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Il melodramma, le sue forme e la vita musicale italiana nell'800, Appunti di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

Riassunto dell'omonimo manuale di Schillirò

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 22/05/2021

angelasahid_14
angelasahid_14 🇮🇹

4.3

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5 documenti

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Scarica Il melodramma, le sue forme e la vita musicale italiana nell'800 e più Appunti in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! IL MELODRAMMA, LE SUE FORME E LA VITA MUSICALE ITALIANA NELL’800 CAP 1 Il paese del melodramma e la musica strumentale La vita musicale italiana dell’800 è dominata dal melodramma; nel corso del secolo il teatro d’opera assume definitivamente il ruolo e la funzione di istituzione stabile rispetto a molteplici della quotidianità: - La realtà urbana > importanza dell’edificio teatrale nella struttura urbanistica; - Le abitudini sociali, es: il palco d’opera come simbolo di elevato status sociale; - La vita artistica > preminenza dell’attività operistica tra le prestazioni professionali di compositori ed esecutori; - Le politiche economiche dei principali governi. Il melodramma ottocentesco è l’unico prodotto artistico nazionalpopolare che raggiunge un pubblico sempre più vasto, perché il suo linguaggio è funzionale ai vari livelli di comprensione delle diverse classi sociali. Il suo successo viene associato a quello del romanzo popolare in Europa: fu un modo per gli italiani di avvicinarsi alla musica ma anche, indirettamente, alla letteratura. In questo panorama la musica strumentale ha una importanza minore, non è un caso che all’inizio dell’800 i compositori italiani che scrivono musica strumentale fanno fortuna all’estero, es: Boccherini in Spagna, Carulli e Cherubini in Francia, Giuliani a Vienna, Clementi in Inghilterra. I concerti vengono denominati Accademie e sono influenzati dall’egemonia dell’opera lirica. I loro programmi prevedono principalmente fantasie o parafrasi su temi d’opera eseguite da virtuosi del violino (Paganini), del pianoforte (Lizst) e di strumenti a fiato; nei medesimi concerti si esibiscono spesso cantanti. Un esempio sono i tre concerti tenuti da Lizst a Milano; egli fa notare che i grandi nomi del repertorio sinfonico e cameristico sono fino a quasi metà dell’800 sconosciuti. Non solo lui fa notare questa mancanza ma anche Berlioz, Nicolai, Mendelssohn. Le città italiane si differenziano dalle principali città europee per l’importanza che viene data alla musica strumentale; si formano società e associazioni concertistiche sostenute da soci-abbonati, come: la Philarmonic Society di Londra, la Società dei Conservatori di Parigi, la Società degli amici della musica di Vienna. I TEATRI Per le classi dominanti del primo ‘800 andare a teatro diverse volte a settimana durante la stagione era normale in quanto era considerata una delle principali manifestazioni della vita sociale. Era il luogo dove si incontravano persone del proprio rango, si mangiava, si beveva, si giocava d’azzardo etc. I teatri sono costituiti da sale da ristoro, ampi corridoi e dai foyers dove si giocava d’azzardo (importante per la gestione economica del teatro). I teatri regi per i governi degli stati preunitari erano oggetti di interesse politico, es; Carlo III di Borbone non era amante del teatro ma costruì il San Carlo e ci andò regolarmente per tenere sotto controllo l’aristocrazia. Nel 1839 sono documentati circa 150 teatri dei quali solo un’ottantina allestiscono regolarmente spettacoli operistici; si trovavano principalmente nell’Italia settentrionale e centrale. Nel 1866 il numero di teatri sale a 942 dopo un censimento dello stato. Teatri primari: - San Carlo di Napoli; - La Scala di Milano; - La Fenice di Venezia; - Il Regio di Torino; - Il Ducale di Parma; - La Pergola di Firenze; - Il Carlo Felice di Genova; - Il Comunale di Bologna; - Il Teatro Argentina e il Teatro Apollo di Roma; - Il Teatro Carolino di Palermo. Le città che avevano più di un teatro si dividevano il repertorio in opera seria e opera buffa. I teatri primari nella prima metà dell’800 mettono in scena 2 o 3 titoli nuovi ogni anno nella quali si esibiscono le prime donne e i primi tenori di alto cartello e di cartello. L’orchestra comprendeva 60 e 90 strumentisti e un coro di almeno 50 cantanti. Proprietà dei teatri: 1) Allo stato; 2) Al comune; 3) Alle singole famiglie aristocratiche; 4) Alle società di aristocratici e ricchi borghesi; 5) Proprietà mista: l’edificio è di proprietà dello stato, del municipio o di una famiglia nobile, mentre la maggior parte dei palchi appartiene a singoli privati che hanno la facoltà di venderli, ipotecarli o darli in affitto. Es: l’imperatrice Maria Teresa d’Austria aveva assicurato il V ordine dei palchi, la platea, il palcoscenico e la struttura muraria erano di proprietà del governo austriaco che ne curava la manutenzione. Il tipo di teatro prevalente nell’Italia dell’800 è il teatro all’italiana: una platea di scranni mobili per poter utilizzarla anche alle danze, vali ordini sovrapposti di logge o palchi, al centro dei quali spesso è collocato il palco reale e, al di sopra, il loggione. In quasi tutti i teatri il palcoscenico aveva un prolungamento verso la platea. La buca, invenzione di Wagner, è stata introdotta da Toscanini alla Scala nel 1907, anche se già Verdi era d’accordo. Il teatro all’italiana è un insieme di tipologia architettonica, funzioni sociali, forme della sala e della scena, elementi che assumono valori simbolici il cui significato si riassume nell’unità principale che è il palco. In teatro si riproduceva, nella gerarchia dei posti, la gerarchia delle classi sociali. Il secondo ordine di palchi era il più aristocratico ed era occupato principalmente dalla nobiltà, il primo e il terzo ordine avevano lo stesso rango del secondo ma erano meno prestigiosi e meno cari. Questa maggioranza aristocratica continua nel resto del secolo ma sempre meno. Levare i tramezzi del quarto o del quinto ordine dei palchi per farne tutto un loggione segna nel corso dell’800 l’ingresso a teatro dei ceti popolari (artigiani, negozianti e impiegati). Secondo i resoconti dei viaggiatori stranieri, il teatro è: - Luogo di svago per l’elite; - Mostra delle strutture cortigiane della Restaurazione; - Vige il codice gerarchico tipico della sala all’italiana; - Si tratta di una sala rumorosa e movimentata, dove l’ascolto musicale è ancora lontano da quell’esperienza emozionale individuale che sarebbe divenuta in seguito. L’organizzazione economica: - Prevendite dei palchi, generalmente avveniva prima della edificazione di un teatro. Prezzo variabile in base ai costi di costruzione, alla gestione, all’ordine dei palchi etc.; - I biglietti per le singole opere e gli abbonamenti; - Contributo concesso dall’autorità pubblica come forma di sovvenzione all’attività teatrale; - Il gioco d’azzardo; - Affitto dei palchi liberi, pasticceria e bottiglieria. In seguito alla soppressione del gioco d’azzardo nel 1814 in tutta Italia settentrionale e nel 1820 a Napoli e Palermo, i governi concessero ai teatri una sovvenzione che andava a integrare la dote annua a disposizione dell’impresario. Ricordi  la più importante casa editrice dell’800, vede succedersi tre generazioni (Giovanni, Tito e Giulio). La produzione di edizioni musicali aumenta notevolmente da 2200 nel 1825 a 16000 nel 1844. Si arricchisce anche dei diritti di stampa e di rappresentazione di gran parte delle opere di Rossini, Bellini, Donizetti e Mercadante; numerosi sono i contratti per cui ogni opera generava una produzione di numerose trascrizioni e riduzioni. L’espansione commerciale è testimoniata anche dall’apertura di nuove succursali nel paese. L’evento che determinò la fortuna della Casa Ricordi fu l’incontro con Verdi. I cataloghi erano per lo più operistici. Negli anni ’50 l’editore acquista sempre più importanza: spesso compra la partitura direttamente dal compositore, senza passare per l’impresario, della quale spesso è egli stesso il committente. Inoltre l’editore agisce per conto del compositore nei confronti degli impresari: provvede alla diffusione dell’opera attraverso il noleggio della partitura e del materiale d’orchestra e di canto ai teatri; pubblica le riduzioni sia dei singoli numeri che dell’opera intera; decide in quali teatri far rappresentare l’opera e con quali cantanti; fornisce i bozzetti e i figurini per scene e costumi; cura la messa in scena dello spettacolo (pubblicazione di Disposizioni Sceniche dettagliate). L’idea per le “disposizioni sceniche” nasce in Verdi durante i contatti con il grand-opera di Parigi; in Francia i testi della messa in scena sono già una consuetudine. Verdi, dopo la fase degli “anni di galera” e lo slancio creativo degli anni ’50 che ha accompagnato il suo rapporto con la Casa Ricordi, entra in un periodo di rallentamento della sua attività compositiva. Dopo l’Unità d’Italia scrive tre grandi opere: La forza del destino, Don Carlos e Aida. In quel periodo Ricordi pubblica le sue opere ma è alla ricerca anche di nuovi talenti per andare incontro al gusto internazionale. Durante il periodo di pausa di Verdi, Ricordi è editore di due compositori di successo italiani: Ponchielli e Boito. Negli anni ’80 Giulio Ricordi scopre Puccini; vede in lui subito le sue potenzialità soprattutto a causa del declino del melodramma italiano messo in crisi dalle opere straniere (Wagner). Puccini e Mascagni vengono consacrati nel giro di pochi anni i due maggiori esponenti della “giovane scuola”. Nel corso della seconda metà del XIX sec. assistiamo al definitivo declino del ruolo dell’impresario dovuto principalmente al consolidarsi del repertorio operistico che fece crescere l’importanza dell’editore in quanto proprietario di un bene sfruttabile economicamente nel tempo. L’editore diventa anche nei confronti del compositore colui che controlla sia l’allestimento che la distribuzione dello spettacolo operistico (eccetto Verdi). La competizione fra i diversi editori si concentra sull’imposizione delle opere del proprio archivio. L’editore guadagna: - Affittando le partiture ai teatri; - Con l’affermarsi della legislazione sul diritto d’autore; - Vendita delle partiture alimentate dal nuovo dilettantismo musicale borghese. LA STAGIONE L’attività dei teatri d’opera sino alla fine del Settecento si svolge in quasi tutti i teatri nella cosiddetta Stagione di Carnevale, cioè dal 26 dicembre al martedì grasso, durante la quale vengono rappresentate tre, quattro opere (e altrettanti balli), delle quali quella che inaugura la Stagione doveva essere una prima assoluta o almeno un titolo nuovo per quel teatro. Già a fine ‘700 si hanno i primi prolungamenti della stagione teatrale, es: La Scala, La Fenice, Teatro Regio di Torino. Intorno alla metà dell’800 si hanno tre stagioni: Carnevale, Primavera e Autunno (alcuni teatri continuano ad avere solo la stagione di Carnevale o Carnevale/Quaresima). Il San Carlo e La Scala producono il doppio del numero delle opere degli altri, più le repliche. Nel primo ‘800 la Stagione di Carnevale era quella più importante e prevedeva nei teatri primari la messa in scena di almeno tre opere serie. Dall’inizio del ‘700 fino alla metà dell’800 si hanno oltre una cinquantina di opere nuove all’anno, la maggioranza non andava oltre il primo allestimento, mentre le singole arie facevano parte dei “bauli” dei cantanti. Le opere buffe vengono mai presentate in prima assoluta e generalmente non nella Stagione di Carnevale, tranne per alcune eccezioni (il Barbiere di Siviglia, la Cenerentola…). IL COMPOSITORE Il primo decennio del XIX secolo è un periodo di transizione per l’opera italiana: - La tradizione dell’opera buffa napoletana è in declino; - L’opera seria metastasiana tende a dissolversi; - La semplicità delle opere serie non coincide con la complessità di pezzi concertati sempre più lunghi e con i personaggi a tutto tondo. Questa situazione viene capovolta nel secondo decennio con la figura di Rossini che riafferma il primato operistico italiano. Comporre un’opera in Italia all’inizio del XIX secolo era generalmente un lavoro fatto di fretta (due/quattro settimane), solo Bellini impose tempi più lunghi per terminare le sue opere. La figura del musicista era ancora come artigiano più che una professione artistica elevata, spesso si tramandava per via familiare. Rossini  debutto a Venezia nel 1810 con la farsa in un atto La cambiale di matrimonio e ottiene una prima affermazione alla Scala con l’opera buffa La pietra di paragone. Trionfa poi a Venezia con Tancredi (opera seria) e L’Italiana in Algeri (opera comica) che lo consacrano come il più famoso compositore italiano. È figlio di un suonatore di tromba e un editore di musica in tre generazioni. Le sue composizioni stabilirono nuovi parametri di giudizio per il lavoro di tanti altri compositori della sua generazione (es: Bellini e Donizetti, per quanto avessero un proprio stile, facevano riferimento a Rossini). L’importanza storica maggiore è delle opere serie che codifica convenzioni nuove che domineranno l’opera italiana per oltre mezzo secolo. Con Rossini si modifica radicalmente il rapporto fra musicista e librettista: per la prima volta il compositore è considerato l’autore dell’opera e il librettista solo colui che scrive le parole, e il termine librettista comincia a sostituire quello settecentesco di poeta. Rossini viene chiamato a Napoli dal potente impresario Barbaja dove compone 9 opere serie per il San Carlo e assume anche l’incarico di direttore musicale per Teatri Reali. Gli anni della Restaurazione e sino alla metà degli anni ’30 sono dominati dalla rossinimania durante i quali il compositore è l’autore più eseguito nei teatri primari italiani e in molti teatri di provincia. Gli anni ’30 sono segnati da Bellini > gli anni ’40 da Donizetti al quale si affianca Verdi > gli anni ’50 vedono il grande trionfo di Verdi con le opere della trilogia popolare (Rigoletto, Trovatore, Traviata) > anni ’90 dominati dalla “Giovane scuola” e Verdi. IL REPERTORIO La nascita e l’affermarsi del repertorio operistico rappresenta una svolta epocale per la storia del teatro musicale del XIX secolo: è costituito da una serie di titoli rappresentati regolarmente. Il repertorio modifica le abitudini di ascolto del pubblico e influenza le aspettative e il giudizio estetico nei confronti delle nuove opere. La creazione del repertorio è un fenomeno che include anche la musica strumentale e ha le sue basi nella riscoperta della musica del passato che portò alla formulazione di un canone estetico di compositori modello (autori classici), le cui opere costituiscono i pilastri fondamentali della storia della musica. Due sono gli eventi nella storia con valore emblematico: 1. 1829, Mendelssohn dirige a Berlino la Passione secondo Matteo di Bach e segna l’inizio della sua riscoperta; 2. 1828, Habeneck primo violino dell’Opera di Parigi, forma la Società dei concerti del Conservatorio, con un’orchestra formata da docenti e allievi, la cui finalità è quella di far conoscere le sinfonie di Beethoven. Ciò che ha reso possibile la formazione del repertorio in base a musiche del passato insieme a musiche nuove fu il cambiamento del gusto e dell’organizzazione della vita musicale, grazie a: - Diffusione dell’apprendimento amatoriale della musica tra il ceto borghese; - La trasformazione del concerto pubblico parallela al crollo delle cappelle di corte di epoca napoleonica; - La diffusione dei teatri d’opera di carattere “popolare” con l’accesso agli spettacoli da strati sempre più ampi della popolazione; - Sviluppo dell’editoria musicale. Il Barbiere di Siviglia di Rossini rappresenta per la storia del teatro musicale il primo esempio di opera di repertorio, ovvero un titolo destinato a rimanere stabilmente sulle scene e primo fenomeno di globalizzazione del prodotto artistico oltre l’Europa. Si aggiungeranno altre opere di Rossini, Bellini, Donizetti e il primo Verdi che dominano per tutto l’800 e anche fino ai giorni nostri. Il termine “opera di repertorio” fu introdotto proprio in quegli anni nella corrispondenza fra l’impresario Carlo Balochino e il soprano Tacchinardi Persiani. Molte sono le opere rappresentate ma meno del 10% di esse viene replicata nelle stagioni successive; il compositore deve dunque sperare in un successo alla prima in modo da attrarre l’attenzione di altri teatri. Il successo di un’opera è determinato dalla sua circolazione. Negli anni ’40 aumentano le repliche e la diffusione delle opere; negli anni ’50 si ha un ampliamento del repertorio operistico con l’inserimento di nuovi titoli (Verdi). Nel 1852 si ha il primo caso di una stagione in un teatro primario che mette in scena solo opere di repertorio al Comunale di Bologna. Comunque continuano ad avere uno spazio rilevante le opere nuove. Dopo l’Unità d’Italia assistiamo al consolidamento del repertorio con la scelta di aprire la Stagione di Carnevale con un’opera già nota e affermata piuttosto che con una prima assoluta, tranne alcune eccezioni. Giungono ai palcoscenici italiani i capolavori del grand opera parigino solo 20 anni dopo e si inseriscono come parte del repertorio del secondo 800. Con la costruzione nella seconda metà dell’800 di nuovi teatri sia in città che in provincia, per il repertorio si fa una netta distinzione fra teatri primari e minori; nei primi si alternano opere di repertorio e opere nuove, con una prevalenza delle prime, variabile in base alla stagione; nei secondi dominano nettamente le opere di repertorio (motivi economici, così la gente veniva sicuro). Negli ultimi due decenni le opere di repertorio si affiancano a quelle francesi e tedesche, oltre che a quelle dei moderni italiani (Puccini, Mascagni, Leoncavallo). Nel repertorio mancano opere minori degli autori già citati che vengono riscoperte negli anni ‘60/’70 del XX secolo. Le opere risorgimentali di Verdi, mutato il clima politico, scompaiono dal repertorio, es: il Nabucco. CAP 2 Aspetti e caratteri del melodramma italiano Tipologie melodrammatiche I melodrammi del XIX sec sono in massima parte opere serie e sulle partiture vengono denominati: - Melodramma; - Opera; - Melodramma serio/eroico/tragico; - Azione tragica; - Tragedia lirica; - Dramma; - Dramma tragico/lirico. Il termine comunemente usato nel ‘700 era dramma per musica, e viene sostituito dal termine melodramma in quanto cambiano le premesse estetiche. Il dramma per musica come genere è fondato su un’organizzazione formale basata sull’alternanza di recitativo secco e aria. Con l’inserimento dell’azione drammatica in musica, si riducono i recitativi secchi e si trasformano nel recitativo accompagnato o strumentato. Il recitativo ha come scopo il procedere dell’azione, lo sviluppo della vicenda; il pezzo chiuso costituisce un momento di riflessione lirica, espressione di un sentimento (il cantabile). La distribuzione dei pezzi chiusi è determinata dalle convenienze, ovvero la gerarchia dei ruoli dei cantanti, tenendo presente che i personaggi principali dovevano avere almeno un’aria per ogni atto. I numeri principali dell’opera dell’800 sono: a) L’aria; b) Il duetto; c) Il finale (o finale concertato). Due differenze rispetto al ‘700: 1. Interesse per i numeri e pezzi d’insieme, quindi duetti, terzetti, intervento del coro etc. 2. Graduale superamento della netta distinzione drammaturgica tra recitativi portatori dell’azione e pezzi cantabili come espressione del sentimento che il recitativo ha suscitato. L’aria Aria settecentesca metastasiana (opera seria): - Aria di congedo, quindi di fine scena; - Il personaggio riflette su ciò che è successo nella scena precedente; - Schema ABA (aria con da capo, articolata quasi sempre in due quartine), o meglio AA’BAA’ > la prima strofa intona una prima sezione poi modula generalmente alla dominante (o alla relativa maggiore se era in minore), viene ripetuta con alcune modifiche melodiche e armoniche che riconducono alla tonica; seguiva una seconda parte di carattere, tonalità e metro contrastante; si ritorna poi da capo. L’efficacia del da capo dipende dalla bravura del cantante, le colorature e improvvisazioni. La doppia quartina è alla base dell’aria con da capo metastasiana dove la seconda forma la sezione mediana contrastante, fino a Verdi continua ad essere una delle forme più comuni. Una forma più complessa è l’aria bipartita in due tempi: primo tempo (o cantabile) e cabaletta. L’articolazione bipartita indica un mutamento di stato d’animo o la risoluzione di una situazione, un’intenzione etc. Vi sono due tinte sonore contrastanti: un tempo lento (Adagio, Largo etc.) e uno veloce (Allegro, Vivace…), un momento più cantabile e uno con funzione di stretta conclusiva, quest’ultima con ritornello. Se c’è il coro, interviene nel ritornello e nella coda. Il ritornello era per far variare il cantante la cabaletta con colorature e fioriture. La cabaletta ha la funzione di valvola di sfogo delle emozioni trattenute nel primo tempo. L’aria bipartita diventa la tipologia di aria più comune nel melodramma italiano per buona parte dell’800 ma non fu invenzione di Rossini, anche se ne determinò la diffusione come convenzione.  Il termine cabaletta ha origini nel XVIII sec in Veneto, come diminutivo di cabala nell’accezione di scherzo, burla, imbroglio. Si trova la definizione in ambito musicale nel dizionario di Lichtenthal, che la definisce non come struttura musicale, ma come melodia principale che le dà la voce. A rigore, la struttura che ospita dovrebbe essere chiamata stretta; negli spartiti dell’800 i due termini vengono utilizzati come sinonimi in alternanza. Bellini è uno dei pochi a distinguere i due termini: cabaletta = motivo vs. stretta = seconda sezione lirica dell’aria. Secondo Bellini la stretta di un’aria si compone di: cabaletta, tramezzo della cabaletta, replica della cabaletta e coda con cadenza finale. Fu Rossini a codificare la dilatazione di tale struttura: 1. Scena: costituito da un recitativo accompagnato, preceduto spesso da un’introduzione strumentale; 2. Cantabile o Primo tempo o Adagio; 3. Tempo di mezzo: versi lirici, andamento misurato, inserimento eventuale di coro e solisti; 4. Cabaletta o Stretta o Secondo tempo con ritornello. La stretta/cabaletta è evidente nel Rossini maturo (Semiramide), si articola in quattro momenti: 1. Prima esposizione della cabaletta (idea melodica principale); 2. Transizione musicale più neutra e indistinta, dominata dall’orchestra e con eventuale coro; 3. Ritornello della cabaletta; 4. Coda. Questa struttura rimarrà invariata fino alla metà del secolo e la ritroviamo ad es. nell’aria di Violetta del primo atto (La Traviata), “Sempre libera/Follie”. Nel primo tempo dell’aria si possono avere passaggi di canto declamato di tipo recitativo; in Rossini nelle opere serie scritte per Napoli le arie solistiche sono in minoranza ai pezzi d’insieme e ai veri e propri concertati. Nel primo ottocento l’aria del primo atto di un personaggio principale è la cavatina o sortita (Bellini); l’aria del secondo atto, quella di bravura e spesso con coro, viene spesso denominata rondò o scena (Bellini). Entrambi i termini avevano significati diversi nel ‘700. Il rondò si propone come brano a solo più ampio e complesso, spesso comprende il tempo d’attacco. L’aria può essere: a. Aria solistica pura: piuttosto rara, canta solo Lui o Lei; b. Aria ordinaria: aria con intervento subordinato di uno o più solisti, coro o entrambi; c. Aria con pertichino (i): aria con interventi consistenti di personaggi secondari > il pertichino operistico aiuta a condurre avanti il pezzo musicale e sprona l’interprete principale; d. Aria con coro: il coro è quasi sullo stesso piano del solista. Il duetto È il brano più importante dopo l’aria; è un’invenzione dell’800 e la sua forma diventa convenzionale con Rossini. Lo schema formale del duetto viene descritto negli anni ’50 del XIX sec da Basevi a proposito dei duetti di Verdi: sezione carattere versificazione Scena Referenziale, dialogico Versi sciolti Tempo d’attacco Propositivo, cinetico Versi lirici Adagio o Cantabile Contemplativo, statico Versi lirici Tempo di mezzo Risolutivo, cinetico Versi lirici Stretta/Cabaletta Riaffermativo del n. 3, statico Versi lirici La funzione del tempo d’attacco è quella di definire il conflitto della situazione drammatica impostato dalla scena e di esporlo nel processo musicale della forma chiusa. Nell’adagio o cantabile si sospende l’azione drammatica e scenica, il tempo si ferma, lo stato emozionale dei personaggi si blocca e si riflette sul proprio stato d’animo. Il tempo di mezzo rimette in moto l’azione ma la funzione principale è quella di condurre a una soluzione  la cabaletta, l’azione si ferma nuovamente e si esprime il proprio stato d’animo. Lo schema formale dei duetti subirà numerose trasformazioni nel corso del secolo. Finale Il finale concertato (o semplicemente finale) è un’eredità dell’opera buffa del ‘700 nel quale tutti i personaggi vengono coinvolti in una successione di pezzi d’insieme senza uno schema formale fisso; viene riprodotto dall’opera seria a fine ‘700. Prende il nome di finale interno o finale primo o centrale quando si trova alla fine di un atto. La struttura generale è: sezione Situazione drammatica Scena (sezione di apertura) I personaggi convergono per varie ragioni nello stesso luogo, talvolta inavvertitamente; incontrandosi gli animi cominciano ad agitarsi; oppure, Introduzione: il coro commenta la situazione o gli eventi che stanno per accadere. Tempo d’attacco S’avvia un confronto dialettico fino allo scoppio della “bomba”, un colpo di scena drammatico- musicale: il sopraggiungere di un personaggio inatteso, un gesto di maledizione, una rivelazione etc. Largo concertato (o largo) Il tempo psicologico si arresta nella riflessione sulla situazione che si è venuta a creare; spesso “concertato di stupore”; tutti restano attoniti, ognuno esprime un sonoro silenzio intrecciando il proprio canto con gli altri. Tempo di mezzo Ripresa di coscienza e rientro nella realtà. La scena torna dinamica, si riaccende il dialogo interpersonale, si tentano varie spiegazioni, ma la situazione è ormai definita. Stretta Grande slancio finale, dove le parole non aggiungono nulla all’azione; ha la funzione retorica di degna conclusione con i crescendo, i ritmi, le sonorità insostenibili fino alla liberazione conclusiva con la formula armonica cadenzale che dà voce alla coda. È una struttura prevalentemente teorica, presenta molte variazioni. Finale concertato come grande scena: - Quattro voci diverse coi coristi o anche tutta la compagnia cantante; - Incremento di passioni e sentimenti nel libretto; - Recitativi molto elaborati che preparano la situazione e dispongono il canto, spesso un canto declamante (quasi recitato). La struttura del finale concertato, dopo Rossini, si trova in altri brani d’insieme che diverranno sempre più frequenti. Le forme dei numeri vanno intese come coniugazione di singoli moduli, ognuno caratterizzato per sé stesso sul piano drammatico e musicale. Vi sono forme mancanti di una o più sezioni, spesso codificate, es: il duettino e terzettino sono denominazioni che stanno ad indicare la chiusura del brano al termine del tempo primo; cavatina (nel senso settecentesco di aria monopartita) e romanza (struttura bistrofica) sono due termini in uso nell’800 per indicare arie limitate solo al cantabile o adagio, variamente strutturato al suo interno. Analogamente esistono forme maggiorate, es: 1. Arie a quattro tempi, con un tempo d’attacco prima dell’adagio 2. Gran scena, un rondò ampliato da un’ulteriore cavatina monopartita 3. Finali doppio “concertato con stupore”. Con il secondo ‘800 c’è un progressivo sgretolamento delle vecchie forme e della mera successione di numeri, anche non scompaiono del tutto i loro singoli elementi costitutivi. L’aria perde ogni connotato strutturale avvicinandosi a quello che nel dramma parlato è il monologo rapsodicamente articolato. Strutture melodiche dei pezzi chiusi F. Lippmann, a proposito delle melodie rossiniane, distingue fra: 1. Melodie aperte, caratterizzate da una libera successione di frasi brevi, separate da pause e ornate da colorature che costituiscono esse stesse la sostanza della melodia. Sono più frequenti nei primi tempi delle arie; La notte del 25 febbraio 1776 un incendio distrusse il Regio Ducal Teatro di Corte di Milano, un teatro annesso al Palazzo Ducale (ora Reale); si cercano nuove idee perché cambia il ruolo del teatro, ovvero come spazio pubblico, a disposizione della città e non più a beneficio esclusivo del principe o del duca. Si inaugurano dunque: 1. Teatro alla Scala 1778; 2. Teatro la Cannobiana 1779, fu ideato come complemento borghese della Scala, più aristocratica, e rimaneva aperto con spettacoli di prosa o lirica anche nelle stagioni in cui la Scala chiudeva. Il Teatro Grande fu eretto al posto della chiesa di Santa Maria della Scala e fu pronto in due anni, grazie al fervore dietro al progetto che si deve a Giuseppe Piermarini, appartenente alla corte austriaca; è un esempio di architettura di teatro all’italiana, che ha dominato l’Europa fino alla fine dell’800. Lo spettacolo era quasi ridotto ad accompagnamento della sociabilità, caratterizzato da spazi per parlare, mangiare, bere e giocare d’azzardo. Il punto focale della vita sociale era l’auditorio a forma di ferro di cavallo, caratterizzato dalla perfetta acustica; l’attenzione nei palchi si concentra di più sugli altri palchi (guarda chi c’è… quella svergognata); l’illuminazione rimaneva sempre accesa anche durante lo spettacolo; i palchettisti potevano separare i loro palchi dal resto dell’auditorio con delle tende. L’immagine di teatro come “tempio dell’arte” rimase secondaria. La Scala non era un semplice bene di stato, i costi per la costruzione erano a carico del governo austriaco e dai palchettisti del Ducale, che si servivano delle loro proprietà quasi senza obblighi finanziari, se non una simbolica quota annuale. Dopo la Restaurazione lo stato diventa il finanziatore principale del teatro, si rendeva quindi necessario un finanziamento indiretto dell’opera che avveniva tramite i giochi d’azzardo e nei salotti, che poi però venne abolito; lo stato dunque decise di elargire una dote annua alla Scala che implicava una presa più salda sull’amministrazione, un maggior controllo sull’impresario e maggiori interferenze sulla vita teatrale. Lo status sociale del palco diminuiva con la sua altezza e la sua distanza dal palco reale a metà della seconda fila. Le prime tre file andarono ai vecchi palchettisti del Ducale, le altre furono vendute in asta pubblica. Vi erano quattro stagioni teatrali. Per ogni stagione era previsto l’allestimento di un certo numero di opere nuove e di opere “nuove per Milano”; l’idea di un teatro di repertorio emerge solo negli anni ’40 dell’800. Era previsto uno spettacolo al giorno, escluso il venerdì. Un’opera “fortunata” si poteva replicare anche 20 e 30 volte, un’opera invece che era un fiasco faceva sì che l’impresario dovesse ripiegare all’ultimo su un’altra opera. Da tutto ciò deriva l’immagine della Scala come ritrovo dell’elite milanese. La Scala come panopticon Panopticon: carcere ideato dal filosofo J. Bentham, permettere ad un unico sorvegliante di osservare i soggetti dell’istituzione carceraria senza permettere loro di capire se sono controllati o meno. Il rapporto fra ordine pubblico e teatro: - Disordini e incidenti dovuti a provocazioni politiche, litigi mentre si giocava a carte, a causa di un cantante incompetente etc. - Il pubblico del teatro viene osservato dalla politica (metafora del panopticon) e in qualche maniera controllato; - È necessario che rimanga aperto nonostante i tumulti per non crearne di altri, per tenere d’occhio la popolazione delle grandi città (in questo caso, di Milano); - Teatro come veicolo di notizie; - Monopolio della Scala come vita sociale. Dunque era necessario che il maggior numero di persone venissero alla Scala, assicurandosi che non ci fossero altre forme di intrattenimento oltre a quelle offerte dalla Scala (eccetto per la Cannobbiana e il Teatro de’Filodrammatici, che presentavano gli spettacoli il venerdì). Inoltre si cercava di aumentare l’attrazione della Scala per impedire la nascita di circoli alternativi (es: società private etc.). Bisognava tenere il teatro sempre aperto e mantenere un alto livello delle rappresentazioni, senza dunque badare a spese. Tuttavia l’effetto panopticon man mano che ci si avvicinava al ’48 perse la sua efficienza. La scala come sonnifero Le autorità compresero bene che la Scala era un forte tranquillante, una specie di oppio dei popoli. Le autorità non potevano influenzare molto la scelta dei soggetti e del repertorio, diversamente da quanto succedeva con il Grand Opéra a Parigi; cercavano di farlo in modo velato. Cercavano di scegliere rappresentazioni allegre, eludevano scene di crudeltà, miravano ad un teatro educativo e morale. La Scala come teatro degli Asburgo La Scala era uno dei principali momenti di contatto fra governanti e governati e un importante mezzo di comunicazione fra loro. Lo Stato poteva: - Imporre la chiusura dei teatri in occasioni speciali (morte di un sovrano etc.); - Era in facoltà di avere a disposizione i teatri per qualunque spettacolo; - In caso fossero in città, potevano scegliere cosa far rappresentare alla Scala; - Avevano i loro palchi non soggetti al canone annuo. Gli Imperial Regi Teatri servivano da calendario per segnalare alla cittadinanza alcune commemorazioni e celebrazioni ricorrenti della famiglia imperiale, per creare un senso di appartenenza e di identificazione con l’Impero Austriaco. Gli Asburgo deceduti erano commemorati non solo con la chiusura della Scala ma anche con una messa. Inoltre si celebrava il compleanno o l’onomastico dell’imperatore regnante. La Scala era inoltre uno spazio di “magnifica rappresentanza”, ovvero come gioiello della Corona austriaca e simbolo della sua presenza in Lombardia. Gli ospiti reali e le visite imperiali erano celebrati, i costi erano altissimi. Dopo il 1848 quando il Lombardo-Veneto divenne un regno senza re, gli Imperial Regi Teatri persero molto della loro funzione di rappresentanza della dinastia. La Scala come portavoce dell’opinione pubblica La Scala era il forum ideale di cui i milanesi si servivano per esprimere la loro opinione sul dominio austriaco, lo usarono per tutto il periodo della Restaurazione. L’occasione più diretta per queste manifestazioni era proprio la visita di un ospite d’onore, del viceré o di altre persone del governo, anche se erano delle eccezioni (es: un giovane in platea si rifiuta di togliersi il cappello davanti al sovrano). Dopo i moti del 1848 i milanesi non sembravano entusiasti per la presenza dei membri della corona asburgica. Durante i periodi di crisi politica l’atto di protesta più forte era quello di assentarsi dalla Scala, cosa che si verificò in modo più cospicuo con i processi carbonari del 1824, quando in piena stagione carnevalesca il pubblico si assentò per ben tre giorni. L’assenza del pubblico andò aumentando fino al 1848 in cui la protesta arrivò al culmine: neanche la ballerina più famosa dell’epoca Fanny Elssler fece sì che il pubblico venisse alla Scala. Il teatro alla Scala e la Cannobiana rimasero chiusi durante le Cinque giornate e anche l’estate, ripresero solo nella stagione di Carnevale successiva. Però non vi fu un vero e proprio ritorno alle abitudini di un tempo. La censura cancellava ogni riferimento alla politica dai libretti e la polizia era sempre disposta ad intervenire. Numerosi furono i momenti critici: - Ballerina compare fregiata sul petto con un medaglione rappresentante il regnante Pontefice Pio IX; - Alla prima milanese del Simon Boccanegra lo spettacolo viene disturbato dal grido “Viva Verdi”, il famoso acrostico ovvero W Vittorio Emanuele Re D’Italia; - Coro “Guerra, Guerra” della Norma suscita gli animi del pubblico che inizia ad urlare, dopo la seconda serata la polizia proibisce le rappresentazioni della Norma. Negli ultimi mesi del dominio austriaco la Scala divenne dunque teatro di proteste contro l’oppressore, ma non fu un vero e proprio centro di opposizione. Nei primi anni della Restaurazione la Scala fu per gli austriaci uno strumento di controllo che perse poi dagli anni ’40 la sua efficacia. La Scala diventa un’arma a doppio taglio in quanto luogo di potere, che appena perde la sua importanza, perde potere a sua volta. La patria nei libretti verdiani (Sorba) Gli slanci patriottici avevano cominciato ad attraversare il mondo musicale italiano molto prima, nei decenni a cavallo fra il ‘700 e l’800. Un esempio fu con l’Italiana in Algeri, con il coro: Pronti abbiamo e ferri e mani, per fuggir con voi di qua… Quanto vaglian gl’Italiani al cimento si vedrà!  erano le parole degli schiavi italiani che si preparavano alla fuga mentre la protagonista Isabella si raccomandava all’amato Lindoro ma dichiarava anche fiducia negli italiani. Il fervore patriottico del testo era accompagnato musicalmente da una melodia quasi sotto tono, l’orchestra invece caratterizzava il brano con il primo violino che intonava un breve stacco della Marsigliese. Le intenzioni ironiche di Rossini, ammesso che ci siano, sono tutte allusive a quel breve stacco ma una vera e propria lettura patriottica sarebbe fuorviante (Rossini le dà adito perché vuole recuperare la sua immagine pre-risorgimentale compromessa); è uno degli ultimi esempi di trattamento del tema della patria in modo scherzoso. La fama di opera patriottica veniva spesso guadagnata successivamente, intorno al ’48 o ancora di più nel 1859, quando le sollecitazioni a prendere le armi caricate a forza sembravano attualità (es: “Guerra, Guerra!” di Norma). L’interattività fra opera e pubblico varia nel tempo > intenzionalità dei compositori alla reazione del pubblico > il tentativo di controllo del governo francese sulla Grand Opéra per aumentare il consenso politico ha l’effetto opposto, caricandosi di una potenziale mobilitante opposizione antigovernativa. In Italia non c’è un tale condizionamento governativo sulla produzione operistica, che non viene diretta e orientata dal potere pubblico, ma semmai sorvegliata dalla polizia e dalla censura. Norma di Bellini infatti venne incensurata per molto tempo. Le letture patriottiche dei libretti possono essere indipendenti dalle intenzionalità dei compositori che peraltro non smettono in questi anni di omaggiare quando possono i sovrani austriaci, es: - Nabucco e I Lombardi alla prima crociata vengono dedicate da Verdi rispettivamente alla figlia del viceré austriaco e a Maria Luigia, duchessa di Parma, nonostante venissero giudicate opere politiche. Verdi inoltre allestirà I vespri siciliani non certo per sollecitare la spedizione dei Mille ma per inaugurare l’Esposizione internazionale di Parigi. I temi patriottici diventano però un motivo ricorrente della produzione verdiana, a causa delle richieste del pubblico, dal mondo commerciale che si articola intorno all’opera. Gli anni ’40 costituiscono un momento chiave nel processo di commercializzazione del settore, in cui si avvia la crisi del sistema impresariale e acquisiscono più spazio gli editori musicali. La battaglia di Legnano, l’opera più risorgimentale di Verdi, fu un’opera che scrisse su commissione dell’editore Ricordi. Dal Nabucco alla Battaglia di Legnano almeno un pezzo ha riferimenti al riscatto della patria e alla volontà rivolta contro l’oppressore-conquistatore. In Verdi si ha un’inedita volontà di rendere musicalmente i temi politici sia a livello orchestrale che a livello vocale, attraverso la voce baritonale che diventa la voce politica per eccellenza. Sono però frammenti, non c’è una valenza patriottica d’insieme. Inoltre le ambientazioni sono storicamente diverse e lontane dall’attualità, anche se erano un’evidente soluzione a cui le stesse commissioni censorie dei teatri spingevano gli autori nei casi di testi particolarmente delicati. I toni patriottici, pur se frammentari, venivano sottolineati dal ritmo, la melodia e dalla struttura drammatica dei cori come “canti di battaglia”, vi sono degli elementi comuni dell’opera verdiana degli anni ‘40: a) Riferimento ad un soggetto plurale che si ritrova unito di fronte al nemico; b) Sollecitazione forte al combattimento, all’azione etc.; c) Esperienza collettiva, vissuta in modo corale. internazionale della Semiramide fu maggiore che quella di qualunque altra opera seria di Rossini. Viene ripresa più volte facendo però numerosi tagli, non c’è un’edizione critica. Ciò che colpisce è l’uso della coloratura molto frequente, la cui funzione è soprattutto ornamentale. La sinfonia d’opera  Introduzione non in tempi lenti, bensì allegro vivace e andantino, che avvia al clima dell’opera. È la scena in cui Semiramide davanti ai re, principi, sacerdoti e popolo, si dispone a giurare di scegliere il successore al trono, ma appena fa il nome di Nino, il re defunto, un fulmine colpisce l’altare e ne spegne il fuoco, nel terrore generale. Si distinguono sette pezzi, ciascuno contrastante con quello precedente ma che formano comunque un blocco unitario di pezzi simmetrici fra loro (il secondo e il quarto brano, il terzo e il quinto dal punto di vista strutturale, il terzo e il sesto dal punto di vista espressivo etc.). I solisti usano vocalizzi brevi, di due o quattro note al massimo.  Finale primo: collegato all’introduzione, il tema dell’ombra è collegato al disegno precedente. Vi sono sei brani che si susseguono secondo una linea ascendente, ovvero un crescendo di intensità drammatica. Il primo introduce alla cerimonia, il secondo è la scena del giuramento, il terzo è la scena della designazione di Arsace a re e sposo di Semiramide, c’è poi lo scoppio del fulmine seguito da un concertato in due parti, segue un allegro molto moderato durante il quale l’Ombra avanza. Il finale è concluso con un vivace, uso della scala cromatica delle voci e di aspre dissonanze di orchestra, effetti timbrici delle polifonie vocali. Dualismo stilistico (Dahlhaus) La differenza fra le due culture musicali impersonate da Beethoven e Rossini significa una spaccatura della concezione musicale, la distinzione fra opera e musica strumentale. La musica virtuosistica di Paganini e di Liszt aderiva alla concezione musicale di Rossini, il dramma musicale di Wagner alle premesse estetiche di Beethoven > si può parlare di variante strumentale del virtuosismo operistico e variante operistica del sinfonismo beethoveniano. Il concetto di arte supremo che Beethoven rivendica per la musica mettendola al livello della poesia e delle altre arti figurative sarà un concetto ancora estraneo a Rossini che porta con sé ancora lo spirito settecentesco. Beethoven compone sinfonie che rappresentano testi musicali intangibili; Rossini invece intende le opere come realizzazione di un progetto, come esecuzione, in cui la partitura veniva adattata in base alle diverse condizioni dei vari teatri (concezione realista di Rossini). Beethoven concepisce il testo musicale come un’opera d’arte che gode di un’esistenza ideale al di là delle realizzazioni fisiche. Convinzione che la musica di Beethoven andasse compresa come un testo filosofico o poetico, che si consolida nei secoli avvenire, nella musica di Rossini non c’era nulla da “capire”, è una musica che non invita ad un’analisi formale e che viene per questo ingiustamente accusata di essere insulsa e vuota. Solo più avanti si crea una terminologia standard come tentativo di andare oltre i pregiudizi. L’opera italiana fra la fine del XVIII e inizio del XIX secolo Negli ultimi decenni del Settecento la successione recitativo – aria, che caratterizzava l’opera metastasiana, era sempre più spesso avvertita come qualcosa di usurato. L’inesorabilità della successione recitativo-aria caratterizzava comunque molto più l’opera seria che l’opera buffa. In quest’ultima nell’introduzione e nel finale d’atto non era standardizzata questa successione e inoltre vi erano molti più numeri musicali d’insieme (es: Matrimonio segreto, con libretto di Giovanni Bertati), che rendevano l’opera buffa più vivace e preferita dal pubblico di fine ‘700. È testimoniato dal fatto che i titoli comici andati in scena fra il 1790 e il 1795 sono il 67% del totale e dal numero di allestimenti (82%). Inoltre la vivacizzazione del ritmo teatrale fu introdotta anche grazie alla dinamizzazione a cui furono sottoposte le arie. L’aria metastasiana è affidata ad un solo personaggio, rappresenta un solo affetto ed è solitamente articolata secondo lo schema musicale tripartito del “da capo” o “dal segno” utilizzato per intonare due strofe di metro uguale. Venne poi movimentata con arie che intonavano una sola strofa o con arie che intonavano 2 o più strofe, che venne chiamata cavatina (nell’800 si indicò genericamente un’aria cantata da un personaggio principale alla sua prima comparsa sulla scena; era anche detta “aria di sortita” e la denominazione si riferisce alla collocazione). Alle arie affidate a un solo personaggio si affiancano sempre più spesso, negli ultimi decenni del ‘700, arie affidate a un personaggio che dialoga con il coro o con l’intervento di altri personaggi e/o arie articolate in 2 movimenti di differente clima espressivo. Es: “Se son vendicata” di Elisetta, due quartine di senari; l’aria si apre con un allegro maestoso in do maggiore, con ampia introduzione strumentale dal piglio serio, seguita da una prima parte con un tracciato di una grande aria da opera seria, transito alla dominante, reintroduzione della prima quartina alla dominante ed estesi passaggi vocalizzati; ma al posto del da capo si trova un Andantino Vivace in 6/8, in cui si possono individuare una zona iniziale, un motivo che ricorre un paio di volte e un coda. Simili arie in due tempi si prestavano a mettere a fuoco situazioni espressive differenti, complementari o contrastanti, generando psicologie in movimento. Nell’opera seria Gli Orazi e i Curiazi di Antonio Sografi (librettista) e Domenico Cimarosa ognuno dei personaggi principali ha una o più arie di quel tipo. Es: Marco Orazio attende con ansia che la sorte designi chi dovrà combattere contro i nemici (Largo, ottonari, “Se alla patria ognor donai”): il coro in scena gli annuncia di essere lui uno dei prescelti, facendolo prima esultare e poi fremere di gioia sempre in dialogo con il coro. Ancora nel primo atto (n. 10) Orazia è lacerata fra amor di patria e devozione coniugale: dopo il Larghetto segue un movimento in tempo giusto i cui l’attacco viene ripreso a mo’ di cabaletta, dopo un allegro diversivo, nel quale vengono intonate sia la ripresa della quartina di ottonari iniziale sia una quartina di quinari. Quest’ultima aria solistica mostra dunque, accanto all’uso di due diverse indicazioni agogiche, anche l’uso della polimetria, che movimenta ulteriormente il brano. Formulazioni melodiche come quella presente nella summenzionata aria di Orazia, con un motivetto ben individuabile incastonato nella sezione conclusiva di un’aria di 2 o più e tempi, si incominciò appunto a chiamarle a fine ‘700 cabalette. Il primo caso di finale concertato in un’opera seria sembra sia stato quello di Pirro di Giovanni Paisiello, da alcuni veniva considerato negativamente. Un altro elemento di maggiore movimento fu l’introduzione, dove non vige lo schematismo recitativo – aria. Inoltre risulta evidente la tendenza all’incremento dei “numeri” articolati in blocchi di metro differente, predisposti dal poeta per il compositore rispetto a quelli di un solo metro; implicava l’espansione anche nel numero solistico e la perdita del suo carattere statico, in favore di interlocuzioni più sfaccettate. Si guardava al teatro musicale francese: - Scene corali e di insieme; - Si cominciarono ad attribuire ruoli centrali ai tenori (es: Marco Orazio ne “Gli Orazi e i Curiazi”; - Crescente importanza attribuita alle capacità di recitazione dei cantanti dell’opera seria; - Ibridazioni di generi: tipo di dramma che si ispirava alla varietà larmoyant del teatro parlato e musicale francese che diede luogo ad un terzo genere fra la Grand’Opéra e l’operetta comica. Nel genere dell’opera semiseria si possono collocare gli adattamenti di opera-comique francesi di Simone Mayr etc. All’inizio dell’800 i frutti della familiarità con l’opera – comique nell’opera italiana si possono trovare: 1. Nel trattamento più dinamico dell’orchestra come sostegno all’azione drammatica (con l’impiego dei famosi crescendo, usati già prima di Rossini); 2. Nell’ampliamento delle risorse orchestrali, con l’aggiunta di strumenti fino ad allora inconsueti, es: arpa, corno inglese, trio di tromboni, grancassa; 3. Nel ruolo preminente assunto dagli strumenti a fiato, i quali emergono spesso dal tessuto orchestrale con uscite virtuosistiche; 4. Nel frequente uso della banda in scena, che per un certo tempo sembrerà indispensabile nelle opere grandiose; 5. Nell’arricchimento del linguaggio armonico, con modulazioni a tonalità lontane per produrre effetti sorpresa. Il ruolo più importante dell’orchestra però non ha implicato l’assunzione del sonatismo sinfonico. Scarsa influenza, limitata prevalentemente alle scene di massa e corali, ebbe il filone eroico monumentale della tragedie lyrique di derivazione gluckiana. Titoli appartenenti a questo filone furono allestiti a Napoli durante il periodo napoleonico, sia opere già presentate a Parigi sia opere nuove. L’opera eroico monumentale di derivazione gluckiana implicava una concezione statica dell’azione scenica, mentre l’opera seria italiana era sempre più dinamica, per la quale era più fruttuosa l’adozione di modi espressivi e forme desunti dall’opera buffa e semiseria italiana quanto dall’opera comique francese. Con l’assimilazione di tali forme, l’opera buffa perse gradualmente il suo primato di apprezzamento di pubblico: tra gli anni ’20 e ’30 dell’800 la produzione e rappresentazione delle opere buffe fu ridimensionata. È significativo che a Rossini, dopo La Cenerentola (1817) non gli vennero più commissionate altre opere buffe; l’ultimo compositore di opere buffe fu Donizetti (l’ultima opera buffa fu il Don Pasquale nel 1843 a Parigi). Alla progressiva affermazione di una concezione più dinamica dell’azione scenica si ha una scelta di soggetti diversi oltre a quelli greco romani, tipici dell’opera seria metastasiana, che sembravano più adatti al ritmo teatrale dinamico. I libretti delle opere serie italiane dell’800 Nei libretti delle opere serie di Metastasio dominano soggetti classici (storici o mitologici) in cui è messo in risalto il conflitto fra amore e dovere; l’amore è visto attraverso la lente del razionalismo. Un esempio nella Clemenza di Tito (Mozart, Metastasio) quando quest’ultimo, alla dichiarazione dell’amata di amare un altro, si rallegra del loro amore sincero; non rende l’idea di un amore passionale ma tendente alla simmetria e all’appiattimento. Metastasio esige il superamento delle passioni, la vittoria del dovere sul cuore, solitamente è un lieto fine. Alla fine del XVIII, a causa dei mutamenti sociali e culturali (Rivoluzione francese) non consentirono di accettare la visione razionalistica ancora per molto. La librettistica italiana tentò di rielaborare i drammi di Metastasio, dando più risalto all’azione a scapito delle sentenze, ma non fu sufficiente. A partire dal 1816 (pubblicazione del saggio di Madame de Stael “Sulla maniera e le utilità delle traduzioni”) inizia la disputa fra classicisti e romantici. I romantici auspicavano alla creazione di nuovi contenuti, superamento delle forme tradizionali e del culto eccessivo dell’antichità. Si guardava al Medioevo, sempre trascurato dall’istruzione italiana, anche se mai si assimilò nei letterati l’interesse per l’orrore diversamente dagli altri paesi europei. Solo nei libretti romantici ci fu la drammaturgia del terrore e dell’eccesso ha un ruolo importante; esaltazione psichica e un gran numero di eventi terribili sono temi soliti dei libretti italiani tratti dalla leggenda o dalla storia medievale. Tuttavia della comprensione storica del Medioevo si interessarono poco quanto Metastasio si interessava di comprende storicamente l’antichità. Giuseppe Mazzini, nella Filosofia della musica (1836) auspicava che la musica teatrale cogliesse l’elemento storico nelle composizioni, ma esso era presente solo nelle scenografie e costumi, il compositore esercitava il suo dominio nella musica: non c’era nulla di babilonese nella musica di Semiramide, ad esempio. Fu La traviata a fornire all’opera italiana, al ritmo del valzer, la prima occasione di pittura sonora dell’ambiente. Si cercava nei romanzi di Scott, di Hugo o nei libretti dell’opera comique, avvenimenti avventurosi su cui si potevano rappresentare sentimenti e amori passionali. Si risolve la lotta fra dovere e sentimento a favore di quest’ultimo, che porta alla sconfitta del personaggio. I protagonisti dell’opera dell’800 sono spesso degli esaltati, quasi folli, sia donne (Lucia di Lammermoor, Donizetti) che uomini (Semiramide, Rossini). I protagonisti sono solitamente tre; frequenti sono le scene nelle carceri o in ambienti sotterranei; nelle scene c’è spesso il personaggio del popolo che approva o commenta le azioni dei protagonisti. La natura, protagonista nell’opera romantica tedesca, non è un tema centrale in Italia bensì uno sfondo idillico dell’azione. Riscoperta di Shakespeare, solo le trame, non la profondità della psicologia e filosofia dei personaggi; uguale con Schiller. Hugo fu meno travisato, anche se si lamentò spesso della riduzione in libretti dei suoi drammi. I soggetti tratti dal mondo antico non scomparvero completamente (Tancredi, Rossini). Bellini nei libretti preferiva le espressioni di una sensibilità appassionata alle belle parole, dietro ai quali vedeva solo logica che era giusto sacrificare alla passione, ricerca soggetti nuovi e grandiosi.  Crescita dell’uso di forme musicali aperte, con l’aria che tende ad inserirsi in un tessuto musicale più vasto che comprende dialoghi parlati;  Importanza sempre maggiore al coro (spesso “caratteristici”, come i cori di contadini, di soldati etc.);  Enfasi data alle voci virili. La fonte di una buona parte di queste caratteristiche era l’opera buffa e seria napoletana, specie i finali d’atto. Al contrario dell’opera italiana si sviluppa una vocalità essenzialmente declamatoria caratterizzata dall’assenza di fioriture, destinata ad esprimere uno stato d’animo. All’orchestra è affidato il compito di reggere la continuità del discorso musicale; è importante la dimensione “visiva” dello spettacolo. L’opera seria francese durante l’era napoleonica Con l’ascesa di Napoleone si ebbe il ritorno massiccio degli elementi spettacolari nel melodramma serio francese; egli incoraggiò una produzione che desse maggior lustro alla gloria del suo impero. Le preferenze musicali di Napoleone andarono comunque verso l’opera italiana. Fu data molta importanza alla dimensione colossale dello spettacolo e ai grandi effetti scenici (es: Fernand Cortez, opera chiave della musica francese dell’Impero). Gli elementi eroici e guerreschi proposti dal Fernand Cortez di Gaspare Spontini diverranno parte costitutiva del grand opera. Il grand opera È un tipo di opera di grandi proporzioni, quasi sempre articolata in 5 atti, contrassegnata da un notevole sfarzo nell’allestimento scenico, dalla presenza del balletto come parte essenziale dell’azione, da un massiccio dispiego di personaggi e di forze corali e orchestrali. A differenza dell’opera-comique, il grand opera è interamente musicato anche nei recitativi. Si tratti di uno spettacolo operistico costoso e complesso, destinato ad un pubblico alto e medio borghese amante del lusso, che andava alla ricerca dell’istruzione oltre che del divertimento. Si volevano rappresentare le idee e i conflitti della storia moderna, rappresentando soggetti della storia più recente. Es: - Gli Ugonotti, di Meyerbeer; - Guglielmo Tell, di Rossini; - Roberto il diavolo di Meyerbeer. La complessità della messinscena e dell’apparato scenico rese indispensabile l’introduzione della nuova figura del direttore di scena (oggi il regista); per evitare distrazioni e incongruenze con il libretto e il pensiero degli autori si affermò anche la consuetudine di far circolare i “libretti per la messinscena”, che prescrivono come realizzare le opere sulle scene, con anche suggerimenti relativi alla recitazione dei cantanti etc. La drammaturgia del grand opera si basa sull’avvicendarsi di scene di massa e di romanze toccanti, di violente sonorità orchestrali e di assoli strumentali. L’opera è articolata in una serie di grandi aggregati scenico-musicali, i “quadri” (tableaux), ognuno dei quali rappresenta una situazione (=tappa dell’azione drammatica) ed è costituito da una libera concatenazione di recitativo, aria, concertato vocale, coro ed eventualmente balletto o pantomima. Il coro è uno dei personaggi principali del dramma, quasi sempre presente nei momenti cruciali e a volte anche protagonista. I pezzi vocali solistici sono di semplice struttura binaria A A’, altri sono caratterizzati da virtuosismo vocale. La massiccia sonorità dell’orchestra costrinse i cantanti a modificare la tecnica vocale, più declamatoria, in cui prevale un fraseggio incisivo, tessiture alte, acuti estremi. Come con il melodramma italiano, si valorizzò il tenore come voce del giovane fiero e leale, spesso in contrasto fra amore di patria e amore passionale. La voce di soprano è spesso la voce di donna innamorata. Caratteristica del grand opera è la ricerca di nuovi volumi sonori ed effetti strumentali. Il melodramma francese nel secondo ‘800 A partire dal 1820-30 l’opera comique si distaccò dalla produzione precedente; ci fu la tendenza a dare un tono leggero o semiserio allo spettacolo. Si evitarono emozioni complesse e la musica utilizzò le forme più semplici come i couplets strofici, i rondeaux, i concertati, i finali brevi nonché alcuni tipi di danza. Prevalse la gradevolezza rispetto all’intensità drammatica. Poco dopo la metà del XIX secolo nacque a Parigi, dall’opera comique, l’operetta, composta da parti recitate, cantate e danzate. È un tipo di opera la cui sostanza consiste in canzoni, danze, marce tipiche dell’epoca, anche appropriazioni parodistiche delle forme convenzionali dell’opera seria. Era una fonte di divertimento immediata e il linguaggio musicale era leggero, brioso e fruibile a tutti. Prevalgono i ritmi di valzer, i soggetti sono in un primo momento a sfondo mitologico poi tendono a una seriosità sentimentale. Jacques Offenbach viene considerato il fondatore dell’operetta. Un genere fiorito nella seconda metà dell’800 fu l’opera lyrique, una via di mezzo fra l’opera comique e il grand opera. I libretti trattano di storie d’amore intime, dalla vena sentimentale e sensuale. I soggetti sono ricavati dalla letteratura di largo consumo o da celebri opere di narrativa o di teatro. Il successo fu dovuto principalmente alle melodie facili da ricordare. Altri tratti caratteristici sono la cura dei particolari nell’orchestrazione e la riscoperta dei valori del canto sillabico. L’opera che segnò la storia del melodramma francese del secondo ‘800 fu Carmen di Bizet, fu concepita come opera comique. Diversamente dalle convenzioni dell’opera comique, l’elemento esotico diventa l’elemento centrale, mentre l’elemento sentimentale è secondario.
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