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Napoleone e la Riforma Statale in Francia (1799-1815), Schemi e mappe concettuali di Storia

Come napoleone bonaparte riuscì a riorganizzare la francia durante il consolato, dal 1799 al 1804, attraverso la costituzione dell'anno viii e la pubblicazione del codice civile. Inoltre, vengono trattati i successi militari di napoleone contro la seconda coalizione e la sua influenza in italia. Una panoramica della riorganizzazione statale francese e della sua influenza sulla europa.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 09/02/2024

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Scarica Napoleone e la Riforma Statale in Francia (1799-1815) e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! L’età Napoleonica 8 “copiamo l’anima “ Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio, in Corsica, il 15 Agosto 1769 da una famiglia di piccola nobiltà. Iniziò la sua formazione nelle scuole militari francesi, studiando le arti belliche ma anche i classici. Da giovane aveva abbracciato con entusiasmo gli ideali della Rivoluzione. D’altra parte, se ricordate, la Rivoluzione tra le tante cose che aveva affermato aveva anche detto che tutte le carriere dovevano essere aperte a coloro che le meritavano, compresa quella militare. Quindi bastava essere bravi e Bonaparte era molto bravo, infatti si distinse molto presto. L’assedio di Tolone fu proprio la sua prima occasione fortunata. Tolone era un porto della Francia meridionale occupato dagli Inglesi che Napoleone seppe riconquistare abilmente. Il governo del Direttorio, da quel momento, diede a Napoleone altri incarichi di grande prestigio. Inoltre, molto astutamente, Napoleone aveva sposato la ricca vedova di un generale, Giuseppina Beauharnais, una nobildonna molto influente, e in questo modo era riuscito a spianare la propria strada per far carriera nella Francia del Direttorio. Così Napoleone ottenne il comando della Campagna d’Italia ed egli fu in grado di farne l’occasione per passare, nel giro di pochi mesi, da semplice ufficiale a protagonista assoluto. Infatti, grazie alla genialità delle sue operazioni militari, e grazie anche alla sua capacità oratoria che riusciva ad accendere l’entusiasmo dei soldati anche con promesse di saccheggio, riuscì ad ottenere successi spettacolari che suscitarono in Francia enorme scalpore. Perché? Immaginate questo, fino a quel momento gli Asburgo, cioè gli austriaci, erano sempre riusciti a impedire ai francesi di sfondare nella Pianura Padana e quindi Il generale Bonaparte con i soldati della Repubblica si erano questa volta dimostrati capaci di trionfare là dove i Re di Francia avevano sempre fallito. Ovviamente Bonaparte seppe anche sfruttare la simpatia di molti intellettuali e di ampi settori delle classi popolari che guardavano alla Francia come alla Nazione liberatrice dei popoli oppressi. Seppe anche sfruttare la Stampa che esaltava in tutta Europa le sue Imprese e contribuiva a creare il mito della sua persona e della sua imbattibilità. Ora, sappiamo già che i patrioti italiani conobbero una grandissima delusione quando Bonaparte, con il trattato di Campoformio del 1797, cedette Venezia all’Austria. Infatti, tutti coloro che avevano visto in lui un liberatore, si resero improvvisamente conto che in realtà egli mirava soprattutto alla conquista e al potere. In Francia, invece, le vittorie riportate gli diedero grande popolarità e quando, per paura di una invasione straniera, emerse l’esigenza di un governo forte che garantisse l’ordine e la pace, molti pensarono che l’uomo giusto fosse proprio Napoleone, che grazie al suo prestigio avrebbe potuto imporre alla politica francese una svolta. Così, con il colpo di Stato del 18 brumaio, divenne il più importante tra i tre consoli e assunse pieni poteri nel governo francese. Ora, in realtà gli altri due consoli avrebbero dovuto coadiuvarlo, e tre assemblee avrebbero dovuto controbilanciare i poteri del triumvirato; in pratica questo non avvenne, perché anche chi faceva parte di tali assemblee era scelto dalle autorità centrali. Dal consolato all’impero (1799-1804) Il consolato Durante il consolato la Francia fu riorganizzata dal punto di vista istituzionale e legislativo: Con la Costituzione dell’anno VIII (1799) Napoleone divenne Primo Console con il potere di controllare tutti i settori della vita politico amministrativa: - Poteva presentare nuove leggi; - Nominare i comandanti dell’esercito e i funzionari statali; - Prendere decisioni in ambito fiscale e finanziario… come quelle che permisero di soddisfare le esigenze del mondo imprenditoriale e di garantire entrate più sicure nelle casse dello Stato; - In tal modo, si consolidò il legame con l’alta borghesia anche attraverso provvedimenti contro le organizzazioni dei lavoratori come il divieto di sciopero. Napoleone dedicò particolare attenzione all’istruzione pubblica, soprattutto alla scuola secondaria e all’università con lo scopo di formare funzionari e tecnici da impiegare nell’amministrazione dello stato. Nessuna libertà di pensiero era concessa, infatti, l’insegnamento doveva essere controllato dallo Stato. La libertà di pensiero, tanto esaltata dagli illuministi, per Napoleone era una vera e propria follia in quanto era convinto che non ci potesse essere uno stato stabile senza un corpo docente capace di insegnare se bisogna essere repubblicani o monarchici, cattolici o miscredenti. Comunque, Il capolavoro della riorganizzazione attuata da Napoleone fu il Codice civile pubblicato nel marzo del 1804, che rappresenta la più significativa eredità che la Francia abbia lasciato all’Europa ed è ancora oggi alla base della legislazione in vigore in molti Stati. Riprendeva alcuni dei grandi temi della rivoluzione come l’uguaglianza giuridica, la libertà religiosa, la laicità dello Stato, la libertà individuale, il riconoscimento della proprietà, ma rifiutava qualsiasi principio relativo all’uguaglianza sociale perché ovviamente napoleone tendeva a difendere soprattutto gli interessi della borghesia. Molta attenzione veniva posta all’istituzione della famiglia all’interno della quale veniva rafforzata l’autorità paterna sulla moglie e sui figli. Per quanto riguarda la politica religiosa, Napoleone comprese presto che la politica di scristianizzazione portata avanti durante la rivoluzione francese, in realtà aveva rivelato le radici profonde della fede cattolica. Pertanto nel 1801 stipulò con il papa un Concordato con il quale il cattolicesimo veniva riconosciuto come religione della maggioranza della popolazione, ma non come Chiesa di Stato. Il primato del potere civile venne comunque preservato. Allo Stato, infatti, competeva la presentazione di candidature per le nomine dei vescovi e dei parroci, nonché l’accettazione o meno di qualsiasi atto papale sul territorio francese. In generale, insomma, sembrava proprio che Napoleone fosse riuscito a ridare alla Francia la pace sociale e religiosa. La campagna di Russia Andiamo avanti, Fra il 1810 e il 1812 l’Impero napoleonico raggiunse la sua massima estensione. L’apogeo della sua gloria fu legittimato nell’aprile del 1810 dalle nozze di Napoleone con Maria Luisa d’Austria, figlia dell’Imperatore Francesco I. Napoleone aveva infatti divorziato dalla prima moglie Giuseppina Beauharnais, colpevole di non avergli dato un erede. Intanto, però, le gravi conseguenze economiche del blocco continentale, avevano suscitato contro la Francia l’ostilità di tutta l’Europa. La Russia, in particolare, decise di staccarsi dall’alleanza con la Francia, si ritirò dal blocco continentale e impose dazi sulle importazioni che penalizzavano le merci francesi. Nel 1812 Napoleone varcò il confine russo senza nemmeno una formale dichiarazione di guerra. La campagna di Russia segnò un primo successo per i Francesi, che entrarono a Mosca il 14 settembre. Ma la conquista della capitale costituì soltanto una vittoria parziale. I Russi si ritirarono e fecero ricorso alla tattica della terra bruciata: incendiarono i loro stessi villaggi e badarono a non lasciare ai francesi né ricoveri né rifornimenti. Durante l’inverno, che fu particolarmente rigido, Napoleone non fu più in grado di resistere e, nell’ottobre 1812 ordinò la ritirata. La fanteria fu decimata dalla fame e dal gelo e dagli attacchi dei Russi che falcidiavano le truppe in ritirata. La potenza napoleonica ricevette un colpo durissimo dal quale non si sarebbe più ripresa. Il crollo dell’Impero napoleonico Il prestigio e il mito dell’invincibilità di Napoleone erano così svaniti. Nel 1813 Gli Stati europei formarono la sesta coalizione e inflissero all’imperatore una pesante sconfitta a Lipsia nell’ottobre del 1813 nella battaglia delle nazioni. Napoleone dovette accettare le condizioni di pace rinunciando al trono di Francia e ritirandosi in esilio all’isola d’Elba. In Francia venne reinserito, come vedete, Luigi XVIII di Borbone (fratello del re ghigliottinato). La sistemazione dell’Europa sarebbe stata decisa in un congresso, convocato a Vienna per il novembre 1814. Ma Napoleone non si era ancora rassegnato. Continuamente in contatto con il suo paese, confidava nel malcontento generato tra gli ufficiali , ma anche tra il popolo, dalla restaurazione borbonica. Tentò allora di riappropriarsi del potere: fuggì dall’Isola d’Elba e rientrò in terra francese il 1 marzo 1815. Si insediò al governo del paese ma la sua ultima avventura durò solo 100 giorni. L’Europa si strinse compatta in un’alleanza (la settima) e sconfisse definitivamente Napoleone a Waterloo il 18 giugno 1815. Bonaparte fu costretto all’esilio, questa volta nella piccola Isola di Sant’Elena, dispersa nell’Atlantico, dove morì il 5 maggio 1821. Restaurazione e opposizioni Il Congresso di Vienna Sconfitto Napoleone a Lipsia nel 1813, le grandi potenze (Austria, Inghilterra, Prussia e Russia) intendevano restaurare il vecchio sistema politico in vigore prima della rivoluzione, ma ciò era impossibile perché la Rivoluzione aveva modificato profondamente il Continente: 1. Sul piano sociale aveva posto fine ai diritti feudali (in particolare, ai privilegi giuridici e fiscali della nobiltà e del clero); 2. Sul piano politico aveva abbattuto la monarchia assoluta, introdotto la monarchia costituzionale, la Repubblica e la dittatura plebiscitaria di Bonaparte; 3. Sul piano ideologico aveva suscitato nuovi ideali come quelli di Patria e di Nazione; 4. Sul piano militare, aveva rinnovato l’esercito e con l’arruolamento di tutti gli uomini abili, aveva dato luogo alla prima guerra di massa della Storia. Per trovare nuove soluzioni che tenessero conto delle irreversibili trasformazioni introdotte dalla rivoluzione venne convocato il Congresso di Vienna (Novembre-giugno 1815) cui parteciparono tutti gli Stati che avevano sconfitto Napoleone, i quali aspiravano ad accrescere la loro potenza. I criteri che guidarono i ministri nel riordino dell’Europa furono il principio dell’equilibrio e quello di legittimità, mentre venne del tutto ignorato quello di nazionalità. Il principio di equilibrio venne utilizzato per ridisegnare la carta politica europea in modo da bilanciare il rapporto di forza tra i diversi Stati in modo che nessuno di essi affermasse la sua Egemonia in Europa; Il principio di legittimità considerava potere legittimo quello derivante dalla tradizione e da Dio, pertanto Sovrani legittimi dovevano essere considerati quelli che regnavano prima della rivoluzione. Con il Congresso di Vienna nacque una nuova carta d’Europa: - Al posto del Sacro Romano Impero sorse la Confederazione Germanica presieduta dall’Austria. - Le grandi potenze ebbero vantaggi territoriali in Europa, ad eccezione dell’Inghilterra che però fu libera di espandere i suoi possedimenti coloniali; - Per evitare l’espansionismo francese vennero rafforzati gli Stati confinanti. I moti degli anni ’20 e ‘30 Le società segrete Nell’età della Restaurazione, il dissenso politico era vietato e per questo motivo, il principale strumento di lotta politica furono le società segrete che si organizzarono sul modello della massoneria. Una di queste fu la Carboneria che aveva come obiettivo quello di ottenere dai sovrani la Costituzione liberale organizzando delle insurrezioni. Tuttavia, queste società poggiavano su una basa popolare ristretta: accanto ai militari, ne facevano parte molti intellettuali e studenti, mentre minore era il numero degli esponenti della borghesia commerciale e delle professioni; ancor meno erano i membri dell’aristocrazia, pochissimi infine erano gli artigiani e i popolani. Il mancato coinvolgimento delle masse popolari nelle società segrete porterà, nella stragrande maggioranza dei casi, al fallimento della loro azione. I moti degli anni ‘20 La prima ondata rivoluzionaria dell’età della Restaurazione prese il via nel 1820 in Spagna. Ferdinando VII di Borbone, tornato sul trono, aveva cancellato ogni traccia del periodo napoleonico, perseguitando chiunque fosse sospettato di tendenze liberali. Grave era anche la situazione economica perché la rivolta scoppiata nelle colonie d’America fin dal 1809 aveva privato il regno di notevoli entrate. Il malcontento diffuso costituì un terreno fertile per il propagarsi delle società segrete, come la società dei Comuneros. Per risanare il bilancio dello Stato, il sovrano tentò la riconquista delle colonie, ma furono proprio le truppe in attesa di essere imbarcate a Cadice per il Sud America a dare il via alla rivolta il 1°gennaio 1820. In breve, tutte le forze liberali del paese si riunirono in un unico moto di rivolta: Ferdinando VII fu costretto a ripristinare la Costituzione di Cadice del 1812. La rivendicazione di questa Costituzione liberale sarebbe diventata il punto di riferimento per i successivi moti. Dalla Spagna la rivolta dilagò rapidamente in altri paesi. Nel Regno delle due Sicilie la rivolta scoppiò a Nola e si diffuse tra i ranghi dell’esercito. In Piemonte insorse la guarnigione di Alessandria; Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice; in attesa che questi ritornasse da Modena, Carlo Alberto, in qualità di reggente, concesse la Costituzione, ma poi abbandonò gli insorti che vennero sconfitti. Di fronte all’ondata rivoluzionaria l’Europa della Restaurazione reagì convocando tre congressi durante i quali, il ministro austriaco Metternich convinse Inghilterra, Francia e Russia della necessità di un intervento immediato in Spagna e in Italia. Era necessario, secondo Metternich, applicare il principio dell’Intervento sancito dalla Santa Alleanza sorta all’indomani del Congresso di Vienna, secondo il quale, nel momento in cui un sovrano si fosse trovato in difficoltà, gli altri sovrani dovevano intervenire in suo aiuto. Nel Regno di Napoli l’ordine fu riportato dalle truppe austriache, che sconfissero l’esercito di Guglielmo Pepe ed entrarono in Napoli il 23 marzo 1821. In Piemonte, al suo rientro a Torino, Carlo Felice sconfessò clamorosamente l’operato di Carlo Alberto e minacciò di privarlo del diritto di successione. A questo punto, Carlo Albero fece un clamoroso voltafaccia sconfiggendo, con l’aiuto delle truppe austriache, l’esercito dei rivoltosi guidati da Santorre di Santarosa. In Spagna, il compito di riportare l’ordine fu assunto dalla Francia. Il forte esercito francese, a cui so unì lo stesso Carlo Alberto, sconfisse con difficoltà gli insorti, che resistettero per più di tre mesi, fino alla capitolazione del Trocadero, la fortezza che domina Cadice (agosto 1823). In Portogallo, infine, a causa della presenza inglese, non intervennero eserciti stranieri: la restaurazione venne attuata dai soli conservatori locali (1824). L’unico successo dei moti degli anni ’20 fu l’indipendenza della Grecia dalla Turchia. Carlo Cattaneo Vicino a Mazzini nell’auspicare per l’Italia l’avvento di una Repubblica, Carlo Cattaneo non condivideva però l’obiettivo di costituire uno Stato centralizzato: al contrario si doveva puntare ad una Repubblica federale, per garantire la reale libertà dei popoli e le loro specifiche caratteristiche nel territorio nazionale. Cattaneo guardava come modello agli Stati Uniti e alla Svizzera e riteneva che lo Stato centralizzato avesse ormai mostrato tutta la sua inadeguatezza, in quanto espressione di una vecchia visione autoritaria. Il metodo per raggiungere la confederazione repubblicana italiana non si discostava da quello scelto dai moderati: occorreva procedere attraverso riforme politiche ed economiche, puntando sull’istruzione popolare, sul liberismo doganale e sul miglioramento delle vie di comunicazione. L’Italia federale avrebbe poi in un secondo momento fatto parte di una confederazione più grande: gli Stati Uniti d’Europa. Cattaneo, che provava una profonda avversione verso il dominio austriaco, incapace di sostenere il progresso, era nettamente avverso anche al Regno sabaudo, giudicato clericale e assolutistico. Vincenzo Gioberti All’interno dello schieramento moderato, la visione confederale venne sostenuta in particolare dal sacerdote torinese Vincenzo Gioberti (1801-1852). Nella sua opera più celebre, Del primato morale e civile degli Italiani del 1843, Gioberti auspicò la costituzione di una confederazione tra gli Stati italiani presieduta dal papa e sostenuta dalla forza delle armi del Regno di Sardegna. Questa proposta venne definita, nel corso del dibattito risorgimentale, neoguelfa, con allusione alla posizione filopapale dei guelfi medievali, in contrapposizione ai ghibellini filoimperiali. Il neoguelfismo non fu un’organizzazione politica, quanto piuttosto, un movimento d’opinione, che ebbe il merito di coinvolgere nel dibattito sull’unità d’Italia anche ambienti che ne erano tradizionalmente distanti se non ostili. Cesare Balbo Il liberale piemontese Cesare Balbo ne Le speranze dell’Italia (1844) poneva il problema, trascurato da Gioberti, della presenza in Italia dell’Impero asburgico e si augurava che un’attenta azione diplomatica piemontese spostasse gli interessi dell’Austria verso i Balcani, lasciando libere le terre italiane. La crisi dell’Impero Turco, infatti, rendeva sempre più strategica per l’equilibrio europeo un’accresciuta presenza austriaca nei Balcani in funzione antirussa. La formazione di uno Stato dell’Alta Italia sotto i Savoia avrebbe poi permesso la costituzione di una confederazione italiana fondata sulla forza militare del Regno di Sardegna, il solo Stato italiano in grado di contrastare gli Austriaci. Da scartare era invece l’ipotesi di affidare al papa la presidenza della confederazione. Balbo era comunque favorevole al coinvolgimento del papa al pari degli altri sovrani italiani, mentre altri moderati filosabaudi erano nettamente contrari a questa ipotesi. Massimo d’Azeglio Massimo d’Azeglio, Primo ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852, condannava le iniziative insurrezionali e auspicava l’unificazione italiana sotto la guida dei Savoia. Camillo Benso Sarà colui che in concreto seppe individuare la via per giungere all’unità d’Italia. Il Quarantotto in Italia Il periodo che va dal 1846 al 1848 è noto come “biennio delle riforme”. Questa ventata riformista ebbe inizio nel 1846 quando venne eletto papa il Cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti, che assunse il nome di Pio IX. Il nuovo papa pur essendo di idee moderate suscitò le simpatie dei liberali a causa di alcune aperture progressiste: ● Concesse l’amnistia ai detenuti politici; ● Aprì anche ai laici la Consulta di Stato, costituita dai rappresentanti delle provincie di nomina pontificia; ● Abolì, in parte, la censura preventiva della stampa. Queste iniziative suscitarono grande entusiasmo nell’opinione pubblica: sembrava prendere corpo la proposta neoguelfa di Gioberti. In breve tempo tutta la penisola venne percorsa da iniziative riformatrici. Soprattutto il Regno di Sardegna e il Granducato di Toscana imitarono Pio IX concedendo riforme amministrative e allentando, in parte, la censura. L’unico Stato italiano che continuava a rifiutare ogni tipo di Riforma era il Regno delle Due Sicilie. Ma fu proprio questa eccessiva rigidità a scatenare la protesta che da Palermo (12 gennaio 1848) arrivò fino a Napoli. Preoccupato della piega che stavano prendendo gli eventi e dalle spinte separatiste, Ferdinando II proclamò l’autonomia della Sicilia e il 29 gennaio 1848, primo fra tutti i sovrani d’Italia, concesse la Costituzione. A questo punto si verificò una reazione a catena: Il Granduca di Toscana Leopoldo II emanò la Costituzione il 17 febbraio; poi toccò al Regno di Sardegna, il 4 marzo, con lo Statuto Albertino; infine, il 14 marzo fu la volta dello Stato Pontificio. Lo scoppio della Prima guerra d’indipendenza Questa era la situazione italiana quando giunse la notizia che il 13 marzo Vienna era insorta. Subito seguì il suo esempio Venezia (17 marzo), dove venne proclamata la repubblica e formato un governo provvisorio. Il 18 marzo insorse Milano e con le famose Cinque giornate di combattimento cacciò le truppe austriache, comandate dal generale Radetzky. Poi la protesta si estese al di fuori dell’Impero asburgico: nei ducati di Parma e Modena, dove vennero instaurati dei governi provvisori. Intanto in Piemonte i patrioti premevano su Carlo Alberto affinché intervenisse in Lombardia. Anche da Milano, i filosabaudi invocavano l’intervento di Carlo Alberto e l’immediata annessione al Regno di Sardegna. Solo il 23 marzo, quando gli Austriaci avevano già abbandonato Milano, Carlo Alberto decise di dichiarare guerra all’Austria con un duplice intento: acquisire nuovi territori e impedire che l’iniziativa indipendentista fosse condotta dai democratici e dai repubblicani, con inevitabili analoghe richieste all’interno del Regno di Sardegna. All’iniziativa di Carlo Alberto si associarono altri eserciti italiani: vennero inviate truppe da Pio IX, Leopoldo II di Toscana e Ferdinando II di Napoli con l’obiettivo, analogo a quello di Carlo Alberto, di togliere l’iniziativa ai democratici e repubblicani. Il confronto con l’Austria assunse così il carattere di guerra federale. Gli Austriaci subirono le prime sconfitte a Goito e a Pastrengo, ma Radetzky non abbandonò la Lombardia: fece invece asserragliare l’esercito austriaco nel cosiddetto “quadrilaero”, una strategica posizione di difesa formata dalle fortezze di Mantova, Peschiera, Legnago e Verona. Nel contempo l’Austria, che rappresentava la maggiore potenza cattolica europea, minacciò Pio IX di uno scisma nel caso in cui non avesse ritirato le proprie truppe. Allarmato da questa eventualità, il 29 aprile Pio IX dichiarò di voler rimanere estraneo al conflitto, in quanto “padre comune di tutte le genti, popoli e nazioni”. Falliva così l’ipotesi neoguelfa. Subito dopo anche Leopoldo II di Toscana e Ferdinando II di Napoli tolsero il loro appoggio alla causa indipendentista. Da federale, la prima guerra d’Indipendenza divenne regia: ora a condurla restava solo Carlo Alberto. Nonostante il ritiro delle truppe degli altri sovrani italiani, Carlo Alberto riuscì a sconfiggere gli Austriaci a Curtatone e Montanara (29 maggio), poi a Goito e a Peschiera (30 maggio). Tra il 29 maggio e il 13 giugno, Milano, Parma, Modena, e Venezia furono annesse al Regno di Sardegna. Ma lo scontro decisivo con l’Austria non era ancora avvenuto. Carlo Alberto indugiava a sferrare l’attacco finale. Gli Austriaci ebbero pertanto il tempo di ricevere rinforzi e di riorganizzarsi. Quando poi a Custoza (23-25 luglio) lo scontro finalmente ebbe luogo, i Piemontesi vennero nettamente sconfitti. Per motivi di prestigio Carlo Alberto accennò ancora a una debole difesa di Milano, ma considerata l’inutilità di tale ostinazione, preferì accordarsi con gli austriaci, deludendo ancora una volta i patrioti lombardi. L’armistizio venne firmato a Vigevano, il 9 agosto 1848, dal generale Salasco per il Regno di Sardegna e da Radetzky per l’Impero asburgico. Finiva così la prima fase della guerra. Ma se la guerra regia era finita, i patrioti non intendevano affatto accettare la sconfitta. E una nuova ondata di proteste percorse la penisola. Nello Stato Pontificio, Pio IX fu costretto a fuggire e a riparare nella fortezza di Gaeta. Il 9 febbraio 1849 una Costituente eletta a suffragio universale dichiarò la fine del potere temporale dei papi e affidò la Repubblica romana a un triumvirato formato da Mazzini, Armellini e Saffi. Anche in Toscana, dopo l’allontanamento di Leopoldo II, il potere venne assunto da un triumvirato con l’obiettivo di creare una repubblica del Centro Italia comprendente anche Roma. Nel frattempo in Piemonte, nonostante la sconfitta di Custoza, i democratici continuarono a sostenere la ripresa della guerra. Alla fine si convinse anche Carlo Alberto: doveva rilanciare il prestigio di casa Savoia, scosso dalla sconfitta del ’48, e riproporre la soluzione monarchica alla causa italiana, nel momento in cui l’idea repubblicana si affermava in gran parte dell’Italia. La ripresa del conflitto si consumò in pochi giorni: le truppe del Regno di Sardegna vennero pesantemente battute a Novara (23marzo1849). Amareggiato da questa ulteriore sconfitta e nella speranza di rendere più miti le condizioni della resa, Carlo Alberto decise di abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. E in effetti, le clausole dell’armistizio, firmato a Vignale il 24 marzo, non furono gravose: il Regno di Sardegna tornò ai confini precedenti. commerciali, ampliò il porto di Genova, migliorò la rete stradale e soprattutto, quella ferroviaria. Fece canalizzare il vercellese (canali cavour). Tutto ciò accrebbe il suo prestigio agli occhi dei patrioti. Molti di loro per sfuggire alla repressione delle polizie dei loro paesi, si rifugiarono a torino con l’approvazione e l’incoraggiamento di Cavour. Il primo risultato importante di questa politica fu la costituzione nel 1857 a Torino, della Società Nazionale Italiana che si proponeva di realizzare l’unità d’Italia sotto la guida di Casa Savoia. Ad essa aderì anche Giuseppe Garibaldi che prese così le distanze da Mazzini. Inoltre, il fallimento delle iniziative insurrezionali dei democratici ( come quella organizzata da Mazzini a Milano e quella di Pisacane a Sapri) avvicinò l’opinione pubblica alla sua via per giungere all’unità d’italia, cioè l’opinione pubblica si convinse che l’unica strada per il riscatto nazionale era quella moderata e filosabauda di Cavour. Un’occasione importante fu offerta a Cavour dalla guerra di Crimea che scoppiò nel 1853 a causa dei contrasti tra la Turchia e la Russia. Il progetto di quest’ultima era quello di espandersi verso il Mar Nero a danno della Turchia. In difesa della Turchia scesero in guerra Francia e Inghilterra, mentre l’Austria dichiarò la propria neutralità. Nel 1854 Cavour decise di intervenire a fianco degli alleati occidentali inviando in Crimea una forza di 15000 uomini, Lo scopo era quello di far assurgere il Regno di Sardegna a rango di potenza europea. Nel 1855 i Russi si arresero e i calcoli di Cavour si dimostrarono giusti. La guerra di Crimea permise al Piemonte di sedere al tavolo dei vincitori. Al Congresso di pace tenuto a Parigi nel 1856 Cavour non chiese nuovi territori per il Piemonte, ma sottopose all’attenzione delle altre potenze come la durezza del dominio asburgico e l’atteggiamento reazionario di molti governi della penisoola potessero finire per alimentare le forze rivoluzionarie. GLI ACCORDI DI PLOMBIERES A partire dal Congresso di Parigi, tra Cavour e Napoleone III si stabilì una progressiva intesa. Nel gennaio del 1858, però, Napoleone III fu vittima di un attentato da parte di un repubblicano italiano, Felice Orsini, il quale lanciò tre bombe contro la sua carrozza. Napoleone III si salvò, ma numerosi furono i morti tra la folla. Subito arrestato, Orsini venne condannato a morte. L’attentato sembrò compromettere l’interesse di Napoleone III per la causa italiana. Ma anche questa volta Cavour seppe volgere a proprio favore l’accaduto. Convinse infatti Napoleone III che l’episodio era la dimostrazione della gravità della situazione italiana, pronta a degenerare fino all’esplosione di una rivoluzione repubblicana e democratica. Nel luglio del 1858 Cavour e Napoleone si incontrarono nella località termale di Plombiéres dove strinsero i seguenti accordi: - La Francia sarebbe intervenuta con il suo esercito a fianco del Regno di Sardegna, ma solo se fosse stata l’Austria a dichiarare guerra; - Una volta conseguita la vittoria, la Francia avrebbe ottenuto come compenso Nizza e la Savoia; - In Italia, invece, si sarebbe dovuta formare una confederazione costituita da un Regno dell’Alta Italia (sotto la guida dei Savoia), un Regno dell’Italia Centrale (sotto la guida di un cugino di Napoleone III, Girolamo Bonaparte) e il Regno delle Due Sicilie (sul cui trono Napoleone sperava di collocare un nipote di Gioacchino Murat). Il papa avrebbe conservato Roma e il Lazio e ottenuto la presidenza onoraria della confederazione. In sintesi, Napoleone III intendeva sostituire all’egemonia austriaca sull’Italia quella francese. L’obiettivo di Cavour era invece quello di allontanare gli Austriaci dall’Italia. Questa era la priorità assoluta. Il problema del successivo assetto politico dell’Italia sarebbe stato affrontato al momento opportuno. LA SECONDA GUERRA D’INDIPENDENZA Poiché gli accordi di Plombiéres prevedevano l’intervento della Francia solo se il Piemonte fosse stato aggredito, bisognava provocare l’Austria: per questo motivo Cavour inviò lungo i confini della Lombardia reparti dell’esercito. Ad essi si aggiunsero anche truppe di volontari provenienti da tutta Italia e organizzarti nei Cacciatori delle Alpi, comandati da Garibaldi. L’Austria cadde nalla trappola e il 23 aprile 1859 inviò un ultimatum al Regno di Sardegna, prontamente respinto da Cavour, in cui chiedeva l’allontanamento dell’esercito piemontese dalle frontiere e lo scioglimento dei corpi volontari. Il 29 aprile 1859 iniziò così la seconda guerra d’indipendenza. Il comando delle operazioni fu assunto da Napoleone III. Una serie di vittorie permise l’annessione di Toscana ed Emilia al Regno di Sardegna, ma a sorpresa, Napoleone III, temendo un eccessivo rafforzamento del Piemonte e l’intervento di Prussia e Russia a fianco dell’Austria, firmò l’armistizio di Villafranca con l’Austria. Il Piemonte otteneva la Lombardia, L’emilia e la Toscana ma cedeva Nizza e la Savoia così come stabilito dagli Accordi di Plombiéres. Intanto il malcontento popolare nell’Italia del Sud crecseva: Per questo Garibaldi organizzò la spedizione dei Mille. Informato della spedizione, Cavour si dichiarò contrario, poiché temeva di irritare la Francia e l’Inghilterra e diffidava dei democratici e dei Repubblicani. Favorevole era invece Vittorio Emanuele II. Questa diversità di opinioni bloccò l’azione del governo piemontese, che non fece in concreto nulla né contro né a favore della spedizione. La notte tra il 5 e il 6 maggio 1860, 1070 volontari guidati da Giuseppe Garibaldi partirono da quarto, presso Genova, raggiunsero Marsala e in pochi giorni ottennero importanti successi contro l’esercito borbonico a Calatafimi a palermo e a milazzo. Man mano che procedeva, Garibaldi assumeva la dittatura sulle terre conquistate in nome di Vittorio Emanuele II. LOTTA POLITICA NON SOCIALE L’APPOGGIO DEI Siciliani all’iniziativa garibaldina era dovuto a due principali motivi: ● Il popolo sperava in un riscatto sociale: in particolare i contadini chiedevano la fine del latifondismo e un’equa distribuzione delle terre; ● La classe dirigente meridionale (aristocratici e latifondisti, i cosiddetti galantuomini) puntava, invece, a una trasformazione politica: era favorevole all’unità d’Italia in quanto riteneva che i Savoia fossero in grado di difendere i loro privilegi meglio dei Borboni. Garibaldi, dopo un’iniziale apertura, decise di non avallare il tentativo di riscatto sociale promosso dai contadini: si rese infatti rapidamente conto che senza l’appoggio della classe dirigente meridionale l’impresa sarebbe andata incontro a un sicuro fallimento. E quando gli insorti manifestarono l’intenzione di requisire le terre dei latifondisti non esitò a ordinarne la repressione. Gli episodi più gravi si manifestarono nei paesi dell’Etna, in particolare a Bronte, dove le truppe garibaldine agli ordini di Nino Bixio, braccio destro di Garibaldi, arrestarono e fucilarono i rivoltosi. Intanto le operazioni militari procedevano rapidamente. I Mille arrivarono a Napoli e costrinsero Francesco II alla fuga. Cavour, che in un primo momento aveva ostacolato la spedizione dei Mille, inviò l’esercitp sabaudo a sud temendo: ● La proclamazione di una repubblica nelle terre conquistate; ● L’intervento francese nel caso in cui Roma fosse stata occupata; L’esercito conquistò Umbria e Marche. In tutti i territori l’annessione al Regno di Sardegna fu approvata attraverso dei Plebsciti. Il 26 ottobre 1860 avvenne lo storico incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi a Teano, presso Caserta. Garibaldi consegnò ad Emanuele II i territori da lui conquistati e si ritirò a Caprera, un’isola a sud della Sardegna. Il 17 marzo 1861 si riunì a Torino il Primo Parlamento nazionale e Vittorio Emanuele II fu dichiarato Re d’Italia. LA DESTRA STORICA AL POTERE Dal 1861 l’Italia fu governata dalla destra storica, così chiamata perché come la sinistra di quel periodo ebbe un ruolo storico nella formazione dell’Italia. Il successore di Cavour alla presidenza del consiglio fu Bettino Ricasoli. La destra storica dovette decidere l’assetto da dare al nuovo Stato; le soluzioni possibili erano due: - Lo Stato accentrato (sul modello della Francia Napoleonica) che prevedeva un forte controllo del governo centrale sugli enti locali; - Lo Stato decentrato (sul modello della Gran Bretagna) che lasciava ampie libertà amministrative e giudiziarie agli enti locali. Fu scelto il modello dello Stato accentrato. Il centralismo e l’estensione del modello piemontese al resto della penisola indicavano come l’Italia fosse considerata un’estensione del Regno di Sardegna. La Destra storica fu perciò accusata di Piemontesismo. Anche la rivolta sociale esplosa nel Mezzogiorno dopo l’unificazione aveva spinto il governo verso l’accentramento. Le masse popolari avevano sperato in un cambiamento non solo politico, ma anche sociale, ed erano state deluse. Con l’imposizione di nuove tasse e del servizio militare si scatenò la rivolta. Molte bande di “briganti”, spesso sostenuti finanziariamente dai Borboni, iniziarono una guerriglia contro lo Stato, percepito come nemico. La Destra reagì con la repressione e con un massiccio invio di truppe: ne seguirono stragi e rappresaglie da entrambe le parti. La Destra non volle quindi considerare i problemi sociali alla base delle rivolte. Questo atteggiamento alimentò il diffondersi di fenomeni di malavita organizzata (come la camorra e la mafia, già esistenti) che ancora oggi devastano il paese. Veneto, Trentino, Friuli-Venezia-Giulia, Lazio e soprattutto Roma non facevano ancora parte del Regno d’Italia. Mentre mazziniani e garibaldini sollecitavano la conquista armata di Roma, la Destra storica era contraria: temeva la reazione della Francia, cattolica e schierata con il papa. Si cercò allora l’accordo: con la Convenzione di settembre (1864) l’Italia si impegnò a difendere lo Stato Pontificio in cambio del ritiro delle truppe francesi da Roma. La capitale venne spostata da Torino a Firenze in segno di rinuncia a Roma.
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