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Il medioevo - profilo di un millennio., Dispense di Storia Medievale

Riassunto del libro ''Il medioevo - profilo di un millennio'' di Alfio Cortonesi. Comprende tutti i capitoli.

Tipologia: Dispense

2017/2018
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Caricato il 08/10/2021

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Scarica Il medioevo - profilo di un millennio. e più Dispense in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! IL MEDIOEVO, PROFILO DI UN MILLENNIO. IL TRAMONTO DELL'IMPERO DI ROMA 1. L'Impero Romano e la crisi del IIl secolo. La deposizione di Romolo Augustolo avvenuta nel 476° e scelta a segnare, per convenzione, il passaggio dall’età antica al medioevo, fu in sé un evento di scarsa rilevanza storica. [ PERIODIZZAZIONE ]. La caduta dell'impero di Roma giunse in realtà alla fine di un percorso plurisecolare che vediamo avviarsi già con le tormentate vicende del Il secolo. Agli inizi del 200 l'impero, che mai si diede questo nome ma continuò a chiamarsi res publica (Stato), estendeva le sue autorità a tutti i territori che si affacciavano sul mediterraneo, compresi quelli africani; si protendeva a dominare l'Europa occidentale fino alla penisola iberica e al vallo di Antonino, eretto nel 142 a segnare il confine tra Britannia e Caledonia; giungeva a oriente fino alla Mesopotamia e ai territori settentrionali dell'Arabia. Il confine europeo orientale era costituito per lungo tratto dal Reno e dal Danubio, oltre il quale i romani si erano spinti, tuttavia, per iniziativa dell'imperatore Traiano (98—117), conquistando la Dacia. Regni e dominazioni di varia configurazione si trovavano a coesistere nell’ambito di un organismo politico di tipo federativo che i romani governavano e amministravano valorizzando i preesistenti assetti politici e l'apporto delle aristocrazie locali. Fattori diversi poterono a lungo garantire l’unità di tale costruzione tenendo insieme popoli differenti per cultura, lingua e religione: dall’efficienza di un'amministrazione che in tutte le province portava la presenza di Roma, provvedendo a farne rispettare le leggi, alla riscossione dei tributi, all'esecuzione di opere di pubblico interesse; fondamentale fu pure il ruolo delle onnipresenti città: centri di aggregazione sociale, luoghi di distribuzione e di consumo, perno ovunque della struttura amministrativa. L'economia poté beneficiare di un mercato di eccezionale ampiezza oltre che di un sistema di comunicazioni stradali che raggiungeva anche i più remoti insediamenti di confine. Il potenziale di coesione era ulteriormente accresciuto dal fatto che, grazie all'insegnamento impartito in tutte le scuole, il latino rappresentava una lingua di pressoché universale diffusione. La libertà di culto a tutti riconosciuta, alla sola condizione che non venissero posti in discussione il ruolo dello stato, contribuì pur essa a consolidare l’edificio dell'impero. Proprio con i primi decenni del IIl secolo cominciarono a profilarsi motivi di grave preoccupazione per la sicurezza e l'integrità delle province. Nel 224 l'ascesa al trono di Persia della dinastia sassanide rilanciò l’attività militare dell'impero persiano; ne derivarono ripetuti attacchi alle province orientali romane. Dalla metà del secolo presero a moltiplicarsi anche le incursioni oltre il limes (“confine’’) delle popolazioni germaniche principalmente i franchi, gli alamanni e i burgundi della zona renana. Nel 251 l'imperatore Decio cadde in battaglia a Nicopoli, nell'odierna Bulgaria, cercando di arginare l'avanzata dei goti, che con altri contingenti germanici erano penetrati anche nei Balcani, saccheggiando Atene, Argo, Corinto, Sparta e altre città della Grecia. Gli stessi goti avrebbero poi patito, a opera dell’imperatore Claudio II, una grave sconfitta (169), che sarebbe valsa in qualche modo a contenerli. Proprio il clima di crescente insicurezza indusse in quegli anni l’imperatore Aureliano a cingere Roma (271) di una poderosa cinta muraria che dallo stesso prese nome (‘’mura aureliane'’) e che ancora in larga parte si conserva. Non sorprende che in tale situazione il potere delle legioni e dei loro comandanti divenisse sempre maggiore: da loro dipendeva la sopravvivenza delle popolazioni rubane. Nel corso del III secolo furono dunque quasi sempre gli eserciti a proclamare gli imperatori, che, nel periodo cosiddetto dell'anarchia militare (235—284) si avvicendarono sul trono con ritmo incalzante. Altre cause di questa crisi furono di natura economica e sociale. L'esaurirsi del fattore propulsivo costituito dalle conquiste territoriali: l'incremento della spesa pubblica, in larga parte dovuto all'aumento delle spese per la difesa e al funzionamento di una macchina statale sempre più complessa; il conseguente inasprimento della pressione fiscale; lo spopolamento di molte campagne a seguito di fatti di guerra e della permanente insicurezza; il contrarsi dei flussi commerciali, che finiva col penalizzare la produzione e determinare il rialzo dei prezzi. Consideriamo anche le difficoltà crescenti che veniva incontrando il sistema schiavistico della produzione, legato al latifondo della villa, a causa della progressiva riduzione del numero degli schiavi, difficoltà che avrebbero indotto in progresso di tempo gli aristocratici detentori delle terre a frazionare una parte, concedendo le parcelle in coltivazione a uomini liberi, a liberti e a servi, che divenivano nella circostanza assegnatari di un'abitazione familiare. Da rilevare come le trasformazioni della villa, che si stava ormai sempre piu marcatamente caratterizzando per un'organizzazione bipartita marciavano di pari passo con la crisi della piccola e medie proprietà fondiaria, che piu pesantemente risentiva dell’accresciuta pressione fiscale. Ciò comportava che un buon numero dei proprietari minori finissero col richiedere la protezione degli esponenti dell’aristocrazia senatoria, detentori delle villae, e dei proprietari dei piu estesi latifondi, andando ad ampliare ulteriormente le loro clientele e contribuendo a connotare sempre piu la grande proprietà come elemento di rilevante incidenza per l'inquadramento sociale. 2. Le riforme di Diocleziano. All’aggravarsi della crisi registrato con i decenni centrali del III secolo cercò di trovare una soluzione l'imperatore Diocleziano (284—305) proclamato imperatore dall'esercito. Egli persegui il totale controllo dello Stato su un'economia che minacciava sempre piu vistosamente di sfaldarsi e ciò fece anzitutto legando ciascuno all'esercizio del mestiere paterno. L'intento era quello di vincolare i contadini, pur liberi nella persona, alla terra lavorata, evitando ulteriori abbandoni delle campagne e garantendo una base certa all’imposizione fiscale. Diocleziano procedette a una radicale riforma costituzionale, volta ad assicurare un piu stringente controllo sui territori dell'impero a una successione non conflittuale alla carica di imperatore; tale riforma introdusse la cosiddetta ‘’tetrarchia” (governo a quattro), prevedendo la presenza di due Augusti, ciascuno dei quali affiancato da un Cesare, dai primi associato al potere e destinato alla successione. Era stabilito che gli Augusti avrebbero lasciato il trono dopo vent'anni dal loro insediamento e che i loro successori avrebbero provveduto alla nomina dei nuovi Cesari; la distinzione fra un ‘’primo”’ e un ‘’secondo’’ Augusto salvaguardava la primazia imperiale Fu lo stesso Diocleziano a provvedere alla prima applicazione della riforma: nel 293, infatti, riservatosi il governo della parte orientale dell'impero e fissata la sua dimora a Nicomedia affido l'occidente a Massimiano, nominato ‘secondo Augustò', il quale fece di Milano la sua capitale. Nel 297 l'imperatore provvedette anche a riformare l'assetto amministrativo dei territori sottoposti istituendo le quattro prefetture dell'Oriente, dell’Illirico, dell’Italia e della Gallia e suddividendole in dodici ‘’diocesi’’, articolate a loro volta in 101 province. Le diocesi vennero affidate alle competenze, perlopiù giudiziarie e fiscali, dei vicarii, mentre alla testa delle provincie furono posti un dux, con funzioni militari, e un praeses, con funzioni civili. Il corpo burocratico conobbe un notevole incremento. Tuttavia, quando nel 305 i due Augusti, abdicarono a beneficio dei Cesari non accettarono di rinunciare alla successione. SI giunse cosi a uno scontro militare che vide prevalere Costantino e Licinio, i quale governarono col titolo di Augusto fino al 324, quando il primo prevalse definitivamente riducendo nelle sue sole mani il governo dell'impero. 3. Da Costantino alla divisione dell'impero. L'opera di Costantino fu indirizzata a consolidare le riforme volute da Diocleziano; sul piano economico si aggiunse a esse la riforma del sistema monetario, che venne a essere fondato sulla circolazione di monete d’oro, d'argento e di bronzo ( tri metallismo ) e tale rimase fino alla riforma carolingia; dal 312 si ebbe la coniazione del solidus aureus. Evento di grande rilevanza politica fu il trasferimento della capitale imperiale da Roma a Bisanzio (330): città greca sul Bosforo, cui nella circostanza fu dato il nome di Costantinopoli. In breve tempo la città, affidata all'amministrazione di un prefetto, fu abbellita di chiese e palazzi, mentre la sua popolazione enormemente cresceva. Un altro senato, per volontà imperiale, venne a insediarvisi. Sotto il profilo piu strettamente politico, due sono gli elementi da evidenziare: il primo, che l’assolutismo 2. IL CRISTIANESIMO La crisi dell'impero spinse un numero sempre maggiore di persone alla ricerca di nuove religioni in grado di rispondere alla domanda, individuale, di salvezza. Dato che l'impero fu da sempre caratterizzato dalla libertà di culto avvenne molto facilmente la nascita e lo sviluppo del cristianesimo. Questo purtroppo però verrà visto, a partire dal 300, e soprattutto sotto Diocleziano, come forza sovversiva, non solo per i suoi stretti rapporti con il mondo giudaico ma anche per il suo rigoroso monoteismo che non gli permetteva di abbracciare il culto della persona dell’imperatore. Per questo motivo verranno a lungo tempo perseguitati fin quando nel 313, con l’editto di Milano, non ottennero la libertà di culto divenendo poi, nel 380, con l’editto di Tessalonica, religione di stato. Il cambiamento del pensiero religioso è il cambiamento più arduo da ottenere e di solito avviene nel lungo periodo motivo per il quale quando si parla di storie delle religioni lo si fa all’interno del quadro della storia evenementielle che fa cioè riferimento ai singoli eventi senza soffermarsi troppo sul motivo che li ha causati. Con l'affermazione del cristianesimo nacquero nuove e numerose chiese portando quindi anche alla formazione di province dove far sviluppare più episcopati. In occidente le chiese più importanti furono Roma, a cui verrà poi riconosciuto un primato ideale, e Milano, mentre in Oriente abbiamo Costantinopoli e Gerusalemme. Tutto ruotava poi intorno alle diocesi affidati al Vescovo, solitamente reclutato tra i più importanti esponenti delle famiglie aristocratiche proprio per la loro cultura, che divennero cosi i punti di riferimento spirituale della comunità dei fedeli. Ovviamente tutto ciò non fu privo di problemi; molte dispute teologiche ruotarono intorno alla questione dell’incarnazione del cristo ovvero della sua duplice natura, quella umana e quella divina. La prima teoria che fu condannata, durante il concilio di Nicea convocato nel 325 da Costantino nella speranza di risolvere la questione che ormai da tempo aveva portato un Patriarca contro l’altro con l'utilizzo di scomuniche ed ‘eresie’, fu quella di Ario secondo il quale la natura del Cristo era interamente subordinata a quella di Dio. Fu ovviamente condannata perché a causa di questa teoria si perdeva tutto il valore salvifico della religione cristiana. Sulla questione però si pronunciarono tante altre figure come per esempio il patriarca di Costantinopoli, Nestoro, sostenendo che in Cristo vivessero due persone distinte, quella umana e quella divina. Questa teoria fu condannata nel 431 durante il Concilio di Efeso durante il quale prevalse la teoria per la cui nel Cristo le due nature coesistevano in una sola persona. Ad Alessandria poi nacque una nuova teoria sostenitrice dell’esistenza in Cristo di una sola natura, quella divina, che col tempo avrebbe inglobato quella umana; la dottrina definita ‘monofisismo’’, fu condannata nel 451 a Calcedonia. Contemporaneamente l'esigenza di avere un maggior contatto con l'essere supremo, attraverso il distacco dalla società, portò alla nascita del monachesimo nato in Oriente col movimento Buddista. Dal IV secolo il monachesimo iniziò a diffondersi anche n Occidente dove, per esempio, per volere di Pancomio si organizzarono gruppi di asceti, i cenobiti, organizzati in comunità e guidati da un abate. | primi monasteri si mossero dalla Gallia, attraverso la Britannia fino a raggiungere l'Irlanda dove i monaci missionari, si spostarono dall'isola sul continente, per formare nuovi centri di vita monastica. La figura di spicco sarà quella di Colombano che nel VII secolo completò l’evangelizzazione della Britannia, iniziata nel 597 dal monaco Agostino. Il monachismo cristiano nacque nel IV secolo a Roma intorno alla figura di Girolamo e di Benedetto da Norcia che fondò il monastero di Montecassino dove elaborò quella regola, che richiedeva ai monaci obbedienza al proprio abate e definiva un modello di vita in cui l'esercizio della pratica ascetica lasciava spazio anche alla preghiera e al lavoro, che fu poi imposta in tutti gli altri monasteri della penisola e poi d'Europa fino a che il concilio di Aquisgrana la volle come unica regola per i monasteri dell'Impero d'Occidente. 3. LE MIGRAZIONI E | REGNI LATINO GERMANICI. ® Popoliemigrazioni. Tra il IV e VI secolo, irruppero entro i confini dell'impero di Roma popolazioni che da tempo si muovevano lungo di essi. La crisi politica aveva reso sempre più problematica la difesa delle frontiere. | popoli che vivevano oltre il confine erano al tempo denominati “barbari”, termine dalla valenza fortemente negativa con il quale i romani intendevano sottolineare l’estraneità di costoro alla loro civiltà. Sono anche definiti “germani”, con riferimento generico a raggruppamenti tribali differenti. Dopo che Giulio Cesare ebbe conquistato la Gallia (I sec. a.C.) sottomettendo le popolazioni celtiche ivi stanziate, romani e germani si trovarono a fronteggiarsi sulle rive del Reno, dove a scontri e incursioni presero a intrecciarsi neltempo scambi commerciali e contatti: dal secolo successivo si ebbe l'arruolamento di molti germani nell’esercito romano e perfino l'ascesa da parte degli stessi a cariche di rilievo. La situazione divenne tuttavia più complessa con al seconda metà del IV secolo, quando la crisi dell'impero si aggravò e alcune popolazioni germaniche approfittarono della situazione per avventurarsi entro i confini. Di particolare importanza fu la vicenda dei goti: proprio con i visigoti l'impero aveva sperimentato, sia pure con esiti drammatici, al momento del loro stanziamento in Tracia, il ricorso alla foederatio (alleanza), come sistema per il contenimento della pressione esercitata alle frontiere dai germani, o all’hospitalitas, con la quale si concedevano ai nuovi insediati un terzo (o più) delle terre o dei prodotti di una certa regione in cambio della fedeltà e del sostegno militare all'impero. Con nessun mezzo si poté, tuttavia, parare l'urto delle popolazioni che, spinte verso occidente dalle orde degli unni, nel 406 si presentarono sul Reno riuscendo a superare il limes e a dilagare successivamente in direzioni diverse. Vandali, alani, svevi e burgundi vennero allora a dislocarsi in parti diverse dell'impero ® Caratteri dei regni latino germanici. Nelle regioni occupate le popolazioni germaniche dettero vita a regni “latino-germanici”, in cui il problema della coesistenza fra popolazioni di tradizione cultura e religiosa diversa spesso si risolse per mezzo di processi di “acculturazione” che portarono all’avvicinamento progressivo dei due sistemi di vita. In generale la popolazione romana mantenne l’incombenza dell’amministrazione mentre i germani si riservarono l'esercizio delle armi, per la difesa e l'offesa. Sul piano giuridico continuò a vigere il diritto romano, sia pure integrato dalle consuetudini dei vari popoli. | regni latino-germanici si diedero leggi scritte: è il segnale più chiaro di un incontro proficuo fra le culture, tanto più che la lingua usata continuava a essere il latino. La trasformazione delle genti germaniche da migranti in stazionari fu accompagnata dall'impegno nella costruzione di una nuova entità istituzionale, il regno, destinata a sostituire la precedente organizzazione per clan e tribù. Il re era per i germani soprattutto un capo militare, deteneva il potere di banno, ovvero il potere di costrizione, giudizio e punizione, e la sua figura era attorniata da un'aura di sacralità. ® Il regno iberico dei visigoti. Dopo la vittoria di Adrianopoli, i visigoti vennero a patti con l'impero accettando di stanziarsi come federati nell’Illirico (la parte settentrionale della penisola balcanica). Tuttavia ben presto i visigoti si riversarono, sotto la guida di Alarico, entro i territori italiani prendendo la strada di Roma. Nel 410 i visigoti entrarono nella città e per tre giorni consumarono violenze e saccheggi. Dopo il sacco di Roma, proseguirono la loro marcia verso sud, salvot ornare sui loro passi dopo la morte di Alarico. Guidò i visigoti nella risali tamil nuovo re Ataulfo che, in accordo con l'imperatore, condusse le sue genti a occupare la Gallia Narbonense, organizzandone qui lo stanziamento. Ben presto i visigoti mostrarono la volontà di ampliare il loro dominio tanto in direzione della Provenza e della Gallia centrale quanto oltre i Pirenei. Fu per la pressione da loro esercitata che i vandali si videro costretti a lasciare le terrei iberiche alla volta dell’Africa. Era, tuttavia, inevitabile che l’espansionismo visigoto venisse a scontrarsi con il solido regno dei franchi, anch'esso caratterizzato da u forte dinamismo militare. Nel 507 i franchi inflissero all'esercito goto una pesante sconfitta in seguito alla quale si determinò per i vinti la necessità di riparare nei territori iberici. Il regno visigoto di Spagna, che ebbe come capitale Toledo, progressivamente estese i suoi confini ponendo fine alla vicenda degli altri piccoli regni della penisola. | re visigoti cercarono con la popolazione ispano-romano e la stessa chiesa locale (con la conversione dei visigoti al cattolicesimo) una collaborazione che intuivano preziosa specialmente sul piano politicoamministrativo. Questa forte compenetrazione fra Chiesa e Stato fu un tratto peculiare del regno visigoto fino alla caduta dello stesso nel 711 a seguito della conquista araba. ® Ilregno dei franchi. Al momento delle grandi invasioni che segnarono l’inizio del V secolo, i franchi erano già insediati entro i confini dell'impero; approfittarono della caotica situazione determinatasi per spingersi verso occidente. Di religione pagana, i franchi erano organizzati in tribù che non sconoscevano alcuna forma di coordinamento politico. Fu per la prima volta nella figura di Clodoveo che essi riconobbero un sovrano comune. Discendente di un mitico Meroveo (donde la denominazione di “merovingia” alla sua stirpe), Clodoveo guidò i franchi alla conquista di nuove terre: spostò oltre il Reno i confini del regno e a mezzogiorno li attestò sui Pirenei grazie alla vittoria riportata sui visigoti di Alarico II. Intorno al 496 si ebbe la conversione di Clodoveo al cattolicesimo, essendo egli consapevole della valenza religiosa e politica di tale evento e ponendo le basi per una migliore e più rapida integrazione con al popolazione gallo-romana e per più solidi rapporti con il papato. Nonostante l'accelerazione impressa alla formazione di uno Stato territoriale, il sovrano mantenne intatta la concezione germanica del regno come bene privato del re, di cui lo stesso poteva liberamente disporre; alla sua morte, i territori franchi furono pertanto divisi fra i quattro figli. Per l’intero periodo della dominazione merovingia, si perpetuò la partizione in regni. Nonostante questo sistema successorio, fattore di indebolimento del potere regio, il regno merovingio conservò una sua coesione per la preoccupazione dei sovrani di mantenere unite le “frazioni di regno”. Un ulteriore fattore di solidità del regno era costituito dall’integrazione fra i conquistatori e la popolazione gallo-romana. La convivenza era garantita dal principio della personalizzazione del diritto, secondo il quale ogni individuo manteneva il diritto proprio dell’etnia di appartenenza. Inoltre, dall'incontro tra l'aristocrazia germanica connotata da una prevalente propensione all'attività militare e il ceto senatorio di origine romana che basava il suo potere sul patrimonio fondiario e sull’esercizio di cariche amministrative, derivarono una unificazione degli schemi di comportamento e la formazione di una nuova aristocrazia di funzionari regi. In breve tempo si compì l'unificazione politica dei territori dell'antica Gallia. Quando , con il VII secolo. Si avviò irreversibilmente la decadenza dei regni, acquistarono ben presto particolare autorevolezza nel quadro amministrativo alcuni funzionari di corte, i maggiordomi o maestri di palazzo che, approfittando della assoluta inconsistenza di alcuni sovrani, si imposero nel tempo come veri e propri artefici della politica dei rispettivi Stati, di fatto estromettendo i re. ® Dalla Britannia all'Africa: gli altri regni latino germanici. BRITANNIA Intorno al 407 le legioni di Roma lasciarono, dopo quattro secoli, la Britannia, dove giunsero dal Nord della Germania e dalla penisola danese le popolazioni degli anglo, dei sassoni e degli juti, i quali occuparono la parte orientale del paese, senza penetrare nei territori della Scozia. La popolazione romano- celtica oppose una strenua resistenza agli invasori, ma dovette alla fine ripiegare in Irlanda e nei territori dell’attuale Galles e della Cornovaglia. Gli invasori diedero vita a una molteplicità di regni, di varia dimensione e importanza. Una forte conflittualità si innescò fra questi regni. L’unificazione fu conseguita agli inizi del IX secolo intorno al re di Wessex. A seguito dell’invasione, larga parte della Britannia tornò al paganesimo. AFRICA Il regno vandalo d'Africa venne costituito a seguito della cacciata dei vandali dalla penisola iberica a opera dei visigoti e riconosciuto nel 435 come federato dell'impero. Tale regno, che ebbe in Cartagine il centro principale, limitò la sua estensione alle zone costiere, poiché il deserto e le popolazioni berbere dell'interno costituivano un ostacolo insormontabile.. Un'accesa e irriducibile conflittualità caratterizzò in permanenza i rapporti fra gli invasori, di religione ariana, e la popolazione locale, che al momento della conquista aveva patito violenze minacciare la stessa Costantinopoli. Sarà la dinastia ‘ISAURICA”’ salita al trono con Leone III, a contenere l'avanzata araba. Gli imperatori isaurici operarono significativamente anche in campo amministrativo ponendo gli strateghi alle dirette dipendenze dell’imperatore. Ci fu poi un sostanziale processo di sviluppo ed ellenizzazione dell'impero: il greco fu riconosciuta lingua ufficiale, ci fu un rafforzamento della piccola proprietà fondiaria, crebbe anche, attraverso le donazioni dei fedeli, la proprietà dei monasteri ed infine si sviluppa il movimento ICONOCLASTA, che si caratterizza per l’avversione delle immagini di culto di Dio, della vergine e dei santi, movimento che colpi soprattutto le religioni orientali. Fu infatti Leone III a fare proprie le ragioni degli iconoclasti e ad imporre per decreto la distruzione delle immagini (726). Scoppio cosi la lotta tra iconoclasti ed iconoduli (che predicavano il culto delle immagini) che assunse sfumature politico sociali. Nel 787 si ebbe il VIII concilio ecumenico a Nicea, dove, Costantino VI e sua madre, emanarono un fermo pronunciato contro l'iconoclastia tuttavia il conflitto si chiuderà solo con Michele III che richiamandosi alle decisioni del concilio reintrodusse il culto delle immagini realizzando una nuova coesione religiosa. ® Italia Bizantina. Nonostante la conquista dell’Italia da parte dei Longobardi numerose erano le terre ancora sotto l'autorità dei bizantini come per esempio: l’Istria, la costa veneta, l'Umbria, i ducati di Roma e di Napoli, la Sicilia e fino al 640 anche la Liguria. Tutti questi territori furono sottoposto all'autorità dell'esarca di Ravenna. Il ruolo delle città, il tipo di organizzazione fondiaria, il mantenimento del codice Giustiniano furono alcuni degli elementi che garantirono nelle terre bizantine la sopravvivenza dell'eredità romana. Particolare fu poi il caso del ducato di Roma che, assalito dalla truppe di Agilulfo, fu difeso dal Papa Gregorio Magno e non dal duca, che riuscì oltretutto ad allontanare il re longobardo. Il papa si occupò poi anche di altre questioni come per esempio l’evangelizzazione delle popolazioni germaniche. In ambito romano invece Gregorio si impegnò per risolvere i problemi dell’approvvigionamento e dell'assistenza ai poveri riorganizzando il patrimonio fondiario della Chiesa. Durante il VII e il VIII secolo, oltre ai longobardi, i bizantini dovettero occuparsi anche di alcune questioni interne più precisamente delle ribellioni degli esarchi contro l'autorità imperiale. Una di queste ribellioni (649) si saldò all'opposizione del pontefice alla dottrina del monotelismo sostenuta da Eraclio. Tra il IX ed il X secolo invece la penisola sperimentò un importante decollo economico sia per quanto riguarda il commercio, che vide in particolar modo lo sviluppo dei porti di Amalfi, Napoli e Gaeta, sia per quanto riguarda l'agricoltura dove ci fu una ripresa della grande proprietà terriera dove si diffusero rapporti di dipendenza personale che rendevano la posizione dei contadini sempre più subalterna a quella dei signori. Tuttavia l'efficienza politico—amministrativa dello stato provvedeva sia a limitare i poteri dei signori e a mitigare la condizione dei sottoposti, sia adi impedire la formazione, al di sopra delle dipendenze contadine, di una gerarchia vassallatica interposta tra i sudditi e l'autorità imperiale. Anche i territori italiani conobbero in questo periodo un'amministrazione civile fondata sui temi, più precisamente tre: quelli di Longobardia, Lucania e Calabria. Contemporaneamente si diffuse il fenomeno del CESAROPAPISMO cioè: l’imperatore oltre ad essere il capo dell'esercito e dell'apparato amministrativo, affermava la propria supremazia anche sul piano religioso. Eletto nell'858, il patriarca Fozio, cercò di contrastare le aspirazioni dell’imperatore in ambito ecclesiastico senza avere però successo. Per quanto riguarda la politica espansionistica questa fu portata avanti soprattutto dalla dinastia Macedone, i cui successi militare contribuirono al consolidamento delle posizioni imperiali: questi si mossero verso i Balcani ed il Mar Nero, arginando l'offensiva dei Bulgari e del Principato Rus, che nell'860 e nel 907 giunsero ad insediare la stessa Costantinopoli. e Glislavi. Gli slavi erano una popolazione sedentaria, dedita all'agricoltura e alla pastorizia e divisi in tribù, costretti dagli unni a spostarsi, nel corso del VI secolo, verso ovest, giungendo cosi nell’area balcanica, dove si scontrarono ripetutamente con Giustiniano. Tra il VIII ed il IX secolo si divisero in: slavi orientali, occidentali e meridionali. L'impero carolingio e quello bizantino cercarono di bloccare l'espansione degli slavi con iniziative diplomatiche e tentativi di avvicinamento e di evangelizzazione. La cristianizzazione fu accompagnata dalla formazione dei primi Stati slavi. Furono i Serbi, ovvero gli slavi meridionali, i primi a conquistare l'indipendenza dall'impero bizantino e a formare un organismo territoriale. A nord invece si era formato il regno dei Bulgari, popolazione di ceppo turca che si convertì al cristianesimo. | bulgari conquistarono numerose terre slave di Serbi mantenendosi indipendenti da Bisanzio fino al 1018. Nelle pianure dell'est russo, i variaghi, fondarono il principato di Rus, con capitale Kiev e cominciarono la loro proiezione verso i territori meridionali. 5.1 longobardi. Nel 568 il popolo germanico dei Longobardi, sotto la guida del re Alboino, attraversarono le Alpi per giungere in Italia dove occuparono: Il Friuli, La Lombardia, Il Piemonte, La toscana, | ducati di Spoleto e Benevento. Nel 640 Rotari conquista la Liguria. Non conquistarono tuttavia l’intera penisola a causa dell'opposizione bizantina. Il risultato fu un complesso intreccio di terre sottoposte alle due dominazioni. Col passare del tempo i contatti tra Longobardi e Romani furono sempre ridotti tant'è che la popolazione germanica poté mantenere vive le proprie consuetudini. D'altro canto però l'impatto tra le due culture fu molto violento a causa delle loro numerose differenze: differente era la lingua, la religione, la concezione della politica. Per questo motivo tutti i proprietari terrieri furono spogliati dei loro beni o addirittura uccisi, nel raro caso in cui invece gli era stato concesso di mantenere le proprie terre erano comunque costretto a versare un tributo. Secondo la Historia Longobardorum redatta dallo storico Longobardo Paolo Diacono i longobardi aveva una società molto gerarchizzata: ® Alvertice ovviamente avevamo il sovrano, che a differenza delle altre popolazioni germaniche, veniva eletto da un'assemblea di uomini liberi, gli arimanni, che aveva il diritto e il dovere di partecipare alle decisioni politiche. ® Aldisotto degli arimanni avevamo gli ‘Aldi’, che erano uomini relativamente autonomi, in quanto veniva comunque esercitato un certo patronato su di loro, da parte degli uomini liberi. * Infine avevamogli schiavi, che si occupavano del lavoro manuale, quindi dell'agricoltura e che non avevano alcun diritto. Alla base della società avevamo poi la farà, cioè insieme di famiglie che costituiva l’unità di riferimento nelle fasi della migrazione. Più fare obbedivano ad un duca. Alboino cadde vittima di una congiura nel 571 lasciando il trono a Clefi anch'egli però ucciso dopo un breve regno. Da quel momento, per i prossimi 10 anni, i duchi evitarono di eleggere un successore. Nel 584 salì al trono il figlio di Clefi Autari il quale, insieme alla moglie Teodolinda, iniziò a porre le premesse per la conversione dei longobardi al cattolicesimo, conclusasi poi con Agilulfo. La conversione della famiglia regia però non portò automaticamente alla conversione di tutta la popolazione. Dal punto di vista amministrativo il regno fu diviso in ducati affidati al duca alle dipendenze dei quali avevamo funzionari di minore dignità ovvero gli ‘’sculdasci’’. | beni del fisco regio venivano invece amministrati dai ‘’Gastaldi’’ eletti dal re e quindi amovibili secondo la sua volontà. Una delle figure più importanti del regno longobardo fu Rotari che si occupo del consolidamento interno del regno. Tra le iniziative più importanti ci fu quella di far mettere per iscritto le antiche leggi e consuetudini del suo popolo. Ne scaturì quel editto di Rotari (643) che rappresenta una delle fonti di maggior interesse per la storia economica e culturale del popolo longobardo. Attraverso questo editto abbiamo numerose informazioni sulla società e l'economia del tempo, un'economia che appare prevalentemente fondata sull'allevamento e sullo sfruttamento delle foreste. L'editto andò anche a modificare alcuni dei capisaldi del diritto consuetudinario germanico come per esempio nel caso della ‘’faida’’, che prevedeva cioè il diritto della parte offesa di esercitare la propria vendetta su qualsiasi membro della famiglia dell’offensore, che fu sostituita dal guidrigildo, ovvero il versamento da parte del colpevole di una somma di denaro come risarcimento del danno inflitto. Agli inizi dell'VIII secolo si erano sviluppati una serie di processi (conversione al cattolicesimo, contaminazione tra le due culture, matrimoni misti) che avevano portato all’interpenetrazione dei due popoli. Contemporaneamente si rafforzò anche l'autorità regia grazie anche ad un’amministrazione centrale, fondata sull'aumento delle curtes regie, molto più efficiente e ad una maggiore collaborazione con la Chiesa cattolica. Liutprando, approfittando dello scisma tra chiesa occ ed orientale, passo da una politica di distensione (pace 680 con i bizantini) ad una politica di espansione infatti: nel 727 invase le terre sosteneva che solo i suoi discendenti potessero accede al califfato, parliamo cioè degli ‘’sciiti’’, ai quali si contrapposero i ‘’sunniti’’ secondo cui, prescindendo dalla diretta discendenza, si doveva affidare al califfo il semplice compito di conciliare la dottrina con le esigenze della comunità. Ali aveva spostato la capitale a kufa che fu poi spostata nuovamente a Damasco dalla dinastia degli Omayyadi. Da qui infatti i califfi si proiettarono in incessanti campagne di conquista in ogni direzione. Costantinopoli fu insediata più volte. Nel 711 poi, da Gibilterra, entro 5 anni, conquistarono la penisola iberica, favoriti anche dall'ottima accoglienza della popolazione. Si mossero anche verso l'Asia centrale dove, con la battaglia di Nihawand (642) posero fine all'impero di Persia. Nonostante poi la sconfitta a Poitiers, nel 732, da parte dei franchi di Carlo Martello, riuscirono a controllare ancora per qualche anno territori della Provenza e della Linguadoca. Omayyadi furono poi sostituiti dalla dinastia abbaside che ponendosi a capo di una rivolta nel 747, arrivarono al potere nel 750. Il califfo, AI--Mansur spostò nel 762 la capitale a Baghdad (IRAQ). La struttura dello stato abbaside esalta la centralità della figura del califfo e del Visir che aveva la massima responsabilità sul piano amministrativo. L'esercito invece non fu più formato solo da arabi in quanto non fu più reclutato su base tribale. Il periodo della dominazione abbaside fu anche caratterizzato da una grande fioritura delle scienze e delle arti. Anche le attività produttive, dall’agricoltura al commercio, registrarono progressi considerevoli. Fondamentale per l'economia furono anche le città. Nell’869, a causa del malcontento registrato tra le popolazioni rurali, scoppiò una rivolta degli schiavi che fu placata solo nell’882. Pochi anni dopo insorsero i Karmati che dopo aver preso la mecca, nel 930, soscrissero, nel 939, un trattato di pace col califfo. Tra le conquiste della dinastia abbaside si deve ovviamente ricordare quella della Sicilia, avvenuta molto lentamente, dal 962 al 965 (Taormina), a causa sia della resistenza bizantina che ai dissidi fra le diverse componenti dell'esercito islamico. All’occupazione si arriverà solo nel IX secolo. Le operazioni militari invece ebbero inizio nell’827 e portarono alla conquista di: Palermo (842), Messina (843) e nell’878 Siracusa. Dopo la conquista la Sicilia fu istituita emirato indipendente sotto la dinastia dei Kalbiti e Palermo diventò la splendida capitale. Notevoli progressi conobbe l'agricoltura, che venne a caratterizzarsi come la più avanzata del tempo, come anche il commercio. Anche sotto il profilo culturale gli oltre due secoli di dominazione islamica segnarono positivamente la storia della Sicilia: fiorirono studi religiosi, storici, filologici. 7. L’impero carolingio. Nel regno franco, con l’indebolimento del potere regio ha cominciato ad acquistare potere la carica di maggiordomo o maestro di palazzo, che in quel momento passò a designare i tre funzionari posti dai sovrani a capo dell’amministrazione dei tre regni. Dopo la morte di Dagoberto, l'egemonia politica passò nelle mani della Neustria, che riuscì ad imporsi sull’Austria, dove però si stava affermando una dinastia di maggiordomi dal grande futuro. Gli esponenti di questa famiglia, indicata dagli storici come arnolfingia—pipinide e poi carolingia riuscirono a rendere ereditaria la carica di maggiordomo e poterono così disporre del vasto patrimonio regio per crearsi, con la distribuzione delle terre, una numerosa e potente clientela armata; a tal fine si avvalsero dell'istituzione del vassaticum contratto in base al quale un uomo libero senza mezzi di sostentamento si commendava, cioè si raccomandava, a un grande proprietario, mettendosi sotto la sua protezione e impegnandosi all’obbedienza. In cambio del servitium prestato, il commendato riceveva un beneficium (beneficio) consistente di solito nella concessione temporanea di un bene fondiario. Nel corso dell'VIII secolo il termine vassus cominciò a designare soprattutto persone di condizione agiata, che prestavano alle principali famiglie dell’aristocrazia franca un servizio armato ricevendo beni immobili a titolo di veneficio. L'utilizzazione dell'istituto del vassaticum consenti ai pipinidi di crearsi una potente clientela militare fra gli aristocratici, ricompensata dapprima con i cospicui beni familiari, poi con le terre del fisco regio e con quelle delle immense proprietà ecclesiastiche. A consolidare i destini della dinastia fu il figlio naturale di Pipino, Carlo Martello, il quale riuscì a respingere una pericolosa offensiva degli arabi sconfiggendoli a Poitiers (732) battaglia che gli conferì il ruolo di difensore della cristianità. Negli stessi anni il potente maggiordomo respinse le incursioni di sassoni e frisoni e sottomise i ducati di Alamannia e Baviera ed incoraggiò l’evangelizzazione di queste nuove terre. Ormai il maggiordomo si comportava di fatto come un re, tanto che, quando nel 737 morì il sovrano Teodorico IV, Carlo Martello, lasciò il trono vacante. La formale liquidazione della dinastia merovingia fu compiuta poco dopo da suo figlio Pipino il Breve, il quale assicuratosi l'appoggio del Papato depose l’ultimo re, Childerico III. Narrano gli Annali della corte franca che nel 750 due ambasciatori furono mandati al papa Zaccaria per domandargli se dovesse essere re colui che si fregiava del titolo ma non deteneva il potere, oppure colui che esercitava effettivamente il potere. Zaccaria si sarebbe pronunciato per la seconda risposta, fornendo così appoggio all'ascesa al trono del vescovo Bonifacio. Il papa consacrò poi anche i figli di Pipino stabilendo così un’ereditarietà di fatto. Infine per rafforzare la sua posizione, la nuova dinastia avviò una campagna denigratoria nei confronti dei merovingi. e Da ino il breve a Carlo Magno. Con l'ascesa al trono della nuova dinastia riprese l’espansionismo militare dei franchi. Pipino condusse due spedizioni in Italia riconquistando l’Esarcato, ma anziché restituirlo ai bizantini, lo consegnò al papa, nonostante le proteste dell'imperatore d'Oriente. Roma si legava cosi più strettamente all'Occidente mentre prendeva vita una progressiva bipartizione del mondo cristiano: in Oriente il cristianesimo sarebbe rimasto sotto l'autorità degli imperatori fino alla fine del medioevo, in Occidente sostenuto dai carolingi sarebbe passato sotto la guida del papato romano. Negli stessi anni Pipino conquistava la Settimania. Alla sua morte (768) il regno fu diviso tra i figli Carlo e Carlomanno, che ebbero ciascuno il titolo di rex Francorum, ma la morte di Carlomanno nel 771 consegnò il regno, nella sua interezza, al fratello, che riprese la politica espansionistica del padre. Carlo iniziò contro i sassoni una guerra lunga e sanguinosa (772—804) fatta di massacri e deportazioni e conclusa con la conversione forzata al cristianesimo del capo sassone. A rendere ancor più stabile la situazione si aggiunse la sottomissione e la conversione degli avari. Nel 778 il re dei franchi mosse verso la penisola iberica, ma, giunto a Pamplona, fu richiamato indietro dalla notizia di una rivolta dei sassoni sulla via del ritorno la sua retroguardia fu attaccata e massacrata dai baschi. La battaglia entrò subito nella leggenda attraverso i cantari popolari, che ne diffusero l'eco in tutta Europa con la Chanson de Roland. Solo in seguito (813) Carlo riuscì a creare un distretto di confine, la Marca Hispanica, formata dalla Navarra e da parte ella Catalogna. La conquista del regno longobardo rappresenta un episodio a parte nel quadro dell'espansione dei franchi. | presupposti vanno cercate nell’alleanza con il papato avviata da Pipino e nella posizione dei vescovi di Roma, sempre più lontani dall'impero bizantino. Il tentativo di Desiderio di fermare la minaccia franca alleandosi con Pipino e facendo sposare a Carlo una sua figlia fallì quando l'ascesa al papato di un esponente del partito longobardo, Adriano | (771—795), indusse alla reazione lo stesso Desiderio, che, dopo avere occupato alcune città delle Marche e dell'Umbria, nel 773 spinse il suo attacco contro il ducato di Roma. Adriano invocò allora l’aiuto di Carlo, che, ripudiata la moglie, mosse contro i longobardi, li sconfisse e mise l'assedio a Pavia; la capitale cadde nel 774 segnando così la fine del regno. Sconfitto il suo popolo, Desiderio fu chiuso in un monastero, mentre il figlio Adelchi riaparò presso i nemici di sempre, i bizantini. ® L’incoronazione di Carlo Magno. La conquista del regno longobardo fu un momento decisivo di quella alleanza tra franchi e papato cosa che avrebbe garantito maggiore coesione ai territori conquistati tenuti insieme solo dalla comune fede religiosa e dal riconoscimento di un unico re. Basilare per il consolidamento della posizione di Carlo fu l'incoronazione a imperatore avvenuta a Roma nella notte di Natale dell'800. L'occasione fu data dalla fuga di papa Leone III che contestato da esponenti dell’aristocrazia romana, che lo accusavano di spergiuro, e imprigionato nel monastero romano di Sant'Erasmo (799) fu liberato per l'intervento di due missi franchi e accompagnato a Paderborn, dove si trovava Carlo. Il re ordinò allora che Leone venisse nuovamente scortato fino a Roma, dove lo raggiunse il 24 dicembre 800 al fine di presiedere un tribunale che riabilitasse il pontefice. Due giorni dopo l'avvenuta riabilitazione, durante la celebrazione del natale, il papa poneva sul suo capo una corona mentre Carlo veniva acclamato ‘grande pacifico imperatore dei romani”. Nella visione di Carlo Magno l'impero era romano giacché prosecutore dell'impero romano d'Occidente e cristiano in quanto difensore della Chiesa e tutore della pace. Esso era, dunque, fortemente nutrito di aspirazioni universalistiche. Se tuttavia, l'incoronazione finiva col premiare anche la Chiesa di Roma, indeboliva decisamente l'impero d'Oriente, che non a caso accolse con ostilità l'evento. Nell'812 si fini per siglare un accordo con il quale l'imperatore Michele | riconosceva il ruolo di Carlo. ® L'organizzazione amministrativa dell'impero carolingio. Carlo Magno cercò di dare ai vasti domini del regno una struttura politica e organizzativa centralizzata. Il territorio fu inquadrato in una rete di distretti territoriali, i comitati, che vennero affidati ai comites (conti), funzionari regi, posti a capo anche delle terre di nuova conquista. | conti appartenevano a potenti famiglie aristocratiche e dipendevano direttamente dal sovrano; come compenso per il servizio prestato incameravano i proventi dell’azione giudiziaria, le esazioni dei pedaggi e ricevevano in beneficio terre ubicate all'interno del comitato. Alle frontiere vennero istituiti ducati e marche, circoscrizioni pubbliche connotate da una più forte organizzazione militare. Per sorvegliare l'operato dei funzionari Carlo Magno fece ricorso all'istituto dei missi dominici, esponenti dell’aristocrazia laica ed ecclesiastica che periodicamente ispezionavano una circoscrizione e riferivano al sovrano; di solito erano nominati a coppie, formate da un vescovo e da un laico. L'episcopato, dunque, svolgeva nell’organizzazione dello Stato un ruolo importante e contribuiva al buon funzionamento dell’amministrazione. Al centro il governo era costituito dal palatium, termine che indicava sia, materialmente, la reggia sia l'insieme del sovrano con i funzionari di corte. Tra questi aveva un ruolo di rilievo i conti palatini (comites palatii), con mansioni giudiziarie, e l’arcicapellano (custus palatii) capo dei chierici di palazzo. Carlo scelse come residenza principale Aquisgrana che, se non diventò capitale fissa, fu sede di soggiorni sempre più lunghi e di interventi edilizi di rilievo. Il potere centrale intervenne nella vita dell'impero anche attraverso un'intensa attività legislativa, che si concretizzò nei ‘’capitolari’’ [leggi cosi chiamate perché costituite in brevi articoli Tra il IV ed il VI secolo si verificò un processo di immiserimento delle condizioni di vita della popolazione che porto ad un declino demografico dovuto però a tanti altri fattori come: i matrimoni solitamente precoci, la diffusione dell’infanticidio, una mortalità infantile elevatissima. A tutto ciò vanno aggiunti anche i danni causati da guerre ed epidemie. Col passare del tempo dunque città una volta fiorenti finirono per occupare un area sempre minore e poi crollare. Le cause furono disparate: le terre incolte, a danno dei coltivatori, si moltiplicarono. Il luogo dove si traevano le principali forme di sussistenza è il bosco che costituì il luogo ottimale per l'allevamento, la caccia, il pascolo e grazie alla presenza di corsi d'acqua, stagni, col tempo però sempre meno assoggettabili al volere dell’uomo, anche per una fruttuosa pesca. A concludere il quadro alimentare del tempo c’era poi la raccolta di frutti e bacche. Il bosco soddisfaceva poi anche il fabbisogno di legname legato a diverse esigenze che andavano infatti dalla costruzione di casa al riscaldamento. Per quanto riguarda l'agricoltura, per quelle poche terre coltivate, si preferiva la semina di una molteplicità di cereale in cui esaltava il ruolo della segale sia per la maggior resa unitaria sia per la volontà di ridurre gli effetti dei fenomeni atmosferici attraverso la scelta di cereale dal ciclo vegetativo di breve durata. e Curtis. Contemporaneamente si diffuse un particolare sistema produttivo che caratterizzò tutta l'Europa occidentale ovvero il ‘’sistema curtense” basato: 1. Sull’esistenza di un centro amministrativo costituito dalla residenza padronale, dai laboratori artigianali e dalle dimore dei servi prebendari. 2. E sulla bipartizione dei terreni tra quelli a gestione padronale diretta ( ‘’diminico’’ ) e quelli a gestione indirette ( ‘’massaricio’’ ). Le terre del dominico gravitavano attorno alla residenza del proprietario e venivano lavorate dai servi praebendari, nome che sottintende il vitto e l'alloggio a loro garantiti dal padrone. L'elemento essenziale per il funzionamento di tale sistema erano le ‘’corvees’’ ovvero le prestazioni di lavoro gratuite cui erano tenuti, in numero che poteva anche superare quello di 3 giornate per settimana, i concessionari dei mansi, di condizione sia libera che servile (servi casati). | contadini dovevano al padrone anche il versamento in natura, cioè prodotti di vario genere, o in denaro. Tutto ciò che sappiamo sul funzionamento della curtis c'è dato sapere dai ‘’Politti beni, uomini e redditi compilati tra la fine dell'VIII secolo e gli inizi dell'XI. La Curtis si sviluppo principalmente tra la Loira ed il Reno arrivando in Italia nel 774 contemporaneamente ovvero gli inventari di alla diffusione dei contratti di livello contratto col quale i contadini liberi cedevano la loro piccola proprietà fondiaria a grandi proprietari terrieri, in cambio della loro difesa, questi poi glieli riconcedevano per la messa a cultura dietro l'impegno a versare canoni. Il contratto aveva usualmente durata ventinovennale e poteva essere rinnovato. In alcune zone si verificò un'eccedenza delle produzioni agricole che innesco una trama di scambi commerciali, che a volte travalicano anche i confini dei singoli patrimoni. Dunque si tratta di una Curtis chiusa in sé stessa ed estranea ad ogni flusso commerciale che non fosse legato alle dinamiche interne. È importante sottolineare la differenza tra gli schiavi di età antica, che non avevano alcun diritto, ed i servi che avevano invece qui la possibilità di godere di una casa ed una famiglia. Lo studioso March Bloch infatti lo nomina come ‘’servaggio’, sulla base della percezione di una sostanziale continuità dello stato giuridico servile. Tutto ciò favorì, insieme alla coniazione di monete argentee, alla diffusione di mercati sia per la distribuzione locali delle merci sia per commerci di raggio piu ampio. Per quanto riguarda il commercio con l'oriente questo subì un arresto ed è qui che si innesta la famosa tesi dello storico Pirenne che porta il suo nome. Secondo la cosiddetta Tesi Pirenne non furono le invasioni germaniche ad alterare i tratti fondamentali della civiltà urbana dell'impero di Roma, ma fu invece l'espansione degli arabi i quali misero fine all'unità del Mare Nostrum e determinarono con ciò la crisi dei commerci ed il declino delle città. Furono tuttavia mosse diverse obiezioni verso tale tesi, due delle quali di particolare rilievo: 1. Prima di tutto l’urbanesimo e l'economia erano in crisi già da tempo quando si profilò all'orizzonte la minaccia islamica. 2. contatti e i commerci fra Occidente e Oriente non si spensero con la diffusione degli ottomani, ma continuarono con l'importazione europea di merci pregiate e vi è stato anche chi addirittura ha visto nell’arrivo degli arabi un fattore di rivitalizzazione dell'economia occidentale. Sembra dunque difficile credere che gli arabi abbiano determinato nell’are centroccidentale del Mediterraneo un vuoto politico che be si prestava all'affermazione di nuovi protagonisti. La riforma monetaria voluta da Carlo Magno da un lato prese atto delle modeste necessità dei commerci dall'altro fu la conseguenza della sempre minore disponibilità di oro. Conobbero una buona fioritura i porti di Napoli, Gaeta, Salerno, Amalfi e bari. TESI PIRENNE: Lo storico Belga Hemi Pirenne minifesto la ocnvizione che non alle invasioni germaniche dovesse addebitarsi l'alterazione dei tratti fondamentali della civiltà rubana realizzata attorno al Mediterraneo dell'impero di Roma, bensi all’espenasione degli arabi, i quali si avrebbero emsso fine all’unita del Mare nostrum e determinato con ciò la crisi dei commerci, il declino delle città, la ruralizzazione completa dei territori occidentali e nordici dell'Europa. Alla tesi del Pirenne i medievisti hanno mosso diverse obiezioni, due delle quali di particolare rilievo: la prim, che l’urbanesimo e l'economia a esso legata erano in crisi già da tempo quando si profilà all'orizzonte la minaccia islamica; la seconda, che i contatti e ci ommerci, fra occidente e oriente, non si spensero con l'espansione araba, continunando sopratto l’improtazione europea di merci pregiate. E vi è stato anche ci, come Maurice Lombard, ha voluto vede nella presenza araba un fatto di rivitalizzazione delle'conomia occidentale. Sembra, in ogni caso, difficilemtne contestabile il fatto che gli arabani abbiano determinato nell’area centrooccidentale del Mediterraneo un vuoto politico che ben si prestava alla realizzazione di nuovo equilibri e all'affermazione di nuovi protagonismi. 9. Le seconde invasioni e l’Europa postcarolingia. Tra il IX ed il X secolo si affacciò nella scena europea una nuova minaccia, cioè, quella degli ungari provenienti dalle steppe ai piedi degli urali. Questi si mossero molto lentamente verso l'Europa Centrale fino a raggiungere la Pannonia da dove partirono una serie di incursioni a scopo di bottino. Ciò che sconvolse l'esercito occidentale fu il loro innovativo metodo di combattimento basato su un armamento leggero e su rapidi spostamenti a cavallo grazie al quale insediarono più volte la Germania. Furono addirittura chiamati in Italia da Arnolfo di Carinzia per combattere contro Berengario |. Quando questa stessa modalità si diffuse in occidente venne usata, nel 933, da Enrico | l'Uccellatore per sconfiggerli, anche se la vittoria definitiva si avrà solo per mano del figlio Ottone |. Contemporaneamente l’Italia Meridionale era minacciata dai saraceni ovvero le popolazioni islamizzate proveniente dal nord africa. Queste avevano prima di tutto invaso Roma, nell'847, saccheggiandola e costringendo Lotario | al contrattacco ma trattandosi di tribù separate non fu possibile organizzare un attacco unico e risolutivo. Quando poi, attraverso spostamenti lungo le coste, riuscirono a conquistare, nel 902, la Sicilia si formo una coalizione, nel 973, formata dal duca di Torino e dal conte di Provenza, che riuscì a porre fine alle loro incursioni. Ci si concentrò allora sui Normanni, termine col quale, nella tradizione latina si indicano quelle popolazioni provenienti dalla Scandinavia, che nella tradizione inglese invece vengono chiamati vichinghi. Quelle che inizialmente, cioè a partire dal IX secolo, erano migrazioni, col tempo si trasformarono in vere e proprie conquiste territoriali che li portarono: * Asudest: nella steppa russa. ® Adovest:inOlanda ed Irlanda. ® Ealla fine del IX secolo sulle coste della Groenlandia. Di particolare rilevanza furono le vincide dei Normanni in Inghilterra e Francia. In Inghilterra, il duca normanno Guglielmo, approfittò della morte del re Edoardo il confessore, per sbarcare nell'isola, nel 1066, ed essere incoronato, dopo aver sconfitto il suocero, sovrano. Contemporaneamente si occupo anche una vasta area inglese che prese il nome di Danelaw che, inizialmente fu travolta dai successori di Alfredo, ma fu poi, nel secolo successivo, riconquistata dal re danese Sven | e lasciata in eredità al figlio Canuto Il il grande. In Francia invece, nel Nord, formarono la Normandia da cui partirono una serie di scorrerie interne che misero in difficoltà il re francese almeno fino a quando Carlo il Semplice non riconobbe la legittimità dei loro insediamenti conferendo allo stesso Rollone il titolo ducale. In Francia la deposizione di Carlo il Grosso significò anche l'incoronazione del conte di Parigi, Eude. Dopodiché il regno fu conteso a lungo fra i discendenti di Eude e gli ultimi carolingi fino a quando, nel 987, i primi non riuscirono a prevalere grazie alla figura di Ugo Capeto capostipite della dinastia, da lui stesso denominata, capetingia. Purtroppo però la corona era molto debole tant'è vero che esercitava il suo potere solo sui territori che poteva controllare direttamente. Nella zona occidentale invece si formarono potenti principati dove i signori potevano trasmettere in eredità le cariche comitali e ducali. e Ilregno Italico. Il regno di Italia invece conobbe circa mezzo secolo di alternanze dinastiche dovuto non solo alla debolezza del potere regio ma anche al rafforzamento delle principali famiglie dell’aristocrazia italiana tra cui: i Duchi di Spoleto; | marchesi di Toscana, Ivrea e Friuli. * Ilregno fu dapprima attribuito, da un'assemblea di nobili a Berengario, MARCHESE DEL FRIULI (888). * Berengario fu sconfitto da Guido di SPOLETO, incoronato re nell’889 e imperatore nell’'891. ® Alla morte di Guido (894) il titolo imperiale fu conteso fra Berengario, che non si arrese, e Lamberto, figlio di Guido esercitavano una carica pubblica in nome del sovrano ed in cambio ricevevano, in beneficio, una terra del fisco regio. Col tempo però gli stessi funzionari utilizzeranno tale contratto per crearsi una propria clientela armate ed aumentare la propria autonomia favoriti anche dal capitolare emanato da Carlo il Calvo nell'877. Dovendo egli partire per una spedizione militare contro i saraceni decise di applicare alcune riforme per il governo del regno durante la sua assenza occupando in particolar modo dei benefici: questi, in caso rimanessero vacanti per la morte del proprietario, non dovevano essere riassegnati ad alcuno finché il figlio del proprietario non fosse tornato dalla spedizione. Carlo riconosceva cosi l’ereditarietà del beneficio fornendo all’aristocrazia un'ulteriore strumento per consolidare un processo già in atto. Data anche la concessione da parte di pipini e carolingi di privilegi di immunità a favore dei proprietari ecclesiastici si formarono delle vere e proprie isole di giurisdizione autonoma e dunque duchi e marchesi non poterono più esercitare il loro potere in modo uniforme. ® Incastellamento. Sempre nel IX secolo, a causa delle incursioni di Ungari e Saraceni, si diffuse un clima di forte insicurezza dovuta anche all’incapacità del potere regio di difendere le popolazioni. L'aristocrazia fondiaria, forte della propria autonomia, si fece allora protettrice delle popolazioni formando diverse fortificazioni che presero il nome di castelli che col tempo divennero sempre piu numerosi portando così al processo dell’incastellamento divenuto un fenomeno rilevantissimo soprattutto in Francia come si evince dal capitolare di Carlo il Calvo dell’864 dove chiedeva l'abbattimento di tutti i castelli e le fortificazioni costruite senza il suo permesso. | castelli, oltre a proteggere coloro che vi si spostavano all'interno, fenomeno che portò all'abbandono delle campagne, venivano utilizzati dai signori anche per altri scopi: prima di tutto per accrescere il loro potere, facendosi infatti forti della protezione che offrivano sia attribuivano compiti di natura giudiziaria, inoltra utilizzavano i castelli come base da cui far partire attacchi ai villaggi vicini. In fine il castello veniva visto anche come una forma di aggregazione della forza lavoro umana da utilizzare per conquistare nuove terre, ricordando anche gli antagonismi tra poteri locali, e favorire la crescita economica. Convenzionalmente si distinguono tre tipi di signoria: * Signoria domestica = che indica l'insieme dei poteri che il signore esercitava sui servi che lavoravano nella sua casa e alle sue terre. * Signoria fon ia = con la quale si intende l'insieme dei poteri che un grande proprietario esercitava oltre che sui servi anche sui coloni liberi che lavoravano alle sue terre. Da questi il signore pretendeva tributi, per le terre date in concessione e corvees. * Infine abbiamo la signoria definita ‘’territoriale’’ in quanto il potere del signore si estendeva a una circoscrizione territorialmente definita che solitamente faceva riferimento alle terre possedute che ruotavano intorno al castello all’interno del quale il signore esercitava il suo potere, solitamente di banno, cioè di comando e coercizione, su ogni singolo abitante. La formazione delle signorie territoriali fu il risultato di due processi: 1. La patrimonializzazione dei poteri pubblici, sviluppatasi con la tendenza all’ereditarietà delle cariche. 2. E l’usurpazione di poteri e diritti pubblici da parte dei grandi signori fondiari [ PROTEZIONE]. Anche nelle città nascevano nuove forme di autonomia. In particolar modo ricordiamo le città di origine romana scelte dalla chiesa come sede di diocesi e base religiosa. Era intorno alla sede episcopale infatti che la comunità di fedeli si riuniva. Col tempo i carolingi conferirono un importanza sempre maggiore alle città e ai vescovi che, come missi dominici, non solo avevano il compito di controllare l'operato di conti e marchesi, ma ottennero anche importanti funzioni nell’ambito dell’organizzazione civile: di fronte ai problemi di sicurezza i vescovi presero l'iniziativa di costruire o restaurare le mura urbane. Quando con Ottone | l'episcopato ottenne anche i poteri comitali sulle città i vescovi avevano gli stessi poteri dei signori territoli con la differenza che i vescovi lavoravano al servizio della città e collaboravano anche con gli esponenti delle famiglie più importanti. 11. Crescita demografica e sviluppo agrario. All’inizio dell'XI secolo e la fine del XIII la società europea fu caratterizzata da profondi mutamenti. Tutti iniziò a partire dalla crescita demografica che interessò sia le città che le campagne e che fu dovuto sia al saldo attivo nascite/morti sia per il forte flusso immigratorio, i più importanti tra questi flussi furono quelli che videro approdare alle città i contadini delle campagne circostanti, parliamo anche di quelli che già nel luogo d'origine godevano di una situazione privilegiata. Da ricordare poi anche la tregua che la peste bubbonica accordo alle popolazioni europee che contribuì alla loro crescita. Le regioni che conobbero il maggior sviluppo furono quelle le cui città avevano conservato la loro vitalità infatti Italia, Francia, Spranga e Paesi bassi costituirono le avanguardie della rinascita cittadina. Lo sviluppo delle singole città dipese da diversi fattori come la posizione geografica o lo sviluppo dei castelli. In ogni caso la presenza della città non era uniformemente distribuita nella penisola: il mezzogiorno insulare e alcune regioni del nord presentavano una densità urbana molto più modesta rispetto all'Italia centrale dove si faceva particolarmente fitta. Nel periodo della grande espansione urbana, i comuni, sollecitarono l’inurbamento anche attraverso agevolazione ed esenzioni fiscali in modo tale da consolidare la posizione della città rispetto al territorio circostante @ L’espansione delle superfici coltivate: l'Europa. L'aumento demografico portò alla crescita della domanda di prodotti agricoli ma i modesti livelli delle tecniche usate in agricoltura non permettevano di rispondere adeguatamente all’esigenza di incrementare i raccolti. Nonostante ciò si passo da un'economia diversificata ad un ordinamento della produzione sempre più legato alla lavorazione della terra quindi all'ampliamento delle superfici coltivate attraverso disboscamenti, bonifiche e dissodamenti. Ad essere ampliati furono soprattutto gli spazi della cerealicoltura da cui dipendeva la sopravvivenza delle popolazioni in quanto avevano la maggior incidenza nel regime alimentare del tempo. Tutto ciò fu possibile soprattutto grazie alla collaborazione di coloro che possedevano diritti di proprietà o giurisdizionali sui territori da colonizzare. È grazie a tali fattori infatti che fu possibile l'assalto in Germania alle vaste distese boschive poste a est dell'Elba dove, in seguito alla migrazione di contadini tedeschi e olandesi, si formarono numerosi villaggi. Nelle fiandre invece, come anche poi in Olanda e Zelanda, si prosciugarono, attraverso dighe e canali, le terre sommerse a causa delle inondazioni marine e furono qui organizzate l'economia dei polder. In Francia l'ondata dei dissodamenti e delle bonifiche registrò il maggiore impulso nel periodo compreso fra la metà dell'XI secolo e la fine del successivo. Per quanto riguarda l'Inghilterra, secondo il Doomsday Book, l'occupazione dei terreni argillosi di buona qualità era ormai conclusa, mentre le bonifiche e i dissodamenti si verificarono in terre marginali. ® L’espansione delle superfici coltivate: l’Italia. In Italia, dopo il mille, all'iniziativa individuale subentrò quella collettiva che per esempio porto alla bonifica, affidata dal comune di Verona ad un consorzio di cittadini, di una palude di oltre mille ettari messa poi a cultura verso la fine del XII secolo. Nei primi decenni del XIII invece si passò da una politica di controllo dell’acqua a una sistemazione complessiva dei grandi collettori nacquero dunque il Naviglio grande milanese, il Naviglio grande bresciano e canali destinati a costituire un riferimento essenziale tanto per la rete irrigatoria che per la navigazione. Il fenomeno della conquista di nuove superfici per la pratica agricola non ebbe nell'Italia centrale e meridionale dimensioni comparabili con quelle che si riscontrano nelle contrade del Nord per esempio Sicilia e Sardegna non conobbero affatto lo stimolo esercitato dalla crescita demica ai fini della conquista di terre nuove tant'è vero che la carenza di uomini, nel quadro produttivo del mondo siculo, spinse molti uomini ad abbandonare numerosi insediamenti rurali. ® Nuovi insediamenti, mobilità rurale, rinnovamento dei patti di lavoro. In Italia, l'espansione dei coltivi, spesso era legata anche alla formazione di nuovi insediamenti come borghi e ville. Solitamente si trattava di costruzioni ex novo ma non mancarono ovviamente le ristrutturazioni di prevalente degli scambi che si svolgevano nel bacino del Mediterraneo si sviluppava lungo l’asse oriente— occidente. | mercanti italiani importavano numerose merci dall’oriente mediterranei, dai pesi dell'Oceano indiano e dall’Estremo oriente come per esempio: spezie, che indicavano numerosi prodotti (droghe, prodotti per la tintura, zucchero), tessuti di seta (proveniente soprattutto dalla Cina), materie prime, frumento, schiavi. Poco si sa invece dei flussi d’esportazione dall'Europa verso Levante. Sicuramente le materie maggiormente scambiate furono: panni, tele, metalli (i fabbricanti di armi, orafi e argentieri fornivano prodotti raffinati), vino (prodotto soprattutto in Sicilia). Nel XIII secolo furono i mercanti tedeschi ad imporsi come protagonisti nella rete dei traffici del Mare Del Nord e nel Baltico. | successi degli operatori di Colonia in Inghilterra, la fondazione di Lubecca nel 1143 posero le premesse di tale espansione, che trovò poi sostegno e veicolo efficace nell’associazione commerciale dell’Ansa. ® Le fiere della Champagne. Importanti per favorire lo scambio delle merci furono le fiere. Tra queste fondamentali, soprattutto nel settore tessile del commercio europeo, furono quelle delle Fiandre e quelle delle Champagne. Queste attraverso Marsiglia e la valle del Rodano univano Italia ai Paesi Bassi. Si aprivano con la fiera invernale di Lagny—sur— Marne e si chiudevano nel giorno dei morti con la ‘fiera fredda” di Troyes. Durante il XIII secolo gli operatori di commercio furono organizzati sulla base delle diverse provenienze; i mercanti italiani elessero un console per ciascuna delle città rappresentate; si unirono poi in una sola societas et universitas con un capitano che aveva il compito di rappresentarli anche dinanzi al re di Francia. Contemporaneamente si diffondevano i contratti di cambio che inizialmente erano semplici promesse scritte di pagamenti da effettuarsi, direttamente dal firmatario o tramite un suo agente, in luoghi diversi da quello di assunzione dell'impegno. Con il cambiamento della mentalità e dei modi di vita del ceto mercantile, ormai propenso ad una ‘sedentarizzazione’’ le fiere persero lentamente il loro ruolo finanziario. Cominciò cosi un periodo di decadenza dovuto non solo alle guerre combattute tra i conti di Fiandre e re di Francia ma anche dallo sviluppo dell'industria tessile toscana e lombarda, sempre più presente sul mercato inglese. Attivata nel 1277 e regolare ormai nel terzo decennio del secolo successivo, la rotta che, attraverso Gibilterra, conduceva dal Mediterraneo al Mare del Nord evidenziava l'affermazione delle vie marittime e contribuiva pur essa al declino dei percorsi commerciali transalpini. ® Illavoro delle donne. In questo quadro fondamentale, più o meno in ogni settore lavorativo, fu il ruolo delle donne. Anche per esempio fra le mura domestiche il lavoro delle donne non si limitava a quello delegato alla necessità della famiglia. La casa stessa diveniva infatti il luogo di svolgimento di pratiche lavorative, nella maggior parte dei casi legate al settore della manifattura tessile. Numerose erano poi le occupazioni esterne di cui le donne potevano approfittare per incrementare il reddito familiare: la vendita di cibo al mercato, la balia, levatrice, servitrice domestica. Largo impiego della manodopera femminile si aveva anche nel lavoro agricolo per esempio era alle donne che si affidava la custodia dei greggi e la cura degli animali di bassa corte. Importanti furono poi le donne per quanto riguarda la mezzadria poderale. Il podere può essere visto infatti come un'impresa familiare il cui buon esito dipende dalla buona conduzione dei vari lavori dunque il compito della ‘’massaia’’, sposa del capofamiglia, era importante tanto quanto quello del marito. 13. Le monarchie feudali e la ricostruzione politica dell'Occidente. Nell’Europa dei secoli XI e XII si affermò l'esigenza di rapporti e ordinamenti politici più stabili. Tale esigenza diede luogo a processi di ricomposizione politica e territoriale che gradualmente sostituirono un sistema di poteri frammentato, basato su una molteplicità di signorie e principati locali. A consentirne la realizzazione furono quegli stessi rapporti vassallatico—beneficiari la cui diffusione era stata alla base della disgregazione del potere centrale e che re e anche comuni urbani utilizzarono come strumenti di governo e di coordinazione politica per affermare e consolidare la propria superiorità rispetto ai signori locali. Per comprendere come ciò sia stato possibile, occorre considerare i mutamenti subiti nel tempo dal legame vassallatico—beneficiario, nel cui ambito, si stava affermando un nuovo termine, quello di feudum comparso alla fine del IX secolo a indicare prima la ricompensa per servizi specializzati, poi i beni concessi in beneficio utilizzato per indicare il rapporto giuridico stesso. Alla base dei mutamenti troviamo un insieme di fattori, tra i quali fu decisivo il riconoscimento dell’ereditarietà dei benefici, sancito nel 1037 dall'imperatore Corrado Il con l’Edictum de beneficiis conosciuto anche come Constitutio de feudis; con l'ereditarietà i feudi si avvicinarono nella sostanza all’allodio, ovvero bene posseduto in piena proprietà, tanto che l'investitura si era ormai trasformata in una pura formalità. Allo stesso tempo, si erano progressivamente ridotti gli obblighi ai quali era tenuto il vassallo, in particolare era venuto meno quello del servizio armato: ormai l'elemento reale del rapporto (il beneficio), aveva preso il sopravvento sull’elemento personale (la fedeltà) tanto che si diffuse la prassi di prestare omaggio a più signori cosa che provocò numerosi conflitti che si cercò di eliminare istituendo l'omaggio “’ligio”’, un omaggio più solenne a vincolante, superiore a tutti gli altri. Molti proprietari di fortezze e di giurisdizioni di carattere allodiale preferirono entrare nella feudalità donando i loro beni al signore più potente per poi riaverli in feudo dopo avergli reso omaggio e giurato fedeltà (feudo oblato): cosi il vassallo otteneva legittimazione e aiuto ed il signore aumentava il suo potere. In tal contesto di rilevante importanza fu il ruolo svolto dai notai e giurisperiti, impegnati in un'approfondita riflessione sui contenuti del potere pubblico e della sovranità regia. Sotto l'influenza delle nuove tendenze ideologiche affermatesi in seno alla Chiesa e grazie agli strumenti teorici messi a punto con l’interpretazione del Corpus iuris civilis di Giustiniano, i giuristi analizzarono le relazioni vassallatiche e i concetti di autorità e di potere pubblico, giungendo a individuare nel legame feudale lo strumento per mettere ordine nell’intrico dei poteri signorili. Ne scaturì la creazione di una rete gerarchica di connessioni fra i diversi nuclei di potere, basata sui rapporti feudo—vassallatici, alla testa della quale si trovava il sovrano; è in quest'epoca che viene elaborata l’immagine della cosiddetta ‘piramide feudale”. In alcune zone d'Europa i processi di ricomposizione politica alla costruzione di nuovi ordinamenti monarchici ciò fu reso possibile non solo dall’utilizzazione dei legami feudo—vassallatici, ma anche dalla elaborazione di nuovi contenuti ideologici e giuridici della regalità. Nell'XI secolo le basi del potere monarchico erano ormai essenzialmente di natura patrimoniale e non differivano da quella degli altri signori territoriali. | re fondavano la loro sovranità sul possesso di un grande patrimonio nell’ambito del quale esercitavano diritti signorili, pertanto una nuova ideologia della regalità si rendeva necessaria per differenziare il loro ruolo da quello degli altri principi territoriali. AI centro della nuova concezione della regalità fu posta la natura sacra del potere monarchico. La preminenza dei re venne svincolata dai legami personali con i sudditi e ricondotta al rapporto diretto con la divinità, che trovava espressione nel solenne rituale dell’incoronazione; durante la stessa, infatti, il re, ‘’unto del signore”’, veniva investito di un potere di natura sacra. ® L’Inghilterra dalla conquista normanna alla Magna Charta. L'efficacia dei rapporti feudali come strumento di governo fu sperimentata in primo luogo dai normanni. L'Inghilterra conquista da Guglielmo nel 1066 presentava un'organizzazione statuale basata su una struttura di tradizione germanica, le centene (hundreds) in circoscrizioni di livello superiore, le shire o contee, nelle quali operavano gli agenti del re (sheriffs) incaricati di riscuotere le imposte, gli sceriffi furono incaricati della custodia dei castelli e divennero la base della riorganizzazione amministrativa, la loro attività fu sottoposta al controllo del tribunale dello scacchiere. | grandi proprietari fondiari (earls) avevano compiti di coordinamento militare su vasti territori che comprendevano più shires. Guglielmo e i suoi successori, in particolare Enrico | conservarono centene e shires, ma eliminarono le circoscrizioni controllate dagli earl sostituendole con una nuova struttura territoriale costituita da vaste unità fondiarie (manors) facenti capo a castelli. Nell’assegnare i manors ai diversi vassalli il re fece in modo che fossero distanti l'uno dell'altro, preoccupandosi, di mantenere il diretto controllo della maggior parte di quelli esistenti in ogni regione. Allo scopo di prevenire usurpazioni da parte dei baroni, fu avviato un censimento dei manors, dal quale scaturì un inventario, il Domesday Book (1086) contenente la registrazione di tutte le proprietà fondiarie del regno, con l'indicazione dell'estensione, del numero degli abitanti, dei vassalli regi che la detenevano e dei diritti e doveri connessi a ciascun feudo. Il re diede poi il proprio appoggio alle comunità urbane fulcro dell'espansione mercantile e artigianale. In campo giudiziario, si afferma con Enrico | la tendenza a sottrarre ai tribunali locali le cause più rilevanti per riservarle alla giustizia regia. Guglielmo lasciò ai suoi successori due solidi organismi politi, che furono, divisi tra i suoi figli, poi riunificati con Enrico I. Alla morte di questo seguì una grave crisi durante la quale la corona d’Inghilterra fu contesa fra sua figlia Matilde e Stefano di Blois. Un nuovo periodo di stabilità si ebbe con Enrico Il Plantageneto figlio di Matilde e di Goffredo che governò su entrambe le dominazioni normanne. In territorio francese il nuovo sovrano acquisì anche quelli di sua moglie Eleonora d'Aquitania. In Inghilterra recuperò beni demaniali e diritti regi usurpati dalla grande nobiltà durante gli anni della guerra tra Matilde e Stefano e si impegnò nel consolidamento della struttura amministrativa messa a punto dai suoi predecessori: rese stabile l'istituzione dei giudici itineranti incaricati di ispezioni periodiche sull’amministrazione degli sceriffi; ripristinò il fyrd, la coscrizione di massi di tradizione anglosassone (1881) ampliò la protesta regia in materia di giustizia con i provvedimenti assunti nelle Assise di Clarendon che attribuirono ai tribunali regi la competenza su numerosi reati in precedenza giudicati dai tribunali feudali. I provvedimenti delle Assise scatenarono la reazione del clero inglese che vide messa in discussione la sua tradizionale immunità giurisdizionale. L'arcivescovo di Canterbury Thomas Becket si fece portavoce dell'opposizione alla corona: condannato come traditore, si rifugiò in Francia, ma, rientrato in Inghilterra nel 1170, fu assassinato nella cattedrale di Canterbury in circostanze non chiare. La reazione scatenata dall’omicidio costrinse il re a sottomettersi a un’umiliante penitenza e a tentare di placare l'indignazione del papa abolendo le disposizioni più sfavorevoli alla Chiesa; nella sostanza però Enrico riuscì a mantenere intatte le prerogative della giustizia regia. La macchina statale costruita dal Plantageneto consenti alla monarchia di mantenere le su posizioni anche durante il regno di Riccardo Cuor di Leone. Andava crescendo la tensione tra la corona e i grandi baroni, anche per l’aumentata pressione fiscale. Con il successore di Riccardo, Giovanni senza Terra, il prestigio della monarca fu compromesso dall'incapacità del sovrano di fronteggiare l’iniziativa politica del re di Francia Filippo Augusto, che tra 1203 e 1207 riuscì a sottrargli la maggior parte dei possessi francesi. Filippo fu fermato da un'abile mossa di Giovanni, che nel 1213 si mise sotto la protezione del papa dichiarandosi suo vassallo. L’anno successivo la coalizione creata da Innocenzo III contro l’imperatore Ottone di Brunswick offrì ai due sovrani l'occasione per un confronto militare: Giovanni fu sconfitto nella battaglia di Bouvines (1214) e rinunciò ai possedimenti in terra francese. AI suo ritorno nell'isola il re si trovò a fronteggiare una coalizione formata da baroni, clero e città mercantili che mal tolleravano l'aumento del carico fiscale. Nel giugno del 1215 Giovanni fu costretto a firmare un documento, la Magna Charta libertatum, nel quale venivano confermati libertà e privilegi di chiese, aristocrazia e comuni e si ponevano dei limiti all'autorità regia: il sovrano non poteva più richiedere il pagamento di sussidi senza il consenso dei maggiori vassalli riuniti nella Magna curia. ® La Francia dei capetingi. Nell’XI secolo la situazione politica del regno di Francia era caratterizzata da un'accentuata frammentazione del potere, infatti tra le contee e i ducati si erano affermate numerose signorie minori. | capetingi, soliti sul trono nel 987 con Ugo Capeto, esercitavano la sovranità solo sulle terre di dominio diretto. Nonostante l’oggettiva debolezza del potere regio, la dinastia riuscì a mantenere la corona e si impegnò sia a musulmani, bensì la loro sottomissione politica; le popolazioni vinte furono assoggettate attraverso il sistema dei parias, tributi annui in cambio della protezione. Nelle regioni in cui la popolazione musulmana era scarsa vennero fondate nuove città attirando abitanti con la concessione di franchigie e l'assegnazione di terre; in cambio i populatores si assumevano il compito della difesa dell'abitato. Dove erano numerosi, i musulmani conservarono beni, leggi e religione. Tra XI E XIII secolo l'avanzata degli Stati cristiani segnò continui progressi. Dopo la morte di Sancho III il Grande re di Navarra i suoi territori furono divisi dando origine a tre regni destinati a dominare la scena della penisola iberica: Navarra, Castiglia e Aragona. Navarra e Aragona rimasero unite dal 1076 al 1134, quando la corona d'Aragona passò al conte di Barcellona; negli stessi anni la contea del Portogallo si staccava dalla Castiglia. La Navarra, dopo la separazione dell’Aragona, non fu più in contatto con i musulmani, e la riconquista fu portata avanti da Aragona e Castiglia, la quale aveva avuto un ruolo predominante quando nel 1063, per impulso del re Ferdinando I, fu organizzata una spedizione militare antimusulmana. L'avanzata degli Stati cristiani subì una prima battuta d'arresto alla fine dell'XI secolo per la controffensiva organizzata dagli almoravidi (1086) e nuovamente, a metà del secolo successivo, ad opera degli almohadi. Ma alla fine del xii secolo i principi cristiani ripresero l'avanzata verso sud, fino alla decisiva vittoria di Las Navas de Tolosa (1212); alla metà del Duecento la reconquista era ormai conclusa e ai musulmani rimaneva solo un ristretto territorio, l’emirato di Granada, che sarebbe sopravvissuto fino al 1492 come tributario del re di Castiglia. 14. Fermenti religiosi e riforma della chiesa. Nel corso dell'XI secolo si affermò nella Chiesa una forte esigenza di rinnovamento che diede luogo a un movimento di riforma destinato a modificare radicalmente i rapporti tra papato e impero. Oggetto delle istanze riformatrici furono i problemi creati dallo stretto legame tra strutture ecclesiastiche e i poteri politici. Questo legame, se aveva da un lato accresciuto la potenza di chiesa, episcopi e monasteri al tempo stesso aveva determinato l’ingerenza dei laici nelle nomine religiose, trasformando gli enti ecclesiastici in strumenti politici in mano a re e signori. Lo stesso papato non era riuscito a sottrarsi al controllo dell’imperatore, cui la Constitutio romana (824) e il successivo Privilegium Othonis (962) avevano affidato la conferma dell'elezione del pontefice prima della consacrazione. Contemporaneamente ci fu la diffusione delle cosiddette ecclesiae propriae, ovvero chiese private, ossia cappelle e monasteri fondati dalle famiglie aristocratiche su terre allodiali, con chiare finalità non solo devozionali, ma anche politiche ed economiche: il signore sceglieva il prete officiante e interveniva nella gestione del patrimonio in sostanza ne disponeva come di un qualunque altro bene allodiale, estendeva il proprio patrimonio e le relazioni sociali. L'ingerenza laica nelle nomine ecclesiastiche portò a un impoverimento culturale del clero, scelto con criteri dettati dagli interessi dei proprietari; il risultato fu il matrimonio e il concubinato, con la conseguente dispersione dei beni delle chiese, utilizzati per dotare figli e mogli dei religiosi, e si affermò poi anche la simonia termine con il quale si indica il commercio delle cariche ecclesiastiche e dei beni spirituali. ® Nuovo monachesimo e rinnovamento della Chiesa. L'esigenza di una riforma che restituisse credibilità e prestigio alla Chiese divenne molto sentita in particolare nei monasteri divenuti i principali centri di studio e di riflessione teologica. | primi segni di rinnovamento partirono da Cluny, abbazia fondata nel 910 dal duca Guglielmo d'Aquitania (chiesa privata), nella quale si affermo una nuova interpretazione della regola benedettina: il lavoro manuale fu affidato a servi e coloni perché i monaci potessero dedicarsi esclusivamente alla preghiera e si introdusse anche una nuova liturgia insieme all’intercessione per i morti (Commemorazione il 2 novembre). L'abbazia aveva ricevuto dal suo fondatore l'immunità dalla giurisdizione vescovile, confermatele poi dal papato; autonomia e appoggio pontificio la protessero dai condizionamenti dei poteri laici. In breve, Cluny divenne una delle abbazie più ricche e potenti d'Europa. Altre esperienze di rinnovamento nacquero dal rifiuto del potere e della ricchezza e dall'esigenza di una religiosità più vicina al modello della povertà evangelica. In Italia dalla predicazione di Romualdo di Ravenna ebbero origine diversi eremi, il più importante fu quello di Camaldoli, che ben presto si trovò a capo di varie filiazioni; il suo esempio incoraggiò la nascita di altre comunità eremitiche. Sul finire dell'XI secolo anche in Francia si diffusero nuove esperienze di vita comune dei religiosi orientate, in polemica con l'abbazia di Cluny, verso gli ideali eremitici: i monaci certosini, raccolti da Brunone di Colonia nel 1084, e quelli dell’abazia di Citeaux detti cistercensi. L'ordine certosino prese il nome dalla località in cui sorse il primo monastero; ‘’certose’’ furono chiamate le filiazioni all’interno delle quali ciascun monaco viveva in solitudine riunendosi con gli altri solo per la preghiera. L'ordine cistercense nacque prima del 1099 a Citeaux con il proposito di tornare all'osservanza letterale della regola benedettina e di contrapporre al fastoso monachesimo cluniacense l'isolamento e il lavoro manuale. | monasteri cistercensi erano autonomi, l'ordine era governato da un organismo centrale, il capitolo generale formato da tutti gli abati, si riuniva ogni anno. | cistercensi introdussero anche importanti innovazioni in campo economico, proponendo un modello di gestione che rifiutava le forme signorili di sfruttamento della terra e si basava sulla conduzione diretta, grazie all'impiego dei conversi: laici che vivevano nell'abbazia e fornivano manodopera gratuita. Rifiutarono l'esenzione dalla giurisdizione vescovile. Esponente di spicco dell'ordine fu san Bernardo di Chiaravalle, che intervenne nelle principali dispute dottrinali del tempo. Le istanze di rinnovamento vennero portate avanti anche dai laici, tra i quali cresceva la domanda di partecipazione alla vita religiosa e all'elaborazione dottrinale. In Italia gruppi d'ispirazione pauperistica, che predicavano il ritorno alla Chiesa delle origini si svilupparono in Toscana, sotto l'influenza della predicazione dei monaci vallombrosani e in Lombardia, dove nacque un movimento che contestava la validità dei sacramenti amministrati dai chierici corrotti. Questo movimento, chiamato con disprezzo dagli avversari ‘’pataria’’ nacque a Milano per iniziativa del diacono Arialdo; tra i suoi seguaci non vi furono solo laici, ma anche esponenti del clero cittadino. ® L’impero ela riforma della chiesa. Gli imperatori, dopo l'iniziale ostilità di Corrado Il il Salico, poco propenso a rinunciare al controllo sulle nomine ecclesiastiche, appoggiarono con Enrico III il movimento di riforma. Enrico si proporsi di restituire dignità al papato, da tempo ostaggio dell’aristocrazia romana, che controllava l'elezione dei pontefici Nel 1046, esercitando il diritto di intervento nella nomina pontificia, l’imperatore prese parte al concilio di Sutri, durante il quale depose i tre papi romani e nominò un suo candidato, il vescovo sassone Suidgero, che prese il nome di Clemente Il. Sia Clemente che i suoi successori, Leone IX e Vittore Il si impegnarono nella riforma della chiesa. Leone IX riunì intorno a sé uomini di grande prestigio ed esponenti del movimento riformatore e con il loro appoggio avviò una campagna contro la simonia e il concubinato. Il pontefice pose le prime basi della teoria della supremazia del papato facendo approvare nel concilio di Reims del 1049 due canoni che affermavano l'indipendenza degli ecclesiastici dai poteri laici. La seconda posizione compromise il precario equilibrio sul quale si reggevano i rapporti con la chiesa d'Oriente: nel 1053 il patriarca di Costantinopoli Michele Cerualario chiuse i monasteri e le chiese latine; l’anno successivo la delegazione latina inviata a Costantinopoli per trovare un accordo fallì a causa dell’intransigenza di Umberto di Silva Candida, il quale scomunicò il patriarca, che a sua volta scomunicò i latini. Lo scisma che si aprì sarebbe divenuto insanabile. Ad accrescere le difficoltà della Chiesa romana intervenne la politica di Leone IX nei confronti dei normanni: nel 1053 il papa si fece promotore di una coalizione per fermarne l'avanzata ma essa fu sconfitta e Leone venne fatto prigioniero nella battaglia di Civitate sul Fortore; i suoi successori preferirono trovare un accordo con i normanni riconoscendo le loro conquiste. Con la morte di Enrico Il e l'elezione al trono del figlio minorenne Enrico IV la collaborazione tra impero e riformatori della Chiesa ebbe fine. Nel 1057 il clero romano elesse il nuovo papa, Stefano IX, senza chiedere l'autorizzazione imperiale. Un nuovo tentativo dell'aristocrazia romana di riprendere il controllo dell'elezione papale alla morte di Stefano (1058) fece capire ai riformatori che per sottrarre la scelta del pontefice all’ingerenza del potere laico erano necessarie nuove regole di elezione. Il problema fu risolto nel concilio lateranense del 1059 da papa Niccolò Il con un decreto che stabiliva che l'elezione del papa avvenisse a Roma e fosse riservata ai ‘’cardinali’’, ossia a un collegio costituito dai 7 vescovi delle diocesi situate intorno a Roma da 28 preti titolari di altrettante chiese romane e da 14 diaconi responsabili delle circoscrizioni assistenziali. Clero e popolo romano avrebbero approvato e acclamato l’eletto. Per la Chiesa romana era giunto il momento di trovare nuovi appoggi; fu così che fu stipulato l'accordo di Melfi (1059) che garantiva al papato l’aiuto militare di cui aveva bisogno per far rispettare il decreto sull’elezione. L'accordo nel 1061 permise ai cardinali di superare la grave crisi apertasi con l'elezione a pontefice del vescovo di Lucca, sostenitore della pataria, Anselmo da Baggio (Alessandro II) non riconosciuto dalla corte tedesca che allora elesse un altro papa il vescovo di Parma Cadalo (Onorio II). Alessandro Il portò avanti la politica di affermazione del primato pontificio anche nei confronti della struttura ecclesiastica e intervenne sempre più frequente nella vita delle Chiese locali; come nel 1067 quando inviò a Milano una legazione che impose la penitenza al clero simoniaco e ricondusse nell'alveo istituzionale la lotta dei patarini. ® EnricoIVe Gregorio VII. La strada intrapresa dal papato era destinata a scatenare un conflitto con l'impero, cosa che avvenne alcuni anni dopo l'uscita di minorità di Enrico IV quando Ildebrando di Soana divenne papa col nome di Gregorio VII. Gregorio VII si trovò davanti un imperatore deciso a contrastare i progetti pontifici. Data la necessità di ricostituire le basi del potere regio Enrico fece ricorso all'appoggio di vescovi e abati fedeli. Lo scontro 15. Le crociate. Nel quadro del rinnovamento religioso nei secoli X-XI si diffuse la pratica del pellegrinaggio, fra le cui mete si mantennero dominanti furono Roma e Gerusalemme. A mettersi sulla strada dei luoghi santi erano persone spinte dal desiderio di espiare le proprie colpe. Alle mete di più antica tradizione si aggiunse nei secoli della reconquista quella di Santiago di Compostella. Qui era venuto affermandosi il culto di san Giacomo maggiore, la cui sepoltura si ritenne in una tomba rinvenuta in Galizia. Il culto del santo si coniugò subito subito con le istanze religiose che animavano la lotta contro l'islam, cui tutta la cristianità chiamata dal pontefice Alessandro II con la concessione dell’indulgenza (1064) a quanti avessero preso le armi contro i “mori”. Nel novembre 1095 papa Urbano Il condannando le lotte fra cristiani, esortò quanti vi erano coinvolti a prendere la strada della Terrasanta per mondarsi dei peccati e contribuire a tenere gli infedeli lontano dai luoghi della vita di Cristo. Un invito al pellegrinaggio e non propriamente l’induzione di una crociata si sarebbe avuto in quella circostanza; il termine ‘crociata’’ ( dal simbolo della croce disegnato su armature e vessilli) non avrebbe fatto la sua apparizione nelle fonti prima del XIII secolo. Per comprendere meglio le ragioni che hanno portato all’’impresa della crociata bisogna tener presente che l'Europa della fine dell'XI secolo viveva una fase di forte espansione: la popolazione era in aumento, l'agricoltura conquistava nuove superfici, i commerci raggiungevano mercati sempre più lontani. In una situazione di questo tipo non era difficile riscontrare la disponibilità psicologica e materiale a intraprendere nuovi percorsi di vita; si aggiunga che i figli cadetti delle famiglie nobili, in numero sempre maggiore ed esclusi dalla successione ai beni aviti a beneficio dei primogeniti, volentieri ricercavano nella conquista di nuovi territori (MILITES). Bisogna tenere conto anche di alcune circostanze esterne ed il peso di queste come ad esempio, l'appello rivolto ai cristiani d'Occidente l’imperatore bizantino Alessio Comneno per convincerli a prendere le armi contro i turchi o la situazione di allarme creata dalla caduta di Gerusalemme nelle mani di questi ultimi e dalle vessazioni inflitte ai pellegrini. Non sembra neppure che l'avvento in Gerusalemme dei nuovi dominatori possa aver rappresentato per i pellegrini occidentali, quanto a libertà di culto e pressione fiscale, un peggioramento tale della situazione da scatenare un fenomeno quale quello della crociata. ® Le prime spedizioni e la conquista di Gerusalemme. L'appello di Urbano Il trovò ascolto immediato tra le persone più umili che già avevano partecipato al movimento di riforma della Chiesa. Già nella primavera del 1906, forti dell'apporto di nobili in miseria come Gualtieri detto ‘Senza Averi”’, una folla di qualche migliaio di persone si mise in marcia verso la Terrasanta e cominciando da qui la caccia agli ‘’infedeli’’ e il loro massacro. Il primo attacco fu contro la comunità di Spira (3 maggio); stragi furono perpetrate anche in altri centri, tra i quali Worms, Magonza, Colonia, Trevieri e Praga. Saccheggi, razzie, uccisioni misero ben presto in allarme nobili e contadini, che in Ungheria riuscirono a infliggere a questo esercito di disperati una dura sconfitta. | superstiti proseguirono verso Bisanzio e s’inoltrarono in Anatolia, dove i turchi li sconfissero. Sopravvissuto, Pietro l’Eremita poté, tuttavia, assistere nel 1099 alla conquista di Gerusalemme. La crociata ‘’ufficiale’’ ebbe inizio poco dopo e vide la mobilitazione di alcuni fra i maggiori rappresentanti del mondo feudale europeo: Goffredo di Buglione duca della bassa Lorena; Roberto, duca di Normandia; Boemondo e Tancredi d'Altavilla figlio e nipote di Roberto il Guiscardo: tutti sotto la guida del legato pontificio Ademaro di Monteil. Un aiuto importante recarono alle operazioni pisani e genovesi. | singoli contingenti militari confluirono a Bisanzio, via mare o attraverso i Balcani, fra l'autunno del 1096 e la primavera dell’anno successivo; nel giugno 1097 mossero verso la Terrasanta. Posta sotto assedio per cinque settimane e conquistata il 15 luglio 1099, Gerusalemme divenne la capitale dell'omonimo regno; alla conquista fece seguito lo sterminio di gran parte della popolazione musulmana ed ebraica che abitava in città. Con il titolo di advocatus (‘’difensore’’) del Santo Sepolcro fu chiamato a governare il regno Goffredo di Buglione; poco dopo, alla sua morte, gli successe (1100) il fratello Baldovino che assunse il titolo di re. A nord dei territori di Gerusalemme, lungo le coste del Mediterraneo, si erano formati gli stati latini della contea di Tripoli, della contea di Edessa, del regno della Piccola Armenia. Si trattava di Stati di impronta feudale che i più potenti fra i signori occidentali avevano costituito per assicurare a sé stessi e ai propri vassalli dominazioni e rendite importanti. Diversi fattori determinavano, però, la debolezza degli Stati latini d'Oriente; le divisioni interne ai gruppi dominanti; un territorio modesto, che non andava molto oltre la zona costiera; lo scarso numero dei crociati, molti dei quali, riprendevano la strada di casa; i difficili rapporti con le popolazioni locali. A fronte di tale situazione, un ruolo importante fu affidato a quegli ordini religiosi, nati a Gerusalemme, che presero il nome di monastico militari, i cui membri, oltre che ai voti di povertà, castità e obbedienza, erano tenuti alla lotta contro gli infedeli e alla difesa dei pellegrini. Di questi ordii principali furono gli Ospedalieri di san Giovanni, costituitisi nel 1113 e ancor oggi esistenti con il nome di Cavalieri di Malta; i Cavalieri del Tempio (o templari), che così si denominarono (1120) per il fatto di avere la loro sede in una ex moschea eretta nella spianata del tempio di Salomone. Solo nel 1198 si costituì l'ordine dei Cavalieri teutonici, che furono chiamati a operare per la cristianizzazione delle popolazioni pagane del Nord-Est europeo. @ Lariscossa islamica e la debole risposta dell'Occidente. Neppure il supporto guerresco dei monaci cavalieri valse a portare le conquiste crociate al riparo dei pericoli incombenti. Accadde infatti che il tureomanno Imad Al-Din Zinki riuscì a conquistare la parte orientale del principato di Antiochia e della contea di Tripoli e a impadronirsi poco dopo di Edessa (1144). Da ciò scaturì la seconda crociata (1147—48), bandita da papa Eugenio III e fortemente voluta dal cistercense Bernardo di Chiaravalle, che riuscì a mobilitare alcuni fra i più potenti sovrani: il re di Francia Luigi VII, l'imperatore Corrado III, il re di Sicilia Ruggero II. Tale crociata, a causa della rivalità fra i protagonisti e lo scarso coordinamento militare non conseguì nessun risultato. A seguito dell’unificazione di Egitto e Siria in un'unica dominazione indipendente da Baghdad, sotto il sovrano curdo Salah ed-Din Yusuf Ibn Ayyub conosciuto in Europa come il ‘’saladino”’, si crearono le condizioni per un ultimo attacco, che fu sferrato nel 1187 e portò alla riconquista di Gerusalemme. Rimasero allora ai crociati solo poche fortezze sulla costa. La clamorosa caduta della ‘città santa'’ nelle mani dell'islam spinse, per quanto il vincitore si mostrasse conciliante con le esigenze dei pellegrini e dei vari culti cristiani, a una terza crociata (1190-92) che vide impegnate alcune fra le maggiori personalità politiche del mondo occidentale: l’imperatore Federico I, il re di Francia Filippo Augusto, il re d'Inghilterra Riccardo | Cuor di Leone. Nonostante l'impegno non riuscirono i sovrani a liberare Gerusalemme. La capitale del regno latino fu dunque posta a San Giovanni d’Acri. ® La quarta crociata e l'impero latino d'Oriente. La morte di Salah ed-Din, avvenuta nel 1193, e la conseguente frammentazione dei suoi domini segnalavano la possibilità di nuovi interventi delle milizie crociate in quello scacchiere. Il bando di una nuova crociata, la quarta, si ebbe solo nel 1202 per iniziativa di Innocenzo III che della liberazione dei luoghi santi fece uno dei suoi obiettivi primari. Confluiti a Venezia al fine di imbarcarsi per la Terrasanta, i crociati si trovarono a non disporre di una somma di denaro sufficiente per noleggiare le navi necessarie. In loro soccorso venne allora il doge Enrico Dandolo, il quale si offrì di fornire in ogni caso le imbarcazioni a patto che gli eserciti crociati aiutassero Venezia nella riconquista della città adriatica di Zara; sottratta alla Serenissima per darsi al re d'Ungheria. Accettate le condizioni ed espugnata la cattolica Zara (1202), i crociati pensarono bene di compiere una secondo deviazione, accogliendo l'invito di Alessio il Giovane, figlio del deposto imperatore di Bisanzio Isacco Il Angelo, a soccorrere il padre nell'impresa di tornare sul trono estromettendo il fratello, Alessio III: oltre che promettere una ricompensa adeguata Alessio faceva balenare la possibilità di riportare la Chiesa di Costantinopoli sotto l'egemonia di quella romana. Nel 1023 Isacco e Alessio entrarono in Costantinopoli riconquistata, ma ciò non valse a riportare la pace. Il venir meno di Alessio alle promesse fatte ai crociati l'uccisione dello stesso Alessio da parte di Alessio V marzuflo spinsero gli occidentali a un nuovo intervento. Il 13 aprile 1204 Costantinopoli fu assalita, nuovamente occupata e sottoposta a uno spietato saccheggio. Sulle ceneri dell'impero di Bisanzio i crociati procedettero a fondare l'impero latino d'Oriente affidato a Baldovino, conte di Fiandra che, riuscì ad avere la meglio sull'antagonista, Bonifacio, marchese di Monferrato. A Venezia furono assegnati i 3/8 di Costantinopoli, Creta Negroponte, numerose isole dell'Egeo e dello lonio; le furono poi confermati tutti i privilegi commerciali di cui già godeva ed altri ne furono aggiunti. Per la città l’accorta regia del suo doge, Enrico Dandolo fu un autentico trionfo. Il ducato di Atene, il regno di Tessalonica furono tra le principali creazioni della spartizione territoriale (partitio Romanie) intervenuta a beneficio degli altri partecipanti all'impresa. Le insegne dell'impero di Bisanzio non furono in tutto ammainate, continuando a vivere in quelle del piccolo impero anatolico di Nicea, che se ne proclamò l'erede. Fu questo l'esito del tutto anomalo di una crociata che non giunse mai a interessare il vicino Oriente e i luoghi santi. La fondazione di un impero cattolico sulle rive del Bosforo la Chiesa di Roma acuì non poche difficoltò essendo insorte nel rapporto fra occupanti e popolazioni locali. Porpiro la scarsa coesione sociale del nuovo Stato e la sua fragilità politico- militare resero possibile la riconquista di Costantinopoli da parte dei greci di Nicea. Fu Michele VIII Paleologo ad alzare nuovamente, nel 1261, le insegne dell'impero di Bisanzio nella sua capitale. | territori dell'impero riconquistato erano, tuttavia, ridotti ormai a poca cosa. Per di più, forti restavano le pressioni tanto ai confini occidentali che a quelli orientali. La dinastia dei paleologhi subentrando in Nicea a quella dei lascaridi, sarebbe comunque restata sul trono fino alla caduta di Costantinopoli sotto i colpi dei turchi ottomani (1453). Gli eventi di cui si è appena detto non impedirono all’ideologia’’ della crociata di sopravvivere. In occasione del quarto concilio lateranense (1215). Innocenzo Ill tornò a promuovere un'altra spedizione per la liberazione dei luoghi santi (la quinta), sollecitando il massimo coinvolgimento delle gerarchie ecclesiastiche. La morte del pontefice fece sì che toccasse al successore Onorio IIl il compito di organizzarla. Nel 1217 i crociati tornarono sotto la guida di re Andrea d'Ungheria, del duca Leopoldo d'Austria e di Giovanni di Brienne, a muovere verso Oriente, indirizzandosi sull’Egitto, la cui conquista veniva ormai considerata necessaria per accedere alla Palestina. Ancora una volta, tuttavia, non vi furono risultati significativi. Esito non migliore ebbero le due crociate successive. Entrambe videro protagonista il re di Francia Luigi IX il Santo, che, fece di tutto per realizzare il sogno della riconquista di Gerusalemme: nella prima spedizione, però, fu catturato dalle truppe islamiche e liberato solo dopo il pagamento di un ingente riscatto; nell'altra (1270) incontrò la morte, a seguito di un'epidemia di peste. Alla fine del XIII secolo, la vicenda delle crociate cristiane per la liberazione dei luoghi santi sarebbe stata cancellata a seguito dell'iniziativa militare dei mamelucchi, che, si diedero ad abbattere ciò che restava delle dominazioni degli occidentali. Il movimento crociato lasciò in eredità all'Europa un sentimento di odio violento per gli ebrei che si sarebbero riproposto in più occasioni nel corso dell’età medievale e oltre, per giungere drammaticamente fino ai nostri giorni. Prima delle crociate, le comunità di ebrei avevano convissuto pacificamente con la maggioranza cristiana. Nell’alto medioevo avevano goduto della protezione degli imperatori carolingi e svolto un ruolo di primo piano nell’organizzazione degli scambi commerciali fra Oriente e Occidente. In seguito all'ascesa delle città marinare gli ebrei furono emarginati dai traffici marittimi e internazionali e si specializzarono nel prestito a interesse su pegno, il cui esercizio era vietato ai cristiani, distinguendosi anche nel campo della medicina. I massacri verificatisi in occasione della prima crociata segnarono una svolta nelle relazioni fra cristiani ed ebrei, i quali da allora divennero oggetto di attacchi e persecuzioni alimentati da accuse infamanti e subirono imposizioni umilianti. Si arrivò alla loro progressiva espulsione da molti Stati europei e alla conseguente migrazione della popolazione ebraica, che alla fine del medioevo si concentrò prevalentemente nella Francia del sud e in Italia. divenuti estranei al mondo occidentale da quando si era estinta la conoscenza della lingua greca, mentre invece in Oriente e nel mondo Bizantino e nelle culture arabe ed ebraiche avevano continuato a vivere attraverso traduzioni. L'intensificarsi dei rapporti con il mondo orientale e con gli arabi mise il mondo occidentale in condizione di riappropriarsi dei testi originali traducendoli direttamente dal greco oppure dall'arabo. Nell’Italia del Nord i traduttori si formarono in centri come Pisa, Genova e Venezia. Del tutto particolare invece la situazione della Sicilia, luogo d'incontro delle culture, greca, latina e araba, dove l’attività dei traduttori si indirizzò tanto verso il greco che verso l'arabo, privilegiando i testi scientifici. Ma il contributo principale venne dalla Spagna dove si distinse la scuola di traduzioni di Toledo creata dall’arcivescovo Raimondo nella quale troviamo anche intellettuali provenienti da tutta Europa. Alla fine del XII secolo la cultura occidentale si era arricchita di numerose opere; quasi tutti i testi di Aristotele, la produzione completa di Euclide e quella di altri scienziati greci, come Archimede, Ippocrate e Galeno. Le traduzioni del XII secolo sono state molto criticate, perché non molto fedeli ai testi greci originali ma svolsero comunque una funzione importante nell’arricchire il patrimonio culturale che il medioevo avrebbe trasmesso poi al mondo moderno. 17. Trasformazioni sociali e autonomie cittadine. La crescita demografica ed economica che investì l'Europa occidentale tra XI e XII secolo fu accompagnata da profondi mutamenti del tessuto sociale. L'affermazione delle signorie locali aveva portato alla formazione di un ceto aristocratico che basava il suo potere sia sulla ricchezza che sulle funzioni militari. In seguito si trasformò da ceto dirigente aperto a tutte le classi sociali che disponessero di un consistente patrimonio fondiario, in un ceto giuridicamente chiuso, al quale si poteva accedere solo per via ereditaria, nacque quella ‘nobiltà di diritto” che avrebbe occupato la scena della storia europea ancora per tutta l’età moderna. L'ereditarietà infatti rafforzò il valore dei legami di consanguineità e la coscienza genealogica delle famiglie, offrendo così una risposta alla duplice esigenza di dare coesione al gruppo familiare e di legittimare il passaggio dei poteri: lo testimonia la diffusione di un nuovo tipo di struttura familiare e successoria (lignaggio) che si basava sulla sola discendenza in linea maschile. Anche l'evoluzione della tecniche di combattimento risulta di forte incidenza nel processo. L'importanza attribuita alla cavalleria favorì la nascita di un ceto di professionisti dalla guerra, i cavalieri, chiamati milites, costituito dai proprietari fondiari che potevano permettersi di acquistare cavallo e armatura e dedicarsi al duro e costante allenamento necessario per combattere a cavallo. Quasi ovunque in Europa cominciarono cosi a entrare nella ‘cavalleria’’ anche esponenti di gruppo sociali in ascesa, come vassalli di vario rango. Dall’XI secolo è possibile osservare un avvicinamento tra l'aristocrazia militare e i cavalieri che militavano al loro servizio. Il termine milites cominciò ad acquistare un valoro di preminenza sociale e l’accesso alla cavalleria fu celebrato con un rito solenne rappresentato dalla cerimonia dell’’addobbamento” termine derivato dal francore doubban (colpire) con riferimento al colpo sulla guancia che il neocavaliere riceveva nella circostanza. Si venne poi formando una coscienza e uno stile di vita comune alle famiglie di tradizione aristocratica e a quelle dei cavalieri i quali iniziarono ad adottare i segni di distinzione propri della vecchia aristocrazia come lo stemma familiare ed il titolo di dominus. Nell’XI secolo in collegamento con il movimento delle ‘’paci di Dio”, assemblee convocate da vescovi e abati nel corso delle quali i signori locali si“ mpegnavano deporre le armi per periodi di tempo prestabiliti, venne creato un modello di comportamento cavalleresco che cerca di incanalare l'aggressività dei cavalieri attribuendo loro la missione di difendere i deboli e la cristianità. Fu in questo clima che si affermò la teoria dei tre ordini che componevano la società del tempo: eOratores che con la preghiera richiedevano l'aiuto divino per tutta la società eBellatores che combattevano per proteggere la popolazione eLaboratores che aveva il compito di procurare il sostentamento materiale per le due classi superiori. Nel XIII secolo l'aristocrazia di fronte alla minaccia dei ceti cittadini trovò negli ideale e nello stile di vita cavallereschi una nuova coesione sociale; la cavalleria riservata ai soli figli dei cavalieri e uno stile di vita militare di vita divennero il principale simbolo della condizione di nobile; da quel momento la nobiltà si irrigidì e si istituzionalizzò come classe chiusa ed ereditaria. eContadini, signori e comunità rurali. Anche il mondo dei contadini venne investito da radicali trasformazioni. La messa a coltura di nuovi terreni l'aumento della produzione agricola favorirono l'affermazione di un ceto di piccoli e medi proprietari, i quali non erano piu disposti ad accettare che una parte del loro reddito finisse nelle amni dei signori. Senza che a quel prelievo corrispondesse alcuna contropartita in termini di concessioni fondiarie. Si aggiunga che, con l'affermazione della signoria territoriale si era andata attenuando la differenza tra la condizione dei coloni liberi, le cui condizioni di vita peggiorarono progressivamente, poiché con l'espansione in senso territoriale dei poteri signorili si videro imporre obblighi e servizi sempre piu gravosi ( + testatico, forismaritagium), e quella dei servi che avevano avuto in concessione case e terre, che sarebbe cioè il primo passo verso quell’emancipazione che in molti avrebbe raggiunto comprandosi la ‘manomissione’ (liberazione dalla servitù). Uomini di diversa condizione, liberi e servi, si trovarono cosi assoggettati al signore sulla base di un complesso rapporto di dipendenza. Si trattava di una condizione che la storiografia ha tradizionalmente indicato con l'espressione ‘servitù della gleba": definizione restrittiva, che pone l'accento solo su una delle forme di dipendenza contadina e finisce con l’accomunare persone didi vera condizione e posizione sociale. Presso le comunità rurali, proprietari liberi e servi della gleba, nel tentativo di migliorare le loro condizioni di vita organizzarono forme di resistenza. In tutta Europa un ruolo importante per l'emancipazione dei contadini lo ebbe anche la colonizzazione degli spazi incolti, poiché per attirare manodopera i signori ricorsero alle cosiddette ‘’carte di franchigia”, ossia documenti con i quali si concedevano ai coltivatori la libertà personale, il possesso delle terre coltivate ed esenzioni fiscali. Ma queste carte non riguardarono solo i colonizzatori, poiché il movimento per migliorare le condizioni di vita coinvolse anche gli altri contadini e sempre piu frequentemente i signori furono costretti a venire a patti: lo testimoniano le numerose convenzioni nelle quali si precisava in qual misura i domini potevano esigere tributi e servizi. Questi conflitti che ci consentono di riconoscerne solo l'esito finale, non avevano l’obiettivo di eliminare l'autorità esercitata dai signori sul territorio, ma piuttosto puntavano a limitarla negli aspetti più arbitrari, in sostanza per tutto ciò che riguardava proprio il carattere pubblico e territoriale dei poteri signorili. Fu per questa via che il vincolo feudale si diffuse nelle campagne e permeò di se anche i livelli inferiori della gerarchia sociale, fino a essere esteso ai concessionari di terre dominiche come pure ai medi e piccoli allodieri. Parallelamente iniziarono a delinearsi in ambito rurale nuclei autonomi di governo locale, che ne presto furono costretti a misurarsi con la politica espansionistica delle città. ® Larinascita delle città. | principali beneficiari della crescita demografica furono i centri urbani. Il loro sviluppo non riguardò solo le strutture materiali, ma coinvolse anche l'economia, la società, la politica e la cultura. La premessa di questo processo si può individuare nel ruolo che nell'altro medioevo le città avevano continuato a svolgere, nonostante il declino determinato dalla crisi demografica. Stante l'indebolimento del potere centrale, i vescovi ne approfittarono per estendere le loro prerogative nel campo civile, arrivando a esercitare poteri di natura pubblica anche nelle campagne di gravitazione urbana. In tal modo le città vescovili assunsero un nuovo ruolo di governo in grado di attirare quell’aristocrazia terriera che aveva le basi della sua ricchezza in ambito rurale. Intorno al vescovi si formò cosi un ceto dirigente costituito da funzionari, notai, giudici provenienti dalle famiglie eminenti. Lo sviluppo delle attività artigianali e mercantili e la forte crescita demografica che si ebbe a partire dall'XI secolo fecero, inoltre, affluire nelle città popolazione proveniente dalle campagne; si trattava di persone di condizione diversa, libera e servi, proprietari e nullatenenti, alla ricerca di nuove possibilità di lavoro e della liberazione dalle servitù imposte dai signori bannali portando così alla nascita di nuovi agglomerati indicati con il termine di ‘’borgo’’. In questi territori, a ridosso dei castelli, sedi del potere signorile, si svilupparono nuovi insediamenti di carattere commerciale che crebbero in estensione e floridezza economica. e Autonomie cittadine e aggregazione dei comuni Dalla fine dell’XI secolo vediamo comparire in alcune città italiane del Mezzogiorno e della Francia forme inedite di autogoverno, legate a magistrature rappresentative, espressione della collettività urbana. Un'analoga organizzazione si daranno piu tardi anche molte città della Francia del Nord, dell'Inghilterra e della Germania. Le premesse per l'affermazione di una coscienza collettiva da parte degli abitanti delle città si possono ricercare nell’antagonismo tra i diversi gruppo sociali e nella contrapposizione tra gli interessi di questi e i detentori del potere politico. Il dinamismo economico delle molteplici componenti della società urbana trovava, infatti, nel dominio del signore un ostacolo che ne frenava lo sviluppo. Le reazione contro il potere dei signori laici ed ecclesiastici ebbe come primo obiettivo il raggiungimento della libertà personale L'atteggiamento dei poveri di Lione si radicalizzò ulteriormente dopo la morte di Valdo. Una parte del movimento sviluppatosi nell'Italia settentrionale nella decretale del 1184 fu condannato come eretico insieme ad altri gruppi, ma la richiesta degli umiliati di vedere legittimate le loro esperienze di vita comunitaria e di preghiera fu accolta all'inizio del Duecento da Innocenzo III. ® L’eresia catara e i nuovi strumenti di repressione. Diversamente dai movimento pauperistico evangelici che si proponevano un rinnovamento della Chiesa romana, i catari contrapposero alla Chiesa una tradizione dottrinale completamente diversa. Il catarismo si diffuse intorno alla metà del XII secolo in Germania e soprattutto nella Francia meridionale dove divenne movimento di massa radicato anche nelle classi dirigenti. La storiografia ne collega l'origine alla dottrina del bogomilismo movimento nato in oriente a opera di gruppi di bogomili espulsi da Bisanzio per decisione dell’imperatore Manuele Comneno (1143). | catari fondavano la loro visione religiosa sull'esistenza di due principi motori dell'universo, Dio e Satana, bene e male e rifiutavano i beni temporali. Il movimento appare organizzato con una rete di episcopi e presenta al suo interno una distinzione tra ‘’perfetti’’, i sacerdoti impegnati a condurre una vita di assoluta purezza, che amministravano l’unico sacramento riconosciuto dai catari, il consolamentum, e ‘’credenti”’, i fedeli che partecipavano al culto ed erano collegati ai perfetti da un patto spirituale. Il catarismo si pose in concorrenza con la Chiesa di Roma proponendo un modello di vita alternativo, basa su una rigorosa morale ascetica e modi di vita ispirati alla povertà evangelica. Nel 1184, a Verona, Lucio III e l'imperatore Federico | strinsero un'alleanza per la repressione delle eresie; dagli accordi presi scaturì la già ricordata decretale Ad Abolendam heresiam. La forza eversiva dei movimento ereticali stava mettendo in cristi il sistema delle relazioni politiche e sociali basato su una sostanziale convergenza di interessi tra gerarchia ecclesiastica e classe politica. Si affidava ai vescovi il compito di inquisire i sospetti ai poteri laici quello di eseguire le condanne. Ma il coinvolgimento dell'autorità civile nell'opera di repressione non apparve sufficiente a combatte il movimento cataro, che si era radicato anche nelle città dell’Italia settentrionale. Fu Innocenzo III il pontefice che promosse una vasta azione tesa a inasprire la lotta contro gli eretici e a dotare il papato di nuovi strumenti utili per la stessa. Già nel concilio lateranense III (1179) i benefici spirituali e materiali previsti per i crociati in Terrasanta erano stati estesi a coloro che avessero combattuto contro gli eretici albigesi, ossia i catari, così chiamati dalla città di Albi. Nel 1208, l'uccisione del legato pontificio Pietro di Castelnau offri al papato l'occasione per ricorrere a mezzo piu decisi: Innocenzo III bandi contro i catari di Linguadoca la guerra santa; questa vedeva nelle operazioni militari la possibilità di estendere il suo effettivo dominio sul Mezzogiorno. La crociata, guidata da Simone di Montfort, si trasformò in un bagno di sangue, durato fino al 1229, che segno la fine della raffinata tradizione culturale della Francia meridionale e l'eclissi della sua lingua (lingua d'oc); i catari resistettero ancora per alcuni decenni prima di cadere nel silenzio. Tra i numerosi temi trattati, nel nuovo concilio ecumenico convocato da Innocenzo III nel 1215, di particolare importanza fu la condanna delle eresie. Vennero confermate le disposizioni della decretale di Verona del 1184, che aveva già creato tribunali permanenti incaricati dell’inquisizione degli eretici e affidati ai vescovi. Per rendere piu efficace l’attività dei tribunali, nel 1231 Gregorio IX li avrebbe posti sotto la guida dei nuovi ordini mendicanti, francescano e domenicano. e Gli ordini mendicanti. Di fronte al vasto diffondersi della dissidenza religiosa il papato non si limitò a inasprire la repressione. Innocento III, l'artefice del concilio del 1215 era consapevole dell’inadeguatezza delle strutture ecclesiastiche tradizionali rispetto alle nuove esigenze religiose dei laici. Così mentre istituzionalizzava la crociata come strumento di lotta contro gli eretici e potenziava i tribunali dell’inquisizione, si impegno anche perché fosse dato sostegno alle nuove forme di vita religiosa al fine di allontanare dagli eretici chi ne era stato attratto per ingenuità. Oltre a queste iniziative, la Chiesa lavoro a costituire un corpo di predicatori che combattesse gli eretici con le loro stesse armi. A questo scopo furono utilizzate le nuove proposti di vita religiosa portate avanti dagli ‘ordini mendicanti”, cosi chiamati perché rinunciavano a tutti i beni terreni e traevano sostentamento dalle offerte dei fedeli, ovvero quello dei frati minori, fondato da Francesco d'Assisi e quello dei predicatori fondato da Domenico di Guzman. Francesco di Assisi, figlio di un ricco mercante, si dedico a una vita di povertà, penitenza e predicazione, Tra il 1209 e il 1210 ottenne da Innocenzo III la concessione di predicare la penitenza e l'approvazione verbale delle regole di vita che era dato insieme con un gruppi di compagni, definitisi ‘’minori’. Lo stile di vita della comunità di Francesco era data soprattutto alla rinuncia a ogni proprietà e la volontà di sopravvivere con il lavoro e l'elemosina, cosa che suscitava molte diffidenze nelle gerarchie ecclesiastiche; la fedeltà al papato le garanti, tuttavia, il sostegno di quanti erano convinti della necessità di dare spazio alle nuove forme di vita religiosa. | seguaci di Francesco si diffusero rapidamente in tutta Italia . Dal 1212-13 con l'adesione di Chiara d'Assisi e delle sue compagne, l’esperienza religiosa di Francesco si apri anche alla partecipazione femminile. Il rapido sviluppo introdusse elementi estranei all'esperienza originaria a ciò si opposero quanti intendevano mantenersi fedeli alla povertà evangelica dell'originaria testimonianza di Francesco. Ne scaturì tra 1219 e 1223 una grave crisi segnata nel 1220 dalla rinuncia di Francesco alla carica di maestro generale. L'ordine dei frati predicatori deriva da Domenico di Guzman che nei primi anni del 200 dedico la sua attività e quella di un piccolo nucleo di compagni alla predicazione antiereticale nel Sud della Francia, cuore del catarismo. Domenico scelse di combattere la propaganda e la penetrazione degli eretici con le loro stesse armi, portando l'esempio di una vita povera e utilizzando lo strumento della predicazione itinerante, basata su una solida cultura teologica. Dopo il riconoscimento del vescovo di Tolosa, nel quarto concilio lateranense (1215) i frati predicatori di Domenico ottennero da Innocenzo III l'approvazione della regola e conobbero una rapida diffusione. Il loro successo li espose all’ostilità dei chierici locali; le gerarchie ecclesiastiche cercarono allora di eliminare i motivi di contrasto escludendoli dalla cura d'anime, ma il successo della loro predicazione e del loro modello di vita proseguirono. Quando Gregorio IX decise di riorganizzare il tribunale inquisitoriale i frati domenicani ne divennero i primi titolari (1232); pochi anni dopo, nel 1254, Innocenzo IV affiancò ai domenicani i frati francescani, dividendo fra i due ordini le zone inquisitoriali. 19. | comuni italiani e l'impero. La nascita del comune cittadino si ebbe in Italia nei decenni a cavallo fra XI e XII secolo. Pisa (1081), Asti (1095), Arezzo (1098), Pistoia e Ferrara (1105) furono i casi piu precoci seguiti da Cremona (1112), Lucca (1115), Bergamo (1117), Bologna (1123). Accanto agli esponenti del ceto mercantile e artigianale, agirono, per la sua formazione, anche elementi di spicco della società precomunale membro dell’aristocrazia militare o immigrati dalla campagna per consolidare le loro fortune esponenti del ceto intellettuale dei giudici e dei notai. La lontananza del potere centrale e i conflitti fra papato e impero per il controllo delle nomine vescovili favorirono i processi di formazione dei comuni, nei quali si ricerco la risposta alle tensioni sociali in atto e il loro superamento. Possiamo dire che in alcuni centri il comune nacque dall’opposizione di tutta la collettività contro gli arbitri dei detentori del potere, in altri dal contrasto fra le diverse componenti sociali aristocratica e mercantile—artigiano. In presenza di un forte potere vescovile si ebbe un iniziale periodo di coesistenza fra lo stesso e il comune che da un lato cercò di ridimensionare il ruolo pubblico del vescovo in ambito urbano, ne sostenne , dall'altro, l'autorità nel territorio diocesano. Nella città lombarda il processo fu innescato dal conflitto tra ‘’capitanei’”’, i grandi vassalli della Chiesa arcivescovile, e i vassalli di quest'ultimi, i valvassores. A partire dall'XI secolo i valvassores rivendicarono l’ereditarietà dei loro benefici a imitazione dei privilegi di cui godevano i capitanei. Intervenne nella contesa l’imperatore Corrado II, che nel tentativo di indebolire la grande aristocrazia fece imprigionare l'arcivescovo di Milano, Ariberto d’Intimiano, ed emanò quella Constitutio de feudis con la quale riconosceva nel regno italico l'ereditarietà dei benefici dei valvassores. L'editto fini tuttavia col rafforzare la coesione all’interno dell’aristocrazia militare; si accese allora la lotta fra i milites e il populus, guidato da Lanzone, un capitaneus passato dalla parte popolare. | primi ebbero momentaneamente la peggio e, con l'arcivescovo, furono costretti a lasciare la città, nella quale rientrarono non appena decisero di sottoscrivere un accordo con la parte popolare (1044); dalla pacificazione scaturì un riconoscimento di fatto di quest’ultima. In tal contesto maturò, con intendi di pacificazione, quella congiuratio (“associazione giurata'’) fra alcune eminenti famiglie, che si pone all'origine dell'ordinamento comunale milanese, testimoniato per la prima volta nel 1097. Nel 1130 i consoli di Milano risultano essere ben ventitré con netta prevalenza dei milites e una minoritaria rappresentanza di lavoratori, cinque in tutto. | consoli costituivano una magistratura collegiale che restava in carica sei mesi la cui consistenza numerica variava dà luogo a luogo; sul finire dell'XI secolo erano in sei a guidare la compagnia communis di Genova. Il nucleo originario degli statuti cittadini era rappresentato da solenni formule di giuramento cioè testi normativi intesi a disciplinare in tutti gli aspetti la vita della comunità. Ai consoli spettava decidere sulle questioni di maggior peso; nella fase piu risalente della vita del comune, le loro deliberazioni necessitavano della ratifica del parlamento” o ‘’arengo’’: assemblea della quale erano chiamati a far parte i maschi in età adulta della città, che fu però, be presto sostituito con consigli piu ristretti, aventi poteri distinti, atti a dibattere piu speditamente i problemi di specifica competenza e a deliberare in merito. L'elezione dei membri di questi consigli variavano dà luogo a luogo. La produzione e la conservazione di documenti relativi all'attività di governo costituirono uno fra i maggiori elementi di novità introdotti dal comune cosiddetto ‘’consolare’’. ® Federico l Barbarossa e la politica italiana. Alla morte di Enrico V, i principi tedeschi elessero imperatore Lotario di Supplimburgo, della casa di Sassonia, cui fece seguito un Hohenstaufen, Corrado III. Presero con ciò a delinearsi, nell’ambito della nobiltà tedesca, due schieramenti, che ebbero denominazione di ‘’ghibellino’’ e ‘’guelfo”. Morto Corrado, venne eletto, secondo le sue indicazioni, un nipote dello stesso, il duca di Svevia Federico, che, era nella condizione di conciliare le casate rivali. Federico, denominato in Italia ‘’barbarossa’’, mostro subito la volontà di rafforzare la scossa autorità imperiale, cui, per il quale spettava il dominium mundi: furono recuperati i diritti sanciti dal concordato di Worms in materia di elezione di vescovi e venne pure strappato e Il comune di popolo. In diverse città le lotte interne approdarono all'affermazione di un governo ‘’popolare’’ stante il fatto che il popolo non ritenne di sopprimere la societas populi, ovvero un comune parallelo, che, nel corso del XIII secolo, si dotò di magistrature e consigli ed ebbe proprie milizie, da schierare contro i nemici esterni e all’occasione a quelli interni. AI vertice della piramide politica, il podestà fu cosi affiancato dal capitano del popolo, piu spesso per solito forestiero, investito di ampie competenze militare, giurisdizionali e finanziarie. I provvedimenti piu importanti assunti dai governi di popolo furono quelli intesi a impedire agli aristocratici l’accesso alle piu alte cariche cittadine: la cosiddetta ‘’legislazione anti magnatizia”. Emblematica il caso di Firenze, dove, salite al potere nel 1282, le arti maggiori istituirono come supremo collegio politico quello dei ‘’priori delle arti”, per poi procedere, sotto il governo di Giano della Bella, all'emanazione degli “Ordinamenti di giustizia’’ (1293). Questi, concepiti per far cessare le violenze delle nobiliari sancirono la vittoria della parte popolare e guelfa e l'effettiva egemonia del popolo grasso. A questo atteggiamento nei confronti dei nobili non corrispose sul versante opposto una politica del comune popolare ispirata a solidarietà nei confronti delle classi piu disagiate, che, per far valere i propri diritti si videro costrette talora all'alleanza con gli aristocratici, in altri casi alla rivolta. Gli stessi provvedimenti di affrancazione dei servi, che furono presi da alcuni comuni urbani non sono da attribuire a speciale sensibilità per i destini dei piu umili, ma piuttosto alla volontà di rafforzare il dominio politico della città in danno dei signori del contado e di accrescere il numero dei contribuenti giacche i servi, in quanto proprietà dei rispettivi domini, non potevano essere chiamati a versare le imposte. Alla luce di ciò, meglio si spiega il fatto che, una volta liverati, essi si vedessero vietata l'immigrazione in città. Dei provvedimenti in questione il piu noto è testimoniato dal Liber Paradisus, con il comune di Bologna, negli anni 1256-57, recuperò alla libertà 5791 persone pagandone il riscatto ai loro signori. La vicenda dei comuni italiani fu accompagnata dalla costruzione di un dominio territoriale gravitante sulla città e tendenzialmente coeso. Di questo territorium civitatis ( o “contado”’) i comuni si dotarono con celerità diversa, dipendendo questa tanto dalla forza militare messa in campo, quanto dall'opposizione incontrata da parte dei signori. La proiezione verso le campagne aveva piu fini: se, per un verso, si voleva garantire uno sbocco alle produzioni acquisendo territori indispensabili per l’approvvigionamento in beni commestibili, si ambiva, per l’altro, a consolidare in termini politico-militari la posizione del comune attraverso la sottomissione di potenziali o dichiarati nemici. L'espansione territoriale, una volta consolidata, dava impulso agli investimenti cittadini in beni fondiari, non solo nel suburbio, ma anche in zone lontane del centro rubano: fenomeno che assunse dimensioni vistose soprattutto a partire dalla metà del XIII secolo, ovvero, per molti comuni, dagli anni dell’incipiente affermazione della parte popolare. 20. Impero e papato nel XIII secolo. Il periodo che sta tra la fine del XII secolo e gli inizi del successivo fu segnato da eventi politici che fortemente incisero su una lunga fase del medioevo. Snodo importante di queste vicende fu la successione sveva al trono normanno di Sicilia, avvenuta alla morte di Guglielmo II. Sposo dell'erede legittima Costanza d'Altavilla, l'imperatore Enrico VI incontrò una fiera resistenza alla sua ascesa al trono nel partito antimperiale, che gli contrappose il figlio naturale di un fratello del defunto Guglielmo, Tancredi conte di Lecce. Questi, incoronato re a Palermo nel 1190, riuscì ad assicurare alla sua causa anche l'appoggio del re d'Inghilterra Riccardo cuor di leone e quello dei papi Clemente III e Celestino III. Morto Tancredi (1194), lo stesso poté, tuttavia, facilmente impadronirsi del regno. Negli stessi anni Enrico VI si trovò a fronteggiare in Germani la rivolta del duca di Sassonia Enrico il Leone e di suoi figlio Ottone di Brunswick. Dopo la crociata Enrico riuscì alla fine ad avere la meglio sugli antagonisti. Ottenuto il vassallaggio dei re d'Inghilterra e di Polonia, Enrico Vi coltivava l'ambizione di costruire una monarchia universale che guardasse anche allo spazio mediterraneo. L’ardito progetto fu stroncato dalla morte improvvisa del sovrano (1197) cui fece seguito quella della moglie Costanza. Federico, loro figlio, aveva allora solo quattro anni. Risolutivo fu il fatto che la madre Costanza, morte il marito, ne avesse affidata la tutela al pontefice Innocenzo III, di cui i re di Sicilia erano vassalli; ne conseguì che, uscito dalla minorità, nel 1208 Federico poté conseguire nella sua pienezza, secondo gli accordi intercorsi con il papa, il titolo regio. La morte prematura di Enrico VI riapri anche i giochi per la successione all'impero. Un ruolo determinante ebbe l'iniziativa del pontefice, il cui sostegno andò a Ottone di Brunswick, che concedeva la corona all’ultimo dei cinque figli del Barbarossa, Filippo di Svevia. Dal conflitto usci vittorioso Ottone, che fu incoronato imperatore nel 1209. Consolidate le sue posizioni prese a rivendicare la sovranità dell'impero sui territori centro—italiani che Innocenzo intendeva guadagnare stabilmente all'autorità della Chiesa. La reazione del papa on si fece attendere: scomunicato lo spergiuro Ottone (1210) un nuovo candidato all'impero fu individuato nel re di Sicilia Federico. Prima di ciò il pontefice aveva ottenuto dallo svevo l'impegno a non riunire le corone di Sicilia e di Germania. Fu un evento militare di grande portata a decidere nei fatti la successione al trono imperiale: il 27 luglio 1214, a Bouvines nelle Fiandre, si affrontarono in battaglia due eserciti l'uno a sostegno di Ottone Brunswick, vedeva schierati il re d'Inghilterra Giovanni Senza Terra e alcuni fra i maggiori feudatari della Francia del Nord; l’altro in appoggio del giovane Federico, aveva il suo nervo nelle truppe di Filippo Augusto re di Francia. A vincere fu il secondo e per Federico, incoronarono re di Germania già nel 1212, si apri la strada al titolo imperiale. e Il pontificato di Innocenzo III. Nel 1198, l'ascesa al soglio papale di Innocenzo III segno l’inizio di un pontificato destinato a dare pieno e coerente sviluppo al progetto coltivato nell’elaborazione politico religiosa del XII secolo: quello di affermare sull'impero e su ogni altro potentato il primato non solo morale ma anche politico del pontefice e della Chiesa. Non solo Innocenzo era stato per due volte decisivo nella individuazione dei candidati al trono imperiale per la loro affermazione, ma aveva anche ricevuto nel frattempo l'omaggio feudale di molti sovrani d'Europa. Un'attenzione costante lo stesso pontefice rivolse anche al consolidamento e all'ampliamento dei territori della Chiesa favorito dalla debolezza dell'impero. Nel Lazio, nelle marche, in Umbria fu formalmente definita la sottomissione di comuni e signori mentre si procedeva a organizzare l’amministrazione dello Stato per province. Vennero così costituite le province di Campagna e di Marittima (nel Lazio meridionale), del Patrimonio di san Pietro in Tuscia (fra alto Lazio e Umbria) del ducato di Spoleto e della marca di Ancona. Non fu difficile per il pontefice ottenere da imperatori il riconoscimento dei nuovi assetti territoriali dello Stato della Chiesa; il risultato fu che fra il regno di Sicilia e le terre padane si interpose un'entità statuale di valenza strategica evidente, che a lungo i papi avrebbero dovuto salvaguardare dal pericolo di un Nord e di un Sud riuniti sotto lo stesso potere. Innocenzo si occupo anche della lotta contro le eresie mettendo in atto una sanguinosa repressione. ® Federicolle il consolidamento del regno meridionale. Durante il lungo soggiorno tedesco iniziato nel 1212 e concluso nel 1220, anno della sua incoronazione imperiale in Roma (22 novembre) e del ritorno nel regno di Sicilia, Federico Il cerco di consolidare i suoi rapporti con i principi tedeschi. Ciò gli costò significative concessioni. Fu così che nel 1213, con la Bolla d'ora emanata a Eger il sovrano rinunciò ai diritti in materia di elezione dei vescovi riconosciuti all'imperatore dal concordato di Worms; si trovò a dover legittimare l'esercizio da parte dei principi di alcune prerogative regie. Anche la corona imperiale, ricevuta dalle mani di Onorio III richiese a Federico l'assunzione di diversi impegni. Il pontefice volle, infatti, che fosse rinnovata dall'imperatore la promessa che l'unione della Sicilia con l'impero sarebbe avvenuta soltanto nella persona del sovrano, senza dunque che essa assumesse un carattere istituzionale. Messo ordine nei rapporti con il bonario pontefice, l'imperatore poteva dedicarsi a sistemare la situazione del regno di Sicilia, dove i baroni, i nobili, avevano approfittato della sua assenza per accaparrarsi beni demaniali e prerogative regie. In questo caso l'atteggiamento di Federico fu improntato alla massima intransigenza, ciò che lo porto ad affrontare in armi i feudatari ribelli e ad abbattere i fortilizi che erano stati costruiti senza il suo consenso; la morsa si strinse anche attorno alle autonomie cittadine, in un clima di restaurazione dell'assolutismo regio che nel codice noto come Costituzioni di Melfi (1231) ebbe la sua primaria espressione politica e legislativa. Altro problema che il sovrano si trovo ad affrontare fu quello dei saraceni che lo costrinsero a ripetute campagna militari; una volta che li ebbe sconfitti li deportò a Lucera, nella Puglia settentrionale, dove concesse loro di vivere un insediamento a se stante. Quest'atto di tolleranza valse all'imperatore l'assoluta dedizione di una comunità che avrebbe fornito a lui e ai suoi successori contingenti di guardie del corpo e truppe di provato valore. Di notevole impatto furono anche le iniziative che Federico Il mise in campo per vivacizzare l'economia del regno, specialmente quelle intese a rilanciare i commerci e l'agricoltura; creazione e organizzazione di masserie regie, le cui pratiche cerealicole e allevatizie garantivano prodotti da indirizzare con profitto anche all'esportazione. La struttura amministrativa dallo Stato, facente capo alla Magna Curia ebbe pur essa l’attenzione di Federico, che fondò a Napoli, nel 1224, la prima università statale europea. Animata dalla presenza della sua corte, Palermo divenne negli anni del suo regno una delle città europee di piu altro profilo culturale. La scuola poetica siciliana vi scandì gli inizi della letteratura in volgare italiano; gli studi giuridici vi furono rappresentati da alcuni dei cultori piu affermati; ne mancarono di riunirsi intorno al sovrano figure di scienziati illustri, come Teodoro di Antiochia, Michele Scoto, Pietro Ispano. In contatto con il sovrano fu il grande matematico Leonardo Fibonacci. Lo stesso Federico si dedicò agli studi con passione e rigore: ci resta di lui il trattato De arte venandi cum avibus, in cui l'interesse per la caccia con il falcone si coniuga con un'attenta e innovativa osservazione del mondo naturale. L'amore che il sovrano nutri per la cultura araba diede occasione ai molti nemici di parte guelfa di attaccarlo duramente, fino a rappresentarlo come strumento del demonio; la scomunica del papa non farà che rafforzare queste posizioni. Per contro, i suoi estimatori ghibellini legarono alla sua persona grandi aspettativa di rinnovamento e di giustizia. La varietà delle posizioni espresse non consente di dubitare che la figura di Federico debba annoverarsi fra quante maggiormente segnarono la vicenda medievale europea. ® Federicoll,lacrociataei Quando, morto Onorio III, gli successe, con il nome di Gregorio IX il cardinale Ugolino di Ostia l’imperatore comprese immediatamente di non poter insistere nella tattica dilatoria che gli aveva permesso fino allora di non partire per la crociata. Scomunicato dal papa nel giugno 1228 si mise sulla rotta d'Oriente, dove, riuscì ad ottenere, grazie a negoziati condotti con il dotto sultano del Cairo Malik al-Kamil la corona del regno di Gerusalemme. 21. Il consolidamento delle monarchie nazionali. Nel 200 si rafforzarono gli ordinamenti monarchici sviluppatisi nel corso dei secoli XI e XII in Inghilterra, in Francia, nella penisola iberica e nell'Italia meridionale. Per quel che in particolare concerne l'evoluzione dei vari assetti politico—istituzionali, si può cogliere un tratto comune che si delineerà fra Tre e Quattrocento. Al re, nelle cui mani si concentra il potere, si affiancavano le forze locali, aristocrazia ed elites urbane, che interagivano in vario modo con l'istituzione monarchica. ® IlregnodiFrancia. Lo scontro militare di Bouvines costituì una tappa fondamentale verso la definizione degli assetti politico territoriali delle monarchie inglese e francese: esse videro infatti i propri confini politici avvicinarsi significativamente a quelli geografici. Ciò risultò determinante per i capetingi, cui l'espansione resa possibile dalla sconfitta inglese, conferì la piena sovranità su uno Stato che stava divenendo sempre più omogeneo. | discendenti di Filippo Il Augusto riuscirono in effetti ad ampliarne notevolmente i confini: Luigi VIII si impose sui signori della Linguadoca consolidato da Luigi IX che nel 1233 ebbe la meglio anche sul conte di Tolosa; con la pace di Parigi del 1259 lo stesso Luigi IX portò inoltre a compimento l'acquisizione del Poitou e dell'Aquitania; sotto Filippo IV il Bello, infine, si affermò il pieno controllo francese su una regione di grande rilevanza economica come le Fiandre. Il re faceva valere ora la sua sovranità su tutto il territorio: richiedeva infatti l'omaggio anche a quanti erano vassalli di altri signori esigeva una tassa sui trasferimenti dei beni feudali. Aveva inoltre la piena potestà legislativa ed esercitava la propria autorità in campo giurisdizionale sull'intero Stato. Per quel che riguarda le istituzioni politico amministrative centrali, sotto Luigi VIII e Luigi IX si ebbe un consolidamento degli apparati di governo: l'amministrazione delle risorse finanziarie fu affidata al Tesoro regio, mentre al Parlamento spettavano le funzioni giudiziarie; a un consiglio ristretto di collaboratori della corona erano invece demandate le questioni propriamente politiche. L'intero quadro istituzionale risultava dunque subordinato al sovrano. Fra la fine del XIII secolo e i primi decenni del successivo l'assetto politico istituzionale del regno si consolidò ancora. Al centro si definirono meglio gli organi preposti all'amministrazione finanziaria, Tesoreria e Corte dei conti. Particolare attenzione pose Filippo il Bello anche al problema del reperimento delle risorse finanziarie con cui far fronte alle esigenze amministrative. Promosse una generale riorganizzazione fiscale, nel cui ambito fu previsto di sottoporre a tassazione anche gli ecclesiastici. ® Ilregno d'Inghilterra. A muovere dalla promulgazione della Magna Charta, anche la monarchia inglese conobbe un progressivo sviluppo dell'assemblea rappresentativa. Una delle importanti novità introdotte dal documento del 1215 consisteva nel fatto che all'assemblea dei maggiori vassalli si riconosceva il diritto di collaborare con il re. Poco dopo la metà del 200 sotto il regno di Enrico III Plantageneto la Magna Curia divenne un'assemblea regolare. Il sovrano aveva ampliato i margini del proprio intervento ad esempio si era superato il sistema dell'appalto nel conferimento degli uffici degli sheriffs, per restituire alla corona la parte dei redditi patrimoniali incamerati dagli appaltatori, provocando il malcontento e rivolte. Ciò apri una nuova fase del confronto politico, che portò nel 1258 all'emanazione delle Provisions Of Oxford: con tale atto si attribuiva al re il dovere di convocare l'assemblea regolarmente. Un ulteriore passo nella direzione di un'effettiva rappresentanza in assemblea dei diversi corpi sociali fu compiuto a partire dal 1268, da quando cioè esponenti delle elites urbane presero a essere convocati con regolarità nel Parlamento. SI ponevano allora le premesse per un'evoluzione dell’organismo parlamentare. Durante la seconda metà del 200 si ebbe un rafforzamento dell'autorità regia, a grazie alla linea di governo avviata da Enrico III e pienamente seguita dal suo successore Edoardo I. Determinante risulta la battaglia di Evesham (1265) in cui venne sconfitto e rimase ucciso il capo dei magnati Simone di Montfort. Questa poté allora riaffermare progressivamente la propria autorità. A tale rafforzamento della posizione del sovrano nei confronti della nobiltà si accompagnarono anche in questo caso un incremento e un riassetto delle entrate fiscali: nel 1283 venne dunque annesso il Galles mentre nel 1269 fu conquistata la Scozia, a seguito della sconfitta patita a Dunbar dal re Giovanni | Balliol. ® Regnilberici. Con la vittoria riportata sui musulmani a Las Navas de Tolosa (1212) si avviò nella penisola iberica, quindi in Portogallo, Castiglia, Navarra e Aragona, un processo di rafforzamento istituzionale e di espansione territoriale della monarchia. Già forti del ruolo di guida militare ricoperto nel corso della reconquista i re si trovarono ora a poter consolidare la propria posizione indirizzando la riorganizzazione politico amministrativa dei territori sottratti alla dominazione musulmana: oltre a regolare la ripartizione delle terre conquistate si ponevano infatti come riferimento politico per le forze che si erano sviluppate nelle aree ricondotte sotto il controllo regio. L'assetto della proprietà vedeva l’esistenza di grandi patrimoni terrieri, accumulati dagli esponenti di quel ceto militare che era stato protagonista dell'impresa bellica contro i musulmani. In un centro politico caratterizzato dal continuo confronto tra re e poteri locali di determinò lo sviluppo delle CORTES: le assemblee rappresentative dell’aristocrazia, del clero e delle comunità cittadine. Tali cortes iniziarono nel 200 a divenire dei veri orfani politici, riuscendo a condizionare il governo regio. Ciò nonostante, l'autorità monarchica si faceva sentire sull'intero territorio del regno. Anche nella penisola iberica la crescita degli apparati monarchici di governo marciò di pari passo con l'espansione dei regni. Nel XIII secolo quello di Castiglia si ampliò ulteriormente verso i territori musulmani. A muovere dal secondo e terzo decennio cominciarono inoltre a manifestarsi le mire espansionistiche della Corona d'Aragona che, conquistate le Baleari (1229-35) e Valenza (1238) avrebbe con Pietro III indirizzato la sua attenzione sulla Sicilia. ® Gli aragonesi, la Sardegna e la ‘’via delle isole”. L'acquisizione della Sicilia da parte degli aragonesi avvenne pochi anni dopo l’infeudazione che i sovrani d’Aragone avevano ricevuto dal papa Bonifacio VIII di un ‘’regnum Sardinae er Corsicae” di fatto inesistenze che rappresentava però l'autorizzazione del pontefici all'occupazione aragonese di tali isole. Si ebbe nei decenni successivi un reale interessamento della Corona d'Aragona alla conquista della Sardegna, nel quadro di un piu ampio progetto di dominazione commerciale del Mediterraneo. La faticosa conquista catalano aragonese della Sardegna ebbe inizio nel 1323; dapprima l’Aragona si scontrò vittoriosamente con Pisa, che dal XII secolo contendeva a Genova il dominio sull’isola. Fu poi proprio la flotta Genovese ad essere sconfitta nel 1353 da quella veneto catalana nella baia di Porto Conte. Genova fu allora costretta ad abbandonare Alghero. Le operazioni conobbero una definitiva accelerazione a seguito della battaglia di Sanluri (1409) nella quale l’esercito aragonese inflisse una dura sconfitta alle truppe sarde del giudicato d’Arborea. Sulla vicenda isolana è necessario spendere qualche parola in più. Dalla seconda metà dell’XI secolo i documenti pervenuti mostrano il territorio sardo diviso in 4 giudicati, o regni, indipendenti: Cagliari, Arborea, Torres e Gallura, ripartizione derivante dall’assetto politico amministrativo bizantino. Il giudicato di Cagliari avrebbe cessato di esistere nel 1258; la fine del giudicato di Torres avvenne in seguito alla morte senza eredi della giudicessa Adelasia. Sulla capitale Sassari e i suoi territori avrebbe esteso il proprio dominio Genova, a seguito della vittoria riportata sui pisani nella battaglia navale della Meloria (1284). L'esistenza del giudicato di Gallura cessò sul finire del XIII secolo. Vita più lunga ebbe il giudicato d'Arborea il quale giunse a riunire sotto di sé quasi tutta la Sardegna. La conquista della Sardegna rappresentò evidentemente un passo fondamentale nella formazione di quella monarchia pluristatuale aragonese che si completo nel corso del 5°decennio del 400 con l'acquisizione del trono napoletano. ® Bonifacio VIlleil conflitto con Filippo il Bello. La costante compromissione della Chiesa nei conflitti politici e militari che segnarono la storia europea del 200 aveva generato malessere in molti ambienti della cristianità. Nel 1294 fu dunque accolta con grande speranza l'elezione a pontefice, col nome di Celestino V, dell'eremita molisano Pietro da Morrone, legandosi a ciò la prospettiva del ritorno a una chiesa evangelica. Il povero frate però non riuscì a sostenere le pressioni su di lui esercitate da parte degli angioini e dallo stesso collegio cardinalizio e, resosi conto di non poter operare come papa, maturò la scelta dell'abdicazione che, nella Commedia, Dante Alighieri volle sanzionare come gesto ‘’vile’’. Fu chiamato a succedergli Benedetto Caetani. Di carattere brusco e volitivo, Bonifacio VIII e si preoccupò anzitutto di eliminare dalla scena il suo predecessore facendolo trattenere nel castello di Fumone dove poco dopo si sarebbe spento. Il progetto teocratico che Bonifacio abbracciò con forza si scontro immediatamente con la realtà delle monarchie nazionali, che, affermatesi ormai saldamente non potevano accettare alcun primato del papa che non fosse meramente religioso. Avendo il re di Francia Filippo il Bello cancello l'immunità delle imposizioni regie di cui godeva la Chiesa il papa fece opposizione ordinando al clero francese di non versare nulla senza la sua autorizzazione (1296); Filippo reagì impedendo che i proventi delle decime raccolte dalla chiesa raggiungessero Roma. Un compromesso si raggiunse infine con il riconoscimento al re del diritto di tassare il clero in particolari urgenze. Nel 1300 per risollevare l’immagine della Chiesa Bonifacio indisse il primo ‘’anno santo’’ o GIUBILEO, accordando l’indulgenza plenaria, ovvero il perdono dei peccati a quanti si fossero recati a Roma per pregare. Ciò tuttavia non aiuto il papa a recuperare il ruolo politico cui ambiva. Lo si vide poco dopo quando Filippo il Bello fece arrestare il vescovo di Pamiers e convoco gli stati generali. Il papa allora emanò la bolla Unam Sanctamm (1302) con la quale, nel solco delle posizioni espresse da Gregorio VII e Innocenzo III, ribadiva che il potere del papa era superiore a quello di chiunque altro. Filippo decise allora di istruire un processo al papa dinanzi a un tribunale francese, chiamando Bonifacio a rispondere dall’usurpazione della cattedra di Pietro. Questi raggiunse il pontefice di Anagni (1303) nel cuore della dominazione laziale dei Caetani, dove risiedeva in quei mesi la curia papale; In ogni caso fu soccorso dagli abitanti di Anagni il papa evita di essere tradotto in Francia, mortificato però dall'accaduto poco dopo mori. A beneficiare della caduta dell’offerta di forza lavoro furono nelle campagne non solo i salariati, ma anche gli affittuari di terre per i quali si dava ora la possibilità di stipule piu vantaggiose che in passato. Nel senese, ad esempio gli anni compresi fra la peste del 1348 e quella del 1363 videro introdursi nei contratti di mezzadria modifiche avvantaggiarono non poco il coltivatore, alleggerendolo, in tutto o in parte, dell'onere del conferimento del seme e del bestiame da lavoro. La controffensiva padronale non si fece attendere. Il ceto dei proprietari infatti prese ad elaborare una risposta che almeno in parte lo avrebbe messo al riparo dalle richieste crescenti dei lavoratori, il cui potere contrattuale restava ben solido. Fin dal 1351 si cercò in Inghilterra di ancorare prezzi e salari al livello del periodo precedente alla peste nera. In Italia, delibare di consigli cittadini e statui comunale testimoniano ovunque con chiarezza una reazione anticontadina delle tinte forti. | doveri dei prestatori d'opera, dei mezzadri, dei locatari cominciarono a essere definiti nei minimi dettagli. Ma soprattutto, venne a essere definita per legge l'entità dei salati, mentre con minuzia si intervenne a regolamentare, dal momento dell'ingaggio al rientro in città, la giornata del bracciante. ® Tensionisociali e rivolte nelle campagne. L'inasprimento della pressione signorile sui sottoposti e la stretta voluta dei proprietari terrieri a tutela della rendita fondiaria e dell'equilibrio sociale minacciato posero rapidamente fine alla stagione dei salari alti e spinsero nella spirale dell'indebitamento dell’emarginazione una quota importante dei lavoratori della terra. Al contempo, la persistente propensione dei cittadini all'investimento fondiario sottraeva una quota sempre maggiore delle terre al controllo dei ceti rurali, incrementando con ciò il numero dei braccianti. Nella seconda metà del 300 insofferenza e spirito di rivolta presero a serpeggiare fra gli abitanti delle campagne non meno che fra i ceti subalterni delle città. Gran parte dell'Europa fu interessata dal fenomeno. In Germania e in Austria le popolazioni insorsero contro un’oppressione signorile fattasi piu pesante tanto in ragione della crisi agraria quanto per le difficoltà create dalle strategie sempre più pressanti dei maggiori potentati territoriali. È tuttavia in Francia, in Inghilterra e in Italia che si verificarono i sommovimenti di maggiore portata. La Jacquerie francese esplose violenta verso la fine di maggio 1358 nell’Ile de France. Ai ribelli andò ben presto l'appoggio della borghesia parigina, che, guidata da Etienne Marcel, autorevole prevosto dei mercanti, vide in quest’alleanza la possibilità di ridurre il potere politico dei nobili e di cancellarne i privilegi. Le cose andarono diversamente e il 9 giugno, sul campo di battaglia di Mello, con la stessa rapidità con cui aveva preso piede, la rivolta fu domata. Nel maggio 1381 fu la volta dei contadini inglesi, la cui insurrezione, occasionata dall'esazione di un'imposta personale (poll tax) che triplicava quella del 1377, affondava le radici nel malcontento derivante dall’inasprimento della soggezione al ceto signorile e negli effetti prodotti dalla normativa sul lavoro dipendente introdotta nel 1351 con lo scopo di porre argine all'aumento dei salari. | ribelli trovarono il loro capo in Wat Tyler e convinti sostenitori in alcuni esponenti del basso clero, come John Ball, pervasi da aspirazioni egualitaristico evangeliche. Diversamente da quanto era accaduto con il movimento francese si arrivo ad avanzare richieste precise quali l'abolizione del servaggio, l'aumento dei salari. Anche tale rivolta però verrà domata alla metà di novembre quando intervenne un'amnistia regia. Già nell'estate Tyler e Balla avevano trovato la morte insieme a molti rivoltosi. È motivata opinione di alcuni storici però che la ribellione sia valsa comunque a porre un freno all’arroganza del potere signorile. A un ambito territoriale assai ampio è legata anche la vicenda dei ‘’tuchini’’,che, pur con connotazioni diverse, investi i territori del Piemonte nel XIV secolo. Fu contro la fiscalità sempre piu oppressiva messa in atto dai conti di Savoia, dai marchesi del Monferrato, dai minori potentati feudali che si sollevarono i contadini Piemontesi, ottenendo inizialmente successi militari rilevanti e giungendo nell’inverso 1387 a minacciare Torino. Privi di un'adeguata strategia politica e di un efficace coordinamento operativo essi finirono col soccombere di fronte all'offensiva congiunta delle milizie sabaude e di alcuni esercii comunali, non senza aver ottenuto, comunque, da Amedeo VII di Savoia concessioni significative. Carattere politico di spiccata originalità ebbe, poi, la rivolta che nel 1462 vide protagonisti in Catalogna i contadini de remensa: lavoratori legati alla terra e costretti, quando volessero lasciarla, a pagare un riscatto (remensa) al signore. Con l'appoggio della corona in funzione antinobiliare essi diedero vita a un'insurrezione generale, le cui vicende si sarebbero intrecciate con quelle della guerra civile catalana. Ferdinando il Cattolico sarebbe intervenuto a garantire ai contadini ribelli la libertà personale per cui avevano combattuto e a sopprimere i malo usi con cui gli stessi erano angariati dai signori. * Lerivolteurbane. Dopo il tumultuoso sviluppo del XIII secolo molte città europee furono percorse da fermenti nuovi. E facile individuare i protagonisti di queste lotte nella vasta schiera dei lavoratori salariati, cui l'ingaggio presso botteghe assicurava a mala pena e con discontinuità l'indispensabile per una stentata sopravvivenza, e nei piu poveri fra gli artigiani, la cui esistenza si andava complicando a seguito delle modifiche intervenute nei processi di produzione, sempre piu largamente dominati dai grandi mercanti. Questi controllavano in taluni settori la distribuzione della materia prima, attivamente operando come intermediari fra produttori e maestranze. Questi puntavano a monopolizzare il commercio del prodotto finito, fonte dei maggiori profitti. Ben si comprende come ciò scardinasse completamente l'assetto di produzione preesistente. E necessario osservare in aggiunta che il malcontento serpeggiante fra i salariati e l’insofferenza degli artigiani di piu debole condizione di fronte a meccanismi che li avevano ridotti al ruolo di lavoratori dipendenti restavano privi di un'espressione politica che potesse fungere da veicolo di proposta e di mediazione: non vi era per i salariati alcun riconoscimento di diritti politici. Se la via dell’agitazione e della ribellione fini con l'essere quella piu frequentemente percorsa, vari furono i contesti in cui ebbe a snodarsi e diverse le caratteristiche che assunse in termini di alleanze e contrapposizioni sociali e politiche. Già agli inizi del XIV secolo nelle maggiori città fiamminghe, polo avanzato della produzione tessile i lavoratori della lana portavano vanti risolutamente precise strategie. Le loro organizzazioni avrebbero qui scalzato le oligarchie urbane dalle posizioni di potere, giungendo anche a sconfiggere in campo aperto gli eserciti del re di Francia chiamati in soccorso. Il fronte stesso dei lavoratori era travagliato da insanabili discordie che impedirono ad artigiani e salariati di prendere stabilmente il sopravvento. Anche in Francia e in Germani rivolte urbane promosse dai ceti piu disagiati non mancarono ancor prima che il pieno dispiegarsi della crisi giungesse a esacerbare odi e contrasti. In Italia i disordini scoppiarono nelle città dove un maggiore sviluppo delle attività artigiane e forme già avanzate di divisione del lavoro avevano finito con l'incrementare non poco la schiera dei salariati e col produrre un crescente malcontento fra gli artigiani piu poveri. Sommovimenti e tensioni sempre piu gravi e diffuse si registrarono a partire dagli anni quaranta del 300, ma fu nel 1371 che prima a Perugia, poi a Siena (‘’sommossa del Bruco’) si verificarono rivolte spontanee di piu vasta portata. Invero, nella maggiore delle città toscane si erano registrati anche in precedenza episodi che segnalavano in modo chiaro il malessere del popolo minuto. Alla vicenda di Gualtieri di Brienne, capitano di guerra che si era insignorito della città (1342) ottenendo l'appoggio di artigiani e piccoli commercianti, aveva fatto seguito il drammatico episodio della condanna a morte del cardatore Ciuto Brandini (1345), reo ali occhi dei governanti di aver promosso una ‘’fraternita” fra scardassieri in difesa del quale vanamente erano accorsi i suoi compagni. Miglior esito avrebbe avuto nel 1347 la lotta dei tintori, che pur non riuscendo a conseguire l’obiettivo della costituzione in autonoma corporazione ottennero, nondimeno, che fosse da loro designato uno dei nove consoli chiamati a reggere l’arte della lana. Tutto ciò resta ben lontano dalla portata degli eventi che nell'estate del 1378 avrebbero scosso la vita di Firenze per la rivolta dei piu umili lavoratori della produzione laniera, i Ciompi, decisi all'affermazione dei propri diritti politici e al miglioramento delle condizioni economiche. Insorgendo essi rivendicarono, col “programma del Ronco”, la fine della subordinazione all'arte della lana, il riconoscimento di un'arte autonoma dei salariati tessili. Anche grazie all'alleanza con gli artigiani piu poveri, i ciompi conseguirono inizialmente alcuni degli obiettivi primari della rivolta: furono create tre arti e venne a essa concessa una presenza paritetica all’interno del massimo organismo di governo, il priorato. Il radicalizzarsi dello scontro aprirono la strada al tragico epilogo della vicenda. La repressione messa in atto in fine d'agosto dalle milizie delle arti maggiori e minori fu oltremodo violenta; oltre 300 furono le condanne emesse contro altrettanti salariati, una trentina alla pena capitale. ® Leattività commerciali. Protagonismo e crisi della compagnie mercantil Il ruolo avuto dai mercanti italiani non venne certo meno col declino delle fiere della Champagne. Fino al quarto decennio del 300 decisivo fu il loro coinvolgimento nell’esportazione della lana inglese a indirizzo delle Fiandre e della stessa Italia. I mercanti di provenienza italiana non agivano da soli ma riuniti in COMPAGNIE che erano presenti in tutte le maggiori piazze di commercio dell'Europa occidentale e del Mediterraneo. Si trattava di società dalla struttura centralizzata che potevano contare su competenze di carattere economico—finanziario di buon livello e su un'ottima rete di agenti-informatori. Il capitale di cui le compagnie disponevano derivava principalmente dai soci, ma poteva provenire anche dai depositi di clienti con i quali era stata concordata una remunerazione a un tasso definito. La contabilità “a partita doppia”, introdotta già prima del 1300, agevolo la tenuta dei conti consentendo di conoscere, nel momento stesso in cui ogni operazione veniva svolta, il credito e l'addebito. Ed infatti le tecniche commerciali e finanziarie messe a punto dai mercanti italiani tra 200 e 300 continuarono a essere utilizzate fino alla piena età moderna. Sulle grandi rotte del commercio internazionale, i mercanti toscani si trovavano spesso a operare insieme con i veneziani che animavano traffici di notevole portata. Una o due generazioni dopo Marco Polo furono i veneziani e i genovesi a tentare, protetti dalla pax mongolica, la strada del contatto diretto con l'India e la Cina. La prospettiva era quella di vendere panni e tele di raffinata fattura e tornare con carichi di seta, spezie e perle. Venezia e Genova mantenevano il loro protagonismo anche in ambito mediterraneo, intrecciandosi le loro strategie con quelle della Corona d'Aragona, delle quali si è detto. All’inizio del XIV secolo l'impero marittimo veneziano si estendeva dalle coste croate fino a Messina, a Creta; colonie Genovesi erano invece presenti nelle maggiori delle Sporadi e in Crimea. A muovere dagli anni 50 la rivalità fra Genova e Venezia, per la supremazia commerciale nel Med. Orientale, determinò uno stato di lotta aperta che culminò nella guerra di Chioggia (1378—81): la flotta genovese sconfisse quella veneziana a Pola impadronendosi di Chioggia (1379) e costrinse alla resa Venezia (1380) che, con la pace di Torino del 1381, subì alcune perdite territoriali. A cavallo fra XIII e XIV secolo si andava invece evidenziando la tendenza alla sedentarizzazione di molti dei protagonisti e si cominciava anche, da parte degli stessi, a investire in beni fondiari i capitali acquisiti con i commerci. Il fallimento di compagnie senesi e lucchesi registratosi negli anni fra 200 e 300 rappresentava però un campanello dall'arme che non si poteva ignorare. Più profondamente che nel passato, si aggiunga, influì sulla trama commerciale l'intervento dei poteri pubblici, volto a garantire ai mercanti la protezione di cui avevano bisogno, la giustizia in caso di controversie e a fronte di violente patite, i privilegi che, riequilibrando in qualche modo il maggior rischio, potevano incoraggiarne l'afflusso. al trono l’unico re hussita della storia boema, Giorgio Podebrady che sottrasse la corona al controllo delle dinastie imperiali dei Lussemburgo e degli Asburgo. 24. Gli stati europei nei secoli XIV e XV. ® Glistatitardomedievali. Fra Tre e Quattrocento le diverse formazioni statuali presenti in Europa furono interessate da processi di accentramento politico che conferirono loro una nuova fisionomia. L'attuale storiografia non propone piu una lettura di tipo teleologico, volta cioè a ritrovare nello Stato tardomedievale una prefigurazione di quello moderno; al contrario cerca di metterne a fuoco le specificità, seguendone gli sviluppi nelle varie aree. Vengono così individuate alcune linee di tendenza comuni alle dinamiche politiche e istituzionali proprie delle diverse regioni europee. Ebbe ovunque una crescita degli apparati statali di governo. Ando cosi potenziandosi la rete di funzionari preposti ai vari settori della pubblica amministrazione: gli ‘’officiali’’ esercitavano le proprie funzioni nell'ambito delle struttura di governo centrali e di quelle che si articolavano nella ‘’periferia’” degli Stati. Le necessità legate al mantenimento del corpo degli ufficiali determinarono naturalmente un aumento della spesa pubblica. Dovettero essere così incrementati i proventi delle imposte indirette mentre mantenne una larga diffusione la tassazione diretta. Ciò portò a uno sviluppo dei sistemi fiscali. Altro elemento fu l'affermazione delle assemblee rappresentative delle classi o ‘’corpi’’ della società. Gli aspetto richiamati conferivano agli Stati tre-quattrocenteschi un carattere territoriale e nazionale. Si trattava infatti di entità politico territoriali sempre piu definite e unitaria, delimitate da frontiere che svolgevano la funzione di individuare precisamente lo spaio entro il quale un popolo era sottoposto a un potere centrale. Al contempo il profilo di una ‘’comunità nazionale”; tale processo era sospinto dall'uso di una lingua comune, la cui diffusione venne in qualche caso promossa dai sovrani o si accompagnò ai movimenti di riforma religiosa. Nell'ambito di ogni Stato si diffuse inoltre il culto del santo protettore del re o del paese. La nascita delle nazioni rappresentò l'approdo di dinamiche politiche, sociali e culturali che coinvolsero popoli di diversa identità e tradizioni radicati nell’ambito territoriale dei vari Stati. ® Franciae Inghilterra: le monarchie trecentesche. Il processo di accentramento politico interesso soprattutto la monarchia francese e quella inglese: fin dal 200 si era andato sviluppando in Francia e in Inghilterra un nuovo modello di stato monarchico, caratterizzato da un rafforzamento del potere centrale; furono poi gli eventi bellici che coinvolsero i due paesi fra Tre e 400 a costituire il quadro che rese possibili gli ulteriori sviluppi dello Stato in senso territoriale e nazionale. Come si è visto il regno dei capetingi conobbe una significativa espansione territoriale, e un rafforzamento delle funzioni pubbliche della monarchia; ulteriori progressi nelle due direzioni si registrarono sotto Filippo III l’Ardito e soprattutto sotto Filippo IV il Bello. Gli apparati di governo centrali e periferici continuarono a irrobustirsi nel corso del 300. Andava crescendo progressivamente anche il peso politico delle assemblee rappresentative. Gli ‘’Stati Generali”, cioè la riunione dei rappresentanti dei tre principali ‘’corpi’’ della società- clero, nobiltà e ceti urbani - vennero infatti a costituire lo strumento istituzionale attraverso il quale i diversi poteri locali riuscivano a intervenire nelle scelte di governo. Convocati per la prima volta nel 1302 da Filippo il Bello al fine di raccogliere il consenso delle varie forze sociali di fronte allo scontro con il papato, nel corso del secolo gli Stati generali furono consultati per affrontare vari problemi di ordine politico amministrativo. Si consolido così il legame fra il sovrano e la società, fra lo stato e il paese. Un'organizzazione politico istituzionale si andava realizzando anche nelle regioni francesi che non erano sottoposte alla corona. Nei cosiddetti appannaggi, territori devoluti a membri della famiglia reale, e nei principati che insistevano lungo i confini del regno il potere politico si andò strutturando attraverso lo sviluppo di apparati di governo centrali e territoriali. Nel XIV secolo, dunque, il sovrano non controllava ancora l’intero territorio nazionale. Particolarmente precoce fu la formazione di un ordinamento statuale in Inghilterra: essa vide, già dai secolo XII e XIII, lo sviluppo di un reticolo istituzionale capace di garantire ai plantageneti un sicuro controllo amministrativo. Nel 300 si affermò il Parlamento, che, assunse un ruolo stabile e formalizzato come istituzione del regno. Il Parliament era organizzato secondo un modello bicamerale: i lords (signori) o peers (pari), cioè gli esponenti dell'alta aristocrazia (nobility), componevano la camera alta; della camera bassa, detta anche dei comuni, facevano invece parte i rappresentati della medie e piccola nobiltà (gentry), ed anche le elites urbane che si esprimevano per mezzo di un portavoce, lo speaker. Il parlamento configurandosi altresì come il luogo istituzionale preposto alla composizione dei conflitti politici fra i diversi ordini della società. Tratto peculiare dello Stato monarchico inglese risulta in definitiva la centralità politica che le elites locali andarono acquisendo fra XIII e XIV secolo, a cominciare dalle conquiste garantire della Magna Charta fino ad arrivare all'istituzionalizzazione del Parlamento. ® Franciae Inghilterra: la guerra dei Cent'anni e le vicende di fine 400. Proprio l'intreccio di rapporti che legavano le due corone e l'esistenza di forti interessi inglesi sul continente furono alla base della cosiddetta ‘guerra dei Cent'anni’' il conflitto che oppose Francia e Inghilterra fra il 1337 e il 1453. Se i sovrani inglesi aspiravano alla conservazione die propri domini nel Sud—Ovest della Francia, ai re di Francia, al cui azione politica mirava all'esercizio della sovranità su un territorio omogeneo, appariva non piu tollerabile la presenza in tale ambito di altre autorità. Causa scatenante del conflitto fu la crisi dinastica apertasi nel 1328, quando, morto senza lasciare eredi il re Carlo IV ed estintasi cosi la dinastia dei capetingi, Edoardo IIl d'Inghilterra rivendico la successione al trono; la corona andò invece a un parente di Carlo IV, Filippo VI con il quale si impose la dinastia dei Valois, destinata a governare la Francia per circa due secoli. L'inizio ufficiale delle ostilità lo si ebbe nel 1337, quando Filippo, rivendicando la propria sovranità, confisco a Edoardo III le terre d'Aquitania e questi, sbarcato nelle Fiandre, si proclamò a sua volta, re di Francia. La prima fase del conflitto fu nettamente favorevole agli inglesi, che a Crecy (1346) e a Poitiers (1356) inflissero al nemico una dura sconfitta. Il malessere sociale che veniva manifestandosi in ambedue i paesi a seguito del perdurare della guerra spinse i contendenti a siglare un trattato di pace (Bretigny, 1360) con il quale Edoardo III si vide riconosciuto il possesso in piena sovranità di circa un terzo del territorio francese in cambio della formale rinuncia a ogni diritto sul trono di Francia. Dal 1369 fu però nuovamente guerra e la tattica di logoramento dei francesi porto Carlo V a recuperare gran parte dei territori ceduti con la pace di Bretigny. Gli ultimi decenni del XIV secolo furono segnati da forti sommovimenti sociali. In Francia, la minorità e la malattia mentale di Carlo VI posero di fatto il potere regio nelle mani di due principi irriducibilmente antagonisti: Luigi d'Orleans e Filippo Il l’Ardito. L'uccisione del primo (1407) per una trama ordita del figlio di Filippo, Giovanni, diede vita a due fazioni armate: i ‘“’borgognoni” e gli ‘’orleanisti’’. Dalle lotte intestine francesi fu pronta ad approfittare l'Inghilterra, dove si era avuta l'ascesa al trono della dinastia dei Lancaster. Chiamato in soccorso dai borgognoni, Enrico V sbaragliò l’esercito francese sul campo di battaglia di Azincourt (1415) procedendo a occupare negli anni successivi gran parte della Francia del Nord Ovest. Carlo VI, prigioniero, dovette sottoscrivere il trattato di Troyes (1420) con il quale gli si imponeva di diseredare il figlio e di riconoscere come successore Enrico, cui avrebbe concesso in moglie la figlia Caterina. Ben presto, tuttavia, i due sovrani morirono (1422) lasciando una situazione che vedeva, a nord della Loira, il regno franco inglese di Enrico VI (1422—1471) sempre alleato dei borgognoni e confinati nel Sud della Francia, i territori del delfino Carlo, figlio di Carlo VI. In questo contesto una svolta decisiva fu determinata dall’ingressa di Giovanna D'Arco, una contadina originaria della Lorena, che, sulla spinta di un misticismo visionario convinse Carlo VII a riprendere l'iniziativa militare e ad accordarle il comando di un contingente armato. La città di Orleans fu cosi liberata dall’assedio degli inglesi ( maggio 1429) e altri successi seguirono. Nel luglio 1429 Carlo poté essere incoronato re di Francia a Reims. L'anno successivo Giovanna fu però catturata dai borgognoni e processata a Rouen da un tribunale ecclesiastico, che la condannò al rogo per eresia. Il fatto però non fermò la riscossa dei francesi che nel 1436 ripresero Parigini e poi anche gli altri territori. Nel 1453, quando le ostilità cessarono, a quest'ultimi non rimaneva che Calais, sulla Manica, destinata a tornare alla Francia solo nel 1558. Dopo la fine della guerra anglo—francese, i successori di Carlo VII, Luigi XI e Carlo VIII completarono l’azione di recupero territoriale. Nel 400, dunque, l'autorità del re fini con l’imporsi su quasi tutta la Francia, irrobustita dalle vittorie riportate in guerra. Per l'Inghilterra il 400 risultò invece un secolo contrassegnato da una forte instabilità politica. A essa contribuirono la lunga minorità e la precaria salute mentale di Enrico VI. Fu in tal contesto che alla metà del secolo deflagrò il conflitto dinastico fra i duchi di Lancaster e di York, conosciuto come ‘guerra della due rose”. Dopo una fase in cui gli York sembrarono prevalere con l'incoronazione di Edoardo IV la guerra civile si concluse con l'ascesa al trono di Enrico VII della famiglia dei Tudor, che era imparentato con i due casati rivali che nel 1486, sposando una York, unificò le due dinastie nella propria. Enrico dispiegò la sua azione per risollevare le sorti del paese e riavviare un'economia che aveva subito gravi danni per l'imperversare della guerra. Il sovrano ebbe anche buon gioco nel rafforzare l'autorità regia potendosi avvalere a tal fine sia di strumenti amministrativi di sperimentata efficacia sia degli enormi patrimoni accumulati dalla corona. Ceti urbani piccola e media nobiltà sostennero il re nei suoi sforzi, aiutandolo anche nel contenimento dei poteri dell’aristocrazia maggiore, sulle cui tentazioni di ricostituire milizie private fu chiamato a vigilare il tribunale della ‘’camera stellata”. ® regni della penisola Iberica. Nel 300 l'assetto geopolitico della penisola iberica era caratterizzata dalla presenza nel Centro Nord di 4 regni cattolici: Portogallo, Castiglia, Navarra e Aragona e nel Sud da quella del regno musulmano di Granada. A emergere sul piano economico e politico furono i regni di Castiglia e di Aragona, le cui corone si unirono nella seconda metà del 400. Durante i primi decenni del 300 la monarchia castigliana cerco di intensificare il controllo esercitato sulle dinamiche politiche: gli sforzi si orientarono in particolare verso il contenimento delle prerogative cittadine, che vennero ridimensionate mediante la soppressione delle leghe urbane, le hermandades, e il diretto controllo delle amministrazioni locali da parte degli ufficiali regi. La nuova case regnante scelse di affidarsi maggiormente ai poteri locali per il governo dello Stato. Le famiglie aristocratiche di spicco acquisirono così il controllo diretto degli estados, circoscrizioni territoriali molto ampie che potevano includere piu città. Nel regno di Aragona il potere monarchico dovette misurarsi con l’accentuato peso politico delle cortes, soprattutto di quelle catalano aragonesi. La storia tre-quattrocentesca delle due monarchie fu segnata da crisi dinastiche e da intrecci fra le case regnanti. L'unione fra le due famiglie regnanti si realizzò nel 1469, con il matrimonio di Isabella, erede al trono di Castiglia, e Ferdinando, erede di quello aragonese; nel 1479, con l'ascesa al potere di quest'ultimo si ebbe poi l'unificazione su base personale dei due regni, che rimasero costituzionalmente distinti. Gradualmente il potere regio estese il proprio controllo sulle altre forze politiche del paese senza riuscire tuttavia a cancellare i particolarismi regionali. All’unificazione politica del regno non corrispose in effetti il maturare di una coscienza nazionale unitaria. Oltre alle differenti tradizioni politiche, è da considerare la distanza che separava le due regioni sotto il profilo economico. L'economia catalano—aragonese fu legata fin dal 200 ai traffici marittimi del Mediterraneo. Al contrario la vita economica castigliana resto ancorata prevalentemente all'agricoltura e all'allevamento. Boemia furono unite in una grande monarchia sovranazionale per opera del re Ladislao VII Jagellone, che regnò su ambedue le regioni. ® L’affermazione del principato di Mosca. Per quanto riguarda l’area compresa fra la Lituania e gli urali, la più antica formazione politico territoriale fu il regno di Kiev la cui area di influenza si estendeva dal Mar Nero al Mar Bianco. Nel corso del 200 il regno crollò sotto la pressione dei mongoli, popoli che, provenienti dalle steppe asiatiche, estesero il proprio controllo fino all'odierna Russia. Fra XIII e XIV secolo la fine dell’espansionismo dei mongoli e l’indebolimento della loro presenza consentirono l'ascesa di alcuni principati, come quelli di Novgorod e di Mosca e fu in particolare quest’ultimo ad acquisire un crescente rilievo. Fu infatti spostata da Kiev a Mosca la sede del metropolita ortodosso (1326) mentre sotto Ivan | i principati moscoviti comprarono dai mongoli il titolo di ‘’Grandi principi di tutta la Russia”. La centralità assunta dalla città di Mosca determinò la definitiva ascesa del principato. Lo stato moscovita si consolidò pienamente nella seconda metà del 400 sotto Ivan III il Grande che si attribuì il titolo di ‘’zar di tutta la Russia”. Dopo la conquista turca di Costantinopoli (1453) fu Mosca ad ereditare il ruolo di capitale della Chiesa cristiana di rito greco: lo zar, sposata la figlia dell'ultimo imperatore bizantino, si proclamò protettore della fede; nel 1480, infine, Ivan III raggiunse la completa indipendenza dai mongoli, rifiutando di versar loro i tributi. ® Caratteri delle monarchie europeo —orientali. Se confrontiamo le realtà monarchico —principesche dell'Europa orientale con quelle occidentali, emergono alcune importanti analogie. Nel corso del 300, riguardo agli apparati di governo, soprattutto in Polonia, in Boemia e in Ungheria andò sviluppandosi un sistema fiscale caratterizzato dalla regolarità delle imposizioni, si formò cosi un corpo di funzionari dipendenti dal sovrano, in modo simile a quanto si verificava negli stati Occidentali. Nel rapporto fra il re e gli altri soggetti politici sono invece riscontabili significative differenze. Abbiamo già osservato come i paesi slavi fossero perlopiù caratterizzati da una scarsa articolazione sociale. | ceti urbano non vi esercitavano un grande peso politico mentre era l'aristocrazia il principale interlocutore del sovrano. A differenza di quanto accadeva in Francia e in Inghilterra, il rapporto fra monarchia e nobiltà non era però tale da favorire il consolidamento delle strutture statali. Nonostante ciò, grazie alla formale rappresentanza garantita alle diverse componenti sociali (‘’stati’’) in Polonia, Boemia e Ungheria, si riuscì a mantenere un certo equilibrio: la ‘’dieta’”’ poteva infatti esercitare il diritto di veto rispetto ad alcuni dei provvedimenti regi. Il quadro mutò notevolmente fra Tre e 400, quando si accentuò la forza politica delle assemblee e fu esclusivamente l'aristocrazia a orientarne l'azione. Intorno alla nobiltà andò inoltre maturando una coscienza nazionale, mentre la corona, appannaggio spesso di casate straniere, poteva addirittura essere sentita come estranea alla tradizione culturale del paese. Se, dunque, in Inghilterra e in Francia l'aristocrazia era partecipe di una struttura amministrativa controllata dal re, negli Stati europeo orientali la sovranità regia non poté affermarsi pienamente. Molto particolare risulta infine il caso dello Stato russo: il processo di forte centralizzazione monarchica avviato da Ivan III presentava caratteri assai peculiari. Non si può infatti parlare di ‘monarchia degli stati”, poiché manca qualsiasi dialogo fra lo zar e l'aristocrazia: Ivan III assoggettò completamente i boiari, cioè l'alta nobiltà, e la ‘’duma”’, l'assemblea che ne era portavoce. Il potere degli zar fu quindi caratterizzato da un'accentuata tendenza autocratica. 25. Signorie, regimi oligarchici e Stati regionali in Italia alla fine del Medioevo. ® Originie prime sperimentazioni del regime signorile. Nel corso del XIII secolo si evidenziarono le difficoltà che il comune cittadino incontrava nel dare stabilità ai propri ordinamenti e nel disciplinare l'antagonismo degli autonomi nuclei di potere. La coesistenza di ceti di varia connotazione sociale ed economica, in perenne competizione fra di loro, generava dinamiche politiche di notevole complessità, destinate a risolversi nello scontro armato. Ben si comprende come ampi spazi si aprissero in tal contesto all'iniziativa di chi, approfittando della perenne instabilità della situazione volesse tentare l'ascesa al potere per insediarvisi più o meno durevolmente. Nacquero così, dal corpo stesso del comune, le ‘’signorie’’ rubane che diedero alla città una nuova dimensione politico istituzionale. Fra le prime esperienze di dominazione signorile assunse particolare rilievo la vicenda di Ezzelino IIl da Romano, che, riuscì a imporre il proprio dominio su Verona estendendolo subito dopo a Vicenza, Padova e Treviso. La forza di Erzelino derivava da una solida base di potere concentrata soprattutto nella Marca trevigiana. La signorina ezzeliniana ebbe termine a seguito della sconfitta subita da Ezzolino a Cassano d'Adda (1259) per parte di un esercito che riuniva e milizie dei suoi numerosi nemici, agli ordini di Oberto Pelavicino. Questi, signore di numerosi castelli e fortezze in area padana fu protagonista di una consimile vicenda che lo vide pervenire alla signoria su molte città lombarde, piemontesi ed emiliane. Tale signoria prese a disgregarsi già prima della morte del titolare (1269) a seguito della discesa in Italia degli angioini e dei successi delle milizie guelfe. Meno effimere delle esperienze signorili legate a dinastie feudali furono quelle che scaturirono in via diretta della dinamica politica del comune urbano, quasi sempre a beneficio di famiglie di tradizione militare. A Ferrara si ebbe l'affermazione degli Este, che nel 1240 ebbero la meglio sui rivali Torelli, ottenendo poi per la persona di Obizzo il formale riconoscimento della signoria e l’ereditarietà della stessa (1264). In Veneto, la caduta di Ezzelino IIl da Romano apri la strada a nuove soluzioni. A Verona la signoria scaligera si impose, con Mastino della Scala in continuità con quella ezzeliniana, ciò che poté accadere per l'iniziativa della domus mercatorum preoccupata di mantenere la propria egemonia ricorrendo a un dominus che si facesse garante dei suoi interessi. In Padova si sarebbe affermata la signoria dei da Carrara, destinata a conoscere il momento piu felice della sua parabola nella seconda metà del 300 con Francesco I, poco prima di essere cancellata, agli inizi del 400, dai veneziani. Vicenda di maggior complessità fu quella che porto la famiglia dei Visconti alla signoria su Milano. Furono dapprima i della Torre a ottenere, nei decenni centrali del XIII secolo il controllo delle magistrature comunali. Nonostante il supporto di una vasta clientela, i torriani non poterono contrastare la parte nobiliare che proclamò signore l'arcivescovo Ottone Visconti. La posizione viscontea si rafforzò con la designazione di Matteo Visconti a capitano del popolo (1287) a cui si sarebbe aggiunto, nel 1294, il vicariato imperiale. Andava avanti la costruzione di uno stato di tipo principesco, che vedeva la definizione e il consolidamento dell'assetto amministrativo e in un collegamento sempre più stretto con la volontà del signore. Quanto fin qui illustrato consente di osservare come l'affermazione di regimi signorili sia avvenuta attraverso l'affermazione di un potere effettivo che non comportò alcun sovvertimento del profilo costituzionale casi in cui il passaggio alla signoria ebbe un formale riconoscimento nell’attribuzione del titolo di signore. Poterono, altresì, presentarsi in successione fasi diversamente caratterizzate, con duraturi approdi di carattere signorile, come pure vicende in cui i meccanismi di acquisizione del potere operarono su terreni diversi. Comunque, avvenuto, il passaggio dal regime comunale a quello signorile non ebbe sempre carattere di irreversibilità. Vi furono infatti contesti in cui si ebbe un ricorso intermittente al governo signorile o in cui questi si configurò come una parentesi; esaurite tali esperienze, gli ordinamenti comunale tornarono in vigore. È in Toscana che ciò accadde più frequentemente. Possono ricordarsi, al riguardo, la signoria pisana di Uguccione della Faggiuola, capo dello schieramento ghibellino toscano, che dovette lasciare la città a causa di una rivolta popolare. Esperienza analoghe visse anche Firenze, nella quale il malessere dei ceti più disagiati colpiti dalla crisi economica che si sommava all’irrequietezza della nobiltà. Tutto ciò spiano la strada alle brevi signorie di Carlo di Calabria (1325— 1327) figlio di Roberto d'Angiò e di un avventuriero francese che si fregiava del titolo di duca d’Atene. ® Le spedizioni imperiali in Italia e la fine del sogno ghibellino. Con gli eventi di natura politico istituzionale e militare vennero a intrecciarsi, nei primi decenni del 300, gli interventi nella penisola di due imperatori: Enrico VII di Lussemburgo -----: 81308—1313) e Ludovico IV il Bavaro (1314— 1346). Salito al trono di Germania nel 1308, Enrico VIII, torna a rivolgere la sua attenzione all’Italia, dove in molti ne invocavano la venuta. Messosi in marcia nel 1310, Enrico ricevette quell’anno stesso la corona d’Italia, poi, a Roma (1312) quella di imperatore. Tuttavia, si rivelò per lui un viaggio pieno di difficoltà. Drammatico ne fu l'esito: mentre lungo la via Francigena ripiegava verso nord, Enrico VII si ammalò di materia e mori portandosi dietro le anacronistiche speranze del ghibellinismo italiano. Anche il suo successore Ludovico IV il Bavaro scese fino a Roma, chiamato dalle forze ghibelline, per cingervi la corona imperiale, che ricevette in Campidoglio da Sciarra Colonna (1328). SI trattò di un procedimento rivoluzionario messo in atto contro la volontà del papa che già in precedenza aveva scomunicato l'imperatore. La sua volontà di tornare a ingerirsi efficacemente nelle vicende d’Italia usciva mortificata dalle spedizioni d'inizio 300. Nondimeno il sovrano poteva ancora fungere da ‘’strumento di legittimazione del potere signorile”’ (ibid), come via via mostreranno le concessioni dei titoli di vicario imperiale, poi di duca o marchese, a beneficio di vari detentori di signorie. ® VersogliStati regionali. L'affermazione dei regimi signorili diede impulso a profonde trasformazioni dell'assetto politico territoriale dell’Italia padana. | comuni cittadini vennero infatti inglobati in entità statuali più vaste, i cosiddetti ‘’Stati regionali”’, governate da famiglie nobiliari, contemporaneamente, città di varia rilevanza, il cui assetto istituzionale era ancora di tipo comunale, si mossero nella stessa direzione. Mentre l’Italia del Centro Sud continuava a essere inquadrata nell'esperienza monarchica, le nuove realtà statuali del Nord contribuivano a determinare anche in tale ambito una semplificazione del quadro politico. Questo si assestò gradualmente intorno alle cinque maggiori formazioni: lo Stato di tipo principesco dei Savoia, quello dei Visconti, poi Sforza, nella regione lombarda, e gli stati repubblica di Genova, Venezia e Firenze. Furono dunque messi in atto processi di costruzione statuale paragonabili a quelli che abbiamo illustrato per le monarchie europee. Al riguardo, sarà utile considerare anzitutto alcuni mutamenti intervenuti sul piano giuridico. Come nei secoli precedenti si era affermato il principio secondo cui rex est imperator in regno suo, nel corso del 300 i giuristi arrivarono adi attribuire la piena sovranità alle città che si erano venuto configurando come sibi principes, ovvero come svincolate da qualsiasi potere superiore. Un fenomeno sostanzialmente simile coinvolse anche alcuni di coloro che detenevano i titoli di vicari imperiali o pontifici. Ricevendo successivamente i titoli di duchi o marchesi, i vicari cessarono di essere funzionari di un superiore e suoi sottoposti per divenire del tutto autonomi. Accanto a quella di grandi città come Venezia e Firenze si ebbe l'ascesa delle importanti dinastie che avevano ottenuto dai superiores i titoli di legittimazione: già vicari imperiali a Milano dal 1294, i Visconti nel 1395 diventarono duchi della città e dell’intero territorio. Stesso titolo fu ottenuto dai Savoia nel 1416, mentre i Gonzaga furono riconosciuti marchesi di Mantova nel 1433. ® Principati e repubbliche del Nord. per l’amministrazione delle regioni sottoposte. Al fine di drenarne le ricchezze, risultò necessario controllarle e governarle piu efficacemente. L'azione pontificia di governo si svolgeva per mezzo di apparati istituzionali centrali e periferici. Il principale organo della curia papale era la Camera apostolica, esistente dal XIII secolo e sviluppatasi soprattutto durante il periodo avignonese: alla Camera e agli uffici a essa legati competevano l’amministrazione finanziaria. Gli apparati di governo periferici erano incardinati nelle grande circoscrizioni amministrative istituite nel corso del 200 e consolidate successivamente dall’Albornoz. Nonostante la precoce organizzazione di una burocrazia centrale e il solido inquadramento istituzionale della periferia realizzato nel 400, lo Stato della Chiesa non presentava alla fine del medioevo i caratteri di accentramento politico e di omogeneità giuridica e amministrativa che sarebbero stati propri dello Stato moderno. Fu particolarmente nella Romagna e in Emilia che signorie cittadine fiorirono mantenendo fermo il riconoscimento della sovranità pontificia. DI speciale rilievo fu la vicenda che legò a Urbino la famiglia dei Montefeltro, ciò soprattutto per lo spesso del suo principale esponente Federico III. Condottiero valente, Federico combatté al servizio del papa e della Lega italica, investendo nello splendido palazzo urbinate e nella raffinata vita artistica della sua corte i proventi delle sue imprese. e regni meridionali La vicenda del regno napoletano furono sempre caratterizzate dalla debolezza della corona riconducibile a diversi fattori: le lotte dinastiche sviluppatesi fra i vari rami della casata regnante, le crisi di successione , la continua minaccia di un'interferenza da parte di poteri esterni. Il periodo di maggior splendore fu il regno di Roberto detto ‘il Saggio”’. Sotto di lui Napoli conobbe decenni di grande fioritura culturale grazie alla presenza presso la corte di alcuni fra i massimi esponenti dell’arte e della letteratura italiana quali Petrarca, Boccaccio. Il re si mise alla testa del fronte guelfo, opponendosi agli imperatori Enrico VII e Ludovico il Bavaro e guadagnandosi grande autorevolezza sulla scena politica italiana. Fu durante i decenni successivi alla sua morte che la corona si indebolì gradualmente. Il regno della nipote Giovanna | fu agitato da una grave crisi dinastica che diede occasiona a re Luigi il Grande d'Ungheria di invadere il regno (1348); derivò un conflitto che dilaniò il Mezzogiorno fino al ritiro degli ungheresi (1352), dopo il quale si poté tentare un’opera di ricostruzione dello Stato, resa, difficile dalle intemperanze dei feudatari e del disordine sociale. Le cose peggiorarono ancora negli ultimi anni di Giovanna per una crisi di successione che vide competere per il trono due rami della famiglia: su Luigi D’Angiò, conte di Provenza e figlio di re di Francia prevalse Carlo Ill di Durazzo, nipote di Giovanna, che non esito a imprigionare e far uccidere la zia. Anche il regno di Giovanna Il si chiuse con una crisi di successione. Il fatto che la defunta regina avesse adottato in un primo momento come figlio e successore il sovrano d'Aragona favorirono i disegni politici di quest’ultimo, che, tuttavia, trovo pronti a sbarrargli la strada gli esponenti del ramo angioino provenzale, prima Luigi III, poi suo figlio Renato. Alfonso V il Magnanimo riuscì ad avere la meglio (1442). Il nuovo sovrano stabili in Napoli la propria residenza, facendo della citte uno dei centri culturali italiani di piu alto profilo. Per tutto il XIV secolo la Sicilia ebbe un proprio re, diverso anche da quello di Aragona. L’aspirazione degli Angiò di estendere la propria dominazione all'isola costrinse i sovrani di Palermo a una vigilanza militare permanente. Verso la fine del secolo il matrimonio (1391) di Maria, figlia di Federico IV di Sicilia (1355— 1377), con Martino I il Giovane, nipote di Pietro IV d'Aragona, inaugurò un periodo di riorganizzazione del regno e di piu efficace contenimento delle forze baronali. Con Marito I, tuttavia, il regno cominciò a gravitare sempre di più nell'orbita politica del principale ramo della famiglia, finché, morto il sovrano (1409) gli successe il padre Martino II il vecchio divenuto re d'Aragona; con lui la Sicilia venne unita ai territori catalano aragonesi e prese a essere governata da Barcellona tramite un viceré. Con Alfonso il magnanimo i due regni meridionali tornarono a essere uniti sotto un'unica corona, ma una nuova divisione si sarebbe attuata con i suoi discendenti: Giovanni fu, infatti, re di Sicilia (1458—1479) mentre a Napoli regno Ferdinando | detto Ferrante (1458—1495). La corona e i baroni furono i soggetti politici attivi nel regno di Napoli. Per l'inquadramento delle regioni comprese entro i confini statali, gli angioini continuarono a servirsi delle strutture amministrative realizzata dagli svevi: i giustizierati. | giustizieri, nominati dal re, erano responsabili dell’amministrazione militare, giudiziaria e finanziaria del territorio potendo contare sulla collaborazione di ufficiali a loro subordinati. Dopo l'avvento degli aragonesi sul trono napoletano, l'assetto del potere realizzatosi in epoca angioina conobbe alcuni aggiustamenti. Venne rinnovata la recedente organizzazione circoscrizionale: i viceré esercitavano sul territorio un'autorità politica maggiore rispetto a quella dei preesistenti giustizieri. Fu, comunque, negli anni di re Ferrante che il malessere baronale sfociò in una pericolosa congiura contro il sovrano. La ribellione, scoppiata nel novembre 1485, ebbe come protagonisti alcuni fra i piu autorevoli esponenti della nobiltà meridionale. A essi si aggiunse anche il segretario del Re Antonello Petrucci. | baroni riuscirono a trarre dalla loro parte il pontefice Innocenzo VIII e ad avere l'indiretto sostegno di Venezia. Faticosamente la trama politica attivata da Lorenzo il Magnifico riuscì a fare salvi gli assetti politici esistenti propiziando un tratto di pace (1486) che prevedeva da parte di Ferrante il regolare pagamento alla Chiesa del tributo dovuto come riconoscimento di vassallaggio e il perdono ai ribelli. In Sicilia, con gli aragonesi, si venne perdendo il carattere tendenzialmente accentratore che era stato proprio della dominazione sveva e fu poi ereditato da quella angioina. Se le città si videro accordati dalla corona spazi di autonomia amministrativa, ai detentori dei poteri signorili furono riconosciute prerogative giurisdizionali piu ampie. Nel corso del 300 erano stati i baroni a esprimere la forza dominante. Per quanto divisi in due schieramenti contrapposti, la parzialità latina, guidata da Ventimiglia e dal chiaramente, e la parzialità catalana, capeggiata dagli Aragona essi erano spinti dai comuni interessi a fare quadrato contro il potere regio, la cui fragilità fece si che, nel 1362, Federico IV si trovasse nella condizione di dover accettare la divisione dell’isola in due parti, orientale e occidentale. Alla sua morte (1377) Sali sul trono la figlia Maria, il regno venne ripartito addirittura in quattro vicariati, ciascuno affidato a un nobile vicario. Il quadro cominciò a mutare fra XIV e XV secolo, quando cioè il regno siciliano rafforzo i suoi legami con la Corona d'Aragona. Appare evidente che questi Stati presentavano caratteristiche politiche e istituzionali ben diverse da quelle dei principati e delle repubbliche del Centro Nord e dello stato della Chiesa. Si pensi alla lunga tradizione dell'istituzione al peso del ceto feudale. Furono fattori che risultarono determinanti rispetto all’assetto dei poteri, alle modalità dell’azione regia di governo. Non deve tuttavia sfuggire il manifestarsi di alcuni dei fenomeni di ordine politico istituzionale e sociale che caratterizzarono generalmente gli Stati del tardo medioevo: pluralità conflittuale di soggetti politici; condivisione del potere fra centro e periferia, consolidamento delle elites locali. Più proficua è l’attuale propensione storiografica che suggerisce da un lato di avvicinare la storia meridionale a quella del resto d’Italia, cogliendo le relazioni e i tratti comuni fra i diversi contesti. e Ilsistema dell'equilibrio. A metà del XV secolo il quadro politico cambia. Con l'insediamento di Francesco Sforza alla guida del ducato milanese (1450) fu risolto il problema della successione a Filippo Maria Visconti. A far cambiare il clima politico fu però soprattutto un fattore esterno al contesto italiano: la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani nel 1453. La fine dell'impero bizantino e il venir meno delle relazione economiche con il Mediterraneo indussero infatti Venezia ad abbandonare ogni mira egemonica e a impegnarsi nella ricerca di un'intesa fra gli Stati. Si giunse cosi, nel 1454, alla stipula fra Venezia e Milano della pace di Lodi cui aderirono tutte le altre potenze regionali italiane; si tratto di una svolta politica significativa, anche perche furono riconosciuti i confini territoriali fra i diversi stati. A garanzia dell’equilibrio raggiunto venne poi istituita una Lega Italica (1455), che impegnava per 25 anni rinnovabili, le cinque maggiori realtà statuali ( ducato di Milano, repubbliche di Venezia e di Firenze, Stato della Chiesa, regno di Napoli) a mantenere la pace. | fini del rispetto dell'accordo risulta determinante il ruolo svolto da Lorenzo de’ Medici egli riuscì infatti a trovare e a conservare un'intesa con | duca di Milano e con il re di Napoli. Ciò non vuol dire che la situazione politico militare si sia caratterizzata nella seconda metà del secolo per una totale staticità. AI contrario, diversi eventi, vennero a movimentarla. Venezia impegnata a contenere i danni derivanti dall'avanzata dei turchi firmo con questi un accordo (1454) che consentiva la continuità dei traffici, anche se il restringimento dei privilegi non poté essere evitato. La serenissima riuscì a ottenere il governo dell’isola di Cipro (1469) avendo però dovuto rinunciare nel 1470 ad un altro presidio insulare di rilevanza strategia, quello di Negroponte. Sempre Venezia fu tra i protagonisti del conflitto che maggiormente turbo nel tardo Quattrocento la scena politica d’Italia: quella guerra di Ferrara (1482—84) che vide gli estensi doversi difendere dall'azione congiunta degli eserciti della repubblica lagunare e di quelli pontifici, impegnati nel tentativo di ampliare i domini romagnoli del nipote di Sisto IV. Fu l'intervento compatto degli altri aderenti alla Lega italica che salvo nell'occasione i destini della signoria estense. Nonostante la permanenza di tensioni all’interno di ogni Stato le condizioni di pace e l'assetto geopolitico definiti a Lodi si mantennero fin verso la fine del secolo. A cancellare una situazione faticosamente costruita e difesa fu, nel 1494, la discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII chiamato dall’appello di Ludovico il Moro. Non era in realtà la prima volta che un simile invito veniva indirizzato al sovrano francese. Da quel momento gli Stati regionali si sarebbero dovuti misurare con le ben piu solide monarchie europee. 26. ASIA E AFRICA. 1. mongoli. Dall'inizio del Duecento, per circa due secoli, nel vasto territorio euro-asiatico, esteso dall'Europa centro- orientale alla Cina, si sviluppò il dominio dei mongoli. Si trattava di un popolo nomade di pastori e 27. SECOLO XV. QUADRI ECONOMICI. 1. Depressione demografica e crisi del popolamento rurale Alla metà del XV secolo il patrimonio demico europeo mostrava i segni delle catastrofi che su di esso si erano abbattute. Gran parte delle città italiane aveva registrato un calo verticale della popolazione; la stessa situazione si presentava nel resto d'Europa. | distretti rurali furono investiti dalla crisi demografica non meno pesantemente dei centri urbani. Numerosi villaggi e minori insegnamenti contadini furono abbandonati. Forte incidenza il fenomeno assunse in Italia: epidemie di peste, terremoti, ondate di maltempo, distruzioni operate da eserciti e soldataglie, carestie si andarono sommando a cause di carattere economico e sociale. La restituzione all'incolto, in seguito alla minore pressione demografica, di terre marginali e scarsamente produttive ebbe certamente il suo peso in alcuni contesti. Bisogna considerare l'andamento del mercato cerealicolo nel secolo successivo alla peste nera e il crollo dei prezzi che fece registrare il suo rientro. Infatti la scelta della grande proprietà dei signori verso l'allevamento, per i cui prodotti la domanda non subiva flessioni, ne conseguì, soprattutto nelle regioni europee a dominante cerealicola, l'abbandono di numerosi villaggi e del relativo territorio a beneficio di una ricomposizione fondiaria in chiave pastorale. Gli abbandoni tuttavia non ebbero carattere di provvisorietà ma generarono paesaggi nuovi. 2. Lo sviluppo dell'allevamento transumante Il contrarsi delle terre seminative comportò generalmente l'incremento delle superfici destinate al pascolo. A beneficiare della situazione creatasi fu l' allevamento transumante, cui prese s indirizzarsi l'attenzione dei governi. In Italia, riaffermando il monopolio pubblico dei pascoli contro gli abusi di signori e comunità, la Repubblica di Siena, lo Stato della Chiesa, il regno di Napoli, istituirono speciali uffici, le dogane del bestiame, cui venne affidato il compito di promuovere e organizzare la migrazione delle greggi (transumanza), e quello di riscuotere quanto dovuto dai pastori per l'erbatico e la protezione a essi è accordata. Altre regioni mediterranee conoscevano al contempo un forte sviluppo dell'allevamento transumante; in particolare una solida organizzazione conobbe la pastorizia nel regno di Castiglia. A organizzare i percorsi che conducevano passare i greggi era la Mesta, potente associazione che riuniva sotto la protezione del re tutti gli allevatori di Castiglia. A un forte incremento della transumanza iberica portò il fatto che, con gli inizi del Trecento, cessò l'esportazione della lana inglese verso le Fiandre e la Francia, cosicché vennero ad aprirsi per la lana di produzione castigliana ampi spazi sul mercato europeo. 3. Mercanti-imprenditori e ruolo delle arti in Italia L'inserimento di mercanti e imprenditori pose fine all'autonomia dell'artigianato, assoggettato alle egemonie del capitale commerciale. Il passaggio alla dipendenza economica fu più generalizzato in quei comparti della produzione che, come il lanificio, richiedevano maggiori investimenti di capitali e un più ampio ventaglio di competenze. Tuttavia non va trascurato che lavoro pienamente autonomo e lavoro dipendente poterono in taluni contesti coesistere a lungo e integrarsi presso la stessa bottega. A sostegno delle attività artigiane intervenne non di rado l'iniziativa dei governi cittadini. Intanto si registrava anche il progressivo mutamento della fisionomia delle associazioni di mestiere: la loro influenza sul piano politico era venuta ridimensionandosi già dalla fine del XIII secolo, fino ad essere quasi annullata per opera di quei regimi cittadini che andavano sviluppandosi in senso oligarchico o signorile. Cambiò così anche la funzione sociale ed economica delle arti, che tesero a chiudersi sia nei confronti dei nuovi ceti emergenti sia verso gli apprendisti che aspiravano ad acquisire il titolo di magistri. Volte prevalentemente alla conservazione di una condizione di privilegio, le arti cessarono dunque in Italia di svolgere un ruolo dinamico rispetto alle attività produttive. 4. Innovazioni nel lavoro artigiano In alcuni ambiti di produzione si registrarono, nel Tre-Quattrocento, importanti progressi delle tecniche: nella vetreria, nel campo dell'attività estrattiva e della metallurgia. Crebbe enormemente la produzione di argento e di ferro e cominciò lo sfruttamento dei giacimenti di allume. L'invenzione dell'altoforno permise di pervenire alla produzione del ferro con due distinte operazioni, riducendo lo spreco di materiale e ottenendo dei prodotti diversamente affinati: ghisa e ferro. L'introduzione delle armi da fuoco determinò in questa fase storica la necessità di disporre di una quantità di metallo decisamente superiore a quella che era necessaria fino ad allora A partire dal Trecento si assistette anche all’utilizzazione sempre più larga dell'energia idraulica per la produzione della carta, che veniva sostituendo la pergamena. Questo più comodo supporto della scrittura avrebbe avuto piena valorizzazione verso la metà del Quattrocento con l'invenzione della stampa da parte dell’orafo Giovanni Gutenberg. 5. Le attività commerciali: operatori, itinerari, merci Nel Quattrocento, nel quadro dei percorsi commerciali, quelli marittimi di lunga distanza mantenevano una netta prevalenza. La flotta anseatica e quella veneziana e genovese avevano un ruolo di protagoniste. Agli inizi del secolo i cantieri iberici della costa atlantica misero in mare le prime caravelle. Nel Mediterraneo si affermarono le mastodontiche cocche. Anche i traffici per via di fiumi e canali conservarono una forte incidenza. L'uso sempre più frequente di carri dovete garantire anche per via di terra trasporti di una certa efficacia e sicurezza, anche se scarsi restarono gli investimenti nella manutenzione delle strade. A metà del Quattrocento la tipologia dei prodotti del commercio internazionale e le dimensioni di alcuni flussi commerciali presentavano variazioni rilevanti. Nel settore dei tessili è da sottolineare con l'affermazione del cotone e dei tessuti di seta la crescente produzione di panni inglesi, con il conseguente netto calo delle esportazioni della lana. Quanto ai cereali, il commercio del grano si mantenne alla fine del Medioevo fra i più vivaci, specialmente nel Mediterraneo occidentale. Forte restò anche l'afflusso di vini verso il Nord Europa. Dei prodotti dell'artigianato, sempre più richieste furono le armi fabbricate in Lombardia e a Norimberga. La variazione dei flussi commerciali indusse mutamenti non marginali nella mappa delle fiere di rilevanza regionale. Accanto al declino delle fiere fiamminghe è da segnalare la crescente fortuna di quelle del Brabante, luogo d'incontro dei mercanti inglesi, olandesi, anseatica; nel corso del Quattrocento, Anversa divenne un emporio di prima grandezza. Un grande sviluppo ebbero anche le fiere di Ginevra, che dovettero fronteggiare la concorrenza di quelle di Lione. Dalla metà del Trecento alla fine del secolo successivo si assistette anche a una eccezionale fioritura delle attività commerciali delle città della Germania meridionale, i cui mercanti si organizzarono in compagnie. Nella seconda metà del XV secolo continuò a dispiegarsi con forza l’attività commerciale della flotta anseatica, cui si affiancarono sempre più vivacemente le marinerie inglese, olandese e bretone. Un Olanda fu la forte crescita dell'industria tessile a dare tono all'economia del paese, con il conseguente sviluppo delle città portuali di Amsterdam e Rotterdam. Fu tuttavia all'area mediterranea che restarono legate le maggiori rotte di scambio, nonché le attività bancarie e finanziarie di maggiore vivacità. Barcellona, Valenzia e Palma di Maiorca furono le protagoniste iberiche. Non vi è dubbio però che nei commerci con l'Oriente fossero Venezia e Genova a mantenere una marcata egemonia. Dopo la caduta di Costantinopoli nelle mani dei turchi, Genova e gli altri protagonisti europei dell'epopea mercantile d'Oriente vissero una fase di ripiegamento entro gli orizzonti del Mediterraneo occidentale e del Tirreno. 6. Esplorazioni e scoperte La scoperta dell’isola di Madera e degli arcipelaghi delle Azzorre e delle Canarie precedette non di poco l'età delle grandi esplorazioni. A trarne beneficio furono portoghesi e castigliani, che ne ricavarono ingenti quantità di zucchero di canna. Con il re Enrico il Navigatore, il Portogallo puntò poi decisamente all'espansione commerciale in Africa. Le scoperte di Cristoforo Colombo, approdato alle Antille dopo la traversata dell'Atlantico, (impresa finanziata dai sovrani di Castiglia), i viaggi di Bartolomeo Diaz e Vasco de Gama che, con il periplo dell'Africa, indicarono un nuovo itinerario per raggiungere le Indie, aprirono una pagina nuova nella storia dei commerci. L'oro e l'argento d'America avrebbero risolto i problemi legati alla monetazione, nuovi prodotti sarebbero stati introdotti sul mercato e nelle abitudini di consumo. Non si trattò comunque di mutamenti repentine e rivoluzionari. Parallelamente agli sviluppi tre-quattrocenteschi
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