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Il Memoriale P. Volponi, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti relativi al romanzo "Il Memoriale" +analisi + biografia P. Volponi

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 13/07/2020

GiòOlly98
GiòOlly98 🇮🇹

4.2

(12)

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il Memoriale P. Volponi e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! IL MEMORIALE P. Volponi Per P.V. la letteratura è un modo per investire il mondo con una soggettività risentita e appassionata, per affermare l’esigenza di una razionalità capace di affermare le più integrali possibilità umane, di mirare a una libera espansione delle facoltà corporee e mentali, a un uso positivo del lavoro, della scienza e della tecnica. Convinto della possibilità di uno sviluppo democratico della civiltà industriale, che consentirebbe di liberare grandi masse di uomini da una secolare miseria e oppressione, V. ha inizialmente guardato in termini positivi alla trasformazione che l’Italia ha subito negli anni ’50: e in quest’ottica ha lavorato nell’amministrazione industriale, cercando nel contempo una letteratura che mettesse in luce le contraddizioni del mondo produttivo, che desse voce al fondo segreto di un’antica Italia aspirante a proiettarsi verso una nuova razionalità non distruttiva, verso un nuovo equilibrio tra modernità, tecnica e terrestre visceralità. V. ha creduto che il corpo degli individui, con i suoi desideri, con la sua passione, con la sua forza, potesse aspirare a una conciliazione utopica con la totalità dell’universo, a un accordo possibile tra natura e attività umana: e ha visto nella tradizione della sinistra, in una miscela di anarchismo e di illuminismo, di spirito sovversivo e di razionale riformismo, il riferimento più autentico per questa utopia razionale, la sintesi delle energie migliori di un’Italia ambiziosamente protesa verso il futuro. Questo ostinato impegno in senso positivo può apparire ottimistico e illusorio, specie se confrontato con il giudizio negativo che della realtà italiana dava negli stessi anni Pasolini. Ma, anche nei suoi momenti apparentemente più ottimistici, V. ha saputo vedere con lucidità gli aspetti negativi e distruttivi che si agitavano già nel vorticoso sviluppo degli anni ’50; e più tardi ha saputo prendere atto della sconfitta che non solo la sinistra, ma la stessa razionalità democratica e riformista hanno subito di fronte al trionfo del postmoderno, a un’espansione economica aggressiva e incontrollata, all’onnipresenza della comunicazione pubblicitaria. Per questo la sua opera rappresenta nel modo più esemplare la parabola delle speranze legate alla trasformazione dell’Italia in paese industriale: essa registra con appassionata violenza corporea l’avventura di una ragione civile che ha cercato invano di immergersi nella modernità senza rinnegare una storia e una memoria secolari, ritenendo possibile la costruzione di un mondo giusto e abitabile dall’uomo. P.V. è nato a Urbino nel 1924 e nella sua città si è laureato in legge nel 1947. Determinante è stato per lui l’incontro, avvenuto nel 1950, con a. Olivetti: in seguito a questo incontro, fu assunto presso un ente di assistenza sociale, per il quale compì inchieste nel Mezzogiorno e lavorò a Roma a partire dal 1953. Il suo interesse per la letteratura aveva preso avvio dalla scrittura poetica e già nel 1948 si era avuta la pubblicazione della raccolta Il ramarro; decisivi furono poi i suoi rapporti con il gruppo di Officina, mentre dalla sua diretta esperienza del mondo industriale scaturì il suo esordio narrativo, col romanzo Memoriale(1962); al successivo romanzo, La macchina mondiale(1965), venne assegnato il premio Strega. Nel 1972 si stabilì a Torino iniziando una consulenza con la Fiat per i rapporti tra fabbrica e città: dopo l’apparizione dell’ampio romanzo Corporale(1974), nell’aprile del 1975 fu nominato segretario generale della Fondazione Agnelli, ma dovette abbandonare questo incarico solo due mesi dopo, inseguito a una sua dichiarazione di voto in favore del Pci per le elezioni amministrative, non gradita ai vertici della Fiat. Nel 1983 q stato eletto senatore come indipendente nelle liste del Pci: ha esercitato con impegno l’attività parlamentare, avvicinandosi più strettamente alle strutture del partito. Di fronte alla generale crisi della sinistra negli anni ’80, e all’affermazione di un nuovo aggressivo capitalismo, il suo romanzo Le mosche del capitale (1989), dedicato alla memoria di A. Olivetti, è apparso come una radicale critica dei nuovi sviluppi della società industriale e come un lacerante addio alle speranze degli anni precedenti: su queste posizioni, V. si è opposto alla dissoluzione del Pci. Gravemente malato, è morto ad Ancona nel 1994. Poco dopo la sua morte è uscita la raccolta di saggi Scritti dal margine (1994). La prima attività poetica di V. ha preso avvio con Il ramarro (1948), brevi componimenti sospesi tra tardo ermetismo e neorealismo; le raccolte successive ( l’antica moneta, 1955; Le porte dell’Appennino, 1960; Foglia mortale, 1974) assumono un respiro narrativo, fino a raggiungere la misura del poemetto: V. cerca nel paesaggio naturale e nelle immagini del mondo contadino i segni di un sofferto e difficile rapporto tra l’io e la realtà. Il passaggio alla narrativa avvenne alla fine degli anni ’50, con l’elaborazione di Memoriale e il progetto di un vero e proprio romanzo di formazione, a cui l’autore lavorò dall’autunno 1961, dopo la consegna di Memoriale all’editore. Questo romanzo che doveva intitolarsi Repubblica borghese, giunse a uno stadio di realizzazione molto avanzato, ma non ebbe una sistemazione definitiva e fu abbandonato per la stesura de La macchina mondiale: finchè V. è giunto a pubblicarlo nel 1991 sotto il titolo La strada per Roma. Il testo, largamente autobiografico, segue le esperienze di un giovane agli inizi degli anni ’50, insofferente del chiuso mondo di Urbino, alla ricerca di nuove esperienze di vita: egli prende la strada di Roma e si inserisce, tra paure e speranze, nella realtà nuova della grande città, pur mantenendo un ambiguo rapporto con il suo luogo d’origine. Il nuovo punto di vista che si determina per la pubblicazione avvenuta fuori tempo, quando l’autore, vicino alla vecchiaia, ha ormai assistito alla sconfitta delle sue speranze giovanili, e Urbino e Roma hanno subito una radicale trasformazione, conferisce un singolare effetto straniante alla freschezza giovanile di questo romanzo. Con Memoriale (1962) si entra direttamente nel nuovo mondo industriale, con la vicenda narrata in prima persona dall’operaio Albino Saluggia, che nel rapporto con la realtà della fabbrica vive fino in fondo l’esperienza della malattia e della solitudine: il narratore- protagonista ricostruisce incidenti, incontri, esperienze, con l’ottica deformante della paranoia, che acquista una singolare forza di strumento conoscitivo. Nel successivo romanzo, La macchina mondiale (1965), la voce narrante è quella di un contadino marchigiano, Anteo Crocioni, che, risalendo alle radici di un’antica sapienza popolare, di arcaiche utopie, di bisogni che affondano nella vita stessa della terra, ha concepito un suo sistema pseudoscientifico, in cui il mondo è visto come una grande macchina, e anche gli uomini come le macchine, che possono perfezionarsi con il lavoro. Il personaggio ha elaborato un trattato, di cui inserisci ampi passi nella sua narrazione: questa si svolge in una prosa carica di violenza, di scatti improvvisi, con un teso realismo espressionistico. L’utopia della macchina mondiale è però insidiata dal mondo che circonda il protagonista, da una serie di vicini di casa e altri nemici pieni di risentimento verso chi cerca di sfuggire al dominio dell’infelicità e dell’ingiustizia: costoro vedono in lui un pazzo e lo angustiano con varie persecuzioni, a cui Anteo si sottrae tragicamente col suicidio. L’ampio romanzo Corporale (1974), composto in fasi diverse, attraverso un progressivo sviluppo e arricchimento di differenti episodi, si pone come una sorta di scrittura totale, scrittura del corpo, che vorrebbe quasi aspirare a essere scrittura sul corpo: il protagonista Gerolamo Aspri è un intellettuale che ha caratteri molto vicini a quelli dei personaggi folli dei due romanzi precedenti; dopo difficili esperienze nel partito e nella fabbrica, egli parte per un singolare viaggio alla conquista della realtà, cerca di immergersi fisicamente nel magma contraddittorio del mondo circostante, nelle sue molteplici forme vitali,. quasi fagocitandole, facendole diventare parte del proprio stesso corpo. Ne sorge una serie vastissima di situazioni, di incontri, di immagini della vita contemporanea, descritte con un realismo allucinato e convulso, con una sensualità sfrenata e trionfale, che mira ad afferrare il senso sfuggente della vita in tutte le sue manifestazioni. Nel suo onnivoro rapporto con il mondo, G. aspri vede la sua identità confondersi e scontrarsi con numerose altre voci e figure. q un’opera aperta e senza centro, che ricorre ai registri stilistici più diversi, sospesa tra utopia e apocalisse, tra , realismo e delirio, tra realismo e delirio, tra passione per la inesauribile ricchezza della vita e terrore per la sua sovrabbondanza. Il romanzo successivo, Il sipario ducale (1975), presenta un più semplice impianto narrativo: è ambientato a Urbino, e intreccia le vicende di un vecchio anarchico, il professor Subissoni, della sua compagna Vivès, e di un giovane della locale nobiltà decaduta. Il piccolo mondo provinciale urbinate offre qui uno specchio rovesciato di quello che accade sulla scena dell’Italia contemporanea. Il pianeta irritabile (1978) si proietta invece verso un futuro apocalittico: vi si narrano le avventure quasi picaresche di 4 personaggi 8una scimmia, un elefante, un’oca e un nano) che si svolgono nel l’anno 2293, in un mondo sconvolto da una catastrofe nucleare. Nella lotta di questi personaggi per la sopravvivenza, al di là dei limiti dell’umano, sembra affermarsi la possibilità di una nuova ragione, che si propone come un modello positivo per la stessa umanità contemporanea. La fine degli anni ’70 vede consumarsi definitivamente le speranze utopiche e progettuali che Volponi aveva affidato ai suoi personaggi di folli e che aveva vissuto nella sua attività di dirigente industriale: il suo sguardo verso al realtà diventa sempre più negativo. Una prova minore come il romanzo <il lanciatore di giavellotto (1981), sulla vita di un giovane sportivo negli anni del fascismo, fa arretrare tutti gli elementi utopici dei romanzi precedenti: V. ricostruisce qui le tappe di un’educazione deludente, di un’esperienza giovanile mancata, che dagli anni del fascismo si ripercuote minacciosamente nel presente. Punto d’arrivo dell’esperienza industriale, politica e letteraria di V q l’ultimo romanzo, Le mosche IL MEMORIALE - PAOLO VOLPONI: - scritto attraverso il quale il protagonista vuole raccontare i soprusi subiti, smascherare gli inganni e denunciare i colpevoli per amore della Giustizia. - La vicenda si svolge tra il 1946 ed il 1956, anni in cui l’Italia attraversa un periodo di grande trasformazione, caratterizzato dal passaggio da un economia prevalentemente agricola alla moderna società industriale. - Le vicende narrate nel libro sono raccontate in una sorta di diario direttamente dal protagonista. ALBINO SALUGGIA, reduce della seconda guerra mondiale e di ritorno nel suo paese CANDIA CANAVESE - TORINO, dopo la prigionia in Germania. - Albino ci dice che alcuni mesi dopo il suo ritorno dalla prigionia sono cominciati i suoi male: mali fisici ( Era affetto dalla tubercolosi una malattia grave ) e soprattutto le sofferenze dell’anima maturate durante la prigionia; un giorno riceve dall’ufficio di collocamento una comunicazione con cui lo invitano a presentarsi in città per verificare se poteva essere avviato al lavoro nell’industria ( prima della guerra aveva frequentato una scuola di avviamento industriale dai salesiani senza arrivate al diploma a causa della morte prematura del padre e di una pleurite ). - Nel giugno del 1946 entra in una fabbrica, al reparto delle fresatrici: Albino si aspetta molto dal lavoro, spera di poter combattere con il lavoro le sue malattie ed il suo disagio, fortemente motivato nel suo lavoro, scopre ben presto che la sua ossessione di guarigione q ben lontana dall’essere raggiunta, il mondo della fabbrica infatti si rivolterà contro di lui, non farò che acuire i suoi mali ed egli arriverà a rimpiangere la vita nei campi. - I medici della fabbrica infatti gli diagnosticano la tubercolosi e gli propongono di prendersi un periodo di malattia e un soggiorno in un sanatorio; convinto che si stia ordendo un complotto contro di lui fa di tutto per dimostrare la falsità delle diagnosi, malgrado decida di accettare le cure e diversi ricoveri nei sanatori della valle d’aosta e della lombardia. - Nel suo uscire e rientrare dalla fabbrica viene spostato in diversi reparti senza riuscire mai ad ottenere l’agognata qualifica, irriducibile nella sua convinzione di essere perseguitato dai medici della fabbrica arriva ad affidarsi ad un santone che lo asseconda nelle sue convinzioni ma solo per spillargli soldi, scoperta la truffa, si rivolge infine direttamente al presidente della fabbrica per denunciare le persecuzioni subite gli viene assegnato il ruolo di piantone della fabbrica dalla quale finirà per essere licenziato (aveva incitato i colleghi della messa allo sciopero contro la direzione della fabbrica. - Il romanzo si conclude con la scena del ritorno a casa di Albino, il ritorno nella sua campagna dove non alberga la cattiveria umana ed in quel momento capisce che non c’q nessuno che potrà arrivare in suo aiuto emerge il pessimismo dell’autore cita la possibilità di migliorare le condizioni di vita degli uomo delle fabbriche. CONSIDERAZIONI - il racconto è condotto in prima persona dal protagoniste stesso che è però un narratore inattendibile, infatti un paranoico, affetto da manie di persecuzione, convinto che i medici della fabbrica abbiano ordito una congiura contro di Lio falsificando i referti per estrometterlo dal lavoro. - Il punto di vista del folle pero coglie l’oppressione della moderna realtà industriale che possiede un apparato perfettamente organizzato per tutelare la salute degli operai mali imprigiona in un sistema che li allena da loro stessi li trasforma in oggetti privi di individualità in pure appendici delle macchine. - C’q una forte contrapposizione tra il lavoro come cura nel senso di mezzo di sopravvivenza ed emancipazione sociale e lavoro come fonte di malattia, sia fisica che psicologica. - La fabbrica q il luogo in cui sviluppo la smania dei premi dei passaggi di categoria e l’ambizione di essere ben voluti dai capi tutto ciò determina la perdita di identità i lavoratori si sentono parte della fabbrica e sono portati a difendere l’interesse dell’azienda anche contro il proprio e quello dei colleghi. - Questo riguarda soprattutto, gli uomini che nella fabbrica hanno fortuna e stanno meglio loro sono i più condizionati ed i più infelici vis Ono altri che cadono che lavorano con pena fino al momento in cui sono scacciati o fino alla ribellione, comunque meglio per loro che restano uomini. LA FABBRICA - la fabbrica ci appare attraverso lo sguardo allucinato del protagonista come una entità astratta misteriosa un grande edificio in cui regnano ordine pulizie un perfetta organizzazione del lavoro degli operai diretti da professionali caporeparto, eppure è proprio questa immagine di efficienza a rendere la fabbrica un luogo diabolico e mascherare la reale natura di realtà oppressiva ed alienante. - Sempre capitato che in fabbrica mi dimenticassi di casa mia e persino di mia madre e mai a casa io potessi dimenticarmi della fabbrica e del dottor tortora. - Per tutto il romanzo viene sempre presenta in maniera dialettica considerata dal protagonista come luogo di cura e di rovina. - È un luogo disumano e alienante chi per qualsiasi motivo non è in grado di partecipare a questa logica tutta finalizzata alla produzione viene rifiutato ed espulso. LA CAMPAGNA E LA CITTA - è motoretta nel roteando la dicotomia tra la campagna i, paese dove vive il protagonista sulle sponde del lago di Candia e la città dove si trova la fabbrica la città industriale sede della fabbrica non è mai nominata q indicato come xxx perché l’autore non vuole che riconoscendo una città o una fabbrica si giunga ad attribuire solo a busta ke cose narrate, albino dice che non otre mai vivere in città dove la gente è cattiva furba e interessata ama la campagna ma dice che non potrebbe fare nemmeno il contadino perché anche solo arando scavando piantando pali l’uomo ferisce la terra che in realtà non può essere domanda da nessuna e ripara da sola i suoi male. - Questa dicotomia si evidenzia anche dallo stile della narrazione che è disteso rasserenante perché la natura costituisce per il protagonista un logo di conforto dalle fatiche del lavoro e paradossalmente è anche il luogo dove albino soffre i suoi tormenti, nutre le sue paranoie ed elabora i suoi piani di rivalsa è come una tana per un animale ferito, invece la città q un luogo dell’azione e si identifica quasi sempre cona la fabbrica e con il lavoro. LA MALATTIA - nel romanzo il tema della malattia compra come metafora di un disagio storico ed esistenziale il protagonista prigioniero in Germania durante la seconda guerra mondiale malato di tubercolosi è tormentato sin dall’infanzia dalla solitudine quando viene assunto da una grande fabbrica del nord si illude di poter cambiare la vita e finalmente guarire da tutti i suoi mali ma lungo andare questa esperienza sarà per lui devastante tanto da fargli rimpiangere la vita nei campi. - Dal romanzo emerge anche la diversa concezione della malattia che si ha nel mondo polare rispetto a quella del mondo industriale moderno nel mondo popolare è il malto che decide di curarsi a chi rivolgersi per essere curato quando la malattia diventa tanto seria da rendere ricorre al medico: Albino segue questo ragionamento “io lavoro, riesco a svolgere i compiti assegnati, quindi sto bene”. Nella fabbrica invece il malato non decide nulla, tutto è deciso da altri: il malato deve stare a casa e in ospedale per curarsi e tornare in fabbrica solo se completamente guarito in maniera tale che il lavoro non subisca rallentamenti e non ci siano rischi per i colleghi. Albino, una volta scoperta la malattia dai medici della fabbrica, secondo la sua logica diversa si aspetterebbe parole di conforto, di coraggio a proseguire nel lavoro perché l'ozio ed il pensare continuamente alla malattia aggraverebbero il male ("io potevo vincerlì i miei mali se li tenevo dentro di me, ignorandoli, ma se altri li mettevano fuori di me e contro di me, non avrei potuto più dominarli e batterli"). Per questo le proposte dello staff medico di allontanarlo dal lavoro e di ricoverarlo in sanatorio per farlo curare lo allarmano ed interpreta queste proposte come tentativi di mandarlo via per sostituirlo con qualche altra persona vicina ai medici della fabbrica. Da questo momento inizia ad essere tormentato dalla mania di persecuzione che lo porterà a considerare suoi nemici, oltre che i medici, anche le autorità alle quali si rivolge, il capo reparto, i dirigenti e la proprietà della fabbrica. LA FIGURA DELLA MADRE (ASPETTO CULTURALE DELLA PSICOANALISI) Dalle riflessioni del protagonista si evince che egli non ha mai superato il complesso d'Edipo. Figura centrale nel romanzo è la madre, con la quale ha un rapporto d'amore/odio, un rapporto morboso, oppressivo che contribuisce al suo isolamento. Sappiamo infatti che l'idea di sposarsi o metter su famiglia non colpirà mai Albino e che la madre stessa, che parlava poco, insisteva solo nel dirgli di non prender moglie. In Albino però è forte il bisagno di stabilire una relazione d'affetta con una donna: ad esempio attende invano l'arrivo della cugina da Avignone, in sanatorio si illude di incontrare una ragazza con i suci stessi mali con la quale uscire dal sanatorio ed iniziare una nuova vita, Vera, con la quale in realtà non si incontrerà mai ed alla fine si sentirà tradito dal suo comportamento ripensando agli avvertimenti della mamma sugli inganni femminili (Vera si incontra in realtà con altri uomini ricoverati nel sanatorio). petto. E’ giusto perché serve a dire e a provare a tutti che io sono stato maltrattato, che la giustizia q stata offesa insieme a me. Saluggia vede nella fabbrica piemontese in cui lavora, inizialmente la sua “ terra promessa”. Ma egli q malato di tubercolosi. I medici aziendali che lo visitano lo ricoverano più di una volta in sanatorio. Lui reagisce malamente, parlando con tutti ( parroco e carabinieri compresi) di una persecuzione nei suoi confronti. “ Io avevo paura di questo inizio, soprattutto paura che la fabbrica potesse assomigliare all’esercito”. “ Ora le vostre ombre ( le ombre dei mali) debbono andarsene, lasciarmi in pace. Altrimenti questa volta io non potrò resistere e voi finirete con me. Non posso resistere a casa mia, di fronte a mia madre, nel momento stesso in cui dovrei cominciare a stare bene e a vivere come un uomo civile”. Il rapporto con gli altri operai è freddo. Solo con GROSSET, il suo primo capo-reparto, trova un po’ di comprensione perché quest’ultimo q un altruista, un tantino debole in casa dove sopporta i palesi tradimenti della moglie, ma ben disposto verso gli operai, al punto che in una poesia che Albino scriverà in sanatorio, dopo la morte di quello per cancro, parlerà di lui come di un santo. “ Io nella fabbrica sentivo il bisogno di qualcuno sincero, il bisogno di parlare con qualcuno che potesse aiutarmi; ma nel reparto non avevo ancora visto un compagno in grado di farlo”. “La gente non esisteva più ed io pensavo che per quanto nella fabbrica si lavori tutti insieme...è difficile poter avere delle compagnie e degli aiuti dagli altri”. “ Pensavo con piacere di far parte di una industria così forte e bella e che la sua forza e la sua bellezza fossero in parte mie e pronte ad aiutarmi, così come la fabbrica mi scaldava e mi dava luce”. Le speranze che Albino aveva riposto nella fabbrica vengono però deluse: “ Passati quasi due mesi di lavoro nella fabbrica , mi accorsi di essere la stessa persona di cinquanta giorni prima, la stessa da tanto tempo, e che niente era cambiato dentro e fuori di me nelle cose importanti della mia vita, che cioè la mia vita era rimasta uguale, senza nemmeno mostrare i segni di una prossima trasformazione”. Volponi ha il merito di aver esaltato la psicologia del suo personaggio, di averle permesso di mostrare i passi attraverso i quali si va via evolvendo e complicando con il lento procedere e acuirsi della duplice malattia, mentale e fisica, la paranoia e la tubercolosi, ponendolo in contatto con l’estraniante realtà del mondo produttivo della fabbrica. La debolezza psicologica di un individuo in balìa dell’alienazione massificante di un ambiente finalizzato alla produzione e quindi al profitto con il rischio di spersonalizzazione, l’ansia da prestazione, l’incapacità di vivere con soddisfazione ed equilibrio i momenti di solitudine, il distacco dalla dimensione naturale, che sono aspetti ben riconoscibili del mondo contemporaneo. Questa q l’ottica deformante attraverso cui, in Memoriale, leggiamo la complessa dialettica tra tradizione e innovazione, cultura rurale e industrializzazione, tensione al nuovo e fedeltà alle origini: antinomie su cui si è formata quella che forse è la più feconda generazione di scrittori italiani del Novecento ( basti pensare a PAVESE, PASOLINI e CALVINO). Albino si sente perseguitato da tutti, anche dai medici che gli diagnosticato la tubercolosi . “ I medici mi dichiaravano malato perché sapevano quanto io soffrissi e come certe volte facessi fatica ad andare avanti. E loro invece di aiutarmi a prevalere sui miei mali, li rafforzavano per sgominarmi del tutto. Io potevo vincerli, se li tenevo dentro di me, anche ignorandoli; ma se altri li mettevano fuori di me e contro di me, non avrei più potuto dominarli e batterli”. Di qui anche la non volontà di farsi aiutare da altri per il non riconoscimento della realtà . Quando entra in sanatorio , Albino trova un’ altra prigione; sospende lo spettro del complotto in un’ atmosfera ancora più tesa e indecifrabile e incontra anche delle donne poco serie. Si rivolge al cappellano che lo ammonisce: “ IN questa malattia ci sono molti segni di ribellione al Signore. E anche di ribellione contro se stessi”. Subito , nelle righe successive, Saluggia (Volponi)scolpisce con nitore il suo grande incomprensibile turbamento: “ Quando l’ago del pneumotorace si infiltrava tra le mie costole ero alla fine di tutto e non sapevo più cosa pensare(...). Mi sentivo molto solo; più confusamente di oggi che sono sicuro di esserlo ma anche allora con un dolore che non veniva spento dalla speranza di poter infine guadagnare un destino migliore. Oggi scrivo questa lettera a tutti e a nessuno ma so che q diretta, prima che ad ogni altro, a me stesso di quel tempo”. Quando torna dal sanatorio e ricomincia a lavorare in fabbrica gli viene proposta una qualifica sul lavoro in cambio di un fare la spia; “ Ogni volta tutti i miei risentimenti crollavano e io tornavo indietro e sempre con l’immagine del sergente Vattino, malato, in campo di concentramento, che mi salutava con le lacrime agli occhi e mi sembrava che alle parole vere che aveva detto allora, adesso aggiungesse che quello non si poteva fare, che la spia era una cosa indegna”. Albino, “ a forza di pensare a me e alla fabbrica” fa molte riflessioni: “ L’importante q che le fabbriche così come sono fatte oggi, annullano piano piano per tutti quelli che vi sono il sentimento di essere su questa terra da solo e insieme agli altri e a tutte le cose della terra. Così si dimentica qual q il destino degli uomini e subentra un orgoglio sempre più profondo per l’organizzazione nella quale si q, per le macchine e per tutto l’ingranaggio che riesce a fare cose mai viste e pensate da un uomo. Ci si può spingere a pensare ad un uomo non fatto più ad immagine e somiglianza di Dio, ma più somigliante e legato alle macchine, addirittura ad una razza diversa. “... Tutta l’industria deve essere controllata , o invece di essere un mezzo per stare bene su questa terra, potrà essere il fine di starci male o il mezzo per uscirne.” Il rapporto con la madre q un rapporto di odio/amore: “ ...i rapporti con mia madre continuavano come sempre; non avevo mutato le mie abitudini e a casa rimanevo quasi sempre silenzioso . . e mi accorsi che la sera , mia madre, più che aspettarmi mi spiasse”. Saluggia non lascia nulla di intentato pur di tornare sul suo posto di lavoro. Arriva ad affidarsi ad un sedicente professor Fioravanti nella speranza di guarire in maniera definitiva. Questi , però,dopo avergli spillato un bel po’ di soldi,ben presto sparisce, dimostrando di essere un emerito truffatore. Lo sfortunato protagonista ritrova sé stesso e la pace soltanto quando q nell’orto di casa sua, quando passeggia nella campagna circostante o vicino al lago, in contrasto con le sue ansie, i rancori, i sospetti e le manie persecutorie che gli procura la vita di fabbrica. Paolo Volponi evidenzia narrativamente la contrapposizione fra campagna e industria, fra la dimensione agreste e il lavoro davanti ad una fresatrice. “Memoriale” uscì nel 1962, periodo in cui l’Italia agricola stava lasciando il posto all’Italia dell’industrializzazione e dello sviluppo economico. Contrapposta alla fabbrica, c’q la tranquilla dolcezza della campagna, il lago, i ritmi lenti di vita, il grembo materno. Ma l’uomo non q più a suo agio neppure lì: la madre è sempre più lontana e sofferente; le antiche macchie sul muro, un tempo conciliatrici di pensieri profondi, oggi sono portatrici di paranoie e manie di persecuzione. Dovrà vedersela da solo, inevitabilmente solo: non sarà mai del tutto un operaio, non tornerà mai più un contadino. Come dice bene nel finale, per lui nessuno può venire in aiuto, né uomo, né ideologia politica identificabile. C’q solo un gran “ male di vivere” che nulla può guarire.
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