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Il Gorgia, analisi del dialogo platonico, Sintesi del corso di Storia della filosofia antica

analisi del dialogo platonico

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 10/09/2020

DanieleBenzoni
DanieleBenzoni 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Il Gorgia, analisi del dialogo platonico e più Sintesi del corso in PDF di Storia della filosofia antica solo su Docsity! IL GORGIA: Dialogo che nella tradizione antica ha un sottotitolo: “sulla retorica”. Nonostante il sottotitolo, all'interno del dialogo vengono trattati molteplici temi, anche in ambito etico e politico. Certamente il tema trainante è la funzione della retorica nella politica. Si passerà poi ai temi etici, analizzando la teoria socratica sul male, tornando poi alla retorica e alla politica. Per quanto riguarda la collocazione temporale in cui posizionare l'avvenimento del dialogo ci sono pochi indizi, ma quantomeno possiamo inserirlo tra la morte di Pericle e la fine del V secolo avanti Cristo. Infatti si fa riferimento alla recente morte di Pericle e l'anno 405, la battaglia delle Arginuse, in cui gli ammiragli abbandonarono i naufraghi, e venero condannati, con l'unica opposizione di Socrate alla sentenza capitale. La data di composizione e, dice Dodds, la complessità dell'opera, esclude che il dialogo sia stato scritto in giovinezza e quindi sarebbe l'ultimo dei dialoghi socratici (data la coscienza della morte di Socrate). Il gorgia si pone come preparazione alla Repubblica. I dialogo è circondato da un'atmosfera scura, come ci viene dimostrato dalla poca disponibilità degli interlocutori e il loro carattere incline ad agitarsi. Questo viene accentuato in modo maggiore nell'ultima parte del dialogo in cui Socrate dialoga con Callicle, il quale si rifiuta di accettare le confutazioni facendo fallire Socrate nel suo scopo educativo. Inoltre, le risposte di Socrate in proposito alla capacità di giudizio dei cittadini lasciano pensare ad un completo pessimismo. Il dialogo si apre con l'intervento di Callicle, personaggio di cui approfondiremo nella terza parte del dialogo. Egli rimprovera Socrate di essere arrivato in ritardo all'epidexis di Gorgia, ossia la prova in cui si dimostrava la propria abilità retorica rispondendo ai numerosi quesiti posti dal pubblico. Questa parte iniziale determina l'intero dialogo, infatti non abbiamo modo di assistere all'arte di cui Gorgia si fa portatore, ma possiamo solo leggere le riflessioni attuate dal retore riguardanti la sua abilità. Nonostante il tono di Callicle sembri amichevole, si evince che egli stia rimproverando Socrate dal fatto che egli insista nell'elogio della performance gorgiana definendola come una “grande festa”. Socrate è accompagnato da un suo discepolo, Cherefonte, il quale trova rimedio alla situazione invitando Gorgia (suo amico) a replicare la sua epidexis solo per Socrate. Callicle, ospitante e philoi di Gorgia, invita a casa sua i partecipanti e la discussione comincia attraverso il dialogo dei due sostituti dei personaggi principali: Infatti, i primi interlocutori saranno Cherefonte (per Socrate) e Polo (per Gorgia). La prima domanda posta da Cherefonte è “chi è” corrispondente al tis esti: Polo, dopo aver redatto un lungo discorso, risponde che Gorgia è il conoscitore “della più bella delle arti” (448 d) Socrate interviene direttamente denotando la mancata risposta alla domanda che era stata posta, infatti Polo affermando che Gorgia attinga alla “più bella delle arti” risponde al poion esti (delinea la qualità della tekne) e non la definisce (rispondendo quindi al ti esti). (448e) SOCRATE e GORGIA Gorgia è un personaggio facilmente accessibile, con cui Socrate parlerà brevemente, ma la sua funzione, più che quella di interlocutore è quella di mediatore, infatti, sebbene parli molto poco, è lui a spronare gli altri due interlocutori a continuare la discussione quando, irritati dal metodo socratico, vorranno abbandonarla. a questo punto interviene Gorgia in persona ritenendosi conoscitore dell'arte retorica (SOCR: dobbiamo quindi chiamarti retore? GOR: Benissimo, Socrate, se proprio come ciò che mi glorio di essere vuoi chiamarmi.) nella risposta di Gorgia vediamo un riferimento ad una formula utilizzata dagli eroi omerici al fine di conferire solennità. (449a). Da questo punto si apre la prima parte del dialogo che vede come interlocutori Socrate e Gorgia: la premessa e promessa con cui Socrate comincia il dialogo è che le risposte siano quanto più bervi e dirette possibile evitando ciò che era appena successo con Polo. Dialegistai Il primo argomento discusso è quale sia l'oggetto della retorica, dato che per tentare una definizione di una determinata tekne bisogna innanzitutto conoscere il campo in cui si applica. Gorgia inizialmente risponde sommariamente alla domanda di Socrate dicendo che la retorica ha come oggetto i discorsi (449e), introducendo nel dialogo il tema del lògos (che sarà centrale per tutto il dialogo). • La prima restrizione del campo d'occupazione della retorica si ha subito dopo la risposta di Gorgia in cui Socrate, varando una serie di esempi di arti che utilizzano i discorsi, induce Gorgia a comprendere che la retorica si occupa di solo alcuni discorsi e non di tutti. • La seconda restrizione avviene tramite l'ammissione di Gorgia che la retorica si occupi dei discorsi il cui fine non risieda nel pratico, ma Socrate elenca una serie arti il cui fine non sia manuale, come aritmetica, calcolo, geometria e scacchistica, confutando la tesi di Gorgia. • La terza restrizione porta Gorgia alla definizione della retorica come l'arte della persuasione, ma viene nuovamente confutato da Socrate il quale fa presente che ogni arte che insegni ha come fine la persuasione dell'interlocutore. • L'ultima restrizione porta alla definizione del campo in cui si applica a retorica, ossia il tribunale. Infatti, Gorgia parla della persuasione che si esercita nei tribunali attribuendo così alla retorica una finalità di tipo politico (454b). La necessità di attribuire alla retorica uno statuto tecnico risiede, in Gorgia, nell'infallibilità imputata alle arti. Questo però, com'è evidente nel dialogo stesso non sempre è vero in quanto la medicina, usata da Socrate come controesempio, non garantisca infallibilità. Socrate però piuttosto che indagare quali siano li oggetti della retorica si concentra sull'aspetto didattico di questa interrogando Gorgia sul fatto di produrre buoni retori, ci si concentra quindi sul ruolo produttivo della retorica. Giocando su diversi fattori, quali la stanchezza e la vanità di Gorgia, Socrate lo induce a contraddizioni. Infatti, spostando il focus della discussione dalla produttività alla conoscenza, Socrate confonde Gorgia che mette assieme i due lati della retorica: quello didattico produttivo di nuovi retori e quello oratorio che produce discorsi. Con l'ammissione che la retorica si occupi dei discorsi, Socrate sposta il discorso su questo punto tentando di capire di quali discorsi si occupi. Gorgia avrebbe potuto rispondere che la retorica abbia come oggetto i tutti i discorsi e che la sua funzionalità risieda nel rendere accessibile il discorso tecnico a chi non possiede le capacità per comprenderlo, ma non farà così e sosterrà che la retorica può rendere in grado di comprendere gli oggetti specifici di una tecnica, opinione in disaccordo con quello che dirà più avanti, ossia che la retorica è libera dalla verità. Proprio dopo Gorgia delineerà l'efficacia della retorica tramite il solo discorso e non nella pratica, quindi mentre per Socrate il logos è il mezzo per conoscere, il retore lo riterrà strumento, oggetto e attività libera dal vincolo di rappresentare la verità. Dato che Socrate ritiene che non si possa definire arte qualcosa che ignori il suo oggetto, Gorgia dirà che la retorica ha come oggetto le più grandi e migliori faccende umane, facendo lo stesso errore che aveva fatto poco prima il suo allievo Polo, ossia intrattenendo un encomio della sua arte specificandone le qualità, ma senza definirla. Al posto di far notare l'errore, Socrate preferisce far confrontare Gorgia con altri personaggi inseriti nel dialogo: con questa tecnica del “dialogo nel dialogo” Socrate trae per un altra volta in inganno il retore che, messo alle strette dalla necessità di compiacere la sua audience decide di rafforzare l'immagine della retorica, quindi: mentre i “concorrenti” descrivono l'oggetto delle proprie arti come il bene più grande, ma solo apparentemente, la retorica fornisce il vero bene che in questo caso si concretizza con la supremazia e il potere. Un potere che premette di acquisire anche quello dei suoi rivali grazie al potere della persuasione sulle masse, la retorica si fa portatrice della capacità di sovrastare la vera scienza con la sua abilità persuasiva permettendo di rendere schiavi gli altri. Il teatro su cui agisce la retorica è quello dell'amministrazione cittadina, ossia nei tribunali e nelle assemblee. Possiamo però individuare alcuni punti deboli di questa tesi portata avanti da Gorgia, infatti: • La forza della persuasione in questo punto è maggiore anche a quella fisica, ma più avanti nel dialogo, nella terza parte, con Callicle sarà chiaro che al di fuori del contesto cittadino la parola varrà ben poco rispetto alla potenza bellica necessaria alle campagne colonizzanti. • Inizialmente, con la retorica, si guarda al benessere pubblico, ora invece ci si limita alla sfera individuale. • Essendo minore rispetto alla forza fisica la retorica è uno degli strumenti di chi vuole potere, ma non il più potente. • La forza della persuasione di cui parla Gorgia non tiene conto del fatto che la massa adulata voglia qualcosa in cambio. Fatto che mette in risalto il rapporto di schiavitù esistente tra l'adulatore e l'adulato. • Il fatto che i retori rischino di venir perseguitati nelle città è un altro punto a sfavore dell'infallibilità della retorica come strumento di potere Socrate invita nuovamente Gorgia a definire quale sia il tipo di persuasione prodotto dalla retorica ed egli risponde che la retorica persegua il giusto e l'ingiusto e il pubblico a cui si rivolge è la “plebaglia”, vediamo quindi come venga sempre più sminuito chi subisce la potenza della retorica come arte adulatoria. Arrivati alla definizione dell'oggetto della retorica, Socrate chiede a Gorgia se questa porti alla conoscenza o alla credenza (454d). Gorgia afferma che ciò che scaturisce dalla retorica sia credenza. Vengono delineati due tipi di persuasione: • quella nata dalla scienza e che, di conseguenza, porta ad espandere le conoscenze. • Quella scaturita dalla retorica che porta alla soddisfazione dei piaceri e si basa sulla credenza. È manifesto che Socrate sminuisce ancor di più la retorica che produce credenza proprio poiché questa è mutevole. Secondo l'ottica platonica, che qui viene esposta da Socrate, infatti, le decisioni nei tribunali spettano ai competenti nell'ambito di cui si fa riferimento e si interroga in quale aspetto la retorica possa essere utile nelle città. Gorgia spiega che la retorica, in fatto di persuasione sia migliore rispetto a tutte le altre tecniche e a sostegno di questa tesi cita il momento in cui riuscì a persuadere un malato, paziente di suo fratello medico, a prendere la sua cura. Si una condizione peggiore chi rimarrà impunito, preservando il male nella sua anima (479d). • Concludendo che subire la pena sia migliore che non subirla, Socrate ribalta anche la concezione della retorica, la quale non sarà più utilizzata per fuggire alla pena, ma come strumento per spingere a sottoporsi alla punizione se stessi e i propri cari (480a). questa affermazione porta Socrate ad esporre uno paradosso secondo cui, come bisognerebbe denunciare un proprio caro anziché difenderlo, bisognerebbe fare in modo che un proprio nemico non subisca la giusta pena al fine che il male rimanga nella sua anima. Quest'affermazione paradossale porterebbe a chi si danneggia a permanere nel suo stato di danneggiato, rischiando di ledere chi gli sta attorno, ma Socrate non spinge a farlo in quanto sostiene fermamente che non si debba far male a nessuno. Nella confutazione dell'esaltazione della figura tirannica si vede come il tiranno sia in realtà servo. Questo prepara a comprendere le degenerazioni della kallipolis nella repubblica, infatti: l'amore e l'attrazione per l'onore porterà alla timocrazia; la morbosità nell'acquisire ricchezze porterà poi all'oligarchia; il divario tra ricchi e poveri creato scatenerà una vera e propria guerra civile facendo così spazio alla democrazia, ove chiunque ha possibilità di fare, l'abilità più importante è l'adulazione delle masse; tra tutti gli abbienti, per paura che i poveri li privino dei loro averi, uno si trasforma in lupo e muta i suoi cittadini in gregge, divenendo così il tiranno e circondandosi dei peggiori degli uomini. Questa figura è schiava delle proprie pulsioni, dei propri cittadini e impossibilitato, come Archelao di sottrarsi a queste. SOCRATE E CALLICLE Il dilemma del Gorgia è rappresentato da Callicle. Non abbiamo notizie su di lui,ma si sono formate più ipotesi: • nome inventato da Platone per nascondere un personaggio storico con le stesse caratteristiche. Egli è Ateniese e non insegna retorica. Essendo ateniese dovremmo averne più notizie, ma non risultano nozioni a riguardo. Platone cosparge il dialogo di segnali opposti sull'opinione che si forma di Callicle, egli potrebbe essere Crizia, dato il suo temperamento arrogante. • L'altra tesi vede una morte prematura di Callicle che, appunto, morì troppo giovane perché si potesse dire qualcosa di lui. • C'è anche chi sostiene che Callicle sia inventato e portatore delle contraddizioni proprie di Platone, come la sua posizione sull'oligarchia e la democrazia. L'intervento, o l'intromissione di Callicle nel dialogo avviene bruscamente, come se si volesse confermare il temperamento irruento del personaggio, come è già stato confermato all'inizio del dialogo. Egli interviene bruscamente per il fatto che Polo, costretto dall'incalzante gioco dialettico di Socrate, arriva ad ammettere l'incompatibilità tra felicità e ingiustizia. Nonostante di Callicle abbiamo poche nozioni che ci permettano di collocarlo storicamente, Socrate ci fornisce alcuni indizi che mettono a contatto le due figure tramite i loro “oggetti d'amore” (481d): • Socrate ama la filosofia e Alcibiade, personaggio della nobiltà ateniese imparentato con Pericle. Frequentatore di Socrate, di bell'aspetto e brillantemente intelligente, Alcibiade nel Gorgia è oggetto d'amore per Socrate, ma nel Simposio, nel momento in cui il giovane prende parola si chiarisce quale sia il vero rapporto esistente nella loro relazione, ossia inverte il rapporto amante-amato comprendendo che inizialmente si potrebbe definire Socrate come uomo ammaliato dalla bellezza dei giovani, ma scavando a fondo nella figura del filosofo si scopre che in realtà, proprio dietro il fattore estetico, si nasconde una profondità d'animo e saggezza che ammalia le persone che lo circondano, facendo sì che diventi lui l'amato che ammalia gli altri con la sua purezza d'animo. • Gli oggetti d'amore per Callicle sono “il popolo di Atene e il figlio di Pirilampo”. Il greco nasconde un gioco di parole tra il nome del figlio di Pirilampe (patrigno di Platone), ossia “Demo” e il “demos”, parola che indica il popolo. Questo gioco di parole serve ad identificare Callicle come uomo in balia del popolo, che deve adulare compiacendone opinioni e desideri. Inoltre, è indicazione della partecipazione attiva alla politica ateniese di Callicle, caratteristica che certifica la sua maggiore autorevolezza rispetto agli altri due interlocutori, preoccupati soltanto del discorso come professionisti della retorica. Callicle afferma, accusando Socrate, ch'egli ha volutamente mescolato questioni naturali e legislative al fine di trarre in inganno Polo e confutarlo (483a). Il tema prettamente sofistico della separazione tra natura e legge non viene affrontato dai sofisti, Gorgia e Polo, ma dal cittadino, ossia Callicle, al fine di dimostrare come il tema sia ricaduto anche nella città e nella vita politica e nei modelli comportamentali dei cittadini. Callicle prende le parti dell'etica arcaica greca in cui la vendetta e il riscatto davanti all'offesa sono caratteristiche necessarie per l'uomo valente, tanto che, riallacciandosi al tema riguardante l'utilità purificatrice della pena, definisce schiavo l'uomo che non riesce a difendere se e i suoi cari dalle accuse e dalle pene (483b). a supporto di questa sua mentalità arcaica Callicle ritiene che i più forti “come leoni”, simbolo dell'eroe omerico, siano stati resi schiavi incantati da ideologie ugualitarie. In sintesi, Callicle, legittima il più forte ad avere di più e a sopraffare il più debole, come se il leone si liberasse dalla cattività della paideia e del nomos riappropriandosi di ciò che gli appartiene per natura: la supremazia. Socrate viene attaccato anche sul suo oggetto d'amore, dato che la filosofia per Callicle va praticata in giovane età, ma una volta raggiunta la maturità è giusto che l'uomo si dedichi alla città e alla politica, confrontandosi e realizzandosi, rimanendo ad indagare filosoficamente porta ad isolarsi non permettendo all'uomo dotato di realizzarsi. Tanto che Callicle esorta Socrate ad avvicinarsi alle altre discipline, lasciando in disparte la filosofia (486d). Viene ripresa l'Anitiope di Euripide, tragedia che vede come protagonisti Anfione e Zeto intenti alla ricerca di Antiope, che si scoprirà essere la loro madre. L'analogia che viene riportata da Callicle vede Socrate come Anfione, il fratello dedito alla musica e alla vita contemplativa, accusato da Zeto, che in questo caso sarebbe Callicle, il quale difende una vita pratica. Nella tragedia Zeto ha la meglio nella discussione finché non interviene Hermes, il quale, dopo aver incitato Anfione a suonare la lira per celebrare gli dei, confida che grazie a quella musica egli costruirà le mura di Tebe. è importante comprendere chi siano e cosa debbano avere in maggior quantità i “migliori” nominati da Callicle (490a): • per migliori intende coloro che superano gli altri per intelletto nel governo (491b), non per forza fisica. • Ciò che posseggono di diritto sarà la legittimazione della supremazia sui molti “hoi polloi”. È evidente come per Callicle sia la supremazia nell'intelletto e nel coraggio a garantire la legittimità al governo delle città, ma Socrate chiede se il questi abbiano il controllo anche su se stessi. Callicle ritiene che il governo sia un mezzo per soddisfare i propri desideri, in quanto l'umo per essere felice deve soddisfare ogni suo desiderio: • per Callicle il soddisfacimento dei desideri garantisce la felicità • per Socrate la felicità si raggiunge attraverso l'autocontrollo queste due posizioni vengono trattate in forma mitica nel dialogo attraverso due rappresentazioni dell'anima: • l'anima dell'intemperante sarà come un vaso bucato, incapace di contenere • l'anima dell'autarca sarà un vaso chiuso, capace di trattenere ciò che sta all'interno. Nel primo caso il vaso dovrà continuamente essere riempito, mentre nel secondo, una volta riempito non si dovrà più pensare a nulla e si potrà stare sereni. Però, dal punto di vista di Callicle (494b) vivere in modo piacevole consiste “nel fluire più copioso possibile” dei desideri e soddisfarli. Il racconto delle giare forate viene definito da Socrate come logos, ma egli ha paura che Callicle, oramai indispettito, lo prenderà poco seriamente come un semplice muthos. Questo fatto conferma come Socrate stia provando in tutti i modi a convincere Callicle, utilizzando anche forme più piacevoli per rendere più piacevole e coinvolgente la trattazione, ma Callicle prende questo logos come mera favoletta senza dedicarli la giusta serietà. Dopo aver appurato che essendo il piacere uguale al bene, il coraggio diverso dalla conoscenza, ma diverso dal bene che a sua volta è diverso dalla conoscenza. Poi si arriva ad ammettere che il desiderio equivale a sofferenza in quanto deriva da una mancanza, ma al contempo della sua soddisfazione si prova piacere, di conseguenza è possibile provare godimento avendo provato dolore. La soddisfazione del desiderio porta alla fine dei piaceri e dei dolori, consentendo la tranquillità. Essendo il piacere e il dolore differenti da male e bene(496e), alla soddisfazione del desiderio verranno meno i primi, ma male e bene rimarranno. Socrate sposta l'argomentazione verso il tema del coraggio equiparando i gradi di godimento dei coraggiosi e i vigliacchi in battaglia: • nel caso in cui il nemico si ritirasse, sia i coraggiosi che i vigliacchi proverebbero in egual modo godimento • nel caso in cui il nemico avanzasse, entrambi soffrirebbero allo stesso modo di conseguenza sia vigliacchi che coraggiosi provano piaceri allo stesso modo (498b). Quindi sia i “buoni” che i “cattivi” anno ugualmente accesso ai piaceri e alle sofferenze confermando che non solo i buoni abbiano accesso al piacere, com'è appena stato dimostrato. Però vi sono, come afferma Callicle, piaceri migliori e piaceri peggiori che, in relazione al vantaggio o al danno che portano. Per discernere quali tra i beni siano vantaggiosi o dannosi vi è la necessità che qualcuno, portatore dell'arte necessaria a questo compito, aiuti gli uomini a scegliere. Socrate, partendo dal concetto base secondo cui ognuno vuole per se il bene, riporta alla memoria di Callicle il discorso fatto con Polo riguardante la differenza tra l'esperienza, che mira solo al soddisfare il picare e l'arte, la quale punta al raggiungimento dell'ottimo (500b). Ponendo quindi che l'arte porta al bene e l'esperienza al soddisfacimento dei piaceri, Socrate elenca una serie di discipline il cui fine sia il compiacimento dei piaceri di più anime senza osservare l'ottimo (501d-502a-b) definendo quindi queste discipline come esperienze adulatorie. Socrate a questo proposito trova due tipi di retorica: • la retorica adulatoria, il cui fine risiede nel perseguire il piacere del pubblico come se fossero “bambini” (502e) • la retorica utilizzata dal buon retore consiste nel provvedere affinché le anime degli ascoltatori diventino migliori, adattando il discorso al livello di comprensione di chi ascolta al fine di persuadere tutti alla giusta via. Ponendosi quindi una finalità psicagogica che miri al bene delle anime (503a). affermato che esistano due tipi di retorica, Socrate esorta Callicle a trovare degli esempi di retori buoni e, non riuscendone a trovare nella contemporaneità, elenca Cimone, Milziade, Temistocle e Pericle, tutti agathoi per le loro azioni come legislatori o strateghi, quindi uomini valorosi, ma Socrate con agathos intende l'eticamente giusto, ossia chi parla in vista dell'ottimo e alla sophrosyne, all'autocontrollo, mirando alla regolarità e all'ordine (taxis e kosmos) Questi due valori, taxis e kosmos, sono i cardini dell'anima che voglia essere sana. L'ordine del corpo è la salute e nell'anima è il rispetto delle leggi: GIUSTIZIA e TEMPERANZA sono le virtù garanti dell'ordine dell'anima e il buon retore conduce ad esse evitando che l'anima si abbandoni al vizio (504c). questa sophrosyne è la virtù ricercata anche da Isocrate e Senofonte, i quali stufi della sitazione politica loro contemporanea pongono al posto del tiranno il sophton colui che possiede le virtù per governare: Isocrate lo identificherà con l'Areopago, Senofonte con gli asketòi, i competenti, contrariamente agli idiòtai. Entrambi demonizzano l'immagine del despota e come risoluzione vedono entrambi il buon monarca, Isocrate porrà Evagora, campione della grecità e incarnazione delle virtù, tra cui l'autocontrollo; Senofonte porrà Ciro, mitico primo re di Persia che per Senofonte possiede tutte le virtù necessarie al governante, simili a quelle di Evagora. Tra tutte queste capacità necessarie al buon sovrano evinciamo che la più importante in assoluto è l'enkrateia, il dominio di se stessi. Un esempio di retorica buona la troviamo ne Le leggi, dialogo scritto da Platone nella maturità. Qui l'anima è oggetto di culto e il legislatore dovrà persuadere alla salute dell'anima tramite l'assunzione della divinità nella figura dell'anima che spinga alla sua cura e ad una scelta di valori alla cui sommità stanno i comportamenti virtuosi. nel caso in cui l'anima sia “malata” e in balia del vizio, questa andrà tenuta lontana dai piaceri, proprio come ad un malato non è concesso di saziarsi a volontà, dimostrando che questa punizione abbia una finalità terapeutica al fine di guarire l'anima malata riportandola all'ordine e alla regolarità (505b). a questo punto Callicle vuole interrompere la discussione, Socrate lo esorta a continuare, ma viene spronato anche dagli altri a continuare il discorso da solo, anche se egli crede che la verità debba essere frutto di una zetesis comune. Quindi comincia riassumendo tutti i punti toccati nella precedente discussione: • bene e piacevole sono differenti, “piacevole è ciò per la cui presenza proviamo piacere”. • L'uomo buono è quello in cui è presente virtù e la virtù si fa migliore nel momento in cui l'arte assegnata persegua l'ordine. • L'anima del sophron è migliore di quella dell' akòlastos. Colui che è regolato compierà azioni giuste, pie e coraggiose assicurandosi beatitudine e felicità. Tra l'eudaimonia, la felicità umana, e la makariotes, beatitudine divina, è sicuramente più alta la seconda, ma l'insieme di entrambe costituisce il più alto grado di felicità, in contrapposizione al sentimento dell' athliòs, ossia lo schiavo delle sue pulsioni passionai. • Qualora uno dei cari al sophròn abbia un'anima sopraffatta dal vizio, è giusto che egli lo sottoponga alla giusta pena e applichi una punizione. Amicizia, condivisione, temperanza e giustizia garantiscono l'unione tra gli dei e gli uomini, non la sfrenatezza e l'irregolarità e “per queste cose che chiamo cosmo questo universo” (508a). Socrate ribadisce quanto a lui non importi subire ingiustizia, ritenendo peggiore commetterla piuttosto che subirla e descrive questa sua affermazione come ferrea e adamantina, in quanto nessuno è riuscito a confutarla senza rendersi ridicolo, è chiaro come Socrate stia prendendo la propria rivincita rispetto a chi lo definì in precedenza come ridicolo. Risulta evidente come Socrate, lasciato solo nella discussione non sia più disposto alle confutazioni e ribadisca con più fermezza i concetti già espressi come l'impossibilità di agire male conoscendo il bene (509d). L'unico modo per commettere ingiustizia è insinuarsi nell'amministrazione pubblica: è l'arte che permette di governare che permette all'ingiusto di commettere malvagità rimanendo impunito. Callicle associa a questa affermazione il supporto di Socrate alla tirannide, ma questo viene subito dopo definito come selvaggio e ignorante, apaideutos (510b), inoltre una volta che egli avrà raggiunto il potere, si circonderà delle persone peggiori condannando la sua anima a rimanere cattiva e distrutta per il continuo commettere ingiustizie. Socrate sta facendo un discorso accusatorio non solo alla tirannide, ma all'intera situazione politica in cui, chi vuole avere potere deve abituarsi a compiacersi e dispiacersi delle stesse cose di chi comanda, annullando le differenze e rendendosi schiavi dell'adulato. (512a) in questo passo traspare l'idea di Platone in cui per chi si trova in una situazione irreparabile “vivere non è di alcun vantaggio”. La Presenza delle idee platoniche si fa sempre più forte quando si evince la minor importanza data alle tecniche artigiane, tanto che nella Repubblica verranno messe nell'ultimo dei ceti. Socrate fa cadere quelle figure di ottimi uomini politici prima elencate da Callicle affermando che non deviarono i desideri, ma li assecondarono, lasciando la loro anima malata e la buona arte politica “riguarda sia corpo che anima” (517d). Atene, per colpa di questi uomini è gonfia e marcia di tasse, porti, mura e arsenali, senza nessuno che badi alla giustizia e alla temperanza (519a). Quest'ultima affermazione demarca una critica socratica volta a ritenere come causa della sconfitta di Atene nel 404, non solo gli uomini politici contemporanei, ma anche i loro precedenti. Viene anche profetizzata la condanna all'esilio di Alcibiade, in quanto gli antichi non verranno incolpati, ma ingiustamente riempiti di encomi, mentre i politici contemporanei, come Callicle e Alcibiade, verranno puniti come cause, quando in realtà
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