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il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, Appunti di Diritto Commerciale

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1° luglio 2022 il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 con modifiche al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. Parte, quindi, il doppio regime: resta la legge fallimentare per le procedure già aperte, le nuove norme si applicano ai ricorsi di debitori e creditori dal 15 luglio 2022.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 24/05/2023

Sandrapolizzi
Sandrapolizzi 🇮🇹

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Scarica il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza e più Appunti in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1° luglio 2022 il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 con modifiche al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. Parte, quindi, il doppio regime: resta la legge fallimentare per le procedure già aperte, le nuove norme si applicano ai ricorsi di debitori e creditori dal 15 luglio 2022. Dopo quasi 5 anni dalla legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 nell’ordinamento concorsuale italiano tramonta la legge fallimentare. Al testo definitivo del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 si accosta in realtà, in un regime di coabitazione previsto per tutte le procedure sin qui aperte, la procastinata regolazione del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, essendo riservate le nuove norme, con vigenza dal 15 luglio 2022 e tendenzialmente, solo alle procedure di prossima instaurazione per la data prevista dall’art. 389 del codice della crisi e dell’insolvenza. Composizione negoziata e sovraindebitamento sono invece da subito inglobati nel codice della crisi. Il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, in Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1° luglio 2022 dà dunque l’avvio alla riforma. L’attraversamento delle relazioni economiche e della ricaduta per l’ambiente giudiziario di una situazione pandemica anche per la società italiana ha condotto il Parlamento a rivedere molteplici obiettivi di tutte le riforme ordinamentali domestiche, proponendosi di iscriverle nelle finalità del PNRR. Si tratta di finalità, e prima ancora di un clima, che – a prima impressione – non hanno inciso più di tanto sul nucleo ideologico dell’ultimo codice. Avendo il legislatore dell’emergenza agito già nel 2020 sui termini di adempimento e l’efficacia definitoria delle crisi scegliendo il provvisorio differimento delle soluzioni più drastiche, una qualche eco della ritrovata ordinarietà trova piuttosto traccia in analoghi strumenti di rinvio, secondo una più tradizionale tecnica di aggiramento dei nodi problematici. Così, ciò che è sopravvissuto al progetto delle misure di allerta, vale a dire le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati, ai sensi dell’art. 25 novies CCII non riguarderà le situazioni di sofferenza esistenti: fermi i ritardi qualificanti le morosità del debitore, INPS ed INAIL vi procederanno, rispettivamente, per i debiti accertati al 1° gennaio 2022 ovvero a decorrere dalla stessa entrata in vigore del codice; Agenzia delle Entrate farà riferimento ai debiti risultanti dalle comunicazioni periodiche del primo trimestre del 2022; Agenzia delle Entrate-Riscossione procederà sui carichi affidati a decorrere dal 1° luglio 2022. Ma si tratta di interventi già noti, che rafforzano un giudizio di generale estraneità del nuovo corpus normativo sulla crisi d’impresa ai poderosi rivolgimenti discussi, deliberati e perseguiti da tutte le altre leggi nazionali: il paradosso è che il varo del CCII è narrato come risposta a generiche esigenze di riforma e però inserito in un pacchetto di interventi che, apparentati al PNRR, si interfacciano con la riforma concorsuale unicamente per la occasionalità temporale. La riforma del CCII, nonostante il doppio incubatore (la legge delega del 2017 e la Direttiva UE del 2019) e la lunga gestazione, non evidenzia alcun segnale su punti qualificanti della ripresa e resilienza italiane quanto a promozione dell’innovazione tecnologica, coesione sociale, sostenibilità ambientale delle imprese ed emancipazione dalle energie fossili, transizione ecologica, contrasto all’evasione fiscale e contributiva, lotta alla corruzione e contendibilità concorrenziale delle aziende. Anche i continui avvicendamenti definitori (come per la nozione di crisi, alla lett. a) dell’art. 2, comma 1 CCII, ora lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi) o la tormentata vicenda dell’adeguatezza delle misure e degli assetti funzionali alla rilevazione tempestiva delle difficoltà (l’art. 3 CCII è interamente sostituito) esprimono un’esperienza redazionale avulsa dall’attualità dei disegni riformatori. Così, non si fa alcun tesoro, ad esempio, della stabilità definitoria che, sugli stessi punti, ha raggiunto da tempo l’assetto delle società a partecipazione pubblica: l’art. 14 D.Lgs. 19 agosto 2016, n. 175 prescrive – in sequenza e con condivisile nettezza – la redazione di specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e la informazione all'assemblea (art. 6), la adozione senza indugio di provvedimenti necessari per prevenire l'aggravamento, correggere i suoi effetti ed eliminare le cause con un piano di risanamento, in mancanza di provvedimenti determinandosi gravi irregolarità ai sensi del 2409 codice civile (art. 14), con la previsione che nessuna operazione sul capitale, anche di ripianamento delle perdite,costituisce provvedimento adeguato, a meno che l'intervento non si accompagni ad un piano di ristrutturazione aziendale con concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico. Inoltre, nonostante le obiettive agevolazioni normative concesse alle iniziative unilaterali del debitore implicanti sacrifici sempre più rilevanti per i creditori, che subiscono regole di funzionamento proprie di una comunità ad inserzione non volontaria, nella legislazione sulla crisi d’impresa resiste quale valore totemico la continuità aziendale, astrattamente postulata, del tutto scissa dalle caratteristiche del suo agire e dal suo oggetto. L’impronta ideologica si manifesta oltretutto nella distanza da ogni collegamento con la possibile declinazione sociale dell’attività d’impresa, ai sensi dell’art. 41 Cost., ignorato anche nel suo recente aggiornamento diretto della legge costituzionale n. 1 del 2022 che ha aggiunto alla tutela di sicurezza, libertà e dignità umana l’impossibilità della iniziativa economica di svolgersi in danno della salute e dell’ambiente, mentre l’art. 9 si completa con la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni (così equiordinando l’ambiente al paesaggio). Il passaggio, epocale, è non solo nel favor per le imprese green, ma anche nel vincolo sostanziale a non impegnare o consentire che siano degradate risorse naturali secondo il criterio della posterity provision. Anche poi a voler assumere quali soli parametri decisivi sulla giustizia la durata dei processi e la loro efficienza, il CCII conferma quell’investimento ideologico pregiudiziale sulle capacità dell’imprenditore di riorganizzare la propria crisi senza però spingere più a fondo sulle leve di una emersione precoce, il punto debole imprenditorial-professionale domestico da più parti oramai censito e rendicontato. Finendo così con il sacrificare l’altro polo delle relazioni di mercato, il credito, per il quale le differenziazioni tendenzialmente solo organizzative nel processo tradiscono l’accettazione dello status quo, con ingenti masse passive concentrate per lo più o sistematicamente sui debiti di matrice pubblicistica. Nel frattempo, come noto, l’allerta interna è stata sostanzialmente depotenziata quale procedimento idoneo a culminare in una emersione affidata, in caso di inerzia e sostanziale disattesa di ogni indicazione ad assumere iniziative, alla segnalazione, per il tramite del P.M., al tribunale. E, più strutturalmente, l’art. 6 del D.Lgs. n. 83 del 2022 vi sostituisce la composizione negoziata della crisi, la piattaforma unica nazionale, il concordato semplificato e appunto un restyling delle segnalazioni per la anticipata emersione della crisi: si tratta del trapianto, con alcuni aggiustamenti, degli istituti già varati o modificati con il decreto legge numero 118 del 2021. La composizione negoziata della crisi, in particolare, diventa la stabile figura di regolazione alternativa e preventiva rispetto a quella giudiziaria, esplicitamente volta a ristrutturare tanto la crisi come la insolvenza dei debitori che, con larga accessibilità, ora possono ricorrervi. Continua perciò l’esperienza dell’esperto nominato dalla commissione costituita presso le camere di commercio e con l’intervento giudiziale previsto in sede di strutturazione delle misure preventive con cui l’istanza esordisca ovvero di concessione delle misure cautelari, nonché autorizzazioni agli atti d’impresa indebitanti o di cessione aziendale. Posto che il decreto n. 83 del 2022 esplicitamente attualizza la Direttiva (UE) 1023/2019 sarà interessante verificare se i dubbi da tempo sorti circa la compatibilità degli strumenti di regolazione dell’insolvenza con i vantaggi e le tutele offerte al debitore dalla disciplina europea si concilino con una situazione oggettiva diversa da quella che, in apparenza, era sembrata presupposta dalla direttiva, per come rivolta – secondo alcuni commenti - non ad ogni debitore bensì a coloro che sono in situazioni di temporanea difficoltà e dunque con prospettive di reversibilità o di paralisi dell’insolvenza. Il primo considerando recita che, senza pregiudicare i diritti e le libertà fondamentali dei lavoratori, la direttiva mira a rimuovere gli ostacoli all'esercizio delle libertà fondamentali, quali la libera circolazione dei capitali e la libertà di stabilimento, per come derivano dalle differenze tra le legislazioni e procedure nazionali in materia di ristrutturazione che, in concreto, dipenderà dalla motivazione che, avanti al giudice del merito, inaugurerà la valorizzazione della pendenza contrattuale come bonus economico a sé stante. Per l’art. 112 CCII in caso di concordato in continuità aziendale, occorre che tutte le classi abbiano votato favorevolmente, che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori. L’art. 120 bis CCII dispone poi che l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza è deciso, in via esclusiva, dagli amministratori unitamente al contenuto della proposta e alle condizioni del piano. La relativa decisione deve risultare da verbale redatto da notaio, è depositata e iscritta nel registro delle imprese, mentre la domanda di accesso va sottoscritta da coloro che hanno la rappresentanza della società. Gli amministratori però devono riferire ai soci dell’avvenuta decisione e, fino all’omologa, sono protetti da iniziative di revoca, se non per giusta causa. Un cenno a parte merita la nozione di procedimento unitario, già disegnata nella legge n. 155 del 2017 all’art. 2 comma 1 lett. d) per l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza, con caratteristiche di particolare celerità, anche nella fase del reclamo e completata, dalla lett. g), indicando la priorità di trattazione, salvo i casi di abuso, alle proposte del debitore implicanti il superamento della crisi con la continuità aziendale: con il vincolo del miglior soddisfacimento dei creditori e la valutazione di convenienza illustrata nel piano, si destinava la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta una idonea soluzione alternativa. Anche il decreto attuativo replica la formula del procedimento unitario, declinato con riguardo agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolenza e alla liquidazione giudiziale, raccordandosi così e di più, da un punto di vista sistematico, al lessico fatto proprio dalla Direttiva. E pertanto la domanda di accesso di cui allart. 40 CCII resta identica nella formula organizzativa, con alcune specificazioni che si propongono di meglio coordinare la gerarchia sopra richiamata, cioè la preferenza per gli istituti diversi dalla liquidazione, finché è possibile. Così, se già pende un procedimento di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, la domanda di apertura della liquidazione giudiziale va proposta nello stesso e fino alla rimessione della causa al collegio per la decisione, con onere di riunione, anche d’ufficio, se consti che la domanda sia stata inoltrata separatamente. Il che porrà il tema della esatta individuazione della competenza territoriale, ove le domande siano in ipotesi state indirizzate dal debitore all’ufficio della sede legale e dal creditore o dal P.M. a quello della sede ritenuta effettiva. Altra criticità, che non risulta superata nella nuova versione dell’art. 27, comma 1 CCII, concerne la coabitazione tra domanda di concordato o d’insolvenza per le imprese destinate ad essere assoggettate alle amministrazioni straordinarie ma ancora senza una procedura aperta. Il limite temporale posto dall’art. 40 comma 9 CCII (fino alla rimessione della causa al collegio per la decisione), tuttavia, sembra bloccare in termini di apparente inammissibilità la domanda di liquidazione ove l’iniziativa sia successiva: c’è l’indubbio vantaggio di cristallizzare il risultato istruttorio, ma con il rischio che casi clamorosi di insolvenza rappresentata più tardi vengano ignorati, nel nome di una scelta regolatoria modellata sugli schemi del contenzioso ordinario e poco coerente con le esigenze dell’istruttoria in materia. Senza contare che dal momento di rimessione al collegio (terminologicamente importando una locuzione altrove meglio formalizzata) fino alla pubblicazione della decisione potrebbe darsi un intervallo anche assai significativo e pare poco utile precludere almeno la retrocessione ad una fase istruttoria. È tutto da vedere, poi, se per iniziativa proposta s’intenda il deposito della domanda di liquidazione ovvero il compimento del suo ciclo di garanzia nell’integrare il contraddittorio: nel secondo caso verrebbero ignorate le istanze, benché note all’ufficio ma non ancora al debitore. Opzione ermeneutica ragionevole, che richiama il precetto dell’unitarietà del procedimento, induce a preferire la prima tesi, imperniata sulla sussistenza di un rapporto processuale con l’ufficio già instaurato, anche perché il debitore dovrebbe già conoscere ogni iniziativa che lo riguardi e abbia trovato sbocco in un atto depositato o svolto all’udienza. Se invece già pende un procedimento per la apertura della liquidazione giudiziale a cura di un soggetto che non sia il debitore, la domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza cui questi voglia addivenire va ancora trattata nello stesso, ma ne viene regolata la decadenza, se l’iniziativa non interviene entro la prima udienza, con ogni conseguenza di riunione qualora proposta tempestivamente. Si tratta di una timida vicenda acceleratoria, tra le non molte del CCII. Così che, dopo la prima udienza, la domanda in realtà non è più proponibile in via autonoma se non da quando vi sia stata conclusione del procedimento per la apertura della liquidazione giudiziale, ovviamente con esito reiettivo dell’iniziativa del terzo. Tuttavia, la citata preclusione decadenziale non si applica se la domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza è proposta all’esito della composizione negoziata, entro sessanta giorni dalla comunicazione di cui all’articolo 17, comma 8. Il clima della riforma, a sua volta, spiega il ritorno di uno strumento (analogo al concordato con riserva ed anzi più ampio) anticipatorio e dai medesimi effetti dell’attuale art. 161 comma 6 l.fall., potendo anche in futuro il debitore riservarsi il deposito della documentazione nel termine che gli sarà concesso dal tribunale, ai sensi del novellato art. 44 CCII. Il rinvio esplicito alla domanda dell’art. 40 e alle due ipotesi di una domanda di liquidazione giudiziale pendente e non pendente sembrerebbe trascinare anche per la domanda con riserva lo stesso limite decadenziale della prima udienza. Nella constatazione che né i giudizi di omologazione, né le impugnazioni appaiono accogliere ulteriori segnali di accelerazione procedimentale, ricalcando un’organizzazione che, nella sostanza, non si discosta dall’attuale regime, è d’interesse infine la novella all’art. 53 CCII che, per l’ipotesi di concordato con continuità aziendale la cui omologazione sia stata revocata per effetto di reclamo accolto, introduce un’inedita stabilizzazione della procedura. La corte d’appello può infatti, su richiesta delle parti, confermare ciononostante la omologazione se essa corrisponda all’interesse generale dei creditori (nuova formula lievemente diversa dal miglior interesse dei creditori) cui si affianca quello dei lavoratori (in omaggio alle protezioni della Direttiva) in una relazione di prevalenza rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, cui va riconosciuto in tal caso il risarcimento del danno. La fattispecie, nella sostanza, bilancia la continuità aziendale con un netto favor, ma apre il giudizio di reclamo ad una litigiosità nuova in punto di accertamento del danno e della sua quantificazione, lasciando intendere – secondo una tesi - che la sua liquidazione avvenga da parte dello stesso giudice d’appello. Resta tutta da costruire l’istruttoria di un simile accertamento rispetto alla celerità che dovrebbe ispirare anche il giudizio di reclamo, nonché il varo di uno strumento condannatorio che assicuri al reclamante vittorioso nel merito la sicura esazione del credito riconosciutogli, difficilmente eludendo esso una veste prededuttiva, con ennesima fonte di conflitto ripartitorio con la massa degli altri creditori e comunque oggetto di capo della sentenza, sembrerebbe, autonomo e dunque impugnabile per conto proprio su ogni suo elemento fondativo. In alternativa, se il giudice del reclamo si limita ad un mero riconoscimento del credito risarcitorio, la sua quantificazione dovrebbe avvenire in un giudizio ancora diverso, così non pregiudicando la sorte del concordato, ma comprimendo l’immediatezza satisfattiva dell’interesse del reclamante vittorioso, rinviato ad altro giudice ordinario.
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