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Il papato nel medioevo - Azzara, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto del libro "Il papato nel medioevo" di Azzara

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Il papato nel medioevo - Azzara e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Il papato durante il medioevo Il papato nel Tardo Impero Romano 1. Gli sviluppi dell’istituzione papale nell’impero romano cristiano Già dal II secolo, alla sede episcopale di Roma veniva riconosciuta una primizia onorifica fra le diverse e numerose diocesi. Autori come Tertulliano e Cipriano, sulla base di argomenti desunti dal Nuovo Testamento e facendo perno sulla figura centrale di S. Pietro, il primo tra gli apostoli e il primo vescovo di Roma, aveva attribuito alla chiesa romana un primato morale e un ruolo di guida complessiva nelle questioni dottrinali. Con l’Editto di Milano del 313, gli imperatori Costantino e Licinio riconobbero le comunità cristiane, che furono rese libere di professare la loro fede al pari di tutti gli altri culti religiosi della respublica romana. La chiesa cristiana non solo non subì più alcune violenza, ma divenne persona giuridica fisica secondo la legge dello stato, conseguì precisi diritti in ambito patrimoniale e privilegi quali l’esenzione dai gravami pubblici e dalla giurisdizione dei tribunali imperiali. Roma, sotto Costantino ebbe anche un forte impulso edilizio, vi fu l’erezione di una nuova chiesa accanto al palazzo del Laterano e la costruzione di una nuova basilica in Vaticano. L’Urbe nella seconda metà del IV secolo completò il proprio processo di cristianizzazione. Costantino donò alla chiesa cospicui quantitativi di arredi sacri e notevoli proprietà fondiarie, non solo in Italia ma anche al di fuori della penisola (Gallia meridionale fino all’Africa). Il Concilio di Serdica del 343 riconobbe una funzione primaziale al vescovo di Roma, in quanto successore di Pietro. L’ascesa della fede cristiana, e delle istituzioni ecclesiastiche, si perfezionò con l’Editto di Tessalonica del 380, emanato dall’imperatore Teodosio, che proclamò il cristianesimo unica religione ammessa. I vescovi di Roma , a partire dalla fine del IV secolo e almeno fino alla metà del V secolo (tra il pontificato di Damaso e Leone I) si impegnarono in una vasta azione di consolidamento istituzionale e organizzativo messa a punto concettuale del proprio ruolo specifico e delle proprie prerogative. Si donò di “scinia”, uffici modellati su quelli imperiali, dove operavano i notarii, e di archivi importanti per la conservazione di tutta la documentazione. Papa Damaso fu il primo a denominare la chiesa di Roma “sedes apostolica”, in quanto data dagli apostoli Pietro e Paolo, che a Roma avevano subito il martirio, facendo discendere da ciò una posizione di primato, della propria sede episcopale, dal momento che nessun’altra chiesa poteva vantare un’origine altrettanto eccellente. Nel Concilio di Roma del 382 viene proprio affermato il primato dell’Urbe. Damaso si fece anche promotore della tradizione della Bibbia latina, affidando questo compito a S. Girolamo, l’esito fu la Vulgata. Sulla scorta della Bibbia latina e del suo valore di legge per i cristiani fra il IV e V secolo si consolidò il principio secondo cui il papa era il successore di diritto di S. Pietro . Si affermava che Cristo aveva conferito in termini giuridici a Pietro dei poteri, che passavano poi di diritto, come un’eredità, ai legittimi e unici successori di costui, i vescovi di Roma. Siricio per comunicare con le autorità ecclesiastiche introdusse un tipo di lettera denominata “decretale” perché modellata sui decreta o responsa imperiali. Con questo genere di scritti il pontefice intendeva fornire un giudizio di autorità definitiva e di valore universale sui casi che di volta in volta gli venivano sottoposti. La più antica decretale è del 385, fu indirizzata ai vescovi della penisola iberica. Siriaco in questa si dichiarava erede di Pietro e, citando proprio sostegno l’autorità di S. Paolo (II Corinzi), affermava che su di lui ricadeva il peso di tutte le chiese. Il lungo processo di definizione concettuale del primato conobbe il suo perfezionamento durante il pontificato di Leone I o Magno (440-461). Leone coniò la formula per cui il pontefice era “l’indegno erede di S. Pietro”, il che significava che il vescovo di Roma succedeva come erede all’apostolo nella totalità dei suoi poteri, nel suo “ufficio”, anche se non nello status personale, irriproducibile. Il papato tramite un’elaborazione teorica sempre più consapevole e argomentata, avanzava la pretesa di essere l’organo di governo supremo dell’intera comunità cristiana, per volontà di Cristo e avendo come scopo quello di condurre i cristiani alla salvezza eterna. Il suo primato giurisdizionale sulla chiesa e sull’insieme dei fedeli era definito con il termine romano imperiale di principatus, un potere monarchico di origine divina. In campo ecclesiastico, l’autorità dei papi si esercitò in modo alquanto debole nelle regioni orientali dell’impero. Il Concilio di Efeso del 431 propose il primato del vescovo di Roma, in quanto successore e locum tenens di Pietro. Fu risposto con il Concilio di Calcedonia del 451 con il principio secondo cui il rango politico di una città ne determina anche quelle ecclesiastico, con un evidente vantaggio per Costantinopoli. Nel VI si deve all’imperatore Giustiniano l’attribuzione a Roma del ruolo di una delle cinque sedi episcopali che condividevano il rango di apostolico, con Costantinopoli, Gerusalemme, Alessandria e Antiochia. Scandalosa fu la ridotta partecipazione dei vescovi occidentali ai concili ecumenici del IV-V secolo (papa incluso) sul grande dibattito teologico intorno alla natura di Cristo. Lo scontro di Roma con il patriarca di Costantinopoli, per ragioni di dottrina, ma con sullo sfondo il problema della primizia, conobbe più riprese , anche aspre, come in occasione della reciproca scomunica nel 484 fra papa Felice III e il patriarca Acacio. Lo scisma tra le due chiese fu superato sol nel 519, durante il pontificato di Ormisda, grazie alla mediazione diretta dell’imperatore Giustino. Anche in Occidente non mancavano episcopati che si proponevano come concorrenti di Roma o non accettavano di esserle subordinati (Aquileia, Ravenna..). Dopo la deposizione dell’ultimo imperatore d’Occidente Romolo nel 476, il papato si trovò in dipendenza diretta dall’aristocrazia senatoria. L’incremento del patrimonio della chiesa di Roma derivava proprio dalle loro donazioni. Nel corso del VI secolo il papato rimase pericolosamente coinvolto nelle lotto tra le diverse fazioni del ceto senatorio. Il vescovo di Roma veniva eletto “dal clero e popolo” ma un ruolo predominante in tale scelta era anche svolto dalle famiglie eminenti. Si verificarono perciò non pochi casi in cui le lacerazioni interne all’aristocrazia portarono alla contrapposizione di candidati diversi, come nel caso dello “scisma laurenziano” (498-506). Furono eletti due papi Lorenzo e Simmaco, prevalse il secondo e Lorenzo finì per essere inserito nel catalogo degli antipapi. I pontefici dei primi sei secoli furono per nascita in massima parte romani o italici, una piccola minoranza fu occidentale (africani o iberici) e meno di una decina furono greci. Simmaco fu il primo papa a risiedere in Vaticano, poiché Lorenzo si era appropriato del Laterano, facendo costruire nuovi edifici di abitazione e di servizio. La principale testimonianza e fonte è il Liber Pontificialis: collezione di brevi note biografiche dei papi a partire da S. Pietro, compilata nel Vi secolo sulla base di cataloghi preesistenti e da allora continuamente aggiornata con le vite dei pontefici successivi (fino al XV secolo), redatte poco dopo la loro morte. Bisognava stabilire anche i confini tra impero e chiesa e i loro ruoli: Lo Speculum di Costantino, scritto da Eusebio di Cesare (260-339 ca.), postulava il dovere per l’imperatore di intervenire in ambito religioso ogni volta che gli apparisse necessario per la difesa della pax e dell’unitas della chiesa, e dunque anche dell’impero. Furono determinate un intreccio di competenze e di occupazioni che rendeva impossibile qualsiasi distinzione tra la sfera laica e quella ecclesia sica. Si desiderava però precisare i termini di corretto svolgimento del complesso e ambiguo rapporto fra il pontefice romano e il princeps. Il papa Gelasio I introdusse una definizione che ebbe grandissimo successo. Gelasio delineò una collaborazione “alla pari” nell’opera di governo del mondo cristiano tra la regalis potestas e l’aucotiritas sacrata pontificum, vale a dire tra le due realtà universali dell’impero e papato. Solo Cristo aveva potuto essere allo stesso tempo re e sacerdote: i due officia dovevano necessariamente mantenersi separati in due figure distinte, chiamate a cooperare con impegno serrato e costante per il bene comune e la salvezza spirituale dell’insieme dei sudditi dell’impero cristiano. Tuttavia, un’inevitabile ambiguità insista nel dettato gelasiano favorì a posteri, soprattutto nel XI secolo, una sua interpretazione “estensiva” tesa a esaltare la superiorità del papa sull’imperatore, poiché Gelasio utilizzò il vocabolo “auctoritas” in riferimento al papato, termine che aveva un valore superiore al “potestas”, termine utilizzato in riferimento all’imperatore. Proprio a partire dal pontificato di Gelasio il titolo onorifico di “papa”, in precedenza portato in modo indistinto da tutti i vescovi, cominciò ad associarsi in esclusiva al vescovo di Roma. Egli aveva sempre più Gregorio I tentò anche di rendere più efficiente l’amministrazione dei patrimoni della chiesa romana, cospicui ma territorialmente dispersi a causa della provenienza eterogenea delle donazioni della aristocrazia tardo romana dei propri beni su tutto il bacino del mediterraneo, anche in aree lontane tra loro. Il papato cercò di favorire una concentrazione di tale complesso patrimoniale (patrimonum sancti o beati Petri). Nel corso del VIII secolo questi beni vennero ulteriormente riorganizzati, concentrati in veri e propri dominazioni territoriali dei pontefici. A ogni singola proprietà del patrimonium era preposto un rector. Vi era la necessità di garantirsi un gettito adeguato dai beni in questione, soprattutto per il regolare approvvigionamento alimentare della città di Roma. Dopo la morte di Gregorio Magno, per il corso di tutto il VII secolo, la sede pontificia patì una discontinuità d’azione dovuta al succedersi di ben 20 papi diversi nell’arco di anni compresi tra il 604-701. Un rinnovato interventismo del princeps nel campo della definizione del dogma cristiano inasprì la conflittualità tra il papa e il monarca, al quale era sempre attivo il patriarca di Costantinopoli. A partire dal regno di Eraclio si produsse un estremo tentativo di riassorbire il secolare dissenso monofisita. Nel 638 il patriarca constantinopolitano Sergio ispirò al princeps un documento, l’Ekthesis, che cercava di aggirare la formula caledoniana delle due nature di Cristo, introducendo il concetto di un’unica volontà del Redentore. All’Ekthesis si oppose decisamente Roma, nel 649 una sinodo fu convocata in Laterano, respinse l’atto che il successore di Eraclio, Costante II, aveva emesso per vietare ogni ulteriore discussione sull’argomento; l’imperatore rispose facendo deportare in Crimea papa Martino I che finì i suoi giorni in esilio. Il superamento della controversia fu sancito nel VI concilio ecumenico di Costantinopoli del 680-681, con il pieno riconoscimento della forumula di Calcedonia. Papa Sergio I rifiutò poi di accettare i deliberati del nuovo concilio Quinisesto, l’imperatore Giustiniano II allora cercò di replicare il colpo di mano di Costante II con Martino I, non riuscì però per via dell’intervento dello stesso esercito esarcato in difesa del pontefice > Questo evento segna come l’impero spostò sempre più il suo baricentro verso Oriente, lasciando le sue province occidentali libere di sperimentare forme di crescente autonomia dal governo centrale, con un parallelo processo di militarizzazione di radicamento locale dei gruppi dirigenti. Alla metà del VIII secolo, soprattutto durante il regno di Liutprando, la pressione dei longobardi verso le regioni centrali della penisola aumentò. Nel 750-751 un successore di Liutprando, Astolfo, prese in modo definitivo la città di Ravenna > papa Stefano II, nel timore che i longobardi si dirigessero verso Roma, non più difesa dall’esercito esarcato e impossibilitata nel contare sulla difesa dell’impero, si rivolse al re dei franchi Pipino, da cui si recò personalmente nel 754 a Ponthion. Stefano II chiedeva l’intervento dei franchi affinché restituissero, non a Costantinopoli, ma a Roma il patrimonium beati Petri. Per la dinastia franca di Pipinidi accogliere l’appello pontificio significò garantirsi un’indispensabile legittimizzazione, tanto più necessaria visto che erano saliti al trono rovesciando i Merovingi. L’invito ai franchi fu ripetuto più volte anche da papa Paolo I e Stefano III. Mentre si svolgeva l’avvicinamento politico tra il papato e il regno franco , la divaricazione fra Roma e Costantinopoli venne drammaticamente alimentata nel corso del VIII secolo. I durissimi scontri culminarono nella tempesta dell’iconoclastia. Nel 726 l’imperatore Leone III Isaurico si pronunciò pubblicamente contro il culto delle immagini sacre, una pratica assai diffusa e profondamente radicata nel mondo cristiano. Questo poiché subì influenze dalle correnti cristiane fautrici di un rigoroso spiritualismo, dalle suggestioni ebraiche e mussulmane contrarie alle raffigurazioni del sacro. Ciò portò allo scontro tra l’impero e Gregorio II, sostenuto dal patriarca di Costantinopoli, Germano. Nel 730 il culto delle immagini sacre venne proibito per editto e fu avviata la persecuzione degli iconoduli. Germano venne deposto e il papa fu minacciato della stessa sorte, ma in Italia vi fu una reazione corale a tutela del pontefice: gli eserciti imperiali respinsero gli ordini provenienti dalla capitale, gli stessi longobardi si schierarono con Roma. Il successore di Leone, Costantino V, ogranizzò un concilio che condonasse in via definitiva il culto delle immagini. Si svolse nel 754, fu presieduto dall’imperatore e in assenza delle delegazioni romane e di molte altre, si pronunciò all’unanimità a favore dell’iconoclastia. Il suo successore Leone IV ebbe un atteggiamento più moderato e in seguito l’imperatrice Irene, reggente del figlio Costantino VI, si adoperò addirittura per il reintegro dell’adorazione delle immagini sacre. Nel 787 i VII Concili ecumenico di Nicea ripristinò le legittimità del culto delle icone. 2. Il papato nell’impero dei franchi Il timore dei pontefici per l’aumento della pressione longobarda sull’Italia centrale raggiunse il suo culmine dopo l’avvento al trono nel 756 di Re Desiderio, che rafforzò il proprio controllo sui ducati di Spoleto e Benevento e giunse perfino a intromettersi nelle elezioni papali alla morte di Paolo I. Il precipitare degli eventi indusse Carlo Magno nel 774 a discendere in Italia e sconfiggere Desiderio, inglobò però nei propri territori l’intero regno longobardo. Carlo non mantenne la promessa al pontefice, inglobò Ravenna, Venetia, l’Histria e Spoleto. I papi continuarono a esercitare diritti di sovranità solo su un ambito che corrispondeva all’odierno Lazio. La formazione nel cuore del continente europeo del vasto dominio carolino (che andava dalla Gallia, all’Italia e all’odierna Germania) assicurò al papato un punto d’appoggio imprescindibile per diffondere l’evangelizzazione e per ribadire la sua pretesa al ruolo di guida della cristianità latina. Nella notte di Natale del’800 Leone III incoronò Carlo Magno imperatore, l’impero franco si propose subito quale erede dell’antico impero romano cristiano. La nascita di un nuovo impero in Occidente richiese anche una rielaborazione teorica del tradizionale rapporto tra l’autorità pontificia e il potere politico, il papa fu il medium attraverso il quale vennero formulati e tradotti in concreto i principi dell’imitatio e quindi della translatio imperii. Con Carlo Magno venne riprodotto il tradizionale modello di una chiesa imperiale, con il monarca franco ormai sostituitosi al princeps di Costantinopoli. Ne risultò però un equilibrio complicato e ambiguo, con la simbiosi a tutti i livelli fra il potere laico e quello ecclesiastico. Malgrado Carlo affermasse che le istituzioni ecclesiastiche erano sottoposte alla sua protezione e potere, fu in realtà il papa ad assumere un crescente controllo di tutta la chiesa occidentale. Proprio in età carolingia venne prodotto il notissimo falso, la Donazione di Costantino, largamente sfruttato dai pontefici fino al Quattrocento, quando Lorenzo Valla riconobbe la sua falsa natura. Questo documento pretendeva che l’imperatore Costantino avesse donato al pontefice Silvestro I, con il palazzo Laterano e la città di Roma, tutta la pars Occidentis dell’impero romano. Il rafforzamento della posizione del papa all’interno della chiesa occidentale fu favorita da diverse iniziative missionare in Assia, Turingia, Alemannia e Frisia, in concomitanza con la conquista militare di questi territori. Già nella prima metà del VIII secolo Carlo Martello ei suoi successori avevano sostenuto l’azione missionaria nel cuore della Germania del monaco anglosassone Wynfrid-Bonifacio. Il processo di “romanizzazione” della chiesa locali fu ripreso e incrementato poi anche da Carlo Magno, che impose ovunque il rispetto del modello romano per i riti, l’adozione dei libri liturgici usati a Roma, l’osservanza della regola benedettina in tutti i monasteri.. Lo scopo dell’imperatore era quello di normalizzare la fede, le attività pastorali e l’organizzazione interna delle chiese e dei monasteri nella totalità dei suoi territori per conseguire l’integrazione politico-culturale. L’intero corpo ecclesiastico occidentale si andò così coordinando attorno alla sede di Pietro. Al contempo, grandi patriarcati che per prestigio avevano rivaleggiato con Roma in epoca anteriori, come Alessandria o Antiochia o Gerusalemme, erano stati travolti dall’avanzata dell’Islam nell’Asia Minore e in Nordafrica, venendo meno alla funzione precedentemente svolta. Dagli anni Sessanta del X secolo vi fu poi l’evangelizzazione della Polonia, Boemia, Moravia, Pannonia e delle province balcaniche abitate dai croati e sloveni, mentre l’evangelizzazione latino-cattolica avvenne nelle regioni scandinave a partire dal IX secolo. L’evoluzione culturale avvenne anche tramite la riscoperta di testi di teologia, agiografia e della storia della chiesa. Il potere che i Carolingi garantirono agli arcivescovi sui loro suffraganei indusse molti di questi a cercare di difendere la propria residua autonomia collocandosi sotto la diretta protezione di Roma, preferibile a quella assai più vicina e presente. Risalgono alla metà del IX secolo i Decretali pseudo-isidoriane: si tratta di materiali inventati, apocrifi e falsificati, la cui autenticità non venne però mai messa indubbio fino al XV secolo. L’obbiettivo della raccolta era quello di fornire argomenti giuridici per difendere l’autonomia dei singoli vescovi dal potere laico e soprattutto dalla disciplina dei metropoliti e delle sinodi provinciali sottoponendoli piuttosto alla diretta autorità del papa. Le Pseudo-isidoriane costituirono subito une preziosa arma nelle mani dei pontefici per affermare la propria volontà di accentramento a danno delle chiese locali. Il primo papa ad avvalersi in modo massiccio delle norme raccolte nello Pseudo-Isidoro fu Niccolò I, che grazie alla collaborazione del bibliotecario Anastasio, affermò il proprio ruolo scontra dosi con l’arcivescovo di Ravena, Giovanni Lungo tutta la prima metà del IX secolo si era andato rafforzando il legame fra la sede romana e l’impero dei Carolingi che le assicuravano sostegno sia contro le prevaricazioni delle potenti famiglie dell’aristocrazia cittadina sia contro la minaccia rappresentata dalle incursioni dei pirati saraceni sulle coste laziali. Per contrastare il primo pericolo, nell’824 l’imperatore Lotario I emanò una disposizione che imponeva la notifica al monarca dell’avvenuta elezione del papa e la presenza di legati imperiali alla consacrazione episcopale del neoeletto, al fine di meglio tutelarlo da ogni possibile ingerenza locale. I saraceni nel 846 aggredirono la stessa città di Roma, saccheggiando le basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, tanto da costringere papa Leone IV a erigere una cinta muraria attorno al Vaticano, detta “città leonina”. Le scorrerie contro i centri costieri e anche nell’entroterra non cessarono nemmeno nei decenni successivi. Dopo l’ascesa al soglio di Niccolò I scoppiò una durissima crisi con la chiesa di Costantinopoli, poiché l’imperatore Michele III aveva imposto il patriarca Fozio, deponendo il suo predecessore Ignazio. Il papa intervenne in difesa di Ignazio, che doveva essere reintegrato. Fozio rispose scomunicando il pontefice romano e lo dichiarò deposto. Lo scisma del 867 che vide contrapporsi Occidente e Oriente, lasciò, anche se fu risolto col concilio del 870, una ferita aperta. A inasprire la polemica tra Roma e Costantinopoli vi fu anche il fenomeno della concorrenza nell’evangelizzazione delle genti slave, che vide contrapporsi Niccolò I e Fozio. 3. L’età Post-Carolingia La debolezza degli ultimi esponenti della dinastia franca lasciò Roma priva di tutela contro le prepotenze dell’aristocrazia romana. Per lunghi decenni si succedettero sul soglio pontificio numerosissimi papi, molti dei quli rimasti in carica per periodo assai brevi, tutti creati dalle fazioni aristocratiche più potenti. Particolarmente significativo fu l’episodio relativo al processo al cadavere di Papa Formoso intentato dal successore Stefano VI nel 897, la salma fu condannata e gettata nel Tevere. Lo stesso Stefano in seguito fu incarcerato e strangolato, e crudeli furono anche le sorti dei successi pontefici, come Leone V e Cristoforo che furono assassinati da Sergio III. Sergio III apparteneva alla casa aristocratica che più di ogni altra riuscì in quel periodo a controllare la carica papale, quella di Teofilatto. Nel 962 il titolo di imperatore fu conquistato da Ottone I della casa di Sassonia, il quale restaurò la potestà imperiale in Occidente riproponendo a Roma un interlocutore forte e sicuro. Ciononostante la sede romana fu dopo poco travolta ancora una volta dalla lotta tra lo stesso Giovanni e l’antipapa Leone VIII. Tra il 1044 e il 1046 si ebbero il convulso succedersi di pontefici e ad un certo punto addirittura la contemporanea presenza di tre papi: Benedetto IX, Silvestro III e Gregorio VI. Un momento di autentica svolta si verificò con la discesa a Roma nel 1046 dell’imperatore Enrico III che si sbarazzò dei tre papi e fece eleggere con il nome di Clemente III il vescovo di Bamberga Suitgero, primo di una lunga serie di pontefici tedeschi. Questi costituirono una fresca alternativa sia da un punto di vista morale che per la loro provenienza e legame con l’imperatore, che gli permetteva di essere liberi dai condizionamenti dell’ambiente romano. Il Papato e la Riforma della Chiesa 1. Presupposti della riforma Le cariche episcopali e abbaziali venivano abitualmente occupate da esponenti dell’aristocrazia in cerca di uffici lucrosi. Ne derivava che l’alto clero era costituito in massima parte da soggetti sprovvisti di un’autentica vocazione, e quindi della necessaria formazione e di un adeguato spessore morale, privilegiavano l’attività politica e magari militare rispetto alle occupazioni spirituali. Si avvertì l’impellente urgenza di una profonda riforma della chiesa. La spinta nacque in forme spontanee e in ambienti diversi, tutti mossi delle medesime preoccupazioni. Il papa intervenne in maniera decisiva per tradurre i bisogni e le aspirazioni in risultati concreti e duraturi. Vescovi autorevoli e di dirittura morale e preparazione superiore, riforma e alla centralizzazione romana. In una sinodo a Bressanone nel 1080 dichiararono nuovamente deposto il pontefice opponendogli l’antipapa Clemente IIII, l’arcivescovo di Ravenna. Alcuni personaggi di rilievo come l’abate di Montecassino, Desiderio, si impegnarono in un’infruttuosa mediazione, attirandosi l’ira di Gregorio, che preparava invece la guerra contro l’antipapa e i suoi sostenitori. Dal 1081 Enrico pose addirittura assedio a Roma e tre anni dopo riuscì ad entrarvi e a insediarvi Clemente III. Enrico IV si ritirò però prima dell’arrivo dei normanni di Roberto il Guiscardo, chiamati in soccorso da Gregorio VII, che approfittarono però per darsi al saccheggio e per condurre nei propri territori il papa. Trascorsi appena pochi mesi, Gregorio VII spirò a Salerno, il 25 maggio 1085. Il nuovo pontefice eletto fu Desiderio di Montecassino, col nome di Vittore III, il quale tuttavia restò in carica solo per pochi mesi prima di lasciare il posto a Urbano II (1088-1099). Desiderio portò avanti una mediazione con la parte avversa. Nella maggior parte dei casi i contrasti assunsero ancor più di prima carattere di avversione personale e di concorrenza di interessi. A Urbano II viene attribuita un’allocuzione al concilio di Clermont del 1095, con la quale si esortavano i cavalieri delle diverse regioni d’Occidente a promuovere un pellegrinaggio (iter) a Gerusalemme, armato, per potersi difendere dai turchi selguichidi che di recente avevano conquistato la città. I turchi non vietarono i pellegrinaggi ma imposero una nuova tassa d’ingresso e dazi sugli ostelli. L’obbiettivo di Urbano II era quello di spingere il turbolento mondo cristiano dell’Occidente a una grande impresa collettiva testimonianza di fede e di penitenza. L’intervento di Urbano a Clermont è stato tuttavia presentato come il vero e proprio bando della cosiddetta prima crociata, cioè della spedizione militare che, partita nel 1096, finì con il prendere Gerusalemme tre anni dopo e creare un regno latino che sarebbe sopravissuto per circa un secolo, prima delle rivincita mussulmana. Il papato che da tempo aveva fatto propria la teoria di S. Agostino della “guerra giusta” se tesa a tutelare ed espandere la cristianità, concedeva perciò l’indulgenza ai quanti combattevano i musulmani per la “reconquista” della penisola iberica, seppe progressivamente elaborare il concetto di crociata estendendolo al conflitto contro l’Islam per il controllo della Terrasanta. Pasquale II (1099-1118) si trovò a dover fronteggiare l’impeto del nuovo imperatore Enrico V, che fra il 1110 e il 1111 cercò di chiudere la partita sulle investiture. Enrico costrinse il pontefice, tenuto prigioniero, a dare il suo consenso alla pratica così come si svolgeva. Un concilio riunitosi in Laterano però ritenne nullo l’accordo. Pasquale II morì in Castel Sant’Angelo mentre, dopo essere fuggito da Benevento, cercava con l’aiuto dei normanni di rientrare in Vaticano, occupato dai suoi nemici favorevoli all’imperatore Enrico V, disceso in Italia. Gli successe per breve periodo Gelasio II, nel 1119 fu poi eletto Callisto II, con il quale la lunga querelle sulle investiture si chiuse una volta per tutte con un compromesso, sancito dal cosiddetto concordato di Worms 1122. La formula qui escogitata distinse in sostanza il momento dell’investitura spirituale dei vescovi, riservata al clero, e quello dell’investitura temporale, lasciata all’imperatore. Nei territori tedeschi l’imperatore poteva anche presenziare alle elezioni episcopali ed era sua facoltà investire i vescovi di cariche e beni temporali. L’Apogeo dell’autorità papale 1. Il papato nel XII secolo Superato lo scontro con l’impero per la lotta delle investiture, il papato nel corso del XII secolo attraversò una fase di ulteriore consolidamento istituzionale, malgrado i condizionamenti dovuti ai consueti appetiti delle famigli aristocratiche romane. Queste avevano mutato la propria fisionomia rispetto alle epoca anteriori, era diventato un ceto di ricchi possessori con molteplici interessi economici (prestiti). La loro pressione ora si esprimeva in seno al collegio cardinalizio. Alla morte di Callisto II nel 1124, vi fu uno scontro nel collegio tra esponenti della fazione dei Pierleoni e dei Frangipane, portò all’elezione di Celestino II, costretto immediatamente a dimettersi e sostituito da Onorio II. Ancora più tumultuosa fu l’elezione del 1130 di Innocenzo II. Sedici cardinali legati a Frangipani si erano riuniti senza coinvolgere i restanti quattordici e avevano eletto Innocenzo II. Successivamente i restanti cardinali si riunirono a loro volta ed elessero Anacleto II, in favore del quale si schierarono poi addirittura 10 cardinali che avevano eletto Innocenzo. Bernardo di Chiaravalle convinse il re di Francia e d’Inghilterra a schierarsi con Innocenzo, così come Norberto, fondatore dei premostratensi, convinse l’imperatore Lotario. Nel XII secolo il nesso tra papato e il regno francese risultò rafforzato, Innocenzo II incoronò nel 1131 a Reims il re Luigi VII. Innocenzo II dovette misurarsi con pericolose forme di dissidio, rappresentate soprattutto dalle dottrine di Pietro Abelardo, poi condannate come eresie, e quelle di Arnaldo di Brescia (sosteneva la povertà “apostolica”), condannato come eretico nel concilio lateranense del 1139 e costretto all’esilio in Francia. Arnaldo tornò nel 1155 in Italia, fu catturato da Federico I e consegnato a papa Adriano IV che lo fece impiccare. Bernardo di Chiaravalle esercitò una notevole influenza sul papato di questo periodo. Bernardo teorizzò il governo del papa sul mondo intero in quanto vicario di Cristo sulla terra e perciò re e sacerdote al tempo stesso, a imitazione del Salvatore. Il pontefice doveva porsi come speculator, supervisore e guida, di tutti i cristiani, intervenendo nelle questioni capitali e di principio e delegando la gestione materiale dei vari affari ai principi. Il pontefice rispondeva ai diversi questi attraverso le decretali, che costituivano il diritto universale valido. La curia romana aveva sviluppato una sofisticatissima organizzazione, articolandosi in sezioni e dipartimenti specializzati per materie e dotandosi di personale preparato, formatosi nelle scuole di diritto canonico e romano, come quella dell’Università di Bologna. Nel 1140 vi fu la costituzione della raccolta di diritto canonico compilata dal monaco camaldolese Graziano, il Decretum, testo adatto sia all’insegnamento sia all’uso. Numerosi erano i pontefici che avevano una formazione giuridica, come Alessandro III, professore di legge a Bologna. Con l’ascesa al trono di Germani nel 1152 di Federico I Barbarossa, per la sede petrina si aprì però un ennesima stagione di aspra lotta politica e ideologica. L’imperatore riaffermò la propria natura di monarca universale, perfettamente autonomo da ogni altra autorità, che riceveva il potere per via diretta da Dio. Dal 1158, anno della dieta di Roncaglia, Federico, sostenuto dai giuristi bolognesi, rivendicò a sé i regalia iura, usurpati dai comuni cittadini dell’Italia settentrionale, entrò allora in uso la denominazione “Sacrum Imperium Romanum”, a indicare l’eredità romano-cristiana e la missione divina dell’impero. L’offensiva teorica di Federico I e la sua presenza in armi nell’Italia Settentrionale, spinsero Adriano IV a cautelarsi, rafforzando l’alleanza con il re normanno di Sicilia, Guglielmo, che nel 1156 si era dichiarato vassallo del papa. Morto papa Adriano IV nel 1159, eletto successore Alessandro III, il Barbarossa cercò di intromettersi spingendo parte del collegio cardinalizio a non riconoscere l’eletto e a sostenere Vittore IV. Alessandro scomunicò l’imperatore, fu costretto a vivere lontano da Roma, in Francia, e lo stesso Vittore IV fu costretto a vivere nell’Italia Settentrionale sotto il controllo del Barbarossa. Morto Vittore, il monarca svevo nominò Pasquale III, mentre imponeva vescovi da lui graditi, a cui successe poi Callisto III. Alessandro III era riuscito a rafforzare l’alleanza con i nemici principali del Barbarossa, la lega delle città comunali, che lo sconfissero nella Battaglia di Legnano del 1176. Durante la pace di Venezia del 1177 fu sanato il contrasto che vedeva opporsi il papa e il monarca: Alessandro III venne riconosciuto come unico e legittimo pontefice. Durante il pontificato di Alessandro II, che si concluse nel 1181, ebbe luogo anche un contenzioso con il regno d’Inghilterra. Il re Enrico II nel 1164 fissò nelle costituzioni di Clarendon i diritti della corona sul clero inglese: la limitazione dell’immunità ecclesiastica, l’obbligo delle’elezioni episcopali sotto il controllo regio, il divieto per sacerdoti di ricorrere a Roma senza il consenso del sovrano.. A tutto ciò si oppose l’arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket, sostenuto dal papa, che fu però assassinato. Successivamente allora furono aperti i negoziati > queste vicende mostrano come il rapporto fra l’auctoritas pontificia e la potestas regia restasse al fondo irrisolto. Al tempo di Alessandro III il concilio del Laterano del 1179 prescrisse che l’assemblea elettiva doveva scegliere il nuovo papa raggiungendo la maggioranza necessaria dei due terzi, prevedeva una base di consenso più ampia per il neoeletto, significativa per rendere più saldo il suo potere. Il matrimonio tra il figlio del Barbarossa, Enrico, e la principessa normanna di Sicilia, Costanza, figlia di Ruggero II, rappresentò per il papato una nuova e grave minaccia. Enrico IV avviò immediatamente dei negoziati col papato per ottenere il riconoscimento della propria successione. 2. Il trionfo della supremazia papale Poiché l’erede di Enrico, Federico, aveva solo tre anni, In Germania si scatenò una lotta per la sua successione tra Filippo di Svevia, fratello di Enrico, e Ottone di Brunswick. Innocenzo III divenne tutore del piccolo Federico e signore del regno di Sicilia (per volontà della madre Costanza). Il pontefice in questo periodo si impegnò a migliorare la propria macchina burocratica: furono sviluppati uffici finanziari, la camera apostolica, retta dal camerlengo.. si occupò anche di recuperare le terre del papato che gli erano state sottratte, che oggi coincidono con le regioni del Lazio, Umbria, Marche e Romagna.. Innocenzo III promosse anche la raccolta ufficiale di diritto canonico, dove furono raccolte tutte le norme assenti nel fondamentale Decretum di Graziano, era una sorta di integrazione. Nello scontro tra i successori di Enrico, Innocenzo III si schierò con Ottone di Brunswick, in cambio dell’impegno di costui di rinunciare ai diritti sull’Italia. Il nuovo monarca non rispettò il patto, anzi decise di occupare i territori papali in Romagna, Umbria e Marche. In pontefice allora lo scomunicò e riconobbe i diritti di Federico. Nella battaglia di Bouvines, nelle Fiandre del 1214, Federico e il suo alleato Filippo II Augusto di Francia sconfissero Ottone e il re d’Inghilterra, Giovanni senza Terra; nel 1220 lo sveva fu incoronato imperatore a S. Pietro da Onofrio III, successore di Innocenzo. Con il re francese Filippo II Augusto, il pontefice ebbe alcune tensioni, scaturite dalla scelta del sovrano di ripudiare la moglie Ingeborg di Danimarca, che gli era stata imposta dal pontefice stesso; il pontefice poi scomunicò Giovanni senza Terra per la pretesa di scelta dell’arcivescovo di Canterbury; Roma si impegnò anche nell’opera di costruzione di istituzioni ecclesiastiche nei territori della penisola iberica strappati ai mussulmani dai re cristiani e regolò anche la successione ai troni di Svezia e Norvegia.. come vediamo il papato nel XIII secolo intervenne anche nelle questioni regali. Nel 1024 Innocenzo III convinse un buon numero di signori d’Occidente a impegnarsi in una crociata che finì con l’aggredire l’impero cristiano di Bisanzio, considerato eretico. Gli occidentali si spartirono i territori conquistati fondandovi un impero latino d’Orienta, che fu rovesciato nel 1261 dall’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo. I papi dovettero anche affrontare problemi interni, si dovettero occupare di stabilire che erano da considerare eretiche tutte le credenze e le condotte non conformi a quelle stabilite dal papato e poi di pronunciare condanne ufficiali e solenni delle dottrine eretiche attraverso i deliberati dei concili ecumenici, come il III lateranense del 1179, o per mezzo di bolle, come la bolla “Ad abolendam” di Lucio III del 1184, con cui fu condannato il mercante lionese Valdesio. All’epoca di Innocenzo III l’esplicito esercizio di potere temporale e l’ingente ricchezza materiale portarono ad alcune contestazioni di coloro che sostenevano la necessità di condurre una vita secondo la povertà apostolica. Innocenzo III equiparò la professione di un credo eterodosso al crimine di lesa maestà,punibile con la pena di morte. Per debellare “l’infezione” ereticale furono messe in atto tutte le misure possibili: dal controllo della coscienza dei fedeli tramite l’obbligatorietà (dal 1215) della comunione e della confessione annuale, all’allestimento delle prime strutture del tribunale dell’Inquisizione, che si affinarono nel XIII secolo, per poi funzionare a pieno regime nei secoli successivi. Papa Innocenzo si impegnò a recuperare l’ortodossia in movimenti che si trovavano nel margine estremo, come quello degli umiliati o dei poveri di Lione, l’ordine di S. Francesco d’Assisi fu poi istituzionalizzato da Onorio III. In altri casi il pontefice fece ricorso invece alla repressione più violenta. Nel 1208 bandì una crociata contro gli albigesi della Francia meridionale. Negli ultimi mesi del suo pontificato, nell’anno 1215, Innocenzo II celebrò a Roma un concilio, il IV del Laterano. L’assemblea produsse settanta decreti, che toccavano i punti più disparati: dalla repressione degli Bonifacio produsse una prima bolla rivolta a Filippo IV perché ravvedesse (Ausculta fili 1301) e una seconda del 1302 “Unam Sanctam” che riaffermava il principio del pontefice come capo unico e supremo della società cristiana. Di fronte alla bolla Filippo IV fece subito deliberare a un’assemblea del suo regno la convocazione di un concilio generale per processare il papa, che si apprestava a scomunicarlo. Il 1303 il re inviò in Italia una spedizione guidata da Guglielmo di Nogaret, a cui si erano uniti i Colonna, che arrestò il papa nel palazzo di Anagni e ne chiese l’abdicazione (“oltraggio/schiaffo di Anangi”). Bonifacio riuscì a scappare e tornare a Roma dove però morì dopo un mese. 2. I papi ad Avignone Benedetto XI cercò di ricucire lo strappo con la Francia, ritirò l’interdetto e la scomunica contro Filippo il Bello e si riappacificò con i Colonna. Alla sua morte venne eletto un papa francese, Clemente V. Il papa continuò a dimorare in Francia e nel 1309 pose la propria residenza ad Avignone. La città conobbe allora un notevole sviluppo urbanistico ed economico, vi fu anche la costruzione di una nuova residenza per il pontefice. Tale attività edilizia ebbe alti costi, che resero necessario un incremento delle entrate: vi fu l’aumento della tassazione curiale, il cumulo dei benefici e la confisca dei beni degli scomunicati. Nel periodo di Avignone i papi accentrarono molti poteri e funzioni nelle loro mani e in quelle dei cardinali (“patti elettorali o capitolari” del 1352). L’impegno missionario pontificio fu rafforzato in zone come l’Asia e il Corno d’Africa. Una particolare attenzione fu rivolta pi dai papi alle università, ne compresero infatti il sempre crescente ruolo. Tra la metà del XIII e quella del XIV secolo il papato fondò le Università di Tolosa, di Roma e Grenoble, favorì la nascita di quella di Vienna. Le licenze d’insegnamento dei docenti erano di competenza dei vescovi, gli statuti delle singole università dovevano ottenere la conferma pontificia. I papi che soggiornarono ad Avignone furono nel complesso 7 e tutti francesi. Il papato, organicamente inserito in un blocco politico “guelfo”, che oltre alla Francia includeva i regni delle penisole iberiche e Scozia, fu oggetto di rinnovati attacchi, per esempio, da Dante tramite il “De Monarchia”. Alla curia avignonese furono avanzate diffuse accuse di corruzione e avidità, per esempio, da Petrarca. Il papa Giovanni XXII entrò in conflitto con l’imperatore Ludovico il Bavaro, che senza attendere la conferma papale della propria elezione, aveva ricevuto la corona ferrea a Milano da un vescovo scismatico. Giovanni scomunicò l’imperatore e Ludovico lo accusò di essere eretico e di abusare delle censure ecclesiastiche per scopi politici a vantaggio delle Francia. Nel 1356 Carlo IV di Boemia, incoronato imperatore dal cardinale vescovo di Ostia su delega papale, emanò il documento noto come la Bolla d’Oro, con la quale si introdusse il principio secondo cui il re di Germania aveva sin dal momento stesso della sua elezione il diritto di venire incoronato imperatore dei romani, negando quindi il ruolo significativo del pontefice in tale processo. La città di Roma aveva nel frattempo subito un grave danno, l’interruzione di flusso di denaro che la presenza del pontefice garantiva alla città causò un rapido declino economico e il degrado delle stesse struttura urbane. In questo clima trovò spazio Cola di Rienzo, notaio, che nel 1347 incitò il popolo a sollevarsi contro l’aristocrazia e a impadronirsi del potere. Cola di Rienzo cercò riparo presso l’imperatore Carlo IV che lo consegnò a papa Innocenzo III, che lo rimandò a Roma come suo emissario, ma una volta rientrato il “traditore” fu assassinato nel 1354. Il cardinale Egidio Albornoz fu mandato in Italia alla testa di un esercito pontificio per ristabilire l’effettivo controllo del papato nell’area in questione. Egidio diede alle autonomie signorili e cittadine una nuova costituzione, detta Egidiana, che rimase invariata fino alla scomparsa del Regno Pontificio. 3. Il rientro a Roma e lo Scisma Per il rientro del papa a Roma si impegnarono molte forze: dai cittadini romani, a Carlo IV, a figure religiose come Caterina da Siena. I papi erano anche consapevoli che Avignone li faceva inevitabilmente avvertire come una sorta di vescovi del re di Francia. Nel 1367 Urbano V fece un temporaneo ritorno a Roma, poco dopo parti di nuovo per Avignone con la scusa della presenza della malaria in Lazio. Nel 1377 Gregorio XI portò avanti una serie di scontri contro le rivolte che erano state alimentate dalle principali potenze peninsulari (Firenze, Milano e Napoli), che miravano ad espandersi sui territori pontifici. Il papa addirittura portò avanti la Guerra degli Otto Santi contro Firenze. Nel 1378 il napoletano Urbano VI tornò a Roma, egli però si guadagnò immediatamente l’avversione dei cardinali francesi. Essi decisero di indurre una nuova elezione, con la scusa che l’elezione di Urbano VI non fosse valida poiché condizionata dalle intimidazioni e dai tumulti romani. Fu eletto a Fondi Roberto di Ginevra, il comandante della spedizione contro Firenze, con il nome di Clemente VII, che si trasferì ad Avignone. Questo scisma produsse un enorme spaccatura all’interno del mondo occidentale: Francia, Lorena, Savoia, Scozia, Spagna e Napoli sostenevano Clemente VII, mentre Inghilterra, Fiandra e Ungheria sostenevano Urbano Vi. Lo strumento adattato per poter comporre lo scisma era il concilio generale, la sua convocazione doveva avvenire dal papa, ma in questo caso non si sapeva a chi dei due aspettasse la prima mossa, fallirono anche tutti i tentativi per concordare un’abdicazione simultanea o per la costituzione di un tribunale arbitrale. Lo scisma di Occidente si trascinò oltre alla morte di Urbano, che fu succeduto da Bonifacio IX, Innocenzo VII e infine Gregorio XII, e di Clemente che fu succeduto da Benedetto XIII. Furono numerosi i tentativi di riconciliazione che fallirono, nonostante le trattative dirette tra papa e antipapa, gli sforzi di mediazione dei cardinali, la progressiva assunzione di un atteggiamento neutrale da parte dei regni coinvolti. Il concilio si riunì a Pisa nel 1409, in assenza dei due pontefici, che furono dichiarati entrambi scismatici ed eretici perciò furono deposti. Fu nominato un nuovo pontefice, Alessandro V, che non fu riconosciuto né da Gregorio XII né da Benedetto XIII, da qui si ebbero tre papi. Alessandro V morì dopo un solo anno di pontificato e gli successe Giovanni XXIII, che convinse il re di Germania Sigismondo a convocare l’ennesimo concilio generale. Si aprì il 5 Novembre 1414 a Costanza. Dei tre papi solo Gregorio XII accettò di farsi rappresentare da un legato, dichiarandosi pronto a rinunciare alla carica purché lo facessero anche i suoi due contendenti. Il concilio affermò solennemente il principio secondo cui il potere risiedeva non nella figura del papa “monarca”, ma nella chiesa rappresentata dal concilio generale stesso, il pontefice era dunque solamente un “funzionario”. A Costanza venne espressa la dottrina “conciliarista”, che collocava nel concilio espressione delle chiesa universale la fonte del potere. Il concilio di Costanza si chiuse solo nel 1418. Furono acquisite le dimissioni di Gregorio XII, a seguito del quale l’assemblea depose Giovanni XXIII e Benedetto XIII e procedette all’elezione di un nuovo e unico papa, Ottone Colonna, che prese il nome di Martino V (1417-1431). Fu emesso anche il decreto “Frequens”, secondo cui i concili generali dovessero essere convocati con periodicità regolare, ogni dieci anni. A Costanza le nazioni presenti erano: Francia, Germania, Italia e Inghilterra, si unì successivamente anche la Spagna. I decreti emessi furono numerosissimi, in particolari quelli che si concentrarono sulla struttura della chiesa e la sua organizzazione interna. Fenomeni di dissenso religiose e disciplinare avevano accompagnato tutto il lungo travaglio delle istituzioni ecclesiastiche negli anno dello scisma d’Occidente e dello scontro fra il papa e il concilio, ponendo con un urgenza il problema di come affrontarli. Tratto dominante di tutte queste esperienze era la consueta critica del potere temporale e della ricchezza della chiesa. La visione di John Wyclif, professore di Oxford, ebbe grandissimo eco in tutta l’Inghilterra della seconda metà del XIV secolo. Egli contestava la ricchezza della chiesa, sosteneva la necessità di un accesso diretto dei fedeli alla Bibbia e la negazione della validità sostanziale ai fini della salvezza dei sacramenti impartiti dagli ecclesiastici. Le sue teorie furono immediatamente condannate da Roma. La polemica contro il lusso della chiesa trovarono un’immediata sintonia con il vasto moto di rivolta contadini del 1381. Al principio del XV secolo a Praga, Jan Hus, pure lui professore universitario, esaltò a sua volta la povertà di Cristo e degli apostoli quale modello cui tutti si dovevano ispirare. Hus si recò a Costanza per partecipare ai lavori del concilio, ma qui venne accusato di eresia, arrestato e messo al rogo. I suoi seguaci svilupparono in forma estreme la sue idee. Il movimento hussita ispirò moti popolari come quello praghese del 1419 e presto uscì dai confini della Boemia dandosi una struttura militare tanto efficiente da riuscire a sbaragliare l’esercito che l’imperatore Sigismondo gli aveva inviato. Il papato alla fine del Medioevo 1. Il papato nel Quattrocento Nel 1420 Martino V poté tornare a Roma, trovando una città impoverita e semispopolata. Il primo obbiettivo fu quello di ricostituire la base territoriale e materiale dell’autorità del papato con una vigorosa azione a tutto campo e di rimettere ordine all’interno della chiesa. Martino riuscì ad avviare la ripresa economica e un nuovo sviluppo edilizio di Roma, a riprendere il controllo delle province del patrimonio e a ritagliarsi un preciso ruolo sullo scacchiere politico internazionale quale mediatore. Prima della sua morte, avvenuta nel 1431, Martino V convocò il concilio generale che era stato già previsto dai deliberati di Costanza e che venne fissato a Basilea. Il concilio di Basilea fu ufficialmente aperto nel 1433, sotto il pontificato di Eugenio IV (1431-1447) per chiudersi solamente nel 1449. Di particolare rilievo fu la proposta di un unione fra chiesa cattolica e quella ortodossa avanzata dall’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo, motivata dalla paura dei Turchi. A Basilea emersero immediatamente contrasti tra il concilio e il papa, nel 1437 il pontefice propose di sciogliere l’assemblea e spostarla a Ferrare per indebolirla. Eugenio respinse la condizione che gli era stata posta di riconoscere la superiorità del concilio e venne perciò dichiarato deposto. Aprì ugualmente il concilio a Ferrara e dopo un po’ lo spostò a Firenze, dove fu discusso il tema dell’unione delle due chiese cristiane con rappresentati ortodossi. Nel 1439 un decreto rese pubblica l’unione delle due chiese, ma il decreto fu subito contestato in Oriente e in ogni caso la conquista turca di Costantinopoli nel 1453 mutò drammaticamente la situazione. L’eredità religiosa ortodossa venne allora raccolta, con quella politica di Bisanzio, dalla Russia. Il concilio di Basilea elesse un nuovo papa, il duca di Savoia Amedeo VIII, che prese il nome di Felice V, fu eletto col sostegno del re di Francia. Eugenio IV fu però capace di erodere l’apparente compattezza del fronte conciliarista recuperando poco per volta alle posizioni di Roma diversi padri conciliari. Il concilio finì con il disgregarsi quando i suoi singoli membri preferirono addivenire ad accordi separati con Roma, il pontefice stipulò alleanze anche coi vari principi. Il papato e i principi si trovavano concordi nell’arginare ogni possibile allargamento della base del potere, nella chiesa come nella società. Non si aveva più fiducia nella possibilità di cambiare davvero le istituzioni ecclesiastiche, nel mentre si doveva assistere a una sostanziale “restaurazione” del potere del papato e della curia, e ci si andava rassegnando a sperare, piuttosto, in un rinnovamento morale. Allo stesso tempo, lo sviluppo all’interno del mondo cristiano di un nuovo sentimento religiose di carattere più personale, che in parte si collegava alla “riscoperta” dell’individuo, opera della cultura umanista e rinascimentale, contribuì per la sua parte a mettere in discussione la funzione del papato quale istituzione di governo in grado di emanare leggi universali cui tutti erano tenuti a uniformarsi senza incertezze e contestazioni. La sede romana puntò a ripristinare la propria la propria centralità della chiesa universale, consolidando la propria funzione di governo in accordo con le autorità laiche, fino a ragionare e a comportarsi come un potere principesco fra tutti gli altri, impegnandosi nella politica italiana accanto alle altre realtà. L’”italianizzazione” del papato quattrocentesco non fu determinata solo dal citato restringimento della prospettiva strategica complessiva, ma anche dal fatto che italiani furono sia sostanzialmente tutti i pontefici del periodo sia la maggioranza dei funzionari della curia sia il collegio cardinalizio. 2. Le trasformazioni della chiesa romana Sin dal XIII secolo le comunità dei domini pontifici potevano distinguersi fra “mediate subiectae”, rette da un signore senza un intervento diretto dei papi, e quella “immediate subiectae”, governate in concorso dalle istituzioni locali e da rappresentati pontefici; fra quest’ultime vi erano quasi tutte le grandi città. I pontefici si produssero dunque ora in un grande tentativo di rafforzare i legami. I papi del XV secolo si resero protagonisti anche di massicci investimenti nello sviluppo urbano, artistico e culturale della città di Roma. Soprattutto con i pontificati di Niccolò V e Sisto IV, La Biblioteca Vaticana acquisì un’ingente quantità di manoscritti classici e patristici. Niccolò V concepì la costruzione della nuova Basilica di S. Pietro, poi avviata da Giulio II.
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