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Il linguaggio dell’arte romana - Un sistema semantico di Tonio Hölscher, Sintesi del corso di Archeologia

Analisi dell'arte romana in paragone a quella greca e le differenze di significato

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Il linguaggio dell’arte romana - Un sistema semantico di Tonio Hölscher e più Sintesi del corso in PDF di Archeologia solo su Docsity! Il linguaggio dell’arte romana - Un sistema semantico Tonio Hölscher Solo pochi fenomeni culturali hanno un carattere collettivo e sociale spiccato come lo stile artistico e il linguaggio figurativo. Le formule dello stile attestano l’identità non solo di singoli individui, ma anche e soprattutto di gruppi più ampi, di interi periodi e ambiti culturali, in una misura per la quale non abbiamo espressioni così evidenti in altri rami della storia. Il linguaggio comune alla base dei temi figurativi è un un fatto sociale rilevantissimo. Il linguaggio figurativo romano viene inteso come un sistema semantico funzionante in base a determinate strutture, tale linguaggio non è stato progettato consapevolmente ma è cresciuto in base a premesse di ordine generale. Un sistema di linguaggio figurativo non è in grado di comprendere tutte le manifestazioni di un’arte, può solo comparire di fianco ad altri fenomeni. Il confronto con altri settori della produzione culturale può contribuire a chiarire i fenomeni dell’arte figurativa. Le opere d’arte romana corrispondono talmente poco all’idea moderna di un'arte creativa che la ricerca ha dovuto fare un enorme sforzo teoretico per comprenderle, l’arte romana è sempre stata considerata come posta a una distanza superabile solo tramite un ponte intellettuale. Si fa molto parlare di strutture generali, di concezioni dello spazio e del corpo umano, di stili attinenti a periodi e generi, di condizioni funzionali e sociologici; l’originalità doveva garantire il carattere autonomo della romanità: in tal senso “greco” e “romano” divennero una coppia di antitesi polare. Fintanto che l’arte romana era vista come dipendente dai modelli greci, essa non poteva soddisfare l’istanza di originalità. La sua rivalutazione a partire dalla fine del XIX secolo si accompagnò al risalto dato alle forme romane autonome e creatrici. Ne conseguì che la ricerca si limitò in maniera unilaterale a quelle opere e a quelle classi di opere sentite come particolarmente romane: il ritratto, il rilievo storico e alcuni settori dell’architettura, altre classi furono a lungo ignorate. È ormai incontestabile che l’arte romana si fondi in ogni suo ramo su premesse greche, ma non è produttivo considerarla semplicemente come un proseguimento della greca; d’altra parte il suo carattere specificatamente romano non può essere neppure individuato in una struttura formale di base autonoma. La contrapposizione polare tra greco e romano nasconde fenomeni storici decisivi, non possiamo considerare più le opere d’arte solamente dal punto di vista della produzione ma anche della comunicazione. La difficoltà di parlare del rapporto tra l’arte romana e i suoi modelli greci è resa manifesta dai differenti usi del concetti di classicismo. La massa della popolazione dell’Impero non era costituita né da ideologi restauratori né da storici dell’arte di professione, e tuttavia quest’arte ha incontrato una larga approvazione. Il modello che si propone dapprima per la ricezione dei prototipi dell’arte romana sembra essere di una coerente semplicità: ogni periodo della storia romana avrebbe ripreso quella fase dell’arte greca che di volta in volta in più si avvicinava ai propri ideali stilistici. L’idea che sta alla base di questa concezione è quella di un’arte romana che si evolve oscillando tra fasi classicistiche e barocche. In sostanza si tratta dell’applicazione di un modello elaborato per l’arte greca, in ogni fase della storia romana si è fatto ricorso alle epoche stilistiche più diverse. I diversi periodi romani non si distinguono per la selezione di schemi di rappresentazione e tipi di figure determinanti ed esemplari, essi sono chiaramente segnati dallo stile delle rispettive epoche. L’intelaiatura del linguaggio figurativo è costituita da fenomeni tipologici, il concetto di tipologia è qui inteso in senso ampio. Gli estremi di questo spettro sono costituiti dai concetti di schema o di modo di rappresentazione da un lato, e di 1 tipo figurativo dall’altro. Il pluralismo che regnava nella scelta dei modelli era tale da non poter essere determinato dal gusto unitario di un’epoca intera, né da quello di vari gruppi sociali, e nemmeno da singole persone. Bisogna distinguere da un lato i modi rappresentativi, i tipi figurativi e le formule di dettaglio e dall’altro la concezione del rilievo e la lavorazione artigianale. Lo stile sarebbe la manifestazione di un ​habitus generale e scelto programmaticamente; i tipi figurativi e le formule, per contro, sarebbero patrimonio culturale fruibile collettivamente. Si è portati a chiedersi se l’impiego di tradizioni formali differenti non dipenda dal contenuto. Si può dire che l’arte romana ha regolato la scelta dei suoi modelli in base ai contenuti e ai temi, ha di volta in volta ripreso prototipi diversi da periodi diversi dell’arte greca in funzione di ambiti tematici differenti. Questi prototipi furono mantenuti durante tutto il corso della storia dell’arte romana, indipendentemente dallo stile proprio di ciascun singolo periodo. Accanto alla ripresa voluta è senza dubbio possibile anche il semplice uso delle forme codificate disponibili, senza considerare le loro origini storiche. Le rappresentazioni romane di battaglie rientrano quasi per intero nel solco di una tradizione che deve aver trovato numerose realizzazioni nell’arte ellenistica. Le figurazioni di battaglie dell’età classica risolvevano lo svolgersi degli eventi in monomachie; i vari gruppi di combattenti non erano legati da nessun rapporto effettivo tra di loro. L’immediatezza dell’interagire umano che in tal modo viene a esprimersi ben caratterizzata i concetti di individuo e di azione delle prime epoche della grecità. Si potrebbe dimostrare che tutto ciò è un sintomo dell’epoca, che iscriveva l’individuo in una rete collettiva di relazioni, estesa oltre i limiti del proprio raggio d’azione. È significativo che siano soprattutto i soccombenti ad essere descritti con grande partecipazione, i destini particolari vengono colti secondo molteplici sfaccettature. La concezione che sta alla base delle immagini di battaglia ha una controparte letteraria nella storiografia tragica dell’ellenismo, gli storici di questo indirizzo si proponevano di far rivivere la storia in prima persona ai lettori. Come una tragedia ha pochi eroi in primo piano, così anche la storiografia tragica incentra su singole personalità il complesso intrecciarsi degli eventi delle varie epoche, la storiografia tragica si interessa con una partecipazione inedita a coloro che sono stati travolti dal Fato e dalla storia. Per ottenere questi effetti i generi letterari dovevano sforzarsi particolarmente di raggiungere un’evidenza quasi visiva. L’arte figurativa non doveva superare ostacoli del genere per raggiungere la concretezza. Come vanno intese queste somiglianze fra storiografia e arte figurativa? Se si guarda alla funzione di tali generi, si vedranno emergere anche delle differenze: le immagini di battaglia sono monumenti statali, la storiografia conserva di solito un punto di vista più distaccato. È comunque chiaro che il modo drammatico e tragico di rappresentazione è relativamente indipendente dalle funzioni di comunicazione dei vari generi. La storiografia tragica è senza dubbio solo un aspetto particolare di tendenze più generali dell’ellenismo, i processi di sviluppo dell’arte ufficiale e della storiografia non implicano necessariamente una relazione reciproca consapevole. La storiografia tragica e i monumenti politici hanno senz’altro funzioni e finalità differenti, ed è anche probabile che si siano sviluppati senza influenzarsi reciprocamente in maniera troppo diretta. Li congiungono l’effetto emozionale cui essi mirano, e i motivi e i mezzi formali impiegati. Un ruolo importante devono aver svolto i quadri su tavola, noti solo dalle fonti letterarie, che venivano portati nei cortei trionfali ed esposti nelle piazze e negli edifici pubblici. Nell’ultimo secolo della repubblica vennero invece ricercati sempre più effetti sensazionali atti a commuovere. Il proseguimento di tale tradizione di età imperiale può essere dimostrato da numerosi monumenti. L’ideologia romana ha in quel caso portato ad accentuare maggiormente la superiorità dei vincitori, gli atteggiamenti di spasimo dei nemici rientrano nella linea delle immagini di morenti dell’ellenismo. Anche la separazione totale del vincitore 2 religiosi al completo. Solo l’esatto compimento di ogni dettaglio rendeva il sacrificio giuridicamente ineccepibile. A causa di ciò si privilegia una forma di rappresentazione paratattica, la genesi di tale maniera compositiva è controversa: ne troviamo dei precedenti non solo nell’Etruria ellenistica ma anche in Grecia; non si tratta di un fenomeno italico, bensì di una ​koiné senza pretese e rimasta in uso per funzioni precise. Il fregio piccolo dell’Ara Pacis riprendeva anche questa tradizione di realismo facilmente leggibile. Ancora diverse sono le tradizioni seguite nei rilievi mitologici e allegorici dei lati di accesso dell’Ara Pacis. In ciascuna figura sono fuse delle forme non ricavabili dalla tradizione del tipo corrispondente. Quanto più a fondo si conduce l’analisi del processo di strutturazione formale, tanto di più evidente diventa il fatto che l’utilizzo delle forme tramandate avveniva secondo una scala di gradi sottilmente differenziati. La distinzione fra tipi di scene, tipi di figure e formule di dettaglio è perciò da intendersi solo come na prima rozza suddivisione. Per ogni livello era a disposizione tutto il repertorio dell’arte greca, applicabile a seconda del contenuto dal messaggio da trasmettere. In età tardo-ellenistica e romana le forme stilistiche dei vari periodi dell’arte greca venivano riprese perché in tal modo si potevano rappresentare adeguatamente temi e contenuti differenti in forme di volta in volta più specifiche. A dominare è una selezione regolata su ciò che si intende comunicare, per ciascun tema erano a disposizione modelli già pronti. Si produsse così un sistema in cui le forme dell’arte greca venivano filtrate da criteri non stilistici ma principalmente semantici, risultando utilizzabili in un senso tutto nuovo, è in questo senso che si può parlare di semantizzazione degli stili. La caratteristica principale del fenomeno sta nel fatto che le strutture formali che erano state espressione sostanziale di intere epoche, ricevevano ora una nuova funzione all’interno di un sistema fondato in maniera tutta diversa. L’arte greca aveva subìto un rapido e radicale processo di cambiamento, fortemente influenzato dalle esperienze collettive dei periodi che si susseguivano. L’unitarietà dei prodotti contemporanei era perciò relativamente forte rispetto alla connessione di temi determinati attraversi i confini dei vari periodi. Durante queste prime fasi della civiltà greca la trasposizione delle condizioni storiche in forme artistiche si basava su un’esperienza molto concreta del mondo e della vita. Nonostante i cambiamenti delle idee sull’uomo e sull’universo di epoca in epoca, rimase a lungo valida una premessa di fondo: fino al II secolo a.C. il presupposto da cui si partiva era che il mondo potesse essere afferrato come realtà fisica concreta. Le possibilità di raffigurazione realistica furono mente affinate, fino a giungere ai noti tipi di realismo dell’arte romana, ma esse rimasero limitate a determinati settori. Si smise così di afferrare la realtà in maniera unitaria. La realtà visibile diveniva sempre più segno di idee non empiriche, nelle teorie artistiche coeve tale tendenza si compì mediante l’elaborazione di un sistema di concetti astratti. Una concezione sistematizzata di valori ideali, ossia delle virtù politiche primarie: ​virtus​, ​clementia​, pietas e ​concordia​. Lo stesso valeva per l’arte ufficiale del trionfo. Queste virtù formano complessivamente una sorta di sistema ideologico il quale, creato alla fine della repubblica, rimase sostanzialmente in vigore con relativa staticità dei secoli. L’intera arte ufficiale romana non serve soltanto a registrare la concreta realtà 5 storica, ma soprattutto a esemplificare ideali concettuali. Da un punto di vista ideologico, la coerenza della realtà era meno importante della comprensibilità del significato concettuale. La tendenza a ridurre l’effettualità storica a concetti astratti, offrì la possibilità per le stilizzazioni più diverse: eventi storici del tutto differenti sono ricondotti alla stessa formula figurativa. Tale fenomeno ha due aspetti: la specifica realtà storica dei vari eventi diveniva irrilevante se li si guardava come esemplificazioni della ​pietas​; di conseguenza anche l’elaborazione artistica non riceveva più impulsi creativi da parte di questa concezione astratta degli eventi. Nessuno di questi due aspetti implica che le premesse ideologiche fossero necessariamente in contrasto con una presentazione realistica dei personaggi ed eventi. Lo stesso vale per i temi della scultura a tutto tondo. Le figure di divinità, le personificazioni e gli eroi espressero in misura crescente messaggi di ordine concettuale, spesso abbreviati a guisa di slogan. Venne meno l’interesse per creazioni individuali, e il repertorio si ridusse sempre più a tipi correnti. I contenuti astratti richiedevano formule che traessero la loro forza di persuasione non dal grado di oggettività di volta in volta presente, bensì dalla loro efficacia a livello concettuale. Le creazioni figurative impiegate furono così collegate a determinate espressioni di contenuto, rientrando nel settore ben più statico della tipologia. La concezione artistica romana propendeva in molti casi al massimo grado a effetti realistici e all’ingannevole dissimulazione del confine tra arte e natura. Ma anche questi tipi di realismo erano subordinati al sistema semantico. La relativa staticità dei mezzi formali corrispondeva alla relativa costanza dei contenuti concettuali. Le forme figurative e stilistiche tramandate componevano un sistema di valori espressivi, ed erano questi valori a determinare la connessione tra forma e tema. E tale sistema era aperto sia alla riflessione artistica sia alla pratica artistica irriflessa. Teoricamente il giudizio e la ricezione relativi alle varie forme stilistiche greche non si basavano soltanto sull’impressione immediata suscitata da singoli capolavori esemplari, quanto piuttosto su una serie di valori generali i quali univano la sfera delle forme visibili con quella dell’ethos; si tratta di un fenomeno connesso a una sensibilità artistica più astratta, sviluppatasi a partire dal tardo ellenismo. L’arte di Fidia veniva esaltata a causa della sua sublime e venerabile grandezza, tali qualità convengono alla raffigurazione delle massime divinità. Policleto invece ha superato tutti gli altri scultori in ​decor e ​diligentia​, avrebbe conferito ​decorem supra verum soprattutto alla figura umana, in particolare a quella giovanile. Di Callimaco venivano a loro volta ammirate la finezza, la grazia e l’eleganza, con tali concetti si intendevano i delicati movimenti vibranti dello stile ricco. Di Lisippo e Prassitele venivano lodati per il fatto che ​ad veritatem accessisse optime​, Lisippo era tra l’altro noto per i suoi ritratti. Prassitele viene continuamente celebrato per la sensualità morbida, quasi concretamente seducente, delle superfici dei corpi, e per l’espressione animata dei suoi volti. Tali qualità risaltano soprattutto in figure di aspetto giovanile e sensuale. A queste si aggiungevano forme stilistiche che non giocano alcun ruolo nella letteratura d’arte di stampo classicistico: quelle dell’età arcaica erano intese come segni di una tradizione veneranda, quelle ellenistiche come espressione di pathos dinamico, di faticosa tensione, o anche di un’atmosfera idilliaca. Addirittura più 6 epoche potevano valere come modello per uno stesso ambito tematico, e senza sostanziali differenze di significato. La caratterizzazione specifica delle qualità stilistiche individuali dei diversi maestri rendeva possibile anche una loro comparazione. Tramite i valori espressivi che stavano alla base del giudizio d’arte colto le forme tramandate potevano essere impiegate per compiti “romani”. Ma se le varie forme di rappresentazione appartenevano a uno stesso sistema di linguaggio figurativo, esse si trovavano anche in rapporto gerarchico tra di loro. Dalla gerarchia di valori derivava una gerarchia di forme, con gli elementi dominanti al centro, e quelli di importanza minore in posizione subordinata. Una conseguenza decisiva di questo sistema fu che le varie forme stilistiche furono in certa misura storicizzate nel nuovo sistema di temi e valori espressivi. I valori astratti sono la vera zona di contatto tra tema rappresentato e dorma visiva. Solo in base al significato concettuale generale le forme eterogenee di rappresentazione diventavano idonee a formulare temi figurativi romani. Il fatto che tra forma e tema figurativo si inserissero dei valori concettuali come elementi di raccordo è il motivo per cui non si formò una rigida costruzione normativa ma un sistema flessibile. Il tema suggeriva specifiche forme di rappresentazione, ma non determinava interamente la forma. D’altro canto neanche i vari modi di rappresentazione e i tipi figurativi erano fissati rigidamente in rapporto alle idee che intendevano esprimere. Questo sistema di temi, di valori concettuali e di forme figurative lasciava dunque, nei suoi due punti di raccordo, una certa libertà di interpretazione e di gusto artistico. La flessibilità della struttura di questo sistema permetteva a ciascun tema di non comparire sempre con la medesima forma di rappresentazione. Gli scultori romani non erano teorizzatori, ma artigiani che non stavano a meditare su sistemi di valori estetici. Quanto era stato formulato in via teorica dagli scrittori d’arte, può e deve essere avvenuto in maniera del tutto inflessa e spontanea nella pratica. La commissione di un’opera d’arte concerneva innanzitutto il tema, lo scultore che poi cercava per esso un prototipo adeguato poteva senz’altro riconoscere quali modelli dell’arte greca fossero i più adatti secondo le idee correnti del tempo. In maniera analogamente irriflessa doveva procedere la comprensione dell’osservatore. In molti casi devono aver giocato considerazioni relative ai motivi più che allo stile. Devono infine aver giocato un ruolo la collocazione, le dimensioni, le altre opere eventualmente già presenti e la quantità di denaro che il committente era disposto a pagare. Anche nella pratica l’unione di tema e forma delle immagini non era fissata con assoluta coerenza. Gli inizi di questo modo di trattare le forme tramandate riportano all’arte della Grecia. Il loro impiego era condotto non in base allo stile generale dei rispettivi periodi, ma secondo punti di vista specificamente tematici. Perfino in questo sostanziale annullamento dell’unitarietà evolutiva emerge il ruolo primario del cambiamento storico. Le varie forme non vennero impiegate come espressioni di antichità o modernità in senso storico, bensì per definire un campo di significati tematico-concettuale, atemporale. Il tardo ellenismo portò a un mutamento sostanziale nell’attitudine stilistica, intensificando le forme di stile ellenistiche e riprendendo contemporaneamente le tradizioni classiche. A Roma, date le proporzioni dell’Impero, tali fenomeni pervennero però a un grado di realizzazione 7
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