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Il mondo in questione - Jedlowski (Riassunto), Sintesi del corso di Sociologia

Riassunto ottimo ..rielaborando le parole e i concetti chiave del libro di Jedlowski

Tipologia: Sintesi del corso

2010/2011
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Caricato il 26/01/2011

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Scarica Il mondo in questione - Jedlowski (Riassunto) e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! 1°CAPITOLO Le origini del pensiero sociologico La sociologia è una costruzione mentale del mondo moderno. Secondo l’autore la sociologia coincide con 2 grandi eventi : A- Rivoluzione industriale (metà dell’1700) ed è una rivoluzione economica . B- Rivoluzione francese(fine 1700) ed è una rivoluzione politica. Inoltre per comprendere il concetto di sociologia è indispensabile conoscere il concetto di: A- Scienza. Ovvero tutti quei fenomeni riconducibili ad esperimenti scientifici e al metodo scientifico. Ma non solo,bisogna anche parlare di illuminismo per poter parlare di sociologia , perché è grazie alla ragione che si inizia a parlare di sociologia. Tale nasce in Francia ,inoltre oltre l’illuminismo possiamo citare l’empirismo ,un altro movimento culturale decisivo nelle origini della sociologia. Tra illuminismo e empirismo si ha in comune lo stesso atteggiamento critico su ogni dogma. Il primo ad aver parlato di Sociologia fu Comte nel 1800 anche se il termine odierno non coincide con ciò che intendeva Comte. 2° CAPITOLO Sociologia e positivismo La sociologia nasce nel 1800 sullo sfondo sociale di un mondo che muta a seguito della rivoluzione industriale.Il tono dominante del secolo è il positivismo , un atteggiamento fortemente scientista ,laico e orientato verso il progresso. Comte e Saint-Simon Secondo Saint-Simon ,la società che nasceva a seguito delle rovine del mondo feudale era una società fondata sulla produzione industriale e sul sapere ad essa legato.Comte che era il suo segretario,fù il primo ad utilizzare il termine sociologia. Secondo lui la conoscenza umana si svolge in tre stadi la cui successione è una legge naturale: 1-il primo stadio è quello teologico ,ove l’uomo cerca la spiegazione dei fenomeni attraverso nozioni prima magiche e poi religiose. 2- il secondo stadio è quello metafisico ,ove l’uomo cerca la spiegazione attraverso nozioni e ricerche filosofiche . 3- il terzo stadio è quello positivo ,ove la spiegazione è data dal sapere scientifico . 3°CAPITOLO Karl Marx -Treviri,Germania (1818) -Studia filosofia presso Berlino, esordì come giornalista con degli articoli sulle condizioni dei lavoratori in Renania. -Per le sue attività politiche viene espulso da numerosi paesi e controllato da molteplici polizie di vari stati. -La sua opera principale è IL CAPITALE(pubblicato durante la sua vita). -Nella sua formazione filosifica dipende da Hegel ,da cui riprende i concetti di:  Dialettica ,quale un movimento di pensiero che attraverso la negazione di una precedente affermazione, conduce ad una sintesi che è il superamento di entrambe.  Superamento, cioè portare ad un livello superiore.  Alienazione,Per Marx il lavoro umano è alienato quando il soggetto che produce non ha il possesso del proprio lavoro;se ne deve riappropriare attraverso un azione pratica. Secondo marx la divisione del lavoro sia stata sempre inuguale .Egli chiama struttura della società i modi in cui viene diviso il lavoro e la proprietà. Per Marx la produzione di idee è intrecciata con le condizioni materiali di vita. Concetto fondamentale per Marx è di ideologia quale insieme di proposizioni che rappresentano il mondo in modo parzialmente falsificato .Essa è la forma tipica del pensiero delle classi dominanti che hanno interesse a tenere in vita la forma sociale esistente. Anche i dominanti possono condividere l’ideologia dei dominatori, in questo caso Marx parla di falsa coscienza. La critica dell’economia politica e il concetto di modo di produzione capitalistico Modo di produzione è per Marx un insieme storicamente determinato di Mezzi per la produzione e rapporti di produzione.Secondo Marx il modo dominante di produzione corrisponde alla struttura della società. La rivoluzione industriale ha prodotto un modo di produzione capitalistico, fondato sul capitale. Il capitale è lavoro accumulato che serve come mezzo per una nuova produzione all’interno di una certa situazione di rapporti sociali con le seguenti caratteristiche: 1. Relazioni tra capitalisti e proletari. 2. Rapporti mediati da denaro. 3. Produzione di merci con valore d’uso e di scambio. 4. Ricavo di un profitto da parte del capitalista. Marx spiega che il plusvalore ha origine da un pluslavoro che diventa il profitto di un capitalista che nasce quindi da uno sfruttamento dell’operaio. La nozione di classe Per Marx una classe è un insieme di individui che si trovano nella medesima posizione all’interno dei rapporti di produzione tipici di un modo di produzione dato. Ogni società è caratterizzata dalla presenza di classi. All’interno del modo di produzione capitalistico , M. individua 2 classi: 1- Borghesia ,composta dai capitalisti. 2- Proletariato,composto da operai salariati. La nuova definizione di classe è dunque: un soggetto collettivo capace di intraprendere azioni congruenti con i propri interessi. Georg Simmel come molti sociologi a cavallo tra l’800 e il ‘900, S. si occupò soprattutto di descrivere ciò che i mutamenti recenti avevano prodotto, cioè le caratteristiche distintive della nuova epoca. Secondo S. Modernità = epoca del nuovo è il termine in cui si esprime l’autocoscienza di un’epoca che riconosce di essere dominata dal mutamento e di essere radicalmente diversa da ogni altra formazione sociale del passato. Società e sociologia nel pensiero di Simmel S. si dedicò con passione al progetto di fondare la sociologia come branca autonoma del sapere. Per farlo è necessario stabilire quale sia l’oggetto di tale sapere, che per S. è la società . Quindi l’oggetto della sociologia sono le varie forme di relazioni di influenza reciproca che esistono tra gli uomini. Ogni pensiero da forma al mondo secondo una prospettiva, ma esistono infinite prospettive. Altro caposaldo del pensiero di S. è il concetto di sociazione, ossia il processo attraverso cui una forma di azioni reciproche si consolida nel tempo; quindi la società è intesa come il risultato di una certa “sedimentazione nel tempo” di forme di azione reciproca. Le forme e la vita La nozione di forma ha un ruolo molto complesso: S. si concentra a volte sulla forma delle relazioni e dei processi sociali a prescindere dai contenuti, altre volte la forma è intesa come ciò che rimane costante nonostante la variabilità degli eventi, in tali casi è difficile separare la forma dai contenuti. Per S. le forme vengono scavalcate dalla vita che è sia un flusso incessante, ma anche una produzione di forme in cui questo fluire si fissa. Metropoli, denaro e intellettualizzazione della vita S. descrive la modernità intendendone contemporaneamente anche la crisi: principio della modernità è il mutamento in se stesso. Le forme cui si adegua la personalità nell’epoca della modernità coincidono, per S., con l’esperienza metropolitana. Qui c’è anzitutto una intellettualizzazione delle coscienze: il tipo metropolitane reagisce essenzialmente con l’intelletto (≠ ragione) e meno sensibile Tale atteggiamento è tipico anche dell’economia monetaria che riduce tutto in termini di valore monetario, appiattendo la dimensione della qualità dei beni che vengono quindi valutati in base al corrispettivo in denaro. Lo sviluppo delle metropoli, l’intellettualizzazione della vita e la diffusione del denaro si combinano nel generare un’esperienza peculiare della modernità D’altro canto si sviluppano caratteristiche quali la puntualità, la libertà e individualizzazione del singolo ). La libertà però, non coincide con un sentimento di benessere. S. nota poi come la società moderna disponga di un sapere che sovrasta le capacità e possibilità di elaborazione del singolo individuo, per cui un ulteriore nodo di ambivalenza della modernità, sta nella dissonanza tra cultura oggettivata e cultura soggettiva del singolo individuo. Ancora a proposito di individuo Ancora: tra individuo e società ci sono delle tensioni, in quanto l’appartenenza alla società costringe l’individuo in leggi e regole che non sono da lui stabilite e questo può andare contro il fine dell’individuo che è quello di realizzare se stesso e di realizzare degli obiettivi da lui stabiliti. Tale dissidio si realizza solo nell’epoca moderna, in cui emerge un orientamento etico per cui la libertà personale è assunta a massimo valore, per cui il compito etico di ciascuno consiste nell’esprimere e realizzare la propria unicità. Tale unicità è a fondamento della differenza tra gli uomini che definisce così la nozione di individuo. Individualismo qualitativo o della differenza è quella cultura che esprime tale nozione di individuo. La moda Tale individualismo si riduce spesso ad una parodia di se stesso: il tentativo di costruirsi una personalità tende a volte a svuotarsi di senso, riducendosi a mera collezione di segni esteriori. S. registra l’ambivalenza dei processi che si manifestano; ad esempio nella moda si esprime perfettamente la compenetrazione in un unico fenomeno di 2 spinte contraddittorie: la distinzione e l’imitazione. La moda esprime ad un tempo autonomia ma anche appartenenza; inoltre la moda è inserita in un processo senza fine in quanto, nel momento della sua massima diffusione perde il suo significato originario di differenziazione e quindi viene soppiantata da una nuova moda! Friedrich Nietzsche Critico nei confronti della civiltà occidentale, ha al centro del suo pensiero la nozione di volontà intesa come energia vitale primigenia, tensione all’affermazione della vita in se stessa senza freni di sorta. N. pone la denuncia dell’ipocrisia e l’individuazione del risentimento. Riconoscere che non esista un fondamento trascendente ai valori cui gli uomini si ispirano, corrisponde ad un’immensa assunzione di responsabilità di affermare i valori solo sulla base della volontà e della capacità di crearli. L’uomo che si assumerà questa responsabilità non è ancora nato ed è l’oltreuomo (o superuomo, Übermensch) Ferdinand Tönnies Nella Germania di fine ‘800 in piena espansione economica, T. è una delle voci che criticarono la modernità e il capitalismo. Il suo posto nel pensiero sociologico è legato soprattutto alla distinzione che egli fa tra “Gemeindschaft” (comunità) e “Gesellschaft” (società), distinzione che divenne un’acquisizione per la terminologia sociologica a lui successiva. 1. Società è una forma di associazioni più vasta, con rapporti impersonali mediati dall’adesioni razionale a 2. Comunità è una forma associativa fondata su una sorta di “fusione spontanea delle volontà” Nella distinzione tra comunità e società ,T. sottolinea l’importanza della presenza del denaro come mezzo per gli scambi economici Capitolo 6. Max Weber W. è probabilmente lo studioso che ha più influenzato la sociologia del XX secolo . - Erfurt nel 1864 e morì a Monaco nel 1920. -Figlio di un giurista e deputato ,membro di una famiglia dell’alta borghesia tedesca. Il concetto di “idealtipo” e i fondamenti dell’agire sociale L’oggetto della sociologia è dunque l’agire sociale, ossia un agire “orientato all’atteggiamento di altri”; non tutti i tipi di azione sono dunque “sociali”. L’agire sociale può essere di diversi tipi che W. chiama idealtipi o tipi ideali che sono delle sintesi, delle astrazioni cui è utile ricorrere per ridurre l’infinita varietà di fenomeni sociali ad un insieme fruibile di categorie. Hanno cioè il significato di “puro concetto ideale, a cui la realtà deve essere commisurata e comparata”. In tutta l’opera di W. compare il concetto di “tipo ideale”, in 3 diverse specie: 1. ad un primo livello ci sono le formazioni storiche colte nella loro individualità (capitalismo occidentale) 2. ad un livello leggermente più astratto compaiono tipi di fenomeni che so possono presentare in formazioni storiche diverse (la burocrazia) 3. ad un livello ancora più astratto, si hanno tipi generalissimi che sono un tentativo di rendere interpretabile e confrontabile l’agire in un numero elevatissimo di casi. A quest’ultimo livello corrispondono, per W., 4 tipi diversi di agire sociale: - l’agire razionale rispetto allo scopo, per cui il soggetto ha una chiara visione del suo obiettivo e la sua azione serve a conseguirlo - agire razionale rispetto al valore, per cui il senso dell’agire risiede nel valore in se dell’agire stesso. Tale agire è comprensibile in riferimento ad un valore che è rilevante per il soggetto a pressscindere dalle conseguenze che l’azione può comportare; - agire affettivo, dettato dalle emozioni o dai sentimenti di chi agisce; - agire tradizionale, dettato da un’abitudine acquisita. Secondo W., nel mondo moderno, si assiste ad un crescente predominio dell’agire razionale rispetto allo scopo ed a ciò corrisponde lo sviluppo di un processo di razionalizzazione. Il concetto di capitalismo Per quanto riguarda la sua organizzazione economica, la società occidentale moderna ha come perno il capitalismo. La definizione di W. di capitalismo parte da quella di agire economico di tipo capitalistico, per cui i soggetti agiscono al fine di conseguire un guadagno, in modo formalmente pacifico, sfruttando abilmente le congiunture dello scambio. Altra caratteristica peculiare del capitalismo occidentale moderno è l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero cioè l’uso di lavoratori salariati formalmente liberi per lo svolgimento delle attività d’impresa. Rispetto a Marx, in W. è assente il tema dello sfruttamento, in quanto W. lo considera una critica morale e non è parte della definizione scientifica di capitalismo; W. richiama inoltre l’attenzione su alcuni fattori che sono stati necessari perché il capitalismo occidentale moderno potesse svilupparsi: - la disponibilità di lavoro formalmente libero; - lo sviluppo di mercati aperti; - la separazione tra famiglia e impresa (ossia tra sfera domestica e sfera del lavoro); - lo sviluppo di un diritto formalmente statuito, con norme stabili. Per W., la combinazione di tali fattori si è prodotta solo nell’occidente moderno. Lo spirito del capitalismo e le sue origini nell’etica protestante Ciò che caratterizza soprattutto il capitalismo occidentale moderno è una mentalità specifica che W. chiama “spirito”, cioè un’enfasi sull’importanza del lavoro e sull’importanza di reinvestire nell’impresa i proventi delle attività economiche. Per W. il principale fattore che ha determinato il sorgere del capitalismo è stata la peculiare attitudine razionalistica che caratterizza la civiltà moderna. Nel saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, W. si sforza di definire le origini di questa disposizione che secondo lui vanno cercate nelle forme religiose, in particolare nel protestantesimo. Alcune o sbagliato dominare tecnicamente il mondo. C’è quindi una scissione tra razionalità e valori che, per W., comporta l’individuazione della responsabilità personale come fondamento dell’etica. Capitolo 7. Le origini della sociologia americana Gli autori della prima grande scuola sociologica americana, la Scuola di Chicago, si dedicarono ai problemi dell’immigrazione, dei conflitti interetnici, della disgregazione sociale e della devianza. La scuola di Chicago Fu il primo dipartimento specificamente dedicato agli studi sociologici, gli autori che maggiormente contribuirono al suo sviluppo furono Thomas(il contadino polacco è la sua opera principale 1918-1920) e Park.(interessato al giornalismo il volume + noto è La Città). Con il contadino polacco T. diede inizio a quelli che poi saranno chiamati i metodi qualitativi della ricerca sociologica; T. ritiene che la sociologia non può fare a meno di tener conto del significato che gli attori attribuiscono al proprio comportamento e alle situazioni in cui si trovano. P. fece sì che si formasse una scuola vera e propria. La SdC è caratterizzata da una fortissimaa propensione alla ricerca empirica, per cui la sociologia esce dalle aule dell’università e cammina per le strade. Chicago è il laboratorio di ricerca. Per questo l’approccio della SdC è detto ecologico, sia nel senso che concepisce il comportamento dei gruppi nello spazio urbano sulla base di un modello naturalistico, sia nel senso che presta particolare attenzione ai contesti fisici entro cui si esplicano i comportamenti. La città La nozione chiave per intendere l’essenza della città moderna è quella di mobilità. Nella terminologia della SdC si tratta di una parola dai significati ampi: è sia lo spostamento geografico o sociale, sia la vivacità spirituale che consegue a stimoli numerosi e vari. La città è frutto della mobilità. Ciò produce sì un maggiore sviluppo delle facoltà intellettuali, ma anche una maggiore disorganizzazione. La disorganizzazione è endemica nei processi di mutamento, ma preannuncia una nuova organizzazione. Lo stabilizzarsi della disorganizzazione, è spiegato da Park come un’incapacità dell’ambiente sociale di fornire agli individui risorse per soddisfare efficacemente i propri bisogni. Altro concetto chiave della SdC è quello di distanza sociale cioè il sentimento dei membri di un gruppo di essere distinti ed estranei ai membri di n altro gruppo geografiche in cui la popolazione di una città tende a distribuirsi. Secondo la SdC, ogni città moderna tende a svilupparsi secondo uno schema generale, espandendosi radialmente dal centro dove risiede il quartiere commerciale; intorno al centro c’è un’area di transizione occupata da piccole imprese commerciali e piccole industrie; uscendo ancora si incontra un’area abitata dagli operai dell’industria sfuggiti dall’area di deterioramento, maa che vogliono abitare vicini al luogo di lavoro; oltre vi è la zona residenziale con edifici di lusso e quartieri privilegiati chiusi. Oltre i confini della città vi è la zona dei lavoratori pendolari, costituita da aree suburbane o città satellite. Questo modello risente dell’esperienza americana, ma è valida l’idea che lo spazio di ogni città tenda a suddividersi in aree socialmente e funzionalmente differenti, così come quella secondo cui le diverse zone possono essere occupate successivamente da gruppi diversi. Georg H. Mead M. fu filosofo e psicologo i cui concetti vennero incorporati nell’impostazione teorica dominante della SdC. Il suo volume più celebre è Mente, sé e società. È stato chiamato padre dell’interazionismo simbolico in quanto l’idea dell’interazione è fondamentale nel suo pensiero. L’elemento delle sue ricerche che ha più influenzato la sociologia è quello che riguarda la formazione del sé. Il sé è inteso da M. come qualcosa che emerge e si realizza nel corso dell’interazione sociale. Il sé è il soggetto umano che diventa oggetto della sua stessa attività autoriflessiva (sé in inglese si dice self, particella pronominale che esprime la possibilità di riferirsi a se stessi). Tale attività è spefifica dell’essere umano che è l’unico animale capace di guardare a se stesso. Altra caratteristica peculiare dell’essere umano è anche il linguaggio, quale insieme strutturato di segni ai quali è assegnato per convenzione un significato condiviso da più soggetti. Per riflettere su se stesso, l’uomo tematizza un “me”, ossia si guarda come “dal di fuori”. Riflettendo, cioè, si sdoppia in un soggetto “io” che compie l’azione di riflettere e un complemento oggetto “me” su cui si esercita l’azione di riflettere. “Io” e “me” sono i 2 poli del “sé”. Riflettendo, quindi, è come se mi guardassi dal punto di vista di un altro, mi descrivo e mi nomino e per farlo devo fare uso del linguaggio, attraverso le categorie, i concetti e le parole che ho imparato per descrivere gli altri e con cui gli altri descrivono me. La condizione per cui emerga un sé è, quindi, ce il soggetto condivida un linguaggio con altri, essa è di conseguenza una condizione sociale. Per M., quindi, l’individuo è sociale nella misura in cui ha un sé, la cui forma è resa possibile dal suo condividere la partecipazione ad un linguaggio. La socializzazione è il processo attraverso cui ciascuno di noi si confronta dapprima con il “me” che emerge nei discorsi degli altri e interiorizza tale “me” come una descrizione di sé. Tale descrizione non è mai totalmente adeguata né terminata, per cui l’io conserva la possibilità di distanziarsene. Capitolo 8. La sociologia in Italia agli inizi del secolo In Italia la sociologia comincia a svilupparsi negli ultimi decenni dell’800 dalla duplice matrice delle inchieste sociali e del pensiero positivista. Nel 1896 venne fondata la prima rivista italiana di sociologia, mentre negli anni venti la sociologia subì una battuta d’arresto, tuttavia gli anni a cavallo del secolo sono quelli in cui dalla cultura italiana emergono le opere di alcuni autori che sono unanimemente considerati dei classici del pensiero sociologico. Vilfredo Pareto (1848-1923) P. fu dapprima un economista; La sociologia, per P., è la scienza che deve spiegare ciò che l’economia non riesce ad afferrare, paradossalmente deve dare una spiegazione logica a ciò che logico proprio non è. L’idea più nota di P. è quella dei residui e delle derivazioni. Per P. i residuo sono fondamentali per l’uomo, rappresentano ciò che rimane una volta che si sia scomposto il comportamento dell’uomo nelle sue componenti elementari. P. ne riconosce di diversi tipi, dal bisogno di manifestare i sentimenti, alla socialità, alla sessualità, ecc. Essi rappresentano il fondamento non-logico del comportamento, ossia sotto ogni comportamento umano si cela la spinta più o meno forte di un qualche residuo. Gli uomini tendono tuttavia ad auto ingannarsi per cui producono spiegazioni pseudorazionali ai comportamenti. P. chiama tali giustificazioni derivazioni, ossia un sistema di rappresentazioni mentali che nasconde gli impulsi fondamentali e cerca di legittimare il comportamento in termini che appaiano logici. Le teorie delle élite Èlite in sociologia è un termine utilizzato per indicare un gruppo in grado di esercitare un controllo o un’influenza sulla società nel suo insieme. La teoria sulle élite è sostanzialmente una critica al funzionamento reale della democrazia, la forma concreta che la democrazia ha assunto negli stati moderni è la democrazia rappresentativa, per cui il popolo governa tramite dei rappresentanti che elegge periodicamente. Gli “élitisti” sostengono che, nei fatti, sono sempre le minoranze a governare, infatti “una minoranza organizzata, la quale agisce coordinatamente, trionfa sempre sopra una maggioranza disorganizzata”. Mosca, uno degli autori di questa teoria, sostiene che un certo pluralismo dei poteri è il caposaldo di un sistema politico liberale. Il problema è delineare come si producano le élite. Per gli élitisti, le esse sono costituite da coloro che sono più atti a governare, essi mettono inoltre in evidenza come sia necessario che le società mettano ai posti di comando, non solo individui atti a governare, ma individui i cui interessi siano più consoni a sviluppare il benessere della società intera. La legge di ferro dell’oligarchia di Michels, sostiene che ogni organizzazione complessa (come un partito politico) tende a sviluppare al suo interno un’oligarchia di funzionari i cui interessi non corrispondono a quelli di coloro che essi dovrebbero rappresentare, paradossalmente potrebbero essere molto più simili agli interessi degli oligarchi di un’organizzazioni antagonista. Il fascismo Il termine “massa”, anche se usato con una valenza più positiva rispetto a quello di “folla”, conserva dei connotati altrettanto problematici: rimanda all’idea di un insieme di persone confuso e indifferenziato, dove i singoli appaiono privi di legami comunitari e in fondo anche di capacità di giudizio. In questi termini si parlerà di “società di massa” nel tentativo di rendere conto dell’emergere del fascismo e del nazional- socialismo. Il fascismo in Italia, dopo un breve periodo di convivenza con le istituzioni parlamentari, diede luogo ad un regime che abrogò la democrazia, mise fuori legge i partiti di opposizione, vietò la libertà di stampa e di associazione e concentrò il potere legislativo nelle mani dell’esecutivo, ossia la gerarchia del partito fascista, costituendosi come una dittatura. Le dittature moderne si basano sì sulla violenza, ma anche sul consenso popolare, che viene ricercato soprattutto attraverso l’instaurazione di un rapporto privilegiato tra il leader e le masse. Si tratta di un rapporto emotivo che presuppone la disponibilità degli individui a proiettare sul leader una forte carica emotiva. Tale disponibilità mette in gioco il concetto di massa, in quanto il leader, proponendosi ai suoi sottoposti come referente unico, richiede loro una rinuncia all’individualità e al valore dei propri legami con gli altri, ma questo corrisponde esattamente alla loro riduzione a membri di una massa. Il fascismo presuppo no la massa e contemporaneamente la riproduce. Un’ostilità congiunta ai principi liberali e al socialismo, l’uso sistematico della violenza nei confronti delle opposizioni, l’appello del leader alle masse in nome di una rigenerazione nazionale sono elementi che accomunano varie esperienze europee nel periodo che va dalla prima alla seconda guerra mondiale, in cui partiti di stampo fascista sono stati attivi in vari Paesi d’Europa quali Austria, Ungheria, Spagna e naturalmente Germania. Antonio Gramsci Nonostante G. non fosse un sociologo, la sua opera è internazionalmente considerata come una delle più significative nella storia della sociologia. Oltre alla rielaborazione del marxismo in chiave antidogmatica e antideterministica, a G. si fa risalire la definizione di alcuni concetti oggi particolarmente usati come fordismo, egemonia e società civile. Nelle mani di G. il fordismo diventa una nozione utile a descrivere gli sviluppi del capitalismo riguardanti due aspetti dell’organizzazione del lavoro: la “razionalizzazione” del lavoro nelle “catene di montaggio” e l’aumento del livello dei salari finalizzato ad assicurare un mercato per i beni prodotti. Per G. questo ha delle conseguenze rilevanti: il processo lavorativo è controllato più strettamente e la classe operaia viene a partecipare, almeno in parte, al benessere che lo sviluppo delle forze produttive consente; in questo modo, però, nello stesso momento in cui il controllo delle coscienze si fa più capillare, la disposizione rivoluzionaria della classe operaia viene attenuata. Per le scienze sociali, le conseguenze sono essenzialmente due: - il linguaggio assume un ruolo di primo piano nella società; è il linguaggio il mezzo attraverso cui gli uomini esprimono la loro forma di vita, ma, allo stesso tempo, è anche quello attraverso cui la interpretano. Gli scienziati sociali non possono prescindere da questa interpretazione, descrivere un mondo sociale significa allora descrivere ciò che le persone interpretano come il proprio mondo. Questa rivalutazione del ruolo del linguaggio si combinerà con altre correnti di pensiero dando luogo ad una vera e propria svolta linguistica nelle scienze sociali. - diventa assai problematico confrontare diverse culture in quanto non è scontato che gli stessi concetti che hanno senso all’interno di una cultura siano adeguati a comprenderne un’altra. Gli esiti di questo possono essere due: da un lato un relativismo radicale secondo cui ogni gioco linguistico è incomparabile con un altro, dall’altro può essere visto come un invito a rivendicare la pari dignità di ogni gioco linguistico e di ogni cultura. Il problema è tutt’altro che semplice e ci si chiede se sia possibile definire dei concetti universali, tali cioè da poter essere applicati in ogni contesto nelle scienze sociali. Mannheim (1893-1947) e il problema del relativismo Il posto di M. nella storia della sociologia è soprattutto legato alla sua formulazione di una “sociologia della conoscenza”. Tale termine era già presente con il significato di un’analisi dei rapporti che sussistono tra i vari tipi di conoscenza e i fattori sociali che determinano la situazione esistenziale degli uomini. M. sistematizza tale analisi. Per lui il problema cruciale consiste nel relativismo; il suo primo oggetto di riflessione è la compresenza in una medesima società di visioni politiche concorrenti fra loro. Al concetto marxiano di ideologia (=descrizione del mondo, da parte delle classi dominanti, fatta in modo da occultarne le contraddizioni in modo da legittimare i privilegi acquisiti), M. affianca quello di utopia cioè la visione del mondo tipica di coloro che non riescono a scorgere nella realtà se non gli elementi che vogliono negare e cercano quindi di rovesciare i rapporti esistenti. Come l’ideologia, anche l’utopia è una parziale deformazione della realtà. M. propone poi un allargamento del concetto di ideologia per intendere che ogni individuo, in quanto appartenente ad un determinato gruppo sociale, tende a concepire la realtà secondo un punto di vista che esprime gli interessi, la cultura, la sensibilità e le peculiari capacità di tale gruppo. Il modo in cui ciascuno di noi vede la realtà è dunque connesso alla nostra situazione esistenziale. Da qui M. esprime la proposta teorica del relazionismo, ossia la relazione originaria che lega ogni prodotto della cultura all’esistenza concreta e determinata in cui è posto ciascun soggetto. La verità non viene negata, ma diventa un limite cui si può solo tendere, avvicinandosi tanto più quanto si è in grado di prendere atto delle diverse prospettive esistenti e di controllare le tendenze ideologizzanti che sono presenti in ciascuno di noi. Secondo M. è fondamentale il ruolo degli intellettuali quale gruppo relativamente svincolato dalle appartenenze sociali, con un orientamento e una formazione “avalutativi”. Nel campo della lotta politica, l’idea della verità come limite favorisce il sospetto nei confronti di ogni affermazione dogmatica. Con la sociologia della conoscenza, la sociologia si avvia a diventare una scienza autoriflessiva. Capitolo 10. La scuola di Francoforte Introduzione La scuola di F. nasce nel 1923 grazie ad un finanziamento privato, con l’intento iniziale di promuovere un rinnovamento della ricerca sociale marxista, rendendo conto delle trasformazioni del capitalismo e delle contraddizioni che ci emergevano. Del marxismo i sociologi di F. rivalutarono le origini nel pensiero hegeliano, integrandovi vari elementi della psicoanalisi di Freud; ne derivò una teoria critica della società. La teoria critica diventa uno dei principali riferimenti intellettuali per tutti coloro che non intendono riconoscere al marxismo sovietico la statuto di unico rappresentante di un’alternativa al capitalismo, ma che non si riconoscono nemmeno nelle tendenze dominanti della cultura del tempo. Le origini marxiste Adorno. Nella società che emerge dal capitalismo, il fine dell’esistenza degli uomini diventa il produrre. La vita degli uomini è un’ appendice dalla produzione, invece che il suo fine. Fino agli anni ’30 la scuola si interroga sul perché rimangano latenti le possibilità rivoluzionarie che il capitalismo invece dovrebbe innescare. Questo necessita un rinnovamento della teoria marxista. Data la radicalità dello stravolgimento della condizione dell’uomo operata dal capitalismo, altrettanto radicale dovrà esserne l’abolizione: la rivoluzione prevista da Marx dovrà essere una rivoluzione totale. La critica della SdF intende essere un richiamo costante alle possibilità di emancipazione. L’integrazione della psicoanalisi e le ricerche sulla famiglia e sulla personalità La SdF sente la necessità di integrare la teoria marxista con una teoria capace di rendere conto dei meccanismi psichici per cui è possibile che rimangano latenti le tensioni sociali che la situazione economica spingerebbe al conflitto. La SdF usa il pensiero di Freud per spiegare i processi di socializzazione dell’individuo, per cui la famiglia è cerniera che collega la struttura sociale con la coscienza del singolo. All’epoca del tardo capitalismo, la famiglia tende a favorire la genesi di persone dotate di un carattere autoritario per cui l’uomo reprime i suoi impulsi libidici e scarica aggressivamente sugli altri la propria frustrazione, si affida irrazionalmente all’autorità di leaders che promettono di soddisfarne i bisogni. La SdF mette a punto anche il concetto di capro espiatorio per cui le colpe per i disagi vissuti vengono scaricate sui gruppi minoritari e impotenti; evitando l’analisi razionale delle situazioni, l’uomo evita di mettere in discussione il sistema in cui vive e si affida totalmente ai leaders. Sono questi meccanismi inconsci ma tutt’altro che inerti. La critica della razionalizzazione I membri della SdF ricomprendono il processo di razionalizzazione descritto da Weber come un processo di pervertimento della ragione, una riduzione della ragione ad intelletto. I membri della SdF, se da un lato ammettono all’illuminismo l’aver reso la ragione strumento per opporre principi di libertà, uguaglianza e tolleranza ai privilegi del feudalismo, dall’altro criticano il fatto che l’illuminismo nega cittadinanza a tutto ciò che trascende la possibilità di una spiegazione razionale e si esprime in una logica di dominio sulla natura. Questo aspetto della critica corrisponde ad una certa rivalutazione del pensiero magico e religioso che ammette che non tutto è dominabile con la ragione. Altro aspetto della critica all’illuminismo è il riconoscimento di un nesso inestricabile tra la ragione e la logica del dominio. Cioè la ragione comprende il mondo solo al prezzo di trasformarlo in un oggetto di dominio. Negli anni trenta e seguenti alla SdF sembra che ogni progetto razionale sul mondo sia condannato o quantomeno avere dei costi altissimi. In questa visione rientra anche l’esperienza dell’Olocausto: il mondo sociale moderno tende ad allontanare da sé la barbarie, ma in realtà la amministra solo più efficacemente. Non si nega con ciò ogni valore alla ragione, l’illuminismo va accompagnato da una critica permanente che ne mostri l’unilateralità. Punti di forza di tale approccio sono - il confronto con le possibilità che ogni concetto esprime, piuttosto che con ciò che esiste, - la memoria dei crimini che accompagnano il progresso, ma soprattutto del sogno di riconciliazione con la natura. Per quanto il processo di razionalizzazione si sia insinuato fin dentro le nostre coscienze, rimane il ricordo del desiderio della felicità che resiste alla razionalizzazione e all’adattamento. L’industria culturale L’industria culturale, che nel capitalismo moderno corrisponde all’amministrazione dello svago, è per la SdF una parodia, in quanto alla fine dello svago il lavoratore si ritrova sempre nella medesima routine produttiva. Secondo la SdF l’industria culturale che porta sì la cultura alle masse, nasconde uno svuotamento della nozione stessa di cultura (=la cultura non è più luogo di elaborazione del senso e veicolo ideale di aspirazioni ideali che trascendono l’ordine dato, bensì luogo di intrattenimento e meccanismo di promozione dell’adattamento all’ordine sociale esistente) e un progetto di manipolazione. La comunicazione di massa è del resto analoga alla produzione di massa: i prodotti standardizzati, le merci si somigliano nella misura in cui si equivalgono in termini di denaro. Lo stesso i prodotti della cultura si uniformano allo scopo si sostenere l’adattamento al sistema sociale e di sostenere il mercato invitando al consumo. Così anche la cultura si riduce a merce e perde il suo significato. Crisi dell’esperienza e “semicultura” Per Benjamin la possibilità di riproduzione dell’arte, le toglie l’aura di unicità e paradossalmente proprio nel tempo della riproducibilità i concetti di autenticità e originalità diventano straordinariamente diffusi. Egli parla di crisi dell’esperienza nella modernità. A causa dell’intellettuelizzazione della vita (di stampo Simmeliano), le impressioni penetrano sempre meno in profondità nell’esperienza. Le condizioni della vita moderna ci costringono a padroneggiare le impressioni intellettualmente, ma a non lasciarle entrare nel profondo, per cui non possono più essere elaborate dalla memoria. La sterilizzazione delle impressioni corrisponde all’incapacità di percepirsi come dotati di una continuità interiore: i materiali della nostra esistenza rimangono frammenti, elementi slegati di un vissuto che non riesce a farsi storia. Anche nelle attività produttive, la parcellizzazione del lavoro rende il lavoratore non “più esperto”, ma gli insegna l’abilità a trasformarsi in automa. Ancora, nella cultura in generale, la crisi dell’esperienza corrisponde alla preferenza per le informazioni rispetto alla narrazione di storie: se la vita è un susseguirsi slegato di stimoli, è difficile porsi di fronte ad essa come a qualcosa con una trama da narrare. Siamo per cui “al corrente” di una serie di frammenti incomponibili tra loro. Adorno parlerà di semicultura cioè della cultura degradata a patrimonio di informazioni. La semicultura è una cultura che ha perso le sue funzioni fondamentali di illuminare l’esperienza, sostenere gli uomini nel rendersi conto di ciò che vivono, nel chiedersi e darsi il senso del proprio posto nel mondo. Osservazioni I membri della SdF diffidavano di ogni branca istituzionalizzata del sapere e anche della sociologia stessa. La scienza sociale cui pensano è un tipo di ricerca che da un lato rifiuta di considerare fatti isolati, bensì inseriti in un contesto storico, dall’altro considera ogni suo oggetto per la carica di possibilità di cui è segno. Questa scienza è intrisa di etica, nonostante il continuo riferimento a Weber. La separazione della scienza dall’etica corrisponde ad una scissione tra ragione e valori, sui essi non intendono sottostare, ad una negazione della responsabilità che il pensare comporta. Alcune critiche alla SdF: - atteggiamento elitario e soggettivismo acquisizione (importanza relativa che attribuiamo a ciò che la persona è stata o è capace di realizzare) - affettività (sistemi d’azioni nei quali vi è gratificazione affettiva dei partecipanti) neutralità affettiva (sistemi d’azioni nei quali non vi è gratificazione affettiva dei partecipanti) - gli attori possono essere orientati verso interessi collettivi (es. medico) interessi privati (es. imprenditore) Riconoscere i modi in cui gli individui si dispongono per lo più rispetto a questi atteggiamenti permette secondo P. di descrivere i caratteri fondamentali di un sistema sociale. Ad es. le società moderne privilegerebbero tipi di azioni orientati in senso universalistico e ispirati al principio dell’acquisizione, mentre società tradizionali tenderebbero a presentare di norma tipi di azione particolaristici e sarebbero orientati a prendere in considerazione soprattutto gli elementi ascrittivi di ogni persona. Critiche e osservazioni L’analisi funzionale di Robert K. Merton M. propone la strada delle “teorie a medio raggio”cioè serie di concetti legati tra loro ma che non pretendono di essere universali, limitandosi ad illuminare ricerche parziali e contribuendoa costruire dei ponti tra diverse ricerche. Il concetto di funzione è centrale nell’impianto concettuale di M. che sostiene un’analisi funzionale. M. critica il funzionalismo quale teoria onnicomprensiva; per M. il mondo sociale è conflittuale e non si può decidere cos’è funzionale e cosa no per tutti. Inoltre per M. non necessariamente tutti gli elementi di un sistema sociale hanno una funzione; in ultimo, M. distingue tra funzioni manifeste e funzioni latenti di ogni fenomeno, differenza fondamentale che M. spiega facendo riferimento alla nozione di “consumo vistoso”: acquistare qualcosa per mostrare di essere in grado di consumare beni costosi, non è la stessa cosa di acquistarla semplicemente perché è utile a soddisfare un bisogno… la seconda funzione è manifesta, mentre la prima è latente, non solo non appare immediatamente allo sguardo, ma può non essere percepita neanche dagli attori coinvolti. Gli uomini, ma anche le istituzioni possono non essere consapevoli degli scopi che stanno perseguendo e le funzioni latenti possono arrivare addirittura essere opposte a quelle manifeste. In ogni caso il quadro è molto più complesso di quanto non sia in grado di vedere il funzionalismo semplice. Alcuni dei contributi di Merton M. fa propri alcuni concetti già proposti e li amplia. Uno di questi è il concetto di deprivazione relativa; per M. ogni individuo si rapporta almeno a 2 gruppi: il gruppo di appartenenza di cui fa parte nella vita e il gruppo di riferimento a cui aspira e ai cui valori fa riferimento idealmente. Se il gruppo di riferimento possiede opportunità e suggerisce bisogni che l’individuo non può soddisfare nel gruppo in cui vive, egli si sente frustrato, a prescindere da quanto stia bene o male. Molte delle rivendicazioni presenti nella società contemporanea non sono comprensibili senza tale nozione. Altro concetto approfondito da M. è quello di devianza; egli osserva che si può essere devianti rispetto gli scopi oppure rispetto ai mezzi che si utilizzano per raggiungere tali scopi; si può essere innovatori ossia devianti non rispetto agli scopi ma rispetto ai mezzi, ritualisti ossia devianti rispetto agli scopi, ma non ai mezzi, rinunciatari ossia devianti rispetto sia a scopi che mezzi e ribelli ossia devianti rispetto sia a scopi che mezzi e lottare per instaurare nuovi scopi e mezzi. M. riprende il concetto di anomia. Per M. l’anomia descrive una situazione in cui vi è una disgiunzione tra gli scopi dell’esistenza che la cultura propone e le concrete possibilità di raggiungerli attraverso comportamenti normali. Per una sociologia della scienza M. può essere considerato l’iniziatore di un ramo della sociologia detto sociologia della scienza, il cui oggetto sono le reciproche relazioni tra la scienza e la sottostante struttura sociale. Per M. è stata trascurato l’effetto della società sulla scienza, non il viceversa. La società pone delle domande alla scienza i cui temi di studio sono definiti dagli interessi del mondo circostante, non solo: l’idea basilare della scienza (che la verità è qualcosa di accertabile razionalmente mediante l’osservazione sistematica e l’esperimento) nasce non da lei stessa, ma dalla cultura sottostante. La scienza stessa nasce da un’idea della cultura che ne rende plausibile e legittima l’esistenza. M. si interessa alle tensioni che possono manifestarsi tra la logica propria della comunità scientifica (che si basa su procedure caratteristiche, ma si fonda su n ethos specifico) e il resto della società. Scopo della sociologia della scienza è verificare: il tipo di richieste che i vari gruppi rivolgono agli scienziati, la forma e il peso delle committenze, le influenze politiche, l’organizzazione interna della comunità scientifica,le modalità di reclutamento degli scienziati, la strutturazione delle carriere ecc.. Società e comunicazione
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