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Il linguaggio dell'arte romana. Un sistema semantico, Sintesi del corso di Archeologia

Iconografia e Inconologia del mondo antico

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 30/01/2020

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Scarica Il linguaggio dell'arte romana. Un sistema semantico e più Sintesi del corso in PDF di Archeologia solo su Docsity! Il linguaggio dell’arte romana Tonio Hölscher Il linguaggio comune alla base dei temi figurativi è un fatto sociale molto rilevante: il modo in cui una società foggia questo mezzo di comunicazione visiva e il modo in cui esso si ripercuote sulla società che ne fa uso, inoltre qual strutture comunicative siano insite nella sua sintassi e nel suo patrimonio di motivi. L’influenza greca nell’arte romana viene spesso omessa: per l’istanza di originalità, collegata alla concezione di individualità (doveva staccarsi da quella greca per raggiungere una propria identità, Winckelmann lo chiama inizialmente lo “stile da imitatori” con un giudizio negativo). È ormai incontestabile comunque che l’arte romana abbia le sue radici nel mondo greco (né proseguo, né antitesi). Si parla di un processo di evoluzione progressiva, nel quale si deve considerare l’importanza della comunicazione. Ci si interroga su quale fosse effettivamente il ruolo dell’arte greca nella comunità romana, come mai questo venne apprezzato dalle masse. Il modello più semplice pone la ricezione dei prototipi greci da parte dell’arte romana come risposta alle necessità del momento storico: ritratto di Augusto (fig.2) classicismo in particolare riferimento a Policleto (fig.1), ritratto di Vespasiano (fig.6) barocco dell’ellenismo. Tuttavia tale modello di alternanza tra stile classico e barocco è piuttosto semplicistico. Infatti un’indagine più attenta rivela una varietà sconcertante: vi sono tipi codificati di scene e di figure che provengono da periodi diversi dell’arte greca e sono impiegati contemporaneamente nei vari periodi dell’arte romana: il tipo fisico policleteo (fig.9) è stato normativo sia per l’Idolino di età imperiale (fig.7) sia per la statua di un giovane di età Flavia (fig.8); la lupa e i gemelli (fig.11) rientrano in un quadro mitologico di paesaggio di tradizione ellenistica, lo stesso vale per un rilievo flavio di Villa Albani con Polifemo innamorato su una roccia (fig.12). Tipologia: schemi di rappresentazione generali, utilizzati contemporaneamente nei periodi dell’età romana. A questo si aggiunge una connotazione stilistica, l’Idolino ha il corpo dalla conformazione scarna e asciutta tipica della prima età imperiale, mentre le forme del giovane del Vaticano sono quelle molli e grassocce dell’età flavia; il rilievo della lupa rivela il lavoro di scalpello secco e preciso dell’età augustea, mentre quello con Polifemo è nella maniera di uno sciolto abbozzo, caratteristico per il periodo flavio. La molteplicità ed eterogeneità dei modelli è caratteristica, presente persino all’interno degli stessi modelli o di uno stesso monumento. Il fregio grande della processione dell’Ara Pacis (fig.13) che si riallaccia al Partenone (fig. 14-15) e il fregio piccolo con il corteo sacrificale (fig.16) che rimanda ad uno stile barocco; rilievo con scena di battaglia (fig.38) si allontana dai gruppi di combattenti chiaramente separati dei fregi classici (fig.33) e si riallaccia a modelli ellenistici; due secoli dopo la situazione è immutata, sul grande monumento di Lucio Vero ad Efeso (fig. 48) la scena di rappresentanza con la casa imperiale continua a esser situata nella tradizione del fregio grande dell’Ara Pacis, mentre la scena di battaglia (fig. 49) è più vicina al fregio di Mantova; rilievo con Enea sempre dell’Ara Pacis (fig.18) che si pone nella tradizione delle rappresentazioni paesistiche dell’ellenismo, si può paragonare alla raffigurazione di un antuario di Dioniso nel Fregio di Telefo all’altarre di Pergamo (fig. 22), ma la figura di Enea si avvicina a quelle classiche, come il rilievo funerario di Salamina (fig.21), mentre il gruppo dell’addetto al sacrificio segue invece di nuovo modelli ellenistici come quelli delle pitture di Delo (fig.23), a sua volta Enea è arricchito da particolari di epoche successive come le pieghe del panneggio attorno alle gambe che si trovano nel tardo ellenistico, come nel Poseidone di Melo (fig. 24). Le formule di dettaglio, i tipi figurativi e gli schemi di rappresentazione sviluppati nell’arte greca vengono dunque ripresi e impiegati con molta flessibilità, sia per l’intera composizione, sia per singole figure o gruppi di figure, sia per unità ancora minori. A questo si aggiungono fattori stilistici. Lo stile proprio del rilievo lega saldamente alla superficie personaggi e oggetti, le vedute frontali e di profilo prevalgono, le figure perciò si distinguono chiaramente. L’effetto è corrispondente al rilievo greco classico. Vi si aggiunge una lavorazione del marmo che unisce a tutto ciò un risalto dei piani e delle linee (anche questo classico). Dunque da un lato si distinguono i modi rappresentativi, i tipi figurativi e le formule di dettaglio, i quali possono risalire a periodi diversi dell’arte greca e dall’altro la concezione del rilievo e la lavorazione artigianale, che presentano tutti questi elementi eterogenei in uno stile unitario. Stile: sarebbe la manifestazione di un habitus generale, più o meno consapevole, e scelto programmaticamente. L’arte romana non ha basato i propri modelli sullo stile ma primariamente in base a temi e contenuti. Essa ha di volta in volta ripreso prototipi diversi da periodi diversi dell’arte greca in funzione di ambiti tematici differenti. Questi furono mantenuti durante tutto il corso dell’arte romana, indipendentemente dallo stile proprio di ciascun periodo. Le rappresentazioni romane di battaglie rientrano quasi per intero nel solco di una tradizione che deve aver trovato numerose realizzazioni nell’arte ellenistica, un esempio è il mosaico di Alessandro di Pompei (fig.27) che deve aver avuto ispirazione da un dipinto di età antica. Le figurazioni di battaglie dell’età classica risolvevano lo svolgersi degli eventi in monomachie (fig. 32-33). Nel dipinto invece si ha un intreccio di azioni di più personaggi: Alessandro e i Macedoni attaccano da sinistra e si scontrano con il centro dell’armata persiana, mentre un reparto di cavalieri con le lance in spalla aggira i nemici da tergo, volgendo a destra presso uno stendardo, intanto l’auriga del Gran Re spinge in fuga il carro in avanti verso destra. Si crea una massa in cui tutto si fonde in un movimento collettivo. La caratteristica peculiare è infatti il numero di destini che vi sono contenuti: un nobile persiano si interpone all’ultimo momento sulla via di Alessandro che avanza impetuoso; un altro tiene pronto per la fuga del re un cavallo imbizzarrito; un persiano viene superato e abbattuto in mezzo ai macedoni; in basso a sinistra una figura frammentaria pare di un macedone paga la vittoria con la propria morte. L’isolamento delle sorti individuali nel mosaico non contraddice la complessiva trama di relazioni. Tutta la situazione viene espressa con grande pathos e per questo punta verso l’ellenismo: il braccio alzato del persiano trafitto tra i due re che incornicia il volto contratto dal dolore, ma anche l’espressione sgomenta del Gran Re. Una costante del dipinto è la ricerca di effetti di netto contrasto: Alessandro che avana impetuoso in linea retta verso il corpo distorto e dolorosamente contratto del nobile persiano; lo slancio direzionato di Alessandro verso la fuga del Gran Re. La battaglia di Alessandro sul sarcofago della necropoli regale di Sidone (fig. 34), che dipende in maniera evidente dal dipinto, risolve la trama di azione in singoli gruppi dalle tipologie decisamente tradizionali. Significativo è il grande monumento per le vittorie di Attalo I di Pergamo (fig. 35), che presentava su un lungo basamento un gran numero di avversari vinti, galati e persiani, i vincitori non erano presenti perché sottointesi grazie all’impianto in cui il monumento si trovava, ovvero il recinto di Atene Nikephoros. La separazione è da intendersi come conseguenza della concezione che aveva improntato il dipinto di Alessandro. Anche qui comunque i destini particolari vengono colti secondo molteplici sfaccettature ed anche questo gruppo è pervaso da un forte pathos raggiunto mediante contrasti: un galata che dopo aver ucciso sua moglie trafigge sé stesso. Ancora oltre si spinge il monumento a più figure dedicato ad Attalo II sull’Acropoli di Atene. In esso erano rappresentate le tanto celebrate lotte di difesa, mitiche e storiche, dei greci contro le aggressioni dei barbari, anche qui compaiono solo gli avversari vinti; anche qui molte scene di sofferenza; Attalo II e Eumene II erano rappresentati come colossi stanti e con gli attributi della divinizzazione, quindi in superiorità rispetto al resto della scena. Monumento di Emilio Paolo a Delfi (fig. 36-37): sono rappresentati romani e greci in lotta tra loro a Pidna, in una composizione tradizionale; il generale vittorioso non vi compare; sia i nemici sconfitti che le truppe romane costituivano in senso metaforico la base della gloria del condottiero. La concezione che sta alla base di queste immagini di battaglia ha una controparte letteraria nella storiografia drammatizzante dell’ellenismo, che si proponeva di far rivivere la storia in prima persona ai lettori, volevano porre gli eventi davanti agli occhi in maniera viva e credibile, destando pathos, al centro stavano gli uomini mentre agivano e pativano (Duride di Samo e Filarco). Punti di differenza: la storiografia mantiene un punto di visa più distaccato mentre l’arte ha una finalità encomiastica. La storiografia tragica e i monumenti politici hanno senz’altro funzioni e finalità differenti, ed è anche probabile che si siano sviluppati senza influenzarsi reciprocamente in maniera troppo diretta. Li congiungono tuttavia l’effetto emozionale cui essi mirano, i motivi e i mezzi formali impiegati. Rapporto tra morte e storiografia tragica evidente nel Mosaico di Alessandro (fig. 27); rapporto tra storiografia tragica e suicidio nel Gruppo Ludovisi (fig.35). È in questo senso che la tradizione ellenistica di rappresentazione di battaglia arriva a Roma. Un ruolo importante devono aver svolto i dipinti che venivano portati nei cortei trionfali e esposti nelle piazze e negli edifici pubblici. Esempi sono forniti per l’ultima fase dell’età repubblicana dal trionfo di Pompeo nel 61 a.C., dov’erano presenti immagini dipinte di un assalto notturno; le immagini sulla morte di Mitridate, delle sue mogli e dei suoi figli; nel trionfo di Cesare del 45 a.C. erano raffigurate le morti dei suoi avversari. Il proseguimento di tale tradizione in età imperiale può essere dimostrato da numerosi monumenti: il rilievo di Palestrina (fig. 39) e il fregio di Mantova (fig. 38) che riprendevano l’addensamento e la distribuzione in profondità delle figure tipiche delle scene di battaglia ellenistiche, superiorità dei vincitori che cavalcano in una fascia più alta sorpassando i nemici giacenti per terra sofferenti come immagini tipiche dell’ellenismo, in particolare nel fregio di Mantova il motivo patetico del barbaro che, incalzato dagli avversari, trasciva fuori dal tumulto il suo giovane compagno morto è pienamente in sintonia con le caratteristiche della storiografia tragica; predominanza del vincitore sulla scena con distacco totale nella Gemma Augustea (fig. 40), pilastro di Emilio Paolo (fig. 36), nel Gran Camée (fig. 41); fregio di battaglia traianeo reimpiegato nell’Arco di aspetto formale e contenutistico: da un lato si intensificava l’efficacia visiva, arricchendo con i forti contrasti dello stile ellenistico la forma del decoro classico; dall’altro si poteva rendere la processione in maniera convincente come evento concreto solo conferendole un certo grado di realismo; analogamente si potevano dare delle teste individualizzate ai personaggi senza il rischio di una discrepanza con il resto del corpo. Il fregio piccolo attesta una seconda tradizione di raffigurazioni di cerimonie religiose (fig. 16), anche qui motivazione contenutistica, si predilige una forma di rappresentazione paratattica, dove le singole figure sono come enumerate in una successione a intervalli larghi, senza sovrapposizioni, spesso in posizione frontale verso l’osservatore, mostrando apertamente i propri attributi. La genesi di tale maniera compositiva è controversa, precedenti nell’Etruria ellenistica, per esempio con Atarbos ad Atene (fig. 17). Ancora diverse sono le tradizioni seguite nei rilievi mitologici e allegorici dei lati di accesso dell’Ara Pacis. Nella lastra con Enea (fig. 18) il tipo di scena è un misto tra paesaggio ellenistico e personaggio classico; gli altri officianti (fig. 20) si allontanano da questa forma, probabilmente in questo modo si pone in risalto la figura di Enea. Ripresa di temi e stili dell’arte greca sulla base delle funzioni specifiche di un’opera. Per ciascun tema (contenuto) erano a disposizione modelli già pronti (diacronici) che potevano essere impiegati (sincronicamente). Si produsse così un sistema in cui le forme dell’arte greca venivano filtrate da criteri non stilistici ma principalmente semantici, risultando utilizzabili in un nuovo contesto. Semantizzazione degli stili. La caratteristica principale del fenomeno sta nel fatto che le strutture formali che erano state espressione sostanziale di intere epoche, ricevevano ora una nuova funzione all’interno di un sistema fondato in maniera tutta diversa. Le concezioni di base circa la realtà umana trovarono espressione visibile nelle forme dell’arte figurativa in maniera estremamente diretta. Perciò nonostante i cambiamenti delle idee sull’uomo e sull’universo di epoca in epoca rimase a lungo valida la premessa di fondo: il presupposto da cui si partiva era che il mondo potesse esser afferrato nei suoi aspetti sostanziali come realtà fisica concreta; ogni cambiamento delle possibilità formali dell’arte andava quindi inteso anche come acquisizione di una nuova parte di realtà. Il nuovo sistema del linguaggio figurativo creato in Grecia nel tardo ellenismo e rimasto in vigore in tutto l’Impero in età romana costituisce un altro gradino evolutivo ma anche una rottura rispetto al sistema precedente (concezione sincronica). La coesistenza di differenti forme di rappresentazione testimonia un profondo distacco dalla percezione della realtà finora esperita radicalmente. Vi è dunque un mutamento di ampia portata: la realtà visibile diveniva sempre più segno di idee non empiriche. Le ripercussioni sono evidenti nell’arte figurativa, soprattutto nel caso di monumenti con tematiche politiche. Esiste una serie di sarcofagi di comandanti romani, che mostrano in successione scene tipiche della carriera dell’élite militare (fig. 55), disposte però in maniera sorprendente dal punto di vista cronologico: prima una battaglia, con i nemici poi sottomessi e graziati, di seguito il sacrificio per la partenza all’inizio della guerra e infine la celebrazione del matrimonio, che normalmente si compiva in un momento ancora anteriore. Il raggruppamento di tali scene va inteso come una concezione sistematizzata di valori ideali (virtus, clementia, pietas e concordia). Lo stesso valeva per l’arte ufficiale del trionfo. Dato che gli eventi storici erano chiamati anzitutto a esemplificare modelli generali di condotta politica e sociale, la rappresentazione fedele della realtà giocava solo un ruolo di secondo piano. Lo si può provare con una scena della Colonna Traiana, che mostra una parte dell’esercito romano che costruisce una fortificazione al cospetto dell’imperatore (fig. 57), bisognava far apparire il lavoro dei soldati come superamento energico di ostacoli e il sovrano come presenza rappresentativa del potere; i duri lavori di costruzione potevano allora dispiegarsi al meglio in profondità nello spazio di tradizione ellenistica; l’autorità del sovrano con il suo seguito era più convincente se rappresentata frontalmente e parallelamente al fondo; si scontrano due concezioni spaziali difficilmente conciliabili; la presenza dell’imperatore ha un carattere ideale di guida. La tendenza a ridurre l’effettualità storica a concetti astratti offrì la possibilità per le stilizzazioni più diverse. Le scene di sacrificio dei sarcofagi ripetono puntualmente un tipo di composizione che compare già su un grande monumento statale di età claudia (fig. 56): qui il tipo contrassegna un solenne sacrificio di stato a Marte Ultore, con al centro il princeps. Grazie all’astrattezza dei contenuti figurativi si venne a creare un ampio margine di libertà per l’adozione di tradizioni e tipi già sperimentati. Il realismo non viene a meno nell’arte, ma è subordinato al sistema semantico. In questo sistema i singoli tipi figurativi non erano connessi meccanicamente a determinati temi di rappresentazione. Le forme figurative e stilistiche tradite componevano invece un sistema di valori espressivi ed erano questi valori a determinare la connessione tra forma e tema. Tale sistema, in cui le forme erano anche valori, era aperto sia alla riflessione artistica sia alla pratica artistica irriflessa. Fidia: sublime e venerabile grandezza, raffigurazioni di divinità Policleto: decor e diligentia, perfetto ideale fisico di giovani combattenti e atleti Callimaco: finezza e grazia, caratteristiche per figure danzanti e liberate Lisippo e Prassitele: fedeltà al vero Ogni artista aveva la sua qualità e dunque si appropriava meglio alla rappresentazione di un determinato tema. Le varie forme di rappresentazione si ponevano in modo gerarchico tra loro, per quello in generale alcune vengono utilizzate più di altre in base al contesto (classicismo augusto, ellenismo flavi). Dalla gerarchia di valori derivava una gerarchia di forme, con gli elementi dominanti al centro, e quelli di importanza minore in posizione subordinata. Una conseguenza fu che le varie forme stilistiche furono in certa misura destoricizzate nel nuovo sistema di temi e di valori espressivi (passaggio dal diacronico al sincronico). I valori astratti sono la zona di contatto tra tema rappresentato e forma visiva (temi-valori-forme). Sistema flessibile. Ciò che gli storici dell’arte hanno teorizzato in questo modo avveniva in modo irrazionale e spontaneo da parte degli artigiani e dalle masse dell’epoca. Premesse di questo linguaggio formativo si trovano in Grecia. In una bottega greca sono nate anche le composizioni dei crateri neoattici a rilievo del tipo Pisa (fig. 82). Il tiaso dionisiaco è qui formato da elementi dalla provenienza più disparata: Dioniso e la sua compagnia derivano da tipi tardo-ellenistici, che ritornano anche nella composizione del cosiddetto rilievo di Icario, mentre le danzatrici vengono da un girotondo tardo-classico con ninfe, di cui una è stata alla fine sostituita con una Menade di un noto ciclo della fine del V secolo (fig. 83). Gli artisti greci portarono a Roma quest’attitudine formale, la città si andava allora sviluppando in un centro d’arte ellenistico. Una famosa statua di Apollo, realizzata alla metà del II secolo a.C. dallo scultore ateniese Timarchide per il tempio di Apollo in circo (fig. 68) riprende il tipo tardo- classico dell’Apollo Liceo (la posa era perfetta per la rappresentazione della calma e della bellezza del dio), nello stesso tempo però venivano realizzati ritratti delle personalità guida di Roma nelle forme stilistiche dell’ellenismo: esempio è il Dinasta delle Terme che rappresenta un leader romano del II secolo (fig. 4). Notevole è l’uso di forme eterogenee nello stesso periodo per due teste appartenenti entrambe a monumenti urbani per le vittorie sui Cimbri e sui Teutoni, prodotte verso il 100 a.C. nel tempio della Fortuna huiusce diei fatto costruire da Lutazio Catulo nella porticus Minucia in ringraziamento per la vittoria presso Vercelli del 101 a.C., la colossale immagine di culto presentava il disteso linguaggio formale nella maniera del IV secolo a.C. (fig. 84). Una testa a Bruxelles (fig. 85) che deve rappresentare un germano a causa della crocchia sulla tempia e che proviene da un monumento urbano per le medesime vittorie, prosegue la tradizione ellenistica delle immagini di barbari; forma di rappresentazione patetica della sconfitta e della lotta, accanto all’immagine elevata della dea. Lo spettro delle possibilità formali si ampliò costantemente nel corso del II e del I secolo a.C., fino a giungere ad una completezza in età augustea. Anche se il linguaggio formativo giunse a una condizione di stabilità, il gusto cambiava per questo si parla delle categorie di tipo e stile. A seconda del modello si faceva riferimento ad uno o più stili combinati in modo unitario. Anche lo stile poteva rifarsi ai modelli greci (rilievi dell’Ara Pacis con Enea in età augustea che rispecchiava il gusto del princeps; come lo stile ellenistico rispecchiava quello flavio). Il gusto e l’ideologia delle varie epoche e regioni potevano non solo modellare lo stile, ma anche intervenire ad altri livelli di un’opera figurativa, come quello della scelta di temi e tipi (emblematico: il ritratto).
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