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Il Papato nel Medioevo: Il Primato della Chiesa di Roma, Sintesi del corso di Storia della Chiesa

Una dettagliata panoramica della storia del papato nel medioevo, dalla sua origine fino alla fine del periodo. La crescita del ruolo della chiesa di roma, la sua relazione con l'impero romano, i suoi conflitti con costantinopoli e la sua espansione verso l'occidente. Vengono inoltre illustrate le caratteristiche del papato nel tardo impero romano, la sua posizione nella pentarchia ecclesiastica, i suoi conflitti con i patriarchi di costantinopoli e la sua crescita economica. Inoltre informazioni sui papi che hanno governato la chiesa di roma nel medioevo, come adriano i, gregorio v, innocenzo iii e giovanni xxii.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 23/05/2024

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Scarica Il Papato nel Medioevo: Il Primato della Chiesa di Roma e più Sintesi del corso in PDF di Storia della Chiesa solo su Docsity! lOMoARcPSD|15222555 Il Papato nel Medioevo Storia della chiesa medievale (Università di Bologna) lOMoARcPSD|15222555 IL PAPATO NEL TARDO IMPERO ROMANO A partire dal II secolo, alla sede episcopale di Roma veniva riconosciuta una primizia onorifica fra le diverse diocesi, facendo perno sulla figura centrale di San Pietro, il primo fra gli apostoli e il primo vescovo di Roma, avevano attribuito alla chiesa romana un primato morale, anche se non giurisdizionale, e un ruolo di guida complessiva nelle questioni dottrinali. Con l’editto promulgato a Milano nell’anno 313 dagli imperatori Costantino e Licinio le comunità cristiane furono rese libere di professare la propria fede al pari di tutti gli altri culti religiosi. Ora la Chiesa cristiana non solo non subì più alcuna violenza, ma divenne persona giuridica fisica secondo la legge dello stato. L’Urbe bella seconda metà del IV secolo completò il proprio processo di cristianizzazione. Costantino donò pure alla chiesa della città notevoli proprietà fondiarie, situate non solo in Italia, ma anche dalla Gallia meridionali fino all’Africa. All’inizio il vescovo di Roma era solo il depositario e l’amministratore dei beni a lui concessi dalla munificenza imperiale o dai benefattori privati, ma tra il V e il VI secolo egli seppe progressivamente acquisire la piena disponibilità di tali ricchezze. Il concilio di Serdica del 343 riconobbe una funzione primaziale al vescovo di Roma, in quanto di considerava egli perpetuasse la memoria di San Pietro come suo successore. Costantino non negava la speciale autorità della chiesa romana. L’ascesa della fede cristiana, e delle istituzioni ecclesiastiche, si perfezionò con l’editto di Tessalonica emanato nel 380 dall’imperatore Teodosio, che proclamò il cristianesimo unica religione ammessa, avviando la persecuzione di tutte le altre. Nel nuovo quadro politico ed ecclesiastico generale, i vescovi di Roma, a partire dalla fine del IV secolo e almeno fino alla metà del V, si impegnarono in una vasta azione di consolidamento istituzionale e organizzativo delle proprie strutture e in un’incisiva messa a punto concettuale del proprio ruolo specifico e delle proprie prerogative. La sede romana si dotò, innanzitutto, di scrinia, cioè di “uffici”, presso i quali operavano i notarii specializzati, con archivi che conservavano tutta la documentazione prodotta e la corrispondenza emessa e ricevuta. Una simile struttura burocratica costituì un elemento essenziale nello sviluppo successivo del potere temporale dei papi, oltre a formare specifiche attitudini e competenze di governo e, tramite l’archivio, una memoria documentaria propedeutica a ogni elaborazione dottrinale e giuridica. Papa Damaso (366-384) fu il primo a denominare la chiesa di Roma sedes apostolica, in quanto fondata dagli apostoli Pietro e Paolo. Con simili argomenti, espressi in un concilio tenuto a Roma nel 382, veniva assunta e formalizzata in seno alla dottrina “ufficiale” della sede romana la tesi petrologica a sostegno del preteso primato di Roma. Damaso si fece anche promotore della traduzione della Bibbia in latino: l’esito fu la Vulgata, che rese i contenuti del testo originale attraverso un largo impiego del lessico giuridico romano e divenne così a sua volta un’efficacissima base d’appoggio sul piano giuridico-istituzionale per le rivendicazioni del papato. Sulla scorta della Bibbia latina si consolidò il principio secondo cui il papa era il successore di diritto di san Pietro. Il successore di Damaso, Siricio (384-399), per comunicare con le autorità ecclesiastiche situate al di fuori di Roma, introdusse un tipo di lettera denominata “decretale” perché modellata sui decreta, o responsa, che l’imperatore inviava ai funzionari provinciali per trasmettere loro le direttive di governo. Il lungo processo di definizione concettuale del primato del Papa conobbe il suo perfezionamento per quest’epoca durante il pontificato di Leone I, o Magno (440-461). Leone conciò infat la formula per cui il pontefice era l’”indegno erede di san Pietro”, ossia il vescovo di Roma succedeva come erede all’apostolo nella totalità dei suoi poteri, nel suo “ufficio”, anche se non nello status personale. Per divenire papa non occorreva nemmeno essere un sacerdote. L’insieme dei poteri di discendenza petrina fu espresso con la locuzione plenitudo potestatis. Il suo primato giurisdizionale sulla chiesa e sull’insieme dei fedeli era definito con il termine romano imperiale di principatus, con il quale si intendeva un potere monarchico di lOMoARcPSD|15222555 Nel 476 i pontefici si trovarono a fronteggiare una situazione politica inedita essendo ora sottoposti in Italia al governo dall’incerto profilo costituzionale di un militare di origine barbara; il potere dell’impero veniva rimpiazzato da una pluralità di regni retto da monarchi barbari. In queste diverse realtà d’oltralpe il panorama ecclesiastico che si andò rimodellando fu assai disomogeneo, ponendo a Roma problemi differenti e complessi. Nella penisola italiana il contesto politico murò ulteriormente con l’avvento al potere del re dei goti Teodorico, insediatosi nel 493 al posto di Odoacre in seguito a un preciso accordo con l’imperatore di Costantinopoli Zenone. I papi si trovarono così inseriti in un regno con a capo un barbaro, di confessione ariana che governava simultaneamente la popolazione romana e cattolica e la sua tribù stanziata come élite militare e nell’ambito di un’intesa di massima con l’impero. I due gruppi etnici si mantennero separati per volontà degli stessi goti, i quali l’adesione al credo ariano fungeva piuttosto da tratto distintivo. L’equilibrio si spezzò quando il monarca diede il via a una nuova politica aggressiva contro l’aristocrazia romana come ritorsione per la rinnovata solidarietà di quest’ultima con il nuovo imperatore Giustiniano, che appariva orientato a una riconquista manu militarie dell’Italia e di altre province del Mediterraneo occidentale. Il papa Giovanni I (523-526) fu costretto a fare da ambasciatore a Costantinopoli per conto di Teodorico, allo scopo di provare a scongiurare la guerra verso cui si stava precipitando; non avendo ottenuto le aperture che si attendeva, il pontefice venne accusato di tradimento e gettato in carcere, dove fu lasciato morire. Il conflitto si aprì nel 535 e terminò solo nel 553 con la vittoria dell’impero. La memoria dell’esperienza del regno goto che rimase fissata nelle fonti pontificie fu del tutto negativa. In questo periodo scomparve in modo progressivo il senato e verso la fine del VI secolo non appare menzionato nemmeno il praefectus urbi, il magistrato cui era affidato il governo della città; tutto ciò aprì ampi vuoti in campo politico e amministrativo, riempiti dai papi. Roma subì gravi fenomeni di degrado infrastrutturale, urbanistico ed edilizio, con un notevole calo del numero degli abitanti. La conclusione formale della guerra venne sancita dalla promulgazione, il 13 agosto del 554, della legge imperiale nota come Prammatica Sanzione, che ripristinò il potere imperiale in Italia. Il preambolo del testo normativo attribuiva in modo esplicito le diverse misure in esso definite all’interessamento del papa Vigilio (537-555), assegnando così alla sede pontificia un ruolo di spicco nel riequilibrio della penisola, come terminale della politica italica dell’impero e interlocutore privilegiato in loco del princeps. Tuttavia, proprio durante gli anni di regno di Giustiniano il papato conobbe pesanti umiliazioni a opera del potere imperiale. Nel 537, il pontefice Silverio (536-537) era stato deposto ed esiliato dal generale Belisario con la falsa accusa di tradimento per aver cercato di consegnare Roma ai goti, mentre sembra che la vera causa fosse da ricercare nell’opposizione del papa al patriarca monofisita di Costantinopoli Antimio, protetto dall’imperatrice Teodoria. Vigilio fu a sua volta trascinato a Costantinopoli nel 547 per sottoscrivere a forza l’editto imperiale di condanna dei cosiddetti Tre Capitoli, gli scritti di tre teologi invisi ai monofisiti e perciò vietati da Giustiniano che a quegli eretici intendeva riavvicinarsi per calcolo politico. Alla morte di Vigilio fu lo stesso Giustiniano a imporre il successore, Pelagio I (556-561), contrario alla condanna dei Tre Capitoli, fu costretto ad accertarla. L’effimera restaurazione giustinianea, visto che le riconquiste Africa e Italia vennero entrambe di lì a breve nuovamente e per sempre perdute, lasciava al suo chiudersi un papato in seria difficoltà rispetto alla chiesa occidentale scossa dallo scisma dei Tre Capitoli. IL PAPATO NELL’OCCIDENTE ALTOMEDIEVALE la stirpe dei Longobardi irruppe nella penisola italiana nel 568 o 569, soprattutto nel centro nord, con una vasta appendice pure nel Mezzogiorno. Il progressivo consolidarsi portò alla formazione di un Regno che comprendeva pressoché tutta l'Italia centro settentrionale, oltre a due ducati separati a Spoleto e a Benevento. L'urbe rimane sotto il governo imperiale, assieme alle linee costiere adriatica e tirrenica e a buona parte del meridione; le province conservate dall'impero furono riorganizzate sotto il comando di un lOMoARcPSD|15222555 esarca, di stanza a Ravenna, che riuniva in sé il potere civile e quello militare. La fuga di diversi vescovi dalle aree maggiormente sconvolte condusse a una diffusa disarticolazione dello stesso tessuto diocesano, spingendo il papato a interventi tesi a non lasciare privi di guida pastorale, e di sostegno materiale, gli abitanti dell'Italia. A questo scopo venne adottata la pratica dell’allumina di visitatores transitori per le sedi episcopali vacanti. all'emergenza i Papi si trovarono a dover svolgere compiti di immediato riordino delle istituzioni ecclesiastiche italiche così scosse e ad assumere ancora una volta funzioni di rappresentanza della popolazione romana e di mediazione tra questa e i Longobardi, in sintonia con le autorità imperiali. Il pontefice che fu chiamato Gregorio I, detto Magno, elenco nell'anno 590, e che rimase in carica fino al 604, abbandonò la carriera politica per farsi Monaco e il soggiorno a lungo Costantinopoli come apocrisario papale. La sua figura fu successivamente canonizzata nell’agiografia come modello del Papa-Monaco vale a dire di pontefice che, se per mantenere uno spirito sempre volto alla meditazione e all’ascesi monastiche. Gregorio Magno si produsse subito di un'azione di tutela dai Longobardi, ordinando le difese militari in supplenza degli ufficiali dell'impero e negoziando con i nemici. In particolare, un suo accordo con il re longobardo Agilulfo, che alle porte di Roma venne convinto dal Papa ritirarsi dietro pagamento di un riscatto, diede vita un resoconto leggendario della vicenda modulato sull’esempio dell'incontro fra Leone I e Atla, non suscitò le ire dell'imperatore Maurizio e dell'esarca virgola che contestarono il pontefice di aver inopportunamente agito con scelta autonoma. Lo scrupolo primario non poteva che essere la protezione della città di Roma, cioè della sua diocesi. Anche l’avvio di un prudente dialogo dai contenuti religiosi con il re Agilulfo e con la sua consorte Teodolinda ebbe piuttosto lo scopo precipuo il rafforzamento del canale diplomatico per mantenere la pace. Gregorio I ebbe modo di volgere il proprio sguardo anche al di là delle Alpi, sforzandosi di creare una trama di relazioni con i principali regni cristiani d'occidente quale ponte fra questi e Costantinopoli. Freddi furono però i rapporti con il Regno visigoto della Spagna, che si era allora convertito al cattolicesimo per iniziativa dell’episcopato locale ma che identificava Roma con quell'impero contro cui visigoti avevano combattuto e che continuava a occupare la provincia iberica meridionale della Betica. Più amichevole fu il dialogo con le varie partizioni territoriali del Regno dei franchi, rette da differenti monarchi, i quali spiccavano per la loro precoce adesione alla fede cattolica. Eccezionale fu, infine, l'apertura manifestata dal Papa verso le remote isole britanniche: la conversione del re anglosassone del Kent Etelberto della sua stirpe è stata tramandata come l'atto forse più notevole del pontificato gregoriano; la diffusione del cristianesimo fra le gentes dell’Occidente post-romano era stata infatti merito soprattutto del clero locale. Gregorio inviò dunque Agostino, tendo smuovo le strutture della Chiesa anglosassone. Conviene tener presente come il Regno del Kent avesse da tempo rapporti privilegiati con il mondo franco e di come la condivisione di una medesima fede rappresentasse in quei contesti un importante strumento per rafforzare le alleanze e per venire integrati in un dato sistema di valori e di solidarietà. Un ultimo elemento di tensione fu rappresentato dalla polemica innescata da Gregorio contro il patriarca di Costantinopoli per l'uso di costui di fregiarsi del titolo di universalis, indebitamente interpretato dal punto di vista romano come il segno della volontà del presule della capitale imperiale di rivendicare la propria primazia su tutta la chiesa, approfittando della sua vicinanza al vertice politico dello Stato. Si trattava di episodi specifici, che non potevano però minare la simbiosi fra la sede Pontificia e l'unico impero cristiano dei romani. Durante il pontificato di Gregorio I si tentò anche di rendere più efficiente l'amministrazione dei patrimoni della Chiesa romana, territorialmente dispersi. Il papato cercò dunque di favorire una concentrazione di tale complesso patrimoniale, noto come patrimonium sancti (o beati) Petri, nelle regioni centro meridionali della penisola italiana. Soprattutto nel corso dell’VIII secolo questo insieme di beni venne ulteriormente riorganizzato e concentrato, proponendosi come il prodromo di una vera e propria dominazione territoriale dei pontefici. A ogni singola proprietà del patrimonium era proposto un rector, un amministratore di nomina Pontificia. Tanto zelo scaturiva sia dall'applicazione dei principi della carità cristiana sia dalla necessità di garantirsi un getto adeguato dai beni in questione, soprattutto per l'approvvigionamento alimentare della città di Roma. lOMoARcPSD|15222555 Dopo la morte di Gregorio Magno, per tutto il corso del VII secolo, la sede pontificia patì una discontinuità d'azione dovuta al succedersi di ben 20 Papi diversi nell'arco di anni compreso fra il 604 e 701. Un rinnovato interventismo del princeps, in larga misura per ragioni politiche, nel campo della definizione del dogma cristiano inasprì la conflittualità tra il Papa e il monarca. A partire dal Regno dell'imperatore Eraclio (610641) si produsse un estremo tentativo di riassorbire il secolare dissenso monofisita, vivo In Siria, Palestina ed Egitto. Nel 638 il patriarca costantinopolitano Sergio ispirò al princeps un documento, l’Ekthesis, che cercava di aggirare la formula calcedoniana delle due Nature di Cristo introducendo il concetto di un'unica volontà del Redentore. Roma condannò come eretiche le posizioni dei cosiddetti monoteliti e nel 649 1 asino da convocata e Laterano respinse l'atto con cui il successore di Eraclio, Costante II, vietava ogni ulteriore discussione sull'argomento; per tutta risposta all'imperatore fece deportare in Crimea Il Papa Martino I (649-654), che finì i suoi giorni in esilio. Nemmeno il superamento della controversia monotelita sancito nel VI Concilio ecumenico di Costantinopoli 680-681, pose però fine al conflitto tra il papato e l'impero. Quando il Papa Sergio I (687-701) rifiutò di accettare i deliberati di un nuovo Concilio celebrato in Oriente e noto come Quinisesto, l'imperatore Giustiniano II cerco di replicare il colpo di mano di Costante II contro Martino, ma i suoi piani furono sventati dall'intervento in difesa del pontefice e dello stesso esercito dell'esarcato, pronto a contestare il diritto di Costantinopoli di ingerire nelle cose italiche. Qui si vede l'impero spostare il proprio baricentro verso Oriente. I nuovi equilibri devono più immediata l'identificazione dell’élite imperiali italiche con il papato, anche in opposizione a Costantinopoli, come accadde nella crisi tra Sergio e Giustiniano II. Alla metà dell’VIII secolo, soprattutto durante il Regno di Liutprando, la pressione dei Longobardi verso le regioni centrali della penisola aumentò, nel tentativo di procedere a conquiste che saldassero sotto il dominio unitario dei re Longobardi tutta l'Italia fino ai Ducati di Spoleto e di Benevento. Nel 750-751 un successore di Liutprando, Astolfo, prese Ravenna mettendo fine all'esperienza dell'esarcato. Il Papa Stefano II (752-757), sapendo di non poter sperare nell'intervento di Costantinopoli, si appellò al re dei franchi Pipino recandosi personalmente presso di lui a Ponthion nel gennaio del 754 per domandargli di strappare ai Longobardi Ravenna e tut i centri appartenuti al l'esarcato e di restituirli al patrimonium beati Petri. Nel rapido mutare degli equilibri peninsulari il papato sembrava puntare a dar vita, tramite i franchi, a una nuova entità politico-territoriale incardinata su Roma, in funzione anti-longobarda. Si trattava di un disegno che andò evolvendo piuttosto per gradi: il papato cercò di salvaguardare sé stesso e le regioni che l'impero aveva dovuto abbandonare in Italia e per far ciò si rivolse ai franchi perché in quel momento essi erano l'unica realtà abbastanza forte sul piano militare da poter contrastare con successo i Longobardi; per la dinastia franca dei Pipinidi, accogliere l'appello pontificio significava garantirsi un'indispensabile legittimazione. A Ponthion Pipino ricevette dal Papa l'unzione regia, un gesto di altissimo valore simbolico ispirato ai re biblici. L'invito ai franchi fu ripetuto anche dai papi Paolo I (757-767) e Stefano III (768-772). In alcune province imperiali rivendicati dai Papi si manifestavano resistenze contro Roma in nome di vecchie tradizioni di autonomia ecclesiastica; i vari appelli i franchi risposero per il momento con interventi militari limitati, che costrinsero i Longobardi a negoziare. La divaricazione fra Roma e Costantinopoli venne drammaticamente alimentata nel corso dell'VIII secolo Anche da una nuova stagione di durissimi scontri religiosi, culminati, dopo lo stemperarsi della polemica sul monotelismo, nella tempesta dell'iconoclastia. Nel 726 l'imperatore Leone III Isaurico si pronunciò pubblicamente, per la prima volta, contro il culto delle immagini sacre, ordinando la rimozione dell'immagine di Cristo che era posta sulla porta bronzea del sacro palazzo di Costantinopoli. In questo orientamento imperiale convergevano diverse influenze, dalle correnti cristiane fautrici di un rigoroso spiritualismo, alle suggestioni ebraiche e islamiche contrarie alla raffigurazione del sacro. Dopo il pronunciamento del 726 egli si impegnò per affermare i propri convincimenti scontrandosi con dure opposizioni, a cominciare da quella del papa Gregorio II (715-731) e dello stesso patriarca di Costantinopoli Germano. Nel 730 il culto delle immagini sacre venne proibito per editto e fu avviata la persecuzione degli lOMoARcPSD|15222555 Le cariche episcopali abbaziali venivano abitualmente occupate da esponenti dell'aristocrazia in cerca di uffici lucrosi, che consentivano il controllo degli ingenti patrimoni ecclesiastici e aumentavano il potere e il prestigio dell'intero lignaggio di coloro che li detenevano. Ne derivava che l'alto clero era costituito in massima parte da soggetti sprovvisti di un'autentica vocazione e quindi della necessaria formazione e di un adeguato spessore morale, i quali anche da ecclesiastici persistevano stili di vita propri dell'aristocrazia laica. Svariati settori della società cristiana, nelle differenti regioni dell'occidente, avvertirono l'impellente urgenza di una profonda riforma della Chiesa che al contempo emendasse i costumi del clero, rendendolo degno e attrezzato per svolgere il proprio compito. Tale rinnovamento complessivo non ebbe, almeno all'inizio, il carattere di un progetto organico e coerentemente organizzato, non essendovi un centro capace di coordinare le molteplici istanze e di dirigerle in maniera unitaria. La nuova alleanza fra impero e papato consentì di dare immediatamente il via a un'opera di rinnovamento, all'inizio ispirato al vecchio modello della Chiesa carolingia, con il recupero della tradizione giuridica canonica e con un collegamento assai stretto fra le due autorità universali contro ogni forma di particolarismo signorile ed ecclesiastico. Nel consiglio di Reims del 1049 al pontefice romano fu attribuito il titolo di apostolicus, nel senso di unico successore degli apostoli. Lo strappo definitivo con Costantinopoli avvenne durante il pontificato di Leone IX, tra il 1053 e il 1054. Facendo precipitare rapporti come si è visto da lungo tempo deteriorati, il patriarca orientale Michele Cerulario non solo fece chiudere le chiese e i monasteri latini di Costantinopoli, ma avanzò contestazioni circa la validità dell’eucaristia impartita in Occidente; ne seguì uno scambio polemico durissimo, in cui la cancelleria romana introdusse tutte le argomentazioni dottrinali e giuridiche elaborate nel corso del tempo per affermare il proprio primato. Una legazione Latina inviata Costantinopoli non riuscì a riavviare il dialogo con il patriarca e il 16 luglio 1054 si giunse alla reciproca scomunica che de terminò la definitiva separazione fra la Chiesa cattolica romana e quella ortodossa, ancora oggi vivente. Leone IX si confrontò pure con i Normanni: nel 1053 promosse una spedizione militare anti-normanna in accordo con il catapano bizantino Argiro, che si risolse però in una grave sconfitta per il papato nella battaglia di Civitate. Il Papa venne catturato e costretto a riconoscere ai Normanni il possesso dei territori da loro occupati. Da quel momento di pontefici cambiarono atteggiamento nei loro confronti. Nel 1059, i cardinali riuniti a Siena, con l'appoggio dell'imperatrice reggente Agnese, scelsero come pontefice il vescovo di Firenze Gerardo di Borgogna, che prese il nome di Niccolò II. Dopo pochi mesi ratificò il Decretum in electione papae, per il quale lezione del Papa non doveva più avvenire secondo l'antica formula dell’elezione episcopale “per clero e popolo”, ma forse riservatevi esclusiva ai cardinali vescovi, cioè agli ecclesiastici titolari delle basiliche della città di Roma e suburbicaria, dette “chiese cardine”. Alla morte di Niccolò II nel 1061 venne eletto il vescovo di Lucca Anselmo da Baggio, Alessandro II (1061-1073), al quale l'impero oppose il presule di Parma Cadalo (Onorio II), condannato poi in un sinodo a Mantova. Alessandro conferì ai patarini il vexillum sancti Petri per sottoporli a una più diretta obbedienza papale. Il papato a dimostrò di saper usare tutti gli strumenti che il secolo gli metteva a disposizione, inclusi in essi vassallatici, per perseguire gli intenti di rinnovamento; questo si rivelò estremamente efficace anche se incontrò la critica di quegli ambienti che pretendevano invece un completo rifiuto dei mezzi e delle logiche della politica e degli stessi strumenti coercitivi sul piano spirituale per ritornare piuttosto a un vagheggiato cristianesimo delle origini, capace di esprimersi in forme del tutto antagonistica rispetto ai valori correnti della società. Nel marzo del 1065 l'imperatore Enrico IV raggiunse la maggiore età e distribuì svariate prebende ecclesiastiche allo scopo di crearsi una rete di vescovi e di abati fedeli. Alla morte di Alessandro II nel 1073 salì al soglio pontificio, con il nome di Gregorio VII, Ildebrando di Soana. Quest'ultimo esordì nel proprio scontro con Enrico IV con l'emanazione, nel 1075, di un decreto che condannava ogni investitura, cioè ogni concessione di diritti pubblici a un ecclesiastico da parte di laici. Allo stesso tempo Il Papa emanò il documento note come Dictatus papae: affermava il potere universale e incontrastabile del Papa; inoltre scomunicò e depose molti vescovi, soprattutto in Italia settentrionale e in Germania. Enrico respinse il decreto e ne sfidò al contenuto, eleggendo arcivescovo di Milano un proprio candidato contro il volere lOMoARcPSD|15222555 papale e investendo i vescovi di Spoleto e di Fermo. In due assemblee, tenute a Worms e a Piacenza nel 1076, l'imperatore fece condannare Gregorio VII per tradimento e lo dichiarò deposto; il pontefice pronunciò subito la scomunica di Enrico IV e sciolse dai vincoli di fedeltà nei suoi confronti tutti i suoi vassalli. Nell'inverno del 1076-77 Enrico IV scese in Italia per raggiungere il castello della contessa Matilde di Canossa, dove il Papa era ospite insieme all'abate Ugo di Cluny, umiliandosi restando fermo per tre giorni davanti alla Fortezza in atteggiamento di penitente, fino a che il Papa non lo prosciolse dalla scomunica. L'imperatore però riprese l'attacco al Papa, dai vescovi contrari alla riforma. Costoro in un sinodo a Bressanone nel 1080 dichiararono nuovamente deposto il pontefice opponendogli l'antipapa Clemente III, l'arcivescovo di Ravenna Guiberto. Dal 1081 Enrico pose assedio a Roma e tre anni dopo riuscì a entrare nella città e a insediarvi l'antipapa, il quale lo incoronò imperatore; Gregorio VII chiamò a sua difesa i Normanni, che però si diedero al saccheggio della città e condussero il Papa a Salerno, dove spirò il 25 maggio 1085. Venne eletto Vittore III che restò in carica per poco, lasciando il posto a Urbano II (1088-1099). Questi allargò la questione delle misure anche a Francia e all’Inghilterra, alla ricerca di una soluzione universale del problema. Inoltre delibero la prima crociata, partita nelle 1096 e che nel 1099 prese Gerusalemme, fondandovi un Regno latino d'oriente. Il Papa succeduto a Urbano II, Pasquale II (1099-1118), si trovò a dover fronteggiare l'impeto del nuovo imperatore Enrico V, che fra il 1110 e il 1111 cercò di chiudere la partita sulle investiture. L'imperatore concordo con il Papa la propria rinuncia al diritto di investire gli ecclesiastici, ma poi costrinse il pontefice a dare il suo consenso alla pratica così come si svolgeva. Un concilio in Laterano dichiarò nullo tale accordo e spinse Pasquale a difendersi: il ruolo di Roma è la prima fonte di giudizio sede alla quale dovevano essere ricondotte tutte le cause ecclesiastiche. Il collegio dei cardinali aumentò il proprio potere e Pasquale lo legò ulteriormente a sé. Pasquale II morì mentre cercava con l'aiuto dei Normanni di rientrare in Vaticano, occupato dai nemici favorevoli all'imperatore Enrico V. Gli successe per breve tempo Gelasio II. Nel 1119 fu eletto pontefice Callisto II (fino al 1124), con il quale la lunga querelle sulle investiture si chiuse una volta per tutte con un compromesso. Nel concordato di Worms del 1122, distinse in sostanza il momento dell'investitura spirituale dei vescovi, riservata al clero, e quello dell'investitura temporale, lasciata l'imperatore. L’APOGEO DELL’AUTORITA’ PAPALE Alla morte di Callisto II nel 1124, uno scontro nel collegio portò all'elezione di Celestino II, che fu costretto a dimettersi subito per essere sostituito da Onorio II. Nel 1130 vi fu poi l'elezione di Innocenzo II. Dopo i contrasti avuti per l'elezione di un Papa, risulta rafforzato il nesso fra papato e il Regno di Francia, sottolineato dall’incoronazione per mano di Innocenzo II del re Luigi VII, nel 1131. Innocenzo II dovette misurarsi anche con pericolose forme di dissidio, che furono infine condannate come eresie contro la ricchezza del clero. La formula di vicarius christi entro regolarmente nell'uso della cancelleria Pontificia sovrapponendosi a quella successore di Pietro: Cristo aveva conferito a Pietro dei poteri delegati e il Papa li esercitava in quanto erede dell’apostolo come gli avrebbe esercitati Cristo stesso. Il papato del XII secolo era ormai in grado di svolgere una funzione di governo di fatto sulla cristianità occidentale, in virtù della riconosciuta capacità giurisdizionale che si tradusse nel sistematico ricorso alla sede romana da parte delle varie autorità ecclesiastiche per sottoporre al suo giudizio un’estesissima casistica di questioni e di controversie. Il pontefice rispondeva ai diversi quesiti attraverso le decretali, che costituivano diritto universalmente valido. La curia romana aveva sviluppato una sofisticatissima organizzazione, articolandosi in sezioni e dipartimenti specializzati. Nel corso del XII secolo autorità Pontificia impose anche la propria attiva presenza fin nelle più lOMoARcPSD|15222555 remote regioni dell’Occidente, dall'Irlanda alla penisola scandinava, dove vennero introdotte la liturgia e il diritto di Roma. Con l'ascesa al trono di Germania nel 1152 di Federico I Barbarossa, incoronato imperatore a Roma tre anni dopo dal Papa Adriano IV, per la sede petrina si aprì però un'ennesima stagione di aspra realtà politica e ideologica con il potere imperiale. L'imperatore, collocandosi sulla scia dei principes romani, riaffermava la propria natura di monarca universale. Dal 1158 entrò in uso la denominazione sacrum imperium romanum, a indicare l'eredità romano-cristiana e la missione divina dell'impero e il suo contenere al proprio interno le stesse istituzioni ecclesiastiche. Il papato aveva cercato di ridurre l'imperatore dell'occidente a una sorta di “funzionario”, strumento per il governo temporale della società cristiana. L'offensiva teorica di Federico I e la sua presenza in armi nell’Italia settentrionale spinse Adriano IV a cautelarsi, rafforzando l'alleanza con il re normanno di Sicilia Guglielmo, che nel 1156 si dichiarò Vassallo del Papa. Morto Papa Adriano del 1159, Barbarossa spinse parte del collegio cardinalizio a sostenere un altro candidato, Vittore IV, rispetto a quello scelto, Alessandro III. Alessandro, che aveva scomunicato l'imperatore, fu costretto a vivere lontano da Roma. Alla morte di Vittore, il monarca svevo nominò a succedergli Pasquale III. Nel 1167 venne guidato un esercito imperiale a Roma per insediare Pasquale, alla cui scomparsa l'anno dopo venne nominato un altro antipapa, Callisto III. Alessandro III si alleò con il principale nemico di Federico I, ossia la lega delle città comunali. La pace stipulata a Venezia fu l'occasione per sanare il contrasto: Alessandro III venne riconosciuto come unico e legittimo pontefice e revocò la scomunica infitta a Federico. L'imperatore si umiliò togliendosi il mantello e baciando i piedi di Alessandro, che lo rialzò, baciò in volto e benedisse. Un contenzioso come il Regno d’Inghilterra si tradusse nella pretesa di sostituire la propria giurisdizione in alcune materie a quella ecclesiastica. Il re Enrico II nel 1164 fissò nelle cosiddette costituzioni di Clarendon i diritti della corona sul clero inglese. Enrico aprì negoziati con il pontefice, fino a revocare una parte delle costituzioni contestate. Roma usciva sostanzialmente vincitrice del grande scontro con Federico I, le vicende accadute mostravano come il secolare il nodo del rapporto fra l'auctoritas pontificia e la potestas regia restasse al fondo e risolto. Il III Concilio del Laterano del 1179 prescrisse che l'assemblea elettiva, cui erano chiamati a partecipare ai vescovi, preti e diaconi cardinali, doveva scegliere il nuovo Papa raggiungendo la maggioranza necessaria dei due terzi; venne inoltre negato qualsiasi ruolo al popolo. I cardinali non si limitavano a eleggere il Papa, ma costituivano i suoi principali collaboratori nell'attività amministrativa e di governo, assistendo al concistoro. Il matrimonio tra il figlio di Federico I, Enrico, la principessa normanna di Sicilia Costanza, figlia di Ruggero II, rappresentò una nuova e assai grave minaccia per il papato. Enrico VI, incoronato imperatore nel 1191 dal Papa Celestino III, avviò subito negoziati con il pontefice per ottenere il riconoscimento della propria successione nella persona del figlio Federico. Celestino si dimostrò riluttante e tra il 1197 e il 1998 morirono sia l'imperatore sia il Papa e al soglio di Pietro salì Innocenzo III (1198-1216). Poiché l'erede di Enrico, Federico, aveva solo tre anni, si scatenò subito una lotta per la successione tra Filippo di Svevia, fratello del defunto imperatore, e Ottone di Brunswick; Innocenzo III, divenuto tutore del piccolo Federico e signore del Regno di Sicilia, si assicurò una posizione di assoluta centralità nel gioco politico. Il Papa riorganizzò gli uffici di curia e formò l'amministrazione civile della città di Roma; Si preoccupò anche di recuperare le terre che il papato rivendicava come appartenenti al patrimonio di San Pietro nell'area centro italiana. Il patrimonio della Chiesa di Roma poté estendersi e ricompattarsi. Il papato incrementò anche la propria disponibilità finanziaria. Il pontefice incassava da diverse fonti: gli spettavano censi in quanto signore territoriale, tributi dai sottoposti, proventi dall'esercizio delle diverse cariche ecclesiastiche e dai beni delle chiese locali, getti da specifici fenomeni culturali. lOMoARcPSD|15222555 anche in Oriente. Il Concilio rese obbligatorio il conclave per i cardinali in occasione dell'elezione del Papa. Gregorio X emanò l'apposita costituzione Ubi periculum, la quale dispose che le elezioni dovesse avere tempi necessariamente rapidi. Sullo scenario politico internazionale, il papato confermò in tutto questo periodo la propria vicinanza alla Francia, sostenendo la presenza degli Angioni nel Mezzogiorno e le loro velleità mediterranee. Quando la Sicilia, in seguito alla guerra del Vespro del 1282, si diede a Pietro III d'Aragona in chiave antiangioina, Il Papa Martino IV (1281-1285) lanciò l'interdetto sull'isola, scomunicò il re Pietro e lo dichiarò deposto. Restarono inascoltati anche gli ultimi appelli per una crociata contro il mondo islamico. Roma mirò a estendere ancora di più la propria influenza fino ai margini estremi del continente europeo. La posizione del papato nel XIII secolo risentì dei mutamenti complessivi che la società e le istituzioni andavano allora conoscendo. Sul piano politico, con il tramonto della dinastia Sveva era venuta meno la capacità degli imperatori di esprimersi in termini universali, riducendosi a monarchi di carattere sostanzialmente nazionale nei territori germanici. La prima volta l'universalismo pontificio veniva a confrontarsi con una molteplicità di monarchie nazionali in via di consolidamento, più piccole tra dimensioni ma più coese al loro interno. In queste società accanto al l'aristocrazia erano emersi nuovi ceti di origine “borghese”, che avevano favorito anche un processo di laicizzazione e diffusione della cultura. La sede petrina in quel frangente sembrò rimanere indietro rispetto ai profondi cambiamenti politici, sociali e culturali in atto e in un quadro più frammentato politicamente e culturalmente cominciò a smarrire un poco la propria ragione d'essere e il suo stesso ruolo di istituzione di governo universale. Morto nel 1292 Niccolò IV, il primo francescano a essere diventato pontefice, venne eletto Papa Celestino V l'eremita Pietro da Morrone, In esperto e inadatto a svolgere funzioni di governo; infatti, dopo 5 mesi egli fu convinto da abdicare. A succedergli fu il cardinale Benedetto Caetani, proveniente dall'alta aristocrazia romana, che assunse il nome di Bonifacio VIII (1294-1303). Il nuovo pontefice si trovò a dover fronteggiare una situazione politica negativa su vari fronti: la Sicilia in mano aragonese, rigetto a opera della corona d’Inghilterra delle pretese papali sulla Scozia, la sfida del mancato riconoscimento da parte del re di Danimarca del vescovo di Lund, il fallimento della mediazione per la successione al trono d’Ungheria. I problemi principali si verificarono però con il re di Francia Filippo IV il Bello. Oggetto del contendere era il diritto rivendicato dal re di tassare il clero francese ed esercitare la giurisdizione sugli ecclesiastici del Regno, facoltà che Bonifacio negava, attribuendola a sé e sostenendo che un sovrano non poteva agire in questo senso se non chiedendo l'autorizzazione al Papa. Filippo replicò espellendo gli esattori papali e bloccando i flussi d'oro e di argento direttoia Roma, fino a mettere sotto processo nel 1301, per tradimento, simonia ed eresia il vescovo di Pamiers. Nell'anno 1300 Bonifacio VIII proclamò un grande Giubileo: con questo gesto il papato si metteva al centro indiscusso di tutta la cristianità. I cardinali legati alla potente famiglia romana dei Colonna chiesero un Concilio che processasse Bonifacio, reo di varie nefandezze, tra cui quella di aver costretto ad abdicare Celestino V. Il Papa fece radere al suolo Palestrina, la città dei Colonna, e confiscò i loro beni spartendoli fra i lignaggi rivali. I Colonna perseguitati si rifugiarono nel Regno di Francia, dove si andava diffondendo una nutrita pubblicistica che contestava le pretese del papato e accusava il pontefice in carica di essere empio, simoniaco e di aver assassinato Celestino V. Bonifacio, dopo una prima bolla rivolta a Filippo IV, ne emanò una seconda, l’Unam sanctam del 1302, che affermava il principio del pontefice come capo unico e supremo della società cristiana e detentore di entrambe le spade in quanto vicario di Cristo. Filippo IV fece deliberare a un'assemblea del suo Regno la convocazione di un Concilio generale per processare il Papa e, mentre quest'ultimo si apprestava a lanciare la scomunica, settembre del 1303 il re inviò in Italia una spedizione guidata da Guglielmo di Nogaret, la quale, unitasi ai Colonna, arrestò Bonifacio lOMoARcPSD|15222555 nel suo palazzo di Anagni e ne chiese l'abdicazione. Bonifacio riuscì a fuggire dalla prigionia e a riparare a Roma, ma dopo appena un mese morì. Il successore di Bonifacio, Benedetto XI, ma sta in carica per pochi mesi, si adoperò per ricucire lo strappo con il Regno di Francia e ritirò l'interdetto e la scomunica contro Filippo il Bello e si riappacificò con i Colonna. Alla sua morte venne eletto Papa Clemente V (1305-1314), un francese, l’arcivescovo di Bordeaux Bertrand de Got. Filippo IV riuscì a coinvolgere Roma nel proprio disegno teso a provocare la rovina dell'ordine monastico cavalleresco dei Templari, che dopo la fine dell'impegno crociatistico era diventato una delle maggiori potenze finanziarie dell'occidente. Il re accusò i templari di empietà e ne confiscò i beni in Francia, mentre il papato avviava a sua volta un'indagine e convocava a Vienne un concilio generale, nel 1311, per prendere una decisione finale sul caso: Il Concilio decise lo scioglimento dell'ordine templare, le cui risorse vennero di ridistribuite fra le varie istituzioni ecclesiastiche e quelle laiche. Clemente V continuò a dimorare in Francia e nel 1309 pose la propria residenza ad Avignone, dettata da motivi contingenti; la città francese rimase sede papale per ben 65 anni, fino al 1374. Tale attività aveva alti costi, che resero necessario l'aumento della tassazione curiale, il cumulo dei benefici e la confisca dei beni degli scomunicati. Giovanni XXII (1316-1334) organizzò la curia nella forma che persiste a tutt'oggi. I Papi accentrano molti poteri e funzioni nelle proprie mani e in quelle dei cardinali, i quali introdussero, in occasione delle elezioni d’Innocenzo VI nel 1352, anche i patti elettorali, cioè delle condizioni giurate che il pontefice neoeletto doveva impegnarsi a osservare e che ne limitavano le prerogative. In questo periodo l'impegno missionario pontificio al di fuori del continente europeo fu in Asia e nel Corno d'Africa e inoltre una particolare attenzione fu rivolta alle università. I Papi di Avignone, 7 nel complesso e tutti francesi, resero palese l'avvenuto ripiegamento delle istituzioni Pontificia trecentesca in una dimensione dalla ridotta visione strategica, che veniva diffusamente colta dagli osservatori contemporanei come appiatta sulle posizioni del Regno di Francia. Il papato fu oggetto in questo periodo di una rinnovata serie di attacchi che ne contestavano la natura di autorità di governo universale. I pontefici replicarono continuando a utilizzare i modelli teorici elaborati lungo i secoli precedenti, con la pretesa di nominare il vicario imperiale per l'Italia e di rivestirne addirittura essi stessi la carica in caso di vacanza del titolo. Il Papa Giovanni XXII entrò in conflitto con l'imperatore Ludovico il Bavaro, il quale aveva ricevuto la corona ferrea a Milano da un vescovo scismatico e quella imperiale a Roma da un laico. Giovanni scomunicò l'imperatore dichiarandolo deposto, mentre Ludovico accusò a sua volta il Papa di essere eretico e di abusare delle censure ecclesiastiche per scopi politici a vantaggio della Francia e per questo sollecitò un Concilio generale che lo sottoponesse a giudizio. Nel 1328 l'imperatore dichiarò deposto il pontefice per eresia e lesa maestà e creando un antipapa insediato a Roma, Niccolò V, il quale fuggi e imploro il perdono di Giovanni XXII. Circa nel 1356, Carlo IV di Boemia, incoronato imperatore dal cardinale vescovo di Ostia su delega del Papa, emanò il documento noto come Bolla d'Oro, con il quale si introdusse il principio secondo cui il re di Germania aveva il diritto di venire incoronato imperatore dei romani, negando ogni ruolo del pontefice. La città di Roma soffrì a causa del trasferimento del Papa in Francia: vi fu un declino economico e il degrado delle stesse strutture urbane. Innocenzo VI (1352-1362) fu promotore di un dativo di riordino dei territori del patrimonio di San Pietro affidato al cardinale Egidio Albornoz, che scese in Italia un esercito per ristabilire il controllo del papato sull'area. Albornoz riuscì a disciplinare i particolarismi e le autonomie signorili e cittadine presenti nel centro Italia e diede loro una nuova costituzione, cosiddetta Egidiana. Per il ritorno del Papa a Roma si impegnarono in quel periodo molte forze. La loro protratta residenza ad Avignone li faceva avvertire come una sorta di vescovi del re di Francia. Nel 1367 Urbano V (1362-1370) fece un temporaneo rientro a Roma, ma se ne tornò in Francia. Il definitivo reintegro del papato nella città di Roma avvenne nel 1377 con Gregorio IX (1370-1378), il francese Pierre-Roger de Beaufort. Nelle regioni lOMoARcPSD|15222555 pontificie erano scoppiate diverse rivolte che miravano ad approfittare della situazione di instabilità: con Firenze il papato era entrato in guerra aperta. Scelto il Vaticano come residenza, una vasta e intensa opera diplomatica e alcuni duri interventi repressivi permisero di pacificare il quadro complessivo e di ripristinare a tutti gli effetti il governo del pontefice sull'insieme dei suoi possedimenti. Nel 1378 il napoletano Bartolomeo Prignano fu il primo Papa a essere nuovamente eletto a Roma, con il nome di Urbano VI (1378-1389). Il pontefice si guadagnò subito l’avversione dei cardinali francesi, che ripararono a Napoli per procedere a una nuova elezione, sostenendo che quella di Urbano era nulla in quanto condizionata dalle intimidazioni e dai tumulti del popolo di Roma. I cardinali elessero Roberto di Ginevra, assunse il nome di Clemente VII e si trasferì ad Avignone. Papa e antipapa si scomunicarono a vicenda, provocando la spaccatura della Chiesa e dell'intera società cristiana. I vari paesi si appoggiarono con uno e con l'altro Papa, determinando due fazioni distinte. La chiesa venne così a trovarsi in una nuova condizione di scisma, che coinvolgeva tutto il mondo cattolico e che minava l'autorevolezza dell'istituzione pontificia. Il conflitto fra Urbano VI e Clemente VII rinfocolava le polemiche sull'intera configurazione della Chiesa cattolica e davano fiato alle teorie che suggerivano che il governo della Chiesa dovesse risiedere nel collegio dei cardinali, con un modello “oligarchico”, oppure nel concilio generale. Lo scisma d'occidente si trascinò anche oltre la morte di Urbano e di Clemente. A quest'ultimo, deceduto nel 1394, successe ad Avignone lo spagnolo Benedetto XIII, mentre al primo, spirato nel 1389, fecero seguito Bonifacio IX (fino al 1404), Innocenzo VII (fino al 1406) e infine Gregorio XII (fino al 1417). Successivi tentativi di riconciliazione fallirono e alla fine i cardinali di entrambe le sedi decretarono un Concilio generale. Il Concilio si riunì a Pisa il 25 marzo del 1409, in assenza dei due pontefici, che furono dichiarati entrambi scismatici ed eretici e perciò deposti. L'assemblea procedette all’elezione di un nuovo Papa, Alessandro V. Così si ebbero tre Papi in carica. Alessandro V morì dopo un solo anno di pontificato e gli successe Giovanni XXIII, che convinse il re di Germania Sigismondo a convocare l’ennesimo concilio generale, che si aprì il 5 novembre 1414 a Costanza, alla presenza di centinaia di ecclesiastici e dei rappresentanti dei diversi monarchi. Dei tre papi solo Gregorio XII accettò, dichiarandosi pronto a rinunciare alla carica purché lo facessero anche i suoi due contendenti. Il concilio affermò il principio secondo cui il potere risiedeva non nella figura del papa “monarca”, ma nella chiesa rappresentata dal concilio generale stesso. Il pontefice era solo un rappresentante della chiesa, un “funzionario”; era la chiesa ad attribuirgli il potere e ad essa egli doveva rispondere del proprio operato. Questa formulazione era l’esatto opposto della teoria fatta propria dai papi medievali, che si erano elevati a vicari di Cristo, posti al di sopra della chiesa e sommi dispensatori di ogni potere, anche politico. A Costanza venne espressa la dottrina “conciliarista”, che collocava nel concilio espressione della chiesa universale la fonte del potere. Acquisite le dimissioni di Gregorio XII, l’assemblea depose d’autorità Giovanni XXIII e Benedetto XIII e procedette all’elezione di un nuovo, e unico, papa nella persona del cardinale Ottone Colonna, con il nome di Martino V (1417-1431). Si stabilì inoltre, che con il decreto Frequens si tenesse un concilio puntualmente ogni dieci anni. In questo periodo inoltre vennero diffuse delle teorie apocalittiche sul destino dell’intera umanità, che si andarono ad unire al flusso sempre più coinvolgente del pensiero delle “prime comunità” cristiane, che considerava come eretico l’ingente ricchezza della Chiesa. IL PAPATO ALLA FINE DEL MEDIOEVO Nel 1420 il Papa Martino V poté fare ritorno a Roma, impoverita e spopolata. Il primo obiettivo fu ricostruire la base territoriale e materiale dell’autorità del papato, riuscì ad avviare la ripresa economica e un nuovo
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