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Il memoriale Paolo Volponi, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto capitolo per capitolo, più analisi del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 13/01/2020

Laveng
Laveng 🇮🇹

4.5

(95)

23 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il memoriale Paolo Volponi e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! IL MEMORIALE, Paolo Volponi Memoriale è il primo romanzo di Paolo Volponi, pubblicato originariamente nel 1962. Nasce dal suo desiderio di avvicinare il lettore alla realtà e alle problematiche del mondo dell'industria degli anni '50 e '60 nell'Italia del boom economico del secondo dopoguerra e propone il conflitto di civiltà e di cultura, fra la mentalità arcaica-contadina e quella moderno- industriale. Questo romanzo rientra nella cosiddetta letteratura di fabbrica che aveva segnato gli anni della sperimentazione neorealista nei primi anni 50, nell’immediato dopoguerra. Non è quindi un romanzo evasivo e disinteressato, al contrario è un romanzo che affonda radici, tematica ed esperienza diretta nel vivo dell'esperienza personale del suo autore. Sono proprio le esperienze del lavoro presso la Olivetti di Ivrea e delle inchieste sociali nelle fabbriche del Sud che aiutano Volponi a creare le memorie di un operaio di una fabbrica piemontese (non parla della sua situazione personale!). La vicenda si svolge tra il 1946 ed il 1956, anni in cui l’Italia attraversa un periodo di grande trasformazione, caratterizzato dal passaggio da una economia prevalentemente agricola alla moderna società industriale. Le vicende narrate nel libro sono raccontate in prima persona in una sorta di diario direttamente dal protagonista, Albino Saluggia, il quale però non racconta le vicende scrivendo giorno per giorno come in un diario tradizionale, ma è scritto a ritroso (flashback). Dalla datazione precisa nel diario possiamo inoltre dedurre che il protagonista comincia a narrare i fatti successi tempo addietro, mentre vive il penultimo capitolo del racconto. Volponi si cala nella nemesi di un uomo di scarsa cultura, di un uomo semplice e poco istruito e cosi reinventa lo stile dismesso di una persona con un livello culturale basso e misero, deve anche immedesimarsi nella scrittura di un malato psicologico di nevrosi. Questo tipo di personaggio con questo specifico tipo di malattia è stato scelto perché ha la capacità di interpretazione della realtà più dolente e più acuta, perché è un ribelle, uno che non ha ancora ceduto alla fabbrica, ha la capacità di capire meglio certi fatti del reale, di interpretali e anche di volerli muovere in senso nuovo, mentre magari la persona normale, qualunque, accetta le situazioni per quello che sono, le supera, le modifica, si adatta, va avanti → il suo stato nevrotico funziona da lente di ingrandimento. Ecco perché la scrittura è frammentaria, non ha una continuità logica e razionale, rispecchiando il tentativo disperato di captare un reale mobile, sfuggente in base alle proprie fissazioni. Il tema principale, attorno al quale ruota il testo è l'alienazione del lavoratore che trasforma l’individuo in appendice delle macchine. CAPITOLO 1 Il personaggio principale, Albino Saluggia, nasce ad Avignone, in Francia, da genitori italiani. Suo padre crede che l'Italia con il fascismo sia diventata un paese ricco e decide di ritornare con la famiglia nel loro paese di nascita per garantirle un futuro più sicuro. Trovano una sistemazione in una casa di campagna a Candia in provincia di Torino. La gioventù di Albino non sarà felice, segnata da momenti strazianti come il presunto adulterio di sua madre, la morte del padre, la pleurite, la partecipazione alla seconda guerra mondiale e la prigionia in un campo di concentramento/di lavoro in Germania. Il racconto si apre con la storia del personaggio che inizia a parlare di sé dopo un ritorno dalla prigionia in Germania a 36 anni. Nonostante tutto Albino aspira a una vita normale e regolare, così quando nel giugno del 1946 riceve due lettere, una dall'ufficio di collocamento con l'offerta di un posto di lavoro in una fabbrica, l'altra dell'Associazione Reduci per il riconoscimento della pensione di guerra, decide di lasciarsi alle spalle il passato e fa di tutto per conquistare il nuovo posto di lavoro e cominciare una nuova vita. Invitato a presentarsi in città per verificare se poteva essere avviato al lavoro nell'industria (prima della guerra aveva frequentato una scuola di avviamento industriale dai salesiani senza però arrivare al diploma a causa della morte prematura del padre e di una pleurite), nel giugno del 1946 entra così in una fabbrica, al reparto delle fresatrici: Albino si aspetta molto dal lavoro, lavoro che vede come un segno di liberazione e un passo avanti verso una vita nuova e spera di poter combattere con il lavoro le sue malattie ed il suo disagio. Egli per la curiosità addirittura va 5 giorni prima a guardare la fabbrica da fuori. Prima di poter iniziare a lavorare doveva però fare la visita medica per essere assunto dal signor Ducati, emozionato ma al tempo stesso impaurito che la fabbrica potesse assomigliare all'esercito. Si crea da subito un rapporto di diffidenza verso il dottore che si accorge del debole stato di salute di Albino, però ha compassione e gli dà l'opportunità di cominciare a lavorare in fabbrica. Superata la visita medica, Albino iniziò a lavorare con grandissima volontà, dimostrando di essere bravo e interessato a qualsiasi attività. Entrato in fabbrica viene subito colpito dal rumore, che scaturiva da ogni parte, anche dai muri e dai pavimenti della fabbrica. Dice che bisognava aspettare per sentire il rumore degli uomini, perché prima di tutto si sente il brusio delle macchine. Sottolinea come entrati in fabbrica il rumore è la cosa più importante. Descrive poi le officine come impressionanti, grandi e con molta luce, dove ognuno agiva per conto suo infatti si stupisce che non ci fossero lavori da fare in gruppi. Saluggia spiega come nella fabbrica ogni discorso era più difficile e finiva sempre in risate, in malignità o in sfoghi di risentimento. Lui sentiva il bisogno di qualcuno sincero, ma non aveva trovato nessuno se non Pinna, che però spesso non lo capiva e con il capo reparto Grosset, preso in giro da molti dei colleghi per via dei tradimenti della moglie. Nessuno parlava mai della fatica e del lavoro, tranne che col capo, la risposta era sempre "si lavora per un padrone" questa giustificazione però non tranquillizzava del tutto nemmeno coloro che la davano con tanta veemenza. Ciò che lo aiutava a lavorare era la spinta che gli veniva data dall'odio e dal vedere il lavoro come un nemico e come una competizione con gli altri operai, e alla fine il lavoro riuscì a dargli piacere e soddisfazione. Passati due mesi di lavoro però si rese conto di non aver guadagnato o perduto niente, che niente era cambiato dentro o fuori di lui. L'unico cambiamento avviene con la trasformazione della fabbrica che passa da ventisette prese a sedici con vari trasferimenti, ma Saluggia e Pinna rimangono con Grosset (il loro capo). Ulteriore trasformazione avviene con la rimozione del cottimo, il che porta gruppi a sostenere che sia ingiusto che chi lavora di più guadagni meno e ognuno diventi la guardia dell’altro, non volevano rimetterci per i buchi delle donne. Inizialmente viene proposta uno sciopero accettato e poi revocato, a cui Saluggia comunque non sarebbe andato. CAPITOLO 2 Durante il periodo estivo, Saluggia, cominciò ad accusare una serie di malesseri, che lo spinsero a prenotare una visita presso infermeria della fabbrica. Venne visitato dal Dottor Tortora, che dopo una serie di accertamenti lo dichiara gravemente malato e bisognoso di cure e di riposo. Diversamente dagli altri che creano legami con la fabbrica e i colleghi, egli vedeva il lavoro solo come andare avanti, e lavorava ormai di malavoglia, sempre con più fatica a causa dei suoi mali. Grosset si accorse della sua fatica e lo mandò in infermeria, dove gli prescrissero una serie di lastre e gli ordinarono una cura di pastiglie e iniezioni fino ad un’altra visita quindici giorni dopo. Quando arrivarono le risposte dal medico lo dichiarò malato grave, bisognoso di cure e riposo, gli propose quindi di lasciare il lavoro fin dopo le ferie. Passato il caldo e Saluggia si sentiva meglio quindi decise di lavorare fino alle vacanze, quando poi si sarebbe riposato. Passò i primi giorni di ferie a casa e poi accettò di fare con Pinna un viaggio di quattro giorni a Genova e nei centri vicini della riviera. Durante le ferie stava bene anche se il tempo gli sembrava sprecato, voleva tornare presto in fabbrica a dare la prova delle sue forze. Al ritorno gli sembrava che in fabbrica ogni giorno qualcosa mutasse e che la fabbrica stessa gli nascondesse sempre qualcosa. Iniziò ad avere degli hobby come la biblioteca e il cinema. Dopo circa un mese andrà in infermeria perché gli usciva sangue dal naso ma non venne neanche visto dal medico Tortora. Quest’ultimo però lo chiamò ai primi di dicembre per una visita schermografica di controllo, tutti cercarono di tranquillizzarlo ma egli pensava che Tortora avesse pianificato tutto. Venti giorni dopo il Professor Bompiero lo chiamò diagnosticandogli una tubercolosi grave e contagiosa, ecco il perché dei suoi mali frequenti. Il soggiorno e le difficili condizioni del campo di concentramento in Germania fanno contrarre ad Albino la tubercolosi polmonare, così ai problemi psichici Ci si può spingere a pensare a un uomo non più fatto a somiglianza di Dio, ma più somigliante e legato alle macchine, addirittura a una razza diversa. Tutta l’industria deve essere controllata, o invece di essere un mezzo per stare bene su questa terra, potrà essere il fine di starci male o il mezzo di uscirne." Disperato dalla situazione lavorativa Saluggia si finge malato per stare a casa due settimane, ma viene assalito da una apatia completa che gli faceva vedere il ritorno al lavoro come una liberazione da una pena ancora più accanita di quelle procurategli da Tortora. Durante la sua "malattia frequenta il cinema e per far capire che è un uomo libero, e non si fa ritrovare dal controllo medico della fabbrica, per questo al suo ritorno verrà trasferito. Quando tornò in fabbrica però Manzino disse che per farlo tornare a lavorare doveva farsi dare da Tortora il certificato di guarigione, cosa che il medico fece sottolineando però anche che si sarebbe dovuto comportare meglio. Saluggia rimpiangeva di essere tornato a lavorare e rimpiangeva il suo letto, ruppe il motore delle macchine e gli accaddero anche altri incidenti a quel punto uscì dal reparto e non volle più tornarci. Passato Natale gli comunicarono che Manzino lo aveva messo a disposizione per il trasferimento. CAPITOLO 6 Per attendere il nuovo reparto dovette stare alcuni giorni lontano dal lavoro. Quando riprese a lavorare non si trovò male, almeno all’inizio. Cambiare lavoro gli aveva fatto bene, non aveva più la macchina, stava seduto in fila e doveva montare un pezzo. Quelli che lavoravano intorno a lui non gli davano fastidio. In quel reparto del montaggio tutto gli sembrava nuovo e non aveva più i risentimenti di prima, soffriva ma con più calma. Così rimase a lungo in quel posto senza seccature e ormai non gli importava più della qualifica e del lavoro. L’ennesima visita dal dottor Bonpiero ebbe come conseguenza che non avrebbe sopportato l’estate in quelle condizioni in quanto aveva la febbre tutte le sere, di conseguenza gli prescrissero una cura molto rigida per cui non poteva più lavorare. Secondo tutti la malattia era grave, ma potevano curarlo lasciandolo a casa. Un pomeriggio incontrò sul treno Palmarucci, uomo la cui moglie lavorava per il Professor Fioravanti il quale dice di aver inventato un siero che può curare cancro e tubercolosi, allora Saluggia decise di andare a farsi visitare. Durante la visita ammette per la prima volta di essere malato, e la moglie di Palmarucci sostiene che una delle cause sia anche il fatto che non si sia mai sposato. Dopo una visita con nuovo dottore quest’ultimo gli disse che senza dubbio il suo siero avrebbe potuto guarirlo. Se quindi il professor Fioravanti lo avrebbe curato con iniezioni di siero, la donna si sarebbe occupata di far ringiovanire il suo spirito con dei colloqui che lo rendono un po’ più sicuro di sé. Fece molte di queste costose iniezioni dopo le quali la testa di Saluggia si alzava e tutti suoi pensieri andavano via a frotte come gli stormi. Il nuovo dottore gli disse anche di andare a recuperare le sue lastre e ovviamente i medici della fabbrica gliele diedero non prima di molti tentennamenti. Quando le ottenne Saluggia uscì felice perché gli sembrava di essere riuscito a buttare all’aria almeno una parte dei piani di Tortora e Bompiero riuscendo a farsi dare le lastre. Albino riflette sulla sua condizione di vita e come sarebbe se non lavorasse in fabbrica e invece come contadino in campagna ma queste idee oltre alle continue richieste di denaro per pagare le iniezioni lo fanno litigare con la madre. Albino si sente incompreso dalla donna e decide di scriverle una lettera anonima per farle capire che i suoi problemi avevano bisogno di più attenzione, però nel momento in cui viene a sapere dal dottor Fioravanti che guarirà, decide di non spedirgliela più. Dopo ultima iniezione del siero, Eufemia dice ad Albino di non pensare più a lei, di trovarsi una ragazza e sposarsi perché ora è un uomo libero e può essere felice. CAPITOLO 7 Quando arrivò da Fioravanti con le lastre il medico gli disse di non subire rappresaglie e di continuare con il pneumotorace prescrittogli da Bompieri. Come la guarigione si avvicinava aumentavano i dubbi di Saluggia sul lavoro della fabbrica. In questa infatti bisogna starci giorno per giorno, avvelenarsi gradatamente, e se uno se ne libera anche per un breve tempo riesce a vederne tutti gli orrori. Lo attirava però l’idea di farsi riconoscere dai membri vivo, guarito e non vinto, di far capire a tutti i medici e ai suoi capi che c’era qualcuno in grado di resistere alle loro prepotenze. All’ultima visita decise con Bompiero che dopo due settimane di ulteriore cura sarebbe potuto tornare in fabbrica, e infatti dopo quel tempo previsto si presentò all'ufficio del personale dove lo destinarono al montaggio. Il suo lavoro riprende questa volta sotto il capo Milione soprannominato “Milione di carta igienica". Prima di tornare in fabbrica chiede un colloquio con Michele Grosset, ma questa volta è Grosset che non sta bene, però Albino crede che lo dica apposta perché non vuole capirei suoi problemi a fondo. Albino si accorge poi che in mensa non incontra più Michele Grosset perché veramente non sta bene, ormai non digerisce i cibi della mensa e va a pranzare a casa. Va a trovarlo a casa sua per parlargli del lavoro. Grosset ormai sta molto male però è contento di vederlo, visto che Albino e l’unico a fargli visita. Albino continua ad essere dell’opinione che la vita dei contadini è peggio delle persone che lavorano in fabbrica, invece Grosset non è d'accordo, dice ad Albino che non deve considerare tutto in generale, che non deve pensare soltanto alla fabbrica ma anche a sé stesso e a divertirsi, oltretutto suggerendogli di iscriversi ai sindacati cristiani, i "sindacati bianchi". Poco dopo egli morirà di cancro. Il lavoro era semplice, entrò nella media comodamente senza forzare, solo che quel lavoro gli sembrava indegno per un uomo e per le sue qualità, lui si sentiva la forza e la voglia di costruire seriamente qualcosa. Passò poi le ferie di nuovo in montagna, nel turno di convalescenti della ditta. Gli altri gli diedero fastidio con la pretesa di compagnia ma lui andava a passeggiare da solo, pensando soprattutto a sua madre con la speranza di riavere con lei un'intesa completa. Nei giorni successivi e per il resto dell’anno la fabbrica fu la cosa che gli interessò di più, la sua vita divenne quella del suo lavoro. L’unico difetto, che a quel tempo però gli appariva come la prova di una particolare bellezza, era che il suo rapporto con la fabbrica era unico, soltanto suo e non avveniva tramite la compagnia del reparto o di altri. Allora cercò di osservare come gli altri stavano nella fabbrica e che cosa questo volesse dire per loro: quasi tutti la subivano, lavoravano e basta pensando solo al guadagno, la loro vita era fuori da lì. Saluggia continuava a cercare invece il modo di vivere meglio nella fabbrica, e forse questo accadeva perché aveva paura più degli altri piuttosto che la fabbrica lo respingesse di nuovo, perché in quel legame cercava una rivincita contro tutte le ingiustizie subite "Lo so che la fabbrica è cattiva, ma non si deve morire per questo, Si cerca di governarsi dentro e fuori, lavorando pulitamente, andando al sindacato divertendosi la domenica, leggendo→ Saluggia si sentiva solo. CAPITOLO 8 Il capitolo si apre con un episodio in cui Saluggia, tomando a casa, si imbatte in Giuliana una bella donna corteggiata da molti che lavorava nella sua stessa fabbrica in compagnia di un uomo, e decide di seguirli per scoprire poi che erano andati ad appartarsi sotto un ponte per amoreggiare. Si nasconde ad ascoltarli per tutto il tempo e andandosene non si cura del fatto che lei possa averlo visto e riconosciuto cosa che deve essere accaduta, perché il giorno dopo in mensa gli viene servita apposta una zuppa che gli causò molti problemi di stomaco. Tutto ciò lo porterà a riflettere sulla vita della gente in fabbrica e nota che tutti a parte lui, hanno una vita fuori dal lavoro, come questa ragazza. Quando Tortora lo chiama in infermeria per il giorno dopo, Saluggia va a ricercare l'aiuto del dottor Fioravanti ma purtroppo non trova nessuno a riceverlo. Quando venne visitato da Tortora gli parlò del tentato avvelenamento e il dottore gli consiglio di rimanere a casa qualche giorno. Il parroco va a trovarlo dicendogli che deve trovare fiducia nella fabbrica, e Saluggia fa una serie di riflessioni: "La fabbrica nega qualsiasi soddisfazione quindi è come se dentro di essa il tempo non passasse oppure passasse tutto insieme. La fabbrica è chiusa, di ferro: dentro passa il tempo dalle sette alle diciannove ma tutto è fermo come tutto è di ferro. La fabbrica costruita per la velocità, per battere il tempo, è invece sempre ferma perché il tempo degli uomini batte qualsiasi artificiale velocita”. Decide di andare al sindacato comunista per cercare aiuto, ma gli dicono che il suo è un problema individuale e che quindi non possono fare nulla. Non sapeva più da chi cercare auto, non aveva famiglia, sua madre non lo capiva e non si faceva capire non aveva amici e persino il parroco non era sincero con lui. Successivamente Albino capisce che il dottor Fioravanti è un imbroglione, che è fuggito con i soldi delle persone che curava prima di finire le cure. Albino tornato a casa accusa la madre di aver bevuto, e sentendo il bisogno di sfogarsi accenna i suoi problemi ad un vecchio per strada e segue il suo consiglio di andare dai carabinieri, ma non dove era già stato e dove erano in combutta con Tortora, bensì al comando di Caluso. Capì subito che anche quel maresciallo era già stato avvertito da tempo, gli lesse nella faccia la determinazione di respingere ogni cosa, e dopo l’accusa sui carabinieri lo cacciò minacciando di arrestarlo. Decide allora di provare la sua bravura finendo il lavoro richiesto per mezza giornata già alle 11 di mattina, riuscendo così a farsi ricevere dall’ufficio del personale pensando che volesse una qualifica ma in realtà i suo unico intento era di spiegare loro tutte le ingiustizie subite. La reazione è quella di vagliare minuziosamente le sue accuse non solo sulla base di colloqui ma con veri e propri esami e prove testimoniali. Ma a Saluggia questo non bastava, sentiva il bisogno di parlare con qualcuno che potesse decidere, agire e di conseguenza decise di parlare con la Presidenza. Per fare ciò decise di farsi aiutare dal capo della mensa Leone che era stato per molti anni il servitore personale del professor Ratto-Ferrua (presidente), e decise di aiutarlo parlando con il professore. Leone lo informò che il presidente aveva deciso di risolvere il caso di Saluggia, chiedendo ogni cosa all’assistente sociale e a Tortora, guardando le sue lastre e parlando con i medici anche degli altri. Un giorno di marzo venne chiamato dall’assistente sociale in quanto la Presidenza gli aveva dato 15 mila lire per ripagarlo in parte della truffa subita e gli comunicava di stare tranquillo in attesa che i medici lo rivisitassero. Cosi avvenne, davanti a quattro medici tra cui Tortora e Bompiero, ma anche i 2 nuovi medici lo dichiararono tubercoloso fradicio e bisognoso di entrare in sanatorio (in Lombardia) subito, dove rimase per più di due anni abbandonandosi alla scrittura di un diario e alle poesie. In quei momenti ha ricostruito e scritto quasi tutto questo racconto, pensando con più ampiezza e profondità di quello che riusciva a mettere su carta. CAPITOLO 9 Uscì dal sanatorio e giunse a casa il 6 maggio 1956. Il primo settembre si ripresentò all’ufficio del personale, non gli importava però di recuperare il lavoro, lo faceva senza scampo e con rassegnazione. Dovette aspettare un mese e gli proposero di fare il piantone, quindi lo misero fuori dalla fabbrica a guardare l’ombra sui muri. "Ormai appartenevo alla fabbrica che aveva sempre continuato a rovinarmi e a curarmi”. Il sentimento più vivo che lo accompagnava nelle ore di piantonamento era proprio quello di essere diventato una proprietà della fabbrica. Da piantone ha imparato a guardar meglio la gente, riusciva ad attribuire a ciascuno un lavoro e questo lo portava a ricordare i reparti e ad immaginarsi quelli che non conosceva. Quando trovò il foglio del sindacato FIOM della fabbrica con scritte tutte le ingiustizie subite si consolò pensando che tanti altri della fabbrica erano nelle sue stesse condizioni, ma comunque non gli importava sapere cosa sarebbe successo. Quando lo sciopero si fece più importante e vide le guardie tirare fuori i manganelli corse verso la mensa ad avvisare che lo sciopero era già iniziato, e per questo venne portato via fino all'ufficio del personale. Dopo un interrogatorio di pochi minuti lo sospesero dal lavoro per tre giorni e gli dissero che gli avrebbero consegnato una diffida scritta di licenziamento. Il romanzo si conclude con la scena del ritorno a casa di Albino, nella sua campagna dove non alberga la cattiveria umana, ed in quel momento si rende conto che non c’è nessuno che potrà arrivare in suo aiuto: emerge il pessimismo dell'autore circa la possibilità di migliorare le condizioni di vita degli uomini nelle fabbriche
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