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La Spagna Medievale: Unione di Regni e Impero di Carlo V, Schemi e mappe concettuali di Storia Spagnola

Storia politicaStoria EconomicaStoria europea

La confluenza di due dinastie reali nella Spagna medievale, la politica estera e interna durante il regno di Carlo V, la crescita delle tensioni economiche e la successione di Filippo II. Il testo illustra anche la creazione dei Consigli e l'organizzazione del governo, la guerra nel Mediterraneo e nei Paesi Bassi, e la diffusione del potere spagnolo in Europa.

Cosa imparerai

  • Come Carlo V influenzò la Spagna?
  • Che due regni si unirono nella Spagna medievale?
  • Come Filippo II governò l'Impero?
  • Che eventi causarono la rivoluzione dei prezzi in Spagna?
  • Quali furono i principali Consigli di Filippo II?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 25/11/2022

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marta-tognoli 🇮🇹

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Scarica La Spagna Medievale: Unione di Regni e Impero di Carlo V e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Spagnola solo su Docsity! DOMANDE STORIA DELLA SPAGNA IMPERIALE REGNO DI FERDINANDO E ISABELLA: 1. Perché si sposano in segreto? 19 ottobre 1469 Ferdinando, re di Sicilia ed erede al trono di Aragona, ed Isabella, erede del trono di Cas Il tiglia, furono uniti in matrimonio a Valladolid. Dovettero contrarre un prestito per far fronte alle spese del matrimonio ed ottenere una bolla papale di dispensa, essendo lontani parenti; si pensa che quest’ultima sia un falso fatto dal re di Aragona, dall’arcivescovo di Toledo e dallo stesso Ferdinando. In molti premevano perché le nozze non avessero luogo: • Il re di Francia Luigi XI: grande minaccia per il suo paese in un’unione tra le due Case regnanti di Aragona e Castiglia. • I nobili castigliani, temendo un rafforzamento dell’autorità della Corona di Castiglia; sostenevano infatti Juana La Beltraneja, creduta figlia di Enrico IV, contro la sorella del re, Isabella stessa. • Nonostante Enrico IV avesse riconosciuto come erede Isabella nel 1468, non ci si fidava di lui 2. Motivo delle nozze? Si ricercava nel matrimonio non tanto l’unità della Spagna, quanto piuttosto una risposta alle difficoltà politiche riscontrate: insurrezione della Catalogna e ambizioni espansionistiche di Luigi XI, re di Francia. I termini del contratto furono favorevoli ad Isabella, che consolidava la sua posizione rispetto a quella dello sposo: Ferdinando avrebbe dovuto vivere in Castiglia e combattere per la causa della principessa, e avrebbe avuto un ruolo secondario nel governo del paese 3. Parla della lotta per la successione Le nozze fecero scoppiare una lotta per la successione alla Corona di Castiglia che culminò tra il 1475 e il 1479 in un’aperta guerra civile. Luigi XI portò Enrico IV a riconoscere i diritti di Juana la Beltraneja. Ma nel 1474 Enrico IV morì ed Isabella si proclamò regina di Castiglia. Nel 1475 Juana rivendicò il trono, appoggiata da una fazione anti-aragonese che aveva già preso contatti con il re del Portogallo Alfonso V, suo possibile marito; soldati portoghesi attraversarono la frontiera portandosi in Castiglia, ma alla fine fu Isabella ad avere la vittoria. Se avesse vinto la rivale, le fortune della Castiglia sarebbero state congiunte a quelle del Portogallo, spostando gli interessi verso la costa atlantica. Ma, data la vittoria di Isabella, il termine Spagna andò a indicare Castiglia e Aragona. Ferdinando poté contare sull’appoggio di tre grandi famiglie della Castiglia settentrionale, Enriquez, Mendoza e Alvarez de Toledo, grazie a vincoli di parentela; in più furono avvantaggiati dall’oscuramento del prestigio del re del Portogallo quando venne sconfitto nella battaglia di Toro nel 1476 e nel 1479 l’intera Castiglia tornò sotto il controllo di Isabella. 4. Parla delle due Corone Si univano così due delle cinque partizioni della Spagna medievale (Castiglia, Aragona, Portogallo, Navarra e Granada); in realtà non si ebbe l’unione di due popoli, bensì di due famiglie reali, senza mutare le condizioni e le forme di governo dei regni, ma confluendo solo in un’unitaria politica estera. Ognuna delle due parti conservò quindi le proprie istituzioni e i propri costumi. Dopo l’annessione di Granada nel 1492, la Corona di Castiglia comprese territori che equivalevano a circa 2/3 dell’intera penisola iberica. In realtà la Corona di Aragona, per quanto avesse un territorio e una popolazione minori rispetto alla Castiglia, aveva dispiegato una vitalità che il regno vicino non aveva conosciuto. Gli arabi avevano invaso la penisola nel 711 e l’avevano conquistata; il territorio fu poi recuperato in una lotta della durata di sette secoli, che prese il nome di reconquista, cioè la lotta dei regni cristiani per strappare la penisola dalle mani degli infedeli. Questo processo ebbe passo e natura differenti a seconda delle regioni spagnole: la Castiglia sotto Ferdinando III conduceva la guerra per conquistare l’Andalusia, il Portogallo si impegnò al riscatto delle sue provincie meridionali e l’Aragona prese le Baleari. In Castiglia si concessero vaste estensioni del territorio da poco recuperato ai nobili castigliani che avevano combattuto nella crociata, dagli Ordini militari, alla Chiesa e ai nobili costituendo così i latifundios. Questi nobili divennero così potenti da ottenere un’influenza incontrastata in contrapposizione alla debolezza della bourgeoisie. In Aragona, si seppe attuare un controllo molto più rigoroso al processo di colonizzazione e di ripopolamento. Le terre vennero divise in appezzamenti molto più piccoli che diedero vita a tante piccole comunità cristiane. Dal 1270 l’impeto della reconquista andò scemando. Il Portogallo volse le sue mire ad occidente e cioè all’Atlantico, la Castiglia si concentrò nei suoi affari interni e i sovrani della Corona di Aragona volsero la loro attenzione verso il Mediterraneo. La dinastia catalana della Corona di Aragona conquistò ed organizzò oltremare un impero. Il successo dell’attività commerciale aragonese recò prosperità alle città e contribuì a rafforzare i potenti patriziati urbani. Si sviluppa l’idea del contratto: tra sovrano e sudditi doveva esistere una reciproca fiducia e sincerità di rapporti, fondate sul riconoscimento da entrambe le parti contraenti che ognuna aveva i suoi obblighi e che esistevano limiti al loro potere. Questa trovò pratica attuazione nelle istituzioni politiche che furono create durante il Medioevo, le più importanti delle quali furono le Cortes della Catalogna, dell’Aragona. Se convocate insieme dal re si assisteva alle Cortes Generales. 5. Cosa significa il termine reconquista? Gli arabi avevano invaso la penisola nel 711 e l’avevano conquistata; il territorio fu poi recuperato in una lotta della durata di sette secoli, che prese il nome di reconquista, cioè la lotta dei regni cristiani perstrappare la penisola dalle mani degli infedeli. 6. Quali Cortes si hanno e le differenze tra loro? Delle istituzioni politiche che furono create durante il Medioevo, le più importanti delle quali furono le Cortes della Catalogna, dell’Aragona. Se convocate insieme dal re si assisteva alle Cortes Generales. Erano articolate nei tradizionali tre stati (nobili, clero, borghesi o città) e in esse era previsto che ogni stato dovesse pronunciarsi all’unanimità sulle questioni che riguardavano il re e il regno. Avevano poi acquisito anche potere legislativo. Il regno di Aragona possedeva un alto funzionario detto Justicia, che era un nobile con il compito di sorvegliare che le leggi del paese non venissero violate da funzionari regi o baronali e che i sudditi fossero protetti dall’esercizio arbitrario del potere. La carica divenne poi ereditaria. In Aragona un’altra istituzione con funzioni similari era la Generalitat o Diputaciò, nata per organizzare la raccolta dei sussidi concessi al re; Il compito originario era di natura finanziaria: controllava il versamento alla Corona e dei sussidi votati. Gli aragonesi crearono nelle loro regioni istituzioni analoghe, mentre nei territori conquistati, esse vennero impiantate a forza; ne sono esempi la Sardegna e la Sicilia con i loro parlamenti sull’esempio aragonese. L’impero della Corona di Aragona fu una federazione alquanto sconnessa di territori diversi, ognuno con le proprie leggi e le proprie istituzioni ed ognuno che votava indipendentemente i sussidi per il re. L’autorità del monarca era rappresentata dai vicerè, la cui carica si dimostrò una soluzione all’assenza del sovrano. La Castiglia si presentava come un paese che tendeva più a chiudersi in sé che guardare all’esterno e che poneva in cima alle sue sollecitudini più del commercio la guerra. Era una società pastorale e di abitudini nomadi, nel continuo esercizio della guerra. La loro sovvenzione della spedizione. In quel tempo le forze spagnole furono impegnate per gran parte in Italia, mentre il fronte islamico venne trascurato e solo quando scoppiò la rivolta delle Alpujarras (1499) si capì il pericolo che poteva provenire dall’Africa settentrionale Il Cineros, nuovo arcivescovo di Toledo e cancelliere di Castiglia si concentrò nelle faccende interne della Spagna e solo nel 1509 si riprese l’occupazione della costa africana. Ferdinando considerava il territorio un teatro di operazioni meno importante rispetto a quello italiano. L’arcivescovo ruppe con il suo sovrano nel 1509 e prevalse la politica di Ferdinando. La guerra in Africa si rivelò di fatto un problema per il terreno, la scarsità numerica delle forze spagnole, nessun progetto di colonizzazione, ricercando ricompense naturali piuttosto che il premio spirituale ricercato da Cisneros. 11. La conquista del Nuovo Mondo e i suoi antecedenti Diverse regioni della Spagna fornirono i loro peculiari contributi: - A Maiorca si era affermata un’importante scuola di cartografia, di immenso valore quando si trattò di tracciare il profilo di terre fino ad allora sconosciute. - i baschi potevano fornire piloti. - i portoghesi avevano perfezionato la caravella, quel solido vascello con le vele ad angolo retto. - I castigliani avevano esperienza commerciale e marina con lo sviluppo della Mesta e l’espansione dei traffici lanieri con l’Europa del Nord. -Un’attiva comunità commerciale si stabilì a Siviglia, presa da Ferdinando III nel 1248; divenne posto di osservazione per sorvegliare l’Africa settentrionale e le distese dell’Oceano Atlantico. Il Portogallo era in un posizione felice per impegnarsi in imprese che avrebbero fruttato oro, schiavi, zucchero e spezie e, avendo una scarsa produzione di granaria, anche di terre adatte alla coltivazione dei cereali come le Azzorre e Madera. L’ostilità tra Castiglia e Portogallo, inasprita dall’intervento portoghese nella questione della successione, fornì un nuovo incentivo alla Castiglia per conquistare possedimenti oltremare, in particolar modo le isole Canarie; si tentò di dar corpo ai diritti sulleCanarie inviando nel 1478 da Siviglia una spedizione ma solo nel 1482 si ebbe un successo. Nel trattato del 1479 si pose termine alla guerra tra Castiglia e Portogallo con una soluzione favorevole alla Castiglia per la questione delle Canarie, in cambio del riconoscimento dei diritti portoghesi sulla Guinea, sul regno di Fez, su Madera e le Azzorre. Per la Castiglia la vittoria fu di valore inestimabile come punto d’appoggio per chi voleva attraversare l’Oceano alla volta dell’America, usato come base per tutti e quattro i futuri viaggi di Colombo: 1) Si utilizzarono molto i metodi tipici della reconquista, essendo la colonizzazione delle Canarie considerata come episodio della guerra santa. 2) Le occupazioni avvennero con la partecipazione del potere pubblico e di privati. 3) Gran parte della reconquista era stata attuata sotto il controllo della Corona e lo stato ebbeparte anche nelle spedizioni delle Canarie, nelle quali operò anche l’iniziativa privata. 4) Si stipularono contratti privati con una compagnia di mercanti di Siviglia, uno dei primi contratti che sarebbero poi stati adottati per finanziare le spedizioni esplorative nel continente americano. 5) Era stato abituale alla Corona stipulare contratti, le capitulaciòn come consueta forma di accordo tra la Corona spagnola e i conquistadores dell’America, nella quale dovevano sempre essere presenti i motivi religiosi della conquista, per volontà dei re cattolici. In questo modo si riservavano certi diritti della Corona nei territori conquistati e si garantivano al capo della spedizione le mercedes. L’adelantado era un titolo ereditario concesso dal re che conferiva al detentore il diritto a governare una provincia. 6) I governatori delle isole furono tenuti strettamente sotto il controllo regio: tutte le nuove città dovevano fondare le loro libertà e i loro privilegi su una carta o concessione regia. In questo modo l’organizzazione municipale della Castiglia medievale venne trapiantata tale e quale nelle colonie d’oltremare. La spedizione di Colombo poneva difficoltà finanziarie. Nel 1486 la Corona era in strettezze e impegnata nella guerra di Granada; solo nel 1491, grazie anche ad amici altolocati del genovese all’interno della corte spagnola, si cambiò opinione; Colombo chiese per sé e i suoi discendenti in perpetuo la carica di governatore di tutti i territori scoperti, ma i sovrani non acconsentirono nemmeno a far finanziare la spedizione da grandi famiglie nobiliari. 12. La fase finale della conquista del Nuovo Mondo Quando nel 1506 Colombo morì i suoi tentativi di colonizzare la Hispaniola (Haiti) e per mettere in piedi un monopolio commerciale erano già falliti. Tra il 1499 e il 1508 le spedizioni partite dalla Spagna e inviate ad esplorare l’America del Sud fecero intendere la vastità del continente scoperto. Gli anni dal 1519 al 1540 costituirono la fase finale della conquista, anni in cui la Spagna mise in piedi il suo grande impero americano sulle rovine di due imperi indigeni: quello degli aztechi e quello degli incas. Protagonista della conquista dell’impero azteco fu Hernan Cortés, mentre la distruzione dell’impero degli Incas fu opera di Pizarro. I primi spagnoli arrivati nel Nuovo Mondo furono giovani con alle spalle esperienza di vita militare, provenienti dalla piccola nobiltà o da ceti inferiori, o gli hidalgos, provenienti da famiglie nobili cadute in povertà. Nel 1473 si era dato voga ai romanzi cavallereschi: era una società portata a prestar fede a quanto vi si raccontava, con gli obbiettivi di servire Dio e il re e per diventare ricchi. La religione dei conquistadores ispirò loro una fiducia incrollabile nella bontà della loro causa e nella certezza che quella causa avrebbe trionfato. 13. Come termina la guerra tra Castiglia e il Portogallo? L’ostilità tra Castiglia e Portogallo, inasprita dall’intervento portoghese nella questione della successione, fornì un nuovo incentivo alla Castiglia per conquistare possedimenti oltremare, in particolar modo le isole Canarie; si tentò di dar corpo ai diritti sulleCanarie inviando nel 1478 da Siviglia una spedizione ma solo nel 1482 si ebbe un successo. Nel trattato del 1479 si pose termine alla guerra tra Castiglia e Portogallo con una soluzione favorevole alla Castiglia per la questione delle Canarie, in cambio del riconoscimento dei diritti portoghesi sulla Guinea, sul regno di Fez, su Madera e le Azzorre. Per la Castiglia la vittoria fu di valore inestimabile come punto d’appoggio per chi voleva attraversare l’Oceano alla volta dell’America, usato come base per tutti e quattro i futuri viaggi di Colombo: 1) Si utilizzarono molto i metodi tipici della reconquista, essendo la colonizzazione delle Canarie considerata come episodio della guerra santa. 2) Le occupazioni avvennero con la partecipazione del potere pubblico e di privati. 3) Gran parte della reconquista era stata attuata sotto il controllo della Corona e lo stato ebbeparte anche nelle spedizioni delle Canarie, nelle quali operò anche l’iniziativa privata. 4) Si stipularono contratti privati con una compagnia di mercanti di Siviglia, uno dei primi contratti che sarebbero poi stati adottati per finanziare le spedizioni esplorative nel continente americano. 5) Era stato abituale alla Corona stipulare contratti, le capitulaciòn come consueta forma di accordo tra la Corona spagnola e i conquistadores dell’America, nella quale dovevano sempre essere presenti i motivi religiosi della conquista, per volontà dei re cattolici. In questo modo si riservavano certi diritti della Corona nei territori conquistati e si garantivano al capo della spedizione le mercedes. L’adelantado era un titolo ereditario concesso dal re che conferiva al detentore il diritto a governare una provincia. 6) I governatori delle isole furono tenuti strettamente sotto il controllo regio: tutte le nuove città dovevano fondare le loro libertà e i loro privilegi su una carta o concessione regia. In questo modo l’organizzazione municipale della Castiglia medievale venne trapiantata tale e quale nelle colonie d’oltremare. 14. Quali sono le due tappe della conquista dell’America? La distruzione degli imperi azteco e incas non furono altro che la prima tappa della conquista dell’America. La seconda fu rappresentata da presa di possesso, colonizzazione, costruzione di città. I conquistati del Nuovo Mondo caddero così vittime dei burocrati del Mondo Vecchio. Si trapiantarono istituzioni e costumi della Castiglia nella diversa situazione del nuovo continente. Il primo dovere del capo delle spedizioni era quello di ricompensare chi l’aveva seguito con la distribuzione del bottino, riservandone una parte alla Corona. 15. Quale fu la politica estera di Ferdinando? Isabella morì nel 1504. Ferdinando si lasciò in questo guidare in primo luogo dagli interessi aragonesi e andò ad inasprire la rivalità tra la Corona di Aragona e la Francia: tra il 1475 e il 1477 furono mandati degli agenti in Germania, in Italia, in Inghilterra e nei Paesi Bassi ed essi offrirono a quelli che erano i nemici della Francia l’alleanza castigliana. La caduta di Granada del 1492 consentì a Ferdinando di indirizzare tutte le sue energie al di fuori della Spagna: verso la frontiera franco- catalana e l’Italia. Quelle contee erano considerate parte integrante dei domini dei re spagnoli; il loro recupero era il primo obbiettivo. Il re di Francia Carlo VIII aveva progettato di scendere in Italia: per garantirsi il disinteresse della Spagna alla sua spedizione e non avere così pericoli acconsentì con il Trattato di Barcellona del gennaio 1493 a restituire a Ferdinando il Rossiglione e la Cerdagna. La Sicilia era possedimento aragonese, mentre il regno di Napoli apparteneva ad un ramo della casa d’Aragona. Occorreva una coalizione europea per bloccare l’avanzata e nel 1495 si costituì così la Lega Santa che univa Inghilterra, Spagna, l’Impero e il Papa. Carlo VIII entrò a Napoli nel 1495: un esercito spagnolo portò nel 1503 ad un trionfale successo nella battaglia di Cerignola. Nel contempo le formazioni furono riorganizzate, e l’esercito fu ripartito in tante unità di tipo nuovo detto tercios, usando meno uomini ma maggiore potenza di fuoco, perfetto per la difesa. Non solo i francesi furono sconfitti, ma si riuscì a cacciare anche la dinastia napoletana dal trono. Nel 1504 si riconobbe agli spagnoli il possedimento su Napoli e così si congiunse a Sicilia e Sardegna come possedimento aragonese. Per rafforzare l’alleanza con l’Inghilterra, furono combinate le nozze tra Caterina d’Aragona e Arturo, principe di Galles; Giovanni, unico figlio maschio, sposò Margherita, figlia dell’imperatore Massimiliano, mentre Giovanna sposò l’arciduca Filippo, figlio di Massimiliano. Giovanni venne a morte sei mesi dopo e Margherita partorì un figlio nato morto, cosicché ogni speranza di un successore maschio svanì. La figlia maggiore, Isabella, regina del Portogallo morì nel 1498 e quella del figlio Miguel nel 1500 fecero tramontare anche questa speranza. Ormai il diritto passava Giovanna e al suo primogenito Carlo, che doveva ereditare sia la Spagna sia i domini ereditari degli Asburgo. 16. Parla della successione asburgica Il “vecchio catalano” era stato posto dal testamento della moglie in una posizione infelice. Privato del rango e del titolo di re di Castiglia, gli veniva consentito di governare il paese in assenza della nuova “regina proprietaria”; poteva reggere la Castiglia fino a che Carlo, figlio di Giovanna, non avesse raggiunto i vent’anni come di semplice amministratore. Nel 1505 Ferdinando persuase le Cortes a ratificare il proprio diritto alla reggenza e cercò l’appoggio francese con il Trattato di Blois con Luigi XII nel 1505; in forza di tale trattato Ferdinando avrebbe dovuto sposare la nipote di Luigi e se questa avesse partorito un erede maschio, l’intero problema della successione si sarebbe riaperto; il figlio visse solo poche ore. L’arciduca Filippo decise allora di recarsi in Spagna nel 1505 combinando un compromesso con Ferdinando: prevedeva un governo tripartito tra Ferdinando, Giovanna e lui stesso. I due sovrani firmarono a Villafàfila un accordo col quale si stabiliva che Ferdinando cedesse il governo di Castiglia al suo “figlio”; inoltre l’infermità mentale di Giovanna l’ordinamento gerarchico della società. La nobiltà castigliana epose ogni simpatia per i comuneros e così tra il 1520 e il 1521 la rivolta di questi si mutò in lotta sociale contro la nobiltà. Si alienò così l’aiuto dell’aristocrazia e i rivoltosi moderati. A favore dei comuneros si schierò Antonio de Acuña, vescovo di Zamora e si mise in testa l’idea di marciare su Toledo: nel 1521 il suo esercito si scontrò con quello regio nei pressi di Toro, andando incontro alla disfatta. La rivolta dei comuneros era terminata. Carlo nel 1522, trovò una Spagna pacificata. In ottobre concesse un’amnistia generale ai comuneros. 4. Come influenza l’invasione erasmiana la Spagna nel 500? La rivolta degli anni 1520-21 pur essendo stata una sollevazione lasciò cicatrici tra le contese e le vendette delle famigle dell’aristocrazia, tra famiglie pro-comuneros e anti-comuneros. I comuneros avevano lottato per salvare la Castiglia da un regime che sembrava minare quel senso di identità nazionale a cui con tanta fatica erano approdati una generazione prima. La loro sconfitta significò che su trono castigliano avrebbe seduto stabilmente una dinastia forestiera succube di un nuovo complesso di idee, presupposti e valori tipicamente europei. Nonostante i sentimenti marcatamente anti-fiamminghi e anti-imperiali che predominavano, alcuni ambienti della società castigliana si dimostrarono pronti ad accogliere e gradire le idee nuove e gli apporti forestieri. La corte e le università, nelle quali l’umanesimo spagnolo si sviluppò dietro lo stimolo di idee italiane e delle Fiandre. L’invasione erasmiana della Spagna costituisce uno dei fatti più impressionanti della storia spagnola del 500. In nessun altro paese dell’Europa gli scritti di Erasmo godettero di una simile popolarità; pare che tanta fama debba attribuirsi ai tanti conversos: i “nuovi cristiani” si sentirono attirati da una pietà che non teneva gran conto dei riti formali e che dava maggior spicco alle tendenze moraleggianti e mistiche della tradizione cristiana. La corte imperiale nel secondo decennio del 500 era erasmiana come supporto all’ideale imperiale; si andò così a formare una simpatia tra alcuni dei maggiori intellettuali spagnoli e il “regime” di Carlo V, scorgendo nel suo governo un’opportunità per realizzare una pace universale e una riforma spirituale del cristianesimo 5. Da cosa dipese la conciliazione della Castiglia con il governo di Carlo V? La Castiglia si conciliò con il governo di Carlo V per altri motivi: l’imperatore assunse degli spagnoli al proprio diretto servizio sempre in maggior numero e proprio la Castiglia divenne poi il luogo da lui prescelto per trascorrervi i suoi ultimi anni di vita. 6. Quale fu il duplice compito che assunse Carlo V nel suo governo? Il duplice compito che aveva assunto Carlo come imperatore era quello di difendere la cristianità contro i turchi e preservare l’unità cristiana di fronte alla nuova eresia luterana. 7. Quali sono i principi ideali e qual è il funzionamento dell’impero sotto Carlo V? L’impero di Carlo V resse la Spagna, dal 1517 fino all’abdicazione a favore del figlio Filippo nel 1556; ma in Spagna Carlo fu presente per un periodo inferiore ai sedici anni. Egli morì nel 1558. L’imperatore soleva infatti dare la precedenza a considerazioni del prestigio e dell’autorità imperiali. Il problema immediato fu quello di stabilire a chi dovesse essere affidata la reggenza della Spagna durante le sue frequenti assenze; il suo consigliere principale fu il gran cancelliere imperiale Mercurino Gattinara. Nel 1526 Carlo sposò sua cugina Isabella, figlia del re del Portogallo, per creare una più stretta intesa tra la Castiglia e il Portogallo. L’anno seguente ebbero un figlio e fu proprio Isabella a fungere da reggente in caso di assenza del marito. Tuttavia, il governo effettivo della Spagna lo tenne Francisco de los Cobos. Munito delle raccomandazioni del cardinal Cisneros riuscì a conquistarsi il favore del Chiévres che lo pose accanto a Carlo come suo segretario. Riuscì a imporsi come l’unica persona che avrebbe potuto rivaleggiare con il gran cancelliere Gattinara e si combatté per questo tra i due personaggi una lotta. Il Cobos aveva già vinto quando il Gattinara si ritirò nel 1530 fino alla sua morte nel 1547. La concezione con cui Carlo V considerava i tanti e sparsi suoi possedimenti era quella patrimoniale. Era incline a guardare ad ognuno di quei domini come ad un’entità a sé stante, retta dalle sue leggi tradizionali. I vincoli che tenevano insieme i vari territori imperiali erano analoghi a quelli dei territori della Corona di Aragona, ognuno con le proprie leggi e le proprie libertà. Questo portò a conseguenze importanti: a) gli ordinamenti costituzionali tipici di ognuno dei vari territori o dominii ebbero una sorta di congelamento. b) ne risultò impedita la formazione di più stretti vincoli tra i diversi dominii sia sul piano economico sia sul piano politico. Intanto l’Europa di Carlo V dovette fare i conti con lo stato ottomano che possedeva risorse di denaro e di uomini da consentirgli un’aggressiva politica di tipo imperialistico. La Spagna si trovava in prima linea e fu proprio in funzione anti-turca che il programma imperiale di Carlo V trovò una sua ragion d’essere: all’attacco di un impero doveva rispondere la forza di un altro impero. Egli era in grado di attingere alle risorse finanziarie e militari dei suoi sparsi domini, alla potenza navale dei suoi alleati genovesi e a prestiti di banchieri tedeschi per difendere Italia, Sicilia e la stessa Spagna. La Spagna sotto Carlo V e il suo successore potè godere del beneficio inestimabile della pace interna, ma la Castiglia in particolare si trovò di fatto sempre o quasi sul piede di guerra; a Carlo riuscì però persuaderli che la sua crociata contro turchi ed eretici era una causa loro e del paese. 8. Quali sono i fatti dominanti sotto il Governo di Carlo V e suo figlio Filippo II? I fatti dominanti della storia spagnola sotto Carlo V e Filippo II furono la guerra e la burocratizzazione: era necessario adottare nuove tecniche burocratiche e nuove procedure amministrative. 9. Perché il loro governo viene definito “il governo delle Carte”? l'imperatore aveva composto quattro serie di istruzioni destinate al figlio nel caso in cui la morte l'avesse colpito all'improvviso e meglio di qualunque altra fonte rappresentano il testamento politico di Carlo V. Quelle del 1543 furono le più importanti, poiché fissavano con regole precise il modo in cui Filippo avrebbe dovuto comportarsi e davano consigli su problemi che avrebbe molto probabilmente dovuto affrontare o questioni come pregi e difetti dei singoli consiglieri. Filippo scelse di governare il suo Impero sempre dalla Castiglia; sebbene ciò lo obbligasse a delegare enormi poteri, pretese sempre che tutte le decisioni importanti fossero sempre comunicate prima in Spagna e che dovessero ottenere la sua approvazione. Questo desiderio di massima centralizzazione rallentava però notevolmente la macchina amministrativa, e il modo di governare di Filippo fu costantemente in lotta contro le distanze (occorrevano due mesi per far giungere una lettera in Messico, un anno nelle Filippine), volle che tutte le ordinanze e i mandati uscissero con la sua firma personale, così come la decisione ultima su molte questioni. 10. Chi è Mercurino Gattinara e perché è importante? Il Gran Cancelliere Mercurino Gattinara tra il 1522 e il 1524 riformò il Consiglio della Castiglia, creò il Consiglio delle Finanze, riorganizzò il governo della Navarra e istituì un Consiglio delle Indie. Nel 1555 venne poi istituito un Consiglio apposito per i dominii italiani. 11. Com’era organizzato l’Impero sotto Carlo V? Il sistema di governo poggiava sostanzialmente su una serie di Consigli seguendo il cammino già tenuto da Ferdinando ed Isabella, idoneo ad un impero geograficamente sparso. La corte era spesso itinerante e, almeno fino a Filippo II che scelse Madrid nel 1561, non ci fu capitale fissa, rese arduo il compito dei Consigli. I diversi Consigli possono essere divisi in due grandi categorie: quelli che dovevano consigliare il sovrano su questioni generali e quelli responsabili del governo di singoli territori in essa compresi. Fra i Consigli che avevano il compito di fornire pareri di portata generale il più noto della dinastia asburgica era il Consejo de Estado che doveva consigliare il sovrano su temi di politica generale. Il più attivo dei consigli, collegato al precedente, era il Consiglio di Guerra, responsabile dell’organizzazione militare della monarchia. L’istituzione invece del Consiglio delle Finanze, era dovuta alla ricerca di un rimedio alla povertà dei mezzi di cui disponeva la Corona. Intanto i viceré della monarchia spagnola salirono a nove: Aragona, Catalogna, Valenza, Navarra, sardegna, Sicilia, Napoli e Nuova Spagna e Perù. Tutti i viceré fruivano di poteri enormi e allo stesso tempo si trovarono strettamente vincolati al governo. Ogni viceré doveva operare in sintonia con il Consiglio che si occupava di quel territorio nel quale egli rappresentava il sovrano. Era compito del Consiglio mantenersi vigilante sull’esercizio del potere da parte dei viceré. I risultati delle sue discussioni venivano poi fissati in atti o documenti noti come consultas. Dal tempo del Cobos i segretari reali cominciarono a costituire una sorta di categoria a parte e divenne prassi frequente trasmettere di padre in figlio o di zio in nipote il loro ufficio. 12. Parla dell’economia Castigliana sotto Carlo V Il Nuovo Mondo si presentava come una possibile fonte di beni che la Castiglia non possedeva o possedeva in quantità esigua; poteva inoltre diventare un mercato per le merci castigliane. La prima reazione istintiva alle scoperte fu quella di considerare il Nuovo Mondo una riserva esclusivamente castigliana. Nel 1501 si vietò in maniera formale a qualsiasi straniero l’accesso alle cosiddette indie. Nel 1503 poi la Casa de Contrataciòn di Siviglia arrivò ad esercitare un controllo assoluto sui traffici con il Nuovo Mondo, monopolio apertamente contestato. Nel 1524 Carlo V consentì che i mercanti stranieri commercializzassero con le Indie, anche se continuò il divieto ad una loro installazione nel Nuovo Mondo e nel 1526 sudditi provenienti da quasi tutti i dominii dell’imperatore ebbero il permesso di recarsi in America. I mercati spagnoli iniziarono ad inquietarsi per la crescente concorrenza straniera e così nel 1538 si giunse di nuovo a vietare a tutti gli stranieri l’accesso alle americhe, tranne per permessi speciali. Il metallo prezioso che arrivava a Siviglia apparteneva in parte alla Corona e in parte ai privati. Qualsiasi miniera scoperta nelle terre appartenenti al re doveva essere considerata parte del patrimonio della Corona. Tuttavia la Corona dovette rinunciare ai propri diritti e cedere le miniere in usufrutto o ad affidarle a privati in cambio di una percentuale del metallo estratto, detto quinto real. I primi spagnoli che si insediarono sul suolo erano fortemente dipendenti dalla patria per le necessità principali. Col tempo alcuni degli articoli importati poterono “chiusa” della Controriforma. 2. Come fu l’infanzia di Filippo II? Carlo era spesso assente, il figlio passò dunque molti degli anni della sua formazione in Spagna e lontano da lui, alla buona e senza oneri particolari (a sette anni ancora non sapeva leggere e scrivere), avendo come precettore il Siliceo, brillante ma di poco polso. Nel 1541 ne vennero nominati di nuovi (Estrella per il latino e il greco, Juan per la matematica e l'architettura, Sepulveda per storia e geografia) ma nessuno per le lingue moderne, rimanendo dunque con lo Spagnolo come lingua principale. Mentre questi si occupavano delle cose dello spirito, il severo governatore Juan de Zuñiga presiedeva all'educazione fisica e comportamentale sulla base della biografia dell'ultimo principe Spagnolo Don Juan, primogenito dei Re Cattolici, avendo persino l'approvazione paterna nel picchiarlo se necessario. Lo Zuñiga adempì eccellentemente al suo ruolo, e Filippo crebbe come “uno Spagnolo tra gli Spagnoli”, imparando anche dal precettore quel controllo delle emozioni che gli sarebbe stato caratteristico. Nel 1543, sedicenne, era divenuto reggente di Spagna e si era sposato con Maria Manuela del Portogallo e nel 1545 dovette affrontare la ribellione dei coloni europei del Perù che rischiava di uscire completamente al controllo spagnolo, sebbene la decisione finale su come agire non venne presa da lui ma dal padre itinerante per l'Europa. Questi aveva occupato i territori del duca di Gheldria, unico rivale nei Paesi Bassi, nel 1544 aveva fatto pace con i turchi e nel '47 aveva riportato all'obbedienza i luterani tedeschi. Con questi successi l'imperatore ebbe l'agio opportuno per considerare di trasferire l'impero al figlio, così nel 1548 chiamò Filippo nei Paesi Bassi, per fargli incontrare i futuri sudditi ed educarlo personalmente nel governo e questo fu un momento molto importante nell'educazione del principe. Viene programmato un tour Europeo che avrebbe dovuto portare il principe dal padre nei Paesi Bassi. Pare però che il primo si fosse comportato male in Italia, essendo freddo e arrogante e guadagnandosi la fama di superbo: di fatto l'Imperatore dovette adoperarsi per correggerlo, e nel 1549 in occasione del viaggio nei Paesi Bassi riuscì infatti ad ottenere giudizi positivi. Il Principe tornò in Spagna nel 1551, a ventiquattro anni, e prese parte attiva nel governo del paese, non ricevendo più istruzioni dal padre ma una corrispondenza “paritaria”. E' probabile che già allora Carlo V intendesse abdicare in suo favore, ma dovette rimandare alla fine della guerra scoppiata nel 1551, rendendo possibile il passaggio solo nel 1556, dopo aver arrangiato il matrimonio di Filippo con Maria Tudor, rendendolo “principe consorte” d'Inghilterra, ma continuò ad adombrare il figlio fino alla sua morte nel 1558, tempestandolo di lettere e consigli perentori ed occupandosi attivamente degli affari del governo. 3. Quali erano le sue passioni? Sappiamo dai libri di contabilità della sua corte che aveva passione per la natura, la lettura, la musica ma soprattutto la caccia, al punto che l'Imperatore giudicò necessario porre un limite settimanale agli animali che il principe avrebbe potuto cacciare per preservare le sue riserve. Per tutta la sua vita ebbe una fissazione per il suo stato di salute e ancor di più per la sua pulizia. Sebbene i suoi interessi culturali si ampliassero sotto i suoi nuovi precettori, diventando quanto mai vari e rivelando un interesse anche per le arti occultistiche, tanto che nel 1585 reputò necessario re la biblioteca dell'Escuriale per evitare interventi dell'Inquisizione. Gli interessi principali di Filippo erano i giardini, le costruzioni e la natura. Appena tornato dal suo viaggio nei Paesi Bassi nel 1551 iniziò a dare ordini per “fare come nei Paesi Bassi” le residenze reali della Castiglia ed i loro giardini. I muretti di fango vennero sostituiti da siepi, furono create reti di ruscelli e laghetti artificiali; ordini analoghi furono dati per creare altri giardini “alla Fiamminga” presso altri palazzi reali, ma non avendo avuto successo i primi tentativi fu necessario chiamare in Spagna dei veri giardinieri fiamminghi, che formarono una vera e propria colonia di una trentina di individui. I lavori erano spesso diretti dal re in persona, che voleva essere presente e vedere con i propri occhi come nel caso degli affari di stato. Ad Aranjuez c'era anche un piccolo zoo con cammelli e struzzi, alla Casa del Campo si tenevano addirittura elefanti, rinoceronti e leoni. Filippo era anche un cacciatore ed un pescatore appassionato e le sue riserve ed i suoi luoghi di pesca erano protetti da una legislazione draconiana. Non per questo trascurò l'interno delle residenze reali: trascorse gran parte della propria esistenza circondato da muratori, e spesso i progetti e le idee di costruzione provenivano da lui, che dai Paesi Bassi era tornato con idee molto chiare sul tipo di edificio che desiderava, tant'è che nacque “lo stile Filippo II”. Negli anni '60 fu necessario per lui spostarsi regolarmente per tenere d'occhio tutti i cantieri a cui voleva soprintendere: era anche un collezionista nato ed ogni sua residenza conteneva parte dei suoi “tesori”. Apprezzava moltissimo gli artisti fiamminghi del rinascimento ed amava il contemporaneo Tiziano, a cui commissionò numerosissime opere; fu un attivo mecenate degli studi classici, storici e scientifici. Aveva anche una biblioteca, che alla sua morte comprendeva quattordicimila volumi e che volle trasformare in un centro di studi per eruditi. Sul piano geografico, fece mettere a punto delle relazioni topografiche accurate sulla Castiglia e i suoi abitanti, che dovevano sia illuminare il re sui suoi sudditi e sul suo territorio che fondare la geografia storica della Spagna. La mania di Filippo per il collezionismo non aveva limiti: cinquemila tra monete e medaglie, centinaia di astrolabi e orologi, busti di personaggi famosi, strumenti musicali, ciondoli e pietre… si interessò anche a magia ed alchimia, e fece allestire nell'Escuriale un laboratorio per ricavare distillati e quintessenze, e sebbene sostenesse di non credere nell'astrologia, consultò spesso astrologi (la prima pietra dell'Escuriale fu posta in un momento preciso secondo determinati calcoli) Tuttavia, ciò che recava maggiore conforto a Filippo era la Religione: prese i propri obblighi religiosi molto sul serio, edificando numerosi monasteri e possedendo una grande raccolta di libri a tema religioso che il re chiedeva di vedere spesso, era sua abitudine andare in ritiro quando preoccupato per cercare l'aiuto divino, assisteva volentieri ai riti religiosi che conosceva meticolosamente. Numerosi religiosi riconobbero la sua “aurea di bontà e di santità” e rimasero impressionati dalla sua spiritualità profonda. Secondo Filippo -così come qualsiasi uomo del suo tempo- Dio interveniva quotidianamente e tangibilmente nel mondo, e in occasione di grandi vittorie era sicuro di toccarne con mano il favore, che gli spagnoli avrebbero dovuto mantenere: si preoccupò costantemente della moralità dei suoi sudditi e dei suoi ministri, che dovevano essere privi di ogni colpa tanto davanti agli uomini quanto a Dio. 4. Cosa si può dire della sua salute? Non godeva di buona salute; la sua dieta era quantomai monotona e prevalentemente a base di carne, fatta eccezione per il venerdì quando gli veniva servito del pesce (anche se poi ottenne più tardi il permesso Papale per via della sua “debole costituzione”); soffriva per ciò costantemente di stitichezza. Per tutta la sua vita ebbe una fissazione per il suo stato di salute e ancor di più per la sua pulizia. Oltre a soffrire di emorroidi e di qualche intossicazione alimentare, pare che abbia sofferto di asma, dagli anni '60 artrite, malaria e mal della pietra negli ultimi anni. Lo sviluppo intellettuale di Filippo andò di pari passo con quello fisico: aveva una grafia “quasi illeggibile, contorta”. 5. Cosa compone Carlo V prima di morire per il figlio? Parlane l'imperatore aveva composto quattro serie di istruzioni destinate al figlio nel caso in cui la morte l'avesse colpito all'improvviso e meglio di qualunque altra fonte rappresentano il testamento politico di Carlo V. Quelle del 1543 furono le più importanti, poiché fissavano con regole precise il modo in cui Filippo avrebbe dovuto comportarsi e davano consigli su problemi che avrebbe molto probabilmente dovuto affrontare o questioni come pregi e difetti dei singoli consiglieri. Tra di essi si erano infatti formate due distinte fazioni con il quale il principe avrebbe dovuto stare attento a non identificarsi “non legarti o farti dipendente di una sola persona”. Di questi insegnamenti Filippo fece tesoro: non fidarsi di nessuno, non mostrare i propri sentimenti, comparire regolarmente in pubblico, essere devoto in tutto. Carlo gli diede anche indicazioni sessuali: il re non si sposava per piacere sessuale, ma per gli eredi, e di conseguenza una volta “compiuto il proprio dovere” avrebbe dovuto tenersi distante dalla moglie per non incorrere nel peccato o nel rischio che l'atto sessuale lo indebolisse fisicamente. Questo non doveva essere una scusa per cercare altre donne, poiché sarebbe incorso negli stessi rischi, e spiega il comportamento particolarmente freddo di Filippo con le sue mogli. Di fatto, Filippo II si attenne per tutta la vita alle istruzioni del 1543. In quelle del 1548 si aveva una visione panoramica della situazione politica europea. 6. Con chi si sposa? Filippo II si sposa con Maria Tudor, diventando “principe consorte” d'Inghilterra. 7. Qual era la differenza tra Filippo II e Carlo V? Differentemente dal padre, Filippo era convinto che l'eccessiva mobilità in un sovrano fosse un male. Di proposito Filippo scelse di governare il suo Impero sempre dalla Castiglia; sebbene ciò lo obbligasse a delegare enormi poteri, pretese sempre che tutte le decisioni importanti fossero sempre comunicate prima in Spagna e che dovessero ottenere la sua approvazione. Una novità furono le assemblee informali chiamate juntas, che dovevano mantenere: si preoccupò costantemente della moralità dei suoi sudditi e dei suoi ministri, che dovevano essere privi di ogni colpa tanto davanti agli uomini quanto a Dio. Questo zelo talvolta lo rese ottuso ed incauto e maggiormente a riguardo dell'Inghilterra: nel 1571 e nel 1588 egli sostenne di conoscere per rivelazione divina il successo dell'impresa ed ignorò ogni osservazione di tipo tecnico/pratico. Se vi fu dell'amaro nel calice della religiosità di Filippo fu nei rapporti con il Papato, con il quale non raggiunse quasi mai un'intesa (il suo regno iniziò con una dichiarazione di guerra di Paolo IV e terminò con l'appoggio di Clemente VII ai francesi) e si dolse soprattutto degli scarsi aiuti nella ricattolicizzazione dei Paesi Bassi. Filippo fu potente ma anche pio. Voleva essere giusto in tutto: le cause penali in Spagna erano svolte con rapidità essenziale ed era nota la fedeltà degli Spagnoli alle leggi. Egli interveniva nei processi raramente, di solito solo per esercitare la sua clemenza di sovrano. In due casi egli si immischiava arbitrariamente: quando i processi riguardavano i suoi ministri o quando riguardavano il suo patrimonio terriero, che voleva preservare per i suoi successori. Tale determinazione a difendere i propri diritti e prerogative lo rese sempre inflessibile quando venne a scontrarsi contro avversari con richieste di concessioni politiche. Era l'erede di un immenso retaggio e non avrebbe permesso a nessuno di intaccare o discutere il suo potere. 9. Quali consigli crea insieme al Gattinara? Il Cinquecento fu il Europa il secolo del governo dei “Consigli” e la Spagna non fece eccezione: Filippo ne ebbe quattordici, cinque dei quali creati personalmente; i più importanti furono il Consiglio di Castiglia (una sorta di Ministero degli Interni), il Consiglio delle Indie (con analoghe responsabilità nel Nuovo Mondo), e l’inquisizione. Questi consigli fungevano soprattutto da organi amministrativi e i loro componenti erano perlopiù giuristi che avevano studiato nelle università castigliane, usate dagli Asburgo di Spagna come un vero e proprio centro di addestramento per i futuri servitori dello stato. Una burocrazia così complessa era fondamentale per governare un impero così vasto e sparso, tuttavia i consigli erano soltanto organi consultivi e i funzionari degli esecutori. 10. Che cos’è la consulta? Filippo non governò mai con un gabinetto di ministri, come la maggior parte dei sovrani venuti dopo di lui (cioè titolari di ministeri che si incontravano per discutere la politica, perseguire e raccomandare collettivamente il sovrano), perché ciò lo avrebbe indebolito di parte della sua autorità: volle che tutte le ordinanze e i mandati uscissero con la sua firma personale, così come la decisione ultima su molte questioni. L'atto fondamentale del governo spagnolo fu dunque la “consulta” cioè il rapporto che ogni consiglio dopo ogni riunione inviava al re. Questo tipo di attività di governo procedeva in modo relativamente automatico: i consigli riuscivano a reggere il grosso della routine anche se talvolta era necessario occuparsi di emergenze che richiedevano costante attenzione o l'intervento simultaneo di più consigli 11. Cos'erano le juntas? Quando dopo il 1566 si dovette far fonte alla guerra nel Mediterraneo, nei Paesi Bassi e addirittura nelle regioni meridionali della Spagna si resero urgenti mutamenti nell'organizzazione del governo. Una novità furono le assemblee informali chiamate juntas, che dovevano discutere di decisioni e circostanze particolari e poi consigliare il re. Molte furono le commissioni di questo tipo, create per motivi particolari e spesso di breve durata. Questo sistema fece sì che certi consiglieri acquistassero una notevole conoscenza dei vasti settori dell’attività governativa finendo per assumere la posizione di veri e propri membri di un governo nel senso attuale. 12. Chi era Diego Espinosa? La soprintendenza sull'attività di governo ordinaria venne affidata a genti di umile origine come Diego de Espinosa, ecclesiastico laureato in legge, che fu “l'uomo di tutta la Spagna nel quale il re ha soma fiducia e discute la maggior parte delle questioni riguardanti sia la Spagna che la politica estera”. Alla sua morte il re non ebbe più intenzione di dare ad altri poteri tanto elevati giungendo ad applicare gli ammonimenti del padre a non legarsi ad una sola persona. Tuttavia la fine dell'esperimento fatto con de Espinosa non fece tornare al modo di governo caotico tipico degli anni 60 del secolo. 13. Parla della Controriforma Spagnola La persecuzione degli alumbrados e degli erasmiani, unitamente all’accettazione del principio della limpieza, aveva posto la Spagna su una strada chiusa della Controriforma. In questo clima, tra il 1557 e il 1558, a Siviglia e a Valladolid si fece la clamorosa scoperta di gruppi “protestanti”: bisognava quindi moltiplicare gli sforzi al fine di proteggere la Spagna da contagio esterno. Emanata un’ordinanza con la quale si vietava l’importazione di libri stranieri e si comandava che tutti i libri stampati in Spagna fossero pubblicati dopo l’approvazione del Consiglio della Castiglia, e si proibiva agli studenti spagnoli di compiere studi all’estero. Nel 1545 l’Inquisizione aveva compilato il primo Indice Ispanico. Le misure adottate inflissero un colpo durissimo nella vita culturale spagnola e finirono per minare la fiducia in sé dei letterati spagnoli. Non ci fu però frattura tra i rapporti culturali che legavano la Spagna e l’Italia: quest’ultima era stata per la Spagna una fonte continua di stimoli intellettuali ed artistici. Durante il regno di Carlo V i rapporti tra i papi e l’imperatore erano tesi; Paolo IV (1555-59) era apertamente antispagnolo. Il conflitto tra Filippo II e la Curia romana contribuì soltanto ad indebolire le forze della Controriforma, anche se né il papa né il re potevano allora addivenire ad una rottura aperta, perché Roma aveva bisogno dell’aiuto militare spagnolo, mentre Filippo aveva bisogno delle entrate ecclesiastiche e del prestigio che solo il papa gli poteva dare. 14. Cose la pace di Cateau-Cambresis? L'abdicazione di Carlo V nel 1555 rese Filippo II il sovrano dell'impero più potente al mondo dopo quello dei mongoli: comprendeva la Spagna, mezza Italia, l'Inghilterra, i Paesi Bassi, il Messico e il Perù, per un totale stimabile a circa 50 milioni di sudditi e la loro ricchezza era enorme: si andava dai mercanti banchieri di Medina del Campo e di Siviglia e i capitalisti di Anversa ed Amsterdam ai proprietari di miniere in America. Questi erano legati da forti vincoli politici, economici e culturali: la comune lealtà al sovrano, gli interessi commerciali e alcuni scambi culturali che determinarono affinità tra la Spagna e il resto dell'impero, in particolare l'America che rimase del tutto dipendente dal punto di vista culturale dalla Spagna, tanto che in Italia e nei Paesi Bassi alcuni nobili e letterati scrivevano e leggevano in spagnolo. Tuttavia a causa dell'estensione geografica molto spesso questi territori avevano l'aspetto di federazioni slegate a cui in pratica si doveva lasciare una notevole indipendenza. Un altro grande problema che l'impero di Filippo dovette affrontare era una situazione finanziaria lasciata allo stremo dalle guerre di Carlo V contro i suoi avversari ed è un fatto che nel 1555 tutti i dominim dell'impero risultavano gravati da un oneroso fardello di debiti. La guerra aveva rovinato traffici e manifatture e una serie di estati sfavorevoli avevano messo in crisi l'agricoltura, per cui il cibo cominciò a scarseggiare e il prezzo del pane salì a livelli di carestia. In ultimo si diffuse per tutta l'Europa un'epidemia letale, quasi sicuramente influenza. Tutti questi fattori crearono uno stato di tensione, ci furono agitazioni nel 1558 in Aragona e nei Paesi Bassi, tuttavia la Spagna riuscì ancora a sconfiggere i francesi e costringerli alla pace di Cateau-Cambresis nel 1559. Questi trattati si dimostrarono la pietra fondante della preponderanza spagnola nell'Europa occidentale per quasi un secolo anche grazie al fatto che nel contempo la Francia, eterna potenza rivale, si trovava allora in stato di prostrazione. L’inaspettata morte di Enrico II in un torneo per celebrare la pace lasciò il trono francese ai suoi figli che però non riuscirono a tenere assieme le forze politiche e religiose contrapposte già da tempo dei Guisa e dei Borbone. 15. Chi sono i conversos e i moriscos? In Spagna c'erano due minoranze sospette: i Conversos e i Moriscos (Ebrei e Mussulmani convertiti al cattolicesimo), la cui necessità di sorveglianza stava all’origine dell'Inquisizione Spagnola, a cui Filippo diede sempre il pieno appoggio 16. Cos’è la seconda rivolta delle Alpujarras e quando fu? La seconda ribellione delle Alpujarras (1568-70) La ribellione delle Alpujarras, è causata da risentimenti che i moriscos avevano covato per tanto tempo e dal recente drastico mutamento in peggio delle condizioni in cui erano obbligati a vivere. Pur essendo infatti state emanate ordinanze che vietavano modi di vestire ed usanze esse non furono applicate e così i moriscos poterono preservare intatti i loro legami con il passato islamico. I moriscos si trovavano in difficoltà sempre maggiori sia di natura economica sia di natura religiosa. La loro economia aveva a suo fondamento la lavorazione della seta, duramente colpita in quel decennio. Poi si intensificò l’azione dell’Inquisizione, unita a quella della Chiesa andalusa: si attuò una politica più decisa, includendo un’ordinanza speciale per il mutamento dei costumi dei mori, che fu poi il preludio dell’insurrezione delle Alpujarras. I moriscos inviarono una loro delegazione per ottenere che l’ordinanza venisse sospesa e i tentativi di applicazione forzosa dell’ordinanza furono la causa immediata della rivolta. 17. Parla dell’inquisizione e della sua crescente influenza Si stima che durante il suo regno l'Inquisizione si occupasse di circa un migliaio di casi l'anno: essa rappresentò uno strumento fondamentale nel controllo della società e nel mantenimento dell'ordine. Nel 1559 essa pubblicò un indice di circa cinquecento libri recluderlo nella torre del castello di Arévalo, dove aveva soggiornato Isabella di Portogallo, la folle nonna di Giovanna. Nessuno ebbe dubbi che la causa dell'incarcerazione fosse la follia del principe. Don Carlos si diede a scioperi della fame che lo portarono alla morte, e sebbene il dispiacere del padre fosse allora palese, non si stentò a dar credito alla diceria che la morte del principe nascondesse ben altro: alcuni incentrarono il discorso sulla rivolta nei Paesi Bassi, altri ipotizzarono un più fantasioso rapporto carnale tra Don Carlos e la moglie del padre, Elisabetta di Valois, sebbene questa fosse costantemente circondata dalle sue dame tra cui l'austera Duchessa d'Alba che non avrebbe di certo chiuso un occhio sulla relazione. 22. Qual era il sogno di Filippo II? Uno dei sogni più cari a Filippo era quello di vedere tutti i suoi domini sotto la religione Cristiana: prese per questo molto seriamente l'evangelizzazione del Nuovo Mondo e la necessità di portare la parola di Dio in tutti gli angoli del Paese, dalla Spagna all'Italia ai Paesi Bassi. 23. Chi era il Duca D’ALBA? Gli sforzi in questi ultimi culminarono nel 1567 con l'invio del Duca d'Alba con diecimila uomini, grazie ai quali il duca di ferro poté imporre provvedimenti miranti a mantenere i Paesi Bassi in seno alla Chiesa Cattolica in conformità con i decreti tridentini. Riuscì anche ad aumentare considerevolmente le imposte versate dai Paesi Bassi per la propria difesa: corrispondente fu la diminuzione di spesa da parte della Spagna per la loro offesa. Questo nuovo ordine suscitò nel 1568 un'insurrezione guidata dall'Orange, che il Duca fu però capace di reprimere nel giro di un'anno, punendo severamente i ribelli, sebbene detta severità sia stata spesso esagerata: nessun governo dell'epoca reputava di dover lasciare in vita ribelli e traditori, ed anzi le esecuzioni capitali furono in proporzione relativamente poche. Unica morte contestabile fu quella del Barone di Montigny, eseguita segretamente: questo perché pare che i parenti avessero fatto pressione per la grazia su Anna d'Austria, promessa sposa di Filippo, che si trovava così costretto tra scegliere di dispiacere subito alla nuova moglie o lasciarsi sfuggire un importante traditore: una “morte accidentale” prima della richiesta aveva così risolto il problema. 24. Quale fu il maggior insuccesso di Filippo II? Il maggiore insuccesso di Filippo fu, invece, il non essere riuscito a domare la rivolta Olandese. C'era un nesso tra la questione americana e quella nei Paesi Bassi: i principali finanziatori dei ribelli erano Francia e Inghilterra, che la Spagna si era inimicata con la sistematica eliminazione di quanti tentassero di “intromettersi” nei traffici del Nuovo Mondo, assieme al fattore religioso che influiva nei rapporti con questi stati, la cui popolazione era quasi ugualmente divisa tra protestanti e cattolici tanto da rendere imprevedibile quale delle due parti avrebbe prevalso. Filippo finanziò sia i cattolici Francesi che Inglesi, inserendosi nel complotto che avrebbe voluto sostituire ad Elisabetta I la cugina Maria Stuarda regina di Scozia, tanto da mandare istruzione al Duca d'Alba di prepararsi a distaccare diecimila dei suoi soldati dai Paesi Bassi per uno sbarco in Inghilterra a favore del complotto cattolico. Il progetto venne abortito nel 1571 quando i principali congiurati vennero arrestati e rivelarono fino a che punto la Spagna fosse implicata. Di questi fatti si avvalsero l’Orange e gli altri leader ribelli Olandesi esiliati dopo il 1568, iniziando a raccogliere supporto e consenso tra i protestanti francesi ed inglesi in vista di una nuova invasione nei Paesi Bassi, che avrebbe distolto le attenzioni della Spagna dalle altre potenze dell'Europa settentrionale. Il governo del Duca d'Alba era particolarmente brutale ed inviso alla popolazione, oltre ad aver subito una serie di carestie ed epidemie: il 1572 parve l'anno perfetto per attaccare su quattro fronti simultanei: dal mare la flotta francese ed i “pezzenti del mare” dell'Orange, i protestanti dalla francia e due dalla germania sotto il comando dei collaboratori dell'Orange con il supporto di alcuni principi tedeschi. Inizialmente quest'offensiva parve un successo: in agosto la parte settentrionale dei Paesi Bassi era in rivolta ed il governo del Duca di ferro era in crisi. La Francia, che non desiderava essere coinvolta in una guerra diretta contro la Spagna, ritirò i sostegni dati ai ribelli e massacrò un gran numero di protestanti nella notte di San Bartolomeo. Perduto il supporto francese, anche l'Inghilterra si trovò in dubbio, e l'esercito del Duca d'Alba prese a riconquistare una città dopo l'altra. Ritardi nelle trattative per la resa di Haarlem dovuti all'intransigenza del Duca permise all'Orange di far scivolare soldati in città e provocare lo scontro con gli spagnoli: l'assedio si protrasse per sette mesi e malgrado la vittoria gli Spagnoli erano allo stremo, tanto che i soldati rifiutarono di combattere oltre. La durezza con cui furono trattati i nemici sconfitti, poi, convinse gli Olandesi a combattere allo stremo vista la durezza con cui veniva trattato chi si arrendeva, costando a Filippo l'occasione di porre immediatamente fine alla rivolta. Per questo egli licenziò il Duca d'Alba, i cui modi gli avevano fruttato una cattiva reputazione a corte, sostituendolo con Don Luis de Requesens. La situazione era a dir poco impantanata: la flotta reale aveva subito perdite disastrose, i veterani spagnoli si erano nuovamente ammutinati, l'assedio alla città di Alkmaar si era rivelato un fiasco oltremodo dispendioso. Nel 1574 due assedi alla città di Leida fallirono ed i soldati presero ad ammutinarsi sempre più spesso per i ritardi degli stipendi: il costo della guerra si era fatto intollerabile. La campagna di Lepanto e gli scontri nel Mediterraneo avevano divorato il denaro Spagnolo, impedendo di fatto il finanziamento della guerra di Olanda. La Castiglia non era più in grado di sostenere lo sforzo: c'erano anche altri settori da finanziare, ed altre spese come quella per i funzionari e le difese costiere, oltre al debito pubblico che assorbiva ormai metà delle entrate della corona. I suoi consiglieri iniziarono a spingere per una dichiarazione di Bancarotta: questo avrebbe tramutato i debiti a breve termine della corona e debiti a lungo termine e basso interesse, ma anche comportato, secondo le parole del re, che nessuno avrebbe più voluto finanziarlo, portando a lungo termine anche al disastro militare; salvare i Paesi Bassi era per lui la cosa più importante. 25. Chi era il Duca D’Angiò? Nel 1581 i Paesi Bassi dichiararono Filippo deposto ed elessero come sovrano il Duca d'Angiò, fratello del re di francia enrico III. Nel 1582 fu dato l'annuncio del matrimonio tra questi e la regina Elisabetta: era nato un nuovo asse anglo-franco-olandese con chiara funzione antispagnola. Dopo aver lasciato il Portogallo pacificato (1583) deliberò di intensificare gli sforzi bellici contro gli Olandesi: nel 1585 Anversa era presa. 26. Parla del Concilio di Trento e la tolleranza nel 500 La rivolta di Granada fu soffocata appena in tempo. La flotta turca era tornata infatti nelle acque del Mediterraneo e la situazione parve così minacciosa che Filippo II diede l’ordine di evacuare le Baleari, ordine che non venne eseguito. La flotta della Lega Santa si riunì a Messina nel 1571 e si scontrò a Lepanto con la flotta ottomana che fu sbaragliata, dando vita a quel tema sempiterno di vanto per coloro che avevano partecipato alla battaglia. Si arrivò ad un’intesa tacita; i turchi volsero la loro attenzione contro la Persia e gli spagnoli sul nuovo fronte atlantico. Sembrò che l’Inquisizione parve assumere un atteggiamento più moderato, consentendo anche che si diffondesse la teoria copernicana. Si respirò intorno al 1580 un clima di ritrovata fiducia in Castiglia. L’intensa attività religiosa del secondo Cinquecento e il formarsi di una robusta coscienza sociale alla vita delle sofferenze dei malati e dei poveri furono in parte una risposta al programma che era stato formulato al Concilio di Trento e si sentì ovunque un’urgenza di riforma. Il Concilio di Trento aveva dato una spinta possente alle energie cattoliche. La tolleranza creò le condizioni perché si avesse una fioritura straordinaria di scritti ascetici e mistici. Figura di singolare genialità fu Santa Teresa. L’amalgama degli ideali Rinascimentali e di quelli della Controriforma in campo letterario si concretò nel trapasso dall’idealismo al realismo che guardava ad un mondo corrotto dall’inclinazione al peccato dell’uomo, la cui redenzione poteva essere compiuta solo con la pratica delle opere buone e con l’abbandono assoluto alla grazia salvifica di Dio. Si hanno negli scritti spagnoli non solo una consapevolezza nuova dell’intima malvagità umana ma anche un’attenzione nuova per la psicologia. Gli autori spagnoli compresero con la sensibilità la difficoltà dell’esistenza umana, contemplando la delusione e lo sbalordimento del naufragio di una nazione che parve allora abbandonata da Dio. La Spagna a metà del Cinquecento non solo aveva combattuto i mori e i protestanti, ma aveva tentato di risolvere le tensioni interne create dalla presenza del suo sul ruolo di moriscos e di conversos e aveva dovuto anche affrontare l’enorme compito di stabilire i propri rapporti con un’Europa da cui si sentiva parimenti attratta e respinta. 27. Parla del re e della corte Filippo cercò sempre di corrispondere all’ideale paterno e il sentimento di non essere adeguato al proprio ufficio non fece che aumentare quell’indecisione che sembra essere caratteristica ereditaria degli Asburgo e finì, quando doveva prendere una decisione, per rimandarla all’infinito, dando la sensazione di essere debole. Tuttavia, accanto alle esitazioni e al comportamento incerto, bisogna porre il ferreo senso del dovere che Filippo sentì verso Dio e verso i suoi sudditi e anche l’espirazione appassionata di essere all’altezza degli alti obblighi morali inerenti ad una concezione dell’ufficio regale. I confessori del re e i teologi di corte dovevano consigliare il sovrano su tutte le questioni che presentavano un problema di coscienza e fu in sintonia con questo che si consultarono i teologi nel 1566 per la legittimità della politica religiosa nei Paesi Bassi. Si convocò poi nell 1580 una Junta perché si stabilisse se l’uso della forza per acquisire la Corona portoghese poteva essere giustificato. Si reputò moralmente vincolante il tenere una condotta scrupolosa nei riguardi delle libertà particolari dei suoi sudditi e dei fueros. L’esempio più significativo sulla subordinazione scrupolosa che Filippo era solito praticare, delle proprie ragioni personali al bene pubblico lo si ha in quell’affare terribile e grottesco che fu l’arresto e poi la morte di don Carlos. Il figlio, che Filippo aveva avuto 31. Chi era Matteo Vazquez? Nel 1573 Mateo Vazquez, ex segretario dell'Espinosa si propose come segretario personale il cui compito sarebbe stato guardare tutte le missive indirizzate al re che non dovessero passare ad un consiglio e preparare e perfino scrivere le risposte del re alla corrispondenza in arrivo. Vazquez coordinò anche le varie juntas formali, mantenendone ben oliato il funzionamento e perpetrando il “divide et impera” voluto dal re affinché nessuno ne sapesse più di lui sulle varie questioni governative. Filippo non si fidava di nessuno, per questo voleva vedere di persona ogni documento e divenne noto come “il re delle carte”: sicuramente preferiva leggere e scrivere a parlare e ascoltare, cosa mal vista dalla gente del Cinquecento, che di solito sapeva leggere solamente a fatica. Filippo odiava dover prendere decisioni a tambur battente, e quando una questione gli veniva presentata per iscritto, aveva invece il tempo per pensarci. In ultimo, il Re non avrebbe avuto letteralmente tempo per trattare di tutti gli affari che voleva supervisionare se prima questi non gli fossero stati opportunamente compendiati: per il buon funzionamento del governo, tanto lavoro era indispensabile e il lavoro svolto da lui e dai suoi segretari era talmente efficiente che la maggior parte delle missive riceveva risposta nel giro di due giorni. 32. Parla dell’annessione del Portogallo Negli anni 1579 e 1580 a corte chi aveva in mano le leve del governo era il cardinal Granvelle, antico consigliere di Carlo V. Nei Paesi Bassi don Giovanni d’Austria era morto e nel 1578 a capo dell’amministrazione civile dei Paesi Bassi fu posta la figlia illegittima dell’imperatore, Margherita di Parma. Si passò ad una politica di imperialismo attivo, che faceva ricordare per la vastità dei suoi obbiettivi quello di Carlo V. Negli anni sessanta il re era rimasto costantemente sulla difensiva e anche il decennio successivo era stato un periodo tormentoso per l’insuccesso sui ribelli dei Paesi Bassi e della bancarotta che portò ad un aumento delle imposte. Fu proprio allora che le Indie vennero in suo soccorso: la tecnica che prevedeva l’uso di un amalgama di mercurio nella raffinazione dell’argento peruviano cominciò a dare risultati proficui e dal 1575 si iniziò ad avere un incremento nella disponibilità di argento che il re otteneva dal Nuovo Mondo. I traffici tra Siviglia e il Nuovo Mondo raggiunsero allora la massima dilatazione e i banchieri cominciarono a riprendere fiducia. La Castiglia conobbe un periodo di grande splendore. La nuova largueza (abbondanza), diede a Filippo una concreta libertà di manovra: poté lanciarsi in progetti arditi e in imprese imperiali, dedicando le sue energie al recupero delle provincie settentrionali dei Paesi Bassi, grazie al generale Alessandro farnese; si allestì l’Armada per mettere piede in Inghilterra e ci si intromise nelle guerre civili della Francia. Nel 1580 si portò a buon fine l’annessione del Portogallo, dando a Filippo una nuova costa affacciata sull’Atlantico, una flotta per proteggerla e un altro impero che si estendeva dall’Africa al Brasile. L’acquisto di tali possedimenti coloniali rese possibile quella politica imperialistica che Filippo cercò di attuare nella seconda metà del suo lungo periodo di regno. Il Portogallo fu sempre più costretto a rivolgersi alla Spagna per avere quell’argento che solo l’impero coloniale spagnolo era in grado di fornire, e già prima del 1580 la prosperità di Lisbona era dipendente a quella di Siviglia. Il re era morto e la dinastia si vide in pericolo di estinzione imminente, in più l’annientamento dell’esercito aveva lasciato il Portogallo senza difese. Fu quello il momento che Filippo II aveva atteso per impossessarsi del territorio. Conquistò le simpatie del cardinale Enrico e della classe dirigente portoghese, cosicché il cardinale, pochi mesi prima di morire, si decise a dichiararsi favorevole alla successione di Filippo e si raggiunse allora un accordo tra lui e il de Moura sui termini a cui Filippo doveva sottostare per ricevere la corona portoghese. Ma i rappresentanti delle città si dichiararono favorevoli alla candidatura del priore di Crato, per tradizione fieramente anti-castigliano. Con la morte del cardinale Enrico, si mise a capo di un esercito per invadere il Portogallo il duca d’Alba che ebbe l’ordine di concentrarsi sulla frontiera nei pressi di Badajoz. L’unione con la Castiglia fu accolta molto male dal popolino portoghese, mentre l’alta nobiltà e l’alto clero si schierarono a favore di Filippo II, e altrettanto fecero i gesuiti portoghesi e i ceti mercantili e finanziari per ragioni economiche. Si rispettarono le leggi tradizionali del Portogallo ed il suo sistema di governo, giurando formalmente nel 1581 di farlo rimanere uno Stato autonomo. Al re si chiedeva di trascorrere il maggior tempo possibile in Portogallo e di affidare in caso di lontananza l’ufficio di viceré ad un membro della famiglia reale o ad un portoghese; inoltre si istituì un Consiglio del Portogallo, svolgendo la sua attività in lingua portoghese, avendo addetti solo portoghesi e conservando la moneta. Il Portogallo fu unito nel 1580 alla Castiglia esattamente come la Corona di Aragona era stata congiunta un secolo prima, conservando leggi, istituzioni e moneta, sotto però lo sesso sovrano. Per un certo tempo parve che ai portoghesi sarebbe stato risparmiato il malessere derivato dall’assenza del sovrano, dato che nel 1581 e 1582 Filippo rimase a Lisbona, volendo consolidare la sua posizione mentre Granvelle sollecitava misure per giungere alla sottomissione e al recupero dei Paesi Bassi. Ritornò quindi a Madrid, lasciando la reggenza all’arciduca Alberto, suo nipote. Nel 1583 si istituì una nuova Junta speciale che doveva assisterlo nelle cure del governo, la Junta de Noche ed il nome del Granvelle brillò per la sua assenza. Nel 1585 lo stesso insistette perché Filippo II trasferisse la sede del governo a Lisbona, perfetto luogo di osservazione da cui vigilare quel nuovo settore di scontro che erano le acque dell’Atlantico. Invece il re decise di stare nel cuore della Castiglia, lontanissimo dalla zona del conflitto. 33. La rivolta aragonese quando avviene e perché? Le esperienze fatte a Madrid non avevano fatto che confermare in Granvelle la convinzione che il ruolo assunto dai castigliani nel funzionamento della monarchia era eccessivo ed era causa di inquietudini e questa sfiducia era condivisa dai restanti dominii della monarchia. Verso il 1580 il regno di Aragona era diventato uno dei dominii più ingovernabili: la classe di governo era barricata dietro ai fueros del regno, perché scorgeva in essi la miglior garanzia per restare immune da ogni interferenza regia e castigliana; la situazione esigeva l’intervento del sovrano per evitare una rivolta generale. Nel corso del Cinquecento i rapporti tra signori e contadini conobbero un deterioramento e in parte gli attriti furono causati dalla presenza di una popolazione di moriscos che lavoravano le terre di laici ed ecclesiastici. La popolazione di antico ceppo cristiano si risentì del fatto che loro fossero favoriti sia sul mercato del lavoro che per la coltivazione di terreni più fertili, dando così vita ad un conflitto. A questo si aggiungevano liti tra famiglie: nel 1571 il conte di Ribagorza aveva condannato a morte la moglie dietro accusa di adulterio. La vittima era nipote del Chinchòn e il conte, sebbene fuggito in Italia, venne catturato e messo a morte per ordine del re nella pubblica piazza di Torrejòn de Velasco nel 1573. Da quel momento il Chinchòn era diventato nemico implacabile della famiglia dei Villahermosa. Quando finalmente il re decise di intervenire per rimettere le cose a posto, non fece altro che precipitare la catastrofe che aveva sperato di evitare. Nominò un viceré imparziale, che non fosse aragonese, il marchese di Almenara (in realtà cugino di Chinchòn) e sembrò questo l’ennesimo tenativo castigliano per svuotare di efficacia i fueros aragonesi. Nel frattempo il Pérez riuscì a fuggire di prigione nel 1590 e si avvalse del privilegio aragonese della manifestaciòn, in forza della quale chiunque minacciato di cattura da parte di ufficiali regi aveva diritto di essere protetto dalla Justicia di Aragona e custodirlo nelle proprie prigioni fino a che non fosse stata emessa la sentenza sul caso. Filippo avanzò denuncia contro il suo ex-segretario, ma lo stesso re fu denunciato da Pérez dell’assassinio di Escobedo. Il re si rivolse quindi all’Inquisizione, l’unico tribunale dell’Aragona su cui i fueros non avevano controllo. La folla manifestò per le strade e sottrasse il Pérez ai suoi carcerier, andando all’assalto del palazzo del marchese di Almenara. Pur avendo dato istruzioni affinché fossero concentrati corpi armati nei pressi della frontiera aragonese, sperò che non giungesse mai il momento in cui si rivelassero necessari ma dopo che, ordinato che il Pérez fosse messo in carcere dall’Inquisizione, la folla corse in suo soccorso, si convinse essere necessario l’uso della forza. La maggioranza degli aragonesi non oppose resistenza all’esercitoregio, in particolari i contadini che ritenevano potesse liberarli dall’oppressione dei signori. Pérez fuggì in Francia e il re emanò un’amnistia generale. La rivolta aveva mostrato ad un tempo la debolezza e la forza del re di Spagna. La sua debolezza si vide nell’assenza di ogni effettivo controllo del sovrano su un regno munito di tanti privilegi come era l’Aragona; la sua forza risultò dalle divisioni sociali esistenti nel paese, le quali fecero sì che la rivolta fosse poco più che un movimento iniziato dalla città di Saragozza. Le Cortes del 1592 alterarono le modalità dei fueros: l’unanimità fu sostituita dalla maggioranza, fu riconosicuto il diritto al re di nominare viceré persone non dell’Aragona e la carica di Justicia non fu più irremovibile, ma poteva essere rimosso dal sovrano. Gli aragonesi, sotto il governo di Casa d’Austria non si ribellarono più; continuarono però a dolersi con i portoghesi perché trascurati da un sovrano che di rado veniva a visitarli o che non concedeva uffici e mercedes ai loro nobili, ma che era sempre attorniato da castigliani. 34. Parla dell’omicidio di Escobedo Don Giovanni arrivò a convincersi che una politica di conciliazione non aveva prospettiva di riuscita e che il re doveva quindi essere persuaso a far riprendere in pieno le ostilità contro i ribelli. Intanto aveva inviato a Madrid il suo segretario Escobedo per ottenere denaro dal re. Sembrerebbe che Escobedo fosse riuscito a trovare prove che la principessa vedova d’Eboli e il Pérez avessero intavolato trattative segrete con i ribelli olandesi, facendo così leva sui timori del re. L’Escobedo fu per questo trucidato da sicari di Antonio Pérez nel 1578. Questo assassinio fu l’inizio delle disgrazie del Pérez: gli amici di Escobedo trovarono un alleato in Mateo Vàzquez, segretario del cardinale Espinosa e dal 1573 segretario del re, facendo pressione sullo stesso affinché si facesse qualcosa. Nel 1578 si ritirò il favore all’alleato aristocratico del Pérez, cioè a di los Vélez e si cercarono per il re nuovi consiglieri, trovandolo nel cardinale Granvelle. Nel 1579 il pérez e la principessa d’Eboli furono posti agli arresti e questi pose termine alla fazione eboliana. Ma se le due fazioni scomparvero di scena, le idee di cui si erano fatte paladine non socmparvero affatto. 35. Parla della crisi di fine secolo Nell’ultimo decennio del Cinquecento l’economia castigliana aveva scricchiolato sotto la tensione continua a cui l’avevano sottoposta le iniziative imperialistiche di Filippo II: i suoi grandi progetti inghiottirono le sue entrate e fecero aumentare i suoi debiti. Era stata la possibilità di rifornimenti al tesoro regio da parte dei dominii europei e americani a stabilire se le spese potevano sostenersi ma si sentì che si stava per raggiungere l’estremo limite. Le fonti tradizionali di entrata provenivano da prestiti o dal gettito delle imposte e queste erano inadeguate a sopperire i bisogni della Corona. Nel 1590 si ordinò una nuova imposta, quella che invano Carlo V aveva cercato di introdurre nel lontano 1538: millones. Questa imposta consolidata colpiva i generi di prima necessità e, in particolare, carne, vino, olio ed aceto. Le Cortes l’avevano approvata alla condizione che il gettito dell’imposta fosse usato per alcune finalità ufficiali del re, il sostentamento delle guarnigioni e il mantenimento delle dimore reali. In linea di principio era un’imposta più equa, ma i proprietari terrieri, con i uomo come il Ribera, arcivescovo di Valencia. Inoltre i nobili valenzani provavano invidia per quei nobili che, fruendo di dipendenti moriscos, godevano di maggiore prosperità economica + la popolazione di antico ceppo cristiano bramava le terre su cui vedevano invece insediati i moriscos, che avevano tuttavia protettori potenti che dipendevano da loro per il reddito delle loro prestazioni. I moriscos castigliani erano invece sradicati, senza organizzazione e viveano dispersi e, a differenza di quelli di Valenza, abitavano nelle città. I mori furono radunati e avviati in massa alle frontiere e ai porti, trovando in maggioranza rifugio nell’Africa settentrionale. L’importanza sul piano economico dei moriscos variava da una zona all’altra; non rappresentavano un ceto ricco e non avevano posizioni dii primo piano nella direzione della vita economica; è assurdo pensare di equiparare la loro espulsione con quella degli ebrei del 1492. Fu però per il regno di Valenza un disastro, in particolar modo per i nobili che li utilizzavano come forza-lavoro. Si può considerare la loro espulsione come simbolo di un governo propenso a scegliere la soluzione più facile e sempre pronto a cedere sotto pressioni o popolari o di gruppi di interesse. 6. Parla della Spagna di Filippo III e della sua vita a corte La società castigliana era una società fondata sul paradosso e sul contrasto: non esisteva via di mezzo e tutto era eccessivo. La singolarità della Spagna è data dall’assenza di uno strato sociale intermedio formato da borghesi solidi, rispettabili ed operosi, come ponte tra i due estremi. Il disprezzo per il commercio e per i mestieri manuali, il miraggio di facili guadagni ottenibili con l’investimento di capitali, la generale brama di titoli nobiliari e di prestigio sociale, furono i fattori che si opposero alla realizzazione di iniziative economiche proficue. La proliferazione di nuovi Ordini Religiosi aveva aperto la possibilità di condurre vita religiosa ad un gran numero di uomini e donne, nei quali la preoccupazione del cibo e del ricovero soverchiava lo spirito di vocazione religiosa. Accanto alla Chiesa stava poi la corte. La Casa d’Austria aveva osservato la pratica tradizionale di tenere lontana dalla corte l’alta aristocrazia nobiliare, ma Filippo III voltò le spalle a questa tradizione. La vita di corte era dispendiosa e portò forti indebitamenti. La Spagna di Filippo III assistette ad una vera e propria inflazione di titoli nobiliari che ebbe la sua parte nel conservare in mano dell’aristocrazia una larga porzione di ricchezza del paese, nonostante vedessero una diminuzione nella loro ricchezza patrimoniale. La corte funzionò come una grande calamita, attirando da tutto il paese disonesti ed ambiziosi. L’influenza, il favoritismo, la raccomandazione, costituivano gli strumenti essenziali per una qualsiasi carriera. Chiesa, corte e burocrazia offrivano quasi in assoluto le prospettive di impiego remunerativo che si aprissero in un’economia sottosviluppata. Il problema della corte stava nel divario enorme che correva tra spesa ed investimenti: bisognava aumentare la ricchezza del paese potenziandone le virtualità produttive e non le sue riserve di metallo prezioso, possibile investendo maggiori capitali nell’agricoltura e nelle attività manifatturiere. Nel 1619 Filippo III si recò in visita in Portogallo, dove furono riunite le Cortes per prestare giuramento di fedeltà a suo figlio. Durante il viaggio di ritorno si ammalò e poi morì nel 1621, quando gli successe il figlio diciottenne, Filippo IV. REGNO DI FILIPPO IV 1. Parla della sua scesa al trono e dei suoi favoriti Il suo primo favorito era Gaspar de Guzmàn, conte di Olivares, che si era schierato dalla parte del dica di Uceda nella contesa con il padre. 2. Importanza di Zuniga e Oliveros Mentre Filippo III giaceva sul suo letto di morte, lo Zùñiga e l’Olivares agirono con prontezza per strappare il governo dalle mani dello stesso duca di Uceda; fino alla sua morte, nel 1622, Zùñiga fu primo ministro di Filippo IV, essendo in realtà solo lo schermo delle azioni di Olivares. Con l’arrivo di quest’uomo, i tempi pigri e sonnolenti del duca di Lerma finirono per sempre: la scena era pronta per un’azione di riforma. L’Olivares era erede della grande tradizione imperiale; il suo primo mese di riforme fu anche quello nel quale la Spagna ritornò in guerra: nel 1621 la tregua con le Provincie Unite dei Paesi Bassi non fu rinnovata e il Consiglio di Portogallo insistette nel presentare i danni irreparabili che erano stati recati ai possedimenti coloniali portoghesi dagli olandesi durante il periodo di “pace”. L’Olivares comprese benissimo che una energica politica navale era essenziale per il successo delle armi spagnole e nel 1621 su dispose quindi che la flotta fosse aumentata. 3. Quale fu il programma delle riforme? Programma di riforme: 1) venne largamente sforbiciato il lungo elenco di coloro che percepivano donatici e pensioni dalla Corona. 2) fu ordinata un’inchiesta su tutti i beni acquisiti da chi aveva avuto incarichi di governo a partire dal 1603. 3) Junta de Reformaciòn e venne reso pubblico l’elenco di riforme da attuare. 4) il numero degli uffici municipali esistenti furono ridotti di ben due terzi. 5) leggi suntuarie che regolavano gli eccessi diffusi nella moda di abiti sfarzosi. 6) misure per incentivare l’incremento demografico. 7) imposizione di dazi sulle importazioni di manufatti dall’estero. Nel giro di un triennio non cambiò nulla. 4. Parla della situazione finanziaria sotto Filippo IV La situazione finanziaria presentava due grossi problemi distinti e allo stesso tempo connessi: le risorse della Castiglia erano esaurite ed era proprio lei a sostenere l’onere principale delle finanze della Corona e la maggiore tassata. Era difficile trovare il modo di indurre le altre province a correre in soccorso finché restava in piedi la tradizionale armatura costituzionale della monarchia. In un momento in cui per tutta l’Europa le autorità centrali tentavano di consolidare il controllo sui propri sudditi e di sfruttare con maggior efficienza le risorse nazionali per un rafforzamento del potere dello Stato, l’Olivares scorse nella “castiglianizzazione” della Spagna l’unica soluzione ai suoi problemi. Gli altri regni protestavano perché avrebbero dovuto pagare imposte più onerose per un impero in cui la sola Castiglia riceveva benefici; così l’Olivares cercò di non dare alla monarchia un carattere così castigliano, chiamando in maggior numero aragonesi, portoghesi ed italiani. Il processo di uniformità si pensò potesse avere inizio dalle armi, grazie a quel progetto che fu poi denominato “Unione delle Armi” che non trovò però nessuna rispondenza e rimase, effettivamente, solo sulla carta. 5. Cos’è l’unione delle armi? Era difficile trovare il modo di indurre le altre province a correre in soccorso finché restava in piedi la tradizionale armatura costituzionale della monarchia. In un momento in cui per tutta l’Europa le autorità centrali tentavano di consolidare il controllo sui propri sudditi e di sfruttare con maggior efficienza le risorse nazionali per un rafforzamento del potere dello Stato, l’Olivares scorse nella “castiglianizzazione” della Spagna l’unica soluzione ai suoi problemi. Il processo di uniformità si pensò potesse avere inizio dalle armi, grazie a quel progetto che fu poi denominato “Unione delle Armi” 6. Parla della morte di Duca di Mantova e cosa accade in Italia Una serie di malaugurati eventi ebbero per teatro l’Italia: nel 1627, con la morte del duca di Mantova, il candidato privilegiato era un francese, che avrebbe potuto significare un pericolo per la presenza spagnola nell’Italia settentrionale e a Milano. Il governatore di Milano, don Gonzalo de Còrdoba entrò quindi nel Monferrato e ci si trovò qui impegnati in una guerra con la Francia. La guerra di Mantova (1628-31) mancò l’obbiettivo, non riuscendo ad estromettere il candidato. Intanto i francesi riuscirono anche ad intercettare l’argento della Nuova Spagna e per la prima volta questo cadde in mano straniera. Queste circostanze obbligarono a scoprire e a sfruttare nuove fonti d’entrata e a mobilitare tutta la monarchia più energicamente a sostegno della guerra. 7. Quali furono le conseguenze? u necessario individuare mezzi complementari per arrecare denaro fresco al tesoro della Corona. Nel 1631 venne istituita un’imposta gravante sulle entrate del primo anno di ogni ufficio, chiamata media anata, mentre nel 1632 si ottenne il consenso papale ad una donazione straordinaria del clero spagnolo; si vendettero redditi della Corona, vendette titoli, vendette uffici e rimise in vita le antiche obbligazioni feudali dell’aristocrazia. Il governo di Lisbona si scisse in due fazioni rivali, quella di castiglia e quella portoghese, che resero impossibile il funzionamento della macchina amministrativa perché costantemente impegnate a farsi reciproci dispetti. Fu tuttavia nella Catalogna, ancor più, che l’Olivares ebbe i primi scontri. Lo scoppio della guerra con la Francia nel 1635 fece salire l’importanza strategica di questo territorio, per proteggere la metà orientale del confine spagnolo. Il conte duca si trovò nella posizione di chi doveva combattere partendo da una provincia di frontiera percorsa dal malcontento. Nel 1639 l’Olivares decise che il preventivato attacco spagnolo alla Francia dovesse muovere dal confine catalano; di fatto furono poi i francesi ad entrare nel territorio nel 1639 e questo divenne il pretesto opportuno per spingere i catalani a far parte dell’Unione delle Armi. Per sei lunghi mesi durò l’assedio e molti soldati disertarono. Si diede l’ordine di passare quindi sopra gli statuti catalani ogni qualvolta ne andasse di mezzo l’efficienza dell’esercito e lo giustificò dicendo che la suprema legge della difesa aveva la meglio sulle altre. Il principato si fece però sempre più riluttante alla collaborazione. Si fu sul punto di perdere un'altra regione. 8. Cosa succede nel 1640? Nel 1640 il conte duca si era convinto che l’Unione delle Armi fosse la carta migliore che avrebbe consentito la sopravvivenza della monarchia. Dopo i primi successi riportati nella guerra con la Francia, il più spettacolare dei quali fu l’invasione dalle Fiandre nel 1636, la Spagna aveva poi dovuto subire parecchi rovesci. A coronare la triste serie venne l’insuccesso dell’Armada che aveva tentato la conquista del Brasile, a favore invece delle forze olandesi. La carenza di capi prestigiosi fu una delle ragioni principali che spinsero l’Olivares a cercare il più presto possibile la conclusione della pace, che non era cosa facile da ottenere. Nel 1629 aveva fatto passi per concludere una tregua con gli olandesi, ma essi non vollero saperne. Intanto si erano intavolate anche trattative segrete con la Francia, ma il Richelieu aveva perso ogni interesse ad una conclusione immediata in vista di una Madrid: fino al 1640 era sempre stata la Castiglia ad intervenire nella vita della provincie periferiche, ora invece le provincie periferiche si erano determinate per dire la loro sugli affari di Castigliani. Don Juan Josè ebbe in realtà esitazioni ad assumere il potere supremo, così la regina consolidò il suo istituendo una guardia regia, nota come Guardia Chamberga, che pose agli ordini del marchese Aytona. Don Juan accettò invece la carica di viceré dell’Aragona. A Madrid il potere finì invece nelle mani di un avventuriero, Fernando de Valenzuela, figlio di un capitano dell’esercito. Nel 1675 Carlo II venne ufficialmente dichiarato re. Con il pronunciamiento del 1676 i grandi fecero comunella per esigere il richiamo di don Juan e questi cominciò a marciare su Madrid alla testa dell’esercito; la regina gli offrì allora il governo. Questo, proseguito fino al 1679, fu contrassegnato da delusione all’interno ed umiliazione sulla scena internazionale: Francia e Spagna erano tornate a farsi guerra a partire dal 1673 e il principale terreno di scontro era la Catalogna. Con la pace di Nimega nel 1678 si registrò un ulteriore scadimento della posizione internazionale della Spagna. Negli anni intorno al 1680, tra la morte di don Juan Josè e la caduta del suo successore, il duca Medinaceli, che le fortune della Castiglia toccarono il punto più basso, conoscendo il collasso totale di amministrazione ed economia. 2. Come muta la dinastia? Nel 1691 il conte di Oropesa, ministro dal 1685-91, perdette il potere e la sua caduta lasciò la Spagna senza un governo efficiente. Seguì uno strano esperimento amministrativo: la penisola venne divisa in tre grandi unità regionali, ognuna con un suo governo, basandosi sulla tripartizione medievale. Con l’ultimo decennio del Seicento il problema della successione spagnola si era fatto acuto. Carlo II non aveva avuto figli dal suo primo matrimonio e nemmeno dalla seconda moglie; le potenze europee si impegnavano intanto per intricate manovre per mettere le mani sul retaggio della Corona spagnola. Le seconde nozze di Carlo II avevano indotto Luigi XIV a dichiarare ancora una volta guerra alla Spagna; si ebbe l’invasione della Catalogna e la presa di Barcellona nel 1697, ma con il Trattato di Ryswick il re di Francia si volle mostrare generoso; suo obbiettivo era quello di assicurare d un esponente della casa di Borbone il trono della Spagna. Francia ed Austria speravano di assicurarsi tutta la preda, mentre Inghilterra e Provincie Unite miravano ad impedire che ciò succedesse. Con la pace di Ryswick tre erano i candidati al trono spagnolo e ognuno di essi aveva fautori a corte: il principe Giuseppe Ferdinando di Baviera, nipote di Margherita Teresa, figlia di Filippo IV; il candidato austriaco, l’arciduca Carlo, secondogenito dell’imperatore, appoggiato dalla seconda moglie di Carlo II; il francese Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV. Nel 1696 Carlo II si era dichiarato a favore del candidato bavarese e le grandi potenze giunsero così ad un accordo segreto nel 1698 per la spartizione dell’eredità spagnola fra i tra candidati. Ma nel 1698 Carlo fece testamento nominando suo erede universale il principe bavarese, ma questo morì improvvisamente ne 1699. Quindi Carlo si dimostrò disposto ad accettare la raccomandazione del suo Consiglio di Stato a favore del duca d’Angiò, nominandolo successore nel 1700. 3. Chi era Filippo V? Il duca d’Angiò, chiamato da quel momento Filippo V, fece il su ingresso a Madrid nell’aprile del 1701. Ma l’anno seguente Inghilterra, l’imperatore e le provincie unite dichiararono guerra alla Francia. Per qualche tempo la Guerra di Successione Spagnola (1702-1713), parve volgersi alla peggio per i Borboni, ma nel 1711 l’imperatore Giuseppe morì e gli succedette il fratello austriaco Carlo. Gli inglesi e gli olandesi si dichiararono disposti ad accettare la successione borbonica in Spagna, ma Filippo V doveva rinunciare ad ogni suo eventuale diritto di salire al trono di Francia, secondo il Trattato di Utrecht del 1713. 4. Come cambiò la situazione con il reggente Filippo V? L’impero della Spagna si ridusse ad un impero autenticamente e soltanto spagnolo, comprendente cioè i territori delle Corone di Castiglia e Aragona, oltre alle colonie americane della Castiglia. Si riorganizzò il governo e i Consigli iniziarono ad assumere forma e funzione di ministeri alla francese. I Borboni crearono uno Stato centralizzato di tipo moderno e nelle Cortes di Barcellona si produssero buoni risultati. Nel 1705 i catalani ottennero appoggio militare dall’Inghilterra e proclamarono re di Spagna il pretendente austriaco con il nome di Carlo III; così la guerra di Successione Spagnola divenne guerra civile. Ma il governo dell’arciduca si dimostrò presto incapace e Aragona e Valenza cedettero a Filippo nel 1707, essendo subito private delle loro leggi e dei loro privilegi. Si firmò nel 1713 con la Francia una pace, che la portò a lasciare la Catalogna al suo destino. I catalani resistettero fino al 1714, cosicché Filippo V divenne davvero re di Spagna, eliminando completamente le istituzioni catalane. La Nueva Planta del 1716 notificava La trasformazione della Spagna da un coacervo di provincie semiautonome in Stato centralizzato; al posto dei viceré andò in Catalogna un capitano generale. Il principato fu poi diviso in distretti amministrativi. Il Consiglio della Castiglia divenne il principale organo amministrativo del nuovo stato borbonico. Nei due secoli successivi si ebbe una separazione continua tra potere economico e potere politico. Il centro e la periferia si fronteggiarono in un antagonismo reciproco e gli antichi conflitti tra regioni diverse continuarono a persistere. 5. Parla del fallimento della Spagna Da quel momento la Spagna doveva far parte dell’Europa e, allo stesso modo, Aragona e Catalogna dovevano essere soltanto delle parti dell’unica Spagna. Il trapasso di uno Stati di tipo medievale ad uno stato moderno in Spagna non avvenne e questo fallimento si consumò proprio nel Seicento, nella sua seconda metà. L’effettiva divergenza tra la Spagna e gli altri paesi si produsse dopo la metà del secolo, nel momento in cui la crisi politica aveva raggiunto il culmine ed era poi passato, dopo il 1650 alcuni stati europei si erano incamminati verso una vita nuova, sfruttando razionalmente le possibilità economiche; questo periodo fu invece per la Spagna la fase più grave della stagnazione politica e culturale, in particolare in Castiglia. Il fatto che la Spagna si impegnasse in modo così pesante in guerre europee, proprio in un momento in cui la Castuglia si trovava priva di mezzi economici e di risorse demografiche che potevano assicurare speranza nel successo, non può essere addossata solo all’Olivares come colpa, ma ad una generazione e ad un’intera classe dirigente che tentò disperatamente di rinnovare le glorie imperiali del passato. Fu una delle tragedie della storia castigliana il fatto che al termine del regno di Filippo II la Castiglia si trovasse in una situazione tale da far ritenere possibile un suo adattamento alle nuove realtà economiche soltanto se avesse sacrificato i suoi ideali prediletti. In più, la purezza della fede, durante il regno di Filippo II, era venuta a coincidere con una ostilità di fondo alle idee e ai valori che, invece, stavano prendendo piede in talune parti d’Europa del tempo e questo aveva portato ad un parziale isolamento della Spagna dal mondo esterno. Ma la Spagna si trovò di fronte ad un problema anche più grave, quello della società pluri-razziale che creava un assillo permanente per l’identità nazionale e religiosa. E proprio quando il volto dell’europa stava mutando con rapidità inaudita, il paese che un tempo era stato in Europa la potenza egemone, dimostrò di essere privo del fattore necessario per sopravvivere: la volontà di cambiare. INTERVISTA GRUZINSKI 1. Perchè la storia? Serge crede che la storia sia uno dei mezzi possibili per capire le trasformazioni del mondo presente, particolarmente del mondo dell’800 e del 900, cioè di un mondo globalizzato. Dunque, non spiegare il presente grazia al passato, ma cercare nel passato degli strumenti o, piuttosto, una distanza per vedere in maniera più critica il mondo attuale, che non è solamente rappresenta dal mondo accademico, ma anche da altri mondi. 2. La scoperta dell’America Latina Ha cominciato a Parigi con degli studi di storia della Francia, di fatto ha fatto una cosa che si chiama l’ecole du chat(?), cioè una grande scuola francese che prepara nel suo paese gli specialisti, utilizzando anche molto il latino. Negli anni 70/71, allo stesso tempo, fuori l’accademia dell’università, scopre il cinema di altri registi latino-americani e, non appena ebbe dei soldi da parte, decise di viaggiare per l’America latina. Arrivando in Messico, rimase affasciato da questo paese, e decise di fare una tesi di dottorato sulla storia del Messico coloniale anziché studiare la storia della Francia. 3. Una formazione europea Spiega che mentre stava facendo questi studi cercando di orientarsi verso il mondo latino americano, il sistema universitario francese fa in modo che alcuni privilegiati possano passare del tempo di 1,2 o 3 anni nella scuola francese di Roma. Quindi, invece di cominciare gli sudi per la tesi subito e in Messico, decise di viaggiare da Parigi a Roma, e passò 2 anni a Roma lavorando intensamente negli archivi, scoprendo un altro mondo: quello italiano, scoprendo la letteratura italiana e una cultura molto forte in tutta Italia negli anni 70. Andò da Roma a Siviglia, un pò prima della morte di Franco, vivendo la tensione degli ultimi mesi del suo dominio. Dopo venne il viaggio in Messico, per 10 anni. L’esperienza in tutti questi territori lo aiutò a rendersi conto dei diversi ambienti, e trova molto importante si lo studio degli archivi, ma molto di più la relazione con il contesto di vita. 4. Il Messico e la colonizzazione dell’immaginario Arrivò quindi in Messico con un progetto di tesi che voleva studiare l’acculturazione dei popoli indigeni del Messico coloniale dal 500 all’800. L’acculturazione negli anni 70 è una parola importante, e per lui nel Messico c’era la possibilità di studiare una forma particolare di acculturazione, e vuole capire come gli Indios abbiano accolto i valori occidentali nella loro vita. Rimane sorpreso dalla presenza degli intellettuali messicani e dei loro studi antropologici e archeologici. Quindi il Messico non era solamente la terra dei vinti, degli Indios o dei montezuma che noi europei abbiamo sempre dato, ma un Paese come qualunque paese europeo. Cita molti colleghi validissimi e spiega che i loro nomi sono sconosciuti in europa, perché tendiamo a concepire il sapere in ottica eurocentrica del sapere e della scienza, che lo hanno aiutato a capire bene le varie vicissitudini complesse. osserviamo il 500, vediamo che ha un cambio forte: i paesi islamici hanno una dinamica di globalizzazione che non è cristiana o europea, in grado di conquistare territori che arrivano anche in Cina. Nel 500 abbiamo un’altra dinamica, molto più forte, che è la dinamica europea. Qui bisogna ricordare quello che diceva colombo tornando dalle isole dopo il primo viaggio, che con il denaro e le ricchezze delle indie i cristiani saranno capaci di riconquistare Gerusalemme e di finire con l’Islam. Nel momento della nascita delle Americhe c’è questo pensiero di pensare che questa può aiutare noi cristiani a distruggere le potenze islamiche. Nel mondo globalizzato di oggi, però, l’islam ha una funzione fondamentale, così fondamentale come la Cina, e lo storico può aiutare a capire questi scontri continui esplorando questo passato del 500, e vediamo che nelle colonie o i paesi dominati dalla Spagna, c’è costantemente la presenza non reale ma virtuale dell’islam: quando i cristiani spagnoli cristianizzano gli Indios, fanno moltissime cose, ma ciò che principalmente importa è mettere gli Indios contro l’islam, organizzando dei giochi che sono come delle guerre artificiali tra cristiani e mori. La scristianizzazione è una forma di spiegare agli Indios che come hanno il privilegio di diventare cristiani, loro devono anche condividere la lotta contro l’islam. 11. La globalizzazione del Cinquecento e la Cina Quando pensiamo a questa globalizzazione del 500 c’è, da una parte, la monarchia cattolica, parte importante dell’Europa, ma anche Asia, africa, l’oceano pacifico ecc. ma c’è anche l’islam, che occupa un’altra parte del mondo altrettanto importante, e che si trova anche in europa, ovvero l’impero ottomano, ma c’è anche la Cina. Non dobbiamo dimenticare che questa globalizzazione del 500 funziona costantemente tra 3 poli: una dinamica europea, iberica e italiana; un mondo islamico e il mondo della Cina. Non dobbiamo dimenticare la Cina: nonostante sia un episodio non tanto conosciuto, nell’anno in cui comincia la conquista del Messico, i portoghesi hanno il desiderio e la volontà di conquistare il sud della Cina e di colonizzarla. Fanno tutto per questa conquista e finalmente i cinesi si rendono conto rapidamente delle intenzioni dei portoghesi. I cinesi decidono di distruggere fisicamente tutto il gruppo dei conquistatori portoghesi. Noi dimentichiamo che se la parte americana è una parte di espansione, di colonizzazione e integrazione dell’America nell’ottica occidentale, dall’altra parte il fallimento è totale. Fino all’800 la Cina è la potenza più forte economicamente, industrialmente, politicamente del mondo, ed è importante ricordare che gli europei lo sanno. Vedono la Cina imperiale dei Ming come noi vediamo la Cina oggi, cioè economicamente molto più ricca, burocrazia moderna: si ha una visione più che positiva. L’unico difetto della Cina è che i cinesi non sono cristiani ma tutti pensarono che il processo di cristianizzazione potesse essere molto rapido. Gli europei vedono gli indios delle Americhe come dei barbari, con una visione razzista, che è distruttrice per queste popolazioni mentre i barbari, nella parte asiatica del mondo, sono i portoghesi. Cioè quando passiamo dal mondo dell’atlantico a quello del pacifico ed estremo oriente, la realtà è totalmente opposta. Oggi stiamo assistendo alla fine dell’occidentalizzazione, è un mondo che non ha più le forze per inventare. Lo specchio del 500 ci fa vedere si la cristianizzazione, ma anche l’Islam che non può accettare assolutamente la mondializzaizone cattolica, e questa Cina, che in quest’epoca occupa una fazione dominante nel pianeta. 12. Oltre l’eurocentrismo: ripensare la storia europea nei suoi legami con il resto del mondo C’è la possibilità di accettare che le nostre idee non sono universali, e non possiamo più imporre le nostre idee al resto del mondo o imporrare queste possibilità, però abbiamo la possibilità di ripensare alla storia europea costantemente attraverso i suoi legami con il resto del mondo, e ci sono tanti storici che possono aiutarci, come Bottero (del nord Italia) che scrive le relazioni universali capace di pensare con una visione cattolica, ma capace di pensare il mondo. Un altro storico italiano, ma del sud Italia, è Campanella, capace di pensare il mondo in visione cattolica ma anche in relazione all’Islam, vendo la possibilità di rivitalizzare una forma di scrittura del passato che costantemente conservano legami con tute queste connessioni della storia europea, pensando che sono queste connessioni che spiegano la storia dell’Europa e anche la maniera in cui possiamo considerare le relazioni tra i vari paesi e anche con le popolazioni, che arrivarono e che arrivano sempre più numerose sul territorio. Il passato europeo non può più essere solo una storia locale o nazionale, ma deve essere una storia molto più globale. 13. Locale e globale: gli orizzonti di una nuova storia europea Quando di pretende di fare una sobria globale, bisogna partire da uno spazio locale. Non è facile definire locale. Per es. per quanto riguarda l’Italia c’è un collegamento con la storia spagnola, ma c’è anche un collegamento con la Francia, perché per il re della Francia Milano doveva essere francese. Non possiamo, come europei o milanesi, dimenticare la relazione con la Spagna o con la Francia, perché fa di Milano parte di questa monarchia cattolica. La storia di Milano è molto più planetaria perché, come anche Napoli, fa parte di questo mondo già proto-globalizzato del 500. C’è anche poi la relazione tra Milano e il mondo germanico e austriaco. C’è una possibilità di far dialogare Milano con questi mondi esotici, e bisogna parlare delle cose che esistono localmente, e recuperando da lì le varie connessioni. Parla nel libro di una città importante, ovvero ROUBAIX. Roubaix, con Tourquoix e Lil nell’800. Roubaix è una delle capitali del mondo della rivoluzione industriale, come Manchester. In quest’epoca Roubaix è una città nella quale non arrivano unicamente i francesi per lavorare nelle fabbriche, ma anche i polacchi. C’è quindi un immigrazione molto forte. Per spiegare ai cittadini di Roubaix, cioè i nord africani, è importante restituire questa storia globale di Roubaix, che fu uno dei poli del centro della rivoluzione industriale con tutti i problemi dell’immigrazione, cioè che quando molte volte la gente bellica arrivava nelle fabbriche per lavorare, i francesi li hanno uccisi data la concorrenza al lavoro francese. Bisogna restituire tutti questi legami che la storia nazionale ha fatto sparire sistematicamente. Come europei, oggi non abbiamo il diritto di continuare con questa visione completamente mutilata, oggi siamo tutti europei e bisogna produrre una storia europea non chiusa, ma capace di pensare in maniera completamente critica tutti i legami che sono sati creati tra europa occidentale e le altre parti del mondo. 14. L’histoire, pour quoi faire?: considerazioni finali a partire da un’opera di Kader Attia Fotografia di un arco romano fatta da Kader Attia, nato nella periferia di Parigi ma i genitori sono algerini. Ci presenta questa fotografia: c’è un arco romano e dei bambini algerini che giocano a calcio. È interessante perché su questa fotografia è possibile fare tutto un discorso sulla storia globale, sulla storia africana, francese e italiana, perché l’arco romano rappresenta la presenza dell’impero romano che ha colonizzato il mediterraneo, e che fa parte della cultura europea con tutte le sue dimensioni civilizzatrici ma anche imperialistici, rappresentando la prima colonizzazione della zona. Il calcio è un’altra forma di mondializzazione: la Fifa è uno degli strumenti di mondializzazione più forti che esiste oggi, e che impone ovunque le stesse regole. Quest’arco si trova in Tasut(?), nella quale c’era il carcere per gli algerini che resistevano alla civiltà francese, ma dopo l’indipendenza dell’Algeria, il carcere non è stato chiuso ma è servito per eliminare gli oppositore del regime dell’Algeria indipendente. Questa fotografia ci parla della colonizzazione francese, ci parla anche di quello che possono condividere con noi italiani, ci parla del post-colonizzazione ma ci parla anche di una realtà più contemporanea.
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