECONDA: SCIENZA INCOMPIUTA Davis riportò risultati negativi, ma il suo esperimento non ha mai perso di credibilità. Per un attimo furono sollevati notevoli dubbi sul suo metodo sperimentale, ma alla fine egli riuscì a respingere tali critiche e a guadagnarsi una rinnovata fama di valido e scrupoloso sperimentatore. I primi risultati I primi risultati di Davis risalgono all’agosto del 1967: essi indicavano la presenza di un segnale molto debole, o per meglio dire di un flusso di neutrini molto debole. Davis non aveva dubbi che i suoi risultati erano corretti. Per scrupolo li sottopose ad ulteriori verifiche: a questo punto (maggio 1968), egli si sentiva sufficientemente sicuro da pubblicare i suoi risultati. La reazione di Bahcall La convinzione di Davis che i suoi risultati fossero in disaccordo con la teoria non era condivisa da Bahcall: egli si diede da fare per accordare in maniera ancora più scrupolosa la previsione teorica con il risultato sperimentale. Ma Davis registrava valori di intensità del flusso dei neutrini sempre più bassi, e Bahcall divenne sempre più scoraggiato. La reazione di Iben Una scienziata del Cal Tech, Icko Iben, giudicava con ostilità l’ooperato di Bahcall, considerandolo in malafede nel suo tentativo di correggere le previsioni. La disputa potenzialmente aspra fra i due fu evitata quando anche Bahcall ammise che esisteva una discrepanza: il problema del neutrino solare era a questo punto ufficialmente nato. Questo episodio ci mostra anche che non è sempre facile e univoco il giudizio dell’esito di una verifica di una teoria: non si tratta semplicemente di confrontare la previsione teorica e il risultato sperimentale. Entra sempre in gioco l’interpretazione. Ray Davis: uno sperimentatore ideale L’attenzione a questo punto si rivolse di nuovo a Davis per assicurarsi che il problema non fosse attribuibile ad una sua mancanza di competenza. L’esperimento non poteva essere replicato da altri perché troppo complicato e costoso, e dunque Davis fu caricato di particolari responsabilità, dovendo convincere la comunità degli astrofisici. Dal principio alla fine, Davis ha ritenuto importante seguire e realizzare i loro suggerimenti, non importa quanto stravaganti potessero apparire. Sembra che tale strategia sia stata premiata dal momento che, col trascorrere degli anni, Davis ha acquistato una certa reputazione come sperimentatore ideale. L’argo imprigionato Un astrofisico particolarmente scettico fu Kenneth Jacobs: egli era preoccupato del fatto che l’esperimento di Davis non fosse mai stato replicato. Egli era convinto che fosse probabile che l’argo venisse imprigionato da qualche parte, fornendo così una spiegazione per quel basso livello di intensità registrato. Alla fine Davis eseguì il complesso test per escludere l’ipotesi dell’imprigionamento, ed ebbe successo. Soluzioni al problema Nel 1978 sono stati pubblicati più di 400 articoli che proponevano soluzioni al problema del neutrino solare: complessivamente, nessuna di queste soluzioni ha ottenuto un consenso universale. D’altra parte, la teoria dell’evoluzione stellare non è stata modificata. Il risultato dell’esperimento del neutrino solare è stata considerata un’anomalia, qualcosa per il momento da accantonare.
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