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Il pensiero di Kant sulla Critica del giudizio, Versioni di Estetica

La Critica del giudizio di Kant

Tipologia: Versioni

2010/2011

Caricato il 05/06/2024

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Scarica Il pensiero di Kant sulla Critica del giudizio e più Versioni in PDF di Estetica solo su Docsity! KANT Immanuel Kant (1724-1804), nacque, visse e morì a Königsberg nella Prussia orientale, in un periodo di fermenti politici a livello internazionale (quali la guerra di indipendenza in America e la rivoluzione francese in Europa) i quali, da un punto di vista ideologico, si inquadrano in quel momento della storia della cultura che va sotto il nome di Illuminismo. Il suo pensiero s’inserisce, in maniera del tutto originale, all’interno dello specifico orizzonte moderno, sintetizzabile in due coordinate di base: la rivoluzione scientifica (Copernico-Galileiana) da un lato e la progressiva crisi della metafisica dall’altro. Spesso interpretato, in maniera riduttiva, quale risultante di due grandi correnti filosofiche, il Razionalismo e l’Empirismo, il Criticismo di Kant (questo il nome con cui è nota la sua filosofia),1 si arricchisce del patrimonio caratteristico dell’Illuminismo e getta le fondamenta per il futuro Idealismo. Poiché il pensiero scettico di Hume aveva indebolito alla base non solo i fondamenti ultimi della metafisica ma anche quelli della scienza, là dove, invece, i razionalisti riponevano cieca fiducia nelle illimitate pretese della ragione umana, Kant ritiene sia arrivato il momento, per la filosofia, di definire, una volta per tutte, i Limiti e le Possibilità della ragione e, stabiliti questi, precisare quali siano i principi che, se esistono, possono garantire un sapere valido universalmente e necessariamente. Contro lo scetticismo di Hume (al quale peraltro manifesta riconoscenza per averlo “svegliato dal sonno dogmatico”) Kant contrappone un metodo in grado di restituire valore, alla scienza come alla filosofia, delineando l’ambito entro il quale esse possano operare senza essere più messe in discussione. L’Illuminismo è definito da Kant l’uscita per l’uomo dallo stato di minorità; un’emancipazione, acquisita grazie alla capacità di valersi della propria ragione senza la guida di altri.2 Per questo motivo, egli affida alla filosofia (come disciplina che ha come oggetto suo proprio la ragione umana nei suoi diversi aspetti) l’incarico di dare una risposta definitiva al problema della validità di questa ragione, sia in campo Gnoseologico sia in quello Etico-religioso. 3 Innanzi tutto, per Kant, la filosofia, per essere considerata alla stregua di una scienza, deve saper rispondere a quattro domande fondamentali: “che cosa posso sapere”; “che cosa devo fare”; “in cosa mi è lecito sperare”; “che cos’è l’uomo”. La prima di queste domande è quella alla quale Kant cerca di rispondere nel suo maggiore scritto, il più complesso ed argomentato, che è la “Critica della Ragion Pura, pubblicato la prima volta nel 1781. In quest’opera Kant si chiede se sia possibile, per la mente umana, giungere a conoscenze 1 Dal greco Krino, “io separo”, “io scelgo”, “io giudico”; il verbo implica una valutazione dopo accurata analisi. 2 Immanuel Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l'illuminismo? 1784. 3 La gnoseologia, dal greco gnòsis (= conoscenza), è la teoria della conoscenza. 1 “certe e indubitabili” (quali quelle della scienza, in cui egli crede) che mettano a tacere una volta per tutte gli scettici come Hume. La prima domanda di Kant, “che cosa posso sapere?” può esser formulata così: “Quali sono i fondamenti di un sapere certo? E soprattutto: Esistono tali fondamenti?”. Per poter condurre la sua analisi Kant parte dal presupposto, ipotetico, che tali fondamenti esistano e che, per essere validi, debbano essere Universali, Soggettivi e Necessari. Universali e validi soggettivamente, perché devono essere identici e valere per tutti gli individui(validi per tutti e per ciascuno). Necessari, perché devono essere tali che senza di essi la mente non possa operare (tali cioè che la mente debba essere costretta dalla propria natura ad usarli, se vuole ottenere conoscenza). Si tratta allora di sottoporre ad inchiesta, a critica, la ragione per verificare se essa sia veramente dotata di simili principi, fondanti la legittimità del sapere umano. Il problema che si affaccia subito, però, è il fatto che, secondo i principi illuministi da cui Kant parte, l’uomo non possiede strumenti di indagine più alti della ragione; per questo motivo, per esaminare la validità della ragione, Kant non può far altro che condurla dinnanzi al “tribunale di se stessa”, al fine di stabilire la validità delle scienze.4 La rivoluzione copernicana di Kant Razionalisti ed Empiristi, nelle loro indagini gnoseologiche, partivano dall’analisi delle idee che sono “già fatte”, sono già prodotto della ragione; e si chiedevano: “Quando un’idea è vera?, quando è falsa?”, “qual è il suo fondamento?” “come posso essere certo che un’idea prodotta dalla mia mente corrisponda alle cose realmente esistenti?”, “come posso essere certo che la rosa che io percepisco sia, nella realtà, così come la vedo e la odoro?”.5 Essi si ponevano insomma domande intorno alla validità delle idee. Kant, osservato che per questa via la filosofia non è pervenuta ad alcun risultato, anzi è caduta in contraddizioni, propone di accantonare il problema sulla validità delle idee e di concentrarsi invece sul funzionamento della mente, come “macchina” che le produce (= in altre parole, invece di sottoporre ad analisi le idee, già prodotto della ragione, Kant parte da un’analisi della mente come 4 Il solo fatto di chiedersi criticamente che cosa l’uomo può conoscere, differenzia Kant sia dai Dogmatici (Razionalisti), per i quali la ragione ha una capacità conoscitiva incondizionata, che dagli Scettici (Empiristi inglesi) che negano la possibilità di una certezza per qualsiasi scienza. Negare in assoluto la validità ai fondamenti delle scienze, significa per Kant negare anche l’evidenza degli incontrovertibili traguardi da esse raggiunti. 5 È il problema sollevato da Platone per primo, con il “mito della caverna”, e, in età moderna, da Cartesio, con l’ipotesi dubitativa del “genio maligno”, il cosiddetto dubbio iperbolico (universale e irresolubile), lo stesso sollevato da film come Matrix, (Warner Bros, 1999) o Nirvana (1997, Italia). 2 La Critica della ragion pura Nella Prefazione alla prima edizione, Kant mette in scena un dramma: il dramma di una ragione assediata da questioni che non può respingere, poiché le sono assegnate dalla natura della ragione stessa, ma alle quali essa non può neppure dar risposta perché oltrepassano ogni potere della ragione umana. L’interruzione di questo dramma può esser decisa solamente dal Tribunale della ragione, chiamato al “rischiaramento” delle possibilità conoscitive della ragione stessa. Questo tribunale è la con-cre-tiz-za-zio-ne della filosofia kantiana che egli chiama Critica Trascendentale. “Critica” in quanto sottopone la mente ad analisi di se stessa, “Trascendentale” perché si appunta sui principi che, se esistono, consentono di dichiarare “certa” una conoscenza. Io chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non di un oggetto, ma del nostro modo di conoscere gli oggetti.7 (= La conoscenza trascendentale è quella che prende per oggetto se stessa, che indaga il processo conoscitivo stesso). Quindi, la sua filosofia è “critico-trascendentale” perché analizza la ragione per stabilirne validità e limiti sulla base dei principi trascendentali che la costituiscono, ossia quegli elementi formali della conoscenza umana che egli chiama “puri” o Forme a priori (= “ciò che è prima”; indipendente dall’esperienza). Nella CRP Kant si propone di scoprire, isolandoli, quegli elementi formali, gli “a priori”, dei quali tratta sia nell’estetica sia nell’analitica; una volta scoperti si propone di determinare il metodo, cioè il modo, con cui tali elementi a priori vengono usati dall’Intelletto, che per Kant è la facoltà conoscitiva per eccellenza; tale metodo è preso in considerazione nella analitica. 8 Kant stesso dopo la prefazione alla prima edizione inserisce uno schema dal quale si può evincere l’andamento dicotomico del trattato. La necessità di dimostrare la validità della ragione umana e con essa l’indiscutibilità della scienza newtoniana aggredita da Hume, è all’origine della Critica della Ragion Pura, che è un’analisi critica dei fondamenti del sapere; e poiché ai tempi di Kant l’universo del sapere si articolava in scienza e metafisica, l’opera prende la forma di un’indagine valutativa circa queste due attività conoscitive. Per quanto riguarda la scienza, ritenendone il valore un fatto indiscutibile (dati i risultati cui è pervenuta) Kant ritiene che si tratti semplicemente di giustificare una situazione di fatto, chiarendo le condizioni che la rendono possibile, mentre nel caso della metafisica si tratta di scoprire se esistano davvero le condizioni che possano legittimare le sue pretese di porsi come scienza oppure se essa sia inevitabilmente condannata alla non scientificità.9 Per comodità abbiamo diviso la CRP in due parti: la prima in “Estetica Trascendentale”, la seconda in “Logica Trascendentale”, e quest’ultima ulteriormente diviso in “Analitica e “Dialettica. 7 Kant, Critica della Ragion Pura, Introduzione; il termine è ricavato dalla filosofia scolastica medievale. 8 In quanto analisi delle autentiche possibilità conoscitive dell’uomo, la C.R.P. si configura come una mappa filosofica della potenza e della impotenza della ragione, in quanto depositaria di principi puri, o a-priori. 9 In sintesi, nella C.R.P. Kant si pone la domanda su che cosa si fondino le pretese validità della matematica, come scienza e come disposizione naturale, della fisica, come scienza e come disposizione naturale, e della metafisica, come scienza e come disposizione naturale. 5 Logica (Buon uso della facoltà di pensare) Estetica Trascendentale (Forme a priori della:) Spazio Tempo Geometria come Scienza Aritmetica come Scienza Analitica (Forme a priori dell’intelletto) Dialettica (Cattivo uso della facoltà di pensare) Concetti Ragione Anima Ide e Sensibilità Intelletto Fisica come Scienza Intuizione 6 Critica della Ragion Pura Che cosa posso conoscere 12 Categorie Cosmo Dio Fenomeno e Noumeno Kant apre il suo capolavoro con un’ipotesi gnoseologica: “Non c’è dubbio che ogni nostra conoscenza incominci dall’esperienza, da che mai la nostra facoltà conoscitiva sarebbe messa in moto se non da parte di oggetti che colpiscono i nostri sensi? […]. Ma benché ogni conoscenza cominci con l’esperienza, da ciò non segue che essa derivi interamente dall’esperienza. Potrebbe, infatti, avvenire che la nostra conoscenza empirica sia un composto di ciò che riceviamo mediante le impressioni e di ciò che la nostra facoltà conoscitiva vi aggiunge da sé sola (semplicemente stimolata dalle impressioni sensibili)”.10 Abbiamo affermato che, per spiegare la conoscenza, Kant attua il ribaltamento copernicano: egli indirizza l’indagine sul soggetto conoscente piuttosto che sull’oggetto conosciuto, allo scopo di cogliere e studiare i modi e i principi che consentono ad un oggetto di essere percepito e conosciuto dal soggetto. Da questo deciso mutamento di prospettiva deriva che: A. È l’oggetto che, per essere conosciuto, deve adeguarsi alle forme (i modi) con cui il soggetto lo conosce. L’oggetto, è quel che mi appare dopo che si è unito alle forme soggettive, è l’oggetto per me, ossia il Fenomeno; mentre l’oggetto in sé, esistente indipendentemente da noi, è ciò che Kant chiama Noumeno, il pensabile ma non conoscibile. B. Ogni atto conoscitivo è una sintesi tra la materia della conoscenza (= l’elemento oggettivo, empirico; le impressioni che derivano dall’esperienza) e una forma (l’elemento soggettivo, ossia l’insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente umana ordina tali impressioni). L’elemento soggettivo non deriva dall’esperienza, dunque è a priori ed è ciò che conferisce l’universalità e la necessità ai dati empirici (che sono sempre particolari e contingenti). Tale ribaltamento quindi comporta che non sia la mente a modellarsi passivamente sulla realtà, ma sia la realtà a modellarsi sulle forme a priori attraverso cui la percepiamo. L’esito di tale ribaltamento è l’affermazione del fatto che se sono gli oggetti a doversi conformare al soggetto che li conosce, allora è garantito alla conoscenza il carattere dell’universalità. La Teoria dei giudizi Questa “ipotesi” risulta in realtà immediatamente convalidata dall’esistenza innegabile di alcuni tipi di “Giudizio” (come li chiama Kant) che offrono il tipico esempio di verità universali e necessarie e che sono i principi immutabili che fungono da pilastri della scienza, dei quali Kant non dubita mai. Per precisare la natura di tali principi presupposti dalla scienza, dopo aver esposto lo schema della sua CRP, Kant passa ad illustrare la sua teoria dei Giudizi. 10 Kant, Critica della Ragion Pura, B1. 7 La scienza che studia i principi a priori della Sensibilità è detta Estetica trascendentale.14 La sensibilità è la facoltà passiva di ricevere le rappresentazioni del mondo esterno. Le rappresentazioni del mondo esterno costituiscono la materia della conoscenza; perché si abbia la conoscenza sensibile per Kant occorre che la molteplicità dei dati empirici, procurati dalla sensazione, sia unificata e ordinata dalle forme a priori dell’Intuizione sensibile: che sono lo Spazio e il Tempo. Lo spazio è la forma del senso esterno, attraverso cui ci rappresentiamo gli oggetti fuori di noi; Il tempo è la forma del senso interno, attraverso cui intuiamo gli stati d’animo interiori. Essi non derivano dall’esperienza; perché, per poter cogliere gli oggetti nello spazio o vivere gli stati d’animo nel tempo dobbiamo possedere a priori dentro di noi lo spazio e il tempo. Spazio e Tempo sono quel che Kant chiama intuizioni pure. In tal modo possiamo affermare che:  La geometria è una scienza perché la forma a priori (universale e necessaria) dello Spazio rende possibili i suoi giudizi sintetici.  L’aritmetica è una scienza perché la forma a priori del Tempo rende universali e necessari i suoi giudizi sintetici. Spazio e tempo sono quadri mentali a priori, non sono contenitori (prospettiva oggettivistica di Newton) non sono derivati da esperienze (prospettiva empiristica di Locke e Hume) né concetti (interpretazione concettualistica di Leibniz). Analitica Trascendentale La scienza che studia i principi a priori dell’Intelletto è detta Analitica trascendentale. L’intelletto è la facoltà attiva attraverso la quale l’uomo può formulare giudizi vale a dire Pensare. Attraverso l’intuizione sensibile, un oggetto ci è dato, attraverso l’intelletto esso viene pensato . . . l’intelletto non può intuire nulla e i sensi nulla pensare. Solo dalla loro unione può scaturire la conoscenza. L’intelletto allora pensa. a) Cosa pensa? Pensa le Intuizioni che gli vengono dalla sensibilità e le unifica. Unificando più rappresentazioni sensibili formula i concetti empirici = l’intelletto dunque pensa i concetti! 14 Dal greco aisthetikós, “che concerne la sensazione”. 10 b) Come l’intelletto pensa? Per mezzo di cosa? L’intelletto pensa per mezzo di principi a priori specifici che conferiscono universalità e necessità alla conoscenza intellettiva. Kant li chiama concetti puri, già esistenti nella mente, a priori, basilari. Questi sono le categorie. L’intelletto, unificando le rappresentazioni sensibili, pensa i concetti attraverso le categorie. Dottrina delle Categorie e Deduzione trascendentale Per Kant pensare significa “formulare giudizi”, in altre parole giudicare (attribuire un predicato ad un soggetto). Le categorie sono i modi attraverso i quali l’intelletto giudica (= pensa). Esse saranno tante quante sono le modalità di giudizio (ovvero quante sono le maniere tramite cui si attribuisce un predicato ad un soggetto). Kant le chiama anche concetti Puri (= contenuti a priori nell’Intelletto) In Logica i tipi di giudizio sono 12. Se i giudizi sono 12, saranno 12 anche le categorie perché ad ogni tipo di giudizio Kant fa corrispondere, non senza qualche forzatura, un tipo di categoria (ovvero il principio generale che ha reso possibile la formulazione di quel tipo di giudizio). In pratica le categorie sono Forme, grandi caselle vuote dentro di noi a priori entro cui è possibile inserire tutti i tipi di giudizio. Diciamo che sono “la forma generalissima con cui possiamo predicare l’essere”. Nota: 1) le categorie, anche se “a priori” non sono “idee innate”, ma modelli operativi. Non sono ciò che si conosce, ma ciò attraverso cui si conosce. 2) La differenza fondamentale con le 10 categorie Aristoteliche, oltre al fatto che Kant rimprovera Aristotele di averle rinvenute in modo casuale e frammentario, è che quelle di Aristotele sono forme dell’Essere, in altri termini, modi di essere propri della realtà, mentre quelle di Kant rappresentano i modi di funzionamento dell’intelletto. Le Categorie si distinguono per: Quantità (totalità, pluralità, unità) Qualità (realtà, negazione, limitazione) Relazione (sostanza –accidente, causalità, comunanza) Modalità (possibilità-impossibilità, esistenza-inesistenza, necessità-contingenza). 11 Formulata la teoria ed esposta la tavola delle categorie resta il problema più difficile: quello della giustificazione della loro validità. ► Domanda: Se le categorie sono i modi a priori con cui l’intelletto pensa (le grandi caselle entro cui rientrano tutti i predicati possibili) e gli oggetti sono qualcosa di esterno all’intelletto (materialmente non li crea l’intelletto), come pretendono le categorie di valere anche per gli oggetti esterni? per giustificare la sua “tavola delle categorie”, da buon illuminista Kant non si appella al principio di autorità ma ad una giustificazione che prende il nome di Deduzione Trascendentale. Il termine non è adoperato in senso logico-matematico ma in quello “giuridico”, è la giustificazione di diritto di una pretesa di fatto. La pretesa validità delle categorie non si basa sulla constatazione che esse sono adoperate, di fatto, nella conoscenza scientifica, ma nella dimostrazione che quest’uso è legittimo. Operare la deduzione trascendentale di una categoria significa dimostrare che quest’ultima risulta essenziale perché sia possibile un certo tipo di esperienza. Nei confronti delle forme a priori della sensibilità (lo spazio e il tempo) questo problema non si pone perché è evidente il loro diritto: un oggetto che non è dato nello spazio o nel tempo non è un oggetto- per- noi, perché non è intuito. Per quanto riguarda le categorie, invece, non è così evidente che gli oggetti debbano sottostare ad esse. Affermare che la realtà obbedisce, oltre che alle forme delle nostre intuizioni, anche alle forme dei nostri pensieri è un paradosso che esige una giustificazione. ► Risposta: La giustificazione è data dall’individuazione di un elemento unificatore. Gli oggetti della natura non sarebbero tali per noi se non fossero da noi pensati (= unificati tramite l’attribuzione di un predicato ad un soggetto). Questo presuppone che all’origine della pretesa validità dei giudizi ci sia un’attività mentale, un’identica struttura comune a tutti gli uomini che Kant chiama Io Penso o Appercezione trascendentale. Questo è un elemento di congiunzione di tutte le mie rappresentazioni: (= tutte le mie esperienze, per poter essere date, devono avere un elemento in comune e questo elemento comune è che sono mie!!!). L’io penso è allora questo centro unificante dell’attività del pensiero di ogni soggetto ed è una funzione uguale per tutti i soggetti. L’attività dell’Io penso si attua tramite i giudizi (= i pensieri, i modi concreti con cui il molteplice è pensato); ma i giudizi si fondano sulle categorie. Allora, poiché tutti i pensieri presuppongono l’io penso, e l’io penso pensa tramite le categorie, ne consegue che tutti gli oggetti pensati presuppongono le categorie. Questo significa che l’insieme degli oggetti della natura non può essere pensato se non tramite le categorie. Questo equivale ad affermare che la natura, come insieme di fenomeni sottoposti a leggi universali, obbedisce alle categorie del nostro intelletto; ovvero obbedisce a leggi che non sono proprie della natura stessa, ma del soggetto. L’elemento che è in grado di dimostrare la legittimità delle 12 La Dialettica Trascendentale Nella “Estetica Trascendentale” Kant ha indagato i principi a priori della sensibilità, nell’“Analitica Trascendentale” i principi a priori dell’intelletto, nella “Dialettica Trascendentale” (o Logica dell’apparenza) Kant indaga sulle pretese della ragione (in senso negativo) di conoscere oggetti fuori dal campo dell’esperienza. Nella dialettica Kant prende in esame le “illusioni” generate dalla mente umana quando tenta di applicare le categorie al di là dei confini dell’esperienza, di andare oltre il mondo dei fenomeni ed avventurarsi negli spazi della metafisica. La ragione, infatti, è la terza facoltà conoscitiva dell’uomo, accanto all’intelletto ed alla sensibilità, completamente sganciata però dagli oggetti sensibili. Dato che ogni conoscenza scaturisce dai sensi, la pretesa di conoscenza della ragione, che non ha agganci con il mondo empirico, è illusoria. I “concetti della ragione”, che trascendono ogni possibile esperienza, sono da Kant indicati col termine di idee. 20 L’idea per Kant è un prodotto della mente umana. Non dell’Intelletto ma della Ragione. Se l’Intelletto tende ad unificare i dati della Natura per produrre concetti, la Ragione aspira ad unificare i concetti generati dall’intelletto, producendo idee, avulse da ogni esperienza. Queste si riferiscono a quell’in-sé (che sfugge alla nostra esperienza perché non cade sotto i nostri sensi). L’ in-sé che Kant chiama Noumeno, quella “realtà” che possiamo pensare ma mai conoscere. Kant, pur respingendo lo scetticismo scientifico di Hume, ritenendo il valore della scienza un fatto ormai stabilito, ne condivide invece lo scetticismo metafisico. Per il rispetto dell’importanza storica ed della nobiltà della metafisica, della quale si dichiara “innamorato deluso”, dichiara che la dialettica trascendentale ha il compito di indagare la natura di quel “perenne anelito” che porta l’uomo a trascendere l’orizzonte del verificabile per avventurarsi in “spazi sconosciuti”. È noto il suggestivo paragone kantiano dell’isola (= la scienza) e dell’oceano tempestoso (= la metafisica): Questo territorio (= il mondo fenomenico conoscibile) è un’isola che la natura ha racchiuso in confini immutabili. È il territorio della verità, nome seducente, circondata da un ampio e tempestoso oceano, in cui ha la sua sede più propria la parvenza (= l’illusione metafisica), dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci creano ad ogni istante l’illusione di nuove terre e, generando sempre nuove ingannevoli speranze, al navigante che si aggira avido di nuove scoperte, lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine né abbandonare una volta per sempre.21 La tendenza alla conoscenza, senza tener conto dei limiti fenomenici, è un bisogno insopprimibile, un impulso connaturato della mente umana di andare oltre il mondo dei fenomeni, applicando le categorie di là dei confini della possibile esperienza e corrisponde ad un’esigenza di “superamento 20 Il termine idea fu usato, com’è noto, da Platone il quale separò l’idea dalla mente fino a farne qualche cosa di esistente a parte, un modello della cosa sensibile dotato di realtà ontologica indipendente. 21 Immanuel Kant, C.R.P., B, 294-295. 15 del margine consentito”. Sarebbe giusto parlare di aspirazione alla globalità della conoscenza. 22 La nostra ragione, in altre parole, non paga del mondo fenomenico, che è conoscibile solo in porzioni, è irresistibilmente attratta verso una spiegazione onnicomprensiva di ciò che esiste. Questa attrazione per secoli si è espressa nella formulazione, e nella discussione metafisica, 23 di tre idee fondamentali che si presentano come “l’incondizionato”. Nella dialettica Kant prende in esame le illusioni generate dalla ragione quando tenta di esaminare queste tre idee o concetti generalissimi, la cui natura consiste nel riferirsi non al mondo dei fenomeni ma alle cose in sé. 1. L’idea di Anima = ovvero della totalità degli atti dell’intelletto umano. 2. L’idea di mondo = ovvero la totalità di fenomeni (di tutto ciò che esiste). 3. L’idea di Dio = ovvero l’idea di totalità per eccellenza che racchiude in se il mistero stesso dell’esistenza, le condizioni di possibilità dell’esistenza stessa. All’indagine di queste tre idee si sono rivolti per secoli gli sforzi vani di intere generazioni di filosofi, nel tentativo di rispondere a domande nobili ma “illegittime”, per usare la terminologia giuridica di Kant. L’errore primo della metafisica tradizionale è stato quello di voler trasformare queste tre “esigenze” in altrettante “realtà indagabili”, dimenticando che come esseri finiti non abbiamo mai a che fare con l’idea- in -sé ma soltanto con il fenomeno, ed il prodotto di tale errore è consistito nella formulazione di giudizi contraddittori, ossia Antinomie. Per dimostrare criticamente l’infondatezza della metafisica Kant prende in considerazione le tre pretese scienze che ne costituiscono i cardini. 1) La psicologia razionale,24 che si rivolge all’anima con la presunzione di coglierla nella sua globalità. 2) La cosmologia razionale, che si rivolge al mondo inteso come Universo. 3) La teologia razionale, che indaga su Dio.  La pretesa della psicologia razionale di conoscere l’anima affermando che essa è “immateriale”, “semplice”, “immortale” è basata su un Paralogismo (= un sillogismo errato) che si fonda sull’errata attribuzione di sostanza spirituale o pensante ad una realtà che è soltanto una pura forma, la condizione formale del costituirsi dell’esperienza e della conoscenza, il presupposto che accompagna tutti i concetti, l’io penso.25 22 Essa si esprime in vario modo, e con varia intensità, in ciascuno. “In tutti gli uomini, una qualche metafisica è sempre esistita e sempre esisterà, appena che la ragione si innalzi alla speculazione” (C.R.P., B 21.) 23 Il termine “metafisica” (coniato da un catalogatore di Aristotele per individuare la raccolta di scritti che erano stati considerati redatti dopo i libri di “Fisica”), ha in Kant tutto il sapore polemico di un amante deluso, come egli stesso si definisce (in quanto egli stesso reduce da esperienze di ricerca in questo “terreno fragile”) e riguarda quella pretesa della filosofia di porsi come scienza di cose in realtà indimostrabili. 24 Qui il senso del termine psicologia è quello etimologico di scienza dei fenomeni che riguardano la realtà immateriale dell’uomo. 25 Il sillogismo è un ragionamento costituito da: due premesse (maggiore e minore) unite da un termine medio (= che compare in entrambe) e una conclusione. Se il termine medio ha significati differenti nelle due premesse, allora la conclusione è errata. 16  L’idea di “mondo” (= la totalità di ciò che esiste), cade per definizione al di fuori di ogni esperienza possibile. Quando la ragione pretende di trovare una spiegazione del mondo, nella sua totalità ed interezza, fallisce, poiché non è possibile per noi averne un’esperienza. La totalità dell’esperienza infatti non è un’esperienza a noi consentita, in quanto noi possiamo sperimentare questo o quel fenomeno, ma mai la serie completa dei fenomeni. Quando la metafisica ha preteso di applicare alla globalità del mondo, che è una pura idea, il concetto categorico di Causa (che è una categoria dell’intelletto applicabile ai fenomeni) è rimasta inevitabilmente imprigionata nei reticolati logici delle cosiddette antinomie (= contraddizioni, conflitti della ragione con se stessa) dalle quali è impossibile uscire. Esse si concretizzano in coppie di affermazioni opposte, dove una afferma (la tesi) e l’altra nega (l’antitesi) tra cui, in mancanza di prove certe (e con l’uso della sola ragione, avulsa dall’esperienza) è impossibile decidere, soprattutto perché sul piano logico possono essere entrambe dimostrate. Le antinomie osservate da Kant sono quattro e derivano tutte dall’assumere il mondo come realtà in sé, globale ed unica, invece di riconoscergli una realtà fenomenica che si costruisce progressivamente mano a mano che lo esperimentiamo e scopriamo. Prendiamo la prima a titolo di esempio: Tesi: il mondo ha avuto un inizio nel tempo ed è limitato nello spazio; Antitesi: il mondo non ha limiti, non ha avuto inizio nel tempo e neppure è limitato nello spazio.  La critica alla Teologia razionale, la parte più nota della Dialettica, consiste nella confutazione, da parte di Kant, delle cosiddette prove razionali dell’esistenza di Dio.26 Essendo quest’idea, totalmente priva di dimostrazione, i filosofi hanno escogitato una serie di “prove” riguardo all’esistenza di Dio. Kant le raggruppa in tre, appartenenti a due ordini. La prova ontologica (= è una prova di ordine mentale che parte dall’idea per dimostrarne necessariamente l’esistenza), quella cosmologica e quella fisico-teleologica (= sono prove che partono dall’esperienza per arrivare all’incondizionato). La prima, la più controversa in filosofia, è la cosiddetta prova ontologica che risale a S. Anselmo d’Aosta, il quale, nell’XI secolo intese dedurre l’esistenza di Dio dal suo stesso concetto , affermando che Dio, in quanto essere perfettissimo (ciò di cui non si può pensare nulla di più perfetto), non può mancare proprio dell’attributo dell’Esistenza. Kant distinguendo criticamente tra piano mentale e piano ontologico, obbietta che non sia lecito “saltare” dal piano della possibilità- logica a quello della realtà-ontologica, in quanto l’esistenza non è una cosa che si può dedurre per via intellettiva, ma solo constatare per via empirica (per dirla con 26 Dio per Kant rappresenta l’ideale della ragion pura, il supremo modello personificato di ogni perfezione che i filosofi scolastici hanno designato con il nome di “Ens Realissimus”, concependolo come l’ “Essere”, originario e perfettissimo da cui derivano e dipendono tutti gli esseri . 17 2) Gli imperativi “Categorici” invece non contengono “se”. Sono incondizionati. Solo essi hanno la forma del puro “tu devi…” senza altre condizioni. Soltanto questi colgono la vera essenza della morale. Questa è costituita dal principio del “dovere per il dovere” indipendentemente dai miei desideri e dalle mie inclinazioni. Se così non fosse non potremmo neppure chiamarla morale. Partendo da un principio di stampo illuminista, è un fatto per Kant che esista in ognuno (forte l’influenza di Rousseau in ciò) una concezione del dovere come qualcosa di “incondizionato” e assoluto. Questo fatto perché abbia valore, presuppone l’esistenza per l’uomo della libertà. Non esiste vera moralità (= ottemperanza al senso del dovere) senza libertà di scegliere. Questa autonomia del soggetto etico costituisce una precondizione necessaria al manifestarsi dell’azione morale. L’azione morale è certamente costrittiva, impedisce che il soggetto agisca in conformità ad impulsi, però perché sia davvero valida deve basarsi sul principio della “libera adesione” alle norme che costituiscono il patrimonio morale di un popolo. In altri termini, l’azione davvero morale è l’azione fatta per il semplice dovere di farla, senza pensare alle conseguenze di questa azione, né alle punizioni né ai premi che ne derivano, altrimenti non la chiameremmo “morale”. La morale Kantiana in cosa differisce dalla normale morale comune? La morale tradizionale è una morale contenutistica: in altri termini, in essa vale il criterio secondo cui io devo compiere una certa azione perché questa è buona. E’ il contenuto buono dell’azione a determinare il dovere di compierla. Nella sua morale kant, compie il ribaltamento gia visto nella Critica della Ragion Pura. Per Kant io non devo compiere un’azione perché questa è buona, ma una azione è buona, perché la devo fare. In tal modo la morale di Kant si evidenzia come una morale formale, ossia essa non prescrive nulla se non l’obbedienza alla legge morale stessa. Non spetta alla ragione determinare il contenuto particolare di singole norme comportamentali, che sono mutevoli nello spazio e nel tempo; ciò che l’indagine kantiana mostra è il carattere comune che esse devono condividere. Esse devono rispondere, per essere morali, a dei principi di carattere universale, a priori dunque, validi per tutti gli uomini. Le formule più importanti della morale kantiana del Dovere sono:  “Agisci sempre in modo che la massima della tua azione possa valere come principio di una legislazione universale”.  Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona che in quella degli altri, sempre come fine mai come mezzo”. Agisci in pratica in modo che il principio, cui si ispira la tua intenzione, possa contribuire alla realizzazione di un ordine morale universale. Il fine dell’agire umano deve, in altre parole, tendere ad un mondo pacifico e pacificato nel quale vale come norma generalissima il vecchio adagio “non 20 fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Ognuno deve aspirare alla realizzazione di un mondo in cui tutti si comportano in base a norme razionali, rette dal principio del dovere puro, le quali a loro volta poggiano su di un imprescindibile principio di Libertà. Libertà, sia dalla semplice osservanza di norme civili ( quali necessarie condizioni di ordine sociale), sia dalla schiavitù degli appetiti del mondo sensibile. Un mondo utopistico insomma basato su di un sogno e fondato sul principio di autonomia della volontà.31 Tale autonomia urta ovviamente contro il determinismo del mondo fisico, dato che Kant, lo abbiamo visto, accetta il principio di causa proprio della scienza newtoniana, nella quale esistono solo ferrei legami che non lasciano spazio ad alcun tipo di libertà. Sappiamo anche, però, che Kant ha distinto molto chiaramente tra un mondo dei fenomeni ed un mondo dei noumeni. Nel mondo dei fenomeni non esiste la libertà, perché tutto è regolato da leggi inderogabili (che la nostra mente costruisce in base ai principi a priori dell’intelletto). E’ possibile allora cogliere questa libertà nello spazio di pertinenza della realtà soprasensibile, in-conoscibile all’uomo, che si cela al-di-là delle apparenze sensibili. L’uomo infatti, in quanto essere fisico ma anche soggetto morale, abita entrambe i mondi. Il corpo in quello sensibile e la volontà in quello noumenico o soprasensibile.32 Quindi se la natura è il luogo della necessità, la sfera morale umana è il luogo della libertà. Tale luogo appartiene a quella sfera assoluta, che non ci è consentito conoscere scientificamente né, tantomeno, dimostrare, la quale però si ripresenta come condizione necessaria del principio del dovere, sul quale si dovrebbe fondare la moralità umana. È possibile perciò dedurre questa realtà assumendo in via ipotetica dei postulati della ragion pratica,delle proposizioni non dimostrate come quelle della geometria (come Kant aveva fatto con i principi universali, soggettivi e necessari della conoscenza) che giustifichino la nostra adesione all’ Imperativo categorico. Essi sono: a) La “Libertà della volontà”; 31 Legalità e moralità sono distinti. L’imperativo categorico non ha niente a che fare con l’obbedienza allo stato. 1. Il tu devi non è pronunciato da un altro, ma dalla mia stessa ragione rivolta a me. La ragione è autonoma, legislatrice di se stessa. 2. Ogni comando politico è eteronomo e come tale contraddice il principio della libertà, salvo che io non aderisca consapevolmente a quello che la legge esterna mi prescrive, perché la riconosco identica alla mia volontà. Il contenuto della legge per essere morale deve essere universale; se la legge dello stato, che non è mai morale ma sempre legale, mi impone di fare qualche cosa che non risponde al principio di universalità, allora la legge è ingiusta, perché non morale; in questo caso sarà un mio problema decidere se è meglio obbedire ad una legge ingiusta, come aveva fatto Socrate, o è meglio non obbedirvi, come fece Antigone, che pagò con la vita la disobbedienza alla legge del re per aver dato sepoltura al cadavere del fratello fuorilegge. 32 Con la morale passiamo così dal mondo della natura, regolato da leggi universali e necessarie, a quello umano, fondato sulla libertà e sulla responsabilità. Ogni cosa nella natura opera secondo leggi. Soltanto l’essere ragionevole può operare secondo principi, cioè può avere una volontà. Senza la volontà, e la libertà che la sottintende, non esisterebbe nessuna morale. Perché se la morale è la facoltà che mi consente di decidere tra due azioni, se fossi costretto a propendere per l’una o per l’altra da altri che non fossi io non ci sarebbe nessuna morale. 21 b) L’immortalità dell’anima; c) L’esistenza di Dio. La libertà della volontà, come primo postulato, è la più importante, perché che in qualche modo vanifica la presenza degli altri due. Essa parte dal presupposto che gli uomini per compiere un’azione morale debbano essere liberi di farlo, indipendentemente da costrizioni di tipo legale o sociale, psicologico, religioso e nonostante alcune conseguenze. Per Kant è morale un’azione, volta ad un buon fine, che sia compiuta indipendentemente da costrizioni: siano esse rappresentate da un uomo che ti ricatta con una pistola oppure la legge che ti impone di farlo perché sennò sarai punito oppure qualcuno che ti convince con la promessa di un premio. Uno studente che studia perché se è promosso gli comprano il motorino compie un’azione morale? Per Kant no. Un uomo che decide di donare tutto ai poveri perché pensa alla ricompensa che gliene verrà in paradiso o al risalto della notizia sui giornali compie un’azione morale? Per Kant no. Il postulato della libertà è allora quello fondamentale. Gli altri due sono una specie di esigenza che deriva dalla nozione di “sommo bene”, inteso come unione di felicità e virtù. L’uomo virtuoso merita di essere felice? Senz’altro si. Accade però che in questo mondo, spesso, un uomo che si attiene ai dettami della propria coscienza non sempre venga premiato. Allora, se in questa vita terrena non è possibile adeguare la felicità al merito, occorre “postulare” due condizioni che rendano possibile l’equazione virtù = felicità: l’immortalità dell’anima, perché la perfezione ultima dell’azione morale non può essere completata in questo mondo sensibile, che ci devia continuamente; quindi occorre che possa essere completata in un altro mondo; l’esistenza di Dio, in quanto essere che commina premi adeguati al grado di virtù, sanando le ingiustizie. Dio allora come esigenza morale. Questi postulati offrono all’uomo risposte riguardo agli interrogativi parsi irrisolvibili nell’ambito della ragion teoretica. È chiaro che gli ultimi due sono solo postulati e non certezze comprovate dall’esperienza, guai se lo fossero! Allora anche il primo postulato si annullerebbe, perché, come abbiamo detto, la certezza del premio nell’aldilà sarebbe la molla della mia azione morale e non la spontanea adesione a questa per puro principio del dovere! Se l’imperativo categorico risponde alla domanda “che cosa devo fare?”la risposta a quel “in cosa posso sperare?” è la fede razionale nel raggiungimento di una comunità universale, libera, fondata sulla legge morale e sulla consapevolezza che solo l’obbedienza ad essa ci renda graditi a Dio. Un dio che però non vuole chiese, né dogmi né riti religiosi, ma soltanto uomini puri e giusti disposti al sacrificio per il bene di tutti, per una comunità pacifica e pacificata nella quale l’obbedienza spontanea alla legge morale (adesione totale e libera), che l’uomo ha dentro di sé, sia l’unica costrizione cui l’uomo debba essere soggetto. 22
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