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Il primo dopoguerra italiano, Appunti di Storia

Analisi approfondita del periodo che prevede il Biennio Rosso e tutto il dopoguerra italiano

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 17/08/2023

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vittoria-di-nardo-1 🇮🇹

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Scarica Il primo dopoguerra italiano e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! 1. Il dopoguerra italiano: il “biennio rosso” Come visto la prima guerra mondiale coincise con la Rivoluzione bolscevica, e questa rivoluzione ebbe degli echi notevoli in tutta Europa, che crearono due situazioni opposte: echi di speranza per tutti gli operai che vedevano nella Rivoluzione la realizzazione di un sogno, echi di terrore per le classi borghesi che vedevano concretizzarsi il rischio di essergli sottratta la proprietà privata; a prevalere in questa duplice sentimento, fu però la paura perché, benché la speranza venisse percepita da un maggior numero di persone, la paura era percepita da chi deteneva il potere, e dunque da chi aveva i mezzi per ostacolare questo fermento. In realtà però la speranza degli operai non si limitò a mera riflessione: gli anni immediatamente successivi alla guerra furono infatti gli anni del cosiddetto “biennio rosso” (1919-1920) in cui si assistette ad un esplosivo risveglio di coscienza di classe. Pertanto è possibile affermare che il dopoguerra venne vissuto in maniera aggressiva non solo dagli elementi di sinistra, ma anche dalle voci di destra: ci fu come una sorta di doppio canale di proteste, scontento e critiche che scese in piazza. La destra si compatta intorno a certi argomenti che facevano capo un generale scontento da parte degli italiani nei confronti delle potenze europee, cioè la vittoria mutilata con il trattamento subito a Versailles in occasione dei Trattati di Pace: erano stati promessi territori che non furono mai dati (Istria, la Dalmazia e Fiume). La questione di Fiume in particolare era rimasta in sospeso: la città era un centro fortemente strategico che apparteneva all’impero austro-ungarico, scomparso alla fine della guerra; pertanto, almeno all’inizio, rimase un non detto (anche perché non contemplata nel Patto di Londra). Ma gli italiani, in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli, erano convinti che la città in quanto abitata di italiani diventasse parte del Regno d’Italia: tuttavia a Versailles fu decretato che Fiume rimanesse una città indipendente, poiché di fatto per la sua strategicità non voleva essere ceduta all’Italia. Viceversa, Istria e la Dalmazia in quanto abitate da slavi avevano in qualche modo una giustificazione ideologica nel non essere cedute all’Italia. Tutto ciò creò un forte scontento generale, che venne personalizzato dalla figura di Gabriele D’annunzio il quale, nel 1919, organizzò un movimento che partì e marciò sulla città di Fiume: la città venne occupata da D’annunzio con una grande stola di “legionari”, di cui fecero parte una accozzaglia di individui provenienti da orientamenti politici completamente differenti, ma di comune accordo sulla critica al sistema liberale, al socialismo e a tutto il sistema politico in sé (parliamo perciò di repubblicani, anarchici, irredentisti, sindacalisti rivoluzionari, garibaldini, elementi di destra, Arditi1), dunque tutti elementi carichi di violenza. Questo gruppo eterogeneo sarà poi quello che darà vita al fascismo: non avevano un’ideologia vera e propria, ma erano sicuri di voler realizzare una storia e un mondo nuovi, in contrasto a quelli presenti. Per un anno riuscirono dunque a realizzare una repubblica a Fiume con una Costituzione, la Costituzione del Carnaro (dal fiume omonimo), e che risultò essere molto all’avanguardia: intanto riconoscevano ufficialmente l’Unione Sovietica come Nazione (a differenza di quanto fece la Società delle Nazioni), introdussero la libertà di culto, il suffragio universale maschile e femminile, il divorzio, il matrimonio omosessuale (a testimonianza della loro impronta fortemente progressista)2. Il governo dal canto suo non reagì all’impresa rivoluzionaria di Fiume, ma anzi sperava in fondo che questa esperienza si potesse concretizzare e si astenne dall’intervento, nonostante le pressioni di Francia e Inghilterra che cominciavano a preoccuparsi. Di contro c’era un grande movimento da sinistra che lamentava una maggiore attenzione: la guerra aveva creato una coscienza di classe, anche tra i soldati che combattevano fianco a fianco, e in più proprio quando la guerra era divenuta insostenibile ai contadini arruolati erano state promesse le terre, che tuttavia non vennero mai concesse. Di conseguenza, questo forte malcontento portò inizialmente a una massiccia 1 Un apparato militare che aveva combattuto nella guerra e che affermava le proprie rivendicazioni per aver combattuto in prima linea. 2 Le droghe, l’omosessualità, il nudismo, l’amore libero, erano espressioni esteriori di una rivoluzione morale che doveva farsi all’interno dell’individuo creando una società nuova, ribelle, dionisiaca, che scardinasse lo status quo borghese e liberale. Per alcuni storici (Parlato, Fabi) Fiume fu il prodromo del ’68 europeo poiché lì, per la prima volta, venne sperimentata una forma alternativa di società, dando linfa a quel futurismo da cui si svilupperanno dadaismo, surrealismo, simbolismo, la cui lezione si rovescerà direttamente nelle avanguardie artistiche e politiche degli anni Sessanta. iscrizione ai vari partiti e sindacati, a testimonianza di una crescente coscienza politica che nasceva tra le classi operaie e contadine: si verificarono così due anni (1919-1920) in cui si susseguirono continuamente scioperi, occupazioni di terre, proteste, sono gli anni del “biennio rosso”; si trattò di episodi che crearono forte preoccupazione da parte degli industriali, da loro interpretato come atto di disobbedienza pericoloso e illegittimo. L’ondata di malcontento tuttavia non riuscì a essere frenata sull’immediato, e questi movimenti si diffusero in tutta Italia:  a Nord gli scioperi riguardarono principalmente gli operai3, che cominciarono a richiedere i Consigli di fabbrica: cioè commissioni composte dai rappresentanti dei dipendenti di un’azienda, e cioè una rappresentanza degli operai che partecipava alla direzione generale della fabbrica. Ciò veniva ritenuto inammissibile dagli industriali, e anzi si pensava che questi organi fossero delle sorte di Soviet e che dunque avessero la pretesa di avere potere politico vero e proprio (sebbene il loro reale obiettivo era quello di avere peso solo nella compartecipazione alla gestione della fabbrica). Diffusasi l’ondata di scioperi (cui nella maggior parte dei casi si rispose con l’arresto degli operai), si passò ad altre vie di protesta come il boicottaggio: la reazione degli industriali fu quella della “serrata” (cioè la chiusura delle fabbriche), a cui però a loro volta gli operai si opposero fermamente con l’occupazione delle fabbriche. Tutto ciò creò quindi un’ansia profondissima: mentre infatti lo scontento di destra era accettabile, quello di sinistra spaventava.  A Sud invece gli scioperi coinvolsero maggiormente il mondo contadino e assunsero contorni diversi: si tradussero infatti nell’occupazione dei grandi latifondi incolti da parte di contadini senza terre, convinti che minacciando i proprietari avrebbero realizzato il loro obiettivo, e cioè diventare piccoli proprietari terrieri. Si trattò però di una protesta che venne gestita con l’esercito, le armi, e dunque la violenza: a essere convocate per reprimere questa occupazione illecita delle terre furono le Camicie nere, gruppi di delinquenti che bastonavano i contadini, facendosi giustizia da sé. Tutto ciò fece sì che si respirasse un’aria di grande preoccupazione, soprattutto a livello politico, e ciò che alimentava questo clima di terrore era quest’aurea di socialismo che sembrava stare realizzandosi. A un certo punto, infatti, la scena politica viene raccolta intorno a un personaggio di vecchia conoscenza politica: e cioè Giolitti, fino a questo momento esautorato perché rappresentativo di una vecchia politica, della prassi del compromesso, ma che adesso tornò utile. Nella primavera del 1920 Giolitti diventa quindi nuovamente capo di governo e cerca di risolvere la situazione, adottando una politica di compromesso soprattutto in ambito fiscale: ad esempio rende nominativi i titoli4 (riuscendo così a contrastare l’evasione fiscale), migliora poi la legge sulla tassazione progressiva (disturbando le classi medio alte), ma soprattutto risolve la questione di Fiume. Attraverso un concordato diretto con il Regno dei serbi Giolitti riuscì a mantenere il possesso di Istria, cedendo la Dalmazia e, inviando l’esercito, a sgomberare Fiume che con il Trattato di Rapallo (novembre 1920) divenne città-stato indipendente: anche questo scontentò buona parte dell’elettorato, e in molti cominciarono a non condividere le iniziative giolittiane. A ciò si aggiunsero i recenti dati elettorali, che spaventarono lo stesso Giolitti: già nel 1919 i partiti che acquisirono la maggioranza furono il Partito Socialista (32,3%) e il Partito Popolare italiano di Sturzo (20,5%). Si trattava di quei partiti di massa che abbracciavano la maggioranza della popolazione e che si basavano su un’opinione pubblica diffusa: i partiti di massa infatti non solo disponevano delle “sezioni” nei vari comuni attraverso le quali era possibile iscriversi al partito, ma sfruttavano anche i comizi (cioè la propaganda, che inizia a essere praticata proprio da questo momento storico), e dunque erano radicati nel territorio; i partiti liberali, invece, non curavano la loro presa sulla popolazione, anche perché il sistema 3 Il mondo contadino del Nord, infatti, viveva una realtà più disciplinata: concentrato principalmente nella zona della Pianura Padana, la zona agricola del Settentrione, disponeva già di alcune forme di regolamentazione come, ad esempio, la prassi delle liste di collocamento; pertanto, le richieste contadine al nord si limitarono alla richiesta del rispetto di tale prassi e all’impiego ordinario di lavoratori stagionali (l’imponibile di manodopera), che riuscirono a ottenere. 4 I Titoli di Stato sono obbligazioni emesse dal Ministero e acquistabili nelle banche che rappresentano una forma di investimento per i cittadini: prima che Giolitti li rendesse nominativi, però, era facile per chiunque li acquistasse evitare di pagare le tasse su quei titoli, e dunque così riuscire a salvaguardare i propri risparmi al netto. Con questa riforma invece, ai Titoli venne aggiunta un'intestazione a favore del possessore, che dovesse risultare sia dal titolo che dal registro dell'emittente, obbligando dunque chi li possedesse a pagare le tasse. La situazione degenera tra il 27 e il 28 ottobre del 22, giorni in cui un gruppo di venticinquemila fascisti partendo da Napoli marcia su Roma, inizialmente per una manifestazione dimostrativa e dunque non violenta, ma che si tradusse poi in un vero e proprio tentativo di colpo di Stato, con le vie di Roma che si riempirono di Camicie Nere capeggiate da un quadrumvirato di ras più influenti (Emilio De Bono, Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi e Michele Bianchi), mentre Mussolini rimase prudentemente a Milano in attesa degli eventi per gestire meglio le trattative. Facta, cosciente della carica di violenza che animava gli squadristi6, tenta di dichiarare lo stato d’assedio, ma dopo che il re Vittorio Emanuele III si rifiuta di firmare il decreto si dimette: in piena crisi di governo il re decide quindi di chiamare Mussolini, affidandogli l’incarico di formare il nuovo governo. Dunque, Mussolini diventa capo di governo con un incarico ufficiale assegnatogli direttamente dal re, e non con un colpo di Stato (che di fatto non ci fu). Non mancarono voci di dissenso a questa scelta politica: nel luglio 1922, dunque mesi prima della marcia su Roma (ma quando già l’azione squadrista iniziava a preoccupare le componenti di sinistra), i socialisti si mobilitarono a proclamare uno “sciopero generale legalitario” in difesa delle libertà costituzionali e ribellandosi alla linea intransigente assunta dal fascismo, ma ebbe scarsa adesione (ormai i fascisti erano i padroni delle piazze). Questo sarebbe stato infatti il momento perfetto per i partiti di sinistra per riunirsi sotto un’unica coalizione in funzione antifascista, ma la colpa dell’opposizione fu notevole: se infatti ci fosse stato un accordo tra socialisti e comunisti7, che insieme avrebbero formato una maggioranza, l’alternativa del fascismo non si sarebbe potuta concretizzare. Fu in particolare l’intransigenza della logica della rivoluzione dei comunisti, che li portò a non essere disposti a unirsi con gli altri partiti socialisti scongiurando così l’affermarsi del fascismo. Difatti il motivo per cui lo stesso Mussolini divenne capo di governo così velocemente altro non fu che la paura del comunismo: un parlamento a maggioranza socialista voleva dire che la rivoluzione bolscevica era alle porte, e ciò era temuto dall’élite politica liberale che deteneva il potere, e che invece vedeva nel fascismo l’unica via di uscita.8 Il primo governo fascista era un governo di coalizione, in cui Mussolini lasciò intatte tutte le varie proporzioni parlamentari (liberali giolittiani, liberal-conservatori, popolari, democratici), e sembrava quasi voler mantenere uno Stato liberale. Presentando il suo governo alla Camera egli pronunciò un discorso (noto come “discorso del Bivacco”) in cui afferma che la sopravvivenza del Parlamento dipende ormai da lui, ma che lascia intravedere anche la speranza che continuasse a seguire una linea governativa liberale, pluralista: «Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.» Così Mussolini ebbe la possibilità di compiere le prime azioni di questo nuovo governo. Innanzitutto, mantenne una politica liberale, che gli garantì l’appoggio degli industriali, e mantenne anche una politica favorevole alla Chiesa, introducendo una riforma scolastica (la riforma Gentile) attraverso cui l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole divenne obbligatorio. Così facendo Mussolini inizia a guadagnare consensi da vari ambienti politici (liberali e cattolici): il papa lo definirà infatti “l’uomo della Provvidenza”, perché in questo momento non solo salvava dal comunismo, ma fondava anche uno Stato fondamentalmente cattolico. Tuttavia, poco dopo inizia quella contaminazione di ruoli tra le istituzioni dello Stato e il partito che darà il via a una crescente “fascistizzazione” dello Stato. Nel dicembre del 1922 nasce infatti il Gran Consiglio del 6 Il 24 ottobre, infatti, Mussolini annunciò “O ci daranno il governo, o lo prenderemo calando su Roma”: sicuro che il fascismo aveva ormai posto le basi per un controllo effettivo del Paese iniziò a maturare l’idea di un colpo di Stato. Sapeva però peraltro che un colpo di Stato per avere successo dovesse contare almeno sull’appoggio dei maggiori centri di potere: confidando su un atteggiamento tutt’altro ostile da parte degli alti comandanti militari, sulla neutralità del Vaticano e su un certo appoggio dei liberisti, sperava di ingraziarsi la monarchia e riuscire così nel suo reale intento. 7 cui si aggiunse un’altra diramazione ulteriore (il Partito socialista unitario) che faceva capo al giovane avvocato Giacomo Matteotti. 8 D’altronde il fascismo era anche nutrito di una retorica che coinvolgeva non solo la destra, ma anche elementi dell’estrema sinistra per certi versi: una retorica fatta di nazionalismo, virilità, machismo. Fascismo, organo del PNF, all’interno del quale avvenivano tutte le decisioni governative, e che pian piano sostituirà il Parlamento: col tempo infatti, il Parlamento perdendo gradualmente le sue funzioni, non avrà più motivo di esistere, a tal punto che verrà promulgata una legge (di lì a qualche anno) che darà al governo la possibilità di legiferare; il potere legislativo viene cioè esautorato al Parlamento e passerà nelle mani del governo. Formerà anche una Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, un corpo para-militare composto da Camicie Nere che diventa una sorta di polizia di Stato. Praticamente qui Stato e società civile si fluidificano e diventano un tutt’uno, Il passo successivo fu l’elaborazione di una nuova legge elettorale, la legge Acerbo: il sistema delineato da questa legge va a modificare il sistema proporzionale in vigore dal 1919, basandosi sull'adozione del sistema maggioritario all'interno di un collegio unico nazionale, con un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi a beneficio della lista più votata qualora questa superi il quorum del 25%. Alle elezioni dell’aprile 1924 i fascisti si presentarono con un “listone nazionale” cui aderirono liberali e cattolici e in cui i voti sarebbero confluiti in quell’unica lista: così il listone fascista trionfò alle elezioni, conquistando il 64,9% dei voti e dunque i 2/3 del Parlamento (vale a dire la maggioranza). Questa legge fu un altro segnale della forte messa in crisi del sistema democratico-liberale, ma non fu in questo momento percepita. L’evento che però causò un forte scossone all’interno del Parlamento fu il delitto Matteotti. Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924 fece un discorso alla Camera, in cui denunciò con grande coraggio e requisitoria sia la legge Acerbo (una legge fortemente iniqua dal momento che bastava raggiungere la governabilità solo con il 25% dei voti, dunque senza avere ottenuto una vera maggioranza ), sia anche i brogli elettorali: si tratta di tutte quelle operazioni illecite di manipolazioni del voto che applicarono i fascisti (come la sparizione di alcune schede, o l’occultamento dei risultati di alcuni seggi) con il benestare dei prefetti e dei podestà (i sindaci, ora non più eletti dai cittadini ma nominati dallo Stato). Matteotti dopo pochi giorni da questo discorso, il 10 giugno scompare, e dopo due mesi il suo cadavere fu rinvenuto a pochi chilometri da Roma. Difatti non fu mai provato che l’assassinio di Matteotti venne ordinato dallo stesso Mussolini, ma ad un certo punto ne assumerà la responsabilità in un discorso che tenne in Parlamento il 3 gennaio 19259. Tuttavia, sebbene il delitto Matteotti passò alla storia impunito, rappresentò se non altro il più chiaro segnale di quello che sarebbe stato il fascismo: l’assassinio di Matteotti ebbe infatti un forte impatto sull’opinione pubblica, anche su quella parte che sino a quel momento non si era dimostrata ostile al fascismo. Tutti i deputati presero atto che il fascismo stava diventando totalizzante, e iniziarono ad avviare una sorta di boicottaggio al fine di ostacolare il governo astenendosi dai lavori parlamentari e riunendosi in un luogo a parte (la cosiddetta “secessione dell’Aventino”10): tuttavia questa iniziativa non si tradusse in un’azione politica concreta, anche perché l’attività parlamentare non aveva più peso in questa nuova realtà fascista che si era concretizzata. Dal 1922 al 1925 dunque la posizione di Mussolini rimase in un certo senso equivoca, cioè non ci furono grandi provvedimenti nel costruire lo Stato Fascista, ma sarà a partire dal ’25 che inizierà a adottare le cosiddette leggi “fascistissime” che pian piano annulleranno la società civile, che diverrà prerogativa dello Stato11. Il fascismo fu uno dei totalitarismo del Novecento, insieme allo Stalinismo e al Nazismo, ma rispetto a questi venne definito come un “totalitarismo mancato” dallo studioso Alberto Aquarone: sebbene l’intento del fascismo fosse quello di creare una nuova società retta dai principi ideologici e dottrinari del Partito Nazionale Fascista, non andò mai di fatto a sostituirsi alla monarchia, annullando il potere del re (che sebbene nella pratica ebbe un peso relativo, a livello teorico la Costituzione contemplava che al re spettasse 9 (vd. A me la colpa! pp.250-251) 10 Prende il nome dal colle Aventino dove, secondo la storia romana, si ritiravano i plebei nei periodi di acuto conflitto con i patrizi (secessio plebis) 11 Secondo F.Hegel mentre lo Stato, pur con i suoi limiti e difetti, si trova a un livello superiore e assicura la libertà etica (Stato etico), la società civile rappresenta invece l'organizzazione degli individui finalizzata a soddisfare i bisogni dei singoli e in essa si raggiunge un equilibrio armonico. il potere esecutivo). A ciò si aggiunge anche il fatto che rispetto agli altri totalitarismi non vi furono campi di concentramento e deportazioni massicce come avvenne in Germania e in Russia. 3. La costruzione dello Stato fascista L’ideologia fascista è quella di creare un nuovo pensiero: l’uomo deve essere diverso dal passato e affinché ciò si realizzi è necessario che lo Stato inglobi in sé la società civile, e costruisca le basi per una società nuova, capillare, guidata in tutto e per tutto dallo Stato (annullando l’autonomia della società civile). E lo Stato si dovrà identificare con il Partito Fascista, che vede nel Gran Consiglio del Fascismo il suo cuore pulsante: lui stesso si farà chiamare “Duce” (cioè condottiero), in quanto guiderà il popolo verso la costruzione dell’uomo nuovo, il fascista (non più il cittadino), che deve avere delle connotazioni ben precise. È così che dal 1925 pian piano si persegue questo obiettivo attraverso l’attuazione delle leggi “fascistissime”: un complesso di norme che dovessero costituire l’intelaiatura politico-istituzionale del nuovo regime, concepite dal giurista napoletano Alfredo Rocco. Sicuramente una delle prime manifestazioni dello Stato fascista fu l’abolizione del dissenso: con la prima legge del 24 dicembre, ad esempio, venne decretato che il Governo avesse la “facoltà di dispensare dal servizio i funzionari che […] non diano piena garanzia di un fedele adempimento dei loro doveri o si pongano in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo.”; e ancora leggiamo nella legge del 25 dicembre che “chiunque commette un fatto diretto contro la vita del reggente è punito con la morte.” , reintroducendo dunque la prassi della pena di morte, in Italia abolita dal 1889 con la legge Zanardelli. Tuttavia, è anche vero che la pena di morte non verrà applicata in molti casi, poiché uno degli strumenti che il fascismo sfrutterà maggiormente per annullare il dissenso era il confino (i dissidenti erano mandati perlopiù su delle isole). Le leggi fascistissime permisero però anche al potere di arroccarsi e centralizzarsi: con una prima legge del 24 dicembre il presidente del consiglio diventa capo di governo, e dovrà rendere conto solo al re (in ossequio anche a quanto decretato nello Statuto albertino, la costituzione allora vigente), e con una seconda legge del 31 gennaio 1926 il governo assume addirittura il potere legislativo (da questo momento infatti lo Stato emanerà essenzialmente decreti legislativi): ciò esautorò definitivamente l’attività del Parlamento. Le funzioni del re non vengono tuttavia modificate: Vittorio Emanuele III rimane comandante supremo delle forze armate e mantenne anche le sue tradizionali prerogative in politica estera (e ciò rende anche il re in parte colpevole per non aver sfruttato la sua posizione e ostacolato Mussolini nella sua scalata al potere). A livello di centralizzazione amministrativa con la legge del 26 febbraio 1926 fu abolito il carattere elettivo dei sindaci, al cui posto vennero nominati dallo Stato i podestà: si trattava di personalità profondamente fasciste, che si facevano garanti del fascismo a livello locale, ramificandosi nel territorio. A questi si aggiunsero i prefetti, i garanti dello Stato fascista a livello provinciale, anch’essi di nomina governativa, e a loro era anche affidato il compito di gestire gli organi di polizia. L’intervento dello Stato sul territorio era quindi capillare. Una interessante e inquietante svolta si ha nell’ambito del lavoro: lo Stato fascista procedette alla regolamentazione dei rapporti di lavoro e alla soppressione del ruolo del sindacato. Prima con il patto di Palazzo Vidoni nell’ottobre del 1925 e poi con la legge sindacale del 3 aprile 1926 i sindacati vennero aboliti, e l’unico sindacato ammesso è il sindacato fascista che posto sotto controllo diretto dello Stato, avrebbe garantito che lo sviluppo produttivo e l’andamento economico non venissero intralciati dalla lotta di classe o da altre forme di conflittualità. Ciò a cui infatti mirò il fascismo era le realizzazione di una logica di gestione del lavoro corporativa: il corporativismo12 aveva come scopo quello di mediare gli interessi di 12 Le corporazioni nascono nel medioevo come corporazioni di arti e mestieri: istituzioni che mettevano insieme i facenti parte di un unico settore lavorativo, in modo tale che stabilissero insieme prezzi, orari di lavoro, rapporti tra capo bottega e apprendisti e si stabilivano come soddisfare i bisogni relativi a un determinato settore; allora questa organizzazione funzionava perché si stava creando la prima forma di economia aperta. Andando avanti però il ruolo dei lavoratori cambia: come sappiamo con la rivoluzione industriale e con il pensiero di Marx gli operai cominciano a sviluppare una coscienza di classe e chiedono rappresentanza per potersi difendere dall’oppressione del datore di lavoro, e dunque subentra una logica propriamente sindacalista, di rappresentanza cioè dei lavoratori.
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