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Il lusso e il capitalismo, Appunti di Filosofia

il capitalismo, lungi dal costituire un elemento estraneo alle dinamiche sociali, si nutrirebbe della mentalità e dello spirito del tempo. il tratto peculiare del pensiero di Sombart risiede nel tentativo di indagare la genesi della mentalità capitalistica

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 27/02/2023

Jikikako
Jikikako 🇮🇹

4

(1)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il lusso e il capitalismo e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! 1. Premessa. Un autore "proibito"? Al momento della morte, Sombart lascia circa 35 libri ed opuscoli, un centinaio tra saggi, articoli e contributi in volumi collettivi, numerose collaborazioni a riviste e una tale notorietà da essere ritenuto "il più famoso professore del mondo accademico tedesco dei primi decenni del secolo" (1). Tuttavia, S. non è quasi menzionato dalla più recente e diffusa manualistica accademica sociologica italiana (2). Inoltre, il centenario della nascita, caduto nel 1963, è stato accolto dal silenzio più totale: unica eccezione nel mondo (3) un volume edito in Italia per la biblioteca della Rivista Economia e storia (4). Come spiegare questi diversi atteggiamenti verso un sociologo la cui fama in vita superò largamente quella di Max Weber (1864-1920)? La diffusione dell'opera di S. è stata probabilmente condizionata (o, in ambienti di cui dirò, favorita) da "pre-giudizi" e fraintendimenti - databili dai tempi del suo insegnamento e diffusi dal mondo accademico - di due ordini distinti. Un primo - e forse più sostanziale - gruppo di pregiudizi, rimprovera a S. di aver A) "tradito" Karl Marx (5); B) conservato - e, anzi, migliorato - la propria cattedra universitaria durante gli anni del nazional-socialismo; C) contribuito all'antisemitismo Vi è, inoltre, una seconda serie di critiche - derivante in parte dai pregiudizi di cui sopra? -, che può essere riassunta in D) lacunosità delle fonti e della documentazione (6); E) metodologia ed esposizione imprecise e frammentarie (7). Fornire una risposta adeguata a ciascuna di queste obiezioni esula dagli scopi di questo lavoro, ma è tuttavia necessario un rapido cenno ad esse: è un modo per meglio conoscere l'opera del nostro e, diversamente, non si capirebbe l'utilità di rileggere, oggi, l'analisi sombartiana del ruolo tenuto dal lusso nella genesi del capitalismo.   2. Le obiezioni a Sombart A) Il "tradimento" del marxismo Effettivamente, dopo i lunghi anni nei quali S. godette dell'appellativo di "professore rosso", a far data dal 1896 il suo allontanamento dal marxismo fu sempre maggiore: "Comincerò la mia critica con l'esame di quelle teorie che sono false perché i loro autori [...] credevano di porre tesi scientificamente dimostrabili e proponevano invece un sistema metafisico. Pongo fra questi quasi l'intera filosofia della storia di C. Marx: il suo naturalismo sociale, la sua concezione materialistica (economica) della storia, il suo evoluzionismo. Non corrisponde certo ad un dato dell'esperienza che la storia umana sia una parte della storia naturale e che sia dominata da leggi naturali. L'esperienza anzi dimostra l'autonomia irriducibile delle leggi dello spirito e delle sue creazioni. L'esperienza ci insegna che gli uomini hanno la capacità di decidersi liberamente e di entrare o no con piena coscienza in rapporti collettivi di produzione. L'esperienza ci dice che non sono sempre gli interessi economici, ma più spesso altri interessi religiosi, politici - che tengono il primato nella storia" (8). Con Weber, S. è "colpevole" di aver negato la relazione fondamentale del materialismo storico: la relazione di causa-effetto tra struttura e sovrastruttura (9), ossia, banalizzando, la genesi della cultura dall'economia. A questo proposito, tuttavia, non andrebbe dimenticato il contributo fornito da Antonio Gramsci (1891-1937), che sottolinea da un lato l'esistenza di una dialettica tra struttura e sovrastruttura e dall'altro ricomprende nella struttura anche delle relazioni ideologico spirituali (10). In questa prospettiva lo stesso Gramsci scrive che "Perciò una riforma intellettuale e morale non può che essere legata a un programma di riforma economica, anzi il programma di riforma economica è appunto il modo concreto con cui si presenta ogni riforma intellettuale e morale" (11). Comunque, le diversità di impostazione non sono un motivo sufficiente per disinteressarsi del lavoro di uno studioso, soprattutto se si è mossi da una prospettiva autenticamente dialettica (12).   B) Sombart "nazional-socialista"? A favore di questa ipotesi depone il fatto che le edizioni italiane degli ultimi venticinque anni di alcune sue opere sono spesso legate a "ideologi neri" quali Franco Freda e Claudio Mutti (13). Inoltre, l'impressione derivante dalle citazioni di Hitler, di Goebbels o i riferimenti a Mussolini, presenti ne Il socialismo tedesco, è certamente notevole. Si potrebbe tentare di spiegare quest'ambiguità con l'intenzione (da egli stesso dichiarata nella Prefazione del 1934 a Il socialismo tedesco), di influenzare e reindirizzare gli uomini del movimento nazional-socialista, di fornire loro "delle teorie" per "stare nella chiara luce della conoscenza", nella consapevolezza che esse incontreranno "molti oppositori, sia dentro al partito al potere, che fuori" (14). Mi sembra però che la risposta più fondata al pur equivoco rapporto tra S. ed il nazional- socialismo, sia stata data da Cavalli: "il nazismo, almeno agli inizi, sembrava a lui, come alla maggior parte della cultura tedesca e del mondo accademico, una risposta necessaria alle inquietudini ed al disordine del periodo weimariano". A causa di questa impressione non si può, tuttavia, inferire che "tutta la cultura tedesca non marxista fu o precorritrice del nazismo, o nazista essa stessa" (15). E, per inciso, sbagliare la "diagnosi" sulle origini storiche, sociali e culturali del Terzo Reich, è indubbiamente il modo migliore per sbagliare anche la "terapia" (16).   C) Sombart antisemita? Infine, chiudo questa premessa con un'ultima - e sempre uguale - perplessità: le critiche alla metodologia sombartiana - grosso modo riguardanti l'uso di "categorie generalizzanti", anziché limitate alla esposizione "dell'avvenimento singolo" (35) -, sono di per sé sufficienti a spiegare l'oblio di cui l'opera del sociologo tedesco è vittima?   3. L’originalità di Sombart Prima di procedere alla esposizione del rapporto tra il lusso ed il capitalismo, è necessario collocare brevemente l'opera sombartiana nel contesto del dibattito sociologico del suo tempo e fornire alcuni chiarimenti sugli obiettivi dell'autore. Scrive Franco Ferrarotti che, rispetto ad altre scuole sociologiche, "Sombart si differenzia nettamente per l’insistenza sullo "spirito" del capitalismo: vale a dire sulle tendenze, sulla mentalità, sui valori e sugli orientamenti che sono alla base della genesi del mondo capitalistico" (36). Proprio la distinzione tra genesi del capitalismo (37) e genesi dello spirito del capitalismo, ha provocato non poche ulteriori incomprensioni e fraintendimenti tra i pochi commentatori della sua opera, ma se si ammette che strutture e sovrastrutture economiche siano almeno in un rapporto di reciproca influenza, si deve accettare - o perlomeno accettare di "esplorare" - le tesi di S.. Pur ammettendo che "è possibile che la mentalità economica debba la propria origine alle istituzioni economiche", S. ricorda tuttavia che "l’esistenza di questo nesso causale è da determinarsi caso per caso, come occorre sempre dimostrare per quale causa e in che modo il sistema economico influisca con azioni determinate sulla mentalità dei soggetti economici" (38). Ci si può allora chiedere: "Lo spirito capitalistico è il creatore dell’organizzazione capitalistica o piuttosto lo spirito capitalistico scaturisce dalla organizzazione capitalistica?". A ciò S. risponde: "poiché le organizzazioni sono opera degli uomini, bisogna che l’uomo e il suo spirito, dal quale esse sono nate, siano esistiti in precedenza", senza ovviamente escludere che "all’interno della stessa impresa il soggetto economico può subire mutamenti nella sua struttura spirituale sotto la pressione economica della propria attività, sotto l’influsso che emana dallo svolgersi dei suoi affari" (39). Non, dunque, un’origine del capitalismo di natura meramente economica, ma probabilmente anche un’origine economica; non soltanto religiosa ma sicuramente influenzata dalla religione; non esclusivamente culturale ma fortemente condizionata dalla cultura, e così via: "Il compito della nostra analisi storico-teorica consiste nella ricerca delle costellazione dei motivi prevalenti in una determinata epoca storica e che costituiscono le cause primarie della vita economica" (40). Quanto appena detto, porta ad approfondire il tema delle finalità e dei limiti che S. ha posto al suo lavoro. Si deve così rilevare che "il problema dello spirito capitalistico, della sua natura, della sua origine è straordinariamente complesso, infinitamente più complesso di quanto sinora si sia creduto, di quanto io stesso abbia creduto" (41). Contrariamente a quanto sostenuto dai suoi detrattori, S. è pienamente consapevole di come "l’esito di queste indagini possa essere soltanto un'accresciuta problematica dell’argomento" (42). Tuttavia, proprio per la complessità del fenomeno, sostiene che non è possibile "costruire una gerarchia delle cause" (43), anzi, che questo metodo è erroneo perché "volendole ordinare in questo modo. Si viene a ricondurre tutte le cause efficienti a una causa madre, causa causans" (44), senza per questo negare la possibilità che "alcune delle cause elementari appaiono subordinate, e altre invece coordinate" (45). Posso perciò concordare con Mauro Protti, quando scrive: "Il problema, per Sombart, non è spiegare la nascita del capitalismo" (46), e posso anche condividere che S. ritenesse che "Il problema di chi ha messo in moto, con una propria iniziativa, il processo economico che verrà definito "capitalistico" […] non sembra così urgente da meritare una indagine immediata" (47). Ma, proprio per questi motivi, mi pare che l’originalità del contributo di S. sia invece consistita nell’invitare a riflettere sui "fattori che […] hanno causato" il capitalismo e proprio col mettere a fuoco le "espressioni più significative agli inizi del suo dispiegarsi" (48). Si tratta, allora, di individuare questi fattori, in qualche modo all’origine dello spirito capitalistico, senza pretendere di esaurirne il ruolo e le caratteristiche. Facendo questo, ci si imbatte in una vera temperie di elementi, che alcuni studiosi di S., come ad es. Franco Rizzo, hanno ritenuto di sintetizzare come segue: "lo Stato, innanzi tutto; il potere politico, senza di cui sarebbe in ogni tempo impensabile lo sviluppo di un'attività economica; e poi una serie di altri fattori che vi sono collegati, e che dipendono strettamente dalla volontà politica, come le migrazioni, la tecnica (legata alla guerra), l'organizzazione del lavoro (che ha per suo campione e modello la struttura militare), la scoperta dell'oro e dell'argento (legata alle imprese di navigazione nel nuovo continente, volute dal potere politico); ed in secondo luogo - ancora - il razionalismo, lo sviluppo della contabilità, che determinerà lo sviluppo delle previsioni e quindi la diminuzione del rischio, elemento fondamentale della concorrenza; il progressivo accrescimento delle conoscenze della natura, dovuto in parte alle guerre ed in parte all'esigenza di fondare la concorrenza su basi nuove, trasferendola dai beni tradizionali, a beni di tipo nuovo; lo spostamento dello sforzo di produzione dalla qualità dei beni stessi alla loro quantità, ed infine la nuova organizzazione del mercato finanziario, che asseconderà il processo di concentrazione delle aziende e così via" (49).   4. Le "classi di fattori" all’origine dello spirito del capitalismo Da parte mia, rispetto alla metodologia i cui risultati ho appena esposto (ossia rispetto ad una rilevazione sintetica e alla successiva concatenazione), preferisco attenermi a quanto lo stesso S. propone, inquadrandolo tuttavia nello svolgersi storico della sua analisi. S. espone una prima volta la questione delle origini dello spirito del Capitalismo nel 1902, in occasione della prima edizione de Il Capitalismo moderno. A seguito delle critiche rivolte a tale edizione, nel periodo precedente la seconda edizione del 1916, pubblica alcuni studi indirettamente legati al tema che ci interessa (ad es. Das proletariat del 1906 e Das Lebenswerk von Karl Marx del 1909), ed altri che, invece, possono essere considerati preparatori e, forse, esposizioni di più ampio respiro di sezioni trattate nella sintesi del 1916 (50): è quanto dichiara lo stesso S. nella Prefazione a Lusso e capitalismo. Il problema delle origini dello "spirito" è affrontato o indirettamente trattato nelle opere di questo periodo, soprattutto in Die Juden und das Wirtschaftsleben (1911), Der Bourgeois (1913), Krieg und Kapitalismus (1913) ed anche in quella che qui ci interessa, Luxus und Kapitalismus (1913). Ma è ne Il Borghese che S. espone una prima analisi circa le componenti dello spirito del capitalismo, classificandone le fonti nel modo seguente: "nella prima parte io cerco di stabilire le basi biologiche sulle quali è costruita ogni storia spirituale del capitalismo. Quella parte d’umanità riconosciuta più adatta ad accogliere lo spirito capitalistico lo accoglierà e lo attuerà nella misura in cui (sia attraverso influssi esterni, sia per selezione) le forze morali si dimostrino efficaci (seconda parte) e le condizioni sociali vengano acquistando influenza (terza parte)" (51). Nella stessa opera, le caratteristiche delle tre classi di fattori all'origine del capitalismo sono così spiegate: a) basi biologiche, ossia quelle particolari inclinazioni o "pre-disposizioni", presenti in certi individui e in certe comunità, che sono all'origine di inclinazioni, tendenze e abitudini; b) forze morali, come la filosofia (filosofia del senso comune e l’utilitarismo) e la religione (cattolicesimo, protestantesimo e giudaismo) che influiscono sullo sviluppo della mentalità; c) condizioni sociali, tra cui lo Stato, le Migrazioni (soprattutto quelle dei tipi umani più inclini a divenire soggetti economici capitalisti), la scoperta di metalli preziosi, la Tecnica, le Attività professionali precapitalistiche (come il commercio e il prestito di denaro). A quest'ultima classe va aggiunta una "variabile corollario", un "elemento psicologico" che ha agito come sostegno della morale borghese: l’invidia sociale. S., pur non collocando esplicitamente il tema che ci interessa in una di queste categorie, parla dell’"ostentare grande lusso" (52) quando enumera le condizioni sociali che segnano la fine della coscienza economica precapitalistica e, ne Il Capitalismo moderno, annovera il lusso sempre tra le condizioni sociali.   mescolanza o fusione di sangue blu e denaro borghese ebbe luogo nel corso degli ultimi secoli in tutti i paesi di cultura capitalista: Italia, Germania, Inghilterra, Francia" (p. 26) E’ utile precisare che le caratteristiche spirituali della nobiltà medievale costituirono inizialmente un ostacolo a questa commistione: "esiste una differenza essenziale fra il ricco commerciante o finanziere che diventa nobile nel sec. XIII e quello che entra nella nobiltà nel sec. XVIII. Nei tempi antichi dominava in assoluto il feudalesimo; […] il contadino elevato al rango di nobile non trasformava minimamente lo stile di vita feudale, al quale si adeguava del tutto, essendo assorbito dall’ambiente "; mentre "la nobiltà che si formò più tardi, […], era composta di famiglie nuove, che provenivano dal commercio e che per il loro numero elevato influirono sulla struttura del ceto nobiliare" (p. 34). Evidentemente, col venire meno delle caratteristiche della nobiltà feudale (nobilitazione per fatti d’arme, per virtù trasmesse, vicinanza alla popolazione da proteggere e della quale amministrare giustizia, ecc.), l’acquisizione nel ceto nobiliare di elementi borghesi è facilitata. 5.2 La nuova città L’incremento demografico registrato a partire dal sec. XVI (60) fu uno dei fatti che contribuì alle variazioni rispetto alla civiltà fondata sul feudalesimo e determinò la creazione di un nuovo tipo di città; "Nasce la città grande e popolosa, con centinaia di migliaia di abitanti" (p. 40). "Le grandi città si sviluppano intensamente, poiché sono residenza del più consistente nucleo di consumatori" (p. 43): S. sostiene, infatti, che i principi e gli ecclesiastici, con le relative corti, i commercianti e gli uomini della finanza coi loro mercati, si spostano gradualmente tutti nelle nuove, sempre più grandi, città. Sulla base delle opere di Richard Cantillon (1680-1734) e di François Quesnay (1694- 1774) sull’argomento, S. perviene alla certezza secondo cui "la questione del lusso si unisce al problema della grande città" (p. 57).   5.3 La secolarizzazione dell'amore Un elemento che, secondo S., risulta decisivo per la diversa impostazione della vita nella società antica e moderna, è la "la trasformazione verificatasi nel rapporto tra i sessi fra Medioevo e l’epoca del rococò" (p. 63). In effetti, il problema storico dell’amore non deve essere considerato in senso autonomo, ma dipende dalla visione del mondo che via via si afferma nella storia (61). Le concezioni dell’amore sono infatti un terreno di osservazione privilegiato – basti pensare alla sua importanza nella letteratura e nell’arte -, un indicatore, un sintomo che consente di esaminare attraverso le microrelazioni interpersonali, i mutamenti relativi ai macrorapporti sociali, specialmente in società nelle quali la struttura sociale è modellata sulla base dell’istituto familiare "tradizionale". S. evidenzia efficacemente le differenze delle due visioni del mondo: "L’Europa medioevale aveva messo il fenomeno universale dell’amore, al pari di ogni attività umana, al servizio di Dio, consacrando religiosamente i sentimenti amorosi con l’orientarli verso un obiettivo ultraterreno. […] Ogni amore non consacrato a Dio o non vincolato all’istituto matrimoniale recava "il marchio del peccato"" (p. 64). Queste concezioni però, si modificano radicalmente a partire dal sec. XI, col quale comincia la secolarizzazione di ogni dominio dell’esistenza. "Le voci di un libero amore terreno risuonarono nelle canzoni dei trovatori" (p. 64), le quali appaiono sul finire del sec. XI, fioriscono nel sec. XII e finiscono nel XIII (62). Secondo S. esse rappresentano "l’inizio naturale dell’amore moderno. E’ un erotismo di pubertà che deifica l’amata, illanguidisce e sospira e si esaurisce in devozione e fantasia" anche se "fino al Quattrocento, però, non compare il nudo femminile, né viene scoperta la bellezza intima delle forme della donna, né si esercita l’incanto dell’amor sensuale" (p. 66). Dal 1400 l’amore ha i connotati di godimento sensuale come dimostra la citazione di Lorenzo Valla (figura rilevante dell’epoca di umanesimo trionfante), riportata da S., "Amore non è se non godimento. Io amo le donne così come amo il vino, il gioco, la scienza. In altri termini: il vino, il gioco, la scienza mi procurano diletto. E il diletto è il senso ultimo della vita. Non si gode per nessun altro fine: è il godimento il fine ultimo" (p. 67). "Questa concezione edonistico-estetica della donna e dell’amore, che dal Trecento in poi penetra a poco a poco negli spiriti, si trovava in aperta opposizione con l’idea dell’amore santificato o vincolato al sacramento del matrimonio […]. I limiti legali non possono contenere né l’istinto amoroso universale né il diletto raffinato dell’amore; questi sono, per loro stessa natura, illegittimi, o per meglio dire a-legittimi" (p. 70). Come dimostrazione di questa variazione, S. propone l’esempio di tre autori di epoche diverse, evidenziando come, mentre Boccaccio (1313-1375) aveva ancora un certo rispetto per il matrimonio, Lorenzo Valla (1407-1457), che fu uno dei primi a trarre le conseguenze logiche dalla sua concezione naturalistica dell’amore, con la massima disinvoltura dice che a nessuno deve importare alcunché se due esseri si amano, e non fa differenza alcuna che la donna abbia relazioni col marito o con l’amante. Infine, per Michel Eyquem di Montaigne (1533-1592), la realizzazione del desiderio amoroso è indipendente dal matrimonio ed anzi l’amore e il matrimonio si escludono a vicenda. S. conclude le sue considerazione sull’amore affermando che il nascere dell’amore libero (nella sua accezione è tale l’amore orientato al puro erotismo) e illegittimo (in quanto ha il suo scopo in se stesso) ed il loro diffondersi comporta, a livello sociale, la nascita di un nuovo tipo umano: "si costituisce fra la femme honnête e la putaine una categoria sociale che, nelle lingue neolatine, è designata coi nomi più diversi […]: cortegiana, maîresse, amoureuse, cocotte (63), femme entretenue, ecc. Vediamo che l’amore, con queste donne, diventa una professione libera, la quale supera la fase del "dilettantismo" ed è affidata a vere e proprie professioniste" (p. 75). Queste "maestre dell’amore" portarono, secondo S., a un cambiamento nelle aspettative delle donne: "la donna di rango è influenzata direttamente dalla cocotte. […], la maîtresse del monarca viene a essere il modello seguito dalle amanti dei ricchi di città. […] A sua volta, la signora onesta della società, se non vuole essere completamente estromessa, deve entrare in concorrenza con la cocotte. Ciò comporta certe condizioni minime di cultura che la dama di società deve soddisfare, per onesta che sia. E così la femme honnête, stimolata dalla cortigiana, dovette lavarsi" (p. 81). Al di là della curiosità del "lavarsi", quello che più importa sottolineare è che il regime di vita di queste donne, influisce sulla vita delle donne dei ceti politicamente dominanti di quei tempi.   5.4 L’ostentazione del lusso 5.4.1 Concetto ed essenza del lusso Il lusso, secondo S., è "ogni dispendio che vada oltre il necessario". Dal punto di vista concettuale, occorre distinguere il "lusso quantitativo", che equivale allo spreco (ad esempio avere più servi quando ne bastano uno), dal "lusso qualitativo" che è il consumo di beni di classe superiore e dà luogo all’oggetto di lusso. Questo "è un bene […] raffinato, intendendosi per raffinatezza ogni confezione di oggetti giudicabile come superflua per la realizzazione dei fini necessari" (p. 85). L’esigenza di raffinatezza appena definita è quella che S. chiama esigenza di lusso ed i beni che servono a soddisfarla si chiamano beni di lusso. Il lusso, può servire a molti fini e obbedire a molti motivi differenti, infatti S. afferma che "Erigere a Dio un altare con ori e diaspri e comprare una camicia di seta sono atti di lusso completamente distinti. Il primo serve a un ideale: può essere chiamato lusso altruistico. Il secondo può essere detto un lusso materialistico o egoistico. Si distinguono così il motivo e lo scopo dell’atto di lusso" (p. 86). Non si può non notare come S. non scada mai nei motivi di dibattito teologico - propri del protestantesimo natìo nei confronti degli arredi sacri – ma abbia sempre come scopo la comprensione delle oggettive motivazioni dell’agire umano nella società. Nella sua trattazione dello sviluppo del lusso S. prende in considerazione la seconda specie di lusso, quella che obbedisce a motivi egoistici e serve per adornare la vita con "vane superfluità". Questa forma di lusso è appunto quella che, secondo S., si sviluppa in modo considerevole nell’epoca del Rinascimento. L’autore elenca le origini della nascita del lusso personale: il puro divertimento ed il godimento dei sensi, ricollegandolo ancora una volta al tema dell’amore, unitamente al sentimento amoroso e all’erotismo che è quello che "più o meno coscientemente dà impulso e stimolo al lusso. Perciò troviamo che il lusso domina in tutti quei luoghi in cui si sviluppa la ricchezza e la vita amorosa riceve forme libere (o addirittura licenziose). Invece, laddove le relazioni amorose diventano trascurabili e scarse, la ricchezza non presenta caratteri di spreco, bensì di accumulazione" (p. 87). Il lusso nella tavola: Questa forma di lusso "nasce in Italia nel corso del XV e XVI secolo, epoca in cui vediamo costituirsi l’ "arte culinaria", insieme con tutte le altre. Prima non esisteva altro lusso se non il divorare; adesso questo godimento si raffina e la qualità si sostituisce alla quantità. […] Anche il lusso del pasto si trasferisce dall’Italia alla Francia. […] Ma c’è qualcosa al di fuori d’ogni dubbio ed è la relazione esistente fra il consumo di dolci e il predominio della donna. […] Poiché la donna esercitò un suo predominio nel primo periodo capitalistico, si ebbe la diffusione rapida e generale dello zucchero, la quale a sua volta fece sì che in tutta Europa si diffondesse subito il consumo di eccitanti come il caffè, il cacao, il tè. Il commercio di questi quattro articoli e la produzione di caffè, cacao e zucchero nelle colonie europee, così come la lavorazione del cacao e la raffinazione dello zucchero nei paesi europei, costituiscono fatti importanti nello sviluppo del capitalismo" (p. 127). Il lusso nel vestiario: "Il ceto nobiliare ebbe pure influenza sulla direzione e sugli orientamenti del lusso. Sappiamo quale lusso la corte sviluppasse per quanto atteneva ai vestiti. […] Nulla distingue il cavaliere quanto le ricche casacche, che secondo la moda del tempo dovevano essere di velluto e di seta, con ricami d’argento e d’oro, pizzi ecc. molto costosi. […] Ci è giunta una serie di dati sul lusso nell’abbigliamento durante i sec. XV e XVI. Esistono minuziosi inventari del vestiario di Valentina e Isabella Visconti, Biancamaria Sforza, Lucrezia Borgia ecc.. Una valida fonte per la conoscenza di questo argomento è costituita pure dalle opere d’arte, dalla descrizione di feste, cerimonie ecc. […] Uno sposalizio aristocratico del sec. XVII comportava, in Francia, la spesa della terza parte del patrimonio, solo per i vestiti; per la toilette e le carrozze se ne andava quasi la metà. Ogni persona degna di stima possedeva sei abiti estivi e altri sei invernali". Inoltre "Il lusso nell’abbigliamento intimo (manifestazione essenzialmente erotica) si sviluppava ora splendidamente" (p. 117). Il lusso nell’abitazione: "si trova in intimo rapporto con lo sviluppo della grande città […]. La grande città alimenta il lusso con il mobilio a partire dal Rinascimento e specialmente dalla fine del XVII sec. In questo settore la grande città influì in seguito alla riduzione dello spazio vitale, dovuta alla concentrazione di molti individui in un solo punto, e in seguito alla limitazione del lusso personale che doveva sopraggiungere col trasferirsi dei signori nella città. Queste restrizioni […], provocarono […] un’intensificazione del lusso che, come già abbiamo visto, da una parte si applicò alle cose, dall’altra si orientò nel senso della raffinatezza". Così, anche il lusso nell’abitazione dovette incrementarsi e subire grosse trasformazioni: "I castelli dei nobili, con le loro sale enormi, furono sostituiti da palazzi di proporzioni più ridotte, dove furono accumulati oggetti preziosi d’ogni sorta". Infine "Questa vita urbana si trasferisce in seguito in campagna. Sorgono le case di campagna ammobiliate con eleganza urbana. Le ville sono, come nell’antichità, un prolungamento della città. Così il lusso si estende e penetra negli angoli più riposti del paese, essendo la grande città modello di vita anche in questo" (p. 129). Il lusso in città (70): "La città contribuisce ad aumentare le esigenze del lusso. […] per lo sviluppo del lusso è importante la città, soprattutto perché crea nuove possibilità di vita allegra ed esuberante e, pertanto, nuove forme di lusso. Le feste non rimangono circoscritte ai palazzi dei principi, ma si estendono ad altri ambiti sociali, che provano l’esigenza di locali di divertimento […] il lusso privato viene a essere sostituito dal lusso collettivo." (p. 135). Col passare del tempo, al posto della diffusione strettamente privata del lusso subentrano forme collettive di manifestazione dello stesso. Sono gli inizi di quella standardizzazione della condotta di vita che sarà uno dei tratti peculiari dei periodi successivi. Gli elementi presi in considerazione da S. nell’analisi della diffusione del lusso in città sono: a) I teatri; b) Le sale da concerto e da ballo; c) i ristoranti raffinati; d) gli hotels; e) i negozi.   5.5 La nascita del capitalismo dal lusso Gli ultimi tre capitoli del volume che sto esaminando, come al solito brillanti, riprendono tuttavia temi meno "originali" e sono stati oggetto di qualche critica cui abbiamo già fatto cenno. Mi limito a ripetere, ancora una volta, l’opportunità di considerare le indicazioni sombartiane all’interno del quadro della sua opera, senza assolutizzarne le singole affermazioni, come, ad. es., quella che chiude l’opera: "Così il lusso, che abbiamo visto esser figlio legittimo dell’amore illegittimo, è il padre del capitalismo" (p. 204). Come ho cercato di dimostrare, assolutizzare le singole affermazioni di S. ignorandone le "coordinate quadro" e dimenticando la sua intenzione di individuare la "costellazione" di fattori, mi sembra il modo più sicuro per fraintendere il contributo da lui fornito   5.5.1 Impostazione giusta della questione Quale importanza ha avuto il lusso nello sviluppo del Capitalismo? E come? "Questo problema ha tenuto occupati gli economisti dei sec. XVII e XVIII" e "si riconosceva all’unanimità che il lusso sviluppava quelle forme economiche che allora cominciavano a sorgere ed erano appunto le forme capitaliste; perciò tutti i fautori del "progresso" economico erano ardenti difensori del lusso" (p. 141-142). Perciò, "I governi orientarono la loro politica in un senso favorevole al lusso" e già nel 1600 "le classi dirigenti sono convinte che il dispendio a fini di lusso (nell’interesse dell’industria capitalista) è "necessario"" in quanto reca vantaggi alla collettività: "Quello che tutti i pensatori apprezzano nel lusso è, soprattutto, la sua capacità di animare i mercati" (p. 142). Lo stesso David Hume (1711-1776) giunge alla conclusione che il lusso "buono" è un bene e il lusso "cattivo" è un vizio, ma sempre preferibile alla pigrizia (71). S. riporta i passaggi relativi al lusso della "Favola delle api" di Bernard Mandeville (1670-1733), che più tardi diede a tale concetto la forma di un sistema di filosofia sociale (p. 144). Insomma, "Rispetto al problema del mercato e al suo influsso sulla genesi del capitale, si è affermata, da Marx in poi, la disgraziata opinione secondo cui il capitalismo sarebbe stato favorito dall’ampliamento geografico dei mercati e soprattutto dallo sfruttamento delle colonie nel sec. XVI. […] Questa direzione, seguita da quasi tutti gli storici dell’economia contemporanei, mi sembra fatale, poiché […] non sono state indicate le vere cause che provocano il passaggio al periodo del capitalismo economico" (p. 145-146). Infatti per S. "fu il lusso a dare il principale contributo allo sviluppo del capitalismo, fino alla fine del primo periodo capitalistico. […] Il lusso ha cooperato, nei modi più diversi, alla genesi del capitalismo moderno. Ha svolto un ruolo essenziale nel passaggio dalla ricchezza feudale alla ricchezza borghese (debiti)" (p. 146).   5.5.2 Il lusso e il commercio "L’influenza del lusso si fece sentire in modo ancor più insistente, esclusivo e profondo nel piccolo commercio. Se nel primo periodo capitalistico vi furono alcuni importanti settori del grande commercio che, benchè adottassero forme capitaliste, non si riferivano per niente al lusso (ad esempio: il traffico del rame, del grano), non credo che vi sia prima del sec. XIX un solo caso di commercio al minuto che rivesta forme capitaliste e non si riferisca a generi di lusso" (p. 158). "L’importanza straordinaria del commercio di lusso è pure dimostrata dal fatto che le società commerciali si formavano solo per seterie, telerie e oreficerie" (p. 164). Nella sfera del commercio al minuto il capitalismo si sviluppa grazie alla diffusione del lusso attraverso le seguenti cause: "1. La natura delle merci determina l’organizzazione capitalista. 2. La natura della clientela dà, pure essa, incremento allo sviluppo del capitalismo. Questa clientela illustre fa valere le massime esigenze di eleganza e inoltre […] non paga in contanti, quando paga, la qual cosa costringe il commerciante di articoli di lusso – a parità di circostanze – a tenere a propria disposizione un capitale molto maggiore" (p. 164) ed i seguenti avvenimenti: "1. Si stabilì una differenza tra commercio al minuto e il commercio all’ingrosso.[…] 2. I commercianti cominciano a installare le loro sedi con maggiore eleganza, al fine di attrarre la clientela […] 3. La forma del moderno commercio al minuto, nel quale le merci vengono riunite secondo la loro finalità, si distacca dal commercio antico, destinato a un settore […] 4. L’oggettivazione del rapporto fra il commerciante e la clientela […] 5. L’ultimo punto, il più importante, è l’ampiezza di questi negozi, i quali, a mano a mano che venivano applicati i suddetti nuovi principi mercantili, dovettero ingrandire la loro base capitalista" (p. 161-163).  
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