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Il primo dopoguerra e lo sviluppo dei regimi totalitari, Appunti di Storia

Primo dopoguerra nel mondo; crisi di Wall Street; New Deal; vittoria mutilata per l'Italia; la nascita del Fascismo, del Nazismo e dello Stalinismo

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 21/07/2022

raffaellaacristofaro
raffaellaacristofaro 🇮🇹

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Scarica Il primo dopoguerra e lo sviluppo dei regimi totalitari e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! La guerra aveva prodotto grandi trasformazioni sociali. La piccola e media borghesia, videro i propri salari erosi dall’inflazione e la conversione della produzione industriale dall’economia di guerra a quella civile, porta alla perdita di molti posti di lavoro. Le democrazie più solide come Francia ed Inghilterra riescono a superare le difficoltà, ma in molti stati vengono instaurate delle dittature, come in Ungheria, Polonia, e nei Balcani. Nell'impero ottomano, uscito sconfitto dalla prima guerra mondiale, si scatenò una sanguinosa guerra civile, che si concluse nell’agosto del 1922, e grazie alla quale la Turchia divenne una repubblica. Nelle democrazie europee più solide, le difficoltà del dopoguerra vennero superate. La Francia nel 1924 fu travolta da una crisi economica e finanziaria. Ma dal 1926 al 1929, il Paese fù sotto la guida di Raymond Poincarè, che riuscì a stabilizzare l’economia del paese, con l’ausilio di una politica che conteneva i salari e incrementava le tasse sui consumi. Anche in Gran Bretagna vi furono difficoltà economiche. A dominare la scena politica inglese vi era la questione irlandese, poiché i nazionalisti irlandesi volevano l’indipendenza dall'Inghilterra, che ottennero nel 1919 grazie al Sinn Fein. Ne seguì una guerra civile che si concluse nel 1921, che divise l'isola in due parti: le nove contee settentrionali continuarono ad appartenere al Regno Unito, mentre quelle meridionali vennero rese indipendenti, anche se ottennero la piena indipendenza solo nel 1949, dando vita alla Repubblica d’Irlanda. Negli Stati Uniti, gli anni successivi alla fine del conflitto furono di sviluppo economico. Le società finanziarie statunitensi investirono in Europa, finanziando la ricostruzione e le industrie americane esportavano i loro prodotti in Europa. Mentre in Europa la riconversione della produzione bellica poté dirsi completa solo a metà degli anni venti, negli Stati Uniti, la crescita della produzione fu inarrestabile. Vi fu il declino del Gold Standard, in quanto, a conflitto concluso, questo sistema che ancorava le monete alle riserve auree disponibili nelle casse dello Stato, non poteva più essere mantenuto a causa dell’eccesso di emissione di moneta, che causò un processo svalutativo, producendo fenomeni inflattivi in Francia, Italia e Germania. Nel 1922 venne detto definitivamente addio al Gold Standard, e alla copertura in oro venne affiancata quella in dollari o sterline, il Gold Exchange Standard. Negli Stati Uniti, tuttavia, lo sviluppo produttivo non ara stato accompagnato da un equivalente aumento dei consumi, vi era quindi il rischio che la produzione restasse invenduta. Ciò venne evitato attraverso il ricorso al credito, facendo acquistare i prodotti a rate, e chiedendo mutui e prestiti. Aumentarono, inoltre le quotazioni delle azioni in borsa creando una gigantesca bolla speculativa. Crisi del 29 “Grande Depressione” - fra il 24 e il 29 ottobre del 1929, la borsa di Wall Street registrò un crollo dei titoli, che generò una crisi economica gigantesca, che si rivelò lunga e profonda portò all’azzeramento dei depositi bancari. La recessione economica spinse tutti gli stati ad adottare politiche protezionistiche, aumentando così l’intervento dello Stato in economia. Anche la “mano invisibile” di cui aveva parlato Smith nel 700 risultava impotente di fronte la gravità della situazione. Negli stati Uniti, nel novembre del 1932 venne eletto presidente Franklin Roosevelt, il quale, per risolvere la crisi propose il New Deal, per cui lo Stato doveva intervenire in economia in caso di recessioni, per sostenere gli investimenti e i salari. Il governo federale commissionò opere pubbliche permettendo così l’assunzione di disoccupati. Inoltre, venne ristrutturato il sistema finanziario. Vennero create delle commissioni di controllo al fine di tutelare i depositi bancari e impedire le speculazioni, e venne svalutato il dollaro sui mercati internazionali per incoraggiare le esportazioni. La crisi venne definitivamente superata dopo il 1940. L’Italia era uscita vincitrice dal primo conflitto mondiale, ma ben presto, nel paese si diffuse un senso di delusione per la cosiddetta “vittoria mutilata”. In particolare doveva essere risolta la questione di Fiume, che, era stata dichiarata città libera. Tuttavia, nel 1919, D’Annunzio occupò la città con altri volontari, proclamando l’annessione della città all’Italia. A queste tensioni derivanti le irrisolte questioni territoriali si aggiunsero dei disagi sociali. I reduci, tornati a casa erano rimasti senza lavoro; il deficit di bilancio era spaventoso; l’inflazione creò disagi soprattutto fra i piccoli risparmiatori, portando a un declassamento della piccola borghesia. Si inasprirono così i conflitti sociali tra la classe dirigente liberale e le forze popolari e sindacali. Il periodo tra il 1919 e il 1920 venne infatti definito “il biennio rosso”, dato che vennero occupate da contadini e operai, fabbriche e terre, la cui produzione viene gestita da consigli di fabbrica, analoghi ai soviet russi. Nel novembre del 1919 si tennero per la prima volta le elezioni politiche con il sistema proporzionale, che distribuiva i seggi ad ogni partito in proporzione ai voti ottenuti. Le elezioni premiarono i partiti di massa, come il partito socialista e il partito popolare, fondato in quell’anno da Luigi Struzo, che proponeva un cattolicesimo democratico e si batteva per una riforma dello Stato liberale. Nel nuovo parlamento i liberali non hanno una maggioranza solida, così nel giugno del 1920, a formare un nuovo governo viene chiamato Giolitti, il quale invia l’esercito a far sgombrare Fiume dai volontari dannunziani e aspetta che l’occupazione delle fabbriche si esaurisca da sola. Nacque a Milano nel 1919 il movimento dei Fasci italiani di combattimento, fondato da Benito Mussolini. Gli aderenti al movimento erano prevalentemente i reduci di guerra e appartenenti ai ceti medi, delusi e colpiti dalla crisi economica. I Fasci cercavano di dar voce alle manifestazioni di malcontento sociale e politico che non riuscivano a collocarsi negli schieramenti politici esistenti. Tuttavia, la partecipazione politica alle elezioni del 19 si risolse un fiasco totale, in quanto Mussolini non riuscì ad ottenere neanche un seggio in Parlamento. Dopo tale delusione, il movimento fascista si schierò apertamente contro i sindacati, e a partire dagli anni 20 si trasformò nel “braccio armato” del capitalismo più reazionario. I fascisti, strutturati in squadre paramilitari, effettuano per conto degli imprenditori e dei proprietari agrari spedizioni punitive ai danni di scioperanti e sindacalisti. Le sedi del PSI e del partito popolare vengono distrutte e gli oppositori picchiati selvaggiamente. La violenza fascista viene, tuttavia, tollerata dalle forze dell’ordine e dallo stesso Giolitti, che pensa di utilizzare i fasci contro i socialisti. Nelle elezioni del maggio 1921 i fascisti vennero inseriti nelle liste liberali. Una volta in parlamento, i Fasci di combattimento si trasformarono in Partito Nazionale Fascista (PNF). Tale partito si proponeva la tutela della tradizione e della famiglia, l’esaltazione nazionalistica e patriottica, e il superamento dei conflitti sociali nell’interesse comune del Paese. Con l’aumento del consenso del partito fascista, venne organizzata la marcia su Roma, con l’obiettivo di forzare la mano del governo in modo da ottenere una maggiore partecipazione fascista all’esecutivo. Il 28 ottobre del 1922, colonne di “camicie nere” fasciste affluirono a Roma da tutta Italia. Vittorio Emanuele III si rifiuta di proclamare lo stato d’assedio e incarica Mussolini di creare un nuovo governo. Il primo governo di Mussolini fu un governo di coalizione, vi parteciparono, oltre ai fascisti, liberali di diverso orientamento; popolari, nazionalisti ed esponenti delle gerarchie militari come Armando Diaz. I fiancheggiatori del fascismo, fra cui vi era lo stesso Giolitti, lo vedevano come un male necessario per ristabilire l’ordine nel paese.
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