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Il papato nel Medioevo, Sintesi del corso di Storia della Chiesa

Sintesi dettagliata del libro ''Il papato nel medioevo'' che offre una sintesi delle vicende del papato in epoca tardoantica e medievale, dalla cristianizzazione dell'impero romano al XV secolo.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 16/06/2024

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Matteocode 🇮🇹

37 documenti

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Scarica Il papato nel Medioevo e più Sintesi del corso in PDF di Storia della Chiesa solo su Docsity! Il papato nel medioevo riassunto Capitolo 1 il papato nel tardo impero romano 1 Gli sviluppi dell’istituzione papale nell’impero cristiano A partire dal II secolo Roma ha una primazia onorifica rispetto alle altre diocesi, comprese quelle più prestigiose di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e Constantinopoli. Autori come Tertulliano e Cipriano facendo perno sulla figura di San Pietro, assegnano a Roma un primato morale e di guida nelle questioni dottrinali. Con l’editto di Milano del 313 le comunità cristiane sono libere di professare la loro fede al pari degli altri culti religiosi, non subiscono più nessuna violenza e diventano persone giuridiche con precisi diritti in ambito patrimoniale, oltre a godere dell’esenzione dal pagamento delle tasse e della giurisdizione dei tribunali imperiali. Nella città di Roma soprattutto con Costantino si ebbe un grande sviluppo edilizio in relazione alle esigenze del culto: vennero costruite la basilica Lateranense e quella Vaticana che divennero i fulcri della topografia di Roma. Costantino donò alla chiesa arredi sacri e proprietà fondiarie non solo in Italia (regioni centrali e Sicilia), ma anche in Gallia e in Africa. All’inizio il vescovo di Roma era solo l’amministratore di questi territori, ma a partire dal IV-V secolo ne ottenne il controllo completo. Nel 343 con il concilio di Serdica si riconosce una funzione primaziale al vescovo di Roma, in quanto successore di san Pietro. Si tratta di un argomento già esposto degli stessi papi dalla prima metà del III secolo come Callisto I (217-222) e Stefano I (254-257). Anche Costantino, nonostante avesse spostato a Oriente il baricentro dell'impero riconosceva la speciale autorità della sede romana, in quanto culla del potere imperiale. Nel 380 fu promulgato Editto di Tessalonica (dall’imperatore Teodosio) con il quale si affermava che il cristianesimo era l’unica religione ammessa con la persecuzione delle altre. La chiesa si ritrovò in una posizione nuova, da cui derivavano privilegi, ma anche responsabilità: aveva il sostegno dello Stato, la chiesa era protetta dalla legge e i sacerdoti erano chiamati a collaborare con i funzionari pubblici. Tra il pontificato di Damaso (366-384) e Leone I (440-461) si impegnarono in un’azione di consolidamento istituzionale e organizzativo delle proprie strutture. La sede romana si dotò di scrinia (uffici), modellati su quelli imperiali, dove operano notarii specializzati. Una struttura burocratica che sarebbe stata importante per lo sviluppo del potere temporale, oltre a formare competenze di governo e con l’archivio una memoria documentaria. Allo stesso tempo si consolidò il ruolo dei pontefici. Papa Damaso (366- 384) è il primo a chiamare la sede di Roma sedes apostolica in quanto fondata da Pietro e Paolo. Nel 382 con il concilio di Roma veniva formalizzata nella dottrina ufficiale la tesi petrologica a sostegno del primato di Roma. Egli fa tradurre in latino la Bibbia da San Girolamo. L’esito è la Vulgata che usando un lessico giuridico divenne un efficace base d’appoggio dal punto di vista giuridico per le rivendicazioni del papato. Sulla base della Bibbia si consolidò il principio secondo cui il papa era il successore di san Pietro. Anche un passo di Matteo e la versione in latino di un testo greco del II secolo affermavano che Cristo aveva concesso a Pietro dei poteri che passavano in eredità poi ai legittimi successori, quindi i vescovi di Roma. Il successore Siricio (384-389) introduce delle lettere dette decretali perché erano basate sui decreta dell’imperatore che mandava ai suoi funzionari. Con questi scritti il papa voleva fornire un giudizio universale e definito sui casi che gli venivano presentati. La più antica è una missiva del 385 di Siricio con cui si dichiarava erede di Pietro. Il primo che usa un grande numero di decretali è Innocenzo I (401-417) che rivendica per la sede romana il diritto di rispondere alle questioni più importanti, così come Mosè aveva riservato a sé i casi più importanti. Bonifacio I (418-422) sostiene che il giudizio papale è inappellabile. Un'altra metafora usata è quella di San Paolo secondo cui il papa stava alla Chiesa universale, come la testa con il corpo umano. separati, ma erano chiamati a collaborare per la salvezza spirituale dei sudditi. Si cercava in questo modo di trovare un punto di equilibrio. Tuttavia un ambiguità del testo venne usata dall’XI secolo viene usata per affermare la superiorità del papa sull’imperatore, sottolineando che l’autoritas aveva più prestigio della potestas imperiale. I papi nel momento del giudizio finale sarebbero stati chiamati per garantire della condotta di tutti i cristiani e quindi anche dei monarchi. A partire da Gelasio il titolo di papa iniziò a essere usato esclusivamente per il vescovo di Roma che aveva acquisito sempre maggiori responsabilità prendendo funzioni di governo sull’intera penisola italiana poi ristretta alle regioni centro- meridionali con la Sicilia e la Sardegna, proponendosi come punto di riferimento per tutte le diocesi d’Occidente per quanto riguardava questioni di fede e di disciplina e pretendendo il primato sulla Chiesa universale. In oriente e in Occidente diverse chiese locali conservarono la loro autonomia con usi, credenze e tradizioni diverse. In mancanza di una chiesa organizzata l’unità della Chiesa risiedeva nell’uniformità della fede professata. Con il tempo si sviluppò l’idea che l’unità si esprimesse nel trovarsi in accordo con Roma, esaltando questa sede come guardiana dell’ortodossia. In questo senso fu molto importante lo scrinium romano, dove era archiviato un patrimonio di documenti presi come punti di riferimento dalle chiese locali per le questioni dottrinali e disciplinari. 2 I papi di fronte ai barbari A partire dal V secolo i vescovi, di provenienza aristocratica e spesso con attitudini in campo politico e amministrativo si fecero carico delle incombenze materiali delle popolazioni, garantendo loro servizi come il rifornimento di viveri, amministrando la giustizia e assicurando la protezione delle popolazioni contro gli attacchi dei barbari, curando le difese militari e negoziando con gli aggressori. Nel 410 il re goto Alarico saccheggia Roma. Innocenzo I era assente durante il saccheggio e al suo ritorno soccorse gli abitanti e riparò i danni fatti. Divenuto papa nel 440, Leone I divenne protagonista di un'altra vicenda leggendaria. Nel 452 su incarico di Valentiniano III fermò Attila sulle rive del Mincio, offrendogli in cambio il pagamento di un ingente riscatto. Il suo coinvolgimento si spiega con il fatto che erano delle figure più importanti dell’elite romana e siccome possedeva un’esperienza di mediatore, avendo già partecipato a un negoziato nel 440. Di questo episodio venne subito elaborata una versione agiografica, secondo cui il pontefice avrebbe firmato Attila grazie al suo carisma personale e alla forza della fede. Pochi anni dopo venne dipinto con toni simili anche l’incontro tra Gregorio e il re dei Longobardi Agilulfo a sua volta convinto a fermarsi dal prestigio dell’interlocutore. Leone tornò protagonista nel 455, quando Roma venne saccheggiata da parte dei vandali di Genserico. In queste circostanze il papa non poté evitare l’attacco ma si impegnò nell’ opera di ricostruzione e ebbe un ruolo di sostegno morale e materiale della popolazione romana. 3 il papato nel regno dei Goti Nel 476 i pontefici si trovarono a fronteggiare una situazione politica nuova, siccome ora la penisola era sottoposta al governo di un militare di origine barbara. Il potere dell’impero era rimpiazzato da una pluralità di regni retti da re barbari, dove una maggioranza romana era costretta a convivere con stirpi di confessione religiosa non cattolica. Il panorama fu molto eterogeneo: in Africa la chiesa venne spogliata dei propri beni, in Gallia e in Spagna la conversione al cattolicesimo avvicinò le chiese locali alle aristocrazie del regno, allentando il rapporto con Roma come si vede dalla riduzione del flusso di lettere pontificie e dall’esclusione del papato nell’opera di evangelizzazione. Nel 493 Si insediò nella penisola il re dei goti Teodorico capo barbaro di confessione ariana che mantenne i due gruppi separati per funzioni, costumi, diritto e religioni. L’acquisizione del credo ariano da parte delle popolazioni barbare fungeva da segno distintivo. Per alcuni anni questa convivenza funzionò. L’equilibrio però si spezzò quando il monarca diede via a una nuova politica aggressiva contro l’aristocrazia romana che aveva mostrato solidarietà nei confronti dell’imperatore Giustiniano. Mentre si moltiplicavano gli arresti, gli omicidi dei romani e le distruzioni di chiese cattoliche, il Papa Giovanni I (523-526) fu costretto a fare l’ambasciatore a Costantinopoli nel tentativo di scongiurare la guerra; non avendo ottenuto quello che voleva il pontefice venne accusato di tradimento e gettato in carcere dove poi morì. Il lungo conflitto tra bizantini e goti terminò nel 553 e lasciò un vuoto di potere, riempito dai papi. Allo stesso tempo Roma subì dei fenomeni di degrado infrastrutturale e urbanistico. La conclusione della guerra venne sancita nel 554 con la Prammatica Sanzione, una legge imperiale che ripristinò il potere imperiale in Italia, reintegrando gli assetti precedenti e assegnando un ruolo di spicco alla sede Pontificia nel riequilibrio della penisola che era anche interlocutore privilegiato del princeps. Con Giustiniano il papato conosce diverse umiliazioni. Nel 537 Silverio (536-537) viene deposto da Belisario, accusato di tradimento, mentre la vera causa era da ricercare nell’opposizione del papa al patriarca di Costantinopoli Antimio. Il successore di Silverio, Viglio (537-555) nel 547 venne costretto a condannare i tre capitoli da Giustiniano che con questa condanna voleva riavvicinarsi ai monofisiti per calcolo politico. Alla morte di Vigilio Giustiniano impose come successore Pelagio I (556-561) che venne costretto ad accettare la condanna dei tre capitoli dopo esser stato relegato in esilio. La breve restaurazione giustinianea lasciava un papato in difficoltà subordinata agli interessi di Costantinopoli e non autonoma dal potere imperiale. Capitolo 2 il papato nell’Occidente medievale 1 i papi tra longobardi e i bizantini Nel 568 la stirpe dei longobardi occupò la penisola prendendo grandi porzioni di territori nel centro-nord e anche nel sud, creando un regno che comprendeva tutta l’Italia centro-settentrionale e due ducati separati di Spoleto e Benevento, che erano minacciosi per Roma. Le provincie dell’Impero (la costa adriatica, tirrenica e parte del meridione) vennero riorganizzate sotto il controllo dell’esarca con sede a Ravenna che aveva potere civile e militare. I saccheggi dei longobardi colpirono anche le chiese dove erano custodite molte ricchezze, e portarono all’abbandono di molte chiese, creando una disarticolazione del tessuto diocesano. Il papa per non lasciare prive di Nel 638 il patriarca Sergio ispira al principes l’Ekthesis, un documento che cercava di aggirare la formula delle due nature di cristo, introducendo il concetto di un’unica volontà. Ci fu l’opposizione di Roma alle tesi monotelite e il sinodo del 649 respinse l’atto con cui Costante II vietava ogni ulteriore discussione sull’argomento: l’imperatore fece deportare papa Martino I in Crimea che morì lì. Nemmeno il superamento della controversia con il sesto concilio ecumenico che stabiliva il riconoscimento della formula di Calcedonia mise fino al conflitto tra il papato e l’impero. Quando papa Sergio I nel 686 rifiutò di accettare i deliberati del nuovo Concilio celebrato in Oriente, l’imperatore Giustiniano II cercò di replicare quello che era successo con Martino I, ma i suoi piani furono sventati dall’intervento in difesa del Papa dell’esercito dell’esarcato. Questo episodio diede la conferma dello spostamento del baricentro dell’impero verso Oriente e la crescente autonomia delle province occidentali dal governo di Costantinopoli. Nella metà dell’VIII secolo la presenza dei Longobardi aumentò spazzando via la residua presenza bizantina. Nel 750 Astolfo prese Ravenna e Papa Stefano II nella paura che i longobardi potessero raggiungere Roma si appellò al re dei franchi Pipino per chiedergli di riconquistare i territori presi dai longobardi e restituirli al Patrimonium beati petri, cioè alla chiesa romana. Tramite i franchi il papato sembrava che volesse costruire una nuova entità politica basata su Roma in funzione antilongobarda. In realtà si trattò di disegno che non si sviluppò in modo programmato ma si svolse per gradi. Il papato per preservare la sua autonomia dai longobardi si rivolse ai franchi che erano in quel momento l’unica realtà abbastanza forte in grado di contrastarli; per la dinastia franca invece accogliere l’appello del papa voleva dire garantirsi una legittimazione. A Ponthion Pipino ricevette dal papa l’unzione regia, gesto dal grandissimo valore simbolico. Ai vari appelli dei pontefici i franchi risposero con interventi militari limitati che strinsero i longobardi a negoziare. Mentre c’era l’avvicinamento tra il papa e i franchi aumentava la divaricazione tra Roma e Costantinopoli in particolare nell’VIII secolo quando ci fu un periodo di duri scontri religiosi culminati nell’iconoclastia. Nel 726 Leone III si pronunciò contro il culto delle immagini sacre accompagnato dalla rimozione dell’ immagine di Cristo dal sacro palazzo di Costantinopoli. Egli aveva sviluppato la propria avversione durante il soggiorno giovanile in Asia minore, culla del monofisismo e più aperto all’influsso islamico. Nel 726 si impegnò per mettere in pratica questi pronunciamenti con l’opposizione del papa e del patriarca Germano che poco dopo venne deposto e il papa venne minacciato della stessa sorte, ma ci fu una reazione a difesa del pontefice. Nel 730 il culto delle immagini sacre venne proibito e venne avviata la persecuzione degli iconoduli. La crisi giunse all’apogeo con Costantino V, il quale con una solida preparazione teologica sostituì i vescovi iconoduli con quelli iconoclasti e predispose un concilio che condannasse definitivamente il culto delle immagini sacre. I suoi deliberati vennero applicati con grande severità, stroncando ogni resistenza. Dopo la morte di Costantino nel 775, Leone IV ebbe un atteggiamento più moderato e l’imperatrice Irene si impegnò per un reintegro delle immagini sacre. Nel 787 con il VII concilio ecumenico di Nicea ci fu il ripristino del culto delle immagini sacre anche se per tutto il IX secolo ci furono dei rigurgiti iconoclasti. Questa contesa contribuì ad allontanare ulteriormente Roma e Costantinopoli. 2 il papato nell’impero de franchi Il timore dei pontefici raggiunse il culmine nel 756 con l’elezione del re Desiderio che rafforzò il suo controllo sui ducati di Spoleto Benevento, fino a intromettersi nell’elezione papale, cercando di imporre un proprio candidato facendo accampare le truppe a Roma. Questo indusse Carlo a scendere in Italia nel 774, sconfiggendo Desiderio e inglobando tutto il regno longobardo ad eccezione di Benevento. Carlo non mantenne la promessa di restituire i territori al papa che era Adriano I; i papi così continuarono a esercitare la sovranità su un ambito che corrispondeva più o meno all’attuale Lazio. La formazione del dominio carolino assicurò al papato un punto d’appoggio per diffondere l’evangelizzazione e ribadire il ruolo di guida della cristianità. Nel Natale dell’ 800 Leone III incoronò Carlo imperatore con una solenne cerimonia. L’impero franco legato al papato si propose come erede dell’antico impero romano, ereditandone le ambizioni universalistiche. La nascita di un nuovo impero richiese una rielaborazione del rapporto tra l’autorità pontificia e il potere politico. Tutto questo fu il risultato di una contingenza di eventi e non la conseguenza di una precisa strategia perseguita dai pontefici. Nell’impero fondato da Carlo si crearono le condizioni perché venisse riprodotto il modello della chiesa imperiale con una simbiosi tra potere laico ed ecclesiastico, coinvolto nella vita politica ed amministrativa. Nonostante Carlo affermasse che le istituzioni ecclesiastiche essendo poste sotto la sua protezione dovessero trovarsi sotto il suo comando fu il papa ad avere un crescente controllo sulla chiesa occidentale. In età carolingia a sostegno delle rivendicazioni del papato venne prodotta la donazione di Costantino che sarebbe stata sfruttata dai pontefici per esercitare il potere temporale. Questo documento prevedeva che Costantino avesse donato a papa Silvestro I il Palazzo del Laterano, Roma e la pars occidentis sulla quale i papi avrebbero dovuto governare. Il rafforzamento della posizione del papa avvenne anche attraverso una serie di iniziative missionarie in Assia, in Turingia e in Alemannia che si svolsero con il consenso di Roma come nel caso del monaco Bonifacio che volle sottoporre all’autorità di Roma le chiese che avrebbe fondato a di là del Reno, secondo uno schema che metteva i vescovi di ciascuna provincia sotto l’autorità di un arcivescovo che doveva ricevere il pallium dal papa. Il processo di romanizzazione delle chiese locali fu incrementato da Carlo Magno che impose il rispetto del modello romano, usò i libri liturgici adottati da Roma e dispose l’uso della regola benedettina per tutti i monasteri. Lo scopo dell’imperatore era quello di normalizzare la fede per avere un maggior ordine istituzionale e un migliore controllo politico. Allo stesso tempo grandi patriarcati erano stati travolti dall’avanzata araba. Dagli anni 70 del X secolo Roma influenzò anche le aree slave con l’evangelizzazione della Polonia, della Boemia, della Moravia, della Pannonia, dei croati e degli sloveni. Alla fine del IX secolo ci fu anche la cristianizzazione delle aree scandinave. Questi diversi fenomeni favorirono Una stagione nuova per il papato si ha nel 962 con la presa del titolo di imperatore di Ottone I (962-973) , riproponendo a Roma un interlocutore forte e sicuro. L’iniziale accordo tra il monarca e il papa però si ruppe quasi subito e la sede romana fu caratterizzata dalle lotte tra la famiglia dei De Crescenzi e l’imperatore che cercavano di controllare la carica pontificia e dal susseguirsi di omicidi e deposizioni violente di papi (Benedetto VI e Giovanni XIV) Ottone III (996-1002) cercò di mettere fine a questa situazione nel 996 mettendo come papa il cugino Brunone di Carinzia, che prese il nome di Gregorio V (996-999), difendendolo dal tentativo di Giovanni dei Crescenzi di deporlo. L’assenza degli imperatori da Roma però fece riprendere le contese locali con l’ascesa della nuova famiglia dei Tuscolo. Tra il 1044 e il 1046 si ebbe addirittura la compresenza di 3 papi in contemporanea, Benedetto IX, Gregorio VI e Silvestro III. Un momento di svolta si ebbe nel 1046 con l’imperatore Enrico III che si sbarazzò dei tre papi e fece eleggere il vescovo di Bamberga Suitgero con il nome di Clemente II (1046-1047), primo di una serie di pontefici tedeschi. Questi papi erano liberi dai condizionamenti dell’ambiente romano e erano caratterizzati da una grande moralità e preparazione tanto da diventare termini di riferimento per le varie forze che in quegli anni chiedevano una riforma della Chiesa, per l’eccesivo degrado morale, disciplinare e il coinvolgimento negli affari del secolo. Capitolo 3 Il papato e la riforma della Chiesa 1 i presupposti della riforma La simbiosi tra ruoli ordinamenti ecclesiastici e quelli laici fu il fattore fondamentale del progressivo degrado della Chiesa. Le cariche episcopali erano ricoperte da esponenti dell’aristocrazia che le prendevano per aumentare la loro ricchezza e il loro prestigio. Il clero era formato da soggetti privi di una vera vocazione e di spessore morale che vivevano come i laici: privilegiavano l’attività politica e militare, si dedicavano ai banchetti, alla caccia e tenevano presso di sé delle concubine. Con questo quadro molti settori della società sentirono il bisogno di una riforma della Chiesa, per rendere il clero degno e preparato, al riparo dai condizionamenti dei laici. Questa spinta nacque in ambienti diversi e all’inizio non ebbe un progetto organico e una figura in grado di coordinare le varie richieste. Questo ruolo venne assunto dopo dal papato. La riforma invece venne contrastata da quelle forze che traevano maggiori vantaggi dallo status quo: soprattutto l’aristocrazia, e l’episcopato della Germania e dell’Italia centro-settentrionale che volevano difendere i propri privilegi. Vescovi autorevoli come Attone di Vercelli e soprattutto gli ambienti del monachesimo diedero un grande contributo alla riforma, che volevano una trasformazione della società in senso monastico, mettendo al centro la purezza delle vita e la preghiera. Solo in questo modo i sacerdoti avrebbero guadagnato il prestigio e la dignità persi. Il monastero di Cluny fondato nel 910 dal duca di Aquitania Guglielmo, riuscì ad acquisire una grande autonomia grazie all’immunità concessa dallo stesso duca e all’esenzione dalla giurisdizione del vescovo locale. Cluny creò una rete di monasteri, detti priorati, collegati tra loro e dotati di una base economica resa cospicua dalle numerose donazioni delle famiglie aristocratiche. Nello stesso periodo c’è il rilancio della scelta della vita eremitica che si ispirava a modelli orientali. Tra XI e XII secolo ci fu la fondazione presso Grenoble della Grande Chatreuse, dove i monaci anche se in comunità passavano gran parte del loro tempo chiusi nelle loro celle impegnati nella preghiera. Da qui si creò l’ordine dei certosini, le cui abbazie (le certose) si diffusero ovunque in contemporanea con quelle dei cistercensi iniziati a diffondersi dall’abbazia di Citeaux, ispirandosi al movimento benedettino. Nella penisola italiana Romualdo favorì la formazione di eremi come quello di Camaldoli e di Vallombrosa. Tra il X e l’XI secolo si formano delle richieste di rinnovamento anche all’interno della società laica tra i ceti popolari che criticavano la ricchezza accumulata dalla Chiesa e volevano un ritorno alla chiesa delle origini, caratterizzata dal modello della povertà, della semplicità e del rigore morale. I vari movimenti erano presenti soprattutto nelle città, dove il corpo sociale era più dinamico. Rispetto agli ordini monastici i gruppi erano avevano posizioni più radicali con la richiesta di abbandonare ogni bene materiale e di una trasformazione delle strutture ecclesiastiche. Il clero cercava spesso di smussare gli eccessi di questi movimenti, temendone il carattere eversivo. Un esempio è il movimento della pataria che chiedeva un clero istruito , la partecipazione dei laici alla vita pubblica, processi pubblici contro i sacerdoti e l’accesso dei laici alla Bibbia. Prioritaria era la lotta alla simonia, la comprevendita delle cariche ecclesiastiche e il nicolaismo, cioè l’uso dei preti di tenere delle concubine. Il celibato restava inosservato e questo aveva anche delle conseguenze patrimoniali siccome la procreazione di figli, comportava il rischio di disperdere i beni della Chiesa. Imporre il celibato permetteva di separare in modo più netto i sacerdoti dai laici. Vennero prese alcune misure per combattere queste pratiche tra cui la deposizione dei sacerdoti simoniaci e l’invito a astenersi dalla comunione di quelli concubinari. Allo stesso tempo si cercava di dare vigore alla funzione pastorale del clero con la promozione di forme di vita comune nel clero secolare e la nascita di comunità di canonici riformati. 2 Il papato e il moto riformatore Con l’elezione di Clemente II nel 1046, il papato aveva avviato una stagione di consolidamento contro le ingerenze dell’aristocrazia romana. L’alleanza tra impero e papato permise di iniziare un’opera di rinnovamento ispirato al modello della chiesa carolingia, con un collegamento molto stretto tra le due autorità universali. I papi tedeschi da Clemente II a Stefano IX si circondarono di collaboratori di prim’ordine come Pier Damiani, Anselmo da Baggio e Umberto di Silvacandida e Ildebrando di Soana. Con Leone IX (1049-1054) venne rinnovato il concilio cardinalizio (1049-1054) che convocò numerosi concili in cui vennero discussi molti temi tra cui la simonia e il concubinato. Venne potenziata la rete dei legati pontifici per favorire il collegamento tra Roma e le aree più lontane, aumentando la capacità di coordinamento. Il papato a partire dalla metà dell’XI secolo si guadagnò una posizione di riferimento privilegiato pur dovendo muoversi in una situazione ricca di contrasti. Quest’azione graduale permise al papato di affermare il proprio primato (al pontefice fu attribuito il titolo di apostolicus, cioè unico successore degli apostoli) e a poco a poco iniziò a guidare sotto la propria autorità la chiesa occidentale. e di abati fedeli. Queste assegnazioni però agli occhi del papato erano da considerarsi simoniache e questo lo aprì un nuovo conflitto. Alla morte di Alessandro II salì Gregorio VII (1073-1085), una delle figure più importanti del movimento riformatore. Durante il suo pontificato si affermò il concetto del primato del papa, tanto da creare un nuovo modello della Chiesa non orizzontale, ma piramidale e gerarchico, dove il papa rappresentava il vertice unico e indiscusso. Il vescovo di Roma non aveva più una primazia onorifica, ma un autorità monarchica e giurisdizionalmente definita, che disciplinò le varie spinte riformatrici. Gregorio VII rivendicò anche la libertas ecclesiae, cioè la libertà delle istituzioni ecclesiastiche dal potere laico, riproponendo anche il rapporto tra papa e imperatore. Se con Gelasio i due poteri erano chiamati a collaborare per il bene dell’umanità, ora con Gregorio si voleva affermare la supremazia della Chiesa sulla potestà dell’imperatore, aprendo una nuova stagione di lotte. Dalla difesa della propria autonomia la chiesa ora rivendicava il ruolo di guida dell’intera cristianità, ribaltando i termini del rapporto. Gregorio VII con un concilio del 1075 condannava ogni investitura laica, quindi ogni concessione di diritti pubblici a un ecclesiastico da parte di laici, minando la rete di solidarietà che l’imperatore si era fatto. Allo stesso tempo il papa depose e scomunicò molti vescovi soprattutto in Germania e in Italia settentrionale. Enrico rispose rifiutando il decreto e convocando due assemblee a Worms e a Piacenza nel 1076 con cui fece condannare Gregorio VII per tradimento e lo dichiarò deposto. Il pontefice dichiarò deposto Enrico e sciolse tutti i suoi vassalli dai vincoli di fedeltà. Di Fronte alle prime ribellioni Enrico fu costretto a eseguire una penitenza pubblica, raggiungendo il castello di Matilde di Canossa, dove il papa era ospite e aspettando fuori per tre giorni. Davanti a questo gesto il papa ritirò la scomunica. Nel 1075 venne pubblicato il dictatus papae, un documento formato da 27 proposizioni, quasi dei titoli che avrebbero dovuto rappresentate l’indice di una collezione canonica perduta, che dimostrano la presa di consapevolezza del papa riguardo la sua autorità. Il dictatus affermava la dipendenza delle cariche ecclesiastiche dal pontefice, l’unico a poter nominare, trasferire o deporre i vescovi, ridisegnare le circoscrizioni diocesane, convocare i concili generali, emanare leggi canoniche e giudicare la cause maggiori di qualsiasi chiesa. Il papa è il solo che può essere chiamato sanctus e non può essere giudicato da nessuno. Chi non è d’accordo con lui non è cattolico e viene messo fuori dai confini dell’ortodossia. Solo lui poteva usare le insegne imperiali, i principi dovevano baciargli i piedi e aveva anche la facoltà di deporre l’imperatore. La concordia tra Enrico IV e Gregorio VII durò poco. L’imperatore riprese il proprio attacco sostenuto dai vescovi contrari alla riforma. Nel 1080 con il nuovo concilio di Bressanone venne dichiarato nuovamente deposto e gli venne opposto l’antipapa Clemente III. In entrambi i campi si ebbero delle defezioni e dei passaggi all’altra parte, a riprova che alla fine più che le ideologie finirono per prevalere gli interessi personali. Nel 1081 Enrico pose d’assedio la città e tre anni entrò, insediandovi Clemente III che però fu costretto a lasciare la città prima dell’arrivo di Roberto il Guiscardo, chiamato in soccorso da Gregorio VII che approfittando dell’assenza di ogni difesa saccheggiò la città e condusse nei propri territori il papa, non si sa se per proteggerlo o per rapirlo. Pochi mesi dopo Gregorio nel 1085 morì a Salerno. 3 il contrasto con l’impero Morto Gregorio ci fu l’elezione di Vittore III (1086-1087), che restò in carica poco, prima di lasciare il posto a Urbano II (1088-1099), che cercò una mediazione con l’imperatore. Roma adesso era preoccupata di evitare uno sconvolgimento della organizzazione ecclesiastica e anche se rimase intatta l’esigenza di una riforma, si cercò di mettere i sacerdoti al riparo dalle contestazioni dei laici, revocando le aperture al laicato che c’erano state. Urbano II allargò a Inghilterra e Francia la questione delle investiture per trovare una soluzione universale e consolidò l’autorità pontificia ribadendo la capacità del papa di usare le dispensa cioè di prendere decisioni in deroga dalle norme in situazioni eccezionali. A Urbano II nel 1095 viene attributo un discorso con cui si esortavano i diversi cavalieri dell’Occidente a un pellegrinaggio (iter) verso Gerusalemme per poter difendere la città dai turchi selgiuchidi, che avevano conquistato la città. I turchi non avevano impedito l’accesso ai cristiani, ma avevano reso più difficile il passaggio introducendo una tassa d’ingresso. L’esortazione di Urbano doveva spinger il mondo della cristianità a una grande impresa collettiva, testimonianza di fede e penitenza con la possibilità di ricorrere alle armi per protezione. In seguito l’intervento di Urbano è stato considerato come il bando della prima crociata, la spedizione militare avviata nel 1096 che avrebbe permesso la conquista di Gerusalemme nel 1099 con la creazione di un regno latino che sarebbe durato per circa un secolo. Il papato aveva ripreso il concetto della guerra giusta, concedendo l’indulgenza a tutti quelli che combattevano. Il concetto di crociata poi sarà esteso non solo al conflitto con l’Islam, ma anche alla persecuzione di tutte le forme di dissenso religioso presenti in Occidente. La crociata diventò uno strumento di affermazione per il papato, pena la scomunica per i principi che si fossero rifiutati di partecipare. A papa Urbano successe Pasquale II (1099-1118) che dovette fronteggiare l’impeto dell’imperatore Enrico V che voleva chiudere la partita delle investiture: prima concordò con il papa riguardo alla sua rinuncia a investire gli ecclesiastici poi lo costrinse, tenuto prigioniero, ad accettare la pratica così come si svolgeva. Un concilio dichiarò nullo questo accordo e spinse Pasquale a difendersi ribadendo i principi emersi con Gregorio VII. Pasquale contribuì a un ulteriore rafforzamento di Roma, presentandola come suprema fonte di giudizio a cui dovevano essere ricondotte tutte la cause ecclesiastiche. Inoltre legò a sé il collegio dei cardinali scegliendo uomini di sua fiducia. Pasquale morì a Castel Sant’Angelo, mentre con l’aiuto dei normanni cercava di rientrare in Vaticano occupato dai nemici, favorevoli a Enrico V. Gli successe per breve tempo Gelasio II anche lui costretto a scappare per l’ostilità dell’imperatore. Nel 1119 fu eletto Callisto II con il quale si chiuse la lotta delle investiture, con il concordato di Worms del 1122. Il documento distinse il momento dell’investitura spirituale dei vescovi da quello dell’investitura temporale L’offensiva di Federico I e la sua presenza nell’Italia settentrionale spinse papa Adriano IV (1154-1159) a rafforzare l’alleanza con il re normanno di Sicilia Guglielmo che nel 1156 si dichiarò vassallo del papa. Nell’ultima metà del XII secolo ci fu un ultimo tentativo dell’imperatore Comneno di riconquistare i territori del mezzogiorno, ma il fallimento portò a definitivo allontanamento di Costantinopoli da questo ambito. Morto papa Adriano ed eletto come successore Alessandro III (1159- 1181), papa giurista, il barbarossa cercò di spingere parte del collegio cardinalizio a sostenere Vittore IV, (1159-1164) un altro candidato. Alessandro, dopo aver scomunicato l’imperatore fu costretto a vivere lontano da Roma. Alla morte di Vittore l’imperatore nominò Pasquale III (1164-1168) , mentre metteva vescovi a lui graditi. Nel 1167 un esercito imperiale impose a Roma Pasquale, alla cui scomparsa l’anno dopo venne insediato Callisto III (1168-1178) In quel momento era molto importante per Alessandro III garantirsi l’appoggio della lega delle città comunali che stavano combattendo contro Federico, con il papa che trasse un grande beneficio dopo la sconfitta militare del Barbarossa nella battaglia di Legnano del 1176. Solo allora Alessandro venne riconosciuto come legittimo pontefice e venne revocata la scomunica a Federico con un momento di tregua. Durante il pontificato di Alessandro III ci fu un contenzioso anche con il regno d’Inghilterra che voleva sostituire la propria giurisdizione a quella ecclesiastica in alcuni ambiti. Re Enrico II nel 1164 fisso nella costituzione di Clarendon i diritti della corona sul clero inglese tra cui la limitazione dell’immunità ecclesiastica e l’obbligo dell’elezione episcopale sotto il controllo regio e il divieto per i sacerdoti di ricorrere a Roma senza il consenso del sovrano. A questo si oppose l’arcivescovo di Canterbury che venne assassinato nel 1170 da alcuni sicari del monarca. Dopo questo evento Enrico aprì dei negoziati con Roma fino a revocare parte delle costituzioni contestate, Roma ancora una volta ne usciva vincitrice. Il rapporto tra l’autorictas pontificia e la potestà e regia rimase però irrisolto. Con Alessandro III ci fu un ulteriore perfezionamento del meccanismo di elezione del pontefice. Nel terzo concilio del Laterano del 1179 si prescrisse che l’assemblea dovesse scegliere il nuovo Papa raggiungendo la maggioranza dei due terzi. Inoltre venne negato qualsiasi ruolo al popolo. Dall’altra parte i cardinali non si limitavano a eleggere il Papa, ma erano anche i suoi principali collaboratori nell’attività di governo. Notevole era anche il ruolo svolto dal personale di curia, formato da chierici che formava una burocrazia capace. Il matrimonio tra Enrico, figlio di Federico e Costanza, figlia di Ruggero II fu una minaccia per la riunificazione dei possedimenti imperiali con il regno dell’Italia meridionale, vassallo di Roma contro i monarchi tedeschi. Enrico VI incoronato nel 1191, avvio subito negoziati con il pontefice per ottenere il riconoscimento del proprio figlio Federico II, per il quale si chiedeva l’unzione a re dei romani che ne avrebbe legittimato il potere nella penisola. Celestino però si dimostrò riluttante non volendo consolidare il potere svevo. Tra il 1197 e il 1198 morirono sia il Papa che l’imperatore e salì al soglio di Pietro Lotario dei conti di segni che sarebbe poi stato chiamato Innocenzo III. 2 Il trionfo della supremazia papale In Germania ci fu subito una lotta per la successione tra Filippo di Svevia e Ottone di Brunswick. Innocenzo III l, tutore del piccolo Federico ricopri una posizione di grande importanza nel gioco politico, potendo influenzare il piccolo Federico a suo vantaggio. Il Papa si impegnò nel migliorare la macchina burocratica riorganizzando gli uffici di curia. Si preoccupò di recuperare le terre che il papato rivendicava come appartenenti al patrimonio di San Pietro, che corrispondeva a una vasta area nell’Italia centrale. Il patrimonio della chiesa così si estese comprendendo le regioni del Lazio, dell’Umbria, delle marche e più tardi anche della Romagna. Su queste aree però il Papa poteva esercitare la sua autorità solo grazie a dei compromessi con le autorità signorili locali. La sede romana riuscì attraverso una rete di accordi e di patti a mettersi al centro di una rete di relazioni che le diede un ruolo di centralità. Il papato incrementò anche la propria disponibilità finanziaria, potendo sostenere spese maggiori. Per raccoglie il flusso delle entrate vennero sviluppati gli uffici finanziari, a partire dalla camera apostolica. Innocenzo III fu il primo a pubblicare una raccolta ufficiale di diritto canonico che integrava le norme assenti nel decretum di Graziano. Dopo un’iniziale cautela Innocenzo si schierò dalla parte di ottone di Brunswick in cambio dell’impegno di costui di rinunciare ai diritti sull‘Italia e lo incoronò imperatore. Ma il monarca si sottrasse presto agli accordi, cercando di occupare alcuni territori papali. Il pontefice lo scomunicò e riconobbe come sovrano Federico che era stato eletto re di Germania e poi di Sicilia, impegnandosi a non trasmettere i due regni a un unico erede e a garantire i territori del patrimonio romano. Nella battaglia di Bouvine del 1214 Federico e Filippo II sconfissero ottone di Brunswick e nel 1220 Federico II fu incoronato imperatore da Onorio III. Innocenzo III aveva avuto delle tensioni con Filippo II, dovute alla scelta del monarca di ripudiare la prima moglie. Un conflitto più duro lo ebbe con Giovanni senza terra per la pretesa di riservarsi la scelta dell’arcivescovo di Canterbury e per il rifiuto di accettare il candidato di Roma. Innocenzo lo scomunicò e lanciò un interdetto sull’isola sollecitando un’invasione da parte dei francesi, fino a piegare il monarca che si fece vassallo del Papa. Gli prestarono l’omaggio vassallatico anche i re di Bulgaria, di Castiglia, di Aragona e del Portogallo. L’influsso di Roma si fece sentire nelle regioni del nord, dove regolò la successione dei sovrani di Svezia e Norvegia e promosse una campagna militare contro i pagani della Livonia. Nel 1204 Innocenzo III convinse molti principi dell’occidente a impegnarsi in una crociata che finì per aggredire Bisanzio. L’esercito crociato fu deviato verso Costantinopoli, che venne saccheggiata. Gli occidentali si spartirono il territorio conquistato fondando un impero latino d’Oriente che fu sconfitto nel 1261 da Michele Paleologo VIII. In questo periodo però ci fu l’esportazione del modello romano nei territori ortodossi. Innocenzo III si caratterizzò per il grande impegno contro ogni tipo di dissenso religioso. Tra i secolo XI e XII la cristianità fu caratterizzata da grani fermenti spirituali che si erano manifestati in tutti gli strati sociali compresi i laici, che avevano incontrato la forte diffidenza se non la condanna delle istituzioni ecclesiastiche. Un altro motivo di contrasto fu l’elezione a re di Germania del figlio Enrico che era già re di Sicilia che lasciava prefigurare l’unione dei due regni, tanto temuta dal papa. Una simile politica mostrava la volontà dell’imperatore di riformare un dominio sulla Germania e sull’Italia del sud. Papa Gregorio IX si preparò alla guerra inviando un esercito guidato da Giovanni di Brienne, per invadere il territorio di Napoli, ma Federico riuscì a sconfiggere le truppe di Gregorio che dovette accettare una pace nel 1230 che prevedeva il ritiro delle truppe dal Mezzogiorno e la revoca della scomunica. Federico cercò di sottoporre al suo controllo tutta la penisola italiana e si batte contro le città comunali che sconfisse nella battaglia di Cortenuova e nel 1239 subì una nuova scomunica. Lo scontro tra papato e impero non si svolse solo sul campo ma anche con un’intensa propaganda che cercava di screditare la parte avversa. L’ideologia federiciana si riappropriò degli strumenti teorici e retorici della tradizione imperiale romana, rovesciando i termini della formulazione pontificia del rapporto tra il papato e l’impero: era l’imperatore che riceveva il potere da Dio, mentre il papa derivava la sua autorità dalla congregazione di tutti i cristiani, per questo era giudicabile dal concilio che poteva deporlo. Alla morte di Gregorio IX, il prefetto di Roma rinchiuse i cardinali in un monastero, tenendoli segregati fino all’avvenuta elezione di Celestino IV, che durò pochissimo prima di morire. Si trattò della prima esperienza di conclave cioè di chiusura sotto chiave del collegio cardinalizio. Dopo quasi due anni di vacanza della carica venne eletto Innocenzo IV (1243- 1254) che riparò in Francia sotto la protezione di Luigi IX. A Lione nel 1245 si tenne un concilio che scomunicò per l’ennesima volta Federico con l’accusa di eresia. Il papa bandì una crociata contro l’imperatore che negli anni successivi subì due pesanti sconfitte a Parma e a Bologna. Nel 1250 Federico II morì e al suo posto salì il figlio Corrado IV che una volta deceduto venne sostituito da Manfredi. Papa Urbano IV(1261-1264) affidò il regno di Sicilia al provenzale Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX che riuscì a sconfiggere Manfredi nel 1266 nella battaglia di Benevento mettendo fine alla dinastia degli Hohenstaufen e al suo progetto di restaurazione del potere imperiale. Capitolo IV il travaglio del papato medievale 1 verso la crisi Il papato conobbe nella seconda metà del XIII secolo un periodo caratterizzato dal succedersi di undici pontefici. Tutto questo creò discontinuità e aumentò i poteri del cardinalato che. I cardinali oltre a essere consiglieri erano incaricati di tutti gli affari più importanti. Nonostante ciò i papi riuscirono a consolidare la propria posizione e ad aumentare la dipendenza giurisdizionale delle diverse chiese da Roma e si riservò a sé la scelta dei vescovi. Ai vescovi venne dato l’obbligo di recarsi a intervalli regolari a Roma per la visitatio liminum apostolorum, con cui i pontefici affermavano la propria vittoria sull’episcopato. Inoltre nel XIII secolo si perfezionò la macchina burocratica. Un organo centrale era la cancelleria in grado di produrre e archiviare documenti papali. Accanto a questa crebbe la Camera apostolica il dipartimento che si occupava dell’amministrazione finanziaria. I crescenti spese spinsero quest’ultima a incrementare le proprie entrate in diversi modi: con le decime, con le tasse che si dovevano alla cancelleria per la redazione dei documenti, con l’obolo di San Pietro, le annualità, cioè le somme versate al pontefice da chi aveva ricevuto dal pontefice delle prebende, e la tassa di servizio che doveva essere pagata da chiunque avesse ottenuto il pallio o una prelatura per iniziativa del papa, il cui reddito superasse un certo importo. Importante era il tribunale pontificio, diviso in penitenzieria e corte del sacro palazzo. La prima si occupava dei casi di coscienza e di quelli del foro interno, mentre la seconda era il tribunale vero e proprio. Nel 1331 divenne la rota romana. Singole cause di particolare importanza erano sottoposte al concistoro, mentre quelle maggiori direttamente al papa. I tribunali di curia si trovavano a dover affrontare un numero tale di questioni che per ridurre l’entità di lavoro si giunse a negare la possibilità del ricorso. Innocenzo III aveva creato un ufficio di cancelleria con il carico di risolvere gran parte dei casi nel più breve tempo possibile. Tra duecento e trecento si mise mano al diritto canonico completando quello che era stato fatto con il decretum di Graziano. In questi anni si susseguirono le raccolte dei maestri dell’Università di Bologna, quella di Onorio III, il liber extra frutto dell’opera di Gregorio IX. Un altro codice venne prodotto nel 1298 con Bonifacio VIII e nel 1317 con Giovanni XXII. Al personale della curia si aggiungevano i laici a cui erano affidati diversi servizi. Tra questi c’erano cuochi, domestici, stallieri ecc. Nel 1274 Gregorio X (1271-1276) con un concilio decretò l’unione della chiesa latina con quella greca, incontrando però l’opposizione di quest’ultima. Convocò Il concilio di Lione che rese obbligatorio il conclave per velocizzare i lavori del collegio cardinalizio e venne emanata la bolla ubi periculum con cui cardinali erano chiusi a chiave in una stanza e trattenuti fino a quando i lavori non si fossero conclusi, la lasciandoli anche a corto di cibo. Il papato confermò la propria vicinanza alla Francia sostenendo gli Angioini nel Mezzogiorno. Quando la Sicilia in seguito alla guerra del vespro venne conquistata da Pietro III d’Aragona, il papa Martino IV (1281-1285) lanciò l’interdetto sull’isola, scomunicò il re Pietro e lo dichiarò deposto, cercando di incoraggiare anche una spedizione militare contro di lui. Restarono inascoltati gli ultimi appelli di una crociata contro il mondo islamico. A partire dai decenni centrali del secolo Roma cercò di estendere la propria influenza tramite delle missioni nell’area del Baltico, della Prussia e della Lituania. La posizione del papato però nella seconda metà del XIII secolo risentì in Occidente dei grandi mutamenti della società. Per la prima volta l’universalismo pontificio veniva a confrontarsi con una serie di monarchie nazionali in consolidamento più piccole per dimensioni, ma più coese al loro interno. In queste società erano emerse nuovi ceti di origine borghese (mercanti artigiani e professionisti) che avevano favorito un processo di laicizzazione e diffusione della cultura. vescovi e le singole università già nel corso del 200 vennero sottoposte alla supervisione del papa. I papi di Avignone ebbero una visione strategica che si ridusse alle posizioni del regno di Francia. Il papato fu oggetto di una serie di attacchi e si avanzarono accuse di corruzione di avidità. Papa Giovanni XII (1316- 1334) entrò in conflitto con l’imperatore Ludovico il Bavaro che senza attendere la conferma papale aveva ricevuto la corona ferrea a Milano da un vescovo scismatico. Il papa dichiarò l’imperatore deposto, mentre Ludovico accusò il papa di essere eretico. Nel 1328 venne scelto anche come antipapa Niccolò V che però dopo una sollevazione popolare fuggì e chiese perdono a Giovanni XII. Nel 1356 Carlo IV, incoronato come imperatore, emanò la bolla d’oro con cui introdusse il principio per cui il re di Germania dal momento della sua elezione doveva essere incoronato re dei romani, negando ogni ruolo del pontefice. La città di Roma aveva subito un grave danno a causa del trasferimento del papa in Francia, che causò un rapido declino della città. In questo clima trovò spazio Cola di Rienzo che nel 1347 incitò il popolo alla rivolta contro l’aristocrazia. Condannato dai papi e condannato dalle famiglie aristocratiche cercò riparo presso l’imperatore Carlo IV che lo fece arrestare. Il papa lo rimandò a Roma in veste di emissario, ma ormai privo di credibilità venne assassinato nel 1354. Innocenzo VI (1352-1362) fu promotore di un tentativo di riordino dei territori del patrimonio di san Pietro che venne affidato al cardinale Albornoz che scese in Italia a capo di un esercito per ristabilire il controllo sull’area in questione. Egli riuscì a disciplinare i vari particolarismi e le autonomie signorili e diede loro una nuova costituzione detta Egidiana. 3 il rientro a Roma e lo scisma Per il ritorno del papa a Roma si impegnarono molte forze come Carlo IV. Caterina da Siena e Brigida di Svezia. I papi di Avignone erano consapevoli che stando in Francia erano di fatto dei vescovi di Francia, arrecando un grave danno al prestigio universale del papa. Nel 1367 Urbano V (1362-1370) fa un temporaneo rientro a Roma, ma ben presto tornò in Francia. Il definitivo ritorno del papato a Roma ci fu nel 1377 con Gregorio XI (1370-1378) incalzato dalla situazione che si stava sviluppando in Italia: nelle regioni pontificie erano scoppiate delle rivolte alimentate dalle principali potenze pontificie, che volevano approfittare della situazione per estendere la propria egemonia. Contro Firenze il papato era entrato in guerra nella cosiddetta guerra degli Otto santi. Dopo il rientro del papa a Roma, con un’opera diplomatica e alcuni interventi repressivi come quello di cesena permisero di ristabilire il governo del pontefice sui suoi possedimenti. Nel 1378 l’arcivescovo di Bari fu il primo papa a essere rieletto a Roma dopo la parentesi di Avignone con il nome di Urbano VI (1378-1389). Questo però si guadagnò l’avversione dei cardinali francesi che si ripararono a Napoli per l’elezione di un altro candidato siccome quella di Urbano VI, essendo stata condizionata dal popolo di Roma non era valida e i cardinali elessero Roberto di Ginevra con il nome di Clemente VII (1378-1394) che si trasferì ad Avignone. Papa e antipapa si scomunicarono a vicenda e si creò una grave spaccatura in tutta la società cristiana. Anche i vari regni occidentali si schierarono: Francia, Lorena, Svezia, Savoia, Scozia, Spagna e Napoli si misero dalla parte di Clemente, mentre gli altri come Inghilterra, Fiandra e Ungheria appoggiarono Urbano. La chiesa si trovò così in un nuovo scisma che coinvolgeva tutto il mondo cattolico e minava l’autorevolezza dell’autorità pontificia. Lo strumento adatto per poter ricomporre lo scisma era il concilio generale. In quel momento c’erano due pontefici. Il conflitto tra Urbano VI e Clemente VII fece riprendere le critiche suggerendo che il governo della Chiesa dovesse essere nelle mani del collegio dei cardinali oppure del concilio generale. Lo scisma si trascinò anche dopo la morte di Urbano e di Clemente. A quest’ultimo succedette Benedetto XIII, mentre a Urbano VI succedette Bonifacio IX (fino al 1404), Innocenzo VII (fino al 1406) e Gregorio XI (fino al 1417). I diversi tentativi di riconciliazione fallirono nonostante le trattative. L’unico luogo in cui si poteva sanare la frattura era il concilio. Nel 1409 ci fu un primo concilio a Pisa che dichiarò i due pontefici deposti, in quanto eretici. L’assemblea elesse Alessandro V che venne riconosciuto dalla maggioranza dei principi, ma non da Gregorio XII e da Benedetto XIII che non abdicarono. In questo modo si ebbero tre papi in contemporanea. Alessandro v morì solo dopo un anno di pontificato e gli successe Giovanni XXIII che convinse il re di Germania Sigismondo a convocare l’ennesimo concilio, che si aprì nel 1414 a Costanza con un centinaio di ecclesiastici e molti rappresentanti laici. Il concilio affermò il principio secondo cui il potere risiedeva non nella chiesa del papa, ma nel concilio. Il papa era solo un funzionario ed era la Chiesa a dargli il potere. Veniva sottolineata la natura ascendente del papa che veniva conferito dal basso e non dall’alto, l’esatto opposto della teoria fatta propria dai papi, che si consideravano come vicari di Cristo posti al di sopra della Chiesa. A Costanza venne espressa la dottrina conciliarista, che vedeva nel concilio la fonte del potere, secondo il modello della chiesa tardoantica. Il concilio di Costanza si chiuse nel 1418 e dovette risolvere prima la questione dello scisma, prima di affrontare altre questioni come la riforma e la lotta alle eresie. Dopo le dimissioni di Giovanni XXIII, Benedetto XIII e Gregorio XII venne eletto Martino V (1417-1431) che inaugurò una serie di papi italiani. Venne ribadito che i poteri del concilio derivavano da Cristo e che tutti dovevano sottostare ad esso. Si stabilì che i concili dovessero essere convocati per la prima volta dopo cinque anni, poi sette per arrivare a dieci anni. Vennero emanati dei decreti anche per altri argomenti come la struttura della Chiesa, la composizione del collegio cardinalizio, i criteri della tassazione papale e vennero colpite con scomuniche le teorie di John Wycliff e di Jan Hus. Si diffusero dei fenomeni di dissenso religioso, che avevano tra le caratteristiche principali la critica della ricchezza e del potere temporale della Chiesa, che presero dei caratteri nazionali. John Wycliff era un professore di Oxford che nella seconda metà del XIV secolo che oltre a contestare la ricchezza della chiesa voleva l’accesso diretto dei fedeli alla Bibbia, la negazione della validità dei sacramenti per la salvezza, perché i determinata non solo dal restringimento della visione strategica, ma anche dal fatto che gran parte dei pontefici erano italiani, così come la maggioranza dei funzionari della curia. Dall’Italia inoltre proveniva gran parte delle rendite della camera apostolica ed è qui che il papato concentrò la sua azione. 2 le trasformazioni della chiesa romana Il papato quattrocentesco fu impegnato a riprendere il controllo dei territori di Roma, assicurandosi un’effettiva autorità sul patrimonio di san Pietro. Sin dal XIII secolo le comunità dei domini pontifici si distinguevano tra mediate subiectate, rete da un signore senza intervento diretto dei papi e immediate subiectate, governate in concorso dalle istituzioni locali e dai rappresentanti pontifici. I pontefici cercarono di rafforzare i legami attraverso delle pattuizioni con delle forze particolari. I papi del XV secolo si impegnarono nello sviluppo urbano, artistico e grazie al loro mecenatismo attirarono i migliori artisti e intellettuali del periodo. Soprattutto con Niccolò V (1447-1455) e Sisto IV (1471-1484) la Biblioteca vaticana acquisì un’ingente quantità di manoscritti classici. Niccolò V concepì anche la costruzione della basilica di San Pietro. Fin da Martino V fu molto importante l’azione di riordino delle strutture della Chiesa. Un altro problema era la riduzione delle rendite, essendosi ridotte quelle provenienti da regioni extraitaliane, con un calo anche dei gettiti della penisola. L’Italia era comunque la principale fonte di reddito e fu fondamentale per il rafforzamento del papa, che guidò anche una serie di campagne militari. Si crearono anche delle nuove forme di finanziamento come l’inasprimento della tassazione, l’aumento degli incassi grazie a giubilei, concessione di indulgenze, vendita delle cariche di curia ( con Sisto IV sono moltiplicati i vacabilia, che erano resi disponibili dopo la morte o la promozione del loro titolare. Questa proliferazione di cariche spiega anche l’aumento dei funzionari della curia. Nel XV secolo diminuì anche il numero di laici attivi nell’amministrazione a vantaggio degli ecclesiastici. Molti sacerdoti ottenevano dei benefici direttamente dal papa. Più rara era la pratica di vendere cariche molto elevate come quelle di cardinale. I papi quattrocenteschi rimasero stabili a Roma, portando a una stabilizzazione nell’Urbe degli uffici della Curia, che altrimenti erano soliti seguire il papa. Una sfida importante per i pontefici del XV secolo fu il confronto con il collegio cardinalizio e con il concilio. Già Martino V e i suoi successori avevano accolto il decreto frequens solo teoricamente non rispettando gli intervalli di tempo fissati, mettendoli più lontani per diminuire l’autorità del concilio. I pontefici cercarono anche di prendere il controllo del collegio dei cardinali, collocando degli uomini fidati. Martino ricompattò i tre diversi collegi cardinalizi in uno unico. Alla fine del suo pontificato il collegio era formato da 19 membri, in seguito oscillò tra i 20 e i 24. Durante i pontificati della prima metà del 400’ la nomina di parenti da parte del papa nel collegio era molto limitata. Le cose cambiarono con papa Callisto III (1455-1458) che collocò due nipoti nel collegio e ne mise un terzo a capo delle milizie papali. Questo uso divenne la regola con Pio II, Paolo II e Sisto IV. Questa politica familiare nota con il termine di nepotismo assicurava al papa una base d’appoggio nella curia e rafforzava la sua famiglia. A differenza degli altri stati quello pontificio non poteva trasmettere il potere per via ereditaria. Lo stesso collegio cardinalizio era spesso luogo di scontro tra le più importanti famiglie non tanto quelle romane in declino come gli Orsini o i Colonna, ma quelle in ascesa della penisola come i Savoia, gli Sforza, i Gonzaga, gli Este, i Medici e gli Aragona. La pratica del nepotismo ebbe alla lunga degli effetti negativi, aumentando la corruzione e rendendo meno efficiente la macchina burocratica, fatti che crearono un grande scandalo nella cristianità. Nemmeno papi di grande spessore come Pio II, furono in grado di risollevare l’istituzione pontificia dal declino morale. 3 Uno stato regionale Anche sul piano dell’azione politica i papi erano impegnati soprattutto nell’ambito italiano. Completamente inutili furono i tentativi di mobilitare i principi cristiani a grandi imprese, venendo meno la possibilità di recuperare il ruolo di guida dell’intero occidente. Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 rimasero inascoltati gli appelli papali per una crociata antiturca. Prima papa Callisto III e poi Pio II videro la partecipazione di pochissimi iscritti. Fu la cancelleria pontificia a usare per prima il termine Europa per indicare l’insieme degli Stati cristiani uniti dalla comune fede religiosa. La politica internazionale del papato si limitò all’impegno contro l’avanzata turca. Per il resto i pontefici cercarono di stabilizzare il proprio controllo sulla penisola. Roma essendo uno dei potentati del tempo venne coinvolta nelle vicende che condussero nel 1454 alla stipula della pace di Lodi fissata tra Milano, Venezia, Firenze, Napoli, Ferrara e il papa. Con cui si cercava di stabilire l’equilibrio politico della penisola, in modo tale che il tentativo di espansione di qualsiasi Stato venisse contrastato dall’intervento congiunto di tutti i membri della lega. Proprio Papa Sisto IV dovette fare i conti con questa lega quando il suo sostegno al nipote impegnato nell’attacco contro Ferrare fece intervenire la lega per fermarli. In quegli anni il papato aveva esteso la sua egemonia sulla Romagna. Giulio II (1503-1513) può essere considerato come l’emblema dell’impegno militare e politico di Roma. Giulio II estese il proprio dominio recuperando i territori delle Marche e della Romagna e sottomettendo Bologna e Perugia e per ridimensionare Venezia entrò a far parte della lega di Cambrai antiveneziana. Ma dopo la sconfitta di Venezia ad Agnadello fu veloce a rovesciare le alleanze schierandosi con l’ex nemica per arginare la presenza francese e partecipò così alla guerra contro Ferrare solidale con la Franci, approfittandone per annettersi Modena. Il pontefice organizzò una Lega santa con Venezia, Spagna e Inghilterra contro i francesi, ma morì prima di vedere gli effetti di questa iniziativa. Questo papa inoltre avviò i lavori di rifacimento della Basilica di San Pietro e ingaggiò Michelangelo e Raffaello per gli affreschi della cappella Sistina e delle stanze vaticane.
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