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Il primo libro di teorie dei media - Ruggero Eugeni, Appunti di Sociologia Dei Media

Riassunto introduzione e riassunto di 4 capitoli a scelta: Intrattenimento / Magia / Effetti dei media / Sorveglianza

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 11/01/2024

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Scarica Il primo libro di teorie dei media - Ruggero Eugeni e più Appunti in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! IL PRIMO LIBRO DI TEORIA DEI MEDIA Nei media siamo tutti talmente immersi da darne quasi per scontata la presenza e il funzionamento: il più delle volte viviamo proprio “dentro” di essi senza problematizzare troppo quello che facciamo e gli oggetti che utilizziamo. Per poter comprendere appieno la tridimensionalità dei media è necessario osservare i discorsi teorici a loro dedicati: la riflessione sui media ha una storia che ha visto l’applicarsi di pensatori brillanti per cercare di definire cosa sono i media. Alcuni studiosi ritengono che le riflessioni teoriche siano radicate nelle diverse fasi storiche attraversate dai media; ma è bene anche precisare che esse si sono sviluppate tenendo presenti approcci, insiemi di idee e metodi di più lunga durata. Una teoria dei media è una produzione discorsiva che: - Parte da una serie di fenomeni mediali raccolti e descritti in maniera differente, - Recupera alcuni concetti, reciprocamente collegati tra loro, - Descrive l’andamento dei fenomeni di partenza, - Riformula i metodi della loro raccolta. La teoria dei media si concentra per intero nel trattare la storia dei differenti mezzi. Esistono diverse modalità mediante le quali mappare e presentare le teorie dei media: - Alcune procedono storicamente presentando le diverse generazioni di teorie che si sono succedute nel tempo. - Altre differenziano i diversi media: si susseguono teorie relative a stampa, tv, radio, cinema, web e social media, ecc..). il rischio però è quello di non cogliere come alcune questioni teoriche uniscono media diversi. - Una terza modalità di presentazione privilegia le diverse aree coinvolte: all’interno di aree disciplinari come semiotica, sociologia delle istituzioni e processi culturali; ma a volte anche al di fuori degli studi sui media (questo però rischia di tralasciare alcune aree come la filosofia dei media). - Quarto modo consiste nel ripartirle per grandi oggetti di studio (infrastrutture e dispositivi tecnologici; i testi e i discorsi veicolati, ecc). Si possono suddividere le teorie in 4 grandi famiglie: 1. Mediologia classica: riguarda insieme di teorie che si interessano dell’organizzazione delle istituzioni (aziendali , private, pubbliche) che si occupano di media, e studiano gli effetti dei media sui propri pubblici e quindi sulla società nel suo complesso. Le origini di questa famiglia di teorie si individuano nella tesi del giornalista Walter Lippmann, che attorno agli anni ‘20 osserva come in una società in cui l’informazione è veicolata dai media, questi detengono il potere di confermare i pregiudizi operanti nella opinione pubblica e finiscono per esercitare un forte condizionamento civile e politico. Harold Lasswell, anche se in termini differenti da quelli di Lippmann, ha affermato come la propaganda possa influenzare facilmente l’opinione pubblica, condizionando le scelte e le decisioni della massa. Il concetto ottocentesco di “massa” o di “entità indifferenziata” facilmente plasmabile svanisce nel secondo dopoguerra per lasciare spazio a un’evoluzione di questo scenario: il concetto di “differenti pubblici dei media” (non esiste più il concetto di massa unica, ma di pubblici diversi tra di loro, ognuno dei quali ha propri bisogni da soddisfare). È importante il lavoro degli studiosi Elihu Katz e Paul Lazarsfeld, L’influenza personale nelle comunicazioni di massa (1955), nel quale introducono il paradigma degli usi e gratificazioni, che indaga in base a quali bisogni (naturali o indotti, individuali o sociali) i pubblici si rivolgono ai media. Sempre all’interno della famiglia di teoria “mediologia classica” è opportuno citare la Teoria della Spirale del Silenzio (1977- Elisabeth Neumann) e la teoria della coltivazione di George Gerbner, perché attraverso queste teorie il concetto di effetti “forti” dei media si trasforma in effetti “indiretti o cumulativi” nel tempo. La mediologia classica ha dovuto confrontarsi anche con le trasformazioni che hanno coinvolto i media, ovvero, con il digitale e l’avvento delle reti telematiche queste trasformazioni hanno avuto un’influenza importante sugli “effetti”, ad esempio il paradigma degli effetti forti è tornato a far sentire la propria voce di fronte agli effetti delle fake news e sulle nuove forme di pubblicità attuate mediante strumenti automatizzati e algoritmici (chatbots). La mediologia classica si interessa anche di studiare l’organizzazione degli apparati e delle istituzioni mediali si può fare riferimento agli studi condotti negli anni 50 e 60 sugli apparati mediali e sulle loro strutture. Questi studi risentono del paradigma degli anni Trenta “struttural-funzionalista” di Talcott Parsons. Attraverso questa teoria si è potuto fare uno studio delle organizzazioni aziendali parlando di “funzioni” e “disfunzioni” delle differenti componenti del sistema mediale (aziende di produzione e di diffusione). Sempre grazie a questo approccio funzionalista è stato possibile condurre degli studi sul funzionamento delle aziende mediali nella creazione dei programmi e delldelle notizie: diversi lavori evidenziano l’importanza dei gatekeepers (secondo Kurt Lewin; “selezionatori”) che sono i soggetti che scelgono quali notizie bloccare e quali far passare. Con l’avvento del digitale, verso gli anni 80, c’è stato un cambio dell’oggetto di studio delle ricerche mediali: in passato l’unità di analisi era l’azienda, adesso è la “rete di comunicazione”. Ciò risulta utile per spiegare le trasformazioni sociali indotte dall’avvento di Internet e poi del Web 2. Mediologia critica: insieme di teorie che hanno lo scopo di smontare i meccanismi dei sistemi mediali per rilevare delle dinamiche non esibite ma operanti all’interno dei media: meccanismi di manipolazione ideologica, di propaganda politica, di concentrazione di capitali economici. Inoltre, la mediologia critica si pone come obiettivo quello di mettere in atto comportamenti alternativi a quello dei sistemi dei media: es. operazioni di contro-informazione o utilizzo dei media “dal basso.” La mediologia critica privilegia le analisi delle audience e delle loro pratiche di consumo, in relazione ai contesti culturali in cui essi agiscono. La mediologia critica ha anche come obiettivo di studio, come la mediologia classica, lo studio degli effetti dei prodotti mediali sul pubblico, ma con approcci differenti rispetto alla mediologia classica la mediologia classica conduce indagini “amministrative” (finanziate dalle istituzioni e dalle aziende) e “mediacentriche” (focalizzate sulla relazione media-spettatori), mentre la mediologia critica porta avanti ricerche “sociocentriche” (il cui orizzonte è la società nel suo complesso) intese a denunciare gli andamenti ideologici del sistema mediale. Le ricerche “classiche” privilegiano i metodi quali-quantitative (analisi di marketing); mentre le ricerche “critiche” privilegiano i metodi qualitativi (analisi etnografica). L’origine di questa famiglia di teorie è individuabile nella filosofia critica di Theodore Adorno e Max Horkheimer e nella loro Dialettica dell’illuminismo (1947) I due filosofi vedono i media come strumenti di industrializzazione e meccanizzazione della cultura, strumenti che rendono la cultura uno strumento di oppressione e di controllo al pari dei regimi totalitari, piuttosto che uno strumento di coltivazione e di emancipazione individuale e collettiva. La scuola di Francoforte ha influenzato il pensiero di molti pensatori e studiosi che rientrano nella mediologia critica Ci sono 3 filoni di riflessione: - Il primo filone di riflessione della mediologia critica è politico: Guy Debord, attraverso la sua opera La società dello spettacolo afferma che la produzione capitalistica ha reso le immagini del mondo un perfetto sostituto della vita e l’unico strumento di relazione tra i soggetti sociali; di conseguenza, il mondo-spettacolo si è oggettivato ed è divenuto la nuova forma di realtà (Il fatto di vedere un programma televisivo e di assistere ai dialoghi che si scambiano conduttore e telespettatore, è un modo per me di partecipare al programma tv. Sembra di poter partecipare alla conversazione). Jürgen Habermas afferma poi che i media sono il luogo della formazione della sfera pubblica (luogo in cui si creano e si affrontano dibattiti e tematiche che interessano la collettività e il pubblico). - Secondo filone di riflessione della mediologia critica è di tipo culturologico. Nello studio dei media e nelle scienze sociali il concetto di cultura negli anni ‘60 cambia: Raymond Williams con l’opera Cultura e società (1959) dà infatti dei contributi importanti. La cultura non viene più intesa come un insieme di conoscenze, di gusti proprio di alcune èlite sociali di persone “colte” conoscenze a partire dalle esperienze percettive studiano come le persone elaborano le informazioni in base alle esperienze percettive, alle percezioni che hanno nel guardare un prodotto mediale o che deriva dalla visione di un prodotto mediale. Questo approccio poi è stato aggiornato con il nome di “scienze neuro cognitive”: disciplina che analizza l’esperienza (mediale) totale dello spettatore prendendo in considerazione anche le dimensioni emozionali e motorie (tiene conto delle dinamiche “neurali” e “mentali”). 2. Antropologia filosofica: ad esempio il testo Il cinema o l’uomo immaginario di Morin (1956) ha illuminato un aspetto dell’esperienza mediale che è quella razionale: Lo studioso afferma che l’immagine ha un ruolo importante nella mediazione tra reale e immaginario (immagine rappresenta realtà e anche il sogno che tu hai in testa). L'esperienza mediale non può essere confinata nei limiti di un’esperienza «razionale»: agisce in essa un «pensiero magico», un retaggio di dinamiche psicologiche e antropologiche pre-mediali e pre-moderne. L’antropologia filosofica si è concentrata anche nell’individuare altri aspetti dell’esperienza mediale: ha fatto comprendere il ruolo fondamentale dei media nello sviluppo di una memoria culturale e di un immaginario condivisi: si pensi alla Shoa e ai modi mediante i quali i media ne costruiscono e ricostruiscono il ricordo. 3. Riflessione ontologica sul reale: attraverso il saggio Ontologia dell’immagine fotografica di André Bazin ci si è chiesti come i media riproducono, rappresentano, costruiscono e occultano la realtà. Le teorie «postmoderne» che si diffondono a partire dagli anni Ottanta vedono nei media (in particolare nella televisione) un dispositivo di annullamento del reale che porta ad affermare un suo simulacro autori come Debord, Baudrillard sostengono che la tv uccida e sostituisca la realtà con un suo simulacro. Sembra che anche la realtà virtuale e aumentata “annullino” la realtà, ma non è così per molti filosofi dei media che affermano che la realtà virtuale non allontana dal reale, essa non annulla la presenza del mondo e degli altri soggetti, ma conduce a pensare e vivere differenti modi e gradi di presenza tra il soggetto e il mondo. 4. Filosofia della tecnologia e teorie di stampo fenomenologico: che si riconducono alle teorie ecologiche. Le origini delle teorie ecologiche risalgono a McLuhan attraverso l’opera Gli strumenti del comunicare (1964). In questo libro lo studioso afferma che i media costituiscono estensioni dell’uomo e delle sue capacità di sensazione e azione. L’idea di McLuhan si troverà molto nelle teorie dei media degli anni ‘80. Sempre negli anni 80, altro autore di questo filone abbiamo Friedrich Kittler che afferma che le tecnologie utilizzate dai media per organizzare le reti di produzione, di trasmissione e immagazzinamento del sapere in una certa epoca, determinano la cultura di quell’epoca: nell’800 vi è passaggio dalle reti discorsive fondate sulla scrittura alle reti visuali ed elettroniche; il presente vede invece il passaggio alle reti telematiche digitali. (il fatto di utilizzare il digitale oggi mi permette di definire che la cultura di questa epoca è digitale. E che siamo in un’epoca di cultura digitale). Dopo il filone della “filosofia della tecnologia” ci sono stati ulteriori studi sui media che sottolineano la componente culturale, come il saggio del 2010 di Albera e Tortajada nel quale si afferma che il dispositivo non “esiste” senza la sua componente culturale; la pura «macchina» non è pensabile senza evocare il portato culturale, l'immaginario e la rete di pratiche che le hanno dato vita (il dispositivo mediale è nato dalle pratiche culturali e immaginarie che fanno parte di quella cultura) Altri studi sui media sottolineano la loro componente spaziale: alcuni studiosi affermano non si sovrappongono e non sostituiscono al mondo reale, ma si inseriscono nel mondo reale per dar luogo ad “ambienti mediali” In questa di direzione alcuni indagano gli schermi (nel senso di display), non solo in quanto interfacce onnipresenti nella nostra vita quotidiana, ma anche come incessanti erogatori di immagini, informazioni, suoni sempre piú annessi e connessi ai nostri corpi. Altri studiosi valorizzando invece l’idea di media basata sulle tecnologie meccaniche, elettroniche o digitali: si sono concentrati sulla componente ambientale dei media John Durham Peters, attraverso il suo saggio del 2015 afferma che i primi media sono gli elementi naturali (acqua, cielo, terra, aria, fuoco: costituiscono i primi veicoli di senso) e che quindi gli ambienti sono sempre stati dei media; e non sono i media ad essere divenuti ambienti. CAPITOLI A SCELTA Saggio 1 Intrattenimento – (mediologia classica) «Ricordatevi che questi sono video di intrattenimento […] non fatelo a casa». Partendo dal disclaimer iniziale dei video del defunto creator YouTubo Anche Io si possono trarre due grandi spunti: 1. La poliedricità di ciò che sembra ricadere sotto il cappello dell’intrattenimento: i video di YouTubo Anche Io hanno milioni di views. Non si tratta di un fenomeno isolato: è una declinazione italiana del mukbang, un fenomeno nato in Corea del Sud e diffusosi in tutto il mondo. 2. «Non fate questo a casa» sembra molto il Don’t try this at home dei programmi di wrestling. Qualcosa da guardare per intrattenersi, ma che non deve essere replicato o preso come esempio. Ciò sembra indicare l’esistenza di una spaccatura tra quello che è il mondo dell'intrattenimento e quella che è la quotidianità delle persone. La componente del divertimento è fondamentale ma non è l’unica: l’intrattenimento è stato definito come insieme di attività pensate per deliziare e, talvolta, trasmettere informazioni alle persone, attraverso l’osservazione dell’ascesa e della caduta di altre persone, oltre che attraverso la messa in mostra di abilità peculiari. Non si tratta solo di svago, anche perché attraverso queste attività possono emergere intuizioni, riflessioni e processi di meaning-making. Intrattenimento «basso», percepito in termini negativi, o comunque come qualcosa di inferiore rispetto alla cultura «alta». Ragionando sull’intrattenimento è bene dire che le abitudini di consumo delle persone sono molto differenziate e tendono a variare nel tempo. Numerosi prodotti delle industrie culturali e creative, inoltre, sono pensati per incontrare i gusti di un pubblico ampio questi prodotti sono accusati di essere prodotti «bassi», se non persino «di cattivo gusto» In ambito cinematografico è emblematico il caso dei cinepanettoni: esempio di intrattenimento basso per un pubblico culturalmente altrettanto basso (solitamente un uomo adulto, ignorante, che si esalta per le volgarità). Una simile concezione non è nata con i cinepanettoni, ma affonda le sue radici nel concetto di cultura popolare, che ha iniziato a emergere verso la fine del Settecento. Un’altra accezione è quella di cultura di massa del ‘900 è popolare tutto ciò che piace al maggior numero possibile di persone. Alcuni osservatori sostengono che l’intrattenimento costituisce l’essenza dell’epoca mediale, un’epoca in cui tutto viene trasformato in spettacolo. Nel corso del Novecento, l’intrattenimento popolare è effettivamente diventato un fenomeno sempre più «di massa» a causa dell’aumento dei salari e il progressivo spostamento verso lavori che lasciavano più tempo libero; generando così una progressiva fame di intrattenimento questo anche nel campo dell’informazione con il periodo del yellow journalism, in cui prevalgono notizie di crimini efferati e altre storie dal forte carico emotivo, pensate per intrattenere un ampio pubblico. Nell’industria culturale italiana si è assistito a diverse manifestazioni della «strategia dell’intrattenimento»: - Nell’Italia postunitaria si assisteva a un elevato tasso di analfabetismo e a una suddivisione in numerose parlate dialettali, ecco allora che all’approccio pedagogizzante dei media si affiancano altre produzioni, dove la spettacolarizzazione e la serializzazione di contenuti di immediato successo predominano sull’intento informativo (si pone maggiore attenzione all’intrattenimento popolare). - Nell’Italia repubblicana abbiamo il susseguirsi di vecchie e nuove strategie: L’editoria italiana vive un momento di difficoltà in quanto da una parte vi sono proposte editoriali ancora legate a un approccio ottocentesco e dall’altra inizia ad emergere la concorrenza del cinema e delle riviste popolari. Compaiono diverse operazioni che ripensano alcuni prodotti esteri di grande successo in un’ottica piú vicina ai gusti popolari italiani è il caso di Topolino dell’editore Giuseppe Nerbini, con lo sfruttamento della notorietà di Mickey Mouse e del bacino delle sue storie unito a contenuti specificamente italiani. - Periodo dell’anime boom (fra il 1977 e il 1984), in cui le televisioni italiane sono invase da un gran numero di cartoni animati giapponesi, tra cui diversi robot il prodotto estero viene declinato in modo differente - attraverso il doppiaggio, la sigla, ecc. - per ibridarsi meglio con il gusto italiano. Con l’avvento e la diffusione dei social e delle piattaforme come YouTube e Twitch si è vista una nuova riproposizione delle logiche dell’intrattenimento. YouTube nasce proprio come archivio aperto dei propri video digitali. MA ben presto il suo focus si sposta sul broadcast yourself, tramite fenomeni come il vlogging. Grazie al diffondersi di user generated contents si moltiplicano anche le possibilità di un intrattenimento bottom up e che quindi proviene dalla massa stessa già in precedenza ad andare in questo senso era ad esempio la produzione di fanfiction, narrazioni che recuperavano i personaggi di una serie di successo, andando ad ampliare il suo universo narrativo (erano però produzioni pensate per l’intrattenimento di una determinata nicchia di appassionati) Con piattaforme come YouTube i contenuti prodotti si moltiplicano, raggiungono un numero di persone molto piú ampio e vedono una grande differenziazione interna. Emergono nuove forme di intrattenimento: alcune si propongono idealmente come contenuti per tutti, in altri casi si producono contenuti pensati per specifici fandom, ma con una serie di ibridazioni che addirittura superano ampiamente i confini del prodotto originario (fenomeno YouTube Poops che ha portato moltissime persone a interfacciarsi con i videogiochi «apocrifi» di The Legend of Zelda). Chiaro è che ci si trova di fronte ad un aggiornamento della funzione bardica della televisione, in cui ciascuno può partecipare come utente attivo; non solo come fruitore, ma anche come intrattenitore. Bisogna anche dire che il numero e la varietà dei processi di meaning-making è cresciuto Un curioso esempio è emerso dalla serie animata Mv Little Pony. L’amicizia è magica. La serie ha generato il fenomeno dei brony (contrazione di «brother» e «pony»), fan adulti che hanno non solo dimostrato un grande apprezzamento ma in certi casi l’hanno ripreso come filosofia di vita. Il fenomeno brony è nato su 4chan, una board online principalmente nota per le pratiche di trolling: l’apprezzamento per la serie era nato come pratica di trolling/memetica, ma poi il fenomeno si è esteso oltre i confini della board e ha raccolto un numero crescente di effettivi appassionati. Assistiamo in particolare a un mutamento culturale generale, in cui è stato modificato il sistema stesso di produzione e diffusione di cultura, con una moltiplicazione dell’intrattenimento, in cui le operazioni top down si scontrano e ibridano con sempre piú riletture e creazioni bottom up. I videogiochi oltre all’intrattenimento Quando si pensa al medium videoludico, si fa fatica a slegarlo dai termini “divertimento” e “intrattenimento”, probabilmente anche per via dello stesso vocabolo videogioco connesso a un immaginario ludico. Sono poi emerse differenti etichette, come quella dei serious games, quei videogiochi che non sono solo «divertimento» e «intrattenimento», ma che sono pensati per insegnare qualcosa, per lanciare un messaggio, per calare il giocatore in un contesto serio. Tutti i videogiochi, in fondo, sono serious, almeno potenzialmente, visto che è possibile apprendere dal loro utilizzo. - Un punto da sottolineare è la dissonanza fra il team di sviluppo e le istituzioni culturali: Alberto Coco di Ubisoft ha evidenziato questo aspetto parlando della modalità didattica per le scuole legata alla serie di videogiochi storici Assassin’s Creed. In fase progettuale ci sono rapporti anche stretti con le istituzioni culturali, perché bisogna chiedere permessi per inserire certi materiali nel videogioco e serve la consulenza di esperti. Però poi, quando l’opera esce e ha un suo valore culturale, le istituzioni sono vetrina per l’offerta di consulenze, divinazioni, incantesimi (come esempio nuove forme di culto #Witchesofinstagram e #Witchstock). 3. La tecnologia mediale non è piú una metafora del mondo e delle pratiche magiche, quanto piuttosto uno strumento inerente allo stesso incantesimo, dotato di mezzi e potenza autonomi. Si intravede questa concezione nella feticizzazione di prodotti tecnologici in quanto entità autonome (dal Web alle intelligenze artificiali). Gli utilizzi magici dei media aprono due questioni per la teoria dei media: - La prima concerne gli strumenti concettuali utilizzati. Le teorie culturaliste hanno in genere contestato il principio secondo cui gli sviluppi dei media sarebbero dovuti principalmente alle basi materiali della loro invenzione, produzione e distribuzione. Il tema della magia, tuttavia, spinge po’ avanti l’importanza dei fattori culturali e della loro capacità di incidere su quelli tecnologici: la cultura va ripensata come insieme dinamico e variegato di emozioni, immaginari, desideri, pratiche, rituali e forme di vita che coinvolgono e impegnano gli individui. - La collocazione dei media all’interno della storia della cultura, soprattutto occidentale. Una chiave di lettura prevalente posiziona i media all’interno della modernità: un’epoca caratterizzata da un forte sviluppo tecnologico e industriale dove si afferma un principio di «disincanto» del mondo rispetto alle illusioni della religione e della magia. Tali illusioni riemergono, anche grazie al «reincanto» operato dai media, a partire dagli anni Settanta del Novecento. La modernità non avrebbe mai effettivamente rinunciato alla magia, e avrebbe piuttosto da sempre sviluppato forme di compromesso e di ibridazione tra saperi e pratiche tecnico-scientifici da un lato e sistemi di credenza e rituali dall’altro. Saggio 3 Effetti dei media Introduzione Nel 2016: evento traumatico colse di sorpresa ampi strati dell'opinione pubblica: l'elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d'America. La colpa ricadde immediatamente sui media, in particolare sull'attività manipolatoria dei social network, sugli effetti forti e potenti che le fake news e le attività - al limite della legalità - di marketing politico digitale avevano avuto sugli elettori deboli, indifesi, poveri e incolti, soprattutto del Midwest americano. Circa cento anni prima un altro evento, colpì le opinioni pubbliche: la prima guerra mondiale, sconvolse le coscienze, ma soprattutto la vita di milioni di occidentali. Al termine della guerra molti pensatori, scrittori, sociologi, filosofi si domandarono come fosse potuto accadere. Infatti: ● Nelle guerre precedenti: combatterono eserciti professionisti ● Grande Guerra: milioni di persone comuni La risposta fu unanime: anche in questo caso, la colpa era dei media, della propaganda, del racconto collettivo che aveva mobilitato milioni di persone contro un nemico da annientare. Al termine della guerra furono soprattutto gli operatori della comunicazione iniziarono a riflettere su quanto era stato fatto. Si svilupparono le prime riflessioni sugli effetti dei media, e iniziò a diffondersi la preoccupazione circa il ruolo dei media nell'influenza dell'opinione pubblica e quindi nella determinazione delle scelte sociali. Interessante è notare come le prime ipotesi e inquietudini circa gli effetti dei media siano ancora oggi estremamente attuali, nonostante il grande e radicale cambiamento del mondo. 1. Le teorie sugli effetti dei media nella nascente società di massa: la Teoria Ipodermica Le prime teorie sugli effetti dei media furono legate da: - preoccupazione per l'arrivo di «nuove» tecnologie della comunicazione (stampa, cinema, radio e tv), - affermarsi di teorie sociologiche: esse enfatizzavano gli effetti negativi delle trasformazioni della società, da agricola in fondata sulle città, su una nuova divisione del lavoro e sul nuovo protagonismo delle masse. Emerse in particolare una concezione pessimistica delle «masse», formate da persone ignoranti, irrazionali, deboli. Tramite degli studi si giunge alla conclusione che: i media esercitano effetti forti e diretti, manipolano le opinioni, plasmano i comportamenti. Messaggi prodotti dai media= hanno potere di raggiungere tutti i soggetti e di essere letti e interpretati nello stesso modo da tutti, come se tra media e soggetti non ci fossero ostacoli. PERCHE’: nelle società urbanizzate e industrializzate gli individui sono isolati e quindi piú facilmente influenzabili. Si moltiplicarono cosí alcune posizioni allarmate per i cambiamenti nella società, per l'arrivo di nuovi potenti media, per l'affacciarsi di dittature in Europa e per lo sviluppo della società dei consumi: tali posizioni vennero riassunte in un termine ombrello: teoria dell’ago ipodermico (o teoria ipodermica o teoria del proiettile). Il contesto storico della teoria: tra le due guerre, in USA, nata per mano di Harold Lasswell, che nel 1927 rilegge il fenomeno della propaganda bellica utilizzata nella Prima guerra mondiale, dove è chiaro il decisivo potere dei media. Attraverso alcune strategie di comunicazione, i media erano riusciti a manipolare l'opinione pubblica ed a fare “violenza” sulla società senza l’uso della forza. I messaggi dei media sono dunque da intendersi come proiettili magici (magic bullets), in grado di colpire un pubblico indifeso e di manipolare i comportamenti, in accordo con gli interessi delle classi detentrici del potere. Elemento che influenza la crescita di tale teoria sugli effetti dei media ed è: l'affermarsi nel campo della psicologia delle teorie comportamentiste dello stimolo-risposta (behaviorismo). La teoria dice: Gli individui rispondono agli stimoli ambientali in maniera omogenea e geneticamente predeterminata, secondo i propri istinti. Sottoponendo ripetutamente i soggetti ai medesimi stimoli, essi svilupperanno abitudini di risposta che diventeranno «schemi» e produrranno comportamenti condizionati, ripetuti, prevedibili. Secondo queste teorie esiste una corrispondenza diretta tra contenuti emessi dai media e concetti assorbiti dal pubblico→ causano comportamenti previsti (ed eterodiretti). I media diventano strumenti per distorcere la realtà, per influenzare con la paura le persone, per produrre pregiudizi e stereotipi, cioè immagini mentali che vengono costruite per semplificare la realtà e per renderla comprensibile. Gli stereotipi vengono interiorizzati dai cittadini più deboli e dunque più malleabili, è producono reazioni e comportamenti progettabili (per esempio la discriminazione di etnie considerate pericolose e inferiori). Questa concezione dei media viene fatta propria da studiosi che ne sottolinearono le potenzialità positive. Alcuni ricercatori della Scuola sociologica di Chicago videro nei media degli strumenti utili per la formazione della società industrializzata. ● Robert Park: Stati Uniti, anni Venti e Trenta. Vide nei mass media un potenziale in grado di favorire la socializzazione e l'integrazione degli immigrati arrivati nelle Americhe a partire dagli inizi del Novecento. I media dovevano avere il ruolo di creare una «memoria condivisa» tra le memorie frammentate degli immigrati. Alla Scuola di Chicago i media furono pensati come fattori che producono consenso e solidarietà attorno a sentimenti e idee positive. Parliamo di ruolo pedagogico dei media. Ed è giusto, secondo tale impostazione, che le istituzioni sfruttino questo potere per integrare, per esempio, gli immigrati; o per educare la popolazione o per promuovere comportamenti virtuosi. Tale idea del ruolo dei media è ancora presente oggi in alcuni approcci, per esempio, alla comunicazione pubblica e sociale (pensiamo alle campagne sanitarie, di profilassi, vaccinali). 2. Il superamento della teoria ipodermica: le teorie dell'influenza selettiva Le teorie degli effetti forti si sono spesso basate principalmente sulle osservazioni dei comportamenti collettivi a posteriori (per esempio l'adesione ai regimi totalitari dei popoli tedesco e italiano), su ipotesi non giustificate dalla ricerca empirica. Le teorie successive si sono poste l'obiettivo di contrastare e mitigare le idee radicalmente pessimistiche di questa prima generazione di teorie sugli effetti dei media. A partire dagli anni Venti furono condotte ricerche empiriche con l'obiettivo di comprendere sul campo gli effetti dei media. In particolare, si iniziò a studiare gli effetti a breve termine dovuti all'esposizione ai media, e tali studi iniziarono a mettere in dubbio le premesse e i capisaldi della teoria ipodermica. Progressivamente, emerse la tendenza a non considerare il pubblico dei media come un gruppo indistinto e si affermò l'importanza dello studio delle caratteristiche socio-demografiche e psicologiche del pubblico, contesti sociali e familiari in grado di influenzare (e mitigare) gli effetti dei media. Ma soprattutto con la fine della Seconda Guerra Mondiale e con la crescente diffusione di una nuova generazione di media (televisione), che inizia a essere abbandonata una visione tendenzialmente negativa degli effetti mediali. Il contesto storico piú «tranquillo» dal punto di vista economico e politico favorì una visione dei media come elementi integrati pacificamente nella vita quotidiana. Esempio: L'arrivo della televisione in Europa suscitò interesse, se non aperto entusiasmo in molti settori della società. Negli Stati Uniti iniziarono a svilupparsi ricerche empiriche per rispondere a domande di ricerca specifiche in ambito politico, pubblicitario, informativo e per conto di soggetti pubblici e privati, dando cosí vita alla tradizione delle ricerche «amministrative» sugli effetti dei media, ricerche commissionate per risolvere problemi pratici di aziende e pubblici (es: ideare campagna pubblicitaria, conoscere proprio target, mettere a punto strategie campagna elettorale, ecc). Si scoprì: il pubblico era «piú resistente» di quanto si pensasse e meno malleabile del previsto. Gli approcci dell'ago ipodermico e del proiettile magico erano ormai limitanti; Giunsero alla nascita di due filoni di ricerche amministrative, entrambe riunite sotto il cappello delle «teorie dell'influenza selettiva»: ● da una parte l'approccio empirico-sperimentale-laboratoriale di orientamento psicologico (riassumibile con l'etichetta di «teoria della persuasione»); ● dall'altra l'approccio empirico sul campo con orientamento sociologico («teoria degli effetti limitati»). Entrambi consideravano il pubblico come una comunità dotata di esperienze passate, caratteristiche personali, contesti di fruizione capaci di modulare e regolare differentemente gli effetti dei media. Un approccio ben diverso rispetto all'idea di individuo anonimo, solo e «istintuale» delle precedenti teorie. Nello specifico: l'importanza delle relazioni interpersonali e del contesto di fruizione limitano fortemente gli effetti dei media. Con l'avvento di Internet e dei media interattivi la riflessione sugli effetti dei media e sul potere dei pubblici diede l'avvio a una nuova era. In una prima (lunga) fase: i media interattivi e Internet diedero l’opportunità di una comunicazione piú democratica, orizzontale e a due vie. Questo fece apparire i media digitali meno in grado di manipolare il pubblico. Si pensò che Internet avrebbe avuto effetti positivi sulla società perché si considerava l'ecosistema digitale strutturalmente più libero, democratico, policentrico e quindi in grado di offrire nuove occasioni di partecipazione. Tuttavia, con il tempo emersero posizioni piú preoccupate e critiche, che sottolinearono gli effetti negativi dell'uso di Internet (e dei videogiochi) soprattutto in specifiche fasce d'età piú a rischio (bambini). Ma è in particolare il ruolo delle piattaforme tecnologiche e dei social network a livello sociale che sta negli ultimi anni preoccupando i ricercatori, la politica e l'opinione pubblica. 1. In primo luogo, si sottolinea sempre di piú l'opacità del funzionamento delle piattaforme, che fondano il loro meccanismo e il loro guadagno sullo sfruttamento dei dati personali degli utenti e sul monitoraggio dei loro comportamenti" [Saggio Sorveglianza]. 2. In secondo luogo, è sempre piú discusso il ruolo dei social network e dei media digitali nel creare un'opinione pubblica frammentata, male informata, manipolabile a causa del moltiplicarsi di fake news, disinformazione e bolle informative che tendono a inquinare il contesto mediale e la società nella sua interezza. Infine, molti ritengono che i social media possiedano implicazioni e conseguenze profonde sugli stili di interazione e di socializzazione dei soggetti. Negli ultimi anni è tornato in scena un approccio che considera i mezzi di comunicazione in grado di avere effetti negativi forti sia immediati (gli effetti cognitivi negativi sui minori, l'impatto delle fake news sulle scelte elettorali, da cui siamo partiti), sia a lungo termine (l'emergere di un nuovo modello di capitalismo oligopolistico basato sulla sorveglianza, la crescita del populismo). Dopo decine di anni di teorie che hanno cercato di allontanarsi dalle prime riflessioni pessimistiche sul ruolo e l'impatto negativo dei media nella società (dando fiducia alla capacità delle persone e della società stessa di negoziare i loro messaggi), sembra dunque ritornare un'attenzione marcata sui possibili effetti forti e diretti dei media sugli individui, sui comportamenti dei singoli e su quelli collettivi. Di fronte allo strapotere degli algoritmi, gli individui si riscoprirebbero soli, anonimi, indifesi, cosí come le società si ritroverebbero divise, fragili, in tensione. I prossimi anni (e le prossime ricerche e teorie) confermeranno o smentiranno questa crescente preoccupazione. Saggio 4 Sorveglianza Il tema della sorveglianza è diventato sempre piú rilevante per la riflessione sui media dagli anni Settanta del Novecento a oggi; ed è stata soprattutto la mediologia critica a sviluppare il tema e a produrre il campo specifico dei surveillance studies. 1. Definizioni e rappresentazioni mediali della sorveglianza Al di là dei suoi aspetti intuitivi il termine «sorveglianza» è complesso e insidioso. E’ definibile come «l'insieme di operazioni e di esperienze di raccolta e analisi di dati personali finalizzate a esercitare influenze, diritti e operazioni gestionali». Il cinema ha rappresentato processi di sorveglianza fin dalle sue origini. Per un verso il tema si lega a meccanismi di gestione del potere di tipo securitario, forense, politico, economico. Iil cinema riconosce una stretta affinità tra i propri dispositivi e quelli della sorveglianza: pensiamo a film «meta- cinematografici» come La finestra sul cortile (Alfred Hitchcock, 1954), Blow up (Michelangelo Antonioni, 1966), La conversazione (Francis Ford Coppola, 1974) e molti altri. Questa affinità, tuttavia, sembra entrare in crisi negli ultimi dieci anni circa. Spartiacque è Il caso Snowden. Denuncia da parte della «talpa» Edward Snowden di alcuni programmi di sorveglianza di massa attuati dall'agenzia di sicurezza statunitense NSA, nel 2013. Esso rende pubblico il fatto che la sorveglianza del nuovo millennio non si basa più sull'acquisizione di immagini e di suoni ma sulla cattura e l'analisi automatizzata mediante algoritmi di grandi quantità di dati per renderla più performante. La nuova sorveglianza algoritmica non è visualizzabile se non attraverso metafore e indicatori parziali. Discorso analogo si può fare per il mezzo televisivo: il video viene coinvolto a partire dagli anni Ottanta del Novecento nella diffusione di videocamere prima analogiche e poi digitali sempre piú piccole. lI ruolo della televisione sembrerebbe quello di «gamificare» i dispositivi di sorveglianza, mettendone in luce gli aspetti piú ludici e di intrattenimento all'interno dei vari sottogeneri della «reality Tv»: dai «reality games» come Il grande fratello (dal 1999) dove le videocamere erano accessibili attraverso la rete, possibilitá di selezionare la telecamera a piacimento. Anche per al televisione, d'altra parte, emerge una difficoltà nel rappresentare al sorveglianza algoritmica, come dimostrano casi quali la serie Person of Interest (2011-16) alcuni episodi della serie distopico-mediale Black Mirror, episodio Odio universale (3x6), che insistono su dispositivi e interfacce di cattura di immagini e di visualizzazione di dati, piú che sui meccanismi invisibili della loro elaborazione. Infine, anche il mondo dell'arte e in particolare della media art ha lavorato sulla sorveglianza e sui suoi rapporti con i media: si è parlato a questo proposito di «Artveillance». Per esempio, li filmmaker e videoartista Harun Farocki ha utilizzato spesso nelle sue videoinstallazioni alcune «immagini operative», come per esempio quelle delle telecamere di sorveglianza di un carcere californiano, o quelle delle telecamere montate sulle bombe intelligenti utilizzate dall’esercito americano nella Guerra del Golfo. Ci troviamo evidentemente all'interno di un tipo di sorveglianza ancora (audio)visuale. La sorveglianza si rivela un fenomeno articolato e in alcuni casi un vero e proprio nome-valigia per fenomeni differenti: essa viene esercitata in settori diversi quali la sicurezza interna di uno Stato, la sua difesa militare verso l'esterno, gli ambienti di lavoro, ecc. Inoltre, essa implica processi differenti di raccolta di dati, loro ordinamento e archiviazione, elaborazione, visualizzazione. In alcuni casi la sorveglianza si esercita in ambienti delimitati (per esempio una prigione), in altri casi in ambienti e territori aperti. Infine, in tutti i casi di cui sopra vengono utilizzati strumenti e tecnologie diversi. Possiamo notare l’esistenza di una relazione stretta fra sorveglianza e media. I media non si limitano a mettere in scena la sorveglianza all'interno dei propri racconti: essi scambiano e condividono in buona parte con le tecniche di sorveglianza le stesse tecnologie. Inoltre, attraverso le loro rappresentazioni, contribuiscono in modo determinante a costituire una cultura della sorveglianza che a sua volta ispira o indirizza le pratiche reali. Questo panorama è caratterizzato da un passaggio cruciale: la sorveglianza audiovisuale viene affiancata a partire dall'ultimo decennio del Novecento da una sorveglianza informatica; entrambe sono destinate a rifluire nel corso degli anni Dieci del XXI secolo in una sorveglianza algoritmica. 2. Sorveglianza visuale e sorveglianza informatica. Un punto chiave per la teoria contemporanea è costituito dalla ricerca del filosofo francese Michel Foucault. Alla metà degli anni Settanta del Novecento egli indaga una nuova forma di potere emergente tra il Settecento e l'Ottocento: si tratta di una «microfisica del potere» che agisce sui corpi dei soggetti sociali Il Modello foucaultiano di assoggettamento: saggio di disciplina scopica che delineava i fondamenti per un’indagine del nesso potere/sapere. Il modello foucaultiano di assoggettamento porta a trasformare gli individui in soggetti e a fissarli alla loro identità. Il potere viene legato a una produzione di verità, che equivale alla verità dell’individuo stesso. La tattica piú efficace per perseguire tale strategia è l'internamento dei soggetti di vari tipi di struttura chiusa e separata dalla società (ospedale, manicomio, collegio, caserma, ecc.). Il modello di tali strutture è la prigione e, piú in particolare, il Panopticon immaginato dal filosofo inglese Jeremy Bentham nel 1791: una torretta al centro di una costruzione cilindrica permette di controllare visivamente le celle che si affacciano all'interno del cilindro, o comunque di dare ai reclusi la consapevolezza di essere costantemente osservati. Si tratta di un’architettura carceraria a base circolare che prevede al centro una torre tagliata da larghe finestre; la costruzione periferica è divisa in celle che occupano tutto lo spessore della costruzione. Queste celle prevedono due finestre: una verso l’esterno, che permette alla luce esterna di delineare la silhouette del detenuto, e una finestra interna, corrispondente alla finestra della torre. Vi sono quindi tante gabbie, tanti teatri in cui il detenuto diventa attore ed è perfettamente solo, identificabile. Tali attori modificano il loro atteggiamento in quanto assoggettati ad una visibilità assoluta e continua. Per controllare la mente, è infatti sufficiente che in ogni istante ognuno dei detenuti pensi di essere controllato: si parla di asimmetria scopica. Data la esemplarità di questo apparato, la società disciplinare possiede una strutturazione panottica che arriva fino ai nostri giorni: «La nostra società non è quella dello spettacolo, ma della sorveglianza: sotto la superficie delle immagini, si investono i corpi in profondità». Una quindicina di anni più tardi un altro filosofo, Gilles Deleuze, riprende ed elabora il pensiero di Foucault. Alla società disciplinare descritta da Foucault succede un nuovo modello sociale: società del controllo. La società del controllo modifica i dispositivi di sorveglianza sotto due aspetti: a un regime di reclusione subentra una condizione di apertura e di circolazione dei soggetti sociali all'interno dei territori; soggetti, tuttavia, non cessano di essere osservati e soprattutto vengono ora tracciati e localizzati nei loro spostamenti: alle pratiche visuali della sorveglianza concentrazionaria subentrano infatti le nuove tecnologie informatiche, capaci di assicurare nuove e invisibili forme di sorveglianza in campo aperto. Si parla dunque di ipercomunicazione: le persone sono continuamente esposte e non possiedono più alcuno spazio privato, non esiste più un luogo nel quale rifugiarsi. Ciò porta ad un paradosso della sorveglianza, la quale rappresenta contemporaneamente un mezzo di controllo sociale ed un metodo per assicurare il rispetto dei diritti dei cittadini: chiunque può essere intercettato ed ascoltato. Cresce la preoccupazione relativa alla sicurezza sociale, in quanto i propri dati non vengono più tutelati da alcuna privacy. - NSA (National Security Agency) è capace di registrare due milioni di conversazioni al minuto, isolandole via satellite - Total Information Awareness - Cookies - Acxtiom Corporation di Conway possiede una banca dati contenente le registrazioni dei comportamenti del 95% delle famiglie americane. Si ha bisogno di controllare anche visivamente le persone, perciò aumenta esponenzialmente il numero di telecamere installate in luoghi pubblici, che etichettano come anomalo chi non è in movimento. L’obiettivo è quello di arrivare ad un corpo umano completamente “trasparente” in cui non esistano più informazioni nascoste. Paul Virilio, un geografo e filosofo, sostiene che la connessione tra cinema e visione ricognitiva dall'alto ha avuto origine durante la prima guerra mondiale, diventando poi una strategia globale dopo la seconda guerra mondiale grazie a satelliti-spia, droni e missili-video. Il concetto chiave è quello di una "macchina di visione" o sorveglianza, che utilizza tecnologie ottiche ed elettro-ottiche. Questa macchina di visione, secondo Virilio, è diventata onnipresente nella società, non limitandosi solo all'uso militare. La tecnologia visiva, originariamente sviluppata per fini militari, si è estesa nella società attraverso satelliti, droni e altre tecnologie, diventando una presenza pervasiva nella nostra vita quotidiana.
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