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Il libro del Jazz capitoli I cantanti di Jazz e le cantanti di Jazz. BERENDT, Joachim e HUESMANN, Gunther, Appunti di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

BERENDT, Joachim e HUESMANN, Gunther, il libro del jazz. Dal ragtime al XXI secolo, prefazione di Luca Cerchiari. Odoya, Bologna 2015, i capitoli I cantanti di jazz e Le cantanti di jazz (pagg 639-678)

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 17/06/2020

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Scarica Il libro del Jazz capitoli I cantanti di Jazz e le cantanti di Jazz. BERENDT, Joachim e HUESMANN, Gunther e più Appunti in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! IL BLUES Il blues è un canto afro-americano nato nella seconda metà dell’ 800. Trae origine dai canti degli schiavi neri delle piantagioni del sud degli Usa. Il termine deriva dall’inglese “to feel blue”(sentirsi malinconico), che fa riferimento alla nostalgia e tristezza che provavano gli europei sentendo questo genere. Ha delle caratteristiche principali tra cui l’uso nella melodia delle blue notes, ossia quelle note corrispondenti ai gradi III, V e VII della scala maggiore, ma abbassate meno di un semitono, in modo che risultino leggermente calanti (per la musica classica queste note risultavano stonate). Un effetto molto usato nel blues è quello del vibrato (sia per le voci che per gli strumenti, chitarra e armonica principalmente). Il repertorio vocale del folklore africano a contatto con la cultura musicale dei bianchi assunse un andamento armonico, ma conservando l’incertezza modale tipica dei canti centro-africani. IL JAZZ Alla fine del secolo il blues si arricchì di una componente strumentale che, fusa con altri ritmi, generò tra il 1910 e il 1915 il jazz. Da musica di intrattenimento, questo genere giunse ad occupare il primo posto tra i generi leggeri nel periodo tra gli anni 20 e 30 del XX secolo, la cosiddetta “era dello swing”. Caratteri principali jazz: - Improvvisazione. Se la musica classica si basa sulla notazione musicale, nel jazz la musica scritta è solo il punto di partenza che permette all’artista di sviluppare le proprie idee musicali durante l’esecuzione, e talvolta è del tutto assente lo spartito. Questo aspetto si concretizza nella pratica dell’improvvisazione, uno dei principi cardine del jazz, che si può definire come una composizione pensata ed eseguita nello stesso istante e sviluppata sotto le dita del musicista durante lo svolgimento di un brano. Improvvisare non significa “andare a caso” o suonare qualsiasi cosa venga in mente, ma al contrario richiede grande competenza e abilità: generalmente l’improvvisazione deve sviluppare un’idea iniziale, deve interagire con le proposte musicali degli altri musicisti e deve essere nel complesso coerente. - Intonazione e ritmo. Uso blue notes + ritmo marcato che potrebbe appunto essere definito sincopato e “oscillante” come appunto indicato dal verbo “to swing”(il jazz fu chiamato anche swing per un periodo di tempo). LA JAZZ POETRY Sin dall'inizio del XX secolo sono state svariate composizioni poetiche che hanno cercato di corrispondere ai significati culturali e musicali del jazz e della black music in genere. La jazz poetry è una forma di poesia recitata con l'accompagnamento di una jazz band, spesso dal piccolo organico. Ma non è soltanto un recitare con l'accompagnamento di un sottofondo musicale, giacché la voce è strettamente legata alla musica, e, sebbene non sia melodica o modulata armonicamente e non segua le note, è considerata alla stregua di un qualsiasi strumento. Con le sue parti da solista, la voce va e viene esattamente come il pianoforte o il sassofono. Insomma, una poesia che prevede una performance con sottofondo di jazz music o poesia che cerca di cogliere qualcosa delle variazioni ritmiche di una jazz performance. Mentre in occidente la poesia e la musica sono state separate, diventando la musica sempre più arte astratta ed accademica, e la poesia, perdendo la sua tradizione orale, alla ricerca dei più raffinati linguaggi aulici, si è legata sempre più alla scrittura impressa su stampa, questa separazione nella cultura africana non è avvenuta. Anzi, attraverso l’analisi della musica afro-americana è possibile analizzare la storia di un popolo, partendo dai blues, attraversando il jazz e tutte le sue manifestazione nel tempo, fino al rap odierno, e gli intellettuali della cultura afro-americana fin dall’invenzione del fonografo hanno riconosciuto e sostenuto la sua portata socio-culturale. In questi casi la differenza tra jazz e poetry si ha solo nel termine, non più nella sostanza L’ERA DELLO SWING (1935-1945) Nel 1935 la Depressione seguita al crollo di Wall Street era in via di superamento e si guardava con fiducia all'avvenire, con voglia di divertirsi e dimenticare i lugubri anni trascorsi. Molte cose cambiarono e con esse la musica: le canzoni sentimentali, tanto congeniali al clima di autocommiserazione dei primi anni Trenta, lasciarono il campo a una musica festosa ed eccitante, e il jazz, che in quel periodo era chiamato swing, furoreggiava tra i giovani come sottofondo ideale per ballare e divertirsi. Sono gli anni delle cosiddette big band, orchestre composte da tre sezioni di fiati (generalmente tre sassofoni, tre trombe e due tromboni) e da una sezione ritmica (chitarra, pianoforte, contrabbasso e batteria) che, proponendo una musica semplice e poco impegnativa, dal ritmo ballabile e rilassato, contribuivano al clima di ottimismo necessario all’America per sollevarsi dalla crisi. Nell’era dello swing (tra il 1935 e il 1945) la musica da ballo, diffusa da seguitissime trasmissioni radiofoniche, era piuttosto uniforme, ma permetteva a giovani arrangiatori di sperimentare nuove soluzioni compositive. Inoltre la crescente popolarità di questa musica contribuì a migliorare l’immagine del jazz nell’opinione pubblica. L’originalità dello stile improvvisativo diventò un fattore sempre più determinante. (Mainstream jazz è il termine che indica ogni aspetto all'interno della musica jazz popolare della Swing Era più accessibile al grande pubblico). IL BEBOP (1940-1950) Il bebop, anche chiamato bop, è un genere musicale appartenente al Jazz comparso negli anni 1940-1950. È molto diverso dallo swing che lo precede: i musicisti volevano reagire allo swing liberandosi dei suoi vincoli per lasciare più spazio all’interpretazione. Il bebop in qualche modo disobbediva alle leggi o all’estetica comunemente accettata per l’armonia o la melodia esplorando nuovi orizzonti. Il bebop suona come qualcosa di disordinato. Il solo legame che unisce le varie improvvisazioni sono le armonie sul quale il pezzo è costituito. Il termine stesso indica un’accelerazione del tempo con accenti imprevedibili. Il bop è infatti caratterizzato da un tempo rapido e melodie tortuose e complesse. Il pubblico dell’epoca era abituato a melodie “ordinate”, per questo non accolse molto bene questo nuovo stile, ma per i musicisti e gli amanti del jazz, il bebop è visto come una nuova prospettiva eccitante. Esempio di canzone famosa bebop: “A night in Tunisia” Dizzy Gillespie I CANTANTI JAZZ Nel jazz, i suonatori di strumenti sono sempre stati soliti imitare il suono della voce umana con il loro strumento (es. i suoni growl della tromba). Allo stesso modo, il cantante jazz tratta la sua voce come uno strumento, perciò quei criteri che sono importanti per la musica vocale europea sono irrilevanti per il canto jazz( per esempio la purezza della voce). Alcuni dei più importanti cantanti di jazz hanno infatti secondo criteri classici una voce “brutta”. Per quanto riguarda i cantanti, mentre quelli jazz riscuotono grandi successi dal pubblico, quelli blues sono principalmente sconosciuti. Il primo cantante blues che raggiunse il successo fu Ray Charles, ma lui fu solo l’ultimo di una serie di bluesman a noi ignoti. Vi sono due correnti blues: Mississippi e Texas. I bluesman del Mississippi solitamente emigravano a Chicago e avevano uno stile più grezzo/sporco, mentre quelli del Texas erano soliti emigrare in California e avevano uno stile più morbido e flessibile. Il più famoso artista blues è B.B.King, originario del Mississippi. Il suo obiettivo era quello di dare al blues le attenzioni che si meritava, visto che molti guardavano a questo stile dall’alto al basso viste le sue origini. Rushing fu il primo cantante a non cantare più sul beat ma ad anteporlo o ritardarlo creando così un effetto maggiore di tensione. Louis Armstrong è uno dei più importanti cantanti jazz (raggiunse inizialmente la fama come trombettista). Famosissimo per il suo scat. Anni fa, il Times scrisse dopo un concerto di Armstrong: “Naturalmente questa voce è brutta, se la si confronta con ciò che in Europa consideriamo una bella voce. Ma l’espressività che Armstrong sa inserisce nel suo canto, rendono la sua voce più bella di tutte quelle tecnicamente perfette e gradevoli, ma fredde e senz’anima”. Che anche Frank Sinatra debba considerarsi un cantante jazz è una questione che la critica ha dibattuto fino allo stremo. La risposta a questa domanda sta nella ritmica del suo canto. Negli anni 40 e 50, i cantanti commerciali usavano spesso il vibrato; Sinatra, invece, sviluppò una tecnica sublime di legato, e usava il vibrato soltanto saltuariamente e soltanto sulla scia di una nota. Era quindi l’antitesi dei crooners, sebbene, paradossalmente, questa definizione gli fosse stata in seguito appiccicata. Tutto quello che cantava Sinatra aveva le radici piantate a fondo nel jazz, specialmente il modo in cui cantava le ballad. I cantanti fuori dal blues avevano, quasi senza eccezione, una chance nel jazz solo quando la loro voce era deformata in modo naturale. Questa caratteristica è evidente nello stile di Jimmy Scout. Il suo marchio di fabbrica è un suono stranamente alto e fragile che, per gli standard del canto occidentale, può sembrare alquanto fiacco e “lacrimoso”. Ma Scott sfrutta queste qualità per ottenere effetti che invece sarebbero irraggiungibili da una voce “non deformata”. L’arrivo del Bebop e la nascita di un nuovo spirito negli scrittori della “beat generation” fanno intravedere il periodo più fecondo della storia delle performance di jazz-poetry. Subentra nella musica una nuova coscienza e il percorso socio-culturale dei musicisti nero-americani li porterà verso posizioni sempre più radicali. Con il Bebop si restringe la formazione in quattro cinque musicisti, cambiano i suoni, il solista assume il ruolo centrale, che negli anni ’60 con l’avvento del Free-jazz sembrerà quasi la figura di guru. Proprio i poeti bianchi di fine anni ’50, identificati come beat-generation furono affascinati da questo nuovo modello di musica, esportando e facendo conoscere la jazz-poetry. Eddie Jefferson è il padre del Vocalese: è stato il primo, già all’inizio degli ani ‘40 ad usare questa tecnica per riprodurre assoli jazz famosi “vocalizzandoli”. King Pleasure è stato spesso considerato a torto l’ideatore di questo stile, perché fu il primo ad inciderlo su disco nel 1952. La tecnica del vocalese su perfezionata al massimo da Jon Hendricks. Fu lui il vero “poeta degli assoli di jazz”. Hendricks entrò poi a far parte del trio musicale jazz Lambert-Hendricks-Ross. Mark Murphy ha modernizzato il canto swing come nessun altro. Il suo stile ambizioso dal punto di vista cromatico e armonico si basa su un infallibile senso del ritmo e un modo di cantare le ballad sorprendente. Nel suo stile inserisce sillabe scat ispirate dal suon della batteria. È il musicista che ha fatto di più per mantenere accesa la fiaccola del bebop tra i cantanti jazz. La musica brasiliana ha un grosso effetto sul jazz moderno, quindi è inevitabile citarne qualche cantante famoso. I padri della musica brasiliana moderna sono Antonio Carlos Jobim e Joao Gilberto. Il cantante invece che ebbe più successo negli anni 70 fu Al Jarreau, che si ispirò al trio Lambert-Hendricks- Ross. E lo si vede anche quando canta le sue frasi a modi sassofono, muove ole mani e le dita come se suonasse uno strumento inesistente, proprio come Hendricks e Lambert avevano fatto anni prima. Con la sua gola, Jarreau crea un’orchestra fatta di strumenti a percussione e sassofoni, trombe e flauti… il tutto viene prodotto dalla bocca di un solo uomo. Sembrava disponesse di almeno una decina di voci maschili e femminili. Chiunque pensasse che le abilità di Jarreau difficilmente potessero essere superate si è dovuto ricredere all’inizio degli anni ottanta quando sulla scena arrivò Bobby McFerrin, che riusciva a cantare per ore senza sforzo usando la sua intera estensione vocale con abilità dalle note più basse, alle parti più alte in falsetto. Egli affermò “ci sono persone che hanno bisogno di uno strumento per esternare le proprie sensazioni e i propri sentimenti, ma un cantante deve soltanto aprire la bocca”. Una caratteristica particolare di McFerrin è che egli canta anche durante l’inspirazione (tecnica che lui per primo ha usato con costanza). “Don’t Worry, Be Happy” è il suo maggior successo. I cantanti del Bebop cantano come fiati, soprattutto come sassofoni e trombe. Con Jarreau e McFerrin, però, la voce si è aperta a tutti gli strumenti orchestrali. All’inizio degli anni novanta, il mondo, ha preso l’altra direzione; tutt’a un tratto le possibilità strumentali della voce sembravano aver toccato il fondo e i cantanti fecero ritorno alle canzoni. Questo ritorno si doveva in parte al fatto che molti cantanti jazz più vecchi, che durante gli anni ‘70 vivevano nel quasi totale anonimato, sono tornati improvvisamente in auge. Tra questi, Andy Bey. Il canto di Andy Bey irradia dolcezza. Una delle sue specialità che lui chiama “stile silenzioso”, uno stile in cui usa la voce baritonale con morbida delicatezza, piena di malinconia; per fare ciò sfrutta i morbidi e scuri suoni palati ed è incredibile come il suo sound dia l’impressione di acquistare forza quando usa questa tecnica, laddove molti altri cantanti jazz apparirebbero esili e limitati. Bey racconta: “suonare con il palato molle è come cantare sul tuo respiro”. Passiamo ora al canto nella free music: l’inglese Phil Minton ha aperto il canto maschile alle possibilità rumoristiche: stridii, cigolii, borbottii, mugolii, e altri suoni ai limiti del “rumore bianco”. Con lui ha inizio un filone di cantanti che utilizzano quelle che potremmo chiamare tecniche vocali estese o estreme: suoni “non vocali” della bocca. Il francese Collignon è un altro vocalist i cui suoni vocali originali, rumori emessi con labbra, lingua e guance, lo hanno fatto diventare un caposaldo della scena jazz francese. È un maestro di rapidi cambi di tempo e registro. Nel mondo jazz cantanti come il russo Sergei Starostin, l’indiano Amit Chatterjee, l’italiano Gavino Murgia (specialista di uno scat grezzo, aspro, che si ispira alla musica popolare sarda) e il tedesco Simon Jakob Drees hanno rielaborato le radici delle loro tradizioni folk nel jazz contemporaneo. Stevie Wonder è un musicista poliedrico e universale. Compositore, arrangiatore e cantante, nei suoi dischi suona ogni strumento immaginabile e padroneggia tutte le moderne tecniche di incisione. Con l’arrivo degli anni ‘80 e ‘90 cantanti come Kevin Mahogany hanno trovato un pubblico entusiasta del canto swing mainstream, laddove da anni Hendricks e Mark Murphy erano sembrati due profeti solitari nel deserto. Kevin Mahogany prima di fare il cantante era un sassofonista. La sua caratteristica più importante è la sua poliedricità: sa cantare blues rispettando i canoni del Great American Songbook, senza rinunciare al proprio sound caldo e intenso, pieno di soul e bellissimo. Il canto multi stilistico ha trovato terreno fertile soprattutto in Europa. Michael Schiefel è uno dei pochi jazzisti tedeschi che ha avvero uno stile originale. È un solista dalle doti straordinarie che , nelle esibizioni senza accompagnamento, estende e snatura la sua voce tramite l’elettronica, mentre in gruppo mette in discussione il maschilismo ancora prevalente nel mondo jazz con il suo modo “gay” di cantare (come sottolinea anche il suo disco “GAY”). Nel canto Jazz mainstream, Mark Murphy ha fatto passi da gigante verso una maggiore libertà. Questo è forse il motivo per cui molti cantanti jazz contemporaneo lo prendono come punto di riferimento. L’abbondanza di idee e la musicalità lungimirante hanno fatto di Kurt Elling uno dei vocalist più originali del jazz contemporaneo. Alcuni sostengono che sia riuscito anche a superare i maestri. Elling possiede una voce ricca e piena che si estende dal registro alto del tenore al registro grave del baritono, persino più in basso di Murphy. Ha sviluppato un sistema innovativo di rompere le frasi, combinando il suono morbido del crooner con la spericolatezza musicale dello scat libero alla fusione del vocalese bepop e la poesia beat. Così facendo, nel suo approccio swing al canto jazz tutto è possibile in termini di stile. “If I had it my way, I’d sing true like Ella and breath like Sarah Vaughan” citazione di Ernestine Anderson. Simboleggia gli idoli delle cantanti moderne che vorrebbero avere l’espressività e il fraseggio di Sarah Vaughan o Ella Fitzgerald. Nina Simone è una voce particolarmente impegnata nella battaglia per la dignità e l’identità dei neri, come donna, come cantante, come pianista e come persona. Abbey Lincoln ha trasformato il pianto di Billie Holiday in un Linguaggio jazz moderno nel modo più personale e ha contribuito con molte canzoni originali ed interessanti melodie al repertorio jazz. Disse “credo che le giovani cantanti non debbano cantare questi vecchi standard, che sono grandi ma sono stati fatti e rifatti mille volte”. Sheila Jordan ha particolare importanza. Ha liberato lo stile vocale aprendo la via a tutte le cantanti del free jazz che saranno nominate più avanti. Sheila è diventata famosa per la sua collaborazione con George Russell, soprattutto grazie alla satira sublime del suo “You Are My Sunshine”, una pungente canzonatura della società americana. Passando agli scat vocals, la regina in questo campo e nel campo del jazz in generale dopo Billie Holiday è Ella Fitzgerald (tra gli uomini Louis Armstrong). È importante notare che lo scat non ha niente a che vedere con la vocalizzazione “senza senso”. Le vocali scat dei più grandi cantanti jazz non possono essere semplicemente scambiate tra di loro perché non tutte le sillabe sono adatte a tutte le situazioni musicali. Come ha affermato un critico “ i cantanti scat selezionano le sillabe preferite come una contessa sceglie le proprie perle dal gioielliere”. I cantanti usano alcune sillabe per imitare le caratteristiche particolari degli strumenti, mentre altre incarnano il suono personale che il cantante vuole far diventare il suo marchio di fabbrica; quindi, ognuno dei grandi vocalist scat ha sviluppato un sistema personale di maneggiare le sillabe. Certi cantanti scat usano la sillaba “dui”. Ella invece non la usa molto, preferisce il suono “bi” e “di”. Sarah Vaughan usa di più il suono “sciu-iii-bidi”. “Quello che devi fare è trovare la tua sillaba”. Lo scat ha un significato semantico, fugge ai limiti della logica verbale e alla razionalità e al senso quotidiano delle parole. Anche tra le cantanti il blues si dimostra la vera costante della musica nera, in continuo mutamento pur restando blues e trasmettendo il suo messaggio di generazione in generazione. Dinah Washington fu soprannominata “queen of the blues”, le sue radici gospel si avvertono in molte delle sue incisioni blues. La sua voce, sempre molto viva e pungente , univa all’espressività del blues la sensibilità del jazz, usando in modo unico un vibrato molto veloce. Aveva una comicità beffarda che rasentava il cinismo e donava alle sue esibizioni una dimensione in più. Janis Joplin ha trasferito nel rock l’arte del canto blues classico. Aveva un forte influsso di Bessie Smith. Era spinta da una forte volontà di vivere ed amare fino alla sua morte improvvisa nel 1970 di cui la stampa di interessò tantissimo. Proprio nel suo canto dimostra chiaramente quanti artisti bianchi abbiano deteriorato i valori della musica nera (penso rendendola mainstream e quindi togliendo i valori per i quali era nata). Come la musica soul, la tradizione gospel sfociò nella musica leggera, rappresentata da cantanti come Tina Turner, Diana Ross, e soprattutto dall’artista definita la Billie Holiday degli anni ‘70: Aretha Franklin. I dischi di successo di Aretha appartengono alla migliore musica leggera degli anni ‘70, ma esiste una sua incisione di eccezionale interesse per gli appassionati di jazz: “Amazing Grace”, nata nel 1972 nel New Temple Missionary Baptis Church di Los Angeles alla presenza e on la collaborazione di tutta la comunità riunita, è una funzione religiosa piena di swing e di estasi unica nel suo genere. Negli anni settanta non era più possibile essere una cantante jazz. Le giovani cantanti di oggi vogliono canzoni commerciali, ma il guaio è che se il tuo canto diventa commerciale, smette di essere jazz. Ne è un esempio la carriera di Dee Dee Bridgwater. Alla fine del decennio sembrava scomparsa dal mondo jazz e per questioni economiche si dedicò al musical e alla musica soul. Alla fine nel 1983 si trasferì in Francia dove la sua carriera jazz trovò nuova vita. Nessun’altra cantante jazz di oggi ha lo swing di Dee Dee BridgeWater. Usa lo scat di Ella Fitzgerald meglio di chiunque altro ed è molto brava a raccontare storie con la sua voce. Secondo lei tutte le giovani cantanti di oggi dovrebbero imparare come raccontare una storia. Anche tra le cantanti folk ce ne sono alcune di rilevanza per il jazz, tra cui Judy Collins e Joni Mitchell. Così come le cantanti nere si ispirano al gospel, al soul e al blouse, le bianche riprendono la musica popolare angloamericana. Judy Collins ha elaborato in modo straordinario i canti, le grida e i segnali delle balene. Joni Mitchell ha un modo di cantare poetico e vigoroso. Costruisce insolite armoni con la chitarra che trascendono le strutture convenzionali della musica pop. Canta con grande autenticità e si sente che quello che canta proviene dal profondo. La sua appartenenza alla tradizione jazz si palesa quando Joni rivela che il disco più importante per la sua evoluzione musicale è stato “Sing Along with Basie” del gruppo Lambert- Hendricks-Ross. Il Brasile ha delle voci ancora più convincenti di cui negli stati uniti e in America non si sa quasi niente. La più famosa è forse Astrud Gilberto, regina della bossa nova (genere musicale brasiliano che trae origine dalla samba). Ebbe successo grazie alla canzone “Garot De Ipanema” (Girl From Ipanema) che doveva essere cantata dal marito Jao Gilberto. Ma metà della canzone era in inglese e troppo difficile da cantare per jao, quindi egli fece riferimento in studio di registrazione su Astrud che cantò la parte in inglese (Astrud si trovò qua per la prima volta di fronte ad un microfono). Oggi, la sua versione di “Girl from Ipanema” è il pezzo pop più suonato della storia dopo “Yesterday” dei Beatles. Cantanti come Jeanne Lee, Kerin Krog, Norma Winstone, Jay clayton hanno esteso la dimensione della voce come strumento a cambi che ancora pochi anni fa sembravano immaginabili. Per loro cantare è anche gridare, ridere e piangere. Tutto il corpo diventa strumento. Jeanne Lee, scomparsa nel 2000 era una maestra della spazializzazione del suono; sembrava danzare con le parole. La sua voce possedeva un timbro schietto, diretto che cambiava in modo spettacolare e toccante tra canzone e parlato. Jeanne ha vocalizzato la poesia moderna, Nessun’altra cantante ha un rapporto così profondo con la parola, sa ascoltare e palpare il suono della parola, di ogni sillaba. Krin Krog, originaria della Scandinavia, con la sua voce lucida e fredda è diventata esperta delle formazioni in duo e dal 1978 ha trovato una particolare sensibilità nei dialoghi con il sassofonista John Surman. Norma Winstone ha unito il free jazz e le ballad. Jay Clayton insieme a Jeanne Lee fece parte dei Vocal Summit, al tempo il gruppo vocale più originale e completo. Sainkho Namcylak spazia tra oriente ed occidente. Esplora molti generi da quelli dell’est asiatico ad altre tecniche del folk mondiale assieme a tecniche del canto free. I suoni che riesce a produrre si estendono dai più gravi ai più acuti. Nonostante abbia provato molti stili e generei, mantiene le sue radici nella cultura tuvana da cui prende il canto leggero del quotidiano (canzoni dedicate alla bellezza della natura, per creare un profondo rapporto con gli animali) e le canzoni degli spiriti (dirette alle anime degli antenati e degli spiriti della natura). Si tratta di canti ripetuti molte volte come fossero dei mantra. Oggi, Sainkho vive a Vienna ed è diventata una delle voci più richieste per la musica d’improvvisazione europea. Trent’anni fa l’opinione diffusa era che il canto jazz stesse morendo. In effetti era così negli anni settanta, ma negli anni ottanta tornò il jazz mainstream (un po’ com’era successo nell’era dello swing). La specialità di questo ritorno è che questi cantanti sono molto più versatili. Il contralto Cassandra Wilson possiede parte della fumosità e della robustezza delle cantati del suo stato natale (Mississippi) ma la sua voce è la più matura, scura e sensibile del jazz contemporaneo. È una grande cantastorie concentrata sul testo, e tende a preferire le canzoni lente. Canta con molta emotività e la sua preoccupazione principale non è quella di fare sfoggio delle sue abilità tecniche. Nel 1993 il suo disco “Blue Light ‘till Dawn” fu un successo, fondeva l’atmosfera del Mississippi con quella dei caraibi, il blues arcaico e la musica folk del Louisiana. Quello che lei dice sempre delle canzoni che canta è che non è lei a sceglierle, ma sono loro a scegliere lei. Norah Jones riesce a smentire le etichette discografiche che fino a quel momento pensavano che il pubblico giovane volesse solo ascoltare musica pesante a tutto volume, persino violenta. Con il suo modo di cantare intimo ha conquistato moltissimi fan e con il suo album “Come Away With Me” nel 2003 ha vinto un grammy. Prima della Jones, alla fine degli anni 90, aveva già preso piede una tendenza il cui inizio è stato segnato dal successo di Diana Krall. Era di nuovo di moda interpretare le melodie del Great American Songbook, e quest’andamento ha dato alle cantanti jazz un grosso impulso. La cantante Diana Krall ha dato il via a questa tendenza infondendo nuova via ai vecchi standard del jazz con un fraseggio controllato e pieno di soprese. La sua voce è molto emotiva ed esplora tutte le sfumature di sentimento e passione umana con fragilità, un goccio di asprezza, seduzione e un po’ di growl vocale, il tutto filtrato attraverso la sua tipica freddezza. Altrettanto degna di nota come pianista, con lei anche questo diventa una specie di cantante. Subito dopo segue Jane Monheit, che ha raggiunto la fama grazie a una miscela di standard e sex appeal. Il suo punto di fora sono gli slow tempo e le ballad, alle quali trasmette una carica erotica e un suono dolce, puro e swing. Nel suo timbro intenso e caldo, nella prontezza assoluta con la quale riesce a passare da un canto intimo a un drammatico registro di petto, c’è sempre un qualcosa di raffinato e calcolato. D’altra parte però non ha l’impulso di abbellire ogni canzone con acrobazie vocali. Con il successo di Diana Krall, Jane Monheit e Norah Jones, le cantanti del jazz sono diventate di gran lunga il ramo del jazz contemporaneo più redditizio dal punto di vista commerciale. Le case e gli agenti discografici videro subito il potenziale di questo filone, presentando numerosi nuovi talenti. Gran parte di questo boom ha mostrato chiari segni di una mania femminile, nel senso che la bellezza e la gioventù erano
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