Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Il mondo in questione, Jedlowski, Appunti di Sociologia

Riassunto del manuale Il mondo in questione. Suddivisione in capitoli e paragrafi. Il documento sostituisce lo studio del manuale.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 30/12/2022

emme-faustini
emme-faustini 🇮🇹

4.8

(15)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il mondo in questione, Jedlowski e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! Il mondo in questione: introduzione alla storia del pensiero sociologico 1. Le origini del pensiero sociologico Il mondo moderno e le origini della sociologia La sociologia come disciplina autonoma, slegata dalla filosofia, dalla teologia e dalla storia nasce come costruzione del mondo moderno. Il mondo moderno inizia simbolicamente con la scoperta dell’America nel 1492: il mondo si trasforma, e prendono avvio nuovi sviluppi e nuove scoperte scientifiche. A livello sociologico, ciò che caratterizza la modernità sono due rivoluzioni:  la prima rivoluzione industriale, essenzialmente economica e tecnologica, che nasce in Inghilterra nella seconda metà dell’700;  la Rivoluzione francese, intrinsecamente politica e istituzionale, che ebbe luogo al termine del medesimo secolo. Entrambe le rivoluzioni sono l’apoteosi di processi che affondano le proprie radici nei secoli precedenti, ma che ben rappresentano la summa dei processi con cui intendiamo la modernità. La portata rivoluzionaria non è evidente solo a posteriori, ma era ben visibile anche a coloro i quali vissero tali mutamenti come radicali. Insomma, furono un’accelerazione della storia. Una volta compreso che la società è in continuo mutamento, ci si pone il problema di studiare tale mutamento per provare perlomeno a comprenderlo. Un altro concetto fondamentale per comprendere l’epoca moderna e il sorgere della sociologia è quello di scienza. La scienza è l’insieme delle strategie conoscitive in cui l’osservazione e l’applicazione di procedimenti logici mirano alla ricerca di regole universali che orientano i fenomeni osservati. Tra il XVI e il XVII secolo, l’idea di verità mutò: se prima il sapere era raggiungibile solo mediante la riflessione filosofica e religiosa, Bacone e Galilei proposero come l’osservazione e l’esperienza conducessero alla verità. La sociologia, dunque, nasce essenzialmente dalla congiuntura dei mutamenti sociali scaturiti dalle due rivoluzioni e dell’idea moderna di scienza. La rivoluzione industriale e la Rivoluzione francese: un mondo in mutamento La rivoluzione industriale riguardò l’avvio del processo di industrializzazione che ebbe luogo in Inghilterra nella seconda metà del Settecento. Dall’Inghilterra, tale metodo produttivo si diffuse dapprima in Europa, e successivamente nel resto del mondo. Il capitalismo – come lo definirà Marx – dispone della capacità di accrescere il proprio prodotto, predisponendo dunque alla crescita economica. Il progresso, dunque, ha basi materiali: da qui, cambia radicalmente la percezione che gli uomini hanno del mondo. Le rivoluzioni politiche, dal canto loro, hanno il merito di aver bocciato una visione statica del mondo sociale. La Rivoluzione francese costituisce la delegittimizzazione simbolica del potere feudale, cui si sostituisce il potere politico legittimo, fondato sul consenso. Alla base delle rivoluzioni politiche da qui in avanti sta la borghesia, che vuole destituire il potere aristocratico. L’ideale democratico ed egualitario incarnato dalla borghesia costituisce le fondamenta del mondo moderno. Il più grande merito della Rivoluzione francese è quello di aver dimostrato come il mutamento sia normale: dunque, gli uomini mutano sempre le proprie leggi e 1 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 le proprie istituzioni, in quanto perfettibili e non più immutabili. Illuminismo: l’idea di una scienza della società Quella appena descritta costituisce la cornice storica della nascita della sociologia: un mondo svincolato dalla tradizione e dall’immutabilità. Sul piano culturale, fondamentale importanza fu esercitata dall’Illuminismo. L’Illuminismo svolse un ruolo cardine nella critica all’ordine feudale: nel nome della ragione, nulla è legittimo se non è motivato razionalmente. L’Illuminismo contribuì ad applicare la metodologia scientifica al mondo sociale, che si dota delle proprie leggi. I principi illuministi sono i medesimi dell’opinione pubblica borghese: il governo non è più esclusivamente del sovrano, ma è di tutti e di nessuno in particolare. La ragione presuppone dunque il dialogo, ma anche la critica, per cui ciascuno può proporre modifiche all’ordine costituito. Il termine sociologia fu impiegato la prima volta da Auguste Comte alla metà dell’Ottocento. Ma il primo sociologo propriamente detto, come suggerisce Durkheim, fu Montesquieu. Ne Lo spirito delle leggi (1748), Montesquieu osserva e compara gli ordinamenti legali degli uomini in diverse società, e li relazione al clima, ai costumi, agli eventi storici degni di nota. Tale approccio, che osserva la varietà delle istituzioni umane e prova a spiegarla, è alla base del pensiero sociologico. Non meno importanti sono le Lettere persiane (1721), romanzo epistolare in cui il principe persiano Uzbek descrive dapprima il proprio mondo, e successivamente l’Europa. Il lettore si trova dunque a dover fare i conti con due realtà assai differenti: veder descritto il proprio mondo attraverso gli occhi di uno straniero gli consente di coglierne la relatività, e di indagarne le cause. La curiosità sociologica nasce dalla scoperta della relatività e dell’estraneità. L’empirismo inglese e il problema dell’autoregolazione della società Un altro movimento decisivo nello sviluppo della sociologia è l’empirismo, che ha origine principalmente in Inghilterra e in Scozia nel XVIII secolo. Anche gli empiristi hanno un approccio razionale al mondo. La realtà umana si compone di credenze, abitudini e regole morali che non danno spazio all’autorità religiosa o a qualsivoglia dogma. Illuminismo ed empirismo condividono il tentativo di applicare le regole scientifiche all’universo sociale. Tale dottrina è ben riassunta nelle opere di Ferguson e di Smith. Ferguson dichiara come la conoscenza dei fatti sia prioritaria rispetto a quella dei principi. Inoltre, egli afferma come il mondo sociale sia il risultato dell’azione umana. Tuttavia, esso non corrisponde al disegno individuale dei singoli, bensì al risultato della loro interazione. Ciò che crea l’insieme regolato della società è il mercato. Tale pensiero viene principalmente associato al nome di Smith. L’opera principale di Smith è La ricchezza delle Nazioni (1776). In questo testo, Smith enuncia come la ricchezza di una Nazione dipenda dalla sua capacità di produrre, che dipende a sua volta dalla divisione del lavoro. La divisione del lavoro consiste nella specializzazione produttiva degli individui, che accresce la capacità produttiva della collettività. Ma più accresce la divisione del lavoro, più accresce l’interdipendenza dei membri della società: 2 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 differenziate che si occupano dell’organizzazione della vita sociale. Per quanto concerne la distinzione tra società militari e industriali, Spencer afferma come nelle prime l’ordine sia garantito per via coercitiva, mentre nelle seconde questo si fondi sulla libera scelta degli individui. Statistiche morali e inchieste sociali Comte e Spencer contribuirono alle prime formulazioni teoriche della sociologia. Ma a tali formulazioni vanno affiancate le statistiche e le inchieste promosse dai governi europei nel corso dell’Ottocento. La crescita della burocrazia comporta la necessità di informazioni sempre più dettagliate, raccolte grazie alla ricerca statistica. Ma la statistica non riguarda più unicamente dati demografici, industriali o commerciali: essa diviene morale, indagando sulla criminalità, sull’istruzione, sulle abitazioni, sulla povertà, sull’alimentazione, sulla salute e così via. Ai dati statistici si affianca il desiderio di promuovere il benessere della popolazione. Gli Stati e la popolazione iniziano dunque a interessarsi alla società e a volerla comprendere. 3. Karl Marx Introduzione Karl Marx, uno dei pensatori più influenti della storia moderna, nacque a Treviri, in Germania, nel 1818. Dopo aver studiato filosofia a Berlino, esordisce come giornalista. Dopo che la rivista viene soppressa, Marx si trasferisce a Parigi, dove incontrerà Friedrich Engels. Espulso da Parigi, si ripara a Bruxelles, dove nel 1848 scrive il Manifesto del Partito Comunista, a quattro mani con Engels. Si trasferisce infine a Londra, dove si dedicherà alla stesura de Il Capitale, e dove morirà nel 1883. Il primo volume de Il Capitale fu pubblicato nel 1867; il secondo nel 1885 ed il terzo nel 1894. Se all’inizio della sua produzione, Marx è un filosofo hegeliano, con l’avanzare degli anni si ritrova nelle sue opere l’unità della ricerca della verità scientifica e della prassi per la trasformazione del mondo. La produzione intellettuale di Marx trova il suo fulcro nell’analisi della società sorta dopo le trasformazioni della prima rivoluzione industriale. Le origini filosofiche del pensiero di Marx e la concezione materialistica della storia Termine centrale per comprendere il pensiero filosofico di Marx è dialettica, termine puramente hegeliano. La dialettica si compone di tre momenti: l’affermazione, la negazione e la sintesi. Il superamento della società capitalistica implica che i suoi caratteri essenziali si sviluppino in una nuova formazione, riassunta nell’avvento del comunismo. Anche il concetto di alienazione è ripreso da Hegel: egli afferma come l’alienazione sia un aspetto dell’oggettivazione, cui seguono l’autocoscienza e la riappropriazione. Marx, dal canto suo, distingue nettamente l’oggettivazione dall’alienazione: egli afferma come il lavoro umano sia alienato in certe condizioni, quando cioè sussiste lo sfruttamento del lavoratore. Non è dunque il lavoro in sé ad essere alienato: il lavoro è alienato quando l’uomo non ha il possesso del frutto del proprio lavoro. La condizione dei lavoratori salariati nelle fabbriche è esplicativa di quanto appena enunciato, poiché il lavoratore produce per il proprio padrone, e si ritrova dunque alienato. Il lavoro, da autorealizzazione, diviene negazione dell’uomo. Viste queste premesse, la riappropriazione non può seguire l’autocoscienza, ma deve essere preceduta da una rivoluzione, che agisca concretamente per mutare le condizioni degli uomini. 5 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 L’elaborazione filosofica di Marx dipende dal materialismo storico, cioè interpretazioni del mondo che non sono astrazioni, ma che sono lo specchio della situazione reale in cui versano gli uomini in un dato periodo storico. Per Marx, la storia dell’umanità è la storia di come gli uomini si sono organizzati per la produzione, al fine della sopravvivenza. Entra qui in gioco la divisione del lavoro, che Marx reputa ineguale nei rapporti di produzione. I modi in cui il lavoro viene diviso e in cui viene divisa la proprietà, insieme alle tecniche produttive storicamente disponibili, costituiscono la struttura economica della società. Dalla struttura deriva qualsiasi altro aspetto di una società, il cui insieme è detto sovrastruttura. Le istituzioni, la religione, la morale, i costumi dipendono via via dalle modificazioni della struttura. Altro termine cruciale nella produzione di Marx è ideologia, intesa come visione cristallizzata e parzialmente falsificata del reale, che giustifica le condizioni sociali dell’oggi. Mediante l’ideologia, la classe dominante ha interesse nell’occultare i conflitti che provocano le contraddizioni, che portano al superamento della forma sociale data. Anche i dominati possono condividere l medesima ideologia dei dominanti, per paura o per incomprensione dei propri interessi: in tal caso, Marx parla di “falsa coscienza”. La critica di Marx contro l’economia politica si articola al fine di svelarne i presupposti ideologici. La critica dell’economia politica e il concetto di modo di produzione capitalistico “Critica dell’economia politica” non è solo un saggio del 1859, ma anche il sottotitolo de Il Capitale. Il fine dell’analisi marxiana è quello di “indagare il modo capitalistico di produzione e i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono”. Un “modo di produzione” è l’insieme dei mezzi di produzione, cioè le materie prime e gli strumenti necessari per la produzione, e dei rapporti di produzione, cioè i rapporti che gli uomini stabiliscono al fine della produzione. Il modo capitalistico è il modo di produzione emerso dopo la rivoluzione industriale. Il modo di produzione dominante in una società è quello che definisce la struttura della società stessa. Per questo, la società caratterizzata dal modo capitalistico di produzione è detta “capitalismo”. Il modo di produzione capitalistico è dunque fondato sul capitale. Il capitale è il lavoro accumulato al fine di una nuova produzione. Ma il lavoro accumulato diviene capitale solo quando sussistono determinati rapporti sociali: 1. nella produzione, devono essere distinti i capitalisti, cioè i proprietari dei mezzi di produzione, dai proletari, coloro che dispongono solo della propria forza-lavoro; 2. il rapporto tra le parti è mediato dal denaro: i proletari vendono la propria forza-lavoro come una merce, e ne traggono in cambio un salario. Mediante il salario, essi possono 6 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 acquistare i beni necessari alla loro sussistenza. Fuori dall’ambiente di lavoro, i proletari sono uomini liberi, a differenza degli schiavi o dei servi della gleba; 3. quanto prodotto dai proletari prende il nome di merce, un bene che viene scambiato sul mercato. Ogni merce dispone di un valore d’uso, cioè l’utilità pratica che il consumatore vi ritrova, ma anche di un valore di scambio, che si esprime attraverso il prezzo della merce. Per Marx, il valore di scambio corrisponde alla quantità di tempo necessaria a produrre quella merce; 4. il lavoro accumulato diviene capitale quando viene impiegato dal capitalista al fine di trarne un profitto. Ancora sul modo capitalistico di produzione Il modo di produzione capitalistico è peculiare, poiché presuppone, attraverso altre merci, la produzione di merci che abbiano un valore di scambio superiore a quelle inizialmente impiegate. Il capitalista dispone inizialmente di un certo ammontare di denaro D, che investe acquistando delle merci M, quali materie prime e strumenti di produzione (lavoro accumulato) e forza-lavoro. Dal lavoro dei suoi operai, il capitalista ottiene nuove merci D’, il cui valore di scambio è superiore rispetto a quelle inizialmente impiegate. L’equazione del capitalismo è dunque: D – M – D’. La differenza tra D’ e D è detta profitto. Il capitalista trae il profitto dal plusvalore: il plusvalore deriva dal pluslavoro, cioè il lavoro in più non remunerato svolto dagli operai durante la propria giornata lavorativa. Ricorda: il salario corrisponde al livello di sussistenza. Il profitto è dunque la diretta conseguenza dello sfruttamento esercitato dal capitalista ai danni del proletario. Marx sostiene come l’economia politica sia in questo senso ideologica: seppur sia vero che la forza-lavoro è remunerata a livello di sussistenza, è taciuto come il capitalista si appropri del plusvalore. La nozione di “classe” Con “classe” si intende un insieme di individui che ricoprono la medesima posizione all’interno dei rapporti di produzione tipici di un dato modo di produzione. Le classi sono dunque insiemi di individui diversamente collocati nei rapporti di produzione. Le classi sono necessariamente in conflitto fra loro. “La storia di ogni società finora esistita è storia di lotta di classe.” Nel modo di produzione capitalistico, Marx ritrova due classi: quella della borghesia e quella del proletariato. La borghesia è composta dai capitalisti, il proletariato è composto dai lavoratori salariati. Il modo di produzione capitalistico tende a polarizzare tutte le altre classi entro quelle sopra descritte. Gli interessi delle due classi sono necessariamente antagonistici, trattandosi di rapporti di sfruttamento. La borghesia dipinge il capitalismo come il modo di produzione capace di generare un progresso il cui godimento sarà universale; dal canto suo, il proletariato non è pienamente cosciente dei propri interessi. Nel momento in cui questo riconosce i propri interessi e agisce di conseguenza, da classe in sé esso diviene classe per sé. Ciò che rende questo possibile è l’acquisizione della coscienza di 7 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Durkheim nasce in Lorena nel 1858. Nel 1887 insegna sociologia a Bordeaux, e nel 1896 fonda una rivista dedicata alla raccolta di studi sociologici, L’Année sociologique. La domanda che Durkheim si pone nel corso della sua elaborazione teorica è “che cosa tiene insieme la società?”. Ciò che, nella sua opinione, contribuisce alla coesione della società è la morale. La morale consente infatti la solidarietà tra i membri di un insieme sociale. La società è, dunque, un ordine morale. Storicamente, Durkheim risente della fragilità della società della Francia durante la Terza Repubblica; teoricamente, Durkheim risente della produzione di Spencer, in particolar modo dell’evoluzionismo e dell’organicismo. Tuttavia, se per Spencer la premessa della società è un contratto tra gli uomini, per cui ciascuno persegue il proprio utile, per Durkheim è la vita collettiva a determinare il comportamento dei singoli. Il comportamento individuale prende le mosse dall’inserimento sociale del singolo e dall’obbligazione morale verso tale insieme. Morale, norme e fatti sociali La morale è l’insieme di valori e di credenze che si condensano in norme, regole alla cui infrazione corrisponde una sanzione, e a cui ciascun membro della società è vincolato. Tali sanzioni agiscono dall’esterno, poiché all’infrazione corrisponde una pubblica riprovazione, e dall’interno, poiché l’individuo avverte dentro di sé un vincolo verso la morale. L’appartenenza a una medesima morale è ciò che crea solidarietà, e dunque coesione, tra i membri di una società. Le norme morali si impongono previa istituzionalizzazione in un sistema di credenze religiose, condensate in un sistema di riti. Dal punto di vista sociologico, le norme morali sono per Durkheim dei fatti sociali. I fatti sociali sono fenomeni che prescindono dall’azione dei singoli o dalle loro motivazioni, poiché dotati di un’esistenza indipendente e autonoma. Essi si impongono alla volontà e all’azione del singolo, e contemporaneamente ne influenzano la volontà e l’azione. I fatti sociali sono “come cose”: non perché siano amorfi, anzi, sono il frutto dell’interazione fra uomini: sono “come cose” poiché la loro esistenza è indipendente dalla volontà e dalle azioni degli individui. Esempio: il linguaggio. Il linguaggio non è creato da nessun individuo singolarmente considerato. Esso è trascendente dalla volontà degli uomini, ed esisteva già prima che questi se ne servissero. Esso è consolidato, poiché frutto dell’interazione di innumerevoli uomini, e si manifesta dunque come prodotto di una realizzazione collettiva. Nonostante queste premesse, è inevitabile che il linguaggio influenzi ciascuno di noi, poiché da esso dipende come pensiamo e come comunichiamo. L’uso scorretto del linguaggio ci espone alla derisione da parte di terzi. Per questo, il linguaggio è un fatto sociale. Un approccio funzionalista La società è dunque per Durkheim una realtà sui generis, indipendente dalla vita dei suoi membri. La società non è la semplice sommatoria degli individui che la compongono, ma la trasformazione di questi in un nuovo organismo, dotato di caratteristiche proprie. Poiché la società si esprime attraverso i fatti sociali, la sociologia è la scienza che studia l’insieme dei fatti sociali. 10 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Durkheim ha indubbiamente un approccio funzionalista: considerando ciascun elemento del corpo sociale, egli si domanda quale funzione esso svolga all’interno della società. Una spiegazione funzionalista è dunque la spiegazione di un fenomeno sociale sulla base dell’individuazione della funzione che esso svolge per la vita della società. Ma non bisogna credere che la spiegazione funzionalista di Durkheim comporti che ogni fenomeno sociale debba svolgere una funzione prestabilita. Prendiamo ad esempio la devianza: la devianza è un comportamento sociale che si discosta dalla norma. Il crimine, ad esempio, è un’infrazione delle norme sociali e una crisi della morale. La funzione che esso svolge è quello di rinsaldare la coscienza collettiva, attraverso la punizione e la pubblica riprovazione dell’infrazione alla morale. La funzione del crimine non è dunque prestabilita: è la conseguenza non intenzionale di una pratica sociale. La devianza svolge inoltre la funzione di aprire la società a nuove norme morali. Società semplici e società complesse Durkheim non fornisce un’unica definizione di società, in quanto egli sostiene esistano diversi tipi di società. Ne La divisione del lavoro sociale, Durkheim sostiene come l’evoluzione delle società umane sia lo sviluppo da un tipo di società a un altro. 1. Società semplice o segmentaria: è il primo tipo di società, che corrisponde storicamente alle tribù primitive, basata su una bassa divisione del lavoro. Gli individui svolgono funzioni poco differenziate tra di loro; 2. Società complessa: è il secondo tipo di società, che corrisponde storicamente alle nazioni moderne, basata su un’articolata e complessa divisione del lavoro. Le attività dei suoi membri sono profondamente differenziate tra loro, ed esistono numerose istituzioni (prima fra tutte la famiglia) che mediano l’appartenenza del singolo all’insieme sociale. L’evoluzione delle società umane verso una sempre maggiore complessità dipende dal grado di divisione del lavoro raggiunto, che dipende a sua volta dall’estensione spaziale e dalla consistenza numerica dell’insieme sociale. La morale si presenta diversamente in società semplici e in società complesse. Le società semplici sono caratterizzate dalla solidarietà meccanica, che si presenta tra individui uniti quotidianamente e che svolgono attività simili. Le società complesse sono invece caratterizzate dalla solidarietà organica, che definisce i legami di individui che svolgono funzioni profondamente diverse, ma che sono costretti a cooperare per la vita dell’insieme sociale a cui appartengono. Nelle società semplici dotate di solidarietà organica, le coscienze individuali sono scarsamente diversificate le une dalle altre: la coscienza collettiva pervade la coscienza individuale, facendo sì che gli individui pensino in maniera simile, generando scarsa tolleranza per comportamenti che non sono coerenti con la morale comune. Per questo, le leggi sono punitive e profondamente vincolanti: ogni infrazione è considerata come un attentato alla coesione del gruppo. Nelle società complesse, vista la diversificazione delle mansioni, anche le coscienze individuali saranno diversificate e conseguentemente individualizzate. Per questo, le leggi non sono punitive bensì restitutive: l’infrazione è interpretata come un danno arrecato ad altri in un determinato 11 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 ambito, non come un attentato alla coesione dell’insieme sociale. Ma il rispetto delle norme sociali è qui problematico, poiché l’individualizzazione delle coscienze non permette che ciascuno vi aderisca di riflesso. Per questo, venendo meno la solidarietà meccanica, è necessario stabilire dei meccanismi che vincoli gli individui alla cooperazione, al fine di non distruggere la coesione del gruppo sociale. Nelle società complesse è infatti altissimo il rischio di anomia. L’anomia è l’assenza di norme morali condivise: la società non riesce a vincolare a sé i suoi membri e a garantire la loro adesione a un medesimo ordine morale. Ciò accade perché le società moderne non sono in grado di sviluppare delle norme morali che siano coerenti con gli sviluppi dell’insieme sociale. Se per Marx il conflitto è la forza motrice del dinamismo sociale, per Durkheim esso è una patologia dell’organismo sociale. La cura indicata da Durkheim contro l’anomia è il corporativismo, la creazione cioè di associazioni intermedie tra i singoli e la società, attraverso l’associazione professionale. Meglio ancora, la risoluzione dell’anomia sta nello sviluppo di un sistema morale che si imponga nelle coscienza dei membri della società, attraverso il potenziamento dei sistemi educativi. Un ruolo fondamentale è qui giocato dai processi di socializzazione, che rendono il singolo un effettivo membro della società. Attraverso la socializzazione, l’individuo aderisce al sistema di norme su cui si fonda la vita sociale. La ricerca sul suicidio Durkheim è autore di un celebre studio sul suicidio, pubblicato nel 1897. Inizialmente il suicidio può apparire come un gesto puramente individuale: la scelta di un individuo di privarsi della propria vita. Tuttavia, l’intento di Durkheim è dimostrare come anche questo gesto sia riconducibile al pensiero sociologico, poiché l’individuo intende sottrarsi alla coesione sociale. Per questo, la ricerca di Durkheim non si concentra sul suicidio in sé, ma sul tasso di suicidi in un data società. Durkheim osserva come il tasso di suicidi in un determinato territorio tenda a rimanere pressocché invariato nel tempo. Attraverso tale osservazione, Durkheim riconosce sì come il suicidio sia un atto sicuramente mosso da dinamiche individuali, ma allo stesso tempo vuole dimostrare come il tasso complessivo, detto tendenza suicidogena, sia invece frutto di un insieme di dinamiche extrasoggettive. Dal suo studio, Durkheim intuisce come il tasso di suicidi sia correlato al grado di integrazione degli individui in una data società. Tale studio è il primo esempio di ricerca empirica, fondata su dati statistici, analizzati sulla base della teoria dell’integrazione sociale. Prima di dispiegare la sua tesi, Durkheim tende a confutare le tesi concorrenti sul medesimo argomento. 1. Il tasso di suicidi è correlato a fattori climatici: Durkheim confronta i dati statistici di diverse regioni in diversi periodi dell’anno. Ne risulta come le variazioni climatiche non corrispondano a un aumento o a una diminuzione del tasso di suicidi. 2. Il tasso di suicidi dipende dalla pazzia, dall’ereditarietà o dal consumo di alcool: Durkheim ricorre alla stessa impostazione statistica per confutare tale tesi. Nella sua tesi, Durkheim analizza i dati di diversi Paesi europei, e osserva come i membri delle confessioni protestanti siano più inclini, rispetto ai membri di altre confessioni, a commettere il 12 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Le forme concrete delle pratiche religiose variano nel tempo, ma hanno tutte qualcosa in comune. Per questo, Durkheim ritiene che lo studio delle forme elementari della vita religiosa, rilevata specialmente nelle tribù primitive in Australia e in Nord America, sia l’oggetto privilegiato della sua analisi: infatti, Durkheim sostiene che vi si possa cogliere elementi che riassumano il senso universale del fenomeno religioso. Credenze e pratiche sono dei simboli prodotti dalla società, che vengono oggettivati e successivamente sacralizzati. Per questa ragione, Durkheim critica le religioni. Tuttavia, riconosce come giustamente la società venga sacralizzata, nel momento in cui rappresenta qualcosa di trascendente per gli individui. Infine, Durkheim ritrova nella religione il sostegno delle norme morali che assicurano la coesione sociale. Durkheim, dunque, dimostra come ogni società si fondi su delle credenze. Ma capire come queste credenze abbiano origine è più complesso. Nelle Forme elementari è presente la “teoria dell’effervescenza sociale”: in determinati momenti della vita collettiva degli uomini, essi sviluppano un’energia che consente loro di proiettare fuori di sé delle credenze, cui attribuiscono un carattere trascendente. Tuttavia, questa teoria rimane poco sviluppata. Fatte queste premesse, risulta chiaro come lo studio durkheimiano sia paradossale: egli sì riconosce la funzione fondamentale della religione, ma allo stesso tempo spiega come la religione non sia quello che i fedeli sono portati a credere. La critica scientifica alla religione è frutto del processo di secolarizzazione. Da questo ragionamento, si possono trarre due possibili conclusioni:  Le religioni saranno vittime di una progressiva perdita di integrazione nelle società moderne;  Non sono le religioni propriamente dette a garantire la coesione sociale. I fondamenti di una sociologia della conoscenza Nell’Introduzione a Le forme elementari della vita religiosa, Durkheim sviluppa una sociologia della conoscenza. Egli afferma come la teoria della conoscenza si divida in due posizioni:  La conoscenza nasce dalle sensazioni, che vengono organizzate attraverso l’esperienza;  La conoscenza nasce dall’incontro di dati sensoriali con categorie dell’intelletto che sono innate e universali. Ma l’apparato intellettuale non è universale, bensì sociale: è prodotto dell’interazione fra gli uomini e il loro ambiente, ed è trasmesso attraverso la cultura. Ciascuno diviene membro della società nel momento in cui acquisisce un linguaggio, ed è in grado di organizzare i dati sensoriali che riceve dall’esterno. Poiché i modi in cui conosciamo il mondo hanno base sociale, al variare della società, variano anche le forme del conoscere. Gli uomini attribuiscono insieme un senso e un ordine al mondo. 15 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 I durkheimiani Fra i discepoli di Durkheim sono annoverati Henri Hubert, Francois Simiand, Maurice Halbwachs e Marcel Mauss. Halbwachs articolò il pensiero di Durkheim ponendo particolare enfasi sulla società contemporanea, descrivendo la psicologia collettiva di classe e la morfologia sociale. Tuttavia, la fama di Halbwachs si deve ai suoi lavori sulla memoria collettiva: “I quadri sociali della memoria” del 1924, e “La memoria collettiva”, pubblicato postumo nel 1950. Halbwachs sostiene come la memoria collettiva sia il fulcro dell’identità di ogni gruppo e quindi fattore della sua coesione. Ma la memoria collettiva comprende episodi del passato che non sono statici, bensì rivisitati e diversamente interpretati nel tempo. La memoria collettiva è ricostruita a partire dagli interessi del presente, al fine di legittimarli e rafforzarli. Poiché la società moderna è particolarmente complessa e divisa in molteplici raggruppamenti sociali, possono coesistervi diverse interpretazioni del passato, anche in competizione tra di loro. Inoltre, Halbwachs descrive il ruolo della censura e della manipolazione della memoria collettiva nei regimi totalitari del XX secolo. L’influenza di Durkheim non si limita alla sociologia, ma è rilevante anche nell’antropologia. Tale influsso si percepisce principalmente attraverso l’opera di Marcel Mauss. La sua opera principale è “Saggio sul dono” del 1925, dove descrive il rituale dello scambio tra clan in alcune tribù del Nord America, detto potlac. Il potlac è una sfida festiva: un capoclan offre a un altro dei doni, cui questo è tenuto a rispondere con doni superiori. Presentare doni dal valore inferiore è motivo di disonore. Al contempo, il potlac assume anche un valore economico: il surplus produttivo di ogni clan viene consumato o scambiato durante la festa, realizzando così una transazione economica tra i clan interessati. Il potlac è dunque un fatto sociale totale, poiché comprende molteplici dimensioni: adempie funzioni economiche, consolida i rapporti fra gruppi e definisce posizioni di prestigio. Attraverso l’opera di Mauss, il pensiero di Durkheim continua a influenzare gli scienziati sociali. Va ricordato indubbiamente “Il dispendio”, opera di Georges Bataille pubblicata nel 1933. Bataille sottolinea qui come la tendenza alla dissipazione sia tratto essenziale della natura umana. L’accumulazione forzata della società contemporanea ha, per Bataille, mascherato e rimosso la naturale tendenza alla dissipazione. Il rifiuto di accettare la dissipazione conduce l’uomo a commettere atti di violenza, che sono caratteristici della società contemporanea. Osservazioni Sebbene Durkheim abbia avuto un influsso fondamentale sulla sociologia, le sue formulazioni non sono sempre coerenti. All’inizio, egli formula teorie in linea con il positivismo, che viene screditato nella sua ultima opera mediante l’ammissione che i fatti sociali sono dei costrutti sociali modificabili nel tempo, e non dati universali e immutabili. Nella Prefazione alla seconda edizione delle Regole del metodo sociologico, Durkheim definisce il fatto sociale con il termine istituzione, cosicché la sociologia diviene “la scienza delle istituzioni, della loro genesi e del loro funzionamento.” Ma tale definizione stride con la ricerca di Durkheim: il tasso di suicidi non è scuramente un’istituzione sociale. 16 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Tuttavia, nel linguaggio sociologico corrente è in uso il termine istituzione, che descrive la capacità della vita sociale di raggrupparsi in forme stabili: le istituzioni sono dunque un insieme di norme e di pratiche, dotate di un carattere durevole e sovraindividuale, che esercitano una certa pressione sugli individui. Durkheim è soggetto a critiche di stampo concettuale, poiché nella sua elaborazione stenta a definire completamente e coerentemente alcuni termini fondamentali, quali quello stesso di società. Il più grande merito di Durkheim sta nell’aver definito la realtà sociale come sui generis, che non può essere ridotta al comportamento e alle intenzioni dei singoli. Per questo, egli è definito il padre della sociologia propriamente detta. 5. Georg Simmel Introduzione È bene contestualizzare storicamente il periodo in cui si muovono gli autori cui si fa riferimento. Tale periodo va dalla metà dell’Ottocento al Primo conflitto mondiale, anni di profondi sconvolgimenti a livello politico, economico e sociale. Sul piano economico, si assiste alla diffusione del processo di industrializzazione nei maggiori Paesi europei e il trionfo della merce prodotta su scala industriale. Allo stesso modo vengono rivoluzionati i mezzi di comunicazione e i mezzi di trasporto; si assiste all’introduzione dell’elettricità nelle città, al progresso nella medicina e all’aumento demografico. Parallelamente, si assiste all’urbanizzazione e alla burocratizzazione della vita sociale. Sul piano politico, in quasi tutta Europa si sono sviluppati dei regimi parlamentari: attraverso l’ampliamento del diritto di voto, i partiti politici hanno assunto maggiore rilevanza, esorcizzando le posizioni rivoluzionarie e instaurando un dialogo politico bidirezionale. Inoltre, un altro nodo cruciale di questo periodo storico è l’imperialismo, dunque l’espansionismo coloniale europeo. Le grandi potenze iniziano a instaurare il proprio dominio in Africa, Asia e Oceania in nome di una missione salvifica e civilizzatrice. Le colonie svolgono un ruolo cardine nelle economie europee, poiché fonti di materie prime, di mercati e di manodopera. I sociologi che operano in questo periodo sono i primi a tentare di definire la modernità e a prendere coscienza del cambiamento epocale di cui fanno esperienza. Il termine “modernità” fu utilizzato per la prima volta da Charles Baudelaire in un articolo del 1861. L’epoca storica descritta è quindi definita come moderna, poiché coloro che la vivono sono consapevoli degli enormi stravolgimenti che la caratterizzano. L’Europa, in questo momento storico, è travolta da un senso di euforia dovuto alla consapevolezza del progresso e dei cambiamenti che ne derivano. Di conseguenza, il trauma della Prima guerra mondiale sarà difficile da digerire. 17 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Le forme e la vita Simmel dichiara a più riprese di volere indagare sulla forma delle relazioni e dei processi sociali, prescindendo dai loro contenuti. Spesso, tuttavia, Simmel si occupa di descrivere le forme che le interazioni assumono all’interno di condizioni storiche e culturali ben definite. Infatti, se è vero che la forma delle interazioni è una rete di fenomeni, disposizioni e atteggiamenti reciproci astratti rispetto ai contenuti delle singole interazioni, è anche vero che tale forma non è universale, bensì dettata da una situazione storica ben definita. La nozione di forma è fondamentale nell’opera simmeliana. La vita è sì un fluire incessante, ma anche una produzione di forme in cui tale fluire si cristallizza. La vita si manifesta attraverso le produzioni materiali della cultura, ma tale produzione si contrappone al carattere fluido della vita stessa. Da tale contrapposizione si coglie la sua tragedia: la vita non può essere colta attraverso simboli o raffigurazioni, poiché sarebbe estremamente riduttivo. Poiché costituiscono un prodotto immobile della vita, le si contrappongono, la riducono e non riescono a coglierla. La vita le scavalcherà, continuando a fluire incessantemente, e queste saranno inevitabilmente superate e dimenticate. Da questa tragedia, si coglie come un sapere esaustivo della vita sia impossibile da raggiungere. Infatti, ogni pensiero delinea una certa prospettiva da cui si osserva il mondo, ma sono possibili infinite prospettive da adottare. Per questo, il pensiero di Simmel è così asistematico. Metropoli, denaro e intellettualizzazione della vita Simmel, parlando della modernità, ne sottolinea anche la crisi. Del resto, il concetto stesso di modernità è intriso di crisi: la modernità è una crisi permanente, perché rappresenta il mutamento perenne. Tuttavia, anche la modernità è un’epoca storica, e in quanto tale è caratterizzata da specifici fenomeni e atteggiamenti che ne spiegano la percezione. L’analisi della modernità è il fulcro della Filosofia del denaro, cui alcuni punti fondamentali sono ripresi ne Le metropoli e la vita dello spirito, un saggio del 1903. Per Simmel, indagare l’esperienza moderna coincide con l’indagare l’esperienza metropolitana. La prima caratteristica è l’intensificazione della vita nervosa, poiché la metropoli è fonte di continui stimoli esteriori e interiori che rischiano di minare la psiche individuale. Per questo, il nostro intelletto – cioè la nostra facoltà tesa alla calcolabilità – si adegua alla vita metropolitana, sviluppando un atteggiamento strumentale e calcolatore verso il mondo esterno. Ne consegue che la vita metropolitana sia caratterizzata dall’intellettualismo, cioè dall’ipertrofia del nostro intelletto. L’atteggiamento meramente calcolatore dell’intelletto fa sì che la metropoli divenga fulcro dell’economia monetaria. Per questo, in secondo luogo, Simmel si concentra sulla corrispondenza tra la vita metropolitana e l’economia monetaria. Difatti, denaro e intelletto sono accomunati dall’essenziale indifferenza verso gli scambi esterni. Il denaro è l’equivalente universale, dotato della capacità di attenuare le differenze qualitative tra quelle che rende “merci”. Colui che abita la metropoli prende il nome di uomo blasé: un cittadino disincantato e annoiato, 20 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 che prova indifferenza verso la varietà qualitativa di ciò che lo circonda. Tutte queste tendenze tipiche della modernità contribuiscono a creare una rete di relazioni sociali caratterizzate dall’anonimità. Tuttavia, tali processi non sono unidirezionali: se in certi ambiti si sviluppano queste tendenze, è probabile che in altri ambiti si sviluppino tendenze contrarie. Un altro tema importante nell’opera di Simmel, trattato già ne La differenziazione sociale, è il rapporto tra la differenziazione sociale e l’aumento della libertà dell’individuo. In una cerchia sociale ristretta e poco numerosa, gli individui sono meno individualizzati e meno liberi di esprimere i contenuti della propria coscienza. Di contro, quando la cerchia si allarga, gli individui sono liberi di sviluppare la propria autonomia e la propria unicità. Per questo, la metropoli, dove la differenziazione sociale è massima, gli individui godono anche di massima libertà di espressione e di movimento. Tuttavia, è comune che tale libertà non generi un sentimento di benessere, bensì di solitudine e di abbandono. Per questo, l’uomo moderno è costretto a una crescente dipendenza dal mondo delle istituzioni che lo sovrasta, rendendolo sempre meno autosufficiente. Tale processo è riassunto nella crescente divaricazione tra i contenuti dello spirito oggettivo e dello spirito soggettivo. Lo spirito oggettivo è la cultura sedimentata, resa oggetto nei prodotti dell’uomo (le enciclopedie; le biblioteche; la rete elettrica). Lo spirito soggettivo è quanto un individuo sa, in quanto lo ha imparato o ne ha fatto esperienza. La cultura soggettiva dipende necessariamente dalla cultura oggettiva, ma esiste solo in un individuo concreto. La tragedia della modernità consiste nella sproporzione tra questi due poli. Nel mondo moderno si assiste a un vertiginoso aumento della cultura oggettiva, cui non corrisponde un’uguale crescita della cultura soggettiva, parcellizzata e frammentata. Tale dissonanza, in cui “[…] le cose diventano sempre più colte, mentre gli uomini sono sempre meno capaci di guadagnare […] un perfezionamento della loro vita soggettiva” causa un senso di insoddisfazione verso il progresso stesso, che sovrasta le capacità individuali dei singoli. Ancora a proposito dell’individuo Simmel non ritiene che la società sovrasti gli individui. Essi esistono ugualmente: è lo sguardo di chi osserva a poter cogliere talvolta gli uni, talvolta l’altra. Esistono tuttavia delle tensioni tra le parti, che Simmel indaga nel suo saggio Problemi fondamentali della sociologia. La collettività impone agli individui l’espletazione coordinata con altri di determinati compiti, funzionali alla sopravvivenza della società. Sotto questa luce, essa vincola la libertà individuale. L’individuo può in ogni caso non cooperare alla sopravvivenza della società, scegliendo di sviluppare sé stesso e realizzare degli obiettivi che non corrispondono a ciò che la società si aspetta da lui. Tale tensione è irriducibile: è il dissidio tra la società, che vorrebbe l’unità dei suoi elementi, e il singolo, che vorrebbe emanciparsi dalle pretese della collettività. Tale dissidio diventa evidente specialmente nell’epoca moderna, che pone particolare enfasi sulla libertà dell’individuo e sulla realizzazione di sé. In questo, Simmel si rifà all’opera dello storico tedesco Jacob Burckhardt. Burckhardt, in una serie di saggi del 1860, rileva due corrispondenze tra lo sviluppo della cultura europea moderna e l’enfasi del concetto di individuo: la maggiore importanza rivestita dalla 21 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 realizzazione personale, ormai scardinata dalla nascita; la nuova responsabilità attribuita allo scienziato, che si contrappone all’autorità tradizionale. Simmel parte dalle considerazioni di Burckhardt, ma le approfondisce ulteriormente. Infatti, nota come il concetto di individuo sia diverso nella cultura europea del Settecento e nella cultura europea del secolo successivo. Nel Settecento, il concetto di individuo è affiancato al principio di uguaglianza tra tutti gli uomini, presentandosi come una critica alla cultura feudale e aristocratica. Nell’Ottocento, il concetto di individuo evolve ulteriormente. All’uguaglianza naturale di tutti gli uomini, viene affiancata quella dell’unicità di ciascuno di essi. Gli uomini sono dunque dissimili, e ciascuno deve sviluppare la propria creatività. Quello della cultura ottocentesca, è denominato da Simmel come individualismo qualitativo o individualismo della differenza. In tale panorama culturale, la tensione tra individuo e società non può che inasprirsi. La moda Tuttavia, la densità della popolazione negli agglomerati urbani rende difficile agli individui la realizzazione delle aspettative poste dall’individualismo qualitativo. Per questo, nelle metropoli, gli individui sono alla ricerca di tratti distintivi, di novità spesso eccentriche, nel tentativo di costruire la propria personalità, che tende tuttavia a perdere di significato. Tale tema è affrontato in un saggio del 1905, intitolato La moda. Nella moda vi è la compenetrazione di due spinte contradditorie: la distinzione, che esprime la necessità di distinguersi, e l’imitazione, che esprime il bisogno di appartenere a una cerchia definita autorevole in fatto di stile. Nel seguire una moda, un individuo vuole sia distinguersi da tutti coloro che non la seguono, sia di assomigliare a coloro che la rappresentano. Poiché nella società contemporanea gli individui non sono diversificati alla nascita, la moda costituisce un processo di mobilità sociale apparente: imitando la moda di un gruppo sociale dotato di maggior prestigio, un individuo che ricopre un gradino inferiore nella gerarchia sociale può far mostra di appartenervi. Tuttavia, la diffusione della moda renderà vano il tentativo di farne il proprio tratto distintivo, innescando un processo senza fine. Del resto, la caducità e la transitorietà di una moda sono ciò che la rendono così appetibile ai nostri occhi. La moda è paradossale perché esprime al contempo autonomia e obbedienza. Qualche commento Simmel è divenuto uno dei pilastri del pensiero sociologico contemporaneo: 1. Simmel mette in luce i procedimenti conoscitivi tipici della sociologia; 2. Simmel rinuncia a trovare un singolo nesso causale tra fenomeni, sottolineando come il mondo sia una rete di fenomeni che si influenzano reciprocamente; 3. Simmel ridefinisce l’oggetto della sociologia, evidenziando le interazioni tra le entità che egli intende analizzare; 4. Simmel inaugura la stagione in cui la sociologia si interessa della vita quotidiana. La ricezione di Simmel nel mondo della sociologia è stata complessa. Dapprima si sviluppò in America attraverso la mediazione di Robert Park, grazie al quale Simmel 22 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Tale visione riprende sia l’elaborazione di Tönnies, sia quella di Simmel. Il predominio dell’agire razionale rispetto allo scopo conduce allo sviluppo di un processo di razionalizzazione. Il concetto di capitalismo Sul piano economico, la società occidentale moderna trova il suo perno nel capitalismo. Spiegare il concetto di capitalismo significa analizzare una delle caratteristiche fondanti della civiltà moderna. Un atto economico capitalistico è per Weber un atto basato sull’aspettativa di guadagno derivante da congiunture di scambio formalmente pacifiche. Di conseguenza, il capitalismo è un sistema economico in cui gli attori economici mirano ad accrescere il proprio guadagno in modo formalmente pacifico mediante lo scambio . Il soggetto tipico di questo sistema è il proprietario dell’impresa capitalistica. Tuttavia, il capitalismo occidentale moderno è dotato di un’altra caratteristica: l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero, mediante lavoratori salariati e giuridicamente liberi. Una società è capitalistica quando il benessere dei suoi membri dipende dall’attività di queste imprese e dal consumo delle merci che queste producono. Nonostante la definizione weberiana di capitalismo richiami quella marxista, si differenzia dalla suddetta in quanto manca l’elemento dello sfruttamento. Il tema dello sfruttamento è una critica morale al capitalismo, ma non una sua caratteristica fondante. inoltre, era assente nella definizione marxista la componente razionale dell’agire capitalistico e dell’organizzazione del lavoro. Le congiunture storiche che hanno reso possibile l’avvento del capitalismo sono molteplici: 1. La disponibilità di lavoro formalmente libero; 2. Lo sviluppo di mercati aperti; 3. La separazione tra famiglia e impresa; 4. Lo sviluppo di un diritto formalmente statuito. Nonostante tali caratteristiche siano state presenti in diverse epoche storiche e in diverse parti del mondo, la loro combinazione è avvenuta solo nell’Occidente moderno. Tuttavia, ciò che contraddistingue il capitalismo occidentale moderno è la mentalità che consente di attribuire un senso all’agire propriamente capitalistico. Tale mentalità costituisce per weber lo spirito del capitalismo, caratterizzato dalla maggiore razionalità dell’agire, dalla credenza diffusa dell’importanza del lavoro professionale o del reinvestire i proventi nell’impresa. Lo spirito del capitalismo e le sue origini nell’etica protestante Una volta definito il capitalismo, bisogna comprendere quali sono le condizioni che ne hanno determinato l’insorgere. Il principale fattore è per Weber l’attitudine razionalistica tipica della civiltà moderna. Ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Weber intende spiegare le origini di tale attitudine. Tale disposizione è puramente culturale, e va ricercata in forme specifiche della cultura europea moderna, cioè forme religiose. A seguito della Riforma luterana del 1517, il protestantesimo si diffonde in tutta l’Europa settentrionale nel corso del XVI e del XVII secolo. La versione più rilevante è quella calvinista, che 25 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 trova il suo epicentro a Ginevra. Il calvinismo è incentrato sul concetto di “beruf”, che significa “professione” o “vocazione”. Attraverso questo termine, i protestanti hanno accentuato il carattere sacro dei compiti individuali, fondendo la dimensione professionale e la dimensione religiosa. Altro elemento fondamentale è quello della predestinazione delle anime: indipendentemente dalle azioni compiute, gli uomini sono predestinati alla salvezza o alla dannazione. Tale dogma conduce alla ricerca costante da parte del credente di un qualsiasi segno del proprio destino: i protestanti iniziano dunque a ritrovare nel successo professionale un segno della propria predestinazione alla salvezza. Per questo, la condotta di vita che si viene a delineare è fortemente metodica e orientata al sacrificio. Inoltre, il lavoro costituisce il preventivo contro tutte le tentazioni mondane. Tale duplice atteggiamento è definito da Weber come ascesi intramondana. Ed è proprio l’ascesi intramondana a costituire lo spirito del capitalismo, o perlomeno ad esserne affine, per l’approccio razionale e sistematico al mondo, ma al contempo per la rinuncia al godimento dei piaceri mondani. L’etica protestante costituisce dunque il fulcro della mentalità capitalistica. Il problema delle origini del capitalismo affrontato da Weber si inserisce in un dibattito a lui contemporaneo, in cui spicca la figura di Werner Sombart con Il capitalismo moderno del 1902. Sombart individua diverse mentalità che hanno contribuito alla genesi del capitalismo: in particolare, si concentra sulla marginalità culturale dei primi imprenditori, quali ebrei, eretici o stranieri in generale. Infatti, l’estraneità alla cultura tradizionale consente di meglio adottare comportamenti innovativi. Weber, nonostante ritrovi nell’etica protestante il maggiore fattore della genesi del capitalismo, è consapevole di come l’etica puritana favorisca una situazione paradossale. Infatti, l’enfasi sulla produzione e sulla rinuncia al lusso produce ricchezza, ma tale ricchezza contribuisce a favorire quanto i credenti tentano di fuggire, cioè la tentazione. Nel corso del suo sviluppo, il capitalismo perde la componente etica che lo aveva inizialmente caratterizzato. Procede in maniera meccanica e si autoalimenta: il profitto e il successo professionale sono ora perseguiti per accedere alle tentazioni che i protestanti originariamente volevano fuggire. Weber rinuncia a una posizione critica di tale impostazione, sia perché non dispone di una valida alternativa, sia perché la sua sociologia si è sempre caratterizzata come avalutativa. L’avalutatività delle scienze sociali Per comprendere le riflessioni metodologiche di Weber, è bene distinguere il riferimento a un valore e il giudizio di valore. Il riferimento a un valore è il riferirsi soggettivo a determinati valori durante la propria condotta. Il giudizio di valore è un’affermazione che, in relazione a un determinato fenomeno, dichiara esplicitamente il carattere positivo o negativo del suddetto. Lo scienziato sociale deve necessariamente riferirsi ai valori: sia perché costituiscono il senso che gli attori sociali attribuiscono al proprio agire, sia perché lo stesso scienziato sociale è un individuo collocato in un determinato contesto storico e sociale, e non può emanciparsi dalla realtà in cui 26 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 vive. Del resto, sono proprio i valori che animano lo scienziato sociale a spingere lo stesso alla ricerca sociale. Ciò che garantisce l’oggettività della ricerca è la consapevolezza dello scienziato sociale delle proprie visioni soggettive, e la capacità dello stesso di trattenersi dall’emettere giudizi di valore. Tale disciplina è detta avalutatività. Alcune categorie della sociologia weberiana Oltre ai concetti di sociologia comprendente, di agire e di agire sociale, ritroviamo nell’analisi weberiana altre categorie sociologiche. o Relazione sociale: diretta conseguenza dell’agire sociale, si parla di relazione sociale quando, essendovi più attori sociali compresenti, il senso dell’azione di ciascuno si riferisce all’atteggiamento dell’altro, in modo che le azioni siano reciprocamente orientate fra loro; o Comunità: un gruppo di individui costituisce una comunità se il senso dell’agire sociale deriva dalla comune appartenenza, soggettivamente sentita, da parte degli individui interessati; o Società o associazione: un gruppo di individui costituisce una società se il senso il senso dell’agire sociale deriva dalla convergenza di interessi motivati razionalmente. Comunità e società sono per Weber dei tipi ideali di relazione sociale: la comunità è una relazione sociale in cui è molto forte la dimensione affettiva, mentre la società è una relazione sociale fondata su stipulazioni, cioè su impegni reciproci presi dai membri che la compongono. Comunità e società sono relazioni sociali fondate sull’integrazione dei propri membri, ma vi sono anche tipi di relazioni sociali, come la lotta, in cui i membri non mirano alla mutua integrazione, bensì alla sopraffazione. Spesso, l’approccio sociologico di Weber è definito conflittualistico: diversamente da Durkheim, Weber non vuole enfatizzare la presenza dell’ordine o della coesione nel mondo umano. Tuttavia, non è nemmeno assimilabile a Marx, poiché non privilegia un determinato tipo di conflitti, né si aspetta che tali conflitti conducano a una data sintesi storica. Nella sociologia weberiana, i conflitti sono piuttosto una costante dell’agire umano. Le relazioni sociali possono essere aperte o chiuse. Sono aperte se l’agire sociale reciproco è accessibile a chiunque. Sono chiuse se l’accesso è limitato a determinati soggetti, in possesso di determinati requisiti. Un insieme di relazioni chiuse costituisce un raggruppamento sociale. Se un raggruppamento si definisce in base alla propria occupazione in un dato territorio, è dotato di continuità temporale e dispone della capacitò di ricorrere alla forza per mantenere la propria stabilità e imporre le proprie regole, esso prende il nome di raggruppamento politico. Lo Stato è un tipo di raggruppamento politico che detiene il monopolio della violenza legittima entro un dato territorio. Le forme di legittimazione del potere La violenza è considerata legittima se è imposta da un’autorità ritenuta valida. L’autorità è l’espressione di un potere legittimo. Il potere è la capacità di produrre effetti sulla realtà. Il potere sociale è la capacità di produrre 27 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 convinzione che tutte le cose possano essere dominate dalla ragione. Tale convinzione comporta un disincanto del mondo, che consiste nella negazione di spiegazioni e comportamenti magici o religiosi, comportando un atteggiamento puramente strumentale verso la natura. Tuttavia, il paradosso della modernità sta proprio nel fatto che la convinzione per cui la ragione può dominare ogni cosa, è essa stessa fiducia non spiegata razionalmente. Inoltre, la scienza non dichiara se dominare razionalmente il mondo sia giusto o sbagliato: tale scissione tra razionalità e valori è tipica della cultura moderna. Da qui, Weber individua nella responsabilità personale il fondamento dell’etica. Osservazioni L’approccio metodologico di Weber è quello dell’individualismo metodologico, per cui l’analisi parte non dalla società, ma dall’attore sociale, oppure di tipo conflittualista, poiché non dà per scontati l’armonia e l’ordine sociale. Il contributo di Weber alla sociologia fu enorme: nella sociologia politica, fondamentale è la definizione di carisma, di sfera politica come sfera di competizione per il potere e dell’uomo politico come “professionista della politica”. Nella sociologia delle organizzazioni e nella sociologia dell’amministrazione, centrali sono il concetto di burocrazia e la definizione di clientelismo, che comporta la modificazione sostanziale della burocrazia stessa. Infine, estremamente attuali rimangono sia la definizione di sociologia come scienza comprendente, sia la logica comparativa alla base dell’elaborazione weberiana. 7. Le origini della sociologia americana Introduzione La sociologia accademica statunitense prende piede a partire dall’ultimo decennio del XIX secolo. Questa sociologia è inizialmente dipendente dalla sociologia britannica, specialmente da Spencer e dal suo evoluzionismo. Vi sono tuttavia teorizzazioni originali, come quella di Sumner inerente al concetto di etnocentrismo, quella del consumo vistoso di Veblen e quella del “sé specchio” elaborata da Cooley. La società americana al tempo fu contrassegnata da importanti cambiamenti: l’immigrazione acquisisce ritmi elevatissimi, causando grandi problemi di integrazione culturale e sociale. Si assiste inoltre alla crescita dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione. Di questi problemi, cui si aggiunge quello della devianza, si occupano gli autori della Scuola di Chicago. La scuola di Chicago Il primo dipartimento di sociologia venne istituito all’Università di Chicago, e gli autori più rilevanti furono William Thomas e Robert Park. L’opera principale di Thomas è Il contadino polacco in Europa e in America, pubblicata tra il 1918 e il 1920. Il fulcro dell’opera sono le condizioni in cui versano gli immigrati polacchi a Chicago, partendo dall’assunto che il comportamento degli immigrati non è comprensibile senza considerare la loro storia, il Paese da cui provengono e il motivo dietro l’emigrazione. Thomas ritrovava nella creazione di istituzioni mirate all’integrazione degli immigrati la chiave per evitare la disgregazione sociale e conflitti interetnici. Attraverso Il contadino polacco, Thomas dà impulso ai metodi qualitativi della ricerca sociologica. Tale metodologia si condensa nella corrispondenza tra l’esperienza degli immigrati polacchi a Chicago e nella ricostruzione delle storie biografiche di alcuni di loro. Da qui il celebre “teorema di Thomas”: se gli uomini definiscono una situazione come reale, essa è reale nelle sue conseguenze. La definizione che gli attori sociali attribuiscono a una situazione è 30 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 essenziale per comprendere il loro atteggiamento. Per comprendere tale definizione, lo scienziato sociale deve adottare dei metodi di ricerca qualitativi. La Scuola di Chicago è caratterizzata da una ricchissima ricerca empirica, come quella di Anderson sui vagabondi, quella di Wirth sul ghetto e quella di Trasher sulla delinquenza giovanile. Il metodo di ricerca caratterizzante della Scuola è l’osservazione partecipante, cioè la parziale immersione del ricercatore per un lungo periodo di tempo nella vita del gruppo che studia. Il tratto comune della ricerca di questi autori è la città: Chicago diviene infatti il loro laboratorio sociale. Tale approccio è spesso detto “ecologico”: sia perché concepisce il comportamento nello spazio umano sulla base del modello naturalistico, sia perché pone particolare attenzione ai contesti entro cui si verifica un determinato comportamento sociale. Park, che succedette a Thomas nella direzione della Scuola, si interessa particolarmente alla stampa e ai mezzi di comunicazione di massa, che costituiscono sì l’istituzionalizzazione del pettegolezzo, ma anche il luogo privilegiato per la formazione dell’opinione pubblica. Inoltre, i mezzi di comunicazione di massa costituiscono lo strumento di integrazione all’interno di società sempre più complesse e differenziate. La sociologia deve riuscire a cogliere i concetti operativi, per poi orientare la ricerca e trarvi dei risultati coerenti. La città Essenza della città moderna è il concetto di mobilità. La mobilità può essere sia geografica, inerente ai flussi migratori transnazionali e al pendolarismo, sia sociale, facendo riferimento alla possibilità individuare di ascendere o discendere socialmente. Nella terminologia della Scuola di Chicago, mobilità significa “apertura”: più si è mobili, più si è inclini al mutamento. La città nasce dalla mobilità, ed è anche la maggiore fonte della stessa, perché sottopone gli individui a perenni stimoli e possibilità. Questi processi, come anticipava Simmel, possono condurre a risultati ambivalenti: lo sviluppo della propria individualità, ma anche la disorganizzazione sociale. La disorganizzazione sociale è comune a qualsiasi processo di mutamento, poiché preannuncia una nuova forma organizzativa. Un altro fenomeno tipico dell’ambiente urbano è quello della distanza sociale: il sentimento dei membri di un gruppo sociale di sentirsi diversi dai membri di un altro gruppo sociale. La distanza sociale si esprime in distanza territoriale: nella città, i diversi gruppi si collocano in aree diverse. Da qui la teoria delle “aree naturali”: specifiche aree geografiche entro cui si distribuisce la popolazione della città. Lo sviluppo della città segue uno schema generale: una città inizia a espandersi dal suo centro, caratterizzato dal quartiere commerciale principale. Intorno al centro si ritrova un’area di transizione, occupata da imprese commerciali e da piccole industrie. Una terza area è occupata dalla zona residenziale operaia, cui segue una zona residenziale costituita da quartieri privilegiati e tipicamente “chiusi”. Infine, ai confini della città, vi è la zona dei lavoratori pendolari, costituita da aree suburbane o città satelliti. George H. Mead George H. Mead fu un autore della scuola di Chicago, ma fu più un filosofo e uno psicologo sociale che propriamente un sociologo. 31 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Il suo saggio più influente è Mente, sé e società: una trascrizione delle sue lezioni pubblicata dai suoi allievi nel 1934. Si ha inoltre La filosofia del presente, una raccolta di conferenze pubblicata anch’essa postuma nel 1932. Mead, nonostante questi si collocasse nella corrente del pragmatismo, è considerato il padre dell’interazionismo simbolico, specialmente per quanto riguarda le sue posizioni sulla formazione del sé. Per Mead, il sé si realizza attraverso l’interazione sociale. Il sé è il soggetto umano capace di divenire oggetto e di compiere un’attività autoriflessiva. Riflettendo, l’individuo è contemporaneamente soggetto dell’azione e suo complemento oggetto. L’io è il soggetto da cui ha origine l’azione, il me è il soggetto che diviene oggetto a sé stesso. Io e me sono i due poli del sé. Ma il modo in cui mi descrivo dipende dal linguaggio, cioè dall’insieme di segni, parole e significati che sono socialmente condivisi, e quindi frutto dell’interazione sociale. Affinché emerga il sé, il soggetto deve partecipare alla condivisione del linguaggio. È quindi fondamentale per Mead il processo di socializzazione: il processo per cui gli individui, fin dalla prima infanzia, si confrontano con la descrizione che gli altri hanno di loro, per poi interiorizzarla come descrizione di sé, conservando tuttavia la possibilità di distanziarsene e di criticarla. Per Mead, un individuo diviene tale solo dopo essersi confrontato con le definizioni e le aspettative degli altri. La somma di tali definizioni è detta “altro generalizzato”, ed è il fondamento della formazione della personalità individuale. 8. La sociologia in Italia agli inizi del XX secolo Le origini della sociologia italiana Come nel resto d’Europa, la sociologia in Italia inizia a svilupparsi a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, dall’impulso delle inchieste sociali e della matrice positivista. Nel 1896 venne fondata la prima “Rivista italiana di sociologia”, che continuò le pubblicazioni fino al 1922. Negli anni ’20 la sociologia italiana si arresta, sia a causa dell’esperienza fascista, che frena la ricerca scientifica, sia a causa dell’influenza culturale esercitata da Benedetto Croce, che osteggiava la sociologia in quanto rappresentasse una “pseudoscienza”. Tuttavia, gli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo conoscono la fioritura intellettuale di Pareto, Mosca, Michels e successivamente di Gramsci. Vilfredo Pareto Pareto, discendente da una famiglia della nobiltà italiana, inizia la sua attività intellettuale occupandosi di economia politica. Nel 1912 inizia tuttavia a occuparsi di sociologia. Tra il 1916 e il 1919 pubblica il suo Trattato di sociologia generale. Per Pareto, la sociologia è la scienza dei comportamenti degli uomini: il suo oggetto è comprendere e spiegare logicamente comportamenti apparentemente illogici. Nel Trattato di sociologia generale, Pareto definisce il mondo sociale come un sistema di elementi interdipendenti tra loro. Più rilevanti sono però due concetti qui teorizzati: quello di “residuo” e quello di “derivazioni”. I residui sono quanto di fondamentale vi sia nell’uomo: scomposto il comportamento degli uomini in componenti elementari, rimangono i residui, che non possono essere scomposti ulteriormente. Pareto individua sei tipi di residui: l’istinto della combinazione, la persistenza degli aggregati, il bisogno di manifestare i sentimenti, la socialità, l’integrità della persona e il residuo della 32 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Tuttavia, tali eventi permangono nello strato inconscio della psiche, e si manifestano attraverso dei sintomi, i più gravi dei quali sono i sintomi della nevrosi. La rimozione costituisce una memoria inconscia della nostra psiche. Ciò che viene rimosso è il desiderio, l’energia pulsionale presente in ciascuno di noi, che ci porta ad agire in una determinata maniera al fine di risultare soddisfatta. Le pulsioni possono essere soddisfatte in diversi modi: un esempio è quello della sublimazione, per cui un individuo, frenato dagli statuti morali della società, appaga le proprie pulsioni mediante attività culturali e artistiche. Parallelamente, convive nell’individuo un altro tipo di pulsione prettamente distruttiva, detta pulsione di morte. L’individuo è quindi diviso tra due spinte contrastanti. Il disagio della civiltà deriva per Freud dall’inconciliabilità tra le pulsioni individuali e le aspettative morali della società. L’intuizione freudiana dell’esistenza delle pulsioni distruttive risale al saggio Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, del 1915. Lo sviluppo dell’individuo e della civiltà esercitano una coercizione relativa alla negazione delle pulsioni. Questi impulsi rimangono latenti, e minacciano di riemergere da un momento all’altro. La guerra costituisce il momento privilegiato in cui le pulsioni prima represse rischiano di riaffiorare, in maniera estremamente violenta. Un’altra nozione centrale nella psicanalisi è quella di inconscio: un luogo della psiche dove risiedono le pulsioni, gli eventi rimossi e i meccanismi stessi che originano la rimozione. Freud, descrivendo la psiche, distingue tre sistemi: o Conscio: il regno della nostra coscienza; o Preconscio: il regno di ciò che, pur non essendoci presente in un certo momento, rimane comunque accessibile; o Inconscio: il regno di ciò che la coscienza volontariamente non riesce a raggiungere. Successivamente, Freud propose una tripartizione della psiche in “istanze”: o Es: l’insieme delle pulsioni che mirano solo al proprio soddisfacimento e che sono indifferenti sia alle condizioni esterne sia alla morale. L’Es obbedisce unicamente al principio di piacere; o Io: corrisponde alla coscienza che pensa e riflette. L’io obbedisce al principio di realtà. Presiede l’esperienza, la consapevolezza e l’apprendimento; o Super-Io: rappresenta l’interiorizzazione delle regole morali e dei valori imposti dalla società. I rapporti tra queste istanze sono conflittuali: l’Io si trova infatti costretto a mediare tra le pulsioni e le norme morali, rimanendo sempre ancorato alla realtà circostante. Il contributo maggiore di Freud risiede nell’aver smentito la rappresentazione dell’uomo come essere puramente razionale, e nell’averne svelato le spinte irrazionali che costituiscono la base del suo agire. Il pensiero di Freud sarà ripreso, seppur in maniera molto diversa, da Parsons e dalla Scuola di Francoforte. 35 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Ludwig Wittgenstein e la filosofia del linguaggio Wittgenstein fu una personalità estremamente influente nel panorama della filosofia e delle scienze sociali del XX secolo. La sua prima opera, il Tractatus logico-philosophicus del 1921, è un trattato di logica che mira ad attribuire a ogni espressione linguistica un significato univoco. Tuttavia, poiché il significato delle parole varia dipendentemente dal contesto, tale opera logica è inapplicabile alla vita reale. Il linguaggio è una forma di vita, un’attività che gli individui padroneggiano in quanto membri di una determinata società. Ciascuno utilizza il linguaggio in base a un certo gioco linguistico, costituito cioè da un sistema di regole che possiamo seguire o addirittura sospendere. Anche all’interno della medesima comunità linguistica, si possono adoperare giochi linguistici diversi, correndo il rischio dell’incomprensione tra le parti in causa. Queste premesse hanno essenzialmente due conseguenze nel panorama delle scienze sociali. Poiché il linguaggio è lo strumento attraverso cui gli uomini esprimono e interpretano la loro forma di vita, è impossibile che vi sia una interpretazione neutrale del mondo sociale. In più, ne risulta che la comparazione fra società culturalmente diverse diventa molto più problematica di quanto prima sembrasse: per chi non è immerso in un determinato gioco linguistico, le regole sembrano completamente prive di senso. La conclusione a cui si giunge è permeata da un profondo relativismo: una cultura è incomparabile con ogni altra, e non si deve assumere di poterle comprendere secondo gli stessi parametri. Mannheim e il problema del relativismo Il contributo maggiore di Mannheim alla sociologia è la sua definizione di “sociologia della conoscenza”. Tale formula fu coniata dal filosofo Max Scheler, per intendere un’analisi dei rapporti che intercorrono tra i vari tipi di conoscenza e i fattori sociali che influenza l’esistenza umana. L’opera principale di Mannheim è Ideologia e Utopia del 1929, ma sono importanti anche i saggi raccolti nel volume Sociologia della conoscenza, scritti tra gli anni ’20 e gli anni ’30. Il problema principale a cui si interessa Mannheim è quello del relativismo, che inizia a diventare evidente ai principi del XX secolo, riprendendo la tradizione dello storicismo tedesco. Il primo oggetto dell’analisi di Mannheim è la compresenza, in una medesima società, di visioni politiche inconciliabili. Riprendendo il concetto marxiano di ideologia, vi affianca quello di utopia: la visione del mondo di coloro che, decisi a rovesciare i rapporti esistenti, vi scorgono solamente gli aspetti che vogliono negare. Al pari dell’ideologia, anche l’utopia è una falsificazione del reale. Mannheim fornisce anche una propria definizione di ideologia: ogni individuo, appartenente a un determinato gruppo sociale, assume un punto di vista che esprime gli interessi, la cultura e le capacità di quello stesso gruppo. Ma tale appartenenza non è solamente quella di classe: ci si riferisce anche a una Nazione o a una determinata etnia. Tale appartenenza definisce la situazione esistenziale di ciascuno di noi, da cui il nostro pensiero non può prescindere. Mannheim, a questo punto, parla di relazionismo: lo specifico rapporto che lega ogni prodotto della cultura all’esistenza concreta degli uomini. Con queste affermazioni, Mannheim intende che non vi può essere la verità assoluta, ma solo diverse approssimazioni a essa. Mannheim trova nella figura dell’intellettuale il responsabile di scoprire la verità oggettiva. 36 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 10. La scuola di Francoforte Introduzione La scuola di Francoforte costituisce una delle esperienze collettive più rilevanti nella sociologia del XX secolo. Essa prende il nome dall’istituto per la ricerca sociale, fondato a Francoforte nel 1923. Il contributo maggiore fu esercitato da Max Horkheimer, che ne divenne direttore nel 1931. Gli intellettuali più rilevanti furono Theodore Adorno, Herbert Marcuse, Erich Fromm e Walter Benjamin. Gli autori della scuola avevano una formazione intellettuale ben differenziata. Il tratto in comune, di principio, era il marxismo: essi intendevano sviluppare una ricerca sociale marxista nella Repubblica di Weimar, lacerata da aspri conflitti sociali, per ricercare le trasformazioni del capitalismo e indagarne gli effetti collaterali. Il marxismo della scuola era antidogmatico e non determinista: vennero infatti riprese le radici hegeliane, e vi furono introdotti alcuni elementi di psicanalisi freudiana. Dopo l’avvento del nazionalsocialismo, la scuola venne trasferita a Ginevra, e successivamente a New York. Negli Stati Uniti, i membri della scuola allargarono la propria ricerca alla società di massa e all’industria culturale: elaborarono una critica alla moderna società occidentale, dominata dalla razionalità strumentale, riprendendo l’elaborazione weberiana. Nel 1936, vengono pubblicati gli Studi sull’autorità e la famiglia, la prima grande ricerca collettiva della scuola, cui segue La personalità autoritaria nel 1950, uno studio sul pregiudizio nella società contemporanea. Al termine del secondo conflitto mondiale, l’Istituto riapre a Francoforte, e la notorietà dei suoi membri inizia a crescere progressivamente: la teoria critica diventa un punto di riferimento per coloro che avversano il comunismo sovietico, ma che non accettano neanche il capitalismo contemporaneo. L’uomo a una dimensione, pubblicato da Marcuse nel 1964, ottiene un successo senza precedenti negli Stati Uniti. La teoria critica non è sociologia in senso stretto, poiché riceve impulsi da ambiti molto diversi, quali filosofia e psicanalisi. Né è una mera genesi storica, poiché sono ricorrenti esplicitazioni delle possibilità di emancipazione che vi sono contenute. Negli anni Settanta, dopo la morte o il ritiro dei membri della scuola, la teoria critica viene ripresa da Jurgen Habermas, che ne conserva l’essenza, riferendosi però ad ambiti concettuali molto dissimili dalla teoria originale. Le origini marxiste Come scrive Adorno in Minima Moralia, nella società capitalista, il fine della vita degli uomini diventa produrre: la vita si riduce all’esercizio della propria forza-lavoro e, parallelamente, al consumo di quanto prodotto, che deve nuovamente stimolare la produzione. La vita non è più il fine della produzione, ma una sua appendice. Prendere atto di tale rovesciamento significa comprendere il nucleo della teoria critica. 37 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 ammirando qualcosa di unico, bensì qualcosa di riprodotto e di riproducibile all’infinito. Per questo, concetti come “autenticità” e “originalità” acquisiscono una particolare rilevanza. Un’altra tesi originale di Benjamin è enunciata nel testo Di alcuni motivi di Baudelaire, del 1939. Qui vi formula una teoria della crisi dell’esperienza nella modernità. Riprendendo il concetto di intellettualizzazione elaborato da Simmel, Benjamin afferma come l’immensa quantità di stimoli a cui è sottoposto il cittadino metropolitano rimanga ai limiti della nostra vita psichica: queste informazioni non sono cioè sedimentate nel nostro intelletto e divengono sterili. La qualità del nostro vissuto è quindi resa uniforme dalla generale insensibilità. L’esperienza, che dovrebbe essere espressione della continuità del vissuto individuale, è nella vita moderna discontinua e frammentata. Tale teoria può essere applicata anche alla divisione del lavoro, emblema della parcellizzazione e della sterilizzazione del vissuto moderno. Infine, tale crisi si condensa anche nella predilezione di informazioni slegate rispetto alla narrazione di una storia coerente e coeva, a causa del carattere frenetico della vita moderna. In riferimento a tale concetto, Adorno conierà il termine “semicultura”: una cultura svuotata delle sue funzioni, ridotta a merce da consumare per svago o da esibire come simbolo di prestigio sociale. Colui che fruisce di tale patrimonio è appunto detto “semicolto”. Alcune osservazioni I membri dell’Istituto di Francoforte diffidavano della sociologia accademica, dunque della sociologia positivista iniziata da Comte, ma che essi ritrovavano anche nelle tendenze quantitative dominanti nella sociologia a loro contemporanea. Tale paradigma vorrebbe ridurre la sociologia a una mera duplicazione dell’universo sociale, senza indagare veramente il reale. La scienza sociale della scuola di Francoforte vuole sia indagare i nessi tra i singoli fenomeni e le tendenze storiche e sociali, sia considerare l’oggetto di analisi non per il suo significato attuale, ma per la carica di possibilità che esso possiede. Poiché le elaborazioni teoriche dei francofortesi, spesso saggistiche, partono dall’analisi di un fenomeno isolato, la loro sociologia è tutto fuorché sistematica. Jurgen Habermas Habermas rappresenta uno degli autori più influenti della seconda generazione della scuola di Francoforte. Il suo testo più noto è Storia e critica dell’opinione pubblica, del 1962. La sfera pubblica è uno spazio di discorsi pubblicamente accessibili. Tale sfera non è intesa a livello istituzionale: si tratta invece di uno spazio in cui i privati cittadini si incontrano e dibattono delle questioni che li riguardano collettivamente. La sfera pubblica, almeno idealmente, a seguito di discussioni pacifiche e razionali, è il luogo dove prevalgono le argomentazioni migliori e dove si forma l’opinione pubblica: in quanto tale, è cruciale per il buon funzionamento di una società democratica. Per Habermas, la sfera pubblica sorge grazie alla borghesia nel corso del Settecento; tuttavia, lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa ha svuotato la sfera pubblica delle sue caratteristiche originarie. Nei suoi lavori successivi, Habermas si concentra principalmente sulla linguistica: egli afferma come gli uomini siano alla costante ricerca di una comprensione reciproca, che si realizza 40 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 attraverso il linguaggio, prerequisito inalienabile della riproduzione della vita sociale. Ne consegue che il marxismo, per Habermas, sia una dottrina riduzionista, colpevole di considerare solo le attività produttive, senza analizzare le interazioni linguistiche. In Teoria dell’agire comunicativo, Habermas associa al lavoro e all’interazione linguistica due diverse razionalità: al primo associa la razionalità strumentale; alla seconda associa la razionalità comunicativa. Mentre la razionalità strumentale evolve attraverso l’accumularsi di nozioni tecniche, la razionalità comunicativa evolve attraverso la progressiva edificazione di una comunicazione libera e consapevole tra gli uomini. Il paradosso della modernità risiede dunque nella formazione dell’agire orientato alla comprensione reciproca, recisa tuttavia dall’agire strumentale e dalla manipolazione dei processi comunicativi da parte delle autorità. Norbert Elias Nonostante Elias non fosse membro dell’Istituto di ricerca, il suo pensiero vi presenta alcune affinità, specialmente per la rivalutazione della psicanalisi freudiana. Il suo testo principale è Il processo di civilizzazione, del 1939, dove egli intende ricostruire i processi di lunga data che hanno contribuito alla formazione della moderna configurazione sociale. Nell’analisi della nobiltà europea del XV secolo, Elias osserva come il comportamento dei cortigiani non ricadesse in nessuna delle categorie weberiane dell’agire. Le azioni erano infatti orientate alla “strumentalizzazione” del prestigio, collocandosi a metà tra la razionalità orientata al valore e la razionalità orientata allo scopo. Il fulcro del pensiero di Elias riguarda tuttavia il rapporto tra civilizzazione e violenza. Gli Stati nazionali formatisi nel XV secolo divengono detentori del monopolio della violenza legittima. A seguito delle guerre di religione che lacerarono l’Europa durante il XVI e il XVII secolo, si assiste alla pacificazione della vita sociale. Ma alla pubblica estradizione della violenza, corrisponde l’impegno degli uomini di rinunciare alla violenza privata, costringendoli a controllare i propri impulsi. Il processo di civilizzazione esige dunque l’autocontrollo degli uomini. Il processo di civilizzazione ci consente sì di meglio identificarci con gli altri, ma allo stesso tempo allontana alcuni dei tratti più naturali della nostra esistenza, come la morte, permeata da un diffuso imbarazzo fisico e verbale. Nella società moderna, l’esperienza di invecchiare e morire è relegata ai margini. Ne consegue l’informalizzazione, cioè la difficoltà degli individui di gestire la crisi di senso che si accompagna all’evento traumatico della perdita. 11. La sociologia americana negli anni dello struttural-funzionalismo La sociologia americana dopo Chicago La sociologia americana, che fino agli anni Trenta era stata dominata dalla Scuola di Chicago, è ora imperniata attorno alla figura di Parsons, che continuerà a esercitare un’enorme influenza sino agli anni Sessanta. Tuttavia, il panorama sociologico americano del XX secolo è estremamente ricco e variegato. Sul piano empirico, emblematico è Middletown, scritto nel 1929 dai coniugi Robert e Helen Lynd. Si tratta di uno studio di una cittadina americana di medie dimensioni, che analizza stratificazione sociale, stili di vita e comportamenti sociali. Nel 1937, pubblicano Ritorno a Middletown. 41 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Uno dei maggiori ambiti della ricerca empirica fu lo studio del lavoro e delle organizzazioni. Negli anni Trenta, la Western Electric Company commissionò a Elton Mayo una ricerca sui fattori che influenzavano l’efficienza dei propri lavoratori. I risultati misero in luce l’importanza delle relazioni umane all’interno di un’azienda e, in particolar modo, svelarono come a fianco dell’organizzazione formale, tenda a svilupparsi un’organizzazione informale del personale, che si occupa del reale coordinamento delle mansioni. Inoltre, le tecniche di ricerca quantitative conobbero incredibili sviluppi: William Ogburn coniò l’espressione “positivismo strumentale”, per indicare la sociologia scientifica come scienza capace di essere misurata mediante variabili sociali con procedure statistiche. Uno dei maggiori contributi all’arricchimento delle tecniche quantitative fu fornito da Paul Lazarsfeld. Lazarsfeld fu autore nel 1932 di una ricerca, I disoccupati di Marienthal, che indagava gli effetti psicologici della disoccupazione. Successivamente, si concentrò sulle comunicazioni di massa e sull’opinione pubblica. Il primo autore a parlare di “opinione pubblica” fu Walter Lippmann, con il suo saggio L’opinione pubblica, pubblicato nel 1922. In America ebbe luogo un particolare intreccio tra scienze sociali e istituzioni politiche, economiche e militari. Ne sono emblema il volume The American Soldier, curato da S. A. Stouffer, pubblicato nel 1949 e An American Dilemma, uno studio sul razzismo dei bianchi verso i neri in America, curato da G. Myrdal e pubblicato nel 1944. Slegato dalle istituzioni è il lavoro di Charles Wright Mills, uno degli esponenti della “sociologia critica” americana degli anni Cinquanta. Nel 1951 pubblica Colletti bianchi, uno studio sui nuovi ceti medi in America, e nel 1956 L’élite del potere, uno studio inteso a dimostrare come in America, nonostante l’apparente mobilità sociale, permanga al potere una ristretta élite, che opera nei settori della politica, dell’industria e delle forze armate. Talcott Parsons Parsons, per trent’anni, esercitò una notevolissima influenza sulla sociologia americana ed europea, vista la sua cattedra a Harvard, conseguita nel 1927. Fra le sue opere principali sono annoverate La struttura dell’azione sociale (1937); Il sistema sociale (1951); Famiglia e socializzazione (1955) e Sistemi di società (1966-1971). L’approccio utilizzato da Parsons è detto “struttural-funzionalista”, anche se forse è meglio definirlo “sistemico”. Il termine “struttura” fa riferimento all’insieme di relazioni che collegano i diversi elementi della società, che non possono essere compresi singolarmente. Il problema centrale dell’analisi parsonsiana deriva dal tentativo di conciliare l’elaborazione di Weber e di Durkheim: Parsons intende comprendere cosa sia l’azione degli individui, per poi inserirla in un quadro di relazioni sovraindividuali. Azione sociale e sistema Ne La struttura dell’azione sociale, Parsons definisce l’azione sociale come l’oggetto principale della sociologia. Per ogni azione, vanno infatti individuati un attore sociale, un fine, una situazione e un orientamento normativo. 42 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Per Parsons, i sistemi sociali emersi nel corso della storia costituiscono un continuum. Nel saggio Universali evolutivi della società del 1967, Parsons afferma come l’evoluzione della società corrisponda al susseguirsi di diversi livelli, caratterizzati da un nuovo elemento che garantisce il successo delle società che lo adottano. Tali modelli sono universali poiché comuni a tutte società, e sono evolutivi perché garantiscono un livello di adattamento migliore rispetto al modello precedente. A un primo livello, che corrisponde allo stadio di sviluppo delle società primitive, ritroviamo lo sviluppo del linguaggio, della religione, della parentela e della tecnologia. A un secondo livello, che corrisponde alla rivoluzione neolitica attraverso la nascita della città e dell’agricoltura, ritroviamo lo sviluppo di un sistema di stratificazione sociale, che garantisce un miglioramento delle prestazioni della società, e di un sistema volto alla legittimazione dell’assetto politico, che garantisce la coesione del sistema sociale A un terzo livello, ritroviamo la nascita della burocrazia, del mercato, di norme universalistiche generalizzate e della democrazia. Burocrazia e mercato migliorano l’efficienza organizzativa del sistema sociale; le norme generalizzate liberano l’individuo dalle restrizioni basate su impostazioni ascrittive, mentre la democrazia consente di mediare gli interessi dei membri della società favorendo la diffusione di un consenso generalizzato. Il terzo livello corrisponde alla società moderna. Osservazioni Una delle maggiori critiche mosse a Parsons risiede nel suo eccessivo funzionalismo, che non gli consente di cogliere e di analizzare i conflitti sociali, e con essi il mutamento sociale che ne deriva. Inoltre, viene criticata a Parsons la sua impostazione universalistica della cultura americana, come nel caso della descrizione della famiglia nucleare, per lui presa a paradigma, che attira perdipiù l’astio del femminismo. Un’altra critica a Parsons risiede nella sua descrizione dell’azione individuale e nel tentativo di scomporla nei suoi elementi fondamentali. Parsons sembra riferirsi eccessivamente alla dimensione volontaria, finalistica ed eccessivamente cognitiva dell’agire sociale, ignorando la catena infinita di azioni che sono a monte del singolo fenomeno individuale e dimenticando la lezione weberiana. Tuttavia, l’enorme sforzo intellettuale di Parsons lo rende uno dei sociologi più influenti del XX secolo. Dalle critiche alla sua elaborazione sorgeranno degli orizzonti sociologici estremamente interessanti. Le “teorie della modernizzazione” nordamericane La distinzione parsonsiana tra culture “tradizionali” e “moderne” ha ispirato le “teorie della modernizzazione”, un insieme di studi americani che negli anni Cinquanta e Sessanta si occuparono di descrivere il mutamento nei paesi extra-occidentali. La caratteristica che distingue queste teorie dai lavori precedenti è l’abbandono della concezione ambivalente che si aveva della modernità, innalzandola a paradigma dell’evoluzione sociale, di cui sono emblema specialmente gli Stati Uniti, e a cui tutti gli Stati finiranno per omologarsi. Storicamente, queste teorie si collocano durante l’acquisizione dell’indipendenza e nella decolonizzazione in atto in Africa e in Asia, cui si affianca il tentativo di URSS e di USA di attrarre nuovi Paesi nella propria sfera di influenza. In questo contesto nasce l’espressione “Terzo Mondo”, cui appartengono i Paesi che non fanno 45 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 parte né dell’Occidente economicamente avanzato, né dell’area egemonizzata dall’Unione Sovietica: le teorie della modernizzazione intendono comprendere come far sì che questi Paesi diventino parte dello sviluppo di cui era emblema l’Occidente. Il modello di riferimento si basa su uno sviluppo graduale e non rivoluzionario, caratterizzato dall’industrialismo, dalla democratizzazione della vita politica, dalla razionalizzazione, dalla secolarizzazione e dell’individualismo. Tuttavia, gli ostacoli allo sviluppo economico non sono di ordine materiale, bensì culturale: è l’assenza di uno spirito adeguato, causata dalla permanenza di una mentalità “tradizionalistica” a sfavorire il progresso. Tali teorie hanno però presto mostrato i propri limiti: la modernizzazione repentina è causa di violenti conflitti sociali, come dimostra l’esempio dell’America Latina. Inoltre, la stessa distinzione tra società “tradizionali” e “moderne” è inesatta, poiché non considera le particolari diversità locali. Inoltre, a questo proposito, è lecito menzionare il testo Tradition, pubblicato nel 1981 da Edward Shils, stretto collaboratore di Parsons. Qui Shils distingue “tradizionalismo” e “tradizione”: il primo è un atteggiamento che carica il passato di una valenza positiva, e legittima le azioni in nome del passato stesso; la seconda consiste nella trasmissione di certi elementi culturali da una generazione all’altra. La modernità è sì ostile al tradizionalismo, ma non rinuncia alla tradizione. Inoltre, le teorie della modernizzazione si basano sull’assunto che i Paesi sviluppati e i Paesi in via di sviluppo e dispongano delle medesime possibilità economiche. Tale tesi è smentita dalle teorie della dipendenza, la cui espressione è Capitalismo e sottosviluppo in America Latina, pubblicato nel 1967 da Gunder Frank, e Dipendenza e sottosviluppo un America Latina, pubblicato nel 1969 da Cardoso e Faletto. Tali teorie affermano come il rapporto tra i Paesi sviluppati e i Paesi in via di sviluppo sia necessariamente distorto: i primi esportano manufatti industriali, mentre i secondi esportano materie prime. Tuttavia, i primi godono di maggiore potere contrattuale, e i secondi si limitano a un circoscritto sviluppo tecnologico. La specializzazione produttiva non consente infatti la modernizzazione complessiva. Tale catena di avvenimenti prende il nome di “sviluppo del sotto-sviluppo” e rappresenta una delle critiche più radicali mossa all’impostazione parsonsiana. L’analisi funzionale di Robert K. Merton Merton, anch’egli appartenente al filone funzionalista della sociologia, si discosta dall’impostazione parsonsiana per la sua formulazione delle “teorie a medio raggio”: una serie di concetti tra loro collegati, che non hanno la pretesa di essere universali e che costituiscono quindi ricerche parziali, nonché nessi tra ricerche diverse. Più che un approccio funzionale universale, Merton adotta un’analisi funzionale: la funzione è infatti uno strumento di ricerca, non una teoria onnicomprensiva della società. Innanzitutto, Merton rifiuta il postulato parsonsiano dell’unità funzionale della società, secondo il quale ogni elemento del sistema sociale è funzionale al sistema stesso. Infatti, per Merton, il sistema sociale è conflittuale e ciò che è funzionale per alcuni attori sociali, potrebbe non esserlo per altri. 46 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Inoltre, Merton rifiuta sia l’idea che tutti gli elementi del sistema sociale debbano avere necessariamente una funzione, sia che vi siano delle istituzioni che svolgono delle funzioni indispensabili. Vi sono nella società fenomeni che non ricoprono più alcuna funzione o ne ricoprono molteplici, e le stesse funzioni possono essere espletate nel corso della storia da istituzioni diverse. Merton distingue perdipiù tra le funzioni manifeste e le funzioni latenti di ciascun fenomeno. Nel farlo, si riferisce al concetto di “consumo vistoso”, teorizzato da Veblen nella sua Teoria della classe agiata, del 1899. Veblen osserva come il consumo possa ricoprire molteplici funzioni: quella del sostentamento, ma anche quella di alimentare il proprio prestigio sociale. La funzione di appagare i propri bisogni corrisponde alla funzione manifesta del fenomeno del consumo; la funzione di ostentazione costituisce invece la funzione latente del fenomeno del consumo, che non appare immediatamente allo sguardo, e che non può essere percepita neanche dagli attori sociali coinvolti. Tale analisi evidenzia come gli attori non siano sempre consapevoli degli scopi che stanno perseguendo, dunque delle funzioni assolte dai propri comportamenti. Alcuni dei contributi di Merton I saggi principali di Merton sono contenuti nella Teoria e struttura sociale, pubblicata nel 1949 e soggetta a numerose riedizioni. Di rado le innovazioni di Merton sono originali: spesso, infatti, egli riprende tesi già precedentemente illustrate, ampliandole. Un esempio è il concetto di deprivazione relativa, ripreso dalla ricerca The American Soldier di Stouffer. Tale concetto indicava il sentimento di insoddisfazione di cui facevano esperienza i militari, che ricoprivano in realtà una posizione privilegiata. Tale sentimento aveva dunque a che fare con delle impressioni soggettive, piuttosto che con la realtà oggettiva. Riprendendo questo concetto, Merton dimostra come ogni individuo si rapporti a due gruppi: il gruppo di appartenenza, di cui egli fa parte nella sua vita, e il gruppo di riferimento, a cui egli aspira e a cui si riferisce idealmente. Se il gruppo di riferimento suggerisce bisogni che l’individuo non può soddisfare nel suo gruppo di appartenenza, egli si sentirà inevitabilmente frustrato. Altrettanto degne di nota sono le rielaborazioni di Merton dei concetti di devianza e di anomia. Merton osserva come la devianza possa riferirsi a cose diverse: un individuo può essere deviante rispetto ai propri scopi, oppure rispetto ai mezzi che adopra per raggiungerli. Fatta questa premessa, Merton teorizza l’esistenza di quattro tipi diversi di devianti: o innovatori: coloro che, pur conformandosi agli scopi, sono devianti rispetto ai mezzi per raggiungerli; o ritualisti: coloro che impiegano i mezzi consueti, pur non condividendo gli scopi a cui questi dovrebbero servire; o rinunciatari: coloro che rifiutano sia i valori e gli scopi comuni, sia le norme che riguardano i mezzi per raggiungerli; o ribelli: coloro che mettendo in discussione fini e mezzi dominanti, lottano per affermare i propri fini e i propri mezzi. L’anomia mertoniana si configura come un’incongruenza tra gli scopi dell’esistenza proposti dalla cultura dominante e le possibilità concrete di raggiungerli attraverso mezzi non devianti. 47 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 che ci preserva dal risolvere problemi di cui ci siamo già occupati in precedenza. Pensare secondo il senso comune è “pensare come al solito”. Il senso comune significa dare per scontate le tipizzazioni della vita quotidiana, che riguardano fini, mezzi e situazioni ricorrenti. Tuttavia, a volte il senso comune non basta. Lo straniero è colui che penetra un nuovo mondo sociale, e le tipizzazioni di cui faceva uso non sono più valide. Si trova dunque ad affrontare un momento di crisi, in cui deve abbondonare un senso comune per adottarne un altro. Ma come facciamo ad assicurarci che il senso comune sia vero, dato che vi sono molteplici sensi comuni in società o gruppi diversi? Il senso comune ha una base pragmatica: funziona perché è condiviso dai membri della società in cui l’individuo si trova. Se questo dovesse affrontare una nuova realtà sociale, il senso comune del suo gruppo di appartenenza verrebbe meno. Il senso comune è dunque un sistema condiviso di credenze: è il risultato di un accordo tacito tra i membri di una società, che si basa sulla tradizione e che è costantemente riprodotto dall’attività di ciascuno. Se questo accordo venisse meno, il nostro mondo sociale precipiterebbe nel caos. Se il senso comune è un insieme di credenze, lo è anche la realtà: ciò che noi crediamo reale poiché condiviso intersoggettivamente. Ne consegue che la realtà è una costruzione sociale. Peter Berger e Thomas Luckmann: la realtà come costruzione sociale I più grandi continuatori dell’opera di Schutz sono Berger e Luckmann, che avevano collaborato con Schutz alla New School di New York. Luckmann si è interessato alla comunicazione e all’intersoggettività; Berger si è occupato di modernizzazione e del rapporto tra cultura ed economia. Ma il loro lavoro più celebre è La realtà come costruzione sociale, del 1966. L’argomentazione che vi è contenuta prende avvio da tre premesse teoriche: 1. una lettura del pensiero di Schutz come una sociologia della conoscenza quotidiana; 2. la sociologia della conoscenza quotidiana è la pietra miliare dell’intera sociologia; 3. questo approccio consente di combinare la prospettiva durkheimiana dell’apparente oggettività dei fatti sociali e la prospettiva weberiana della priorità del senso che gli individui attribuiscono soggettivamente all’agire. Dopo queste premesse, l’argomentazione si divide in due momenti: essi intendono dimostrare prima come la realtà sia prodotta dall’interazione sociale come realtà oggettiva, per poi comprendere come questa realtà sia interiorizzata soggettivamente dagli individui. Si tratta dunque dapprima dell’analisi dell’oggettivazione; successivamente, dell’analisi della socializzazione. Il primo passo dell’oggettivazione è la trasformazione dell’azione individuale in abitudini. Durante l’interazione sociale, l’insieme delle tipizzazioni, cioè delle abitudini condivise dagli attori costituisce la routine, che rappresenta il secondo passo dell’oggettivazione. Qualora un terzo attore venga coinvolto nel gruppo sociale già precedentemente consolidato, la routine preesistente apparirà ai suoi occhi come un’istituzione. Questo è il terzo passo dell’oggettivazione. Viene dimostrato così come la costruzione della realtà sociale corrisponda a un processo di oggettivazione: le forme della vita sociale sono la sedimentazione dell’interazione di molti. 50 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Nel momento in cui le forme della vita sociale vengono interpretate come autonome e immutabili, si penetra nella reificazione, l’oblio delle origini dell’oggettivazione. Ciascun individuo, durante l’infanzia, deve imparare a orientarsi in un mondo già istituzionalizzato. La socializzazione primaria corrisponde all’acquisizione delle nozioni fondamentali che ci sono necessarie per orientarci nel mondo: il senso comune di coloro che ci circondano diviene per noi naturale, e andrà a costituire le fondamenta per la nostra interpretazione del reale. La socializzazione secondaria corrisponde all’entrata dell’individuo in mondi sociali specifici e circoscritti, le cui tipizzazioni non metteranno in discussione il senso comune che abbiamo assunto come naturale all’inizio della nostra vita. La realtà sociale è dunque una realtà a sé stante, ma si riproduce solo quando ciascun individuo le attribuisce il senso che le attribuiscono gli altri. Un altro problema affrontato dagli autori riguarda l’origine del mutamento sociale. La realtà sociale è sì una costruzione, ma in quanto tale può sempre essere demolita. Ciò si verifica quando alcuni membri della società sentono la necessità di interpretare il reale in modo diverso rispetto a quanto è stato fatto fino a quel momento. Questo processo prende il nome di movimento sociale. Sono tre i fattori che contribuiscono alla nascita di movimenti sociali: il primo sono le tecnologie, che possono generare nuovi problemi o aspettative, in base alle quali gli individui si mobilitano per elaborare prospettive a loro più convenienti. Il secondo fattore riguarda la molteplicità di socializzazioni secondarie a cui è sottoposto l’individuo nel corso della sua vita. Dovendo fare i conti con tradizioni e culture molto diverse, l’individuo perde di vista ciò che aveva appreso durante la socializzazione primaria, non riuscendo più a darlo per scontato. Il relativismo che deriva dalla consapevolezza che la realtà è un costrutto sociale facilita il mutamento, poiché rende evidente l’arbitrarietà alla base di ogni ordinamento sociale. L’etnometodologia Schutz è anche uno dei principali punti di riferimento nell’etnometodologia, la corrente sociologica che fa capo a Harold Garfinkel. Il termine etnometodologia indica lo studio dei modi con cui i soggetti, collocati in universi culturali diversi, danno senso alla propria esistenza e collaborano al fine di costruire il contesto sociale in cui vivono. Garfinkel intende dimostrare come il “dubbio” permanga sempre nella quotidianità, e come questo sia di volta in volta fugato. Il disagio provocato da comportamenti che non sono consueti al nostro senso comune, è la spia della paura che il dubbio possa riermgere. Il dubbio è fugato dal tacito accordo tra le parti: durante un’interazione, è impossibile fornire al proprio interlocutore una spiegazione esaustiva di quanto intendiamo. La mutua comprensione è garantita dall’adozione di entrambe le parti al medesimo senso comune. Tale accordo è ricorrente in ogni situazione, ma viene stabilito di volta in volta, dipendentemente dal contesto, mediante l’utilizzo di procedure ad hoc – la gestualità, i metamessaggi –. Non esistono norme valide universalmente: del resto, le norme stesse non esistono. È la ricorrenza dei nostri accordi a generare l’apparenza di norme consolidate: anche qualora vi siano delle norme esplicite, la loro applicazione varia a seconda del contesto. 51 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 L’interazionismo simbolico e la teoria dell’etichettamento La figura di George H. Mead ha continuato a esercitare una notevole influenza nella sociologia americana, soprattutto nei successivi sviluppi dell’interazionismo simbolico. L’espressione “interazionismo simbolico” è stata coniata da un sociologo di Chicago, Herbert Blumer, negli anni Trenta, ma si è diffusa specialmente negli anni Sessanta, venendo a indicare un approccio teorico che si concentra sull’interazione e sul suo carattere simbolicamente mediato, comprensibile cioè solo attraverso l’interpretazione che gli attori stessi attribuiscono alla situazione in cui sono coinvolti. L’interazionismo simbolico si concentra principalmente sui processi di formazione dell’identità individuale. L’identità è il prodotto di un processo autoriflessivo, durante il quale l’individuo interiorizza ed elabora la percezione che gli altri hanno di lui. Per questo, l’interazionismo simbolico sposa anche la “teoria dell’etichettamento”, una teoria utilizzata specialmente negli studi sulla devianza nel corso degli anni Sessanta. Secondo questa teoria la devianza, più che un fenomeno oggettivo, è un processo di interpretazione di determinati comportamenti. La devianza è dunque un processo di marginalizzazione di determinati comportamenti, interpretati diversamente di volta in volta, più che un comportamento in sé. Fatte queste premesse, si assume che il processo di costruzione della realtà sia un processo di interpretazione della realtà stessa, e che questo processo abbia degli aspetti conflittuali, inerenti al potere che i diversi soggetti detengono nell’imporre la propria interpretazione. In ogni società, vi sono delle istituzioni che dispongono della capacità di rendere efficaci delle etichette, come la polizia e il sistema giudiziario. Ma vi sono anche istituzioni informali che hanno questa possibilità: di per sé, lo stesso pettegolezzo è una forma di etichettamento. L’etichetta, dopo essere stata applicata, diviene la proiezione di un’aspettativa. Questa trasforma l’identità dell’individuo, poiché crea intorno alla sua figura un sistema di aspettative: egli è e sarà per tutti colui ciò che viene detto che sia. Inoltre, l’etichetta viene interiorizzata dal soggetto a cui è stata applicata, che tenderà a comportarsi secondo le aspettative su di lui proiettate. Per questo motivo, un’etichetta diviene veritiera a posteriori. Erving Goffman L’approccio di Goffman è definito “drammaturgico”. La parola “attore”, che i sociologi utilizzano per descrivere colui che compie l’azione, acquisisce così una duplice valenza: attore è sì chi agisce, ma è anche chi recita. Goffman utilizza la metafora del teatro per descrivere la vita quotidiana. Nel teatro vi sono una ribalta e un retroscena: nella ribalta, l’attore recita una parte e cerca di suscitare nel pubblico determinate impressioni; nel retroscena, l’attore abbandona il personaggio che ha precedentemente messo in scena, per concentrarsi sulla propria sfera privata o per preparare le successive performance. La vita quotidiana è permeata da una cornice cognitiva, che Goffman definisce frame, che ci consente di delimitare la situazione in cui siamo coinvolti e di trarne gli elementi significativi. I messaggi attraverso cui definiamo la cornice cognitiva sono dei metamessaggi: dei segnali impliciti nel nostro comportamento o nella nostra comunicazione non verbale. L’individuo riesce a cogliere i metamessaggi grazie a un accordo implicito condiviso da altri riguardo la definizione della situazione. Esattamente come a teatro, dove l’attore comunica sulla 52 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Il Sessantotto rappresentò, per gli ideali che lo animarono, il tentativo di una “rivoluzione antropologica”. Prima, la sociologia spiegava l’insorgere di movimenti collettivi come espressione di conflitti di classe o particolari condizioni di deprivazione. Dopo il Sessantotto, apparve evidente come le formazioni collettive fossero elemento endemico di qualsiasi gruppo sociale. In Movimento e Istituzione del 1977, Francesco Alberoni propose un paradigma ciclico della vita sociale, secondo cui questa oscilla periodicamente tra fasi caratterizzate da forme di vita istituzionalizzate e fasi di contestazione e di esplorazione. Il punto concettuale diventato tuttavia più importante è la convinzione che i movimenti collettivi siano luogo privilegiato di formazione delle identità. Gli studi delle donne In questo contesto si colloca anche il “neofemminismo”, fenomeno sociale che prende avvio negli anni Settanta, che vuole mettere in discussione la subordinazione femminile e promuovendone l’emancipazione in ogni ambito della vita sociale. Gli studi delle donne hanno rivoluzionato molte branche della sociologia, come la sociologia economica e la sociologia della famiglia. Fra individui e sistemi La sociologia contemporanea si sviluppa intorno a due poli opposti: uno che riprende l’individualismo metodologico; un altro che cerca di sviluppare un approccio sistemico. Le correnti sociologiche che si ispirano all’elaborazione weberiana sono oggi principalmente due: 1. teoria della scelta razionale: la realtà sociale è composta dall’aggregazione di azioni individuali, che spesso hanno conseguenze imprevedibili o inintenzionali, ma che sono frutto di decisioni che i soggetti compiono in vista del conseguimento di certi fini. I soggetti tendono cioè alla massimizzazione dell’utilità, per soddisfare delle preferenze raggiungibile mediante mezzi adeguati e costi sopportabili. Queste idee rimandano principalmente a Scienza e comportamento di B. F. Skinner del 1953 e a Le forme elementari del comportamento sociale di G. Homans del 1961. Secondo Skinner, ogni essere umano è mosso dalla ricerca del proprio utile, e reagisce agli stimoli dell’ambiente circostante in base a ciò che potenzialmente potrebbe trarne. Il comportamento confermato ripetutamente da ricompense positive tende a stabilizzarsi; quelli a cui invece non corrisponde alcun beneficio adeguato viene abbandonato. L’idea che Homans traeva da questa visione è che ogni interazione è uno scambio, in cui ciascuno cerca di massimizzare il proprio utile e minimizzare i suoi costi. Tale teoria riprende alcuni elementi fondamentali dell’economia neoclassica, nel tentativo di conciliare economia e sociologia. Tale teoria presenta tuttavia dei seri limiti: gli assunti sulla natura umana appaiono poco realistici, e la scelta razionale a cui gli autori si rifanno non tiene in considerazione, ad esempio, alcuni elementi extrarazionali che caratterizzano l’agire umano. Inoltre, la scelta dei fini non è razionale, ma dipende necessariamente dal bagaglio culturale, etico, estetico e sociale dell’individuo. 2. Individualismo metodologico di Raymond Boudon: il presupposto della razionalità dell’attore è da ricondurre a delle valide motivazioni che muovono l’azione sociale. Tali motivazioni possono essere la volontà di massimizzare l’utile, di aderire a una norma o di rimanere fedeli a un valore. 55 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 La realtà sociale è dunque originata e riprodotta dall’azione di individui concreti e dalla composizione dei loro effetti. Questi effetti spesso si combinano generando gli effetti emergenti, che producono processi estranei all’azione soggettiva. La combinazione degli effetti delle azioni soggettive fa sì che i risultati finali non corrispondano alle intenzioni di partenza. Spesso la combinazione degli effetti di azioni soggettive dà luogo a effetti perversi, cioè imprevisti o addirittura contrari alle intenzioni iniziali. Per quanto riguarda gli approcci sistemici, il più grande rappresentante di questi decenni è Niklas Luhmann, che radicalizzò la prospettiva parsonsiana. L’elaborazione di Luhmann può essere articolata intorno tre nozioni fondamentali: mondo, ambiente e sistema. Il mondo è l’insieme di tutto ciò che esiste, dei modi in cui può essere percepito e compreso e delle possibilità che offre all’azione. La costruzione di un sistema al suo interno corrisponde alla costruzione di un ambiente, definendo cioè quanto estraneo al sistema e quanto a cui il sistema è in grado di rapportarsi. Ogni sistema, dunque, costituisce il confine tra sé e il proprio ambiente, ma rappresenta anche il tentativo di riduzione della complessità del mondo. Poiché è il sistema stesso a definire il proprio ambiente, esso è necessariamente autoreferenziale. Ma il sistema è anche autopoietico, poiché la sua costruzione è il risultato delle sue capacità basali. Il testo più coerente di Luhmann è Sistemi sociali: fondamenti di una teoria generale, del 1984. La realtà in cui viviamo è costituita da una molteplicità di sistemi, dunque da un insieme di relazioni. Anthony Giddens: una modernità radicale Anthony Giddens fu uno dei più rilevanti sociologi britannici del XX secolo. Dopo i primi studi dedicati alla stratificazione sociale nelle società moderne, Giddens tenta di elaborare una proposta teorica che trova espressione in La costituzione della società del 1984. La costituzione della società è un testo di teoria sociale, che è dissimile dalla sociologia: mentre quest’ultima è lo studio delle formazioni sociali moderne, la teoria sociale si impegna a formulare concetti inerenti alla natura dell’uomo, nel tentativo di esemplificarla. La teoria sociale costituisce quindi la premessa generale per la ricerca empirica delle scienze sociali. Giddens elabora dunque una teoria della strutturazione: le forme della vita sociale sono sia qualcosa che si impone agli individui come un dato, sia qualcosa che gli individui stessi costituiscono mediante l’azione. Il nesso tra le strutture e l’azione sono le pratiche: condotte standardizzate mediante le quali gli individui riproducono gli esistenti assetti istituzionali, con la possibilità di mutarli attraverso nuove interpretazioni. Gli assetti istituzionali sono sia un vincolo all’azione, sia le risorse da cui l’azione prende le mosse. Da qui, si ha quella che Giddens chiama la “dualità della struttura”. Inoltre, si intuisce come il mutamento sociale non sia estraneo alla struttura, ma dipenda dalla volontà degli uomini di riprodurla o modificarla nel corso del tempo. Fra soggetti e struttura incorre dunque un rapporto di reciproca determinazione. Giddens sottolinea come gli uomini siano dotati di una propria conoscenza: l’interpretazione del reale da parte degli attori sociali influenza necessariamente le loro azioni e le conseguenze che queste producono. Tali conseguenze, come precedentemente accennato, sono spesso inintenzionali, a causa dell’imperfettibilità della conoscenza, dell’incompleta trasparenza che gli 56 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 uomini hanno di sé stessi e della combinazione con azioni altrui, il cui disegno complessivo sfugge al singolo attore. Tutto questo quadro delinea il campo di ricerca della sociologia. Nell’approccio di Giddens vi sono alcuni concetti particolarmente rilevanti. Il primo è l’enfasi posta sull’importanza dello studio dello spazio e del tempo per la sociologia. Nelle società pre-moderne, le interazioni sociali erano necessariamente incastonate in contesti spazio-temporali ristretti. La modernità, invece, comporta la possibilità che le interazioni abbiano luogo al di là della compresenza fisica dei soggetti coinvolti. In questo contesto, lo spazio non è più un aspetto della realtà materiale, ma diviene una rete sociale. Inoltre, il tempo si emancipa dal luogo, alimentando la percezione intersoggettiva della nozione di “contemporaneo” di fenomeni collocati nelle parti più disparate del mondo. La modernità ha comportato mutamenti a livello estensionale, attraverso la creazione di forme di interazione sociale divenute globali, e a livello intensionale, attraverso la modificazione dell’agire quotidiano e degli aspetti più intimi della vita dell’uomo. Alla fine del XX secolo, la modernità giunge a una fase di radicalizzazione delle sue premesse. L’iniziale progetti di dominio razionale dell’uomo sulla natura entra in crisi: sia per l’acquisizione della consapevolezza che la fiducia nel progresso è qualcosa di extrarazionale, sia per l’esistenza di conseguenze inintenzionali dell’agire che incrinano l’idea stessa di progresso. Il mondo moderno, infatti, pullula di rischi artificiali che mettono a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana. Come osserva Ulrich Beck in La società del rischio del 1986, la nostra vita è permeata dall’incertezza, generata dai successi della modernità. A tale insicurezza di fondo corrisponde un aumento della riflessività degli individui. L’incertezza invade qualsiasi ambito della vita sociale: la nostra società, infatti, è post-tradizionale, e tende a mettere in discussione qualsiasi aspetto del reale. Pierre Bourdieu: campi, habitus e pratiche In La riproduzione. Elementi per una teoria del sistema scolastico del 1970, Pierre Bourdieu afferma la tendenza delle disuguaglianze sociali a riprodursi. Nella società moderna, i prerequisiti responsabili delle disuguaglianze sociali sono essenzialmente tre: il capitale economico, che corrisponde alla ricchezza di cui in individuo dispone; il capitale culturale, che corrisponde all’educazione familiare, all’istruzione e alle credenziali educative di cui un individuo è in possesso; il capitale sociale, che consiste nelle relazioni di cui un soggetto dispone. La collocazione di un individuo nella stratificazione sociale dipende dalla combinazione di questi tre elementi. Ma quella di capitale è una nozione simbolica, poiché vi sono capitali diversi per ogni campo e sottocampo della vita sociale. Il campo è un’area della vita sociale in cui gli attori condividono determinati interessi e accettano certe regole e certi rapporti di forza. In ogni campo, vi è un particolare tipo di capitale, il cui possesso corrisponde alle posizioni dominanti in quello stesso campo. Lo Stato è il punto d’incontro tra tutti i campi esistenti, al cui interno si lotta per stabilire le regole che vigono in qualsiasi altro campo. Inoltre, essendo la scienza stessa un campo, bisogna fare attenzione affinché le regole degli altri campi non influenzino il lavoro scientifico. Lo scienziato deve dunque condurre un’autoanalisi, riconoscendo cioè i condizionamenti oggettivi del proprio lavoro. 57 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 godono di diritti civili. Ne consegue la formazione di contromovimenti di stampo razzista, neonazionalista e xenofobo. Il pensiero neoconservatore Le prime riflessioni sul neoconservatorismo sono articolate negli Stati Uniti, da autori che lavorano in fondazioni private. Il principale è Leo Strauss. Strauss sostiene che la democrazia non può permettersi alcuna debolezza, e che la vita sociale necessiti una chiara definizione di ciò che è “bene”. Tale definizione è stata elusa dalla società moderna che, ispirandosi all’Illuminismo e all’avalutatività delle scienze sociali, ha consentito un ampio relativismo. Il relativismo morale è per Strauss estremamente pericoloso, poiché può condurre alla messa in discussione dei valori portanti della società occidentale. Inoltre, Strauss sostiene che le masse non abbiano ben chiara la definizione di “bene”: per questo, è lecito per i governanti mentire all’opinione pubblica. Fra globalizzazione e deperimento delle risorse ambientali Tali movimenti ricercano la difesa dall’incertezza causata dalla fine del tradizionalismo. Rappresentano dunque una reazione alla sfida posta dalla modernità. La modernità comporta una eccedenza di orizzonti possibili, che in determinati soggetti può provocare tanto una frustrazione specifica, quanto una vera e propria inquietudine, che tende a trasformarsi in nostalgia per un reale meno libero, ma sicuramente più rassicurante. Questi movimenti sono incardinati negli sviluppi della globalizzazione, che allude a una riconfigurazione delle attività economiche, sociali, culturali e politiche che collegano gli Stati, delineando una comunità mondiale. Gli effetti della globalizzazione si avvertono specialmente in merito al deperimento delle risorse ambientali, oggetto dello studio I limiti dello sviluppo, condotto da Donatella Meadows nel 1972. Tale rapporto, realizzato da alcuni ricercatori del MIT, indica come, conservando le attuali tendenze di crescita demografica e, parallelamente, di crescita economica, l’inquinamento e il deperimento delle risorse impediranno qualsiasi ulteriore sviluppo nell’arco di pochi decenni. Il pensiero postmoderno Dinnanzi a tali mutamenti, sono state proposte nuove espressioni, tra cui “società post- industriale” e “società dell’informazione”. La società attuale è “post-industriale” poiché le risorse fondamentali sono quelle immateriali, come conoscenze e informazioni. Tale assetto è sostenuto da Daniel Bell nel suo La società post-industriale del 1973. Tale tesi, tuttavia, presenta delle ambiguità: anche l’informazione può essere gestita in modo industriale; inoltre, la produzione di beni materiale certamente non scompare, bensì viene dislocata in Paesi differenti. Altri parlano di “società post-moderna”. Il postmodernismo è innanzitutto, a partire dagli anni Sessanta, una corrente dell’architettura che consisteva in una reazione al modernismo razionalista, uno stile improntato a un funzionalismo disinteressato, che rendeva tutti gli edifici simili tra loro. Il postmodernismo, di contro, proponeva stili variegati e ibridi, attraverso un continuo dialogo con le tradizioni locali. 60 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Il postmodernismo invade anche altri ambienti culturali, costituendo un processo di democratizzazione della produzione e della fruizione della cultura. Nelle scienze sociali, la diffusione del termine “postmodernismo” si deve alla pubblicazione di La condizione post-moderna nel 1979, ad opera di Jean-Francois Lyotard. L’autore spiega come, nelle società contemporanee, vengano meno le categorie della modernità: non esiste alcun linguaggio che possa fondare in modo univoco le nostre affermazioni sulla realtà. Non esiste il sapere universale o assoluto. Bisogna dunque fare i conti con una prospettiva plurale e incomponibile, caratterizzata da frammenti che mutano incessantemente e in maniera completamente casuale. Il mondo è dunque oggetto di infinite interpretazioni ugualmente plausibili, dipendentemente dal punto di vista di chi lo sta raccontando. Caratteristiche peculiari del postmodernismo sono sicuramente la frantumazione dei tradizionali confini di classe, la nuova importanza delle reti di comunicazione e i processi di globalizzazione. Tuttavia, il postmodernismo non definisce con parole specifiche la società contemporanea, proprio perché questa è caratterizzata da continui mutamenti che risultano privi di un principio ordinatore. La nascita del postmodernismo è dunque indice della consapevolezza del passaggio da un’epoca a un’altra, radicalmente rinnovata, ancora difficile da interpretare. Modernità multiple e sistema mondo Ciò che maggiormente spinge a parlare di postmodernità è che, la nozione di modernità, è stata coniata in Occidente. Oggi, è impossibile per gli scienziati sociali limitarsi all’interpretazione dei fenomeni del solo Occidente: risulta evidente l’importanza della comparazione e dell’interdipendenza tra i fenomeni osservati in diverse parti del mondo. Due studiosi degni di nota sono Shmuel Eisenstadt e Immanuel Wallerstein, impegnati rispettivamente nella sociologia comparata e nell’analisi delle interdipendenze. Eisenstadt osserva come il capitalismo moderno abbia potuto sorgere e svilupparsi in quanto sono esistiti dei presupposti di senso che ne hanno legittimato l’agire economico. Tuttavia, le società non sono statiche: se è vero che i presupposti sono radicati nella tradizione religiosa giudaico- cristiana, è anche vero che questa civiltà, tra il XVI e il XVIII secolo, ha attraversato un processo di rinnovamento radicale, tale per cui l’attenzione viene traslata sul piano empirico, piuttosto che sul piano trascendente. Il rinnovamento, che nasce con il protestantesimo, si cristallizza con l’Illuminismo. Il programma illuminista risulta tuttavia ambivalente su più questioni: si tenta infatti di conciliare la libertà, l’autonomia e l’autorealizzazione individuale con l’esigenza di coordinamento della società. Tali tensioni sono il fulcro delle contemporanee eterodossie, che portano gli individui a interpretare diversamente la realtà. Eisenstadt osserva inoltre come parte della cultura moderna abbia avuto origine oltre i confini dell’Occidente. Lo sviluppo degli ultimi secoli ha comportato la diffusione della cultura occidentale oltre i propri margini geografici. Ne consegue che la sfida della modernità abbia dato vita alle modernità multiple. Il modello occidentale si diffonde nel globo, dove viene recepito diversamente di volta in volta. La sociologa comparata dimostra come tali divergenze dipendano dal momento storico, dalle relazioni internazionali, dalle diverse caratteristiche economiche e politiche, dalle istituzioni, dalla classe governante e dal retaggio culturale di ogni società. 61 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022 Uno dei maggiori problemi della ricerca comparata contemporanea è l’ampiezza raggiunta dall’interconnessione delle diverse parti del globo. Di questa questione si interessa Wallerstein. La sua opera principale è Il sistema mondiale dell’economia moderna, pubblicato tra il 1974 e il 1989. Il punto di partenza dell’analisi di Wallerstein è la critica delle teorie della modernizzazione di stampo struttural-funzionalista. La prima obiezione a queste teorie è la questione dell’unità di analisi: vista la globalizzazione, nessuno Stato nazionale può essere considerato singolarmente. Fatta questa premessa, diviene cruciale la distinzione tra “centri” e “periferie” del globo. Il “centro” corrisponde a quelle aree in cui si concentrano il controllo e l’amministrazione dell’economia, la ricerca finalizzata all’innovazione e dove soprattutto si producono in regime oligopolistico i beni che generano maggiori profitti. La “periferia” corrisponde a quelle aree relegate in una posizione di subordinazione, e dove si producono i beni che generano profitti minori. Vi sono infine le aree “semiperiferiche”, che concludono scambi svantaggiosi con il centro e scambi vantaggiosi con la periferia. I sistemi sono mutevoli nel tempo, cosicché le posizioni dei vari Paesi possano trasformarsi. Eredità coloniali, migrazioni, ibridazioni Se per anni la sociologia, nelle sue ricerche empiriche, si è concentrata sugli Stati nazionali, per lo studio della società attuale, pervasa dalla globalizzazione, tale assetto appare riduttivo. L’approccio di cui si necessita è dunque essenzialmente multidisciplinare. L’avvento della globalizzazione spinge a riconsiderare l’intera storia del pensiero sociale, sinora incentrato sull’esperienza occidentale. A questo contribuiscono i postcolonial studies, che comprendono un insieme di studi che reputano il retaggio coloniale come tratto fondamentale dell’esperienza sociale contemporanea. Gli studiosi postcoloniali intendono decostruire la storia dell’Occidente, le cui teorie sono sicuramente insufficienti. Attraverso questo approccio, gli attori sociali si moltiplicano. Uno dei maggiori pensatori postcoloniali è Edward Said, con la sua opera Orientalismo del 1978. In quest’opera, Said delinea una decostruzione concettuale dell’Oriente, che si era diffusa in Occidente al fine di legittimare le pratiche imperialiste. Said attinge sia alla nozione gramsciana di egemonia, sia ad alcuni spunti proposti dal filosofo Michel Foucault. Il fulcro del pensiero di Foucault è il termine discorso. Il discorso è un insieme di enunciati, di pratiche linguistiche e di significati attraverso cui gruppi di individui percepiscono e ordinano la realtà. Nel discorso sono incarnati i valori fondanti e le credenze di una società, e tali credenze, mediante il discorso, divengono verità. Said, attraverso queste premesse, dimostra come il discorso coloniale fosse la realtà che pretendeva di descrivere, esprimendo valori e credenze che legittimassero la dominazione coloniale. Gli studiosi postcoloniali, inoltre, mirano a rivalutare quegli autori considerati marginali dalla tradizione accademica dominante. Esemplare è il caso di Franzt Fanon, che nel suo testo Pelle nera, maschere bianche del 1952, dimostra come la presunta superiorità razziale venisse interiorizzata dagli stessi neri come principio di inferiorità. 62 Maria Giovanna Faustini, anno accademico 2021/2022
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved