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Il libro dei malavoglia u, Appunti di Italiano

Il libro di malavoglia parla di una famiglia dei pescatori

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 22/10/2023

vasil-dauria-1
vasil-dauria-1 🇮🇹

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Scarica Il libro dei malavoglia u e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! I Malavoglia di Giovanni Verga Letteratura italiana Einaudi Edizione di riferimento: Einaudi, Torino 1995 e 1997 Testo critico e commento a cura di Ferruccio Cecco Letteratura italiana Einaudi I Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Prefazione determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lascia- re al quadro le sue tinte schiette e tranquille, e il suo disegno semplice. Man mano che cotesta ricerca del meglio di cui l’uomo è travagliato cresce e si dilata, tende anche ad ele- varsi e segue il suo moto ascendente nelle classi sociali. Nei Malavoglia non è ancora che la lotta pei bisogni materiali. Soddisfatti questi, la ricerca diviene avidità di ricchezze, e si incarnerà in un tipo borghese, Mastro don Gesualdo, incor- niciato nel quadro ancora ristretto di una piccola città di provincia, ma del quale i colori cominceranno ad essere più vivaci, e il disegno a farsi più ampio e variato. Poi diventerà vanità aristocratica nella Duchessa de Leyra; e ambizione nell’Onorevole Scipioni, per arrivare all'Uomo di lusso, il quale riunisce tutte coteste bramosìe, tutte coteste vanità, 3. Mastro don Gesualdo: una prima versione era apparsa nel 1888 a punzie (ddl 1° luglio al 16 e IO Antologia»; successivamente il romanzo fu pubblicato in volume per i tipi di Treves nel 1889. — incorniciato nel quadro... i colori... il disegno: in serie coi precedenti «quadro», «tinte» e «disegno». Vedi lettera a Treves del 19 luglio 1880: «[...] Lo stile, il colore, il disegno, tutte le proporzioni del quadro devono modificarsi gradatamente in questa scala ascendente, e avere ad ogni fermata un carattere proprio. Questa È l'idea che mi tormenta e che vorrei riuscire ad incarnare [..}». Duchessa de Leyra: ancora indicato nel ms col titolo di Duchessa delle Gargantas. Avrebbe dovuto essere il terzo romanzo del Ciclo dei Vinti, ma non rimangono che schemi preparatori, una stesura del primo capi- tolo e un breve frammento del secondo, pubblicati nella rivista «La Lettura», a. XXII, 1° giugno 1922 e successivamente da F. De Roberto in Casa Verga, a cura de Musumarra, Le Monnier, Firenze 1964. Vedi anche G. Verga, Tutti i romanzi, a cura di E. Ghidetti, Sansoni, Firenze 1983. — Onorevole Scipioni: sarebbe stato il figlio illegittimo della Duchessa de Leyra, ma il romanzo non fu mai realizzato. — Uomo di lusso: come l'Onorevole Scipioni anche questo romanzo non fu realiz- zato; rimane il seguente appunto inserito fra le carte preparatorie rela- tive ai Malavoglia: «Per l'Uomo di lusso — Precocità originaria d'isolano — Istinti voluttuosi — Fiacchezza dell'organismo - Leggerezza della mente - Esaurimento - Voluttà d’indole e perciò d'immaginazione - Eretismo intellettuale» (vedi Appendice II). Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia - Prefazione tutte coteste ambizioni, per comprenderle e soffrirne, se le sente nel sangue, e ne è consunto. A misura che la sfera del- l’azione umana si allarga, il congegno della passione va com- plicandosi; i tipi si disegnano cdrtamente meno originali, ma più curiosi, per la sottile influenza che esercita sui caratteri l'educazione, ed anche tutto quello che ci pu essere di arti- ficiale nella civiltà. Persino il linguaggio tende ad individua- lizzarsi, ad arricchirsi di tutte le mezze tinte dei mezzi senti- menti, di tutti gli artifici della parola onde dar rilievo all’i- dea, in un’epoca che impone come regola di buon gusto un eguale formalismo per mascherare un’uniformità di senti- menti e d’idee. Perché la produzione artistica di cotesti qua- dri sia esatta, bisogna seguire scrupolosamente le norme di questa analisi; esser sinceri per dimostrare la verità, giacché la forma è così inerente al soggetto, quanto ogni parte del soggetto stesso è necessaria alla spiegazione dell'argomento generale. Il cammino fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile che segue l'umanità per raggiungere la conquista del pro- gresso, è grandioso nel suo risultato, visto nell'insieme, da lontano. Nella luce gloriosa che l’accompagna dileguandosi le irrequietudini, le avidità, l'egoismo, tutte le passioni, tutti 4. congegno delle passioni: riprende il precedente «meccanismo delle passioni», con allusione aî rapporti dererministici fra cause ed effetti; vedi L'amante di Gramigna, in Vita dei campi, iamo il processo artistico [...] con metodo diverso, più minuzioso e più intimo; sacrifichiamo volentieri l’effetto della catastrofe, del risultato psicologico, intravvisto con intuizione quasi divina dai grandi artisti del passato, allo sviluppo logico, necessario di esso, ridotto meno imprevi- sto, meno drammatico, ma non meno fatale [...}». — ad individualizzar sé nel ms segue: «a perfezionarsi». — esatta: per giungere cioè a uno «studio sincero e spassionato». — la forma... argomento generale: in un rapporto di inscindibile interdipendenza fra il piano delle scelte tema- tiche e quello corrispettivo delle scelte formali, così come parti che compongono il «soggetto» sono strutturalmente vincolate all’«argo- mento generale», L'ambiente da rappresentare impone gli strumenti linguistico-formali necessari per l'indagine. Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Prefazione i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiu- tano l’immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c'è di meschino negli interessi particolari che lo pro- ducono; li giustifica quasi come mezzi necessari a stimolare l’attività dell'individuo cooperante inconscio a beneficio di tutti. Ogni movente di cotesto lavorìo universale, dalla ricer- ca del benessere materiale alle più elevate ambizioni, è legit- timato dal solo fatto della sua opportunità a raggiungere lo scopo del movimento incessante; e quando si conosce dove vada quest'immensa corrente dell’attività umana, non si domanda al certo come ci va. Solo l’osservatore, travolto anch'esso dalla fiumana, guardandosi intorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sovravvegnenti, i vincitori d’oggi, affretta ti anch'essi, avidi anch'essi d’arrivare, e che saranno sorpas- sati domani. 1 Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l'Onorevole Scipioni, l'Uomo di lusso sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno colle stimate del suo peccato, che avreb- bero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno, dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l’esistenza, pel benessere, per l'ambizione - dall’umile pescatore al nuovo arricchito - alla intrusa nelle alte classi - 7. osservatore: nel ms «artista». — ha il diritto di: corregge nel ma «deve? 8. vinti: I Vinti fu il titolo, in sostituzione del precedente La Marea, del ciclo progettato da Verga che doveva includere i romanzi indicati, quasi a comporre un affresco sociale di vaste proporzioni sul modello del ciclo dei Rougon-Macquart di Zola. — il pregiudizio... fuori dalla legge: con riferimento all’Onorevole Scipioni, nato dagli amori ille- gittimi di Isabella, la figlia di mastro-don Gesualdo, divenuta duchessa de Leyra. Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rima- nevano che i Malavoglia di padron ’Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch'era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla. 2. Adesso a Trezza non rimanevano: sottolinea lo stacco cronologico rispetto all'avvio ‘favoloso’ del romanzo, ma la discordanza fra l’avver- bio e il tempo verbale è la spia stilistica dei diversi «piani temporali» che si determinano in una narrazione affidata in prevalenza al filtro di un ‘coro’ di parlanti interni all'azione. Vedi G. Devoto, I ‘piani del rac- conto in due capitoli dei «Malavoglia», in Itinerario stilistico, Le Monnier, Firenze 1975, p. 204. - padron "Ntoni. il capofamiglia; 'Ntoni è forma popolare per Antonio. - quelli... lavatoio: ripresa, con variazio- ne chiastica, della precedente indicazione «delle barche sull'acqua, e delle tegole al sole»; l'aggiunta della specificazione «ch'era ammarrata (‘ormeggiata’) sul greto, sotto il lavatoio» si trasformerà in modulo fre- quentemente impiegato (cfr. I, 20; III, 1). Quasi a prefigurare l'identi- co destino che attende sia la Provvidenza (nome che progressivamente assumerà valore antifrastico) sia la casa del nespolo, fin dall'inizio si pone una stretta relazione fra casa e barca, con rimandi metaforici con- tinui: «quella barca della casa del nespolo» (I, 19), «menare innanzi quella barca rotta» (IX, 37), «era una casa che faceva acqua da tutte le parti» (IV, 26; IX, 33). Il modulo viene ulteriormente arricchito dalla similitudine «come una scarpa rotta» (IX, 33) riferita alla casa del nespolo, in serie con espressioni come «scarpa vecchia» (VI, 33), «scar- paccia vecchia» (VII, 6), «ciabatta» (X, 78), impiegate per la Provvidenza dopo il naufragio. — zio: appellativo comune in Sicilia che non indica necessariamente un reale rapporto di parentela. «Zu è il titolo de villici, come il Don è de’ nobili e de’ ricchi [...] serve ad indi- care l'anzianità del villico a cui vien dato» (Salomone-Marino). — paran- za: imbarcazione per la pesca costiera. - Cipolla: il corsivo segna il valo- re di nomignolo. Negli appunti preparatori (cfr. Appendice IV) il per- sonaggio viene così presentato: «il saputo del villaggio, vanitoso di farsi credere ricco, dice spropositi per parlar pulito». L'origine del sopran- nome è forse da vedere in quest’ultimo aspetto, secondo anche l’atte- stazione del Rigutini-Fanfani, che registra sotto «Cipolla» il seguente modo proverbiale: «Dove vai? le son cipolle, sogliamo dire quando qualcuno domandato d’una cosa risponde al detto fuor di proposito. Èd anche di chi, parlando, invece di stare al proposito del suo discor- so, ne divaga € non viene ad alcuna conclusione». Vedi anche Tommaseo Bellini: «Cipollaza ‘sciocca stravaganza’». T_T 1etteratura italiana Einaudi 3 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron ’Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso — un pugno che sembrava fatto di legno di noce — Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro. Diceva pure, - Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito picco- lo deve far da dito piccolo. E la famigliuola di padron ’Ntoni era realmente diposta come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che 3. burrasche: con duplice valenza: metafora per ‘avversità’, ma anche prefigurazione delle reali burrasche che si abbatteranno sulla Provvidenza; cir. anche VII, 31: «adesso poi che era venuta la burrasca». Vedi anche Manzoni, I promessi sposi, I, p. 20: «era riuscito a passare i sessant'anni senza gran burrasche»; id., VIII, p. 123: «era lontano da prevedere che burrasca gli si addensasse sul capo!»; ibid., XXXVIII, p. 658: «don Abbondio parlò anche della sua burrasca». — pugno chiuso: con l'evidenza del gesto si richiama la coesione del nucleo familiare. implicit allusivià si spiega con l'immagine, presente ne due prover: bi successivi, delle «dita della mano» ( e XIII 3), che nel pro- cesso di contestualizzazione del proverbio verrà ripresa come elemento organizzatore nella presentazione della famiglia. — Gli uonzini.. piccolo: correzione in A su: «ll dito grosso deve far da dito grosso, e i dito pic- colo deve far da dito piccolo, tutti gli altri come canne dell'organo». Manca un'esplicita attestazione nel Pitrè; il Rigutini-Fanfani registra però sotto «organo»: «Essere come le canne degli organi, dicesi di fan- li, di età e quindi di statura, poco differente tra loro; che anche dice- si Essere come le dita della mano»). L'espunzione di un ambito metafo- rico di scarsa motivazione interna («canne dell'organo») e aggiunta ini- e rafforzano, nella lezione definitiva, la coesione fra gesto («pugno riuso»), allusione metaforica e ripresa narrativa, arricchita successiva- ‘mente dall’inclusione nel ricco campo ‘metaforico casa-barca: «Perciò si doveva aiutarsi colle mani e coi piedi per mandare avanti quella barca della casa del nespolo» (1, 19). Cfr la ripresa in X, 90 e anche Pane nero, in Novelle rusticane, p. 299 e p. 309. . comandava le feste e le quarant’ore: era il capo indiscusso della famiglia. È il siciliano «cumannari li festi» (Mortillaro) (cfr. anche Mastro-don Gesualdo, I, 1, p. 299), rafforzato nel suo valore idiomati- co dall’aggiunta «e le quarant'ore» (pratica devota che consiste nell’a- Letteratura italiana Einaudi 8 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo comandava le feste e le quarant’ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c'era dipinto sotto l’arco della pescheria della dorazione del SS. Sacramento, esposto appunto per un tale periodo di tempo), pure attestata, anche se con diversa accezione, dal Mortillaro: «Essirici festa e quarant'uri, non parlando di chiesa vale ‘un gran sol- lazzo, un lauto desinare’». — Bastianazzo: il corsivo conferisce valore di soprannome (con suffisso tipicamente siciliano — azz), immediatamen- te motivato («grande e grosso»; cfr. Cos'è il Re, in Novelle rusticane, p. 242: «era un bel pezzo d'uomo, grande e grosso»). Negli appunti pre- paratori è definito «un colosso». — quanto il San Cristoforo... città: in serie con la similitudine iniziale (cfr. I, 1) per l'impiego di un termine di paragone che si specifica in senso locale; «città» (per antonomasia Catania). — filava... comandata: ‘obbediva prontamente agli ordini’. In uno degli abbozzi del romanzo la pertinenza dell'immagine al linguag- gio di una comunità di pescatori era resa ancor più evidente dall’ag- giunta: «da buon figliuolo e da buon marinaro». — tolta in moglie: sata’; cfr. XV, 57. Cfr. inoltre La Lupa, in Vita dei campi, p. 19 suno l'avrebbe tolta in moglie»; 1/ Reverendo, in Novelle Rusticane, p. 229: «era tolta in casa una nipote» e Vagabondaggio, in Primavera e altri racconti, p. 465. - La Longa, una piccina: il contrasto ironico accen- tua il valore antifrastico del nomignolo. — un bighellone di vent'anni un fannullone, già marchiato dalla sua funzione trasgressiva rispetto a quella «legge del lavoro” di cui padron ’Ntoni è il garante. Negli appunti preparatori viene definito: «vano, leggero, pigro, debole, ghiot- to, in fondo buon cuore...» — «che aveva... grande»: il rapporto opposi- tivo, in seguito più volte ribadito, che lega "Ntoni e Luca è proposto conle parole stesse del nonno. Negli appunti Luca è definito «il ritrat- to del padre» e nel romanzo «tutto suo padre Bastianazzo» (cfr. V, 25). — «Sant'Agata»: martire catanese del III 0 IV secolo, patrona delle tes- sitrici, considerata popolarmente modello di laboriosità e riservatezza. — e si suol dire... gennaio»: la donna laboriosa, la galina allevata in pol- Jaio e la triglia pescata nel mese di gennaio sono le migliori. Il prover- bio (cfr. Pitrè, IL p. 82) sostituisce in A: «da buona figliuola», che rispondeva a «da buona massaia», riferito alla Longa, sottolincando in modo più evidente l'intenzione di instaurare, parallelamente al grupi dei personaggi maschili, dei rapporti di similarità fra quelli femminili. Sottilmente alluso il rapporto oppositivo di Lia rispetto a Mena dalla ripresa del medesimo ambito metaforico del proverbio («nè came nè pesce»). — um mroccioso... colui!: con marcata mimesi del parlato, rileva- ta dalla presenza del deittico («colui!»). Per Alessi ricorrerà la medesi- ma formula («Ma Alessi era un ragazzo che somigliava tutto a suo padre Bastianazzo», VI, 9), impiegata anche per Luca (cfr. I, 4: «aveva più giudizio del grande»). Letteratura italiana Einaudi Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo Franceschello, onde poter spadroneggiare nel villaggio, come spadroneggiava în casa propri Padron ’Ntoni invece non lo conosceva neanche di vista Franceschello, e badava agli affari suoi, e soleva dire: «Chi ha carico di casa non può dormire quando vuole» perché «chi comanda ha da dar conto». Nel dicembre 1863, ’Ntoni, il maggiore dei nipoti, era stato chiamato per la leva di mare. Padron ’Ntoni allora era corso dai pezzi grossi del paese, che son quelli che possono aiutarci. Ma don Giammazia, il vicario, gli avea risposto che . Nel dicembre del 1863: unica data espressamente indicata nel romanzo. Rispetto agli appunti preparatori (cfr. Appendice IM), dove vengono posti nel medesimo anno, il 1865, la partenza di Ntoni per da Jeva di mare», il «negozio» dei lupini e il viaggio della Provvidenza, la soluzione finale distanzia maggiormente nel tempo gli eventi (la par- tenza della Provvidenza rimane infatti fissata, anche in assenza di un'e- a indicazione, nel 1865), quasi a dare maggior credibilità e un pi marcato rilievo narrativo alla sofferta decisione da parte dei Malavoglia di «farsi negozianti». — leva di mare: il servizio militare (reso obbligato- rio dopo l'Unità d'Italia) in marina. — pezzi grossi: cfr. anche X, 94; inol- tre Il Reverendo, p. 237: «I pezzi grossi non vanno toccati»; Mastro-don Gesualdo, I, III, p. 52: «fece il suo ingresso fra i pezzi grossi del paese»; ibid., IL, I: «dare il gambetto a tutti quei pezzi grossi che non era rie- scito ad ingraziarsi...» Si veda Manzoni, I promessi sposi, XXIV, p. 408: «sua signoria illustrissima [...] è un pezzo molto più grosso di lui». — che son... aiutarci: con immediato trapasso all'indiretto libero. Vedi inoltre Manzoni, I promessi sposi, IX, p. 548: «gente grande, venuta di Spagna, dove son quelli che comandano»; «i suoi d'adesso, laggiù a Milano, contan molto, e son di quelli che hanno sempre ragione». - i/ vicario: il sacerdote che fa le veci del parroco; rappresenta l'autorità religiosa del villaggio. «rivoluzione... campanile: è i giudizio filoborbo- nico sui moti popolari che accompagnarono l’arrivo di Garibaldi in Sicilia nel 1860. Cfr. Libertà, in Novelle rusticane, p. 338: «Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stor- mo, e cominciarono a gridare în piazza: “Viva la libertà”». Vedi inoltre Il Reverendo, p. 235: «aveva dovuto inghiottir della bile assai, fin dal 1860, quando avevano fatto la rivoluzione»; ib44., p. 237: «ma dopo che era trionfata l'eresia, colla rivoluzione...» — speziale: farmacista”. — si metteva... barbona: diventerà il modulo costante di individuazione del personaggio (cfr. II, 9; III, 6; X, 96; XII, 30, 41, 43). Con il vicari forma una coppia inscindibile (ctr. Il, 8). Letteratura italiana Einaudi 12 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo gli stava bene, e questo era il frutto di quella rivoluzione di satanasso che avevano fatto collo sciorinare il fazzoletto tri- colore dal campanile. Invece don Franco lo speziale si met- teva a ridere fra i peli della barbona, e gli giurava fregando- si le mani che se arrivavano a mettere assieme un po’ di repubblica, tutti quelli della leva e delle tasse li avrebbero presi a calci nel sedere, ché soldati non ce ne sarebbero stati più, e invece tutti sarebbero andati alla guerra, se bisogna- va. Allora padron ’Ntoni lo pregava e lo strapregava per l’a- mor di Dio di fargliela presto la repubblica, prima che suo nipote ’Ntoni andasse soldato, come se don Franco ce l’a- vesse in tasca; tanto che lo speziale finì coll’andare in colle- ra. Allora don Silvestro il segretario si smascellava dalle risa a quei discorsi, e finalmente disse lui che con un certo gruz- zoletto fatto scivolare in tasca a tale e tal altra persona che sapeva lui, avrebbero saputo trovare a suo nipote un difetto da riformarlo. Per disgrazia il ragazzo era fatto con coscien- za, come se ne fabbricano ancora ad Aci Trezza, e il dottore della leva, quando si vide dinanzi quel pezzo di giovanotto, gli disse che aveva il difetto di esser piantato come un pila- stro su quei piedacci che sembravano pale di ficodindia; ma i piedi fatti a pala di ficodindia ci stanno meglio degli stiva- lini stretti sul ponte di una corazzata, in certe giornataccie; e perciò si presero ’Ntoni senza dire «permettete». La Longa, mentre i coscritti erano condotti in quartiere, trot- 8. riformarlo: ‘dispensarlo dal servizio militare’. — come... ficodindia: questa lezione, che impiega moduli espressivi adeguati all'esperienza quotidiana dei personaggi sia per la scelta lessicale (il generico «pila stro», l'accrescitivo deformante «piedacci»), sia per l'ambito della simi litudine («e pale di ficodindia”, cioè i rami larghi e appiattiti del fico d'India), sostituisce solo nelle bozze di stampa la lezione del manc scritto «sui larghi piedi come il David di Michelangiolo». Cfi Fantasticheria, p. 134: «vi sembrava un David di rame, ritto colla sua fiocina in pugno» (ma in una riedizione della novella, nel Numero spe- ciale di Natale e Capodanno della «Illustrazione italiana» 1893, ricom- : «come il David di Michelangelo»). serma’. — abitino della Madonna: «è una specie di sca- 9. quartiere: Letteratura italiana Einaudi 13 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo tando trafelata accanto al passo lungo del figliuolo, gli anda- va raccomandando di tenersi sempre sul petto l’abitino della Madonna, e di mandare le notizie ogni volta che tornava qualche conoscente dalla città, che poi gli avrebbero man- dato i soldi per la carta. Il nonno, da uomo, non diceva nulla; ma si sentiva un gruppo nella gola anch'esso, ed evitava di guardare in faccia la nuora, quasi ce l’avesse con lei. Così se ne tornarono ad Aci Trezza zitti zitti e a capo chino. Bastianazzo, che si era sbrigato in fretta dal disarmare la Provvidenza, per andare ad aspettarli in capo alla via, come li vide comparire a quel modo, mogi mogi e colle scarpe in mano, non ebbe animo di aprir bocca, e se ne tornò a casa con loro. La Longa corse subito a cacciarsi in cucina, quasi avesse furia di trovarsi a quattrocchi colle vecchie stoviglie, e padron ’Ntoni disse al figliuolo: — Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta; non ne può più. Il giorno dopo tornarono tutti alla stazione di Aci Castello per veder passare il convoglio dei coscritti che andavano a polare 0 di talismano religioso, formato da due pezzetti di panno lano con la immagine o il nome della Madonna attaccato a due nastri, che le devote portano da un lato sul petto, e dall’altro sulle spalle» (Verga). Cfr. La Lupa, p. 199; Cos'è il Re, p. 243 e Pane nero, in Novelle rustica- ne, p. 325 e p. 328; Camerati, in Per le vie, io di che polivalente; traduce, con scoperta mimesi del parlato, il siciliano ca. Verga ne fa esplicito cenno in una lettera al traduttore francese E. Rod: «[..] farete bene a sopprimere o a sostituire [...] quegli incidenti legati dal che, caratteristici in siciliano, ma che nell'italiano formarono la mia disperazione quando intrapresi questo tentativo arrischiato di lasciare iù che potevo l'impronta del colore locale anche nello stile del mio bro». gruppo: di diffusa attestazione per ‘groppo, nodo"; ma cr. anche il siciliano «gruppu di chiantu» (‘voglia di piangere’) (Mortillaro). — disarmare: ‘levare le attrezzature dopo l'ormeggio’. 10. i buoi... alla fiera: III, I: «pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di Sant'Alfio». Curiosamente l’immagine, così in sintonia col mondo rusticano, ricorre anche in una lettera alla famiglia del febbraio Letteratura italiana Einaudi 14 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo Longa nell’apparecchiare il deschetto, 0 a proposito di certa ganza che ’Ntoni sapeva fare meglio di ogni altro alla funi- cella della vela, e quando si trattava di serrare una scotta tesa come una corda di violino, o di alare una parommella che ci sarebbe voluto l’argano. Il nonno ansimando cogli ohi! ooohi! intercalava - Qui ci vorrebbe ’Ntoni - oppure — Vi pare che io abbia il polso di quel ragazzo? La madre, men- tre ribatteva il pettine sul telaio — uno! due! tre! — pensava a quel bum bum della macchina che le aveva portato via il figliuolo, e le era rimasto sul cuore, in quel gran sbalordi- mento, e le picchiava ancora il petto, — uno! due! tre! Il nonno poi aveva certi singolari argomenti per confor- tarsi, e per confortare gli altri: — Del resto, volete che vel dica? Un po’ di soldato gli farà bene a quel ragazzo; ché il suo paio di braccia gli piaceva meglio di portarsele a spasso la domenica, anziché servirsene a buscarsi il pane. Oppure: — Quando avrà provato il pane salato che si man- gia altrove, non si lagnerà più della minestra di casa sua. sonorizzazione tipica dei dialetti centro-meridionali, è attestata nel manoscritto; compare anche in uno dei primi abbozzi (M 3, p. 79): «on era un piacere sentirlo anzimare» e in M 9, p. 22. In A si legge ad es. «Ascenzione», corretto solo nelle bozze in «Ascensione» (IX, 2). Vedi anche G. P. Marchi, Concordanze verghiane, Fiorini, Verona 1970, p. 84. — ribatteva... sul telaio: «è il battere e ribattere contro il tessuto nel telaio quell’arnese formato di stecchine metalliche, o di canna, fra ciascuna delle quali passa uno dei fili dell’ordito, affine di serrare i fili che formano la stoffa» (Verga). — a quel bun: bum: la soluzione onoma- topeica sostituisce solo nelle bozze la lezione di A: «ai colpi di stan- tuffo». Vedi anche IX, 24. 14. buscarsi: qui nell'accezione di ‘guadagnarsi’, ‘procacciarsi’; la forma, che richiama, pur essendo di circolazione ampia, il siciliano «vuscari», cabbuscari», è di impiego frequente nel romanzo (cfr. ad es. 1, 4, 19; IÎ, 15; VI, 12; X, 32; XIV, 33; XV, 30) e in genere nella produ- zione ‘rusticana’ (è presente ad es. già in Nedda, p. 13); secondo il Petrocchi «sente un po' del volgare l'azione e il verbo». Cfr. anche nelle Storie del castello di Trezza, in Primavera e altri racconti, p. 89: «soglio- no gironzare la notte, in busca di requiem». -Quando.. sua: cir. «Lu pani d’autru è salati» Pitrè, IL p. 384). Letteratura italiana Einaudi 17 15 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo Finalmente arrivò da Napoli la prima lettera di ’Ntoni, che mise in rivoluzione tutto il vicinato. Diceva che le donne, in quelle parti là, scopavano le strade colle gonnelle di seta, e che sul molo c'era il teatro di Pulcinella, e si ven- devano delle pizze, a due centesimi, di quelle che mangiano i signori, e senza soldi non ci si poteva stare, e non era come a Trezza, dove se non si andava all’osteria della Sat4zz4a non si sapeva come spendere un baiocco. - Mandiamogli dei soldi per comperatsi le pizze, al goloso! brontolava padron ’Ntoni; già lui non ci ha colpa, è fatto così; è fatto come i merluzzi, che abboccherebbero un chiodo arrugginito. Se non l’avessi tenuto a battesimo su queste braccia, direi che don Giammaria gli ha messo in bocca dello zucchero invece di sale. La Mangiacarrubbe, quando al lavatoio c’era anche Sara di comare Tudda, tornava a dir - Sicuro! le donne vestite di seta aspettavano apposta ’Ntoni di padron ’Ntoni per rubarselo; che non ne avevano visti mai dei cetrioli laggiù! Le altre si tenevano i fianchi dal ridere, e d’allora in poi le ragazze inacidite lo chiamarono «cetriuolo». 15. mise in rivoluzione: cf. XI, 1: «dl paese era in rivoluzione per loro». — scopavano... seta: allude alle gonne lunghe e con strascico delle donne di città, viste con gli occhi ingenui di ’Ntoni. - Sanzuzzz: il corsi vo ne segna il valore di nomignolo; cir. c. 17. — baiocco: moneta di basso valore in uso negli Stati pontifici, poi estesa a sign i re. — come... arrugginito: tanto sono voraci. La similitudine, in sintonia collinguaggio di una comunità di pescatori, dilata l'appellativo di «golo- so», ma contemporaneamente ribadisce l’ingenuità di ’Ntoni. 16. Mangiacarrubbe: la povertà dell'alimento, usato come mangime per gli animali, determina l’allusione ‘ingiuriosa’ del nomignolo. - cetriuoli: «per ischemo ad uomo dappoco e senza senno» (Rigutini- Fanfani); con analoga accezione figurata, il siciliano «citrolu» (Mortillaro); la ripresa successiva tra virgolette ne segna l'impiego d'ora innanzi come nomignolo (cfr. VI, 3; VII, LI e 13; IX, 62). Alla luce delle vicende che vedranno coinvolto ’Ntoni, va segnalata una curiosa attestazione nel Pitrè, III, p. 181: «Cui nesci fora di la sò casedda, si chia- ma citrolu». Letteratura italiana Einaudi 18 17 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo ’Ntoni aveva mandato anche il suo ritratto, l'avevano visto tutte le ragazze del lavatoio, come la Sara di comare Tudda lo faceva passare di mano in mano, sotto il grembiule, e la Mangiacarrubbe schiattava dalla gelosia. Pareva San Michele Arcangelo in carne ed ossa, con quei piedi posati sul tappeto, e quella cortina sul capo, come quella della Madonna dell’Ognina, così bello, lisciato e ripulito che non l'avrebbe riconosciuto più la mamma che l'aveva fatto; e la povera Longa non si saziava di guardare il tappeto e la cor- tina e quella colonna contro cui il suo ragazzo stava ritto impalato, grattando colla mano la spalliera di una bella pol- trona; e ringraziava Dio e i santi che avevano messo il suo 17. Pareva San Michele Arcangelo...: il tradizionale ritratto, con il posticcio apparato da studio fotografico scambiato per arredo lussuoso («galanterie»), viene letto dalla Longa nei termini dell’iconografia sacra a lei più familiare; al pari di un'immagine sacra verrà quindi posto sui canterano, immancabile arredo della casa contadina, sotto la campana di vetro (cfr. X, 75). Vedi Salomone-Marino, p. 26: «Di faccia al telajo un canterano, con sopra qualche boccia di vetro, qualche ninnolo, e una più o meno grande scaffarrata, specie di scarabattola che accoglie l'immagine in cera del Bambino Gesù, parata di fiori e di nastri». — tutte quelle galanterie: cfr. il siciliano «galanitaria» nel senso di «mercanziuo- Je di lusso e di lavoro gentile» (Mortillaro). Lezione raggiunta solo nelle bozze; in A: «tutta quella grazia di Dio» ? «tutte quelle ricchezze» ? «tutto quel ben di Dio». Cfr. Mastro-don Gesualdo, IV, I, p. 398: de galanterie disposte in bell’ordine sui mobili». - che.. avemsarie: l'impli cito valore consecutivo del «che» rivela la malignità dell’allusione. suor Mariangela la Santuzza: non è suora, nè tanto meno santa (il nomi. gnolo è quindi ancora una volta antifrastico); appartiene alla Confraternita delle Figlie di Maria. Nella lista di proverbi che compare fra le carte preparatorie Verga registra: «Bagascia vecchia e putiari (‘bot- tegai”) divoti passaci arrassu (‘lontano’’» (Pitrè, II, p. 412). - Cinghialenta: îl nomignolo trae probabilmente origine dal «modulo dialettale allintari a currìa ‘sciogliersi la cinta’ [...] confermato conte- stualmente dall’abitudine del carrettiere di picchiare la moglie con la cavezza» (G. Alfieri, Lettera © figura cit., p. 48); cfr. XV, 30. Nel Mortillaro però è pure attestato: «Allintaricci li cinghi», per metafora vale ‘cedere dal suo impegno», che giustificherebbe un'origine del nomignolo in sintonia con la raffigurazione del personaggio presente negli appunti preparatori: «..sempre ubbriaco, dormente bocconi sul suo carro». Letteratura italiana Einaudi 19 20 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo i giovanotti quando andava a messa. «L'uomo è il fuoco, e la donna è la stoppa: viene il diavolo e soffia.» Perciò si dove- va aiutarsi colle mani e coi piedi per mandare avanti quella barca della casa del nespolo. Padron ’Ntoni adunque, per menare avanti la barca, aveva combinato con lo zio Crocifisso Campana di legno un negozio di certi lupini da comprare a credenza per venderli a Riposto, dove compare Cinghialenta aveva detto che c’era un bastimento di Trieste a pigliar carico. Veramente i lupini erano un po’ avariati; ma non ce n'erano altri a Trezza, e quel furbaccio di Campana di legno sapeva pure che la Provvidenza se la mangiavano inutilmente il sole e 1’ acqua, dov'era ammarrata sotto il lavatoio, senza far nulla; perci ostinava a fare il minchione. — Eh? non vi conviene? lascia- 20. Campana di legno: citando il proverbio «Campana di lignu, Pasqua ‘mpressi» (‘vicina’) (III, p. 21), i Pitrè spiega che «da campana di legno si sonava [...] la seconda metà del giovedì santo, il venerdì e la mattina del sabato santo». Per l’orî ong del resto espli- citamente motivata nel romanzo (cfr. IV, 1), vale l'attestazione del Mortillaro: «Campana dî lignu, nel famiglia: significa simulata sor- dità». Ma cfr. anche I, 20: «e dimenava il capo che pareva una campa- na senza batacchio davvero». — negozio: ‘affare’ (in siciliano «nigoziv») Negli appunti sullo svolgimento dell’azione si precisa la data dell'even- to: «Martedì 17 sett(embre) Stimate di S. Francesco» (cfr. I, 7, 25; IV, 20). — lupini: semi commestibili di una pianta erbacea della famiglia delle leguminose. «Pianta maladetta da Dio» la definisce il Pitrè, che riporta la leggenda popolare, da cui prende origine la credenza secon do la quale la Sacra Famiglia, durante la fuga in Egitto, non avrebbe potuto trovare riposo in un campo di lupini per il rumore prodotto dai baccelli maturi (vedi Alberi e piante negli usi e nelle credenze popolari siciliane, estratto da Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, ed. anastatica, Forni, Bologna 1977, p. 176). — 4 credenza: ‘a credito —Riposto: paese sulla costa orientale della Sicilia, a circa venti chilome- tri a nord di Trezza. - se la mangiava: singolare per il plurale (clr. anche VII, 48; X, 28; XIII, 36; XV, 27), quasi «Îl sole e l’acqua» costituissero una sola entità, In A: «de [riferito alle due barche, l'Immacolata e la Provvidenza, della primitiva versione] mangiavano il sole e l'acqua». Nell’abbozzo M3 (p. 81), corsivo segna il valore idiomatico del verbo nella specifica accezione: «il sale marino se l'era mangiato” [riferito a padron ’Ntoni]. — ammarrata sotto il lavatoio: cfr. I, 2. Letteratura italiana Einaudi 22 21 22 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo teli! Ma un centesimo di meno non posso, in coscienza! che l’anima ho da darla a Dio! — e dimenava il capo che pareva una campana senza batacchio davvero. Questo discorso avveniva sulla porta della chiesa dell’Ognina, la prima domenica di settembre, che era stata la festa della Madonna, con gran concorso di tutti i paesi vicini; e c’era anche com- pare Agostino Piedipapera, il quale colle sue barzellette riu- scì a farli mettere d'accordo sulle due onze e dieci a s da pagarsi «col violino» a tanto il mese. Allo zio Crocifisso gli finiva sempre così, che gli facevano chinare il capo per forza, come Peppinino, perché aveva il maledetto vizio di non saper dir di no. - Già! voi non sapete dir di no, quan- do vi conviene, sghignazzava Piedipapera. Voi siete come le... e disse come. Allorché la Longa seppe del negozio dei lupini, dopo cena, mentre si chiacchierava coi gomiti sulla tovaglia, rima- 21. festa della Madonna: dell'Ognina (cfr. 1,1); si celebra l'8 settem- bre. Cir. anche IX, 1 e V, 9; inoltre Storie del castello di Trezza, p. guisa dei razzi che si sparano per la festa della Madonna dell’Ognina». — Piedipapera: l'origine del soprannome si chiarirà all’inizio del capito- lo IL: «vociava... accorrendo colla gamba storta». Negli appunti lo si definisce: «sensale, intrigante, arruffapopolo, maldicente, con aria da burlone, sciancato..» — due onze... salma: lonza era «una moneta anti- ca siciliana del valore di fr. 12,75 [...]. E dieci, intendesi dieci tarì. I tar era una moneta antica siciliana, la 30a parte di un’onza, del valore di 42 cent. e mezzo circa» (Verga). La salma era un'antica misura di capacità per cereali, corrispondente a circa 270 litri; veniva impiegata anche come unità di superficie, pari a mq 17. — pagarsi «col violino»: espres- sione in uso presso «I basso popolo siciliano» col significato di «paga- re una certa somma di denaro a piccole rate» (Verga). — Peppirino: vale ‘sciocco, che non sa reagire alle offese’ (cir. egli facevano chinare il capo per forza”). Maschera comic ana del teatro dei pupi (cfr. IL, 25); in origine Peppie-Ninu, da cui deriverebbe il nome (vedi G. Alfieri, Innesti fraseologici nei Malavoglia, in «Bollettino del Centro di Studi filologici e linguistici siciliani», XIV (1980), pp. 22-25). — e disse come: sostituisce in A: «e trovò un paragone sconcio». 22. Ma le donne... piccino: l'uso del presente conferisce all’espressio- neil valore di massima fatta propria dal narratore. «Cori nicx 0 cori pic- ciriddu, vale 0 troppo timido e irrisoluto 0 parco e ritenuto nel dare» (Mortillaro). Letteratura italiana Einaudi 23 23 24 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo primo se a bocca aperta; come se quella grossa somma di qua- rant’onze se la sentisse sullo stomaco. Ma le donne hanno il cuore piccino, e padron ’Ntoni dovette spiegarle che se il negozio andava bene c’era del pane per l'inverno, e gli orec- chini per Mena, e Bastiano avrebbe potuto andare e venire in una settimana da Riposto, con Menico della Locca. Bastiano intanto smoccolava la candela senza dir nulla. Così fu risoluto il negozio dei lupini, e il viaggio della Provvidenza, che era la più vecchia delle barche del villag- gio, ma aveva il nome di buon augurio. Maruzza se ne sen- tiva sempre il cuore nero, ma non apriva bocca, perché non era affar suo, e si affaccendava zitta zitta a mettere in ordine la barca e ogni cosa pel viaggio, il pane fresco, l’orciolino coll’olio, le cipolle, il cappotto foderato di pelle, sotto la pedagna e nella scaffetta. Gli uomini avevano avuto un gran da fare tutto il giorno, con quell’usuraio dello zio Crocifisso, il quale aveva vendu- to la gatta nel sacco, e i lupini erano avariati. Campana di legno diceva che lui non ne sapeva nulla, come è vero Iddio! «Quel ch’è di patto non è d’inganno»; che l’anima lui non doveva darla ai porci! e Piedipapera schiamazzava e bestemmiava come un ossesso per metterli d'accordo, giu- rando e spergiurando che un caso simile non gli era capita- to da che era vivo; e cacciava le mani nel mucchio dei lupi- 23. cuore nero: clî, VII, 13. — pedagna... scaffetta: la pedagna è «quel- l’asse 0 pezzo di tavola, fissata nel fondo della barca, alla quale il mari- naio appoggia i piedi nel remare” e la saafferta è «quella cassetta o ripo- stiglio che è nelle barche dei pescatori sotto il sedile 0 banco» (Verga). 24. aveva venduto la gatta nel sacco; aveva cioè venduto i lupini senza informare padron ’Ntoni che erano avariati. L'espressione, attestata nel Rigutini-Fanfani e nel Petrocchi, compare anche nel modulo prover- biale siciliano «accattari la gatta ‘tra lu sacci» (Mortillaro), cioè ‘com- prare qualche cosa senza controllame la qualità’. — «Quel. inganno»: cfr. Pitrè, I, p. 313: «Chiddu ch'è di pattu, ‘un è di ngannu ». — anima. ai porci!: riprende «l’anima ho da darla a Dio!» (1, 20), con variante che evidenzia il crescendo di concitazione dello zio Crocifisso. Letteratura italiana Einaudi 24 1 I Per tutto il paese non si parlava d’altro che del negozio dei lupini, e come la Longa se ne tornava a casa colla Lia in collo, le comari si affacciavano sull’Uscio per vederla passa- re. — Un affar d’oro! — vociava Piedipapera, arrancando colla gamba storta dietro a padron ’Ntoni, il quale era andato a sedersi sugli scalini della chiesa, accanto a padron Fortunato Cipolla, e al fratello di Menico della Locca che stavano a prendere il fresco. - Lo zio Crocifisso strillava come se gli 1. Per tutto il paese... l'avvio propone il tema evidente variazione tematica e ritmica rispetto alla fine del capitolo pre- cedente. Cir. Mastro-don Gesualdo, III, 1, p. 304: «Nel paese non si par- lava d'altro». — comze: ‘mentre’. — accorrendo colla gamba storta: l'e- spressione, che giustifica il soprannome (cf. I, 21), sostituisce solo nelle ozze, quasi con funzione esplicativa, la lezione di A: «arrancando». Vedi Rigutini-Fanfani: «Arrancare: Il camminare in fretta, proprio degli zoppi o sciancati», ma attestato anche nel Mortillaro, che aggiunge: «quasi si tirino e si strascinino dietro l'anche». Si trasformerà, con lievi variazioni, in formula legata al personaggio (cfr. II 29; VI, 33; VII, 44, 45; XII, 8). — penne mastre: ‘penne principali delle ali. Cfr. «Levare ad uno le penne maestre dicesi proverbialmente per ‘Toglierli la principal parte dell’avere’» Rigutini-Fanfani). Ma anche nel Mortillaro è attesta- to: «Scippari na pinna di ficatu (‘fegato’), modo proverbiale vale ‘torre altrui la miglior parte dell’avere’. Cavare le penne maestre». — si sarebbe buttato... fariglione: cfr. anche IV, 32. Inoltre Manzoni, I promessi sposi, III, p. 54: «si sarebbe, come si dice, buttata nel fuoco per quell’unica »; ibid., VI, p. 99: «Oggi mi butterei nel fuoco per te». — era il mestolo della pentola: era cioè possibile concludere tramite Piedipapera i vantaggiosi. Clr. «Essiri cucchiara di tutti pignati, dicesi di c cognizione di molte cose, ed è abile nel maneggio degli affari» (Mortillaro). «Mestolo» sostituisce nelle bozze la lezione di A: «cuc- chiajo». Cir. Manzoni, I promessi sposi, IX, p. 156: «avevano, come si suol dire, il mestolo in mano». Letteratura italiana Einaudi 27 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo strappassero le penne mastre, ma non bisogna badarci, per- ché delle penne ne ha molte, il vecchio. — Eh! s'è lavorato! potete dirlo anche voi, padron ’Ntoni! — ma per padron ’Ntoni ei si sarebbe buttato dall’alto del fariglione, com'è vero iddio! e a lui lo zio Crocifisso gli dava retta, perché egli era il mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui bolli- vano più di duecento onze all'anno! Campana di legno non sapeva soffiarsi il naso senza di lui. Il figlio della Locca, udendo parlare delle ricchezze dello zio Crocifisso, il quale a lui gli era zio davvero perché era fratello della Locca, si sentiva gonfiare in petto una gran tenerezza pel parentado. - Noi siamo parenti, ripeteva. Quando vado a giornata da lui mi dà mezza paga, e senza vino, perché siamo parenti. Piedipapera sghignazzava. — Lo fa per tuo bene, per non farti ubbriacare, e lasciarti ricco quando creper: Compare Piedipapera si divertiva a sparlare di questo e di quello, come capitava, ma così di cuore, e senza malizia, che pi 2. gli era zio davvero: cfr 1,2. 3. pigliarsela in criminale: ‘adirarsi’ (Trama). Nel Mortillaro: «Pigghiarisi li così neriminali, vale ‘per ogni nonnulla incolleri - i». Nell'abbozzo M 4: «pigliarsela a male». — dirsi... rosario: si allu- de maliziosamente alla tresca con Massaro Filippo. L'ambito della metafora è ironicamente în relazione col nomignolo del personaggio (Santuzza). Cr. II, 34; X, 56: «per aiutarla a dire le orazioni chiusa: è il terreno recintato adibito al pascolo o alla coltivazione. Vedi Nedda, p. 25 (il termine è segnato dal corsivo); La Lupa, p. 197. — la Vespa: il personaggio è individuato sempre col solo nomignolo, che trae origine dalla prontezza e mordacità della sua lingua (cfr. 1 «sfoderò Ja lingua come un pungiglione»; VIII, 7), e forse anche dalla sua ‘intra- prendenza’ (nel Petrocchi si registra l'uso figurato riferito a egio lesta, pronta»), Negli appunti preparatori, come attributo spe «tenta di farsi sposare dallo zio». — pulirté la bocca: anche VIII, 12. Vedi Riguti: a mente e in ischerno ‘Abbando bilità di conseguirla”». Una va benda, in Per le vie, p. 392: «se dità vi leccherete i baffi». per impossi- in Amore senza Letteratura italiana Einaudi 28 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo non c'era verso di pigliarsela in criminale. - Massaro Filippo è passato due volte dinanzi all’osteria, diceva pure, aspetta che la Santuzza gli faccia segno di andarla a raggiungere nella stalla, per dirsi insieme il santo rosario. Oppure al figlio della Loce - Tuo zio Crocifisso cerca di rubarle la chiusa, a tua cugi- na la Vespa; vuol pagargliela la metà di quel che vale, col darle ad intendere che la sposerà. Ma se la Vespa riesce a farsi rubare qualche cos'altro, potrai pulirti la bocca della speranza dell'eredità, e ci perdi i soldi e il vino che non ti ha dato. Allora si misero a quistionare, perché padron ’Ntoni sosteneva che lo zio Crocifisso alla fin fine era cristiano, e non aveva dato ai cani il suo giudizio, per andare a sposare la figliuola di suo fratello. - Come c'entra il cristiano e il turco? ribatteva Piedipapera. E un pazzo, volete dire. Lui è ricco come un maiale, mentre la Vespa non possiede altro che quella chiu- sa grande quanto un fazzoletto da naso. — Lo dite a me che ci ho a limite la vigna, padron Cipolla gonfiandosi come un tacchino. — Li chiamate vigna quei quattro fichidindia? Piedipapera. 4. quistionare: ‘discutere animatamente’; forma più popolare di ‘que- stionare’ (Petrocchi). — era cristiano... giudizio: era un buon uomo e non era uscito di senno (cfr. Mortillaro: «Cristianu, per antonomasia vale ‘Savio’, ‘Prudente’»). Ripreso successivamente in opposizione a «turco (cfr. I, 19). Per la complessa valenza semantica di ‘cristiano’, vedi G. Alfieri, Lettera e figura cit., pp. 141-44. — ricco come un maiale: vedi Muasiro-don Gesualdo, IV, IV. p. 432: «Avete fatto che siete ricco come un maiale!» — insaccato: ‘coperto di nubi’. «Quando il sole. ponente»: padron Ntoni corregge a proprio vantaggio, augurandosi un vento propizio per la Provvidenza (cir. «Quannu lu suli si curca "nsacca- tu v'aspettanu li venti di Punento», Pitrè, II, p. 59), le precedenti paro- le di padron Cipolla, che traducono, pur non essendo evidenziate dalle virgolette, il proverbio: «Quannu lu suli si ’usacca, ventu o acqua» (Pitrè, ILL p. 59). Letteratura italiana Einaudi 29 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo al fresco, col vicario e qualchedun altro. Come sapeva di let- tere leggeva la gazzetta, e la faceva leggere agli altri, e ci aveva anche la Storia della Rivoluzione francese, che se la teneva là, a portata di mano, sotto il mortaio di cristallo, perciò quistionavano tutto il giorno con don Giammaria, il vicario, per passare il tempo, e ci pigliavano delle malattie dalla bile; ma non avrebbero potuto stare un giorno senza vedersi. Il sabato poi, quando arrivava il giornale, don Franco spingevasi sino ad accendere mezz'ora, ed anche un’ora di candela, a rischio di farsi sgridare dalla moglie, onde spiattellare le sue idee, e non andare a letto a mo’ dei bruti, come compare Cipolla, o compare Malavoglia. L'estate poi non c’era neppur bisogno della candela, giacché si poteva star sull’uscio, sotto il lampione, quando mastro Cirino l’accendeva, e qualche volta veniva don Michele, il brigadiere delle guardie doganali; e anche don Silvestto, il segretario comunale, tornando dalla vigna si fermava un momento. Allora don Franco diceva, fregandosi le mani, che pareva un piccolo Parlamento, e andava a piantarsi dietro il banco, pettinandosi colle dita la barbona, con certo sorriso furbo p. 295: «Disse poi le sue solite divozioni; e per di più chiese perdono a Domeneddio di non averle dette la sera avanti; anzi per dir le sue paro- le, d'essere andato a dormire come un cane [...}». 9. pettinandosi... barbona: ci. 1,7. — colezione: la forma si alterna con «colazione» (cfr. VI, 11). — ci si mangiava... parole latine: sostituisce in A «si arrabbiava e lo fulminava d’invettive vernacole e latine». — rad- dvizzare le gambe ai cant ‘fare qualcosa d'impossibile’. Vedi anche Manzoni, I promessi sposi, I, p. 20: «Questo chiamava un comprarsi gl'impicci a contanti, un voler raddirizzar le gambe ai cani». — senza scarpe ai piedi: cfr. Guerra di santi, în Vita dei campi, p. 213: «ognuno se li rammentava senza scarpe ai piedi». — serzbrava una gallina: si trasfor- merò in epiteto fisso per don Silvestro (cfr. Il, 27; IV, 25; X, 98). Il pas- saggio di sequenza avviene probabilmente sulla scorta del diffuso pro- verbio «Gallina che schiamazza ha fatto l’uovo» (Rigutini-Fanfani), che suggerisce la successiva trama metaforica: al l'uovo... fa le uova d'oro (sfrutta a suo vantaggio la carica che riveste’)... preferisce le uova delle sue galline. Letteratura italiana Einaudi 32 10 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo che pareva si volesse mangiare qualcuno a colazione, e alle volte si lasciava scappare sottovoce delle mezze parole dinanzi alla gente, rizzandosi sulle gambette, e si vedeva che la sapeva più lunga degli altri, tanto che don Giammaria non poteva patirlo e ci si mangiava il fegato, e gli sputava in fac- cia parole latine. Don Silvestro, lui, si divertiva a vedere come si guastavano il sangue per raddrizzare le gambe ai cani, senza guadagnarci un centesimo; egli almeno non era arrabbiato come loro, e per questo, diceviano in paese, pos- sedeva le più belle chiuse di Trezza, — dove era venuto senza scarpe ai piedi — aggiungeva Piedipapera. Ei li aizzava l’un contro l’altro, e rideva a crepapancia con degli Ah! ah! ah! che sembrava una gallina. - Ecco don Silvestro che fa l’uovo, osservò il figlio della Locca. - Don Silvestro fa le uova d’oro, laggiù al Municipio, rispose Piedipapera. - Uhm! - sputò fuori padron Fortunato — pezzenterie! comare Zuppidda non gli ha voluto dare la figliuola. - Vuol dire che mastro Turi Zuppiddu preferisce le uova delle sue galline; rispose padron Ntoni. E padron Cipolla disse di sì col capo. — «Ntroi ’Ntroi, ciascuno coi pari suoi», aggiunse padron Malavoglia. Piedipapera allora ribatté che se don Silvestro si fosse contentato di stare coi suoi pari a quest'ora ci avrebbe la zappa in mano, invece della penna. 10. «Ntroî... suovî: cîr. «Ntròntrò cu li pari td*» Pitrè, II, p.70).I suoni iniziali, privi di senso, sono impiegati solo per ragioni di rima, infatti IX, 57: « Ntrua ’ntrua! ciascuno a casa sua»). La primitiva ver- sione del proverbio compare, non virgolettata, nel testo base di A: «Pari con pari e statti con i tuoi». Nell'abbozzo M 5, p. 25 («Pari con pari e starti coi tuoi») e M6, p. 29: «Pari con pari e giuoca coi tuoi» (cfr. Pitrè, I, p. 241: «Pari cu pari, e joca cu li to»). Letteratura italiana Einaudi 33 Il Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo — Che ce la dareste voi vostra nipote Mena? disse alfine padron Cipolla, volgendosi a padron Ntoni. — «Ognuno all’arte sua, e il lupo alle pecore». Padron Cipolla continuava a dir di sì col capo, tanto più che fra lui e padron ’Ntoni c’era stata qualche parola di maritar la Mena con suo figlio Brasi, e se il negozio dei lupini andava bene, la Mena avrebbe avuto la sua dote in contante, e l’af- fare si sarebbe conchiuso presto. — «La ragazza com’è educata, e la stoppa com'è filata», disse infine padron Malavoglia, e padron Cipolla confermò che tutti lo sapevano in paese che la Longa aveva saputo educarla la figliuola, e ognuno che passava per la stradic- ciuola a quell'ora, udendo il colpettare del telaio di Sant'Agata diceva che l'olio della candela non lo perdeva, comare Maruzza. La Longa, com'era tornata a casa, aveva acceso il lume, e 11. «Ognuno... pecore»: variante italiana fornita dal Pitrè (II, p. 438) per il proverbio siciliano: «Ognunu campa cu l’arti sua». A chiarire il senso preciso del proverbio, Îa lezione precedente in A: «Mia nipote Mena deve sposare uno mestiere di suo padre». — Brasi: Biagio. — «La ragazza..filata»: la stoppa può acquistare valore dal modo con cui è filata, così una ragazza può essere giudicata dal modo con cui è edu- cata; cf. Pitr, Il, p. 91: «La figghia com'è addivata (‘allevata’) (o La pic- ciotta com'è signata), la stuppa com'è ilata». Cfr. anche VIII, 26. — col pettare: indica i colpi del pettine sul telaio (cfr I, 13; XV, 47); forma non comune (nel Battaglia è attestata proprio da quest'unico esempio), rispetto a «colpeggiare». Cfr. anche VII, 10: «L...] nell'acqua verde che le colpettava attorno ai fianchi». — l'olio... perdeva: cfr. Nedda, p. 6: da vecchia castalda filava, tanto perchè la lucerna appesa alla cappa del focolare non ardesse per nulla». 12. cannelli: pezzi di canna, tagliati tra nodo e nodo, attorno ai quali si avvolgeva il filo del ripieno (il filo cioè col quale si riempie l’ordito della tela); cfr. «Fare i cannelli» (Rigutini-Fanfani). — stare alla fine- stra.il sintagma, così denso di valenze simboliche nel linguaggio rusti cano, genera il proverbio seguente (cfr. «A fimmzina ’n finestra ‘un fari festa, Pitrè, I, p. 61) e organizza sia la battuta della cugina Anna (cfr. l'attestazione del Nicotra: «cui avi facci granni, 0 tosta, si marita») sia il nuovo ambito metaforico che si determina («un marito se lo pescano»... «si era lasciato irretire dentro le gonnelle»), per confluire circolarmen- Letteratura italiana Einaudi 34 15 16 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo lasciar la bestiola sulla strada a quell’ora, aveva aperto l’u- scio, e così s'era ficcati i ladri in casa. AI giorno d’oggi i mariuoli ne inventano di ogni specie per fare i loro tiri; e a Trezza si vedevano delle facce che non si erano mai viste sugli scogli, col pretesto d’andare a pescare, e arraffavano la biancheria messa ad asciugare, se capitava. Alla povera Nunziata le avevano rubato in quel modo un lenzuolo nuovo. Povera ragazza! rubare a lei che lavorava per dare pane a tutti quei fratellini che suo padre le aveva lasciato sulle spalle, quando l’aveva piantata per andare a cercar for- tuna ad Alessandria d'Egitto! - Nunziata era come la cugi- na Anna, quando l'era morto il marito, e le aveva lasciato quella nidiata di figliuoli, che Rocco, il più grandicello, non le arrivava alle ginocchia. Poi alla cugina Anna le era tocca- to di tirar su quel fannullone per vederselo rubare dalla Mangiacarrubbe. In mezzo a quel chicchierio saltò su la Zuppidda, la moglie di mastro Turi il calafato, la quale stava in fondo alla straduccia, e compariva sempre all’improvviso, per dire la sua come il diavolo nella litania, ché nessuno s’accorgeva di dove fosse sbucata. — Del resto, venne a brontolare, vostro figlio Rocco non vi ha aiutata neppure lui, ché se si è buscato un soldo è anda- to subito a berlo all’osteria. La Zuppidda sapeva tutto quello che succedeva in paese 15. calafato: l'artigiano che tura con stoppa le commessure fra le tavole del fasciame della barca, spalmandole poi di catrame e pece per renderle impermeabili. - come il diavolo nella litania: cioè improvvisa- mente e inaspettatamente. La similitudine offre lo spunto per il succes- sivo sviluppo metaforico («diceva la verità come il santo evange- lio»...«dingua d'inferno»). — buscato: ct. 1, 14. 16. far la spia: cl. IX, 62. Cln. anche Manzoni, I promessi sposi, VI, p. 89: «venire a farmi la spia in casa». — fuso: l’amese di legno su cui si avvolge il filato. Insieme alla conocchia diventerà un particolare inscin- dibile dal personaggio (cfr. V, 18; VII, 5, 38; X, 55; XII 17; XIII 15). — frullasse: ‘producesse rumore sbattendo sui sassi’. — «Bocca... fiele»: cfr «Vucca amara, feli jetta» Piè, IL, p. 390). — dargli il figlio di T_T 1etteratura italiana Einaudi 37 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo e per questo raccontavano che andava tutto il giorno in giro a piedi scalzi, a far la spia, col pretesto del suo fuso, che lo teneva sempre in aria perché non frullasse sui sassi. Ella diceva sempre la verità come il santo evangelio, que- sto era il suo vizio, e perciò la gente che non amava sentir- sela cantare, l’accusava di essere una lingua d’inferno, di quelle che lasciano la bava. — «Bocca amara sputa fiele»; ed ella ci aveva la bocca amara davvero per quella sua Barbara che non aveva potuto maritare, tanto era superba e sgarba- ta, e con tutto ciò voleva dargli il figlio di Vittorio Emanuele. — Bel pezzo, la Mangiacarrubbe, seguitava, una sfacciata che si è fatto passare tutto il paese sotto la finestra «A donna alla finestra non far festa», e Vanni Pizzuto le portava in regalo i fichidindia rubati a massaro Filippo l’ortolano, e se li mangiavano insieme nella vigna, sotto il mandorlo, li aveva visti lei. — E Peppi Naso, il beccaio, dopo che gli spuntò la gelosia di compare Mariano Cinghialenta, il carrettiere, andava a buttarle dietro l’uscio tutte le corna delle bestie che macel- lava, sicché dicevano che andava a pettinarsi sotto la finestra della Mangiacarrubbe. Vittorio Emanuele: darle per marito il figlio del re; X, 84 (nella variante: «da figlia di V. E»); XV, 16. Cfr. anche Cavulleria rusticana, in Vita dei campi, p. 193: «— Vorrei essere i figlio di Vittorio Emanuele per sposarti! — ». 17. Bel pezzo: qui ‘bel tipo”, in senso ironico; ma anche (cfr. VI, 10) come traduzione di «toecu di fimmina»: «Un bel pezzo di ragazza così». — una sfacciata. festa»: si precisa la connotazione di ‘civettare’, “farsi corteggiare da tutti, per ‘stare alla finestra” (cfr. II, 12) Vedi anche nella riduzione teatrale della novella La Lupa (atto I, scena 1): «affacciava alla finestra per tirarlo in peccato mortale». — beccaio: ‘macellaio’. — spuntò la gelosia: pregnante la scelta del verbo che anticipa la sorte di Peppe Naso, sulla base del proverbio: «C” è gilusu è beccu» (Pitrè, II, p. 100). — andava a pettinarsi: allusione maligna alle corna che gli erano spuntate sul capo (cfr. nota prec.). Becco e cornuto sono continuamente richiamati senza essere citati esplicitamente (cfr. «beccaio»... «corna delle bestie»). Letteratura italiana Einaudi 38 18 19 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo secondo Quel cuor contento della cugina Anna invece la prendeva allegra. — Don Giammaria dice che fate peccato nortale a sparlar del prossimo! - Don Giammaria dovrebbe piuttosto far la predica a sua sorella donna Rosolina, rispose la Zuppidda, e non lasciarle far la ragazzetta con don Silvestro, quando passa, e con don Michele il brigadiere, che ci ha la rabbia del narito, con tutti quegli anni e quella carne che ci ha addosso, la poveraccia! — Alla volontà di Dio! concluse la cugina Anna, Quando è morto mio marito, Rocco non era più alto di questa conoc- chia e le sue sorelline erano tutte minori di lui. Forse che mi son perduta d’animo per questo? Ai guai ci si fa il callo, e poi ci aiutano a lavorare. Le mie figliuole faranno come ho fatto io, e finché ci saranno le pietre al lavatoio avranno di che vivere. Guardate la Nunziata, ora ella ha più giudizio di una vecchietta, e si aiuta a tirar su quei piccini che pare li abbia fatti lei. — E dove è la Nunziata che non si vede ancora? domandò 18. cuor contento: il sintagma è formula proverbiale; cfr. «Cori cun- tenti e li vèrtuli’ n coddu, ‘Cuor contento e sacco al collo» (Fanfani); «Cori cuntenti e ’na fedda di pané» Pitrè, I, p. 75). Negli appunti pre: paratori, gli attributi della cugina Anna sono: «coraggiosa e allegra». Vedi anche XI, 9: «Voi accomodate ogni cosa... e hanno ragione di chia marvi Cuor contento», qui nel senso vicino all'attestazione del Rigutini Fanfani: «Corcontento dicesi a persona amante di ogni comodo e nemi- a d'ogni cura». Cfr. Le coda del diavolo, in Primavera e altri racconti, p. 51: Vagabondaggio, p. 468. — rabbia del marito: altrove (X, 93) «smania di maritarsi»; «desiderio eccessivo, strano. [...] Rabbia di marito» (Petrocchi). Vedi anche IX, 37; inoltre Pare nero, p. 310: «si lasciò scappare una parolaccia «Arrabbiata!» | - Arrabbiata tu! che m'hai rubato il fratello!»; Cos'è il Re, p. 240: «doveva avere addosso la rabbia di vedere il Re». — conocchia: in senso proprio ‘quantità di lana, che deve essere filata”; per estensione ‘rocca per filare" (la canna cioè su cui si pone la lana). — ha più giudizio di una vecchietta: richiama per con- trasto «lasciarle far la ragazzetta» (correzione in A su: «darla civettare»), riferita a Donna Rosolin 19. sciara: vocabolo siciliano di derivazione araba; è «da crosta for- mata sul suolo dai torrenti di lava dell'Etna, i quali, raffreddatisi, for- mano uno strato di roccia nerastra e dura come gli scogli, e dopo cen- Letteratura italiana Einaudi 39 23 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo toppa le camicie — la Nunziata sapeva ogni cosa che faceva il vicino Alfio, e conosceva la sua casa come la pianta della mano; — Adesso, diceva, va a prender la legna; ora sta gover- nando il suo asino — e si vedeva il lume nel Cortile, 0 sotto la tettoia. Sant'Agata rideva, e la Nunziata diceva che per essere preciso come una donna a compare Alfio gli manca- va soltanto la gonnella. - Così, conchiudeva Mena, quando si mariterà, sua moglie andrà attorno col carro dell’asino, e lui resterà in casa ad allevare i figliuoli. Le mamme, in crocchio nella strada, discorrevano anch’esse di Alfio Mosca, che fino la Vespa giurava di non averlo voluto per marito, diceva la Zuppidda, perché la Vespa aveva la sua brava chiusa, e se voleva maritarsi non prendeva uno il quale non possedeva altro che un carro da asino: «carro, cataletto» dice il proverbio. Ella ha gettato gli occhi su di suo zio Campana di legno, la furbaccie Le ragazze fra di loro prendevano le parti di Mosca, con- tro quella brutta Vespaccia; e la Nunziata poi si sentiva il cuore gonfio dal disprezzo che gettavano su di compare Alfio, pel solo motivo che era povero, e non aveva nessuno al mondo, e tutto a un tratto disse a Mena: — Se fossi gran- de io me lo piglietei, se me lo dessero. La Mena stava per dire anche lei qualche cosa; ma cambiò subito discorso. — Che ci vai tu alla città, per la festa dei Morti? — No, non ci vado perché non posso lasciar la casa sola. - Noi ci andremo, se il negozio dei lupini va bene; l'ha detto il nonno. 23. «carro cataletto»: la traduzione elimina la rima presente nel pro- verbio originale siciliano: «carretta, catalettu» (ci. Pitrè, I, 135); in A si mantiene, come nella fonte, la virgola di separazione. 24. Le ragazze... noci: in A l'intero comma è aggiunto nell'interlinea; vengono così accostati, ad intarsio, momenti dialogici di registro diver. so, quando non opposto. — contro quella brutta Vespaccia: sostituisce in A con intensificazione del registro parlato: «perchè la Vespa era brut- tale cattiva». Letteratura italiana Einaudi 42 25 26 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo Poi ci pensò su, e soggiunse: — Compar Alfio ci suole andare anche lui, a vendere le sue noci. E tacquero entrambe, pensando alla festa dei Morti, dove compar Alfio andava a vendere le sue noci. - Lo zio Crocifisso, con quell'aria di Peppinino se la mette in tasca la Vespa! ripigliava la cugina Anna. - Questo vorrebbe lei! rispose di botto la Zuppidda, la Vespa non vorrebbe altio, che se la mettesse in tasca! Ella gli è sempre per casa, come il gatto, col pretesto di portargli i buoni bocconi, e il vecchio non dice di no, tanto più che non gli costa nulla. Ella lo ingrassa come un maiale, quando gli si vuol fare la festa. Ve lo dico io, la Vespa vuole entrar- gli in tasca! Ognuna diceva la sua dello zio Crocifisso, il quale pia- gnucolava sempre, e si lamentava come Cristo in mezzo ai ladroni, e intanto aveva denari a palate, ché la Zuppidda, un giorno che il vecchio era malato, aveva vista una cassa gran- de così sotto il letto. La Longa si sentiva sullo stomaco il debito delle qua- 25. Peppinino: cîr. I, 21, ma anche XII, 6. — se la mette in tasca: la può dominare, giocare facilmente”; più precisa, rispetto al Rigutini- Fanfani e al Petrocchi, l'attestazione del Mortillaro: «Aviri o mettirisi ‘nera la sacchetta ad uni, modo proverbiale che vale ‘potere aggirarlo a sua voglia, e disporre a tutta prova del suo arbitrio in favore proprio odi altri»; cir. anche VII, 42: «se li teneva tutti in tasca». — enzrargli i tasca: oca allusivamente con le espressioni precedenti, assumendo nel con- testo il valore di ‘farsi sposare’; il Fanfani spiega invece la locuzione «entrare in tasca a uno» con «non potergli nuocere» e il Rigutini- Fanfani per «entrarti in tasca una persona» dà «esserti cagione di noia, di fastidio 0 anche di dispiacere». — come Cristo... ladroni: con allusio- ne ironica al nome del personaggio. In serie con altre similitudini o espressioni di analogo ambito metaforico: cfr. 11,29; II, 1; IV, 8; VI, 43; VII, 39, 51; VIII, 22; IX, 31; X, 38; XIII, 30, 77; XIV, 30, 31, 58. 26. si sentiva sullo stomaco: cîx. Cos'è il Re, p. 240: «tutti quei razzi, quella folla, quella luminaria e quello scampanio se li sentiva sullo sto maco»; Mastro-don Gesualdo, I, V, p. 590: «con tutti quei dispiaceri che gli empivano lo stomaco». Letteratura italiana Einaudi 43 27 28 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo rant’onze dei lupini, e cambiò discorso, perché le orecchie ci sentono anche al buio, e lo zio Crocifisso si udiva discor- rere con don Giammaria, mentre passavano per la piaz za, Îì vicino, tanto che la Zuppidda interruppe i vituperi, che stava dicendo di lui per salutarlo. Don Silvestro rideva come una gallina, e quel modo di ridere faceva montare la mosca al naso allo speziale, il quale per altro di pazienza non ne aveva mai avuta, e la lasciava agli asini e a quelli che non volevano fare la rivoluzione un’altra volta. — Già, voi non ne avete mai avuta, perché non sapreste dove metterla! gli gridava don Giammaria; e don Franco, chera piccino, ci si arrabbiava e accompagnava il prete con parolacce che si sentivano da un capo all’altro della piazza, allo scuro. Campana di legno, duro come un sasso, si strin- geva nelle spalle, e badava a ripetere che a lui non gliene importava, e attendeva ai fatti suoi. -— Come se non fossero fatti vostri quelli della Confraternita della Buona Morte, che nessuno paga più un soldo! gli diceva don Giammaria. — La gente, quando si tratta di cavare i denari di tasca, diventa una manica di protestanti, peggio dello speziale, e vi lascia tenete la cassa della Confraternita per farvi ballare i sorci, che è una vera porcheria! Don Franco dalla sua bottega sghignazzava alle loro spal- 27. rideva come una gallina: cîr. II, 9. — piccino: di statura (negli appunti preparatori: «piccino, barbuto e zazzeruto»), ma anche di mente, ‘meschino’. — Confraternità della Buona Morte: associazione giosa che aveva come fine l'assistenza ai moribondi e la cura delle ese- quie. Manteniamo, anche nell'occorrenza successiva, la forma tronca (attestata nel Battaglia) di Treves ’81, rispetto alla più comune forma sdrucciola (cfr. anche lettera a E. Rod, in Letsere al suo traduttore cit., p. 43: «Confraternità della Buona Morte = Confrérie...»). — protestanti: ‘miscredenti’ (con analoga accezione: turchi, ebrei, giacobini). — per farvi ballare i sorci: cx. Mastro-don Gesualdo, I, IL, p. 74: «I topi ci ‘hanno fatto dentro il nido». 28. era della setta: un 'sovversivo’. Analogamente in Manzoni, I pro- messi sposi, XVI, p. 287: «C'era una lega»; ibid., XIV, p. 298: «ho inte- Letteratura italiana Einaudi 44 31 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo secondo tava. — Lo zio Crocifisso si stringeva nelle spalle, e tornava a ripetere che egli era un galantuomo, e non voleva entrarci. — Padron Cipolla, un altro sciocco, un pallone di vento colui! che si lasciava abbindolare da Piedipapera... ed anche padron ’Ntoni, ci sarebbe cascato anche lui!... Bisogna aspettarsi tutto, al giorno d’oggi! - Chi è galantuomo bada ai fatti suoi, ripeteva lo zio Crocifisso. Invece compare Tino, seduto come un presidente, sugli scalini della chiesa, sputava sentenze: — Sentite a me; prima della rivoluzione era tutt'altra cosa. Adesso i pesci sono maliziati ve lo dico io! — No; le acciughe sentono il grecale ventiquattr'ore prima di arrivare, rispondeva padron ’Ntoni; è sempre stato così; l’acciuga è un pesce che ha più giudizio del tonno. Ora di là del Capo dei Mulini, li scopano dal mare tutti in una volta, colle reti fitte. - Ve lo dico io cos'è! ripigliò compate Fortunato. Sono quei maledetti vapori che vanno e vengono, e battono l’ac- qua colle loro ruote. Cosa volete, i pesci si spaventano e non fanno più vedere. Ecco cos'è. Il figlio della Locca stava ad ascoltate a bocca aperta e si di proverbi, presente nelle carte preparatorie, compare anche: «Div ti guardi d'omu chi mina lu pedi (‘zoppo’ quindi), e di la fimmina chi neu (‘neo’) n faccia teni» Pitrè, I, p. 166).- pallone di vento: ‘sciocco e pre- suntuoso”. — Chi è galantuomo bada ai fatti suoî: la sentenza, con la quale lo zio Crocifisso giustifica il suo non prendere parte al discorso, scatta quasi automaticamente, innescata dal precedente «al giorno d'oggi», che richiama: «Al giorno d'oggi bisogna badare ai fatti propri» (e. 28). A caratterizzare qui il personaggio, sono la fissità degli inter- venti e la meccanicità dei gesti (cfr. c. 29: «diceva sempre di sì col capo per abitudine»). - Tino: Agostino (Piedipapera). — Sentite a me: cls. XII, 6. — maliziati ‘maliziosi’; con questo senso è registrato dal Petrocchi fra i termini fuori d'uso. — grecale: vento di nord«est. — ha più giudizio del tonno: cir. I, 13. 31. Bestia... zitto: ricorda Manzoni, I promessi sposi, VII, p. 119: ««Vuoi stare zitto, bestia?» gli disse Tonio, accompagnando il titolo con Letteratura italiana Einaudi 47 32 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo secondo grattava il capo. — Bravo! disse poi. Così pesci non se ne tro- verebbero più nemmeno a Siracusa né a Messina, dove vanno i vapori. Invece li portano di là a quintali colla ferro- via. Insomma sbrigatevela voi! esclamò allora padron Cipolla indispettito, io me ne lavo le mani, e non me ne importa un fico, giacché ci ho le mie chiuse e le mie vigne che mi danno il pane. E Piedipapera assestò uno scapaccione al figlio della Locca, per insegnargli l'educazione. — Bestia! quando parla- no i più vecchi di te sta zitto. Il ragazzaccio allora se ne andò strillando e dandosi dei pugni nella testa, che tutti lo pigliavano per minchione per- ché era figlio della Locca. E padron ’Ntoni col naso in aria, osservò: — Se il maestrale non si mette prima della mezza- notte, la Provvidenza avrà tempo di girare il Capo. Dall’alto del campanile caddero lenti lenti dei rintocchi sonori. - Un'ora di notte! osservò padron Cipolla. Padron ’Ntoni si fece la croce e rispose: — Pace ai vivi e riposo ai morti. - Don Giammaria ha i vermicelli fritti per la cena stasera; osservò Piedipapera fiutando verso le finestre della parroc- chia. ‘una gomitata», ma con ironico rovesciamento dei ruoli: in Manzoni il savio rimbrotta lo sciocco per una sua gaffe, in Verga uno che si crede furbo «assesta uno scapaccione» a uno che sciocco non è, per un'os- servazione sensata. — maestrale: vento di nord-ovest. 32. lenti lenti: in una precedente lezione di A: «gravemente». - Un'ora di notte: «si diceva in Sicilia unora dopo l’avemaria, dopo il tra- monto del sole» (Verga). — Pace... morti: cfr. «Un'ura di notti, paci a li vivi e requie a li morto» (Pitrè, IL, p. 287). L'estraneità di padron Ntoni al chiacchiericcio generale è motivo ricorrente, e si fa qui nota tragica nella sua velata allusività, in contrasto coi frequenti spunti comici del capitolo. — parocchia: così in Treves '81; correzione in bozze da: «casa parocchiale» di A. Cfr. però l’altra occorrenza in I, 2: «libro della par- Letteratura italiana Einaudi 48 33 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo Don Giammaria, passando Îì vicino per andare a casa, salutò anche Piedipapera, perché ai tempi che corrono biso- gna tenersi amici quelle buone lane; e compare Tino, che aveva tuttora l’acquolina in bocca, gli gridò dietro: — Eh! vermicelli fritti stasera, don Giammaria! -— Lo sentite! anche quello che mangio! borbottava don Giammaria fra i denti; fanno anche la spia ai servi di Dio per contar loro i bocconi! Tutto in odio alla chiesa! — e incon- trandosi naso a naso con don Michele, il brigadiere delle guardie doganali, il quale andava attorno colla pistola sullo stomaco, e i calzoni dentro gli stivali, in cerca di contrab- bandieri: - A questi altri non glielo fanno il conto di quel che mangiano. - Questi qui mi piacciono! rispondeva Campana di legno: questi qui che stanno a guardia della roba dei galantuomini mi piacciono! — Se gli dessero l’imbeccata sarebbe della setta anche lui! diceva fra sé don Giammaria, picchiando all’uscio di ca: Tutti una manica di ladri! e continuò a borbottare, col pic- chiatoio in mano, seguendo con occhio sospettoso i passi del brigadiere che si dileguavano nel buio verso l’osteria, e rimuginando perché andasse a guardarli dalla parte dell’o- steria gl’interessi dei galantuomini, colui! Però compare Tino lo sapeva perché don Michele andas- 33. buone lane: ‘tipi poco raccomandabili’; «dicesi ironi persona trista e malizioso» (Rigutini-Fanfani). — vermzicelli: in si «virmiceddi», «dicesi certe fila di pasta fatta a somiglianza di piccoli sermi, Vermicelli» (Mortillaro). — colla... stivali: d'ora in poi, formula issa per individuare il personaggio (cfr. III, 4; VII, 23; VII, 10, 15, 16; X,55; XIV, 8, 23). Cl. L'amante di Gramigna, p. 210: «[carabinieri] coi calzoni rimboccati, il revolver sullo stomaco». Modulo variato in Cos'è il Re, p. 246: «e la sciabola appesa alla pancia». — dessero l’imbeccata: «se lo corrompessero, se gli lasciassero metter mano anche a lui nel furto, 0 nello sperpero» (Verga). 34. Quelli... re: ‘î dipendenti dello stato’ (cfr. X, 55; XI, 34). Evidenziata nel suo valore idiomatico dalle virgolette, l’espressione (ma col valore di ‘carcerato’) compare anche in Fanzasticheria, p. 134: Letteratura italiana Einaudi 49 37 38 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo — Sentite, le disse Alfio dopo che ebbe guardate le stelle anche lui; voi che siete Sant'Agata, se vi sognate un terno buono, ditelo a me, che ci giuocherò la camicia, e allora potrò pensarci a prender moglie... - Buona sera! rispose Men: Le stelle ammiccavano più forte, quasi s’accendessero, e î Tre Re scintillavano sui fariglioni colle braccia in croce, come Sant'Andrea. Il mare russava in fondo alla stradic- ciuola, adagio adagio, e a lunghi intervalli si udiva il rumore di qualche carro che passava nel buio, sobbalzando sui sass e andava pel mondo il quale è tanto grande che se uno potesse camminare e camminare sempre, giorno e notte, non arriverebbe mai, e c’era pure della gente che andava pel mondo a quell’ora, e non sapeva nulla di compar Alfio, né della Provvidenza che era in mare, né della festa dei Morti; — così pensava Mena sul ballatoio aspettando il nonno. Il nonno s’affacciò ancora due o tre volte sul ballatoio, 37. i tre re... Sant'Andrea: stelle centrali della costellazione di Orione, la cui disposizione ricorda la croce di Sant'Andrea. La lezione «i tre re» (cir. anche XIII, 5) sostituisce in A: «il re bastoni» (cls. VI, 8). Clx. Jeli il pastore, p. 151: «i tre re non erano ancora tramontati, è luecicavano sul monte Arturo colle braccia in croce», cui fa seguito, quasi richiamato da un sottile legame interno, un'analoga notazione sonora («Per la strada passavano continuamente dei carri»). — rumore di qualche carro: cîr. Il, 6. — andava pel mondo: cir. Vagabondaggio, p. 478 e p. 486. — così... nonno: la posticipazione della didascalia, che ricorda: «Di tal genere, se non tali appunto erano i pensieri di Lucia» (Manzoni, I promessi sposi, VIII, p. 144), determina margini di ambi. guità nello stabilire il punto d'attacco del discorso indiretto libero nella parte che precede (ma sicuramente almeno a partire da «il quale è tanto grande..»). Il narratore, in questo caso in qualità di narratore onni sciente, fa luce sull’interiorità del personaggio, senza però sostituirvisi completamente. La raffigurazione, che si apre tra l’altro con la ripresa di «ammiccare», poco prima impiegato da Mena, è intessuta di tessere descrittive già apparse nel corso del capitolo. Vedi L. Spitzer, Loriginalità della narrazione nei Malavoglia, in Belfagor», II (1956), pp. 37-53 (ora in Studi italiani, a cura di C. Scarpati, Vita e Pensiero, Milano 1976). 38. le stelle... dovere: è ultimo elemento di una serie iniziata alla Letteratura italiana Einaudi 52 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo secondo prima di chiudere l’uscio, a guardare le stelle che luccicava- no più del dovere, e poi borbottò: - «Mare amaro!» Rocco Spatu si sgolava sulla porta dell’osteria davanti al lumicino. - «Chi ha il cuor contento sempre canta» con- chiuse padron ’Ntoni. 1,25 con «la stella della sera era già bella e lucente». I rilie- vi si intensificano in climzax nel cap. II («Stasera le stelle sono lucenti» c. 5; «Guardate quante stelle che ammiccano lassù» c. 36; «Le stelle ammiccavano più forte» c. 37) e costituiscono gli indizi di una situa- zione abnorme che prelude al dramma imminente. — «Mare amaro! il proverbio fornisce la chiave di lettura di indizi che sempre più scoper- tamente sembrano preludere a una situazione di morte, senza però che la parola, nella sua evidenza, venga mai introdotta; quasi a esorcizzarla infatti padron ’Ntoni tralascia di citare la seconda parte del proverbio, ripreso nella sua forma più completa («Il mare è amaro e il marinaro muore in mare») solo quando gli eventi ne avranno rivelato drammati- camente la veridicità (cfr. V, 15; VI, 14). Accentuando il gioco allittera- tivo e paronomastico, Verga fonde due proverbi citai distintamente dal Pitrè: «Lu mari è amaru» (II, p. 428) e «Lu marinaru mori a mari» II, p. 429). TT 1etteratura italiana Einaudi 53 IN Dopo la mezzanotte il vento s'era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuote- re le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di S. Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell'anima di Giuda. Insomma una brutta domenica di settembre, di quel set- 1. Dopo la mezzanotte...: l'avvio della raffigurazione (fino a «Insomma una brutta domenica di settembre») appare in A come aggiunta, senz'altro intervenuta dopo la decisione dell'autore di mante- nere i primi due capitoli, che aveva invece in una precedente fase pen sato di sacrificare (ne informa Treves inviandogli i manoscritto) ritor nando al progetto iniziale secondo cui l'attuale capitolo III risultava essere l'inizio del romanzo, con un attacco che suonava: «Era stata una brutta giornata di novembre, di quel novembre traditore vento... fare il diavolo: l'espressione è attestata anche in siciliano: comun diavulu [...] vale ‘imperversare’» (Mortillaro). Vedi inoltre X, 12: «il vento soffiava a ondate che pareva avesse la parola». — tuttii gatti del paese: correzione nelle bozze della lezione di A: «dieci gatti». Ch Manzoni, I promessi sposi, XII, p. 218 «andavano su pei tetti come i gatti». pareva... buoi: sviluppo, con immagine tipicamente ‘rusticana’ (cfr. I, 10), del precedente «muggire». Vedi anche Cos'è il Re, p. 243: «come se ci fosse stata la fiera del bestiame nel piano di San Giacomo». — fiera di Sant'Alfio: quella di Trecastagni, di cui Sant'Alfio è il patrono. _ peggio dell'anima di Giuda: «peggio dell» è correzione nelle bozze di «come l’» di A. L'immagine (cfr. anche II, 29) trae origine dal poten- ziale metaforico del precedente «nero», € produce a sua volta, in una compatta trama analogico-metaforica, il successivo «traditore» (cir. Fantasticheria, p. 133: «mare bello e traditore»). — colpo di mare: «urto dei flutti agitati» (Rigutini-Fanfani); in siciliano: «corpu di mari» (Mortillaro). — fichidindia: così Verga al suo traduttore francese E. Rod: «se non si vuole lasciare in italiano, credo che il vocabolo francese sarebbe figue de Barberie. Preferirei però lasciare il caratteristico fico- dindia». TT Letteratura italiana Einaudi 54 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo Il vento faceva volare le gonnelle e le foglie secche, sicché Vanni Pizzuto col rasoio in aria, teneva pel naso quelli a cui faceva la barba, per voltarsi a guardare che passava, e si met- teva il pugno sul fianco, coi capelli arricciati e lustri come la seta; e lo speziale se ne stava sull’uscio della sua bottega, sotto quel cappellaccio che sembrava avesse il paracqua in testa, fingendo di aver discorsi grossi con don Silvestro il segretario, perché sua moglie non lo mandasse in chiesa per forza; e rideva del sotterfugio, fra i peli della barbona, ammiccando alle ragazze che sgambettavano nelle pozzan- ghere. - Oggi, andava dicendo Piedipapera, padron ’Ntoni vuol fare il protestante come don Franco lo speziale. — Se fai di voltarti per guardare quello sfacciato di don Silvestro, ti dò un ceffone qui dove siamo; borbottava la Zuppidda colla figliuola, mentre attraversavano la piazza. — Quello lì non mi piace. La Santuzza, all’ultimo tocco di campana, aveva affidata l’osteria a suo padre, e se n’era andata in chiesa, tirandosi dietro gli avventori. Lo zio Santoro, poveretto, era cieco, e non faceva peccato se non andava a messa; così non perde- vano tempo all’osteria, e dall’uscio potevano tener d’occhio il banco, sebbene non ci vedesse, ché gli avventori li cono- sceva tutti ad uno ad uno soltanto al sentirli camminare, quando venivano a bere un bicchiere. — Le calze della Santuzza, osservava Piedipapera, mentre 6. paracqua: ‘ombrello’ (attestato anche nel Mortillaro). Cfr. Jeli i pastore, p. 166. fingendo aver: così Treves "81, ma in A: po di aver». Clr. Primavera, p. 36: «fingeva non intendere» e p. 38: «credeva aver messo». — perchè... per forza: ci. Il, 8. — rideva... barbona: c&r. 1,7. 7. protestante: cis. Ù, 27. 9. come una gattina: correzione in A su: «così svelta e modesta, che pareva una gatta» > «con passo di gattina». — acqua 0 vento: l'espres- sione compare ad es. in: «Sanzi di cappa, 0 ventu 0 acqua» (Piuè, III, 65). — Gi sono i diavoli per aria!: è un modo di dire che trova precisa giustificazione in Salomone-Marino, p. 174: «Il primo giorno del mag- Letteratura italiana Einaudi 57 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo Terzo ella camminava sulla punta delle scarpette, come una gatti- na — le calze della Santuzza, acqua o vento, non le ha viste altri che massaro Filippo l’ortolano; questa è la verità. - Ci sono i diavoli per aria! diceva la Santuzza facendosi la croce coll’acqua santa. — Una giornata da far peccati! La Zuppidda, lì vicino, abburattava avemarie, seduta sulle calcagna, e saettava occhiatacce di qua e di là, che pareva ce l’avesse con tutto il paese, e a quelli che volevano sentirla ripeteva: - Comare la Longa non ci viene în chiesa, eppure ci ha il marito in mare con questo tempaccio! Poi non bisogna stare a cercare perché il Signore ci castiga! Persino la madre di Menico stava in chiesa, sebbene non sapesse far altro che veder volare le mosche! - Bisogna pregare anche pei peccatori; rispondeva la Santuzza; le anime buone ci sono per questo. gio [...] i diavoli sbucano a frotte dagli abissi ove dimorano e [...] in dispetto de’ due santi [Filippo e Jacopo] scatenano lo scirocco ed il tur- ine, addensano nuvoloni, eccitano e sconvolgono tutti gli clementi. Non appena [i villici] si accorgono che il giorno piglia una cattiva piega, si danno l'allarme con le parole: «Li Diavuli pri l'aria cci su'!” e corrono a premunirsi [...» (cfr. G. Alfieri, Iunesti cit., p.32). 10. abburattava: ‘snocciolava, recitava meccanicamente, con indiffe- renza’ (in una precedente versione di A, ma riferito alla Locca: «prega- va». + «balbettava avemarie»). Nel Fanfani: «Ciarlare di continuo senza ripigliar fiato». In senso proprio ‘separare la farina dalla crusc col buratto”, quindi metaforicamente ‘vagliare, scegliere” re” (cfr. Manzoni, I promessi sposi, XXX, p. 520: «abburattavan tutte le relazioni»). — Poi nion bisogna... cî castiga: in A: «II Signore fa bene a castigarci!» + «Il Signore sa quel che fa quando ci castiga”». Nel Pitrè (III, p. 344): «Lu Signuri nni castiga pri li nostri piccati». 11. col naso dentro la mantellina: nel codice gestuale ‘rusticano’ equivale a un ammiccamento malizioso; cfr VIII LI e, a conferma, XII, 67. Cir. inoltre Cavalleria rusticana, p. 190: «Le ragazze selo ruba vano cogli occhi, mentre andavano a messa col naso dentro la mantelli- na». — «Chi fa l'oste... tutti: cÉx. «Cu' havi putia (‘bottega’), havi a fari Facci a tutti» Pitrè, Ip. 314). — Figlie di Maria: «sono le associate a una nuova Confrérie di donne inventata dai clericali» (Verga); potevano accedervi solo le donne nubili (cfr. la successiva battuta della Zuppidda e XIII 25). Vedi inoltre Pane nero, p. 322. — con tanto di pungiglione: cfr. II, 3. — scarpe verniciate: cl. Jeli il pastore, p. 150: «il fattore aspet- tava i puledri sin dall’alba, andando sue giù cogli stivali inverniciati». Letteratura italiana Einaudi 58 12 13 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo — Sì, come se ne sta pregando la Mangiacarrubbe, col naso dentro la mantellina, e Dio sa che peccatacci fa fare ai gio- vanotti! La Santuzza scuoteva il capo, e diceva che mentre si è in chiesa non bisogna sparlare del prossimo. — «Chi fa l’oste deve far buon viso a tutti», rispose la Zuppidda, e poi all’o- recchio della Vespa: - La Santuzza non vorrebbe si dicesse che vende l’acqua per vino; ma farebbe meglio a non tenere in peccato mortale Filippo l’ortolano, che ha moglie e figliuoli. - Per me, rispose la Vespa, gliel'ho detto a don Giammaria che non voglio più starci fra le Figlie di Maria, se ci lasciano la Santuzza per superiora. Allora vuol dire che l’avete trovato il marito? rispose la Zuppidda. — Io non l’ho trovato il marito, saltò su la Vespa con tanto di pungiglione. Io non sono come quelle che si tirano dietro gli uomini anche in chiesa, colle scarpe verniciate, e quelli altri colla pancia gros: Quello della pancia grossa era Brasi, il figlio di padron Cipolla, il quale era il cucco delle mamme e delle ragazze, perché possedeva vigne e oliveti. — Va a vedere se la paranza è bene ammarrata; gli disse suo padre facendosi la croce. Ciascuno non poteva a meno di pensare che quell’acqua e quel vento erano tutt’oro per i Cipolla; così vanno le cose di questo mondo, che i Cipolla, adesso che avevano la paranza bene ammarrata, si fregavano le mani vedendo la burrasca; 12. il cucco: ‘il prediletto”, “il coc 13. poteva a meno: così in Treves "81; in A: «poteva fare a meno». - così vanno... mondo: massima generale, fatta propria dal narratore, a segnare una contrapposizione, evidenziata poco oltre dalla pregnanza dei gesti: si fregavano le mani / si strappavano i capelli cfr. anche IX, 54; inoltre Jeli il pastore, p. 156: «Le cose del mondo vanno così» e Mastro. don Gesualdo, IN, V, p. 465: “Così va il mondo». — «Chi fa... ingegno»: cfr. «Cui fa cridenza senz'aviri pignu, perdi la robba, l’amicu e lu gnegnio» (Pitrè, II, 45). Corregge in A: «Chi ha roba in mare non ha nulla». Letteratura italiana Einaudi 59 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo Terzo padron ’Ntoni! Ma lo speziale è protestante ed ebreo, ognu- no lo sapeva. Il figlio della Locca, che era lì fuori colle mani in tasca perché non ci aveva un soldo, disse anche lui: - Lo zio Crocifisso è andato a cercare padron ’Ntoni con Piedipapera, per fargli confessare davanti a testimoni che î lupini glieli aveva dati a credenza. - Vuol dire che anche lui li vede in pericolo colla Provvidenza. — Colla Provvidenza c'è andato anche mio fratello Menico, insieme a compare Bastianazzo. - Bravo! questo dicevamo, che se non torna tuo fratello Menico tu resti il barone della ca: - C'è andato perché lo zio Crocifisso voleva pagargli la mezza giornata anche a lui, quando lo mandava colla paran- za, e i Malavoglia invece gliela pagavano intiera; rispose il figlio della Locca senza capir nulla; e come gli altri sghi- gnazzavano rimase a bocca aperta. Sull’imbrunire comare Maruzza coi suoi figliuoletti era andata ad aspettare sulla sciara, d’onde si scopriva un bel pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dir nulla. La piccina piangeva, e quei poveretti, dimenticati sulla sciara, a quell'ora, parevano le anime del purgatorio. Il piangere della bambina le faceva male allo stomaco, alla povera donna le sembrava quasi un malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillarla, e le cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagri- me anche essa 18. barone: qui ‘capofamiglia’; cin. «Lu primu figghiu è bruni» (Pitrè, IL p. 219). -pagargli Treves "81 ha «pagarli» (refuso che com- pare anche in A). 19. urlare: il preannuncio dell'imminente tempesta è affidato alla diversa modulazione della ‘voce’ del mare, che dapprima «russa... ada- gio adagio» (II, 37), poi «muggisce intorno ai fariglions» (III, 1), quin- di «urla». — parevano le anime del purgatorio: clx. XIV, 58. Letteratura italiana Einaudi 62 20 21 22 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo Terzo Le comari, mentre tornavano dall’osteria, coll’orciolino dell’olio, o col fiaschetto del vino, si fermavano a barattare qualche parola con la Longa senza aver l’aria di nulla, e qualche amico di suo marito Bastianazzo, compar Cipolla, per esempio, o compare Mangiacarrubbe, passando dalla sciara per dare un’occhiata verso il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa sotto il naso, o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzioni insolite, li guardava in faccia sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volesse- ro rubargliela. Finalmente il più duro o il più compassione vole la prese per un braccio e la condusse a casa. Ella si lasciava condurre, e badava a ripetere: - Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria! —1 figlioli la seguivano aggrap- pandosi alla gonnella, quasi avessero paura che rubassero qualcosa anche a loro. Mentre passavano dinanzi all’osteria, tutti gli avventori si affacciarono sulla porta, in mezzo al gran fumo, e tacquero per vederla passare come fosse già una cosa curiosa. — Requiem eternam, biascicava sottovoce lo zio Santoro, quel povero Bastianazzo mi faceva sempre la carità, quando padron ’Ntoni gli lasciava qualche soldo in tasca. 20. - barattare qualche parola: «far quattro chiacchiere amichevol- mente» (Petrocchi); cfr. Manzoni, I promessi sposi, VII, «si sen- tiva nella strada barattare i saluti, e qualche parola, sulla scarsità della raccolta». — e vedere... brontolone: anche in questa diversa percezione della voce del mare, non più oscuramente minacciosa, ma affabilmente amichevole, si può leggere l'opposizione che a vari livelli si è instaurata fra i Malavoglia e il villaggio. Ambito metaforico privilegiato è la visio- ne antropomorfica degli elementi naturali; per il caso specifico, cfr. anche ad es. X, 21: «quando il mare parla a quel modo non si ha corag- gio di aprir bocca»; X, 24: «quando il mare e il vento gridano insie- me...» 22. per vederla... curiosa: sostituisce la primitiva lezione di A: «guar- dandola con curiosità come fosse stata una forestiera». Letteratura italiana Einaudi 63 23 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo Terzo La poveretta, che non sapeva di essere vedova, balbetta- va:— Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria! Dinanzi al ballatoio della sua casa c’era un gruppo di vici- ne che l’aspettavano, e cicalavano a voce bassa fra di loro. Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le vennero incontro, colle mani sul ventre, senza dir nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno stri- do disperato e corse a rintanarsi in casa. — Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica! Più di quarant’onze di lupini! 23. colle mani sul ventre: «con allusività ancestrale il gesto veicola l'annuncio della morte» G. Alfieri, ‘Ethnos' rusticano ed etichetta mon- dana. La gestualità nel narrato verghiano, in «Annali della Fondazione Verga», n. 4, Catania 1987 (ma 1990), pp. 43 sgg. Cfî. anche in varian- ti attenuate: «vogliono dargli il cattivo Natale a quei poveretti, mormo- rava comare Grazia colle mani sulla pancia» (VI, 26); «Le vicine veni- vano colle mani sotto il grembiule a domandare se comare Maruzza ci avesse il suo Luca laggiù...» (IX, 28). —si cacciò le unghie nei capel espressione nel codice gestuale, della disperazione (qui con l’intensificazione di «unghie», che sostituisce in A: «mani»). Clr es. X, 35; XI, 30; XIII, 27 (anche se con valenza diversa perché riferita azio Crocifisso); XIV, 33. Vedi anche La Lupa, p. 198: «La Lupa si le mani nei capelli [...}»; ibid., p. 200: «[...] e dopo si cacciava le mani nei capelli»; la sequenza finale di Galantuomini, p. 337; inoltre la didascalia che chiude la versione teatrale di Cavalleria rusticana, scena IX: «Tutti corrono verso il fondo vociando; la gnà Nunzia colle mani nei capelli, fuori di sè». Analogamente nel finale di In portineria, scena X: «(accorrendo colle mani nei capelli) Maliat... Figlia! ... Figlia mia! ..» Vedi inoltre Manzoni, I promessi sposi, XIV, p. 415: «Dopo essersi cacciate le mani ne' capelli, dopo aver gridato più volte: “ah Signore! ah Madonna!”...» Letteratura italiana Einaudi 64 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo quarto che erano in angustie, e aveva anche inventato cento modi di rendere servigio al prossimo, e senza essere uomo di mare aveva barche, e attrezzi, e ogni cosa, per quelli che non ne avevano, e li prestava, contentandosi di prendere un terzo della pesca, più la parte della barca, che contava come un uomo della ciurma, e quella degli attrezzi, se volevano pre- stati anche gli attrezzi, e finiva che la barca si mangiava tutto il guadagno, tanto che la chiamavano la barca del diavolo - e quando gli dicevano perché non ci andasse lui a rischiare la pelle come tutti gli altri, che si pappava il meglio della pesca senza pericolo, rispondeva: — Bravo! e se in mare mi capita una disgrazia, Dio liberi, che ci lascio le ossa, chi me li fa gli affari miei? — Egli badava agli affari suoi, ed avrebbe prestato anche la camicia; ma poi voleva esser pagato, senza tanti cristi; ed era inutile stargli a contare ragioni, perché era sordo, e per di più era scarso di cervello, e non sapeva dir altro che «Quel ch’è di patto non è d’inganno», oppure «Al giorno che promise si conosce il buon pagatore». Ora i suoi nemici gli ridevano sotto il naso, a motivo di quei lupini che se l'era mangiati il diavolo; e gli toccava anche recitare il deprofundis per l’anima di Bastianazzo, quando si facevano le esequie, insieme con gli altri confra- telli della Buona Morte, colla testa nel sacco. 5. senza tanti cristi: senza tante storie’; l’espressione va letta in rap- porto col nome del personaggio ed è in contrasto col linguaggio dello zio Crocifisso, spesso intessuto di metafore di tipo sacrale. — «Quel. d'inganno»: dix «Chiddu ch'è di patta, un è di’ngannu» (Piè, I, p.313). — «Al giorno... pagatore»: clt. <A lu tempu chi prumisi, si conusci lu bon pagaturi» (Pitrè, I p. 42). 6. confratelli della Buona Morte: cîr. Il 27. Vedi inoltre Manzoni, I promessi sposi, XVI, p. 287: «accompagnati da’ cappuccini, e da’ con- fratelli della buona morte». = colla testa nel sacco: col cappuccio in testa (ef IL, 9). In siciliano «sacci» è «da veste lunga [...] che portano i con- frati delle compagnie e congregazioni, allorquando vanno in processio. ne» (Mortillaro), ma qui si allude più precisamente alla «buffa», cioè al cappuccio delle cappe che copriva il viso. Letteratura italiana Einaudi 67 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo quarto I vetri della chiesetta scintillavano, e il mare era liscio e lucente, talché non pareva più quello che gli aveva rubato il marito alla Longa; perciò i confratelli avevano fretta di spic- ciarsi, e di andarsene ognuno pei propri affari, ora che il tempo s'era rimesso al buono. Stavolta i Malavoglia erano là, seduti sulle calcagna davanti al cataletto, e lavavano il pavimento dal gran pian- gere, come se il morto fosse davvero fra quelle quattro tavo- Je, coi suoi lupini al collo, che lo zio Crocifisso gli aveva dati a credenza perché aveva sempre conosciuto padron ’Ntoni per galantuomo; ma se volevano truffargli la sua roba, col pretesto che Bastianazzo s'era annegato, la truffavano a Cristo, com’è vero Dio! ché quello era un credito sacrosan- to come l’ostia consacrata, e quelle cinquecento lire ei l’ap- pendeva ai piedi di Gesù crocifisso; ma, santo diavolone! padron ’Ntoni sarebbe andato in galera! La legge c’era anche a Trezza! Intanto don Giammaria buttava in fretta quattro colpi di 8. cataletto: ‘feretro’; di registro in apparenza alto, ma in realtà con risonanze siciliane (cfr. il proverbio citato in II, 23). — wa se volevano truffargli...: l'impiego dell'indiretto libero mette e nudo la vera natura dell’usuraio, che persino nel dolore dei Malavoglia vede un tentativo di sottrarsi ai loro obblighi di debitori. Si accentua qui quella commistio- ne blasfema di sacro e profano altre volte rilevata («truffavano a Cristo», «credito sacrosanto», «ostia consacrata», «l’appendeva ai piedi di Gesù crocifisso») (cfr. anche II, 25, ma soprattutto VI, 43: «quel che fanno a me lo fanno a Gesù Crocifisso che sta in croce» e VIII, 22: «[...] col sangue mio come il sangue di Gesù Cristo che c'è nel calice della messa»). — santo diavolone!: interiezione tipicamente siciliana, citata ad esempio in una lettera del Nievo con la precisazione: «come dicono i siciliani»: cfr. P.V. Mengaldo, L'epistolario di Nievo: un'analisi linguisti ca, Il Mulino, Bologna 1987, p. 181. 9. a casa del diavolo: ‘all'inferno’; cfr. poco prima «si guadagna il paradiso». — poteva vedere: l'imperfetto segna il passaggio, senza solu- zione di continuità, all’indiretto libero. — ga/loriare: ‘manifestare viva- cemente la propria gioia”; registrato come verbo raro nel Fanfani che rimanda a «far gallòria» («da gallo, calco su baldoria», cfr. G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Mondadori, Milano 1979). Letteratura italiana Einaudi 68 10 ul Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo quarto aspersorio sul cataletto, e mastro Cirino cominciava ad andare attorno per spegnere i lumi colla canna. I confratelli si affrettavano a scavalcare i banchi colle braccia in aria, per cavarsi il cappuccio, e lo zio Crocifisso andò a dare una presa di tabacco a padron ’Ntoni, per dargli animo, che infi- ne quando uno è galantuomo lascia buon nome e si guada- gna il paradiso, — questo aveva detto a coloro che gli doman- davano dei suoi lupini: - Coi Malavoglia sto tranquillo, per- ché son galantuomini e non vorranno lasciar compare Bastianazzo a casa del diavolo; padron ’Ntoni poteva vede- re coi suoi propri occhi se si erano fatte le cose senza rispar- mio, in onore del morto; e tanto costava la messa, tanto i ceri, e tanto il mortorio — ei faceva il conto sulle grosse dita ficcate nei guanti di cotone, e i ragazzi guardavano a bocca aperta tutte quelle cose che costavano caro, ed erano lì pel babbo: il cataletto, i ceri, i fiori di carta; e la bambina, vedendo la luminaria, e udendo suonar l'organo, si mise a galloriare. La casa del nespolo era piena di gente; e il proverbio dice: «triste quella casa dove ci è la visita pel marito!». Ognuno che passava, a veder sull’uscio quei piccoli Malavoglia col viso sudicio e le mani nelle tasche, scrollava il capo e diceva: - Povera comare Maruzza! Ora cominciano i guai per la sua casa! Gli amici portavano qualche cosa, com'è l’uso, pasta, ova, 10. La casa... gente: è correzione in A su: «Nella casa del nespolo era la visita dell morto (prima la visita)». Il corsivo segnava il valore idiomatico di «visita», traduzione del siciliano «ist», che significa più specificatamente ‘lutto, visita di condoglianza’ (nell’abbozzo M8: «c'era il visito»); successiva l'aggiunta esplicativa: «del morto» (cîr. anche XI, 33). I sintagma, sempre marcato dal corsivo, ricompare poco oltre, nella variante «visita pel marito». — triste... marito!»: non si sono trovati riscontri nel Pitrè. Il proverbio compare già in un abbozzo che precede il manoscritto ultimo, con l'alternativa iniziale, lasciata irrisol- ta, fra «triste» e «amaro». 11. Gli amici portavano: è correzione nelle bozze della lezione ulti- Letteratura italiana Einaudi 69 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo quarto tassa di successione di compar Bastianazzo, e ci ficcò così una barzelletta che aveva raccolta dal suo avvocato, e gli era piaciuta tanto, quando gliel’avevano spiegata bene, che non mancava di farla cascare nel discorso ogniqualvolta si trova- va a visita da morto. — Almeno avete il piacere di essere parenti di Vittorio Emanuele, giacché dovete dar la sua parte anche a lui! E tutti si tenevano la pancia dalle risate, ché il proverbio dice: «Né visita di morto senza riso, né sposalizio senza pianto». La moglie dello speziale torceva il muso a quegli schia- mazzi, e stava coi guanti sulla pancia, e la faccia lunga, come si usa in città per quelle circostanze, che solo a guardarla la gente ammutoliva, quasi ci fosse il morto lì davanti, e per questo la chiamavano /a Signora. Don Silvestro faceva il gallo colle donne, e si muoveva di A. — raccolta: in A su: «sentita». — la sua parte: di ‘eredità’, pagando la tassa di successione. — «Nè visita... pianto»: cir. «Nè visitu senza rist, nè zitaggiu senza chiantu» Pitrè, ILL p. 84). 17. la chiamavano la Signora: cl, Manzoni, I promessi sposi, IX, p. 148: «per questo la chiamano la signora». 18. faceva il gallo: faceva lo spavaldo, il galante’; cfr. anche VII, 39. Non sfugga l'ironia dell'espressione se letta in rapporto allo stereotipo che solitamente accompagna il personaggio: «rideva come una gallina» (cfr. II, 9). — scranne: in A: «seggiole»; ctr. IV, 13. - scricebiolare... ver- niciate: «scarpe verniciato» in A: «scarpe lucide». Cfr. I, 25 (ma anche II, 9: «dov'era venuto senza scarpe ai piedi»). Vedi la prefazione di Eva: «Non predicate la moralità [...] voi che vi meravigliate come altri possa lasciare il cuore e l’onore dove voi non lasciate che la borsa, — voi che fate scricchiolare allegramente i vostri stivalini invemniciati dove folleg- giano ebbrezze amare, o gemono dolori sconosciuti...» — abbruciare: forma toscana, ma qui forse eco del siciliano «abbruciari». come... limo- ni. col duplice valore presente nell'espressione siciliana cmanciari agru di lumia», cioè «nel senso passivo di ‘essere inveleniti, masticar amaro” ein quello causativo di ‘far inghiottire veleno, far rodere dentro gli altri prima di concedere loro qualcosa’» (G. Alfieri, Inzesti cit., p. 34). — mangiacarte: ‘burocrati intriganti, «dicesi di leguleio faccendone» Petrocchi). — «Bella... soldi»: cir. «Bedda, nun vogghiu a tia, vogghiu a li ninni» Pitrè, I, p. 7). Letteratura italiana Einaudi 72 19 20 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto ogni momento col pretesto di offrire le scranne ai nuovi arri- vati, per far scricchiolare le sue scarpe verniciate. — Li dovrebbero abbruciare, tutti quelli delle tasse! brontolava comare Zuppidda, gialla come se avesse mangiato dei limo- ni, e glielo diceva in faccia a don Silvestro, quasi ei fosse quello delle tasse. — Ella lo sapeva benissimo quello che volevano certi mangiacarte che non avevano calze sotto gli stivali inverniciati e cercavano di ficcarsi in casa della gente per papparsi la dote e la figliuola: «Bella, non voglio te, voglio i tuoi soldi». Per questo aveva lasciata a casa sua figli: Barbara. - Quelle facce Îì non mi piacciono. - A chi lo dite! esclamò padron Cipolla; a me mi scorti- cano vivo come san Bartolomeo. - Benedetto Dio! esclamò mastro Turi Zuppiddu, minac- ciando col pugno che pareva la malabestia del suo mestiere. Va a finire brutta, va a finire, con questi italiani! — Voi state zitto! gli diede sulla voce comare Venera, ché non sapete nulla. — Io dico quel che hai detto tu, che ci levano la camicia di dosso, ci levano! borbottò compare Turi, mogio mogio. Allora Piedipapera, per tagliar corto, disse piano a padron 19. mogio mogio: cfr l ritratto di Zuppiddu negli appunti prepara- tori: «spaccamonti, un colosso, menato pel naso dalla moglie». 20. come un tacchino: corregge in A: «come un gamb(ero)» come un pomodoro» (che compare due volte poco oltre). — al giorno d'oggi: marca evidente del discorso indiretto libero; corregge in A un precedente: «oramai». — ressuzo... pi: donna Rosolina negli appunti preparatori è definita: «zitellona arrabbiata» (per «arrabbiata» cir. IL 18). - canne: antica unità di misura di lunghezza, corrispondente, în Sicilia, a otto pali, cioè a circa due metri. — Una casa... andare: proba- bile variazione del proverbio: «Casa senza fmmzina pusiriscio Pià, Il Pi 65); ma cfr. anche: «La mala mugghieri distruj’na casa» (ibid., p. 93). — fraschette: nel senso di «ragazza vana e poco contegnosa» (igutini-Fanfani). Cfr. anche VIII, 20. - «coi capelli... corto»: ci. «Capiddi longhi, ciriveddu curti» Pitsè, I, p. 163). — giorno segnalato: in siciliano «jomu singaliatio», giorno cioè particolare (con valenza sia positiva che negativa); in questo caso, oltre che per la sacralità della nn° Letteratura italiana Einaudi 73 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo quarto Cipolla: - Dovreste pigliarvela voi, comare Barbara, per consolarvi; così la mamma e la figliuola non si darebbero più l’anima al diavolo. - E’ una vera porcheria! esclamava donna Rosolina, la sorella del curato, rossa come un tacchino, e facendosi vento col fazzoletto; e se la prendeva con Garibaldi che metteva le tasse, e al giorno d’oggi non si poteva più vivere, e nessuno si maritava più. - O a donna Rosolina cosa gliene importa oramai? sussurrava Piedipapera. Donna Rosolina intanto raccontava a don Silvestro le grosse faccende che ci aveva per le mani: dieci canne di ordito sul telaio, i legumi da sec- care per l'inverno, la conserva dei pomidoro da fare, che lei ci aveva un segreto tutto suo per avere la conserva dei pomi- doro fresca tutto l'inverno. - Una casa senza donna non poteva andare; ma la donna bisognava che avesse il giudizio nelle mani, come s’intendeva lei; e non fosse di quelle fra- schette che pensano a lisciarsi e nient'altro, «coi capelli lun- ghi e il cervello corto», ché allora un povero marito se ne va sott'acqua come compare Bastianazzo, buon’anima. — Beato intuzza, è morto in un giorno segnalato, la dei Dolori di Maria Vergine, e prega lassù per noi peccatori, fra gli angeli e i santi del paradiso. «A chi vuol bene, Dio manda pene». Egli era un bravo uomo, di quelli ricorrenza liturgica, anche per la dolorosa prefigurazione, nella realtà della vicenda, del ruolo assunto da Maruzza. Cfr. anche Vagabondaggio, p. 458: «la vigilia di Natale — giorno segnalato - »; Mastro-don Gesualdo, Il, IV, p. 360: «Appena tornò dalla santa Messa, quel gior- no segnalato, trovò la casa sottosopra» (qui riferito alla festa della Purificazione di Maria Vergine, che ricorre il 2 febbraio). — la vigilia Vergine: la celebrazione della festa di «Maria Vergine Addolorata» o dei «Dolori di Maria Vergine» avviene nella terza domenica di settembre; negli appunti sullo svolgimento dell’azione si precisa inoltre: «Sabato 21 sett(embr)e, vigilia della solennità dei Dolori di M(aria) V(ergine)», tuna condizione che però non si è verificata nel 1865, come è espressa. ‘mente indicato, ma nel 1867 e nel 1878. Cfr. inoltre I, 7 e 25. «A chi pene»: civ. «Din manna li peni a cui voli beni» (Pitrè, II, p. 77). Letteratura italiana Einaudi 74 25 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto Malavoglia, che non erano poi i soli ad averne. «Il mondo è pieno di guai, chi ne ha pochi e chi ne ha assai», e quelli che stavano fuori nel cortile guardavano il cielo, perché un’altra pioggerella ci sarebbe voluta come il pane. Padron Cipolla lo sapeva lui perché non pioveva più come prima. - Non piove più perché hanno messo quel maledetto filo del tele- grafo, che si tira tutta la pioggia, e se la porta via - Compare Mangiacarrubbe allora, e Tino Piedipapera, rimasero a bocca aperta, perché giusto sulla strada di Trezza c'erano i pali del telegrafo; ma siccome don Silvestro cominciava a ridere, e a fare ah! ah! ah! come una gallina, padron Cipolla si alzò dal muricciuolo, infuriato, e se la prese con gli igno- ranti, che avevano le orecchie lunghe come gli asini. — Che non lo sapevano che il telegrafo portava le notizie da un luogo all’altro; questo succedeva perché dentro il filo ci era un certo succo come nel tralcio della vite, e allo stesso modo si tirava la pioggia dalle nuvole, e se la portava lontano, dove ce n'era più di bisogno; potevano andare a domandarlo allo speziale che l’aveva detta; e per questo ci avevano messa la legge che chi rompe il filo del telegrafo va in prigione. Allora anche don Silvestro non seppe più che dire, e si mise la lin- gua in tasc: — Santi del Paradiso! Si avrebbero a tagliarli tutti quei pali del telegrafo, e buttarli nel fuoco! incominciò compare Zuppiddu, ma nessuno gli dava retta, e guardavano nell’or- to, per mutar discorso. sforma così nell'implicita autogiustificazione dei presenti per il loro disinteresse. — «I/ mondo... assai cÉr. Pitrè, I, p. 268: «Munnu di guai, cui nu'havi picca, cui nn'havi assaî» 25. lo sapeva lui: la presenza del pronome rivela la presenza dell'in diretto libero, ma l’enfatizzazione che si determina costituisce anche l'i- ronica anticipazione della saccenteria di padron Cipolla che si appresta a fornire, con l'autorevolezza di chi sa, una balzana spiegazione. — si tira: ‘attira’. — come una gallina: cir. II, 9. — muricciuolo: in ciolo». - come nel tralcio della vite: in A: «come il tallo della vite». - domandarlo: in A: «domandare». - Santi del Paradiso!: in A: «Signore benedetto!» — pali del telegrafo: in A: «pali di forca». Letteratura italiana Einaudi TI 26 27 28 29 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo quarto — Un bel pezzo di terra! diceva compare Mangiacarrubbe; quando è ben coltivato dà la minestra per tutto l’anno. La casa dei Malavoglia era sempre stata una delle prime a Trezza; ma adesso con la morte di Bastianazzo, e ’Ntoni sol- dato, e Mena da Maritare, e tutti quei mangiapane pei piedi, era una casa che faceva acqua da tutte le parti. Infine cosa poteva valere la casa? Ognuno allungava il collo sul muro dell’orto, e ci dava un’occhiata, per stimarla così a colpo. Don Silvestro sapeva meglio di ogni altro come andassero le cose, perché le carte le aveva lui, alla segreteria di Aci Castello. — Volete scommettere dodici tarì che non è tutt'oro quel- lo che luccica! andava dicendo; e mostrava ad ognuno il pezzo da cinque lire nuovo. Ei sapeva che sulla casa c’era un censo di cinque tarì all’anno. Allora si misero a fare il conto sulle dita di quel che avrebbe potuto vendersi la casa, coll’orto, e tutto. — Né la casa né la barca si possono vendere perché ci è su la dote di Maruzza, diceva qualchedun altro, e la gente si scaldava tanto che potevano udire dalla camera dove stava- no a piangere il morto. — Sicuro! lasciò andare alfine don Silvestro come una bomba; c’è l’ipoteca dotale. Padron Cipolla, il quale aveva scambiato qualche parola con padron ’Ntoni per maritare Mena con suo figlio Brasi, scrollava il capo e non diceva altro. — Allora, aggiunse compare Turi, il vero disgraziato è lo zio Crocifisso che ci perde il credito dei suoi lupini. Tutti si voltarono verso Campana di legno il quale era 26. una casa... partà cfr. 1,2. 27. censo: ‘la tassa sull'immobile’. — cinque: in A corretto su: «quin- dici». — ci è su la dote: ctr. poco oltre: «l’ipoteca dotale», che impediva la vendita della casa, senza il consenso della Longa. Sostituisce in A: «è stata comprata coi danari della dote». 29. colla bocca aperta... aria: cir. IV, 15. — stesse contando... travicel lì: rimotivazione letterale di un'espressione toscana dalla specifica Letteratura italiana Einaudi 78 30 31 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quarto venuto anche lui, per politica, e stava zitto, in un cantuccio, a veder quello che dicevano, colla bocca aperta e il naso in aria, che sembrava stesse contando quante tegole e quanti travicelli c'erano sul tetto, e volesse stimare la casa. I più curiosi allungavano il collo dall’uscio, e si ammiccavano l’un l’altro per mostrarselo a vicenda. — E’ pare l’usciere che fa il pignoramento! sghignazzavano. Le comari, che sapevano delle chiacchiere fra padron ’Ntoni e compare Cipolla, dicevano che adesso bisognava farle passare la doglia, a comare Maruzza, e conchiudere quel matrimonio della Mena. Ma la Longa in quel momen- to ci aveva altro per capo, poveretta. Padron Cipolla voltò le spalle freddo freddo, senza dir nulla; e dopo che tutti se ne furono andati, i Malavoglia rimasero soli nel cortile. - Ora, disse padron ’Ntoni, siamo rovinati, ed è meglio per Bastianazzo che non ne sa null A quelle parole, prima Maruzza, e poi tutti gli altri torna- rono a piangere di nuovo, e i ragazzi, vedendo piangere i grandi, si misero a piangere anche loro, sebbene il babbo valenza metaforica: «Contare i travicelli dicesi scherzevolmente o di chi ozioso in casa, od anche di chi è costretto a starsene a letto» Fanfani) e anche con più precisa indicazione gestuale: «star- sene col viso all’aria senza far nulla» (Tommasco-Bellini). Vedi anche Rosso Malpelo, p. 187: «sembrava che badasse a contare quanti travi celli c'erano sul tetto». Nel nostro contesto l'atteggiamento ozioso del- usuraio maschera la reale volontà di fare una stima della casa (cr. G. Alfieri, Lertera e figura cit., p. 105). 31. sebbene... giorni: l'apparentemente genericità dell'espressione nasconde in realtà una precisa giustificazione proverbiale, clr. infatti Pitrè, IV, p. 121, sotto l'indicazione «Temperanza e moderazione» (da cui si comprende il «sebbene»): «Di li morti si nni parra tri joma» (cir. G. Alfieri, I/ motto degli antichi, Fondazione Verga, Catania 1985, p. 243). — quasi non avesse... fare: la successiva battuta della Longa («Ora non ho più niente da fare!») ne rivela il valore di indiretto libero. E cor- rezione in A su un precedente: «come fosse urla statua». — «il galan- tuomo... birbante»: cir. «Lu galantomu ca ’mpuvirisci, addiventa birban- ti» (Pitrè, I, p. 263). In A sostituisce: «La morte insegna a piangere». Letteratura italiana Einaudi 79 36 Giovanni Verga - 1 Malavoglia - Capitolo quarto La cugina Anna, poveretta, aveva lasciato la sua tela e le sue ragazze per venire a dare una mano a comare Maruzza, la quale era come se fosse malata, e se l’avessero lasciata sola non avrebbe pensato più ad accendere il fuoco, e a mettere la pentola, che sarebbero tutti morti di fame. «I vicini devo- no fare come le tegole del tetto, a darsi l’acqua l’un l’altro». Intanto quei ragazzi avevano le labbra pallide dalla fame. La Nunziata aiutava anche lei, e Alessi, col viso sudicio dal gran piangere che aveva fatto vedendo piangere la mamma, tene- va a badai piccini, perché non le stessero sempre fra i piedi, come una nidiata di pulcini, ché la Nunziata voleva averle libere le mani, lei. — Tu sai il fatto tuo! le diceva la cugina Anna; e la tua dote ce l’hai nelle mani, quando sarai grande. 36. «I vicini... l'altro»: cir. Pitrè, I, p. 221: «Li vicini su comu li catu- sa, si dinanu acqua l’unu cu l'autrw». — La Nunziata... piccini; Alessi e Nunziata appaiono ancora una volta uniti (cfr. IL, 21) e sempre più chiaramente si pongono come espressione di valori positivi, quali la solidarietà («aiutava anche lei») e la laboriosità («teneva a bada i pi ni»). — come una nidiata di pulcini: cîr. Il, 21. Letteratura italiana Einaudi 82 1 Vv La Mena non sapeva nulla che volessero maritarla con Brasi di padron Cipolla per far passare la doglia alla mamma, e il primo che glielo disse, qualche tempo dopo, fu compare Alfio Mosca, dinanzi al rastrello dell’orto, che tor- nava allora da Aci Castello col suo carro tirato dall’asino. Mena rispondeva: - Non è vero, non è vero — ma si confon- deva, e mentre egli andava spiegando il come e il quando l’a- veva sentito dire dalla Vespa, in casa dello zio Crocifisso, tutt’a un tratto si fece rossa rossa. Anche compare Mosca aveva un’aria stralunata, e veden- do in quel modo la ragazza, con quel fazzoletto nero che ci aveva al collo, se la prendeva coi bottoni del farsetto, si don- 1. per far... mamma: il narratore assume un'espressione che ormai fa parte del linguaggio della comunità (cfr. IV, 30). Vedi anche Mastro-don Gesualdo, IV, III, p. 418: «L.] aiutandolo a passar l’angustia». — rastrel- lo: ‘cancello’ (cfr. VII, 46); in siciliano «rasteddiv», «d'uscio fatto di stec- coni» (Mortillaro). Cfr. anche Mastro-don Gesualdo, I, II, p. 38: «Dal rastrello spalancato»; ibid., II II, p. 334: «Dinanzi al rastrello del giar- dino». - col suo carro... asino: cf. IL, 20. - confondeva: corregge in A: «si faceva bianca bianca», lezione a cui si rinuncia, sebbene all'appa- renza più in sintonia con le soluzioni espressive prevalenti nel testo, per evitare l'accostamento non funzionale con il successivo: «si fece rossa rosso». 2. farsetto: il giubbetto corto, tipico dell’abbigliamento dei popolani (cfr. Manzoni, I promessi sposi, XI, p. 204: «un giorno in cui le cappe Sinchinavano ai farsetti»). — remporale di Santa Chiara: cir. IV, 3. — quel servizio... lupini: Alfio fa proprie, senza valutame in questo casoli nopportunità nei riguardi di Mena, le parole dello zio Crocifisso, che giu l'annegamento di Menico un cattivo servizio resogli. — noltoli- iccolo saliscendi che serve ad aprire e chiudere il cancello. — bugie: corregge in A (anche nei casi immediatamente seguenti): «fandonie». Letteratura italiana Einaudi 83 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto dolava ora su di un piede e ora su di un altro, e avrebbe pagato qualche cosa per andarsene. — Sentite, io non ci ho colpa, l'ho sentito dire nel cortile di Campana di legno, mentre stavo spaccando il carrubbo che fu schiantato dal temporale di Santa Chiara, vi rammentate? Adesso lo zio Crocifisso mi fa fare le faccende di casa, perché non vuol più sentir parlare del figlio della Locca, dopo che l’altro fratello gli fece quel servizio che sapete col carico dei lupini. La Mena teneva in mano il nottolino del rastrello, ma non si risolveva ad aprire. — E poi, se non è vero, perché vi fate rossa? Ella non lo sapeva, in coscienza, e girava e rigirava il nottolino. Quel cristiano lo conosceva soltanto di vista, e non sapeva altro. Alfio le andava snocciolando la litania di tutte le ricchezze di Brasi Cipolla, il quale, dopo compare Naso il beccaio, passava pel più grosso partito del paese, e le ragazze se lo mangiavano cogli occhi. La Mena stava ad ascoltare con tanto d’occhi anche lei, e all'improvviso lo piantò con un bel saluto, e se ne entrò nell’orto. Alfio, tutto infuriato, corse a lagnarsi colla Vespa che gli dava a bere di tali bugie, per farlo litigare colla gente. — A me l’ha detto lo zio Crocifisso; rispose la Vespa. Io non dico bugie! - Bugie! bugie! borbottò lo zio Crocifisso. Io non voglio dannarmi l’anima per coloro! L'ho sentito dire con ques 3. borbottò lo zio Crocifisso: prende avvio (senza soluzione di conti nuità, ma semplicemente sulla base della citazione del nome e della arola chiave «bugie») l'intermezzo ‘comico’ rappresentato dal batti Becco fra lo zio Crocifisso e la Vespa che risultà Incomiciato dai due momenti del dialogo di Alfio e Mena. Si realizza in questo modo una struttura compositiva ad incastro che evidenzia i rapporti oppositivi che caratterizzano le due coppie di personaggi. — L'ho sentito... orecchie: l'espressione, che anticipa un motivo ripreso nel corso del dialogo («alle volte non ci sentiva» c. 4; «stavolta ci mise la mano dietro l’orec- chio per sentirci» c. 6), acquista sapore ironico în bocca allo zio Crocifisso, il cui nomignolo (Campana di legno) trae origine proprio dalla sua presunta sordità (cfr. IV, 1). Letteratura italiana Einaudi 84 Giovanni Verga -1 Malavoglia - Capitolo quinto ne importa! Lo zio si offese di quel sospetto ingiurioso. — Questo lo dici per farmi far peccato! cominciò a lamentarsi. Non gliene importava del sangue suo? perché infine ella era sangue suo, come la chiusa, che era stata sempre della fami- glia, e ci sarebbe rimasta, se suo fratello, buonanima, non avesse pensato a maritarsi e a mettere al mondo la Vespa; e perciò ei l'aveva tenuta come la pupilla degli occhi suoi, e pensava sempre al suo bene. — Senti, le disse, ho pensato di darti il debito dei Malavoglia in cambio della chiusa, che sono quarant’onze, e colle spese e i frutti potrebbero arriva- re a cinquanta, e c'è da papparsi la casa del nespolo, che per te ti giova meglio della chiusa. — La casa del nespolo tenetevela voi! saltò su la Vespa. Io mi tengo la mia chiusa e so io cosa devo farne! Allora lo zio Crocifisso monto in bestia anche lui, e le disse che lo sapeva cosa voleva farne, che voleva farsela mangiare da quel pezzente di Alfio Mosca, il quale le faceva l'occhio di triglia per amor della chiusa, e non voleva veder- selo più per la casa e nel cortile, che alla fin fine ci aveva san- gue nelle vene anche lui! ta a vedere che ora mi fate il geloso! esclamò la Vespa. curo che son geloso! esclamò lo zio Crocifisso, geloso come una bestia! e voleva pagar cinque lîre per fargli rom- pere le ossa ad Alfio Mosca. Ma lui non lo faceva perché era un cristiano col timore di 8. e voleva pagar..: passaggio all'indiretto libero senza soluzione di continuità, ma in A la battuta che precede è correzione su: «Sicuro che lo zio Crocifisso era geloso! geloso come una bestia!» 9. il viaggio: il corsivo (che non compare in A) segna il valore idio- matico del termine, traduzione dal siciliano «ciaggito» ‘pellegrinaggio’: cfr. Cavalleria rusticana, p. 190: «tornava dal viaggio alla Madonna del Pericolo». — i Morté la data fissata per il pagamento del debito; in A è correzione su «Natale» e questa in effetti era la scadenza stabilita, cfr. I, 24: « — Là! pagateli a Natale» (corretto però su «Pasqua»). L'incongruenza si spiega quindi con una svista dell'autore che ha pro: gressivamente anticipato il termine di pagamento (Pasqua > Natale > i Morti) tralasciando però di adeguare la prima cita- zione. Letteratura italiana Einaudi 87 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto Dio, e al giorno d’oggi chi è galantuomo è gabbato, ché la buona fede sta di casa in via dei minchioni, dove si vende la corda per impiccarsi; la prova era che aveva un bel passare e ripassare davanti la casa dei Malavoglia, che perfino la gente si metteva a ridere, e diceva che ci faceva il viaggio alla casa del nespolo come quelli che hanno fatto il voto alla Madonna dell’Ognina. I Malavoglia lo pagavano a furia di sberrettate; e i ragazzi, appena lo vedevano spuntare in fondo alla stradicciuola, scappavano come se vedessero il ba-bau; ma sinora nessuno di loro gli parlava di quei denari dei lupini e i Morti eran lì che venivano, mentre padron ’Ntoni pensava a maritare la nipote. Egli andava a sfogarsi con Piedipapera, il quale l'aveva messo in quell’imbroglio, diceva agli altri; però gli altri dice- vano che ci andava per fare l’occhiolino alla casa del nespo- lo, e la Locca che gironzolava sempre da quelle parti, perché le avevano detto che il suo Menico era andato nella barca dei Malavoglia, e credeva che dovesse trovarlo ancora là, appena vedeva suo fratello Crocifisso, levava le strida al pari di un uccellaccio del malaugurio, e gli smuoveva la bile anche lei. — Questa qui mi fa far peccato! borbottava Campana di legno. - I Morti, non sono ancora venuti, rispondeva Piedipapera gesticolando; abbiate pazienza. Volete suc- chiargli il sangue a padron ’Ntoni? Già non avete perso nulla, perché i lupini eran tutti fradici, lo sapete! Ei non sapeva nulla; sapeva soltanto che il sangue suo era 10. e la Locca che gironzava: i segni di una tragica follia caratterizza- no dopo la prima comparsa (cfr. IV, 35), le apparizioni della Locca, che insensatamente attende il ritorno del figlio (cfr. V, 27; X, 30; XI, 40; XII 27). — al pari... malaugurio: l'ambito della similitudine rivela che la visione è filtrata dallo zio Crocifisso. 11. Ei non sapeva nulla: risposta in indiretto libero dello zio Crocifisso, legata al precedente «lo sapete! » — il sangue suo: corregge in A: «il suo credito». Letteratura italiana Einaudi 88 12 13 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto nelle mani di Dio. E i ragazzi dei Malavoglia non osavano giocare sul ballatoio quando egli passava davanti alla porta di Piedipapera. E se incontrava Alfio Mosca, col carro dell’asino, che gli faceva di berretto anche lui, colla faccia tosta, si sentiva bol- lire il sangue, per la gelosia della chiusa. - Mi uccella la nipote per portarmi via la chiusa! borbottava con Piedipapera. Un fannullone! che non sa far altro che anda- re attorno col carro dell’asino, e non possiede altro. Un morto di fame! Un birbante che le dà ad intendere d’essere innamorato del suo grugno di porco, a quella brutta strega di mia nipote, per amor della roba. E quando non aveva altro da fare andava a piantarsi davanti all’osteria della Santuzza, accanto allo zio Santoro, che sembrava un altro poverello come lui, e non ci andava per spendere un soldo di vino, ma si metteva a guaiolare come lo zio Santoro, tale quale come se chiedesse la limosi- na anch'esso; e gli diceva: — Sentite, compare Santoro, se vedete da queste parti mia nipote la Vespa, quando Alfio Mosca viene a portare il carico del vino a vostra figlia la 12. col carro dell'asino: c&x. N, 1. — faceva di berretto: «Fare di berret- ta ‘cavarsi la beretta per atto di saluto, e di riverenza”; più comune- mente Far di cappello» (Rigutini-Fanfani). — la gelosia della chiusa: pre- gnanza del sintagma determinata dalla totale identificazione della ni te con la «roba», da cui lo scambio e l'incrocio degli ambiti di riferi- mento (gelosia per il presunto corteggiamento di Alfio e timore di per- dere la chiusa). Mi uccella la nipote: vengono qui fatti coesistere i due potenziali significati del verbo (di ascendenza toscana), cioè ‘beffare’ e “amoreggiare’ (Fanfani); vedi anche X, 62. In A è correzione sull’uni- voco: «Fa all'amore con mia nipote». 13. guaiolare: «guaire sommessamente; detto del cane [...]. E per dispregio si dice anche degli uomini» (Rigatini-Fanfani). Cfr. Fantasticheria, p. 133. «piangeva guaiolando, come fanno i vecchi». — occhi spenti: lo zio Santoro è cieco; ma cfr. il gioco ironico con il prece- dente «state a vedere». Clr. X, 47. — non passava una mosca: locuzione rimotivata dal gioco col nome del personaggio (Alfio Mosca) cui impli- citamente ci si riferisce. Letteratura italiana Einaudi 89 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto prima dell'estate, osservò compar Alfio. Mena cogli occhi seguiva l’ombra delle nuvole che correva per i campi, come fosse l’ulivo grigio che si dileguasse; così correvano i pensie- ri della sua testa, e gli disse: — Sapete, compare Alfio, di quel- la storia del figlio di padron Fortunato Cipolla non ce n'è nulla, perché prima dobbiamo pagare il debito dei lupini. - Io ci ho piacere, rispose Mosca, ché così non ve ne anda- te dal vicinato. — Ora poi che torna ’Ntoni da soldato, col nonno e tutti gli altri, ci aiuteremo per pagare il debito. La mamma ha preso della tela da tessere per la Signora. — Bel mestiere anche quello dello speziale! osservò Mosca. In questa spuntò nella viottola comare Venera Zuppidda, col fuso in mano. — Oh! Dio! esclamò Mena, vien gente! e scappò dentro. Alfio frustò l’asino, e se ne voleva andare anche lui. - Oh, compare Alfio, che fretta avete? gli disse la Zuppidda; vole- vo domandarvi se il vino che portate alla Santuzza è della stessa botte di quello della settimana scorsa. 18. col fuso in mano: cfr. II, 16. — così si è... abitino!: cr. IV, 22. — verso il Rotolo: il Rotolo» è «una borgata marinara alla periferia di Catania, nei pressi di Ognina» (Musumarra); qui comunque il sintag- ma, nella sua apparente genericità individua un luogo specifico del lito- rale nelle immediate vicinanze di Trezza; cfr., ad es., VIII, 16: «si udi- rono delle fucilate verso il Rotolo»; XIII 45 «verso il Rotolo [...] quan- do vanno a passeggiare nella sci» XIII, 46: «gli scogli del Rotolo»: XII, 64, 65; XIV, L: «all'angolo della sciara verso il Rotolo» (teatro dello scontro fra don Michele e Ntoni e luogo «dove "Ntoni andava a ronzare, con Rocco Spatu, e Cinghialenta ed altri malamesi»). — co”: unico esempio, insieme al caso immediatamente seguente, di impiego nel romanzo della preposizione nella forma apocopata; la lezione di A in entrambi i luoghi è «coi»; non è da escludere un’impropria lettura del proto, in seguito avallata implicitamente dall'autore. — nascondere il sole colla rete: ‘nascondere l'evidenza’; è l’espressione proverbiale si liana: «Ammucciari (‘nascondere’) lu suli cu la riti» (Mortillaro); cf. anche Rapisarda, p. 27. In A: «colla rete» è correzione su «collo stac- cio» (‘setaccio’); cfr. La vocazione di suor Agnese, in Don Candeloro Ci p. 819: «nascondere il sole collo staccio». Letteratura italiana Einaudi 92 19 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto — Io non lo so; il vino me lo danno nei barili. — Aceto da fare l’insalata! rispose la Zuppidda, un vero veleno; così si è fatta ricca la Santuzza, e onde gabbare il mondo si è messo sul petto l’abitino di Figlia di Maria. Belle cose che copre quell’abitino! Al giorno d’oggi per andare avanti bisogna fare quel mestiere là; se no si va indietro al modo dei gamberi, come i Malavoglia. Ora hanno pescato la Provvidenza, lo sapete? — No, io non ci sono stato qui; ma comare Mena non sape- va nulla. — Hanno portato adesso la notizia, e padron ’Ntoni è corso verso il Rotolo, per vederla che stanno rimorchiandola verso il paese, e pareva che ci avesse le gambe nuove, il vecchio. Adesso colla Provvidenza i Malavoglia potranno tirarsi su un’altra volta, e la Mena sarà di nuovo un bel partito. Alfio non rispose, perché la Zuppidda lo guardava fisso, co’ suoi occhietti gialli, e disse che aveva fretta di andare a consegnare il vino alla Santuzza. — A me non vuole dir nulla! borbottò la Zuppidda. Come se non li avessi visti co’ miei occhi. Vogliono nascondere il sole colla rete. La Provvidenza l'avevano rimorchiata a riva tutta scon- quassata, così come l’avevano trovata di là dal Capo dei Mulini, col naso fra gli scogli, e la schiena in aria. In un ‘momento era corso sulla riva tutto il paese, uomini e donne, e padron ’Ntoni, mischiato nella folla, guardava anche lui, come gli altri curiosi. Alcuni davano pure un calcio nella pancia della Provvidenza, per far suonare com'era fessa, quasi non fosse più di nessuno, e il poveretto si sentiva quel calcio nello stomaco. — Bella provvidenza che avete! gli dice- va don Franco, il quale era venuto in maniche di camicia, e col cappellaccio in testa, a dare un’occhiata anche lui, fumando la sua pipa. 19. naso... schiena. schiena în aria: d al par di un pesce morto». — Bella provvidenza che avete!: cfr. Ill, 17. Letteratura italiana Einaudi 93 20 21 Giovanni Verga - I Malavoglia - Capitolo quinto - Questa ora è buona da ardere, conchiuse padron Fortunato Cipolla; e compare Mangiacarrubbe, il quale era pratico del mestiere, disse pure che la barca aveva dovuto sommergersi tutta un tratto, e senza che chi c’era dentro avesse avuto tempo di dire «Cristo, aiutami!», perché il ‘mare aveva scopato vele, antenne, remi e ogni cosa; e non aveva lasciato un cavicchio di legno che tenesse fermo. — Questo era il posto del babbo, dove c’è la forcola nuova, diceva Luca il quale s'era arrampicato sulla sponda, e qui sotto c'erano i lupini. Ma di lupini non ne rimaneva uno solo, ché il mare aveva tutto lavato e ripulito. Per questo, Maruzza non si era mossa di casa, e non voleva più vedere la Provvidenza finché ci aveva gli occhi aperti. — La pancia è buona, e se ne può ancora fare qualche cosa, sentenziò alfine mastro Zuppiddu il calafato, e dava anche lui dei calci coi suoi piedacci nella Provvidenza. Con quattro lapazze ve la metto in mare un’altra volta. Non sarà più una barca che potrà resistere al mare grosso, un’ondata di fian- co la sfonderebbe come una botte fradicia. Ma per la pesca di scoglio, e per la buona stagione potrà servire ancora. Padron Cipolla, compare Mangiacarrubbe, e compare Cola stavano ad ascoltare senza dir parola. 20. dl mare aveva scopato... tenesse fermo: lezione maggiormente in sintonia colle categorie espressive del narratore popolare, rispetto alla primitiva versione di A, tecnicamente analitica: «si vedeva ancora un pezzetto di fune legato all’anello, e l'antenna aveva dovuto schiantarsi prima che avessero potuto serrare la vela» - cavicchio: zeppa di legno con cui si turano i fori dello scafo. — forcola: scalmo di legno o di ferro su cui si appoggia il remo. 21. lapazze: tavole poste come rinforzo del fasciame. — «Augura, viene»: contrariamente a Treves "81, ma in accordo con A, abbiamo vir- golettato il proverbio. Cfr. Pitrè, I, p. 178: «Addisia beni a li vicini, ca si rini grassanu boni li gaddinò» e p. 189: «Quannu lu tò vicinu stà beni, qualchi ciauru (‘profumo’) ti nnî veni». Vedi inoltre Rapisarda, p. 125: «Disìa beni a lu to vicinu, ca qualchi sciauni ti nni vent». Letteratura italiana Einaudi 94
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