Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

IL NIDO CON IL METODO MONTESSORI, Sintesi del corso di Pedagogia

Storia dell'educazione in EuropaStoria della pedagogiaStoria Sociale

SINTESI ACCURATA DEI CAPITOLI 1-2

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 19/12/2021

fede.rica9
fede.rica9 🇮🇹

4.3

(33)

8 documenti

1 / 6

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica IL NIDO CON IL METODO MONTESSORI e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! 1.L’identità del nido d’infanzia: storia e sviluppi Il nido prima del nido Le radici del nido: le prime esperienze francesi La storia del nido si può affrontare da due diverse prospettive storiche: quella di natura puntuale, che prende in considerazione l’esperienza a partire dalla sua nascita legislativa (cioè il 1971 perl’Italia), o quella di natura strutturale, che cerca di studiare tutti i servizi che in qualche modo hanno risposto alle esigenze di educazione, istruzione e cura dei bambini piccolissimi. In Europa a partire dalla prima metà dell’ Ottocento — e poi in maniera più sostenuta nella seconda — sono sorti istituti caritatevoli che ospitavano bambini di prima e seconda infanzia, al fine di curarli e nutrirli e, quando ritenuto possibile, educarli. La Francia è il paese in cui il fenomeno della nascita di servizi dedicati all’accoglienza dei bambini con fini di assistenza e cura si è manifestato con ampiezza, ricaduta sociale e strutturazione teorica maggiori. A partire dal 1837, si è assistito a una vigorosa fioritura di scuole materne, sale d’asilo e crèches. La nascita dei primi asili per l'infanzia, in francese crèches, sia correlata con le difficoltà di cura e allattamento del neonato che avevano le madri lavoratrici. Probabilmente le donne in epoche antecedenti all’industrializzazione riuscivano a conciliare in modo ottimale la cura dei figli e il carico di lavoro. A partire però dalla fase più avanzata dell’industrializzazione la donna doveva abbandonare il domicilio per recarsi sul luogo di lavoro (la fabbrica, il laboratorio, l'officina) e non poteva portare con sé i propri figli (specie i più piccoli si creavano situazioni di vera e propria urgenza sociale con l'aumento di bambini abbandonati, esposti, trascurati, che andavano a ingrossare i numeri della mortalità infantile e delle situazioni di devianza. La preoccupazione di medici e filantropi per la salute neonatale e infantile, accanto a quella per la salute e il benessere della madre e della famiglia in generale, portò a esperimenti di assistenza che da un lato istituivano agenzie pubbliche per la diffusione del baliatico; mentre dall’altro promuovevano la nascita di strutture che permettessero alle stesse madri lavoratrici di allattare i propri figli. Nel novembre del 1844 a Parigi, per opera di Firmin Marbeau, si assiste così all’apertura della prima crèche all’interno della quale venivano accolti e curati lattanti fino al secondo anno di età, in modo tale che le madri li potessero visitare frequentemente per allattarli e avere un contatto costante con loro. Marbeau credeva che grazie all’accoglienza dei lattanti e alla promozione dell’allattamento materno si potessero evitare gli abbandoni, gli infanticidi, la mortalità; inoltre si sarebbero educate le donne e al contempo la società sarebbe progredita per mezzo del connubio scaturito da assistenza infantile, educazione materna, aumentata produttività femminile. Dal punto di vista sociale la crèche si inseriva, dando risposta a un bisogno insoddisfatto fino a quel momento, tra i servizi per la madre durante il puerperio e la salle d’asile che ospitava i bambini dai due-tre anni in poi. Dal punto di vista organizzativo, invece, la crèéche era gestita da una società filantropica che prov- vedeva ad affittare locali salubri che arredava con culle (crèche significa proprio «culla»), tavoli e arredi necessari a preparare le pappe o il latte caldo peri bam- bini, preoccupandosi di affidare i piccoli ospiti a giovani donne (nourrices) che se ne prendevano cura; inoltre un medico li visitava frequentemente. Le madri contribuivano con una modica cifra e potevano lasciare i propri bambini dalla mattina alla sera, andando ad allattarli quando potevano e poi riportandoli a casa alla fine del loro turno. Potevano usufruire della crèche solo nei giorni in cui lavoravano e solo se i figli erano sani e vaccinati. Le crèches e le salles d’asile permisero il passaggio da una società in cui la cura dei figli era prestata quasi esclusivamente in casa e direttamente dalle madri, a una in cui la donna lavorava fuori dal proprio domicilio e iniziava a ricorrere a realtà extra-familiari e istituzionali per la propria prole. Questo avvenne in un ambiente in cui i proletari erano supportati da società filantropiche che si occupavano dei lattanti, adottando una prospettiva medicale e di custodia, in modo che la donna fosse assistita e la mortalità infantile calasse. Chiaramente all’interno di questo contesto non c’è traccia di una prospettiva educativa: le preoccupazioni sono di natura medica, sociale, religiosa, produttiva, economica, sanitaria, morale. Ma c’era una dimensione educativa ritenuta del tutto inadeguata: i bambini avevano a disposizione solo le culle e un giardino in cui uscire, per il resto erano abbandonati a loro stessi, piangevano in continuazione soprattutto per mancanza di stimoli e per l’impossibilità di muoversi, giocare ed esplorare. Si suggerivano alcune modifiche migliorative in senso ambientale e organizzativo per favorire proprio l'affermarsi di una prospettiva educativa, che invece era presente presso le salles d’asile che accoglievano bambini dai due ai sei anni e che si sarebbero trasformate in seguito in scuole materne (écoles maternelles). Nell'arco di quarant'anni, cioè fin verso gli anni Ottanta dell'Ottocento, nell’ormai denominata «scuola materna» si erano introdotte progressivamente attenzioni e progettazioni di natura eminentemente educativa. Ne sono testimonianza i capitoli del libro in cui la Kergomard (1889) descrive la natura della scuola materna, le sue caratteristiche didattiche: disegno, giochi liberi e strutturati, costruzioni, canzoni, scrittura e calcolo, sport, esercizi di memoria, lettura di immagini, racconti, sviluppo della lingua. Questa evoluzione pedagogica dalle sale d’asilo alle scuole materne con un loro chiaro statuto educativo non era avvenuta, allo stesso modo e con le stesse implicazioni, anche per la crèche. Le esperienze in Italia del secolo XIX In Italia la storia del nido inizia dalle esperienze dei cosiddetti «presepi», spazi che venivano allestiti per accogliere i bambini figli delle donne lavoratrici, per lo più operaie cui era consentito di accedere a una sala dove un’altra donna badava ai loro figli, ma loro stesse potevano allattarli o accudirli durante l'orario di lavoro o durante le pause. Il presepe (con il significato di «mangiatoia, greppia») in Italia si diffuse principalmente nel Nord industrializzato a partire dagli anni a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l’inizio del Novecento. L'esperienza dei presepi era mutuata da quella francese in maniera diretta e può essere considerata simile a quella del nido come lo conosciamo noi oggi soltanto grazie al fatto che in entrambe le istituzioni degli adulti accolgono bambini figli di lavoratori durante un periodo di assenza dei genitori. La funzione del presepe era principalmente di supporto alla cura materna: facilitava la relazione fisica e di nutrimento che solo la madre poteva esercitare verso il proprio figlio in quell’età in cui altrimenti il bisogno di cure del bambino avrebbe impedito alla mamma di lavorare. Il servizio veniva istituito generalmente da benefattori e filantropi (o anche da industriali interessati al benessere dei propri operai), e non dallo Stato o dai Comuni. Risulta che nel 1850 nascesse a Milano il primo asilo italiano chiamato «Pio ricovero per bambini lattanti e slattati» Venivano ammessi, anche qui come a Parigi sei anni prima, i figli di operaie che non avevano ancora l’età per essere accolti negli asili di carità per l'infanzia; al contempo si cercava di favorire il lavoro da casa di quante potevano svolgere un mestiere a cottimo, anche organizzando corsi di cucito e di alfabetizzazione. Se si osservano i documenti prodotti dai gestori del ricovero si nota in maniera lampante che l’idea che sostiene le loro attività è la medesima che, almeno in Europa e fin dall’inizio dell’età antica, ha concepito il bambino nei primi anni di vita come un essere a cui si debbono prestare principalmente cure fisiche e assistenza, attenzioni igieniche e pratiche di semplice inculturazione (soprattutto attraverso ninne nanne, filastrocche, canzoni, racconti). AI contrario di quello che potremmo pensare basandoci sull’esperienza attuale, le donne che appartenevano alla classe lavoratrice nell'Ottocento tendevano a cercare impiego quando avevano i bambini piccoli per aumentare gli introiti economici della famiglia, mentre appena i figli crescevano ed erano in grado di lavorare (e ciò avveniva a partire almeno dai sei anni) la donna poteva rimanere a casa per gestire l'economia domestica generata dai salari degli altri membri, prendendo lavori da svolgere a domicilio e realizzando in casa tutto ciò che riusciva a fare evitando di ricorrere a servizi esterni di certo più dispendiosi. Oltre al ricovero, dunque, troviamo il sostegno alle madri lattanti a domicilio non operaie, il soccorso alle famiglie povere che desideravano riprendere in casa i bambini abbandonati al brefotrofio, l’aiuto alle madri che curano figli malati e infine l’aiuto alle pastorienti. Risulta evidente che il ricovero è uno strumento di una strategia più ampia di sostegno alla famiglia bisognosa con prole, che proprio in quel determinato periodo storico soffriva della contingenza socio-economica e abbandonava i propri figli, anche legittimi, presso gli orfanotrofi . La mortalità infantile era altissima, infatti, in condizioni in cui la donna doveva lasciare la casa e non poteva assistere, allattare, tenere pulito il proprio figlio, anche per gran parte della giornata. Così i benefattori del ricovero milanese aiutando le famiglie con sussidi, supporto, risorse, contributi, e in secondo luogo educare, istruire e sostenere le madri lavoratrici tramite un luogo in cui poter riparare e affidare i propri figli mentre si recano al lavoro. Questa idea di educare innanzitutto la madre è pedagogicamente centrale nel clima culturale in cui nasce il presepe: il bambino era concepito di certo come un essere pieno di potenzialità ma non si considerava in nessun modo passibile di educazione, intesa come un intervento specifico dell’adulto per favorire alcuni apprendimenti in aree di sviluppo considerate importanti al fine della maturazione di un carattere e di una personalità normali. Anzi, era considerato normale che il bambino piccolo crescesse nonostante l'assenza di educazione. Come caratteristica positiva e fondamentale dell’infanzia, la capacità di «costruire l’uomo». Questa riconosciuta proprietà è però tributata al bambino in generale e non all’infante, e più propriamente al puer e non all’infans. Flessibile perché le esperienze e le pratiche devono essere diverse da bambino a bambino e nel tempo, e soprattutto perché l'adulto deve essere sempre molto attento ai livelli e agli interessi dei piccoli per rilanciare l’attività e riprogrammare la struttura dell’esperienza stessa, senza fare affidamento su schemi, idee spicciole o banali esercizi. Queste tracce di un modello educativo nuovo ci parlano anche di un educatore che si fa riflessivo, che documenta le proprie pratiche e si apre alla dimensione della loro riprogettazione, che si sofferma sull’idea che le competenze professionali non si possono sclerotizzare, che si occupa di valutare il proprio agire e lo fa costantemente. 2 L'ambiente e la motivazione all’apprendimento Esistono cinque principi che esemplificano la filosofia montessoriana e che hanno forti implicazioni pratiche: a) i bambini sono in grado di concentrarsi quando sono interessati realmente a ciò che fanno; b) amano ripetere esercizi che danno loro soddisfazione; c) preferiscono il lavoro al gioco e i materiali didattici ai giocattoli; d) i premi e le punizioni non sono utili strumenti per motivare l’apprendimento infantile, anzi tendono a danneggiare; e) il bambino ha un profondo senso di dignità personale ed è facile umiliarlo se non gli si prestano attenzioni speciali. Per la Montessori la mente infantile si rivolge all’ambiente e nota elementi che hanno caratteristiche speciali, interessanti, che ne attraggono l’attenzione e che richiedono all’intelligenza di applicarvisi. E, secondo la consueta visione naturalistica dell’apprendimento e della crescita infantile che la contraddistingue, ella crede che per educare efficacemente sia sufficiente organizzare esperienze educative che favoriscano questa tendenza biologica dell’intelligenza: l'adulto è dunque chiamato a produrre una serie di materiali e attività che sollecitino l’interesse del bambino e a metterli a sua disposizione. La motivazione del bambino all’azione dipende tutta da due unici elementi: i materiali e le attività che emergono dallo sfondo con una forza attrattiva nei confronti dell’interesse infantile e che sono dotati però di una natura curricolare (ovvero carichi di potenzialità educative desiderabili), e l’adulto che riesce a mettere il bambino in contatto con i materiali e le attività, presentandogliele, curandole, adeguandole alle sue potenzialità. La ricerca della disciplina attiva Essere liberi in educazione deve dunque significare che il bambino può se- guire le naturali spinte organiche verso l'acquisizione di comportamenti, abilità e competenze specifici, ma al contempo l’adulto deve intervenire sull'ambiente affinché seguire l’impulso naturale non faccia perdere al bambino l’opportunità di apprendere ciò che viene valutato culturalmente valido e che si è elaborato nei secoli con grande fatica ma anche grande utilità (ad esempio la scrittura o la competenza aritmetica). Se l’adulto insistesse solo sulla centralità della libertà perderebbe la possibilità di educare a ciò che di buono esiste sul piano culturale e a cui si deve poter accedere appena possibile, ovvero perderebbe la possibilità di umanizzare e socializzare il bambino. L’aula montessoriana è un luogo in cui alla libertà di scelta dell’attività e del materiale si affianca una figura di adulto che seleziona stimoli culturalmente significativi, che cerca di indirizzare la libera scelta su oggetti significativi dal punto di vista della cultura e delle società umane. La libera scelta I bambini della sezione montessoriana possono scegliere uno qualsiasi dei materiali educativi e svolgere il compito scelto per il tempo che desiderano, possono cambiare attività, scegliere tutto ciò che vogliono, anche aspettare e non fare nulla, e semplicemente osservare gli altri o dar loro suggerimenti. I bambini che possono vivere l’esperienza di un'educazione montessoriana sviluppano indipendenza cognitiva grazie alla libera scelta esercitata accanto all’adulto che non impone e non è autoritario ma prepara un ambiente favorevole e interessante, e a quella vanno affiancando l'apprendimento del rispetto dei diritti dei compagni. Metodo e valutazione Dal punto di vista metodologico non sarà peregrino ricordare che cosa sia un metodo, ovvero un insieme di atteggiamenti, attenzioni, azioni, valutazioni, che permettono di raggiungere un risultato stabilito e misurabile. Ogni processo che richieda la coordinazione di azioni complesse presuppone una certa dose di attenzione e uno scrupolo in merito al controllo: in modo particolare possiamo definire «metodo» ogni serie precisa e controllata di azioni complesse e inter- relate che permettono di raggiungere uno scopo. Evidentemente la definizione dello scopo non è secondaria per scoprire se anche in educazione esistano dei metodi,
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved