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Il linguaggio dell'arte romana, Sbobinature di Archeologia

riassunto del libro di Holscher

Tipologia: Sbobinature

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Scarica Il linguaggio dell'arte romana e più Sbobinature in PDF di Archeologia solo su Docsity! IL LINGUAGGIO DELL’ARTE ROMANA- HOLSCHER Capitolo 1 Il tentativo di vedere l’arte romana come testimonianze di intenti politici e di rapporti sociali ha avuto come conseguenza il passaggio in secondo piano degli aspetti formali rispetto all’iconografia e iconologia. Le forme dello stile attestano l’identità di interi periodi e ambiti culturali. Il modo in cui una società foggia questo mezzo di comunicazione (il linguaggio figurativo) e il modo in cui esso si ripercuote sulla società che ne fa uso e quali strutture comunicative siano insite nella sua sintassi e nel suo patrimonio di motivi ha importanza dal punto di vista storico-sociale. Il linguaggio figurativo romano verrà inteso come un sistema semantico (insieme di elementi che interagiscono in maniera flessibile formando un complesso articolato) funzionante in base a diverse strutture, non progettato consapevolmente. Un sistema di linguaggio figurativo non sa comprendere tutte le manifestazioni di un’arte, può comparire solo al fianco di cambiamenti cronologici dello stile e le costanti formali. Capitolo 2 Le opere d’arte romana corrispondono poco all’idea moderna di “arte”. L’arte greca suscitava facilmente l’impressione di una immediata e universale familiarità mentre l’arte romana è stata posta a una distanza colmabile solo tramite un ponte intellettuale. L’influsso dell’arte greca su quella romana non è stato negato ma neanche preso in considerazione come fattore determinante. Alla base di ciò stava l’istanza di originalità: doveva garantire il carattere autonomo della romanità; fintanto che l’arte romana veniva vista come dipendente dai modelli greci non poteva soddisfare l’istanza di originalità. Questa dipendenza aveva suscitato il giudizio negativo di Winckelmann circa lo stile da imitatori e la rivalutazione a partire dal XIX secolo diede risalto alle forme autonome e creatrici. Si rimaneva vincolati se pure in modi opposti all’istanza di originalità, considerando gli elementi greci come fattori di disturbo dell’autonomia dell’arte romana, mettendoli da parte in quanto considerati marginali. L’arte romana si considerava dapprima di rilevanza secondaria a causa dell’imitazione dello stile greco, poi importante nonostante questo temporaneo straniamento; in ogni caso si perdevano di vista le radici greche. La ricerca si limitò alle classi di opere considerate particolarmente romane: il ritratto, il rilievo storico e l’architettura. Oggi è incontestabile che l’arte romana si fondi su premesse greche e si è visto che la Roma di età tardorepubblicana era una metropoli dallo spiccato carattere greco-ellenistico. Non si può considerare l’arte romana come il solo proseguimento di quella greca ma il carattere specificatamente romano si può fondare solo su premesse funzionali e tematiche. Il problema del linguaggio figurativo e della sua funzione all’interno della società deriva dal fatto di non considerare le opere solo dal punto di vista della produzione ma anche da quello della comunicazione abbandonando l’idea di evoluzione progressiva e di uno stile unitario e spontaneo come espressione dell’individualità storica. Quale il compito della tradizione greca all’interno della civiltà romana imperiale? Capitolo 3 Primo modello di ricezione: ogni periodo della storia romana avrebbe ripreso quella fase dell’arte greca che più si avvicinava ai propri ideali stilistici (il tipo del ritratto di Augusto ricorre al linguaggio formale classico di V secolo di Policleto, il ritratto di Vespasiano si collega alle forme barocche dell’ellenismo) dall’idea di base che l’arte romana oscilli costantemente tra classicismo e barocco; è l’applicazione di un modello elaborato per l’arte greca (sviluppo progressivo di stili che caratterizzano il periodo) con la differenza che non avverrebbe in base a innovazioni autonome ma mediante la selezione di modelli precedenti. Ma in ogni fase della storia romana si è fatto ricorso alle epoche stilistiche più diverse. Sono tipi codificati di scene e figure ma segnati dallo stile delle diverse epoche. Abbiamo tipi figurativi identici elaborati in stili differenti e stili dell’epoca affini in tipi figurativi di differente origine storico-formale. Il pluralismo dei modelli era tale da non poter essere determinato dal gusto unitario di un’epoca intera né da quello di gruppi sociali o singoli. La molteplicità dei modelli è presente anche all’interno di una stessa opera – fregio grande dell’Ara Pacis = Partenone, fregio piccolo= molto distante dai modelli classici; rilievo con scena di battaglia=lontano dai fregi classici ma vicino a quelli ellenistici; monumento di Lucio Vero a Efeso scena di rappresentanza= nella tradizione del fregio grande dell’Ara Pacis ma la scena di battagli= fregio di Mantova; rilievo con Enea nell’Ara Pacis= rappresentazione paesistica dell’ellenismo fregio di Telefo dell’altare di Pergamo ma la figura di Enea è classicissima + particolari elaborati in epoche successive come il panneggio simile al Poseidone di Melo. Lo stile dell’Ara Pacis in tutti i suoi rilievi è di gusto classico, è quello stile augusteo inteso temporalmente-. Si distinguono quindi i modi rappresentativi, i tipi figurativi e le formule di dettaglio, che possono risalire a periodi diversi dell’arte greca e la concezione del rilievo e la lavorazione artigianale che presentano questi elementi eterogenei in uno stile unitario. Lo stile sarebbe manifestazione di un habitus generalizzato, i tipi figurativi e le formule un patrimonio culturale fruibile collettivamente generatore di un linguaggio differenziato. Su cosa si fonda la scelta dei modelli? I contenuti e i temi hanno regolato la scelta dei modelli, d’altra parte il contenuto era decisivo mentre la forma aveva un ruolo subordinato. Ha preso prototipi diversi da periodi diversi dell’arte greca in funzione di ambiti tematici differenti e li ha mantenuti orientandoli secondo il contenuto indipendentemente dallo stile proprio di ogni epoca. Capitolo 4 Le rappresentazioni romane di battaglie (es. Mosaico di Alessandro a Pompei, copia da dipinto che risale a poco dopo la morte di Ale Magno) sono nel solco della tradizione ellenistica: in età classica lo svolgimento si risolveva in monomachie affiancate; i rapporti di spazio tra i personaggi erano reali solo nella misura in cui corrispondevano ai loro diretti movimenti, ne deriva quell’immediatezza dell’agire umano che caratterizza i concetti di individuo e azione per i greci. Nel dipinto c’è invece l’intreccio di azioni di più personaggi entro uno spazio continuo, ogni personaggio ha un suo posto e ruolo: le figure sono riunite in grandi masse, fondendosi in un unico movimento collettivo; l’individuo era iscritto in una rete collettiva di relazioni estesa oltre il limite delle proprie azioni. Nel quadro è ben espressa la molteplicità dei destini particolari, mentre nelle scene di battaglia classiche vincitori e vinti erano legati in un medesimo contesto di fato e azione. L’isolamento dei destini individuali nel mosaico è funzionale ad esprimere la necessità che il ruolo del singolo all’interno di una totalità superiore assurgesse a soggetto figurativo. Il nuovo concetto di spazio è la premessa per la distinzione dei destini individuali. Sono soprattutto i soccombenti ad essere descritti con grande partecipazione. Tutto è esposto con un pathos finora inconcepibile, introdotto dai gesti afflitti dei persiani che in quanto spettatori sembrano illustrare il turbamento provato dall’osservatore. Nel dipinto è costante la ricerca di effetti di netto contrasto. Il dipinto punta verso il mondo nuovo, politicamente, socialmente e psicologicamente dell’ellenismo: questo era possibile solo nella pittura. La Battaglia di Alessandro sul Sarcofago di Sinode, dipendente in maniera evidente dal dipinto, risolve la trama di azioni in singoli gruppi dalle tipologie tradizionali, ma compressi. Il monumento per le vittorie di Attalo I di Pergamo : i vincitori non sono compresi, la loro presenza è sottintesa grazie all’impianto in cui il monumento si trovava (recinto sacro di Atena Nikephoros) e impersonati nella figura di Attalo stesso, punto di riferimento tematico; la separazione tra vincitori e vinti sono conseguenze della concezione portata dal dipinto di Alessandro , anche qui i destini individuali sono rappresentati in varie sfaccettature e c’è un forte pathos raggiunto tramite contrasti formali. Ancora oltre si spinge il monumento ad Attalo II sull’Acropoli di Atene: qui addirittura i vincitori storici, Attalo ed Eumene, cui si riferivano sia i personaggi del mito che quelli della storia, erano raffigurati con gli attributi della divinizzazione. Stesso concetto il monumento di Emilio Paolo a Delfi: il vincitore non è presente nel fregio ma compare al di sopra degli episodi anonimi di lotta del fregio, non solo i nemici ma anche i compagni costituivano la base della gloria del condottiero. La concezione alla base di queste immagini ha una controparte letteraria nella storiografia drammatizzante dell’ellenismo.: si proponevano di far rivivere la storia in prima persona ai lettori. Rappresentanti di questa corrente Duride di Samo e Filarco che però furono esclusi dalla tradizione classicista e quindi li conosciamo per via indiretta. L’applicazione dei principi dell’estetica aristotelica della tragedia alla storiografia ha dato notevole impulso. Già per Aristotele i mezzi per suscitare pathos erano fatti mortali, ancora di più se la morte veniva per panneggi sono quindi molto simili). Le forme non hanno un aspetto classico puro, sono contaminate da componenti più recenti, ma comunque non si può negare il rapporto sostanziale e voluto con la grecità classica. Il linguaggio formale è ripreso per la realizzazione di un nuovo stile rappresentativo con il quale raffigurare con il giusto decoro le autorità dello stato. Nella concezione romana lo stile di Fidia incarnava maiestas, pondus e auctoritas, vicinissimi alla gravitas e sanctitas di Policelto; soddisfano l’idea ciceroniana di dignitas. Tutto ciò risponde all’atteggiamento globale di Augusto che con il classicismo prendeva le distanze da Antonio, cui rimproverava le tendenze asiane nell’eloquenza, atte a provocare stupore più che convinzione; era una presa di posizione di intelletto contro l’emotività. Augusto cercò di ripristinare la dignitas degli ordini sacerdotali e del Senato, lui stesso proponeva un’ideale di serena e posata tranquillità e il suo eloquio era sobrio ed elegante. In quanto stile generale ruotava intorno a determinati temi: la propria persona, il senato e gli ordini sacerdotali, per il resto era meno rigoroso. Il classicismo è appropriato solo entro certi limiti: non c’è un generale recupero storicizzante dell’Atene classica ma l’arte esprime una nuova situazione consapevole del presente e orientata verso il futuro; le forme greche classiche erano impiegate in accezione modificata in modo da rappresentare i valori romani per eccellenza. La forma compositiva del fregio dell’Ara Pacis era talmente adeguata al tema della solenne cerimonia di stato che rimase in vigore per secoli: Ara Pietatis, Arco di Tito, Arco di Traiano a Benevento, Arco di Marco Aurelio. La tradizione conobbe trasformazioni a causa dell’evoluzione dello stile d’epoca (cambiamenti nella lavorazione del marmo e nella concezione del rilievo) allontanandosi sempre di più dalle forme del rilievo greco classico: le forme di rappresentazione della dignitas, che all’inizio si erano sviluppate con l’aiuto della grecità classica, conseguirono presto autonomia; la tradizione aveva acquistato abbastanza forza, anche prescindendo dalle origini, per trasmettere da sé il significato voluto. Nell’arco di Benevento i personaggi, diversamente dal Partenone, sono posti a tutto tondo su sfondo neutro, come un palcoscenico e appaiono addensati e distribuiti in profondità mentre il contrasto è ottenuto tramite intagli. Capitolo 7 Per determinati temi si sceglievano determinate forme di rappresentazione appartenenti a periodi diversi dell’arte greca con l’idea che la possibilità di rappresentazione più adeguata per ciascun tema era stata trovata in un’epoca di volta in volte diversa. Queste modalità di rappresentazione permettevano di contrassegnare in maniera differenziata ciascun evento storico nei suoi tratti specifici. Questi schemi formali esprimevano di volta in volta anche una determinata concezione ideale dell’avvenimento: la scelta delle forme era fondata sul contenuto. L’altare augusteo di Arezzo mostra che lo stile neoattico non è proprio di determinate botteghe e non corrisponde al gusto generale di determinati committenti ma rappresenta una forma stabilita per determinate funzioni e temi: il paesaggio ellenistico si confaceva all’idillio ambientato in età protostorica mentre le forme neoattiche convenivano a delle personificazioni astratte e alla delicatezza di carattere. Le opere di Policleto erano modello per le figure del mondo mitico e divino caratterizzate da una bellezza fisica ideale: Quintiliano loda Policleto di aver donato un decor supra verum alla figura umana -Perseo di Copenhagen dal Discoforo-. Al contrario il tipo della testa dell’Ares Ludovisi di Lisippo è stato adoperato per immagini di Hermes: per Quintiliano Lisippo e Prassitele si erano accostati perfettamente alla verità di natura. Tra le figure femminili greche il tipo dell’Afrodite Capua di IV secolo, ripresa per ragioni iconografiche e di contenuti, che come modello viene rielaborata dalla Venere di Milo adattandolo ad un diverso tipo di movimento, non più ricostruibile. Di ordine oggettivo e tematico è la causa della trasformazione di Afrodite in dea della vittoria che iscrive le lodi del vincitore su uno scudo. La Nike è un motivo di IV secolo e lo scudo dall’età classica è usato come supporto rappresentativo di iscrizioni di vittoria: la fusione dei due non risale a prima del II secolo. Per chi avesse dimestichezza il tipo Capua si imponeva da sé: lo testimonia una gemma di età repubblicana; la trasformazione dev’essere avvenuta all’incirca all’epoca della Venere di Milo. Nella prima età imperiale il tipo nella versione di vittoria venne rinnovata con le fattezze del corpo e del panneggio dell’originale: la statua bronzea di Brescia che in origine non aveva le ali ma scriveva su uno scudo: Venere e Vittoria al contempo; più tardi le figure sulle collone di Traiano e Marco Aurelio saranno solo vittorie. Già Cesare aveva venerato la progenitrice divina come Venus Genitrix che come Victrix identificandola con la Victoria Caesaris. Motivazioni contenutistiche diverse determinarono l’impiego del tipo Capua nelle rappresentazioni di Marte e Venere: esempi di età antonina lo usano per ritrarre delle persone nelle vesti di divinità, ma probabilmente era già stata ideata in età augustea come lo testimonia la statua in cui si ricorre al modello dell’Ares Borghese di Alcamene, di piena età classica, per il dio: illustrava divina solennità e maestà ed esprimeva l’idea romantica di sottomissione a Venere, cui il tipo Capua era ovvio a causa delle movenze e dei gesti trasformabili in abbraccio; ulteriore motivo lo scoprimento del corpo: come amante di Marte, Venere non poteva in quell’epoca essere raffigurata altrimenti in maniera convincente. In tal caso il modello compariva solo dal IV secolo, quando cominciò a svilupparsi la sensibilità per il nudo femminile. La provenienza dei modelli da due epoche diverse non veniva sentita come una discrepanza fastidiosa. Altro modello il gruppo di Bacco con un Satiro: per il dio era adatto un tipo tardo-classico di Apollo Liceo che esprimeva tranquillità in mezzo allo strepitio e la vaghezza del denudamento di un corpo sensuale, caratteristiche di Bacco. Il dio era messo in risalto grazie al contrasto con la bruttezza di un tipo ellenistico di satiro, robusto, dai movimenti bruschi e dallo sguardo voyeuristico; di nuovo possibilità formali di due epoche diverse impiegate come opposizioni di contenuto e messe in rapporto reciproco. Per mostrare il lato primitivo del culto si ricorreva a un modello arcaizzante: vediamo uniti in un’immagine di Villa Albani tratti tardo arcaici e dello stile severo. Le forme stilistiche greche non erano collegate meccanicamente a temi stabiliti, erano espressioni di determinate caratteristiche e quando gli aspetti di un soggetto erano molteplici si poteva ricorrere a schemi di rappresentazione diversi. Un esempio le statue ritratto di Antinoo: un gruppo segue il tipo dell’Apollo del Tevere, di stile severo esprimeva il fascino sfuggente dell’età giovanile collegato alla pienezza sensuale dell’incarnato prediletta in età adrianea. In due statue Antinoo è caratterizzato come Bacco dagli attributi, è quindi l’ideale fisico generale a determinare la ripresa dell’Apollo del Tevere e non il suo significato iconografico. Il tipo del Doriforo di Policleto era usato per rappresentare Antinoo come un giovane particolarmente nobile; se l’accento andava sulla radiosa vaghezza si usava il tipo dell’Apollo Liceo, come in una statua di Leptis Magna; se in veste di Satiro danzante, come a Palazzo dei Conservatori, il modello erano figure ellenistiche volteggianti. Per dei ed eroi di tradizione elevata si preferivano le nobili forme della classicità o del tardoarcaismo e dello stile severo; figure danzanti e librate come Vittorie e Menadi le forme dello stile ricco del V secolo; per divinità dall’apparenza vaga modelli di IV secolo; per gli atleti alla tradizione lisippea; per Satiri e giganti a quella ellenistica. Villa dei Papiri a Ercolano è stata concepita secondo un programma contenutistico: collegamento antitetico dell’attività politica e di una vita ritirata volta alle gioie dello spirito; la scelta dei modelli è quindi tematica e non formale (+ per il ritratto era la sostanza ad essere decisiva, non la forma, doveva dare garanzie di autenticità: il tipo di ritratto era uno solo). Le statue di dei hanno invece le forme classiche delle figure- guida: il busto di Atena è il centro della galleria di esponenti della politica e della cultura, è quindi prodotta in quello stile dell’Atene classica celebrata come prototipo di una nobile e gloriosa unione tra attività dello stato e dello spirito. Apollo in forme severe e arcaizzanti, accanto alla musa, incarna con le forme tardoarcaiche il raffinato splendore della poesia preclassica; la seguace dalle forme tardoclassiche rappresentava una forma letteraria successiva, più intima e sensibile. L’Atena Promachos, punto di fuga del tablinum, ha le forme dell’ultimo arcaismo : qui gli esponenti della paideia e i rappresentanti della pietas e della nobilitas erano posti di fronte (Demostene ed Epicuro -eloquenza politica e filosofia individualistica- + due giovani greci VS. ritratti di personaggi romani tra cui un flamen); la dea tiene uniti i due mondi di ideali nazionali, marziale come il Palladio ad Atene o la sua controparte a Roma. Le forme antiche rievocano le vittorie dei greci contro i persiani che nella Roma augustea erano celebrate come modello della propria affermazione. Le due teste di giovani nel tablinum rappresentano l’ideale umano dei greci: l’atleta con i capelli corti e l’efebo con la chioma lunga; gli exempla dell’educazione greca sono nelle forme classiche, culmine di tale civiltà. L’ideale del kalos kai agatos è affinato al punto che la bellezza e la grazia possono essere caratterizzate nella maniera classica post-fidiaca, l’abilità atletica nelle forme della scuola di Policleto. Similmente il busto di Dioniso (?), dio dell’ideale di una vita appartata, è contrapposto ad Eracle come prototipo della condotta di vita attiva; le forme protoclassiche gli conferiscono un decoro dal sapore di primitività, l’eroe da una copia di Policleto che aveva dato corpo all’ideale della più alta areté eroica. Analoga la coppia di busti del Doriforo e controparte femminile accanto ai ritratti da intendersi di Achille e Pentesilea. Il mito nel suo aspetto tragico: statue bronzee femminili -Danaidi?- dipendente dal gruppo nel santuario di Apollo sul Palatino, corrispettivo mitico della battaglia contro Antonio e Cleopatra; lo stile severo non sottolinea solo il carattere solenne ma trasporta l’osservatore nell’era della tragedia, quando il mito ricevette la sua conformazione classica. Le immagini bronzee di due lottatori erano rese realistiche nel movimento con lo stile di Lisippo, elogiato da Quintiliano per essersi avvicinato alla veritas; ugualmente l’Hermes. Modelli di età ellenistica per i personaggi del tiaso dionisiaco: Satiri, Fauni, putti, Pan. Molte immagini non sono copie in senso stretto da originali antichi ma adattamenti o addirittura opere ex novo nello stile dei modelli greci senza distinzione di livello tra le varie modalità di ricezione. Il gusto della prima età imperiale influenza in vari modi la ricezione dei modelli: come sono mutate le forme stilistiche in relazione a ciò che vogliono esprimere? Nei rilievi dell’Ara Pacis è evidente il potenziale creativo romano ma proprio questo non ci permette di comprendere in che senso i modelli siano stati ripresi e riadattati. La cerimonia statale sul fregio grande, accostata a quella del Partenone, è simile nella composizione e concezione del rilievo in generale: è il tipo di scena di processione classica che trasmette il carattere del decoro solenne, della dignitas e auctoritas dei personaggi e delle corporazioni religiose dello stato. Ma i singoli componenti si collocano in tradizioni distinte: gli uomini in toga=figure dell’epoca del Partenone; consorte del princeps e giovani madri della casa imperiale = forme nella maniera tardo-classica ed ellenistica (Livia) -sarebbe stato impossibile trovare modelli adatti per le donne nel V secolo-; i flamines con l’abbigliamento specificamente romano non aveva modelli adatti se non nella realtà. La scelta tra i tipi di figure era motivata in base al contenuto. Questi tipi eterogenei non sono accostati senza mediazione ma solo dopo un adeguamento nei dettagli: il tipo classico della figura di Agrippa presenta pieghe tese e rigidamente contrapposte che non possono derivare dalla tradizione ellenistica; il personaggio femminile principale del fregio nord ha un panneggio di tipo ellenistico con increspature vicine allo stile del Partenone – commistione tra le pieghe dalle formule sia classiche che ellenistiche, unione di aspetto formale (intensificava l’efficacia visiva tramite i contrasti dell’ellenismo sulle forme classiche) e contenutistico (diventava evento concreto solo conferendole un certo realismo) + si poteva dare teste individualizzate senza rischiare discrepanza con il resto. Il fregio piccolo attorno all’altare attesta una seconda tradizione di rappresentazione di cerimonie religiose, anche qui causa un aspetto contenutistico: nel fregio grande la cerimonia è una festività di stato cui partecipano le più alte cariche politiche e solo loro sono rappresentati, i fregio piccolo raffigura il sacrificio di culto annuale in tutti i suoi dettagli (il corpo religioso al completo seppur nell’anonimato) perché solo l’esatto compimento di ogni dettaglio rendeva il sacrificio giuridicamente ineccepibile. A causa di ciò si preferiva una composizione paratattica (singole figure senza sovrapposizioni in posizione frontale verso l’osservatore mostrando gli attributi, anche quando non è coerente con lo svolgersi dell’azione), la cui genesi è controversa: precedenti non solo nell’Etruria ellenistica ma anche in Grecia, non fenomeno italico ma koinè senza pretese diffusa nell’ellenismo medio-italico e rimasta in uso per funzioni precise – si prestava ad assolvere a determinati compiti nei contesti architettonici, soprattutto fregi di piccolo formato estesi in lunghezza, garantendone la leggibilità e adatta a temi dal carattere di precisione enumerativa (come nel fregio piccolo). Analogamente nell’Arco di Tito e quello di Traiano a Benevento. Nei rilievi mitologici e allegorici dei lati d’accesso lastra con Enea: tipo di scena ripreso dal rilievo ellenistico di paesaggio (l’immolazione della scrofa avveniva in paesaggio idillico-sacrale, ritrovabile solo nell’ellenismo) ma tipo classico per la figura di Enea (solo così riceveva le connotazione di auctoritas e pietas cui era tenuto in quanto capostipite e modello dell’imperatore: la sua classicità ha fondamenti contenutistici tanto quanto il corrispondente atteggiamento politico reale di Augusto); gli altri personaggi si allontanano dal classicismo (personaggio tipo-base delle scene di sacrificio ellenistiche e tipo non classico per la figura “bassa” dell’aiutante così da far risaltare la grave nobiltà del classico Enea e il maiale non era rappresentabile se non con la tradizione realistica Afrodite e Dioniso; queste qualità raccomandarono l’uso del tipo prassitelico per l’Apollo Liceo e il Dioniso- Bacco. A queste si aggiungevano forme stilistiche di secondo ruolo nella letteratura d’arte di stampo classicistico, ma il cui significato si comprende dalle opere stesse: quelle di età arcaica erano segni di una tradizione veneranda, quelle ellenistiche di pathos dinamico, faticosa tensione o atmosfera idilliaca. Talvolta più epoche potevano valere come modello di uno stesso tema e senza sostanziali differenze di significato: figure di animali erano la gloria dello stile severo (Mirone e Calamide), ma anche quella di Lisippo per il realismo spiccato -Lisippo è inteso precorritore dell’ellenismo. Lisippo era diventato ultimo rappresentante della classicità, in grado di legittimare alcune forme altrimenti incluse nel giudizio di decadenza dell’età ellenistica. L’affinità del primo ellenismo e dello stile severo per la tendenza al realismo si mostra già nella ricezione antica delle due epoche. Quintiliano contrappone i singoli artisti fra loro secondo tali qualità, Dionisio di Alicarnasso qualifica Calamide e Callimaco come più dotati per i temi minori e di rango umano a causa della lora leptotes e karis, mentre Fidia e Policleto riescono meglio nei soggetti grandi e divini per la padronanza della venerabilià, maestà e sublime; Frontone considerava assurdo pretendere temi giocosi da Fidia, immagini divine da Calamide. L’adattamento delle forme a compiti romani comportava un cambiamento di significato rispetto alle loro finalità iniziali. All’interno del sistema ricoprivano quasi per intero lo spettro delle intenzioni espressive ma si trovavano anche in rapporto gerarchico tra loro perché i valori espressivi cui erano congiunte avevano ranghi differenti: maiestas e pondus nel sistema classicistico erano ad un livello più alto rispetto al dinamismo emotivo; in età augustea le tradizioni formali classiche furono adottate soprattutto per temi particolarmente elevati: massime divinità, avvenimenti riguardanti lo stato -più cerimonie solenni che battaglie-, le figure ostili e basse rimanevano alla tradizione ellenistica. Dalla gerarchia di valori derivava quella di forme; quando avveniva un mutamento nell’ordine dei valori ne corrispondeva uno dei rapporti reciproci tra le forme - come in età flavia-. Conseguenza fu che le forme stilistiche vennero destoricizzate nel nuovo sistema: maiestas, gratia, veritas, hanno senso solo in un sistema sincronico, non sul piano dell’evoluzione storica e lo stesso vale per i contenuti delle rapprezentazioni. I valori della riflessione artistica si innalzavano al di sorpa della sfera delle impressioni sensoriali entrando nell’ambito degli ideali etici: si raggiungeva un grado di astrazione mentale analogo a quello relativo alla realtà del vivere storico, i cui eventi erano intesi come realizzazione di modelli di comportamento etico. I concetti mediante cui ciò avvenne sono strettamente connessi, e in parte quasi identici, come per la dignitas e la maiestas. I valori astratti sono la zona di contatto tra tema rappresentato e forma visiva. Solo in base al significato concettuale le forme eterogenee di rappresentazione diventano idonee a formulare temi figurativi romani: la composizone di fregi fidiaca era naturale per le dignitose cerimonie di stato per la sua maiestas, i movimenti di masse dell’ellenismo lo erano per le battaglie per il loro dinamismo patetico. È grazie alla funzione di raccordo dei valori concettuali che non si formò una rigida costruzione normativa ma un sistema flessibile: i temi non erano fissi a priori nel loro significato concettuale, lasciavano un margine di interpretazione. Il tema suggeriva specifiche forme di rappresentazione ma non ne detrminava interamente la forma, permettava una scelta tra forme più o meno plausibili le quali interpretavano il tema secondo questa eo quell’aspetto. Neanche i vari modi di rappresentazione e i tipi figurativi erano fissati rigidamente in rapporto alle idee che intendevano esprimere -caso limite quello di Callimaco dove non si era d’accordo se le figure eccellessero per gratia o risentissero della mancanza di questa, anche per Fidia i giudizi andavano da kallos e pulchritudo, karis e splendore. La flessibilità si mantenne anche perché nessuno pensò mai di teorizzare un qualche schema che le vincolasse; la felessibilità permetteva a ciascun tema di non comparire sempre con la medesima forma. La gamma di variazioni non fu però così ampia da far si che determinati giudizi si imponessero. Di solito gli scultori romani non erano teorizzatori ma artigiani che non meditavano su sistemi di valori estetici, lo stesso vale per la gran parte del pubblico. Quanto teorizzato dagli scrittori d’arte era avvenuto in maniera spontanea nella pratica. La commissione di un’opera d’arte concerneva innanzitutto il tema, lo scultore cercava per esso un prototipo adeguato che poteva riconoscere intuitivamente nei modelli dell’arte greca, a seconda delle idee correnti del tempo. Per l’osservatore nella misura in cui l’attenzione veniva posta non soltanto sul contenuto concreto ma anche sulla forma, ciò che quest’ultima comunicava erano impressioni che potevano nascere anche abbastanza direttamente. In molti casi devono aver giocato considerazioni relative ai motivi più che allo stile a cui si aggiungevano fattori esterni di vario genere: le opere d’arte greca collocate in località note si prestavano più agevolmente a esercitare influenza come modelli rispetto a quelle il cui traffico aveva minor successo -il repertorio di modelli a disposizione della bottega. Giocavano anche ruolo la collocazione, le dimensioni, le altre opere già presenti e la quantità di denaro che il committente era disposto a pagare. Sia l’atteggiamento teoretico che quello irriflesso fecero si che nella pratica venisse adottato un certo ordine, non rigido, ma che con il passare del tempo tese a un certa coerenza e concordanza complessive: in questo senso si deve parlare di sistema. Capitolo nove Anche la Grecia elaborò in relazione a singoli compiti e temi delle forme specifiche, quasi sempre determinate da una forte dinamica evolutiva connessa con lo stile di ciascuna epoca. A partire dall’età classica accanto all’arte “moderna” si svolse un’esile tradizione di forme arcaizzanti : il loro impiego era condotto secondo punti di vista tematici che si svilupparono in relazione alle raffigurazioni di divinità, nell’ambito del culto e del mito. Ma qui la forma arcaizzante era solo una deviazione anomala rispetto al linguaggio formale del presente, non uno dei suoi componenti naturali; inoltre in tal modo si dava risalto all’antitesi antico\coevo -non solo dal punto di vista contenutistico ma con dimensione temporale. Successivamente l’antitesi tra forme arcaizzanti e contemporanee fu allargata a disporre di tutte le forme dal tardo-arcaico al tardo-ellenismo: si formò così un sistema complesso. Ma le varie forme non vennero impiegate come espressioni di antichità o modernità in senso storico, ma per definire un campo di significati tematico-concettuale, tendenzialmente atemporale. Ciò fu prodotto nella Grecia di II secolo a.C.. il tardo ellenismo intensificò le forme di stile ellenistiche riprendendo contemporaneamente la tradizione classica. Lo spettro di possibilità di stile disponibili che ne derivò era decisamente più esteso. Lo stile allora non fu più linguaggio espressivo generale e largamente scontato, era adesso soggetto a una riflessione e selezione costante. Impulsi e retroscena storici sono ancora poco chiari. A Roma date le proporzioni dell’Impero tali fenomeni ebbero un grado di realizzazione più netta e ottennero efficacia maggiore adempiendo ad una funzione specifica. In Grecia la ripresa di modelli antichi possedeva anche connotati tematici -Damofonte di Messene differenzia i componenti del gruppo culturale del santuario di Licosura: per la veneranda Demetra un tipo di testa classica, per la giovane Despoina un tardo-classico, per Titano Anito uno dell’alto ellenismo; si noti l’eterogeneità e l’influsso del tema sulla scelta-; stessa cosa per le composizioni dei crateri neoattici a rilievo del tipo Pisa (dimostra che differenti tradizioni formali non si possono intendere come stili di botteghe diverse). Gli artisti greci portarono a Roma questa attitudine formale: una famosa statua di Apollo del II secolo a.C. dell’ateniese Timarchide per il tempio di Apollo in circo riprende il tipo tardo-classico dell’Apollo Liceo: rappresentazione convincente della divina calma e della bellezza giovanile di Apollo. Nello stesso tempo venivano realizzati ritratti delle personalità guida di Roma nelle forme stilistiche dell’ellenismo -vedi il Dinasta delle Terme. A partire dall’apertura alle forme stilistiche greche le immagini di culto nei templi di Roma vennero foggiate sulla scorta dello stile greco- classico, mentre le statue ritratto erano nelle forme dell’ellenismo. La scelta di forme e modelli non può essere espressione del gusto generale di quest’epoca o di una cerchia culturale e nemmeno dell’atteggiamento dei singoli committenti: coloro che fondavano i templi erano gli stessi che venivano onorati con statue-ritratto. Le differenze si basano sull’oggetto della rappresentazione: per il culto divino erano determinanti la maiestas e il pondus, per i leader politici il dinamismo energico nella tradizione di Alessandro. Notevole l’uso di forme eterogenee nello stesso periodo per due teste appartenenti entrambe a monumenti urbani per le vittorie sui cimbri e sui teutoni: nel tempio della fortuna huiusce diei l’immagine di culto per la vittoria di Vercelli presentava il linguaggio formale del IV secolo ; una testa a Bruxelles che deve rappresentare un germano -a giudicare dallo stile proviene da un monumento per le medesime vittorie- prosegue la tradizione ellenistica delle immagini di barbari. Già qui abbiamo una forma di rappresentazione patetica per il tema della lotta e della sconfitta dolorosa immediatamente accanto all’elevatezza classica dello stile nell’immagine della dea. Pasitele, il principale artista della Roma del I secolo a.C. incarna il processo di cristallizzazione della civiltà greca a Roma -nato nell’Italia Meridionale, diventa cittadino romano dopo la guerra sociale-: compendiò e documentò la sua cultura storico-artistica in un’opera di cinque volumi sui nobilia operea in toto orbe. Il suo Giove in avorio si poneva già per il materiale nella tardizione delle grandi immagini cultuali classiche di Fidia. Il legame della bottega con lo stile severo è evidente nella figura di giovane realizzata dall’allievo Stefano. Pasitele avrebbe anche disegnato dei leoni in gabbia nel porto di Roma: studio dal vero di tipo ellenistico; rappresentò un episodio drammatico della vita di Roscio in un rilievo d’argento -tradizione ellenistica della narrazione figurata. I modi di rappresentazione furono scelti in base al tema. Lo spettro delle possibilità formali si ampliò nel II e I secolo a.C. grazie al progressivo sfruttamento del passato storico-artistico; sicuramente nel farlo gli artisti non ebbero in mente un sistema semantico, le forme venivano stabilite in maniera non sistematica, flessibile e spontanea, a seconda della loro forza di persuasione. In età augustea il patrimonio formale dovette raggiungere la completezza, da allora si ebbero sì creazioni ex novo e scelte e accentuazioni in direzioni mutevoli, ma nel complesso il sistema semantico sembra aver avuto per i primi due secoli dell’Impero un carattere piuttosto statico. Un mutamento sostanziale consistette al più nella progressiva ripetitività e standardizzazione del linguaggio figurativo, in conseguenza della produzione di massa di sculture d’apparato: il pietrificarsi del linguaggio corrispose alla crescente standardizzazione dei temi fig. Capitolo 10 il linguaggio figurativo che si era formato era di natura tipologica, invece il gusto generale nel quale gli appartenenti ad un gruppo si associano a prescindere dai singoli temi e che si modifica in base a fattori esterni ed interni, si cristallizzava nel fenomeno dello stile. Le opere figurative contengono quindi tipi di rappresentazione (in quanto formule tematiche fondate e quindi stabili) sia l’elaborazione stilistica (in quanto espressione di un gusto e di un habitus comuni). A seconda del tema si potevano prendere modelli provenienti da epoche diverse e fonderli in uno stile unitario -è possibile perché il concetto romano dello stile non ha una validità così radicale per ciascun aspetto di un’opera. Accanto alla dignità delle cerimonie di stato bisognava raffigurare il pathos e le pene dei combattimenti, senza però infreangere del tutto l’ideale di una compassata dignità. Sia i vari modi di rappresentazione, sia l’ideale generale si potevano unificare perché queste idee-guida non erano allo stesso livello: da un lato c’era uno specifico schema di comportamento entro un ambito delimitato della vita, dall’altro un ideale onnicomprensivo e perciò superiore -i due messaggi venivano comunicati a due livelli diversi. La selezione dei modelli fondata tematicamente rientrava nell’ambito degli schemi di rappresentazione e dei tipi figurativi, l’ideale generale si situava sul piano dell’esecuzione stilistica. Lo stile permetteva di riassumere gli elementi semantici eterogenei in un habitus unitario: il sistema semantico veniva così caratterizzato da un aspetto del mutamento collettivo. Lo stile dei rilievi della bottega augustea si ripercuote nella lastra con Enea dell’Ara Pacis: nella salda connessione dei personaggi e oggetti con la superficie, così che tutti i motivi si articolano in contorni nitidi, e nella lavorazione del marmo dall’esecuzione viva e naturale ma al contempo dura e netta; questo doveva evocare, a prescindere dalla provenienza dei modelli, un’impressione complessiva di classicità, corrispondente all’ideologia e al gusto della corte di Augusto. In età flavia il voluto ritorno a forme più prossime al vero e ad un habitus meno stilizzato causò avvicinamento allo stile dei rilievi ellenistici -anche l’habitus può orientarsi su modelli greci. Gusto e ideologia potevano modellare lo stile e la scelta dei temi e tipi, il fatto che i primi non determinavano meccanicamente i secondi dava la possibilità di scegliere quelli che permettessero una realizzazione il più possibile chiara delle tendenze stilistiche di un periodo. Dalla prima età augustea compaiono, accanto alla tradizione ellenistica corrente di scene di combattimento di massa, rare rappresentazioni di battaglie che riprendono la maniera compositiva classica con monomachie -fregio del tempio di Apollo in circo-; si conoscono copie di opere policletee soprattutto di età giulio-claudia o adrianea e solo più raramente di età flavia. La selezione dei modelli tipologici secondo i gusti mutevoli delle varie epoche ha un’importanza relativa: le scelte specifiche di ciascuna epoca non riguardano solo le forme ma anche i temi: in età flavia non è solo il modello formale di Policleto ma anche il tema stesso del giovane a passare in secondo piano. Il ritratto è significativo come caso estremo del
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