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Il
Grande Rosso P
di Alberto Burri
di
Anna Barbara Cisternino
il restauro
1 restauro dell’arte contemporanea
comporta problemi particolari do-
vuti in primo luogo alla fragilità che
contraddistingue i materiali moderni e
alle difficoltà derivanti dal reperimento
dei materiali inusuali che le costituiscono.
In alcuni casi si tratta di materiali che,
superati dalla tecnologia, non sono più
in commercio perché è cambiato il me-
todo di fabbricazione o la formula dei
materiali sintetici. Nel caso della plastica,
ad esempio, dal 1860 — quando negli Stati
Uniti fu indetto un concorso per l’in-
venzione di un prodotto che potesse so-
stituire l’avorio nella fabbricazione delle
palle da biliardo — ad oggi ci sono stati in-
numerevoli cambiamenti delle formule
chimiche.
Nel laboratorio di restauro della Gal-
leria Nazionale d'Arte Moderna e Con-
temporanea di Roma, dove opero come
capo tecnico restauratore dal 1978,
spesso ci troviamo a dover risolvere casi
molto particolari, come quando ho do-
vuto affrontare il restauro del Grande
Rosso P di Alberto Burri. Avevo da poco
preso servizio in questa sede, provenendo
da una esperienza decennale sull’arte an-
tica, quando avvenne un grave atto van-
dalico che coinvolse molte opere di autori
importanti, fra cui questo quadro-scul-
tura.
L’opera del 1964 è costituita da più
strati sovrapposti di plastica rossa, fissati
su di un telaio di legno insieme ad una
tela di satin nero che fa da sfondo. Tale
materiale è stato analizzato recentemente
dal Dott. Oscar Chiantore, chimico mo-
lecolare presso l'università di Torino, au-
tore di un saggio sulle materie plastiche
(in Arte contemporanea. Conservazione
e restauro, Nardini, Firenze, pp. 153-
154); questi l’ha definito un copolimero
contenente unità di cloruro di vinile e di
vinilacetato, in forma di foglio, sottile,
molto elastico, resistente, il quale, pure se
combustibile, non alimenta la fiamma.
L'artista con il calore di una fiamma
ossidrica ha modellato la plastica drap-
peggiandola e lasciandovi persino le sue
impronte digitali.
La materia in alcuni punti è resa
molto sottile dalla trazione e dalle bru-
ciature della fiamma: il vandalo, facendo
presa sulle parti più aggettanti, la strappò
tirando e staccando i vari strati che erano
fusi insieme.
La lavorazione manuale dell’artista
in quest'opera è unica e irripetibile; non
si tratta, infatti, di un progetto seriale
fatto eseguire da altri, come a volte av-
viene nelle opere d’arte contemporanea,
eventualità quest’ultima che può com-
portare soluzioni di restauro diverse, al-
trettanto interessanti.
L’opera inoltre pone anche il pro-
blema di un corretto rapporto fra re-
stauratore ed artista, nel caso in cui, come
Burri all’epoca, sia vivo. Tale circostanza
può costituire un vantaggio, se la parte-
cipazione dell’artista si limita ad un dia
logo costruttivo sulle intenzioni espres-
sive, sui mezzi tecnici e sui materiali ado-
perati. È auspicabile, però, che l'artista
non intervenga personalmente sull’o-
pera, anche perché, essendo molto
noioso per un creativo ripetersi, tende-
rebbe a modificarla con il conseguente
problema di alterare la sua “originalità”,
che per il restauratore è fondamentale
salvare: storicamente, infatti, la si do-
vrebbe considerare una nuova edizione
da ridatare
Su questo argomento sono interes-
santi delle interviste rilasciate da alcuni
artisti contemporanei (in Arte conter-
poranea..., cit., pp. 197-271).
Alberto Burri fu messo al corrente
dei danni subiti dalla sua creazione; in
questo caso fu determinante la sua col-
laborazione, poiché, in seguito al so-
pralluogo, ci fornì uno spezzone del ma-
teriale plastico da lui adoperato che ci
permise di intervenire sull’opera.
La necessità di avere a disposizione il
materiale originale era dovuta all’im-
possibilità di accedere agli strappi dal
retro del quadro, in quanto lo strato di
fondo era quasi integro e poggiava sulla
tela nera, insieme alla quale era inchio-
dato al telaio di legno; gli strati danneg-
giati erano, invece, sovrapposti ed attor-
cigliati, ed era quindi indispensabile fare
degli inserti dello stesso materiale pro-
cedendo dal davanti.
Il quadro è stato ricomposto riavvi-
cinando gradualmente i lembi delle la-
cerazioni, prima provvisoriamente, con
piccoli “stop” di nastro adesivo; poi, una
volta trovata e controllata accuratamente
la corretta posizione di tutti gli elementi
spostati o lacerati, si è iniziata l’opera-
zione di incollaggio. L’adesivo è stato
scelto dopo svariate prove di collanti ese-
guite sui campioni di plastica forniti da
Burri. Il migliore risultato si è ottenuto
con il Bostik 5242/C della Boston di Mi-
lano: tale adesivo, pur essendo tenace,
non contiene solventi che possano intac-
care e sciogliere la materia dell’opera.
Alberto Burri, Grande Rosso P (1964); opera danneggiata