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Il Modernismo tra urbanisti e pittori, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

In questo riassunto del capitolo 4 del libro L'arte moderna 1770-1970 di Giulio Carlo Argan, integrato con gli appunti delle lezioni, troverete riferimenti all'urbanistica ed architettura moderniste, l'Art Nouveau ed alla pittura del modernismo con esempi di artisti coinvolti e la conseguente spiegazione della loro poetica e visione.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 27/06/2024

giada-pasqualicchio
giada-pasqualicchio 🇮🇹

45 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il Modernismo tra urbanisti e pittori e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! IL MODERNISMO -capitolo 4- Nel termine generico di “modernismo” si comprendono le correnti artistiche che, nell'ultimo decennio del XIX e nel primo del XX secolo, si propongono di interpretare, affiancare ed assecondare lo sforzo progressivo, economico e tecnologico della civiltà industriale. Sono comuni alle tendenze moderniste: 1) la deliberazione di fare arte conforme al proprio tempo e la rinuncia a riferirsi a modelli classici, sia nella tematica sia nello stile 2) il desiderio di diminuire la distanza tra le arti maggiori e le applicazioni in vari campi della produzione economica 3) la ricerca di una funzionalità decorativa 4) l'aspirazione ad uno stile o linguaggio internazionale o europeo 5) l'impegno di interpretare la spiritualità da cui si diceva ispirato e riscattato l'industrialismo. Quando verso il 1910 all'entusiasmo per il progresso industriale succederà la consapevolezza della trasformazione che operava nelle strutture stesse della vita e dell’attività sociale, all’interno del modernismo si formeranno le avanguardie artistiche miranti non più soltanto a modernizzare o aggiornare, ma a rivoluzionare radicalmente le modalità e le finalità dell'arte. Urbanistica e architettura moderniste L'urbanistica si è affermata nei secoli scorsi come scienza moderna, risultante dalla convergenza di più discipline. È nata dalla necessità di affrontare con metodo i gravi problemi determinati dal mutamento del fenomeno urbano a seguito della rivoluzione industriale e della conseguente trasformazione della struttura sociale, dell'economia, del modo di vita… Ciò che ancora oggi impedisce il formarsi di città strutturalmente moderne è il contrasto tra una tendenza conservatrice, che vede il problema in termini di quantità e propone soluzioni di compromesso, ed una tendenza riformatrice che vede il problema in termini di struttura e propone soluzioni rigorose. All’origine la ricerca urbanistica aveva un carattere umanitario: si trattava di sottrarre la nascente classe operaia alla condizione di estremo avvilimento morale e materiale, di sfruttamento in cui la costringevano a vivere. Sorgono così i primi villaggi operai per lo più di casette unifamiliari a schiera. In contrasto rapidamente si realizza il piano di riforma del centro di Parigi ideato dal barone Haussmann, prefetto di Napoleone III, come tipico intervento del potere sulla figura e funzionalità urbana. Migliora lo scorrimento del traffico rotabile, arricchisce la città di ampie prospettive, ma rispondono palesemente ad un interesse di classe. Al modello parigino si ispirano i principali interventi urbani compiuti dopo il 1870 in alcune città italiane. Il contrasto è ormai chiaro: da parte del potere si vuole che la città con i suoi monumenti moderni e le sue prospettive scenografiche, sia l'immagine dell’autorità dello Stato, da parte degli urbanisti si vorrebbe fare della città nuova l'ambiente vitale della società, e di una società integrale ed organica in cui la classe operaia non sia più considerata come uno strumento meccanico della produzione, ma parte della comunità. Dopo la I Guerra Mondiale i maggiori architetti hanno esplicitamente posto la questione della progettazione dello spazio urbano come preliminare e preminente rispetto a quello dell’architettura: il compito dell'architetto è di progettare l'ambiente. Se l'edificio è soltanto un’unità in una serie, e la costruzione in serie esige il più largo impiego possibile di elementi prefabbricati industrialmente, il processo che industrializza la produzione edilizia è lo stesso che trasforma l'architettura in urbanistica. Se ne deduce che l'urbanistica non è una scienza distinta dall’architettura. Il processo dall’architettura tradizionale all'urbanistica come architettura della città non è imposto dall'esterno: si svolge all’interno della ricerca artistica. Il Modernismo architettonico combatte l’eclettismo degli stili storici non soltanto per il loro falso storicismo, ma per la loro ufficialità, che implica l'idea di una città rappresentativa dell’autorità dello Stato: vuole invece una città viva, aderente allo spirito di una società attiva e moderna. L'architettura non può rimanere legata a un repertorio di forme ormai prive di significato, deve adeguarsi alle nuove forme in cui la società esprime il suo sentimento del presente. L'ideologia modernista si oppone anche al tetro squallore delle città deturpate dall'industrialismo nascente. Lo stile floreale dell’Art Nouveau vorrebbe rivestire la città con la sua ornamentazione invadente come un rampicante, fare di essa una seconda natura. E già con l'idea della città paesaggio si sposta la questione dell’architettura dall'edificio all'ambiente urbano. Il nuovo gusto architettonico rifugge dal blocco, ama le linee e le superfici ondulate, i grandi vuoti ariosi, le verande e i balconi sporgenti: la casa deve essere luminosa e ventilata atteggiarsi con eleganza e naturalezza nello spazio urbano. Ecco un tipico esempio di mentalità modernista: Guimard ricorre all’espediente psicologico di ornare le stazioni del metrò in stile floreale ed il metro diventa popolare. L’architettura dell’Art Nouveau discende in gran parte dall’ideologia di Morris e così si riconnette a tutta la problematica della produzione. Si stabilisce una continuità stilistica tra spazi interni e spazi esterni, favorita anche dalle nuove tecnologie che, superando il rapporto statico e tradizionale, permettono di far prevalere il vuoto sul pieno. Dalla scala minima dell'arredamento domestico si passa, senza mutamenti di stile, alla scala massima dell’arredamento urbano. Van De Velde, uno dei massimi protagonisti dell’Art Nouveau, non ammette che un solo metodo di progettazione, ugualmente valido per la caffettiera e per la scrivania, per la camera da letto e per il grande edificio di interesse pubblico, a scala urbanistica. Horta, uno dei primi a sentire le possibilità estetico-decorative e non soltanto tecnico-economiche del ferro, modula la facciata della Maison du Peuple a Parco Guell, Gaudì, 1900-14 Finché mancano le abitazioni, è immorale spendere soldi per trasformare le abitazioni in architetture. Condanna l’originalità inventiva, soltanto le invenzioni tecniche possono determinare mutamenti nelle forme costruttive, denuncia l'ornamento come crimine perché pesa sull'economia della costruzione; nega l'architettura perché se non adempie a necessità pratiche è immorale, se vi adempie non è arte. Come architetto sta ai principi. Elimina l'ornamentazione, deduce la forma dall’impostazione rigorosa della questione funzionale; più che la tecnica, il nocciolo del suo discorso è l'economia, che non è solo risparmio di spese superflue, ma è impiego razionale dello spazio. Fare una casa sovrapponendo piani, tutti di uguale altezza, è uno spreco di spazio; non è necessario che tutti gli ambienti abbiano le stesse proporzioni. Bisogna dunque progettare non per piani, ma operando sull'intera cubatura dell'edificio e sviluppando ogni unità abitativa come un'entità a sé. Ecco mutata la struttura della casa, il mutamento della forma o dell'immagine sarà soltanto una conseguenza. L'economia vale anche per il tempo, bisogna impiegare materiali prefabbricati, standardizzati, forniti pronti dall'industria. Si delinea insomma per l'architettura il problema del rapporto o del conflitto tra cultura e potere; e si estenderà presto a tutte le attività estetiche. Una delle questioni più dibattute nel secolo scorso è quella dell'unità o della distinzione delle arti. Nell'Art Nouveau prevale generalmente la tesi di idealistica della dipendenza di tutte le arti distinte secondo la tecnica, da un principio spirituale unico. Anche per Gaudì: ma con la differenza che l'unità è piuttosto unione e non si dà all'origine, ma alla fine del processo, come raggiungimento del fine ideale a cui tendono tutte le tecniche. L'occasione per sperimentare la possibilità di questa forma è il Parco Guell che doveva rientrare nel piano urbanistico di una città-giardino alle porte di Barcellona. Il tema che Gaudì si propone è l'integrazione reciproca delle forme artistiche e delle forme naturali. Lo svolgimento riflette l’assunto religioso che per Gaudì è fondamentale. Le forme della creazione sono infinitamente varie: poiché ogni freno imposto dalla fantasia è un limite alla varietà delle forme, soltanto lasciando via libera alla fantasia si raggiunge quell’infinita varietà di forme che realizza l'accordo con la varietà infinita delle forme naturali. Nessuna imitazione, nessun mimetismo: sarebbero ancora limiti alla libertà assoluta della fantasia. Poiché la tecnica è al servizio della fantasia e la fantasia non ha limiti. I problemi tecnici che Gaudì deve affrontare sono più difficili di quelli inerenti ad una tecnica al servizio della ragione: non solo Gaudì è al corrente di tutte le novità tecniche del suo tempo, ma intende superarle, proprio col dimostrare che la tecnica ha un'importanza solo relativa. Il Parco Guell ha manifestatamente un carattere ludico ed una tecnica che permette la libertà assoluta del gioco. Dietro la libertà incondizionata dell’invenzione formale c'è, ma non si vede, un apparato tecnico. Ars est celare artem: ecco una prima prova che la poetica di Gaudì è ancora fondamentalmente barocca ed il gioco non è che è troppo evidente; le costruzioni sono volutamente pencolanti e sbilenche, sembrano sul punto di crollare o sciogliersi come neve al sole. Stanno su per miracolo e naturalmente è la tecnica dell’artista che fa il miracolo. Padiglione in vetro per la mostra del Werkbund a Colonia, B. Taut, 1914 Torre Einstein, E. Mendelsohn, 1919-23 Ritornando alla questione dell’unità delle arti, è significativa la coincidenza della concezione di Gaudì con l'idea wagneriana dell'opera d'arte come compendio di tutte le arti. Non soltanto Gaudì riunisce l'opera del costruttore, che definisce la struttura, quello dello scultore che modella le masse e quella del pittore che qualifica le superfici mediante il colore, ma fa confluire nell’opera molte specialità dell’artigianato: mosaico, ceramica, ferro battuto... Ricostruisce così il tipo del cantiere medievale in cui l'artista era il capo delle maestranze e non agiva come un progettista, ma come un direttore d’orchestra. È chiaro che questo modo di procedere esclude ogni raccordo con la tecnologia moderna industriale. L’architettura come arte, deve distinguersi nettamente dall’edilizia, ricusare ogni finalità pratica, ignorare la problematica sociale della progettazione urbana. Né si cerchi di ravvisare nel ricorso a tecniche artigianali e popolari un atteggiamento anche solo vagamente populista: il popolo interviene come strumento nelle mani dell’artista e la sua partecipazione all'opera si giustifica con l'assunto religioso che accomuna grandi ed umili nella devozione. Malgrado le intenzioni progressiste e l'aggiornamento tecnico, la posizione di Gaudì è ad un tempo reazionaria e avveniristica. L'arte è il ritorno ad un passato che sopravvive soltanto nella fantasia, non già perché imiti forme storiche, ma nel senso che deliberatamente inverte il moto, fa girare a rovescio la ruota del progresso tecnologico, volgendolo a realizzare valori ideologici, opposti a quelli a cui dovrebbe, secondo la sua logica, mirare. Sta di fatto però che il progresso tecnologico non realizza i valori ideologici a cui dovrebbe mirare. Per esempio la sua normativa pragmatistica impedisce gli impulsi vitali dell’immaginazione, trasforma la tecnica da strumento a modello dell’agire, isola gli uomini dal contatto vitale con la realtà naturale. Gaudì protesta proprio contro questo pragmatismo della tecnologia. Il contrasto tra la posizione di Gaudì e quella di Loos è significativo. L'arte non può, come si vorrebbe, essere “del proprio tempo”: lo precorre col sentimento del progresso, oppure ripiega sul passato, con il sentimento della decadenza. Il progresso è razionale, la decadenza è fatale. Una delle componenti del Modernismo è l'architettura industriale che si sviluppò in Germania dove il processo di industrializzazione comincia tardi, dopo il ‘70, nel quadro del Kulturkampf bismarckiano. Al fattore tecnologico se ne connette uno ideologico: il lavoro industriale, inteso come lotta e trionfo dello spirito sulla materia, sarà il mezzo con cui il popolo germanico adempirà alla funzione egemonica universale a cui si crede predestinato. Ovunque la crescente complessità delle lavorazioni industriali esige costruzioni più articolate. Per Poelzig la fabbrica è una massa imponente, geometrizzata nei profili acuti, in cui i volumi sono distribuiti in modo da dare l'impressione del lento avviarsi di una macchina gigantesca. Perfino Behrens nelle officine del Frankfurter Gasgesellschaft evoca nei torrioni cilindrici i tipi della fortificazione medievale. Negli Stati Uniti il problema urbanistico non è pregiudicato dalla storia antica e dal carattere monumentale delle città. In quasi tutte le capitali della Federazione si avverte la necessità di studiare i piani di sviluppo, tipico quello di New York che prevede, su tutta la penisola di Manhattan, una maglia uniforme di arterie longitudinali e trasversali, molto più estesa di quanto non fosse richiesto dai bisogni del momento, ma le cui costruzioni presto raggiungeranno altezze vertiginose per sfruttare maggiormente il suolo, ridurre distanze, concentrare i servizi, ma anche per ostentare la potenza tecnica e finanziaria delle imprese. Già alla fine del XIX secolo il grattacielo è l'elemento caratterizzante del paesaggio urbano americano come anche la moltitudine di edifici progettati per i servizi. Richardson è il primo a rendersi conto che nel tessuto della grande città americana il fattore dimensionale ha un’importanza decisiva e che una grande massa esige un proprio tipo di struttura che non può essere soltanto l'ingrandimento delle strutture della prassi costruttiva europea. Sullivan, legato fino all'ultimo alla ricerca di stile, affronta decisamente il tema del grattacielo come protagonista della città degli affari. Fino a quel momento il grattacielo era una sovrapposizione di piani, un normale edificio moltiplicato in altezza per dieci o per venti, con la conseguente rottura di tutti i rapporti proporzionali. Sullivan sposta la funzione portante dalle pareti alle strutture interne; le facce del blocco diventano semplici diaframmi trasparenti che la decorazione modula e qualifica in rapporto alla luce. L'edificio diventa un organismo unitario, una “figura” urbana e non rompe la manifesta continuità dello spazio in cui si inserisce. Wright non va invece a studiare in Europa, non si può per imparare in astratto l'architettura che è un fatto della vita e deve nascere spontaneamente, in specifiche circostanze di tempo e di luogo. Il primo campo di ricerca non è il building, ma il cottage, ma questo non è il rifugio più o meno agreste dopo il lavoro in città, è una realtà urbana e naturale ad un tempo. Come rifiuta ogni tipologia e morfologia a priori, così rifiuta lo schema a priori della città. Già nelle prime case private di Wright, verso il ’95, la forma non si mimetizza nel paesaggio: ha forti strutture orizzontali e verticali, Una plastica compatta con netti contrapposti di piani, una decorazione abbondante e ostentata, ma non Madmoiselle Lanthelme, G. Boldini, 1908 L'artista-personaggio ha una sua ragion d'essere: incarna la vocazione artistica che la ricca borghesia industriale è sicura di possedere, ma di dover suo malgrado sacrificare all'imperativo categorico degli affari. Gli artisti di chiara fama si dichiarano generalmente avversi alla borghesia capitalista perché la loro anima bella è turbata dal materialismo degli affari, se non che è proprio la borghesia che li vuole antiborghesi. In Italia abbiamo poi Previati, ce si atteggia a teorico, combattente di tutte le battaglie progressiste; la sua controparte è Segantini con le sue arie da asceta solitario, intento ad ascoltare voci della natura. Si richiamano a Previati i futuristi Boccioni, Russolo e Carrà ed un disegnatore brillante, purtroppo morto giovane: Aroldo Bonzagni. In Germania si distinguono due anime dominanti: quella romantica di Bocklin ed una goliardica e gioconda di Von Stuck. La Spagna invece si affaccia alla cultura artistica europea con un movimento modernista catalano a cui fa capo Picasso, che produrrà parecchi dei maggiori artisti del nostro secolo. Vediamo poi lo svizzero F. Hodles i cui personaggi si adattano alle sedi dei governi e delle banche cantonali: sono montanari o boscaioli, un omaggio all’eroe popolano che combatte per l’onore e la libertà della patria; oppure adolescenti con significati simbolici intercambiabili. Predilige uno stile da “potente disegnatore”, come il suo emulatore italiano A. De Carolis. In Olanda troviamo invece J. Toorop, mistico di professione, innamorato dei Preraffaelliti inglesi e legato a quella specie di massoneria, aristocratica ed ermetica che fu il gruppo di Rosa-Croce. Successivamente attratto dall’orbita più vitale del Modernismo serio di Van de Velde. Nei paesi dell'Europa centrale gli artisti modernisti formano gruppi che presero il nome di Secessione, allusivo al radicale distacco dalla tradizione accademica: la Secessione di Monaco, guidata da Franz Von Stuck, la Secessione di Berlino guidata da Max Liebermann e la Secessione di Vienna che trova il suo capo in Gustav Klimt. Klimt è un artista estremamente colto e sensibile, raffinato fino alla morbosità, ma anch’esso legato ad una sua formula decorativa, piena di implicazioni simbolistiche. Si direbbe consapevole della lenta ineluttabile decadenza della società di cui si sente il triste cantore. Klimt sente profondamente il fascino di questo tramonto storico, associa l'idea dell'arte e del bello a quella della decadenza e del dissolvimento del tutto, del precario sopravvivere della forma alla fine della sostanza. Il suo pensiero va all’arte bizantina, splendida ed esangue, in cui si riflette un analogo processo storico: il declino di un impero teocratico, la sopravvivenza della forma estetica alla morte storica. In una profusione di ornati simbolici, ma del cui significato si è perduta anche la memoria, sviluppa i ritmi melodici di un linearismo che finisce sempre per ritornare al punto di partenza e chiudersi su sé stesso; li accompagna con le delicate, melanconiche armonie di colori spenti, cinerei, perlacei, con morenti bagliori d'oro, d'argento e di smalto. Klimt tocca così quasi senza volerlo il punto nevralgico di una situazione ben più vasta, europea: l’arte è il prodotto di una civiltà ormai estinta, nella nuova civiltà industriale non può sopravvivere che come un'ombra o ricordo di sé stessa. Le tre età della donna, 1908 La tensione tra gli artisti e la società borghese benpensante ha accenti più aspri nell’Europa del nord, e specialmente dopo i primi contatti con l'impressionismo francese, la cui spregiudicata schiettezza viene contrapposta all’ipocrisia ed al conformismo imperanti. L'esperienza impressionista del belga Ensor e del norvegese Munch è una delle grandi sorgenti dell’espressionismo tedesco. La vicenda di Ensor è significativa. Gli anni che contano nella sua lunga carriera, sono i primi fino al 1900 o poco oltre, quando è avversato e deriso dagli stessi esponenti del modernismo belga. Poi viene adottato dalla stessa società che attacca e che ora lo invita a ripetersi, non si sa se per il piacere masochista di vedersi attaccata o per mostrarsi tollerante, liberale, superiore. Il fatto è che lo stesso Ensor è e rimane un borghese di provincia, il suo stile incisivo deforma, ma non trasforma la pittura tradizionale, esorta la gente a rivedere, ma non a mutare l'idea che ha dell'arte. Infine la sua pittura, che vuole essere la critica, è piuttosto l'autocritica della borghesia. Ensor non è che l'altra faccia, scura accigliata, della pittura fiduciosa e inneggiante del modernismo. Tuttavia è stato il primo a scandagliare con la pittura le profondità dell’inconscio, a scoprire il brulicare delle immagini sotto la specchiante chiarezza della forma. Per farlo ha dovuto rovesciare l'identità di arte e coscienza posta dagli impressionisti. Arriva talvolta, come in La caduta degli angeli ribelli, fino alla distruzione della figura, alla ribellione dei segni all'obbligo di significare, ma non è l'annuncio precoce della non-figuratività: è soltanto il preludio di quel gusto amaro dell'indistinto o del dissolto chi trionferà di lì a poco nella pittura di Kokoschka. È assonante con il demonismo sociale di Ensor la grafica illustrativa di Kubin: una scrittura figurata che diventa automatica, o quasi, nella descrizione angosciosa e beffarda dei neri fantasmi che gremiscono lo spazio del mondo sotto la maschera colorata della vita quotidiana. L’entrata di Cristo a Bruxelles, 1888-89 La caduta degli angeli ribelli, 1889 Alfred Kubin, artista dell’incubo ritorno all’espressività intensa dell'arte medievale; un motivo etico-sociale, la semplificazione dell’immagine, l'espressione di sentimenti profondi, elementari, autentici; un motivo decorativo, la riduzione della pittura a zone piatte e armonizzate di colori entro la ritmica grave dei contorni. Il gruppo dei Nabis ha come linea programmatica il “sintetismo impressionista simbolista” di Gauguin. Si forma nel 1878 e ne fanno parte Serusier, Bonnard, Denis, Vuillard, Roussell, Ranson, Vallotton e lo scultore Maillol. Il programma è simile a quello di Pont-Aven: sintesi di “deformazione oggettiva” e di “deformazione soggettiva”. Ma lo sfondo non è più la Bretagna bensì Parigi: il carattere del movimento è intellettuale, mondano, modernista senza ritorni arcaici e senza altro esotismo che l'ammirazione per la raffinata civiltà grafica del Giappone. La Parigi della torre Eiffel diventa, con i Nabis, la città-profeta del modernismo dell’Art Nouveau. Dichiarando che un quadro non è che “una superficie coperta da colori disposti in un certo ordine”. Il bosco d’amore, P. Serusier, 1888 Denis annulla la distinzione tra pittura di rappresentazione e pittura decorativa: il valore non è più la realtà rappresentata nel quadro, ma il quadro stesso, come oggetto fabbricato e che, dunque, vale per ciò che è e non per ciò a cui assomiglia. Sarà questa la premessa da cui partiranno i Fauves e i cubisti nella ricerca sulla costituzione e la struttura intrinseca del quadro. Le muse, M. Denis, 1893
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