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IL PRIMO NOVECENTO: FUTURISMO, CREPUSOLARISMO, VOCIANESIMO, SVEVO, PIRANDELLO, Sintesi del corso di Italiano

ANALISI DEL PRIMO NOVECENTO DAL PUNTO DI VISTA DEL LETTERATO ANALISI DELLE VARIE CORRENTI SVEVO: VITA, VISIONE DEL MONDO, OPERE (LA COSCIENZA DI ZENO) PIRANDELLO: VITA, VISIONE DEL MONDO, OPERE ( IL FU MATTIA PASCAL)

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 01/10/2019

Anna2.
Anna2. 🇮🇹

4.8

(5)

6 documenti

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Scarica IL PRIMO NOVECENTO: FUTURISMO, CREPUSOLARISMO, VOCIANESIMO, SVEVO, PIRANDELLO e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! IL PRIMO NOVECENO Futurismo, Crepuscolarismo e Vocianesimo. Avanguardia vera e propria è il futurismo. Indicano fermenti che rinnovano profondamente lo stato dell’arte e della letteratura. I crepuscolari e i vociani hanno alcuni aspetti di quella che è l’avanguardia, ma non possono essere definitici come tali. 1. I FUTURISTI Nel ‘Manifesto del Futurismo, pubblicato sul quotidiano parigino ‘Le Figaro’, il 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti, formula il so programma di rivolta contro la cultura del passato e tutti li istituti del sapere tradizionale, proponendo un azzeramento su cui elevare una concezione della vita integralmente rinnovata. I valori sono quelli della velocità, del dinamismo, dello sfrenato attivismo. La realtà moderna ha il mito della machina. Il culto dell’azione violenta ed esasperata respinge ogni forma esistente di organizzazione politica e sindacale, così come rifiuta il socialismo, il femminismo, il parlamentarismo … nel nome di un individualismo assoluto e gratuito, in cui non è difficile trovare una nuova incarnazione del mito del superuomo. Da qui l’adesione all’ideologia che celebra la guerra come igiene del mondo. Anche l’uomo, il cui significato di risolve interamente nell’azione, finisce per ridursi a un essere meccanico e dinamico. I futuristi si disinteressano del tutto della dimensione psicologica, per questo disprezzano i sentimenti nei confronti della donna e dell’amore. Di qui la polemica si estende alla sensibilità romantica e decadente. A essere rifiutata è infatti anche la letteratura che presenta questi valori, che viene vista come una realtà ormai superata. Solo la velocità, considerata alla stregua di un nuovo dio, può contemplare in se tutti i valori spirituali e morali dell’uomo moderno. Sul piano delle soluzioni letterarie il futurismo si propone di colpire le strutture stesse della comunicazione ideologica, costituite dal linguaggio. Il futurismo sostituisce all’impianto logo del pensiero una forma più sintetica e abbracciata, quella dell’analogia. Non più quella proposta dai simbolisti, ma un’analogia che sappia rappresentare l’ossessione lirica della materia, accostando e assimilando realtà diversissime tra di loro (Marinetti porpore il doppio- sostantivo) anche attraverso l’uso di sinestesia e onomatopea. La forma stessa della parola deve suggerire visivamente e concretamente immagini di una dinamicità complessa, per dare una voce autonoma all’infinita relazione fra le cose. Il rifiuto della logica tradizionale porta anche alla distruzione della sintassi, che riflette l’ordine consequenziale di un pensiero concatenato. Viene eliminata anche la punteggiatura tradizionale, con lo scopo di ottenere il fluire continuo delle sensazioni, il comparsi analogico tra i diversi piani del reale. La parola non vale solo come immagine che scaturisce nel lettore, ma anche come segno concretamente visibile, destinato a produrre sensazioni acustiche o tattili. La poetica futurista opera una fusione tra i diversi linguaggi artistico-espressivi, che perdono le caratteristiche della loro separatezza. Questa vicenda è fittamente scandita dal rapido susseguirsi di manifesti e di altri interventi programmatici. Sorto a Milano, che non a caso era la città più moderna e europea d’Italia, il Futurismo si diffuse rapidamente in tutta la penisola e all’estero, assicurandosi numerosissime adesioni. I suoi principali esponenti sono: Paolo Buzzi, Enrico Cavacchioli, Francesco Cangiullo, Luciano Folgore e Bruno Corra. Aderirono anche scrittori provenienti dall’esperienza crepuscolare: Corrado Govoni, Aldo Palazzeschi, Giovanni Papini, Ardengo Soffici. T1 P.25 MANIFESTO DEL FUTURISMO - Filippo Tommaso Marinetti Il manifesto ha un significato soprattutto ideologico in quanto enuncia i principi fondamentali della rivoluzione futurista. Oppone i futuristi a tutta quanta la mentalità del passato, con i suoi valori. La vita è da cecare nel movimento. Il carattere oltranzista del manifesto può spiegare la mancanza di chiarezza sul piano politico. Anche sul piano artistico il manifesto si basa su un chiaro rovesciamento dei canoni tradizionali, ai quali si sostituisce un’’estetica della velocità’. Lo stesso linguaggio tende a risolversi nell’azione, attraverso la concitazione espressiva, lo stile perentorio e nettamente scandito. Il noi con cui è condotto il discorso collega l’appello marinettiano all’autorità del gruppo; quello di una nuova generazione di poeti, definiti simbolicamente ‘incendiarii’. Il programma è presentato per punti e ogni punto si caratterizza per uno stile molto asciutto, sintetico preciso e essenziale. I primi 5 articoli indicano il cambiamento, la rivoluzione proposta da questi intellettuali, l’idea dell’audacia. Sono elementi che diventano strumenti per spazzare via il passato: ci deve essere un rinnovamento completo. Al punto 4 l’ideale di bellezza classico presentato dalla Nike di Samotracia viene sostituito dall’automobile. (Un automobile è scritto al maschile perché inizialmente il sostantivo era maschile.) La necessità che l’arte deve andare a incarnare è la bellezza dei nuovi materiali (metallo, acciaio, ero ferro… ), della velocità … si insiste su nuove figure della modernità. Forse che sì forse che no è influenza dal manifesto del futurismo. L’uomo ideale è quello che tiene il volante, quello che non ha paura di sfidare la modernità e il pericolo. Il poeta deve essere un uomo ardito (molti termini saranno quelli tipici del fascismo). Deve vivere a pieno la vita, riprende il vitalismo di D’Annunzio. L’entusiasmo per tutto ciò che è vita. La bellezza sta nella lotta: un’opera d’arte per essere bella deve essere aggressiva, quindi rifiutare quello che c’è stato prima. Il punto 8: questi ideali vanno oltre la concezione del tempo e dello spazio e proiettano i futuristi nell’assoluto. Si tratta degli sessi anni in cui Einstain sta progettando la propria teoria. Punto 9: aperto sostegno all’interventismo. Ideologia facilmente asserve al fascismo. L’ideale è nell’uomo ardito ed energico, non nella donna. Punto 10: distruggere la tradizione e il vecchio (musei, biblioteche, accademie). Punto 11: un elenco di ciò che viene cantato dai futuristi. Non si tratta di qualcosa di contraddittorio per il futurismo l’esaltazione delle folle, ma la folla risulta essere incarnazione dell’energia che loro esaltano. Diventano luoghi tipici del futurismo quelli in cui si lavora: ad esempio i luoghi illuminati, le stazioni, le officine, i ponti. Si tratta di elementi della modernità. Già Carducci scrive un inno a Satana in cui esalta il treno. Si tratta di un’esaltazione alla modernità. Generalmente il nuovo spaventa, ma Carducci nonostante classicista riconobbe la necessità di aprirsi al nuovo elogiando il moderno. È pubblicato in Francia ma i firmatari sono italiani. Si tratta di un manifesto di violenza incendiaria. Si distrugge con lo schiaffo il pugno e l’incendio. Il poeta è incendiario: brucia ciò che è vecchio. Il vecchio in campo culturale: archeologi, professori, ciceroni. L’invito di distruzione è rivolto a tutto il mondo. A questo manifesto seguirono manifesti specifici. T2 P.28 MANIFESTO TECNICO DELLA LETTERATURA FUTURISTA - Filippo Tommaso Marinetti Enuncia da un punto di vista tecnico i procedimenti su cui intende basarsi la nuova letteratura futurista. Il ‘grande zero’ dal quale partire ha come presupposto la distruzione della sintassi. Da qui delle soluzioni alternative: - l’uso del verbo all’infinito - l’eliminazione dell’aggettivo e dell’avverbio: il sostantivo esalta la consistenza materiale delle cose - i segni matematici al posto dell’interpunzione C’è un forte uso dell’analogia. La sua definizione come ‘sostantivo-doppio’ è resa ancora più sintetica dalla scomparsa del primo termine di riferimento, che lascia sussistere una sola parola essenziale. Dalla distruzione della sintassi si giunge a teorizzare ‘le parole in libertà’, che rendono possibile l’immaginazione senza fili. All’ordine tradizionale si contrappone un massimo disordine, fino alla proclamazione di una vera e propria ‘estetica del brutto’. All’intelligenza viene sostituita la ‘divina intuizione’ per aprire nuovi spazi alle possibilità della conoscenza. Marinetti non vuole dare peso all psicologia dell’uomo, ma alla realtà della materia, nelle sue risonanze profonde. Si propone di distruggere la sintassi disponendo sostantivi a caso. Viene meno ogni logicità. I futuristi partono dal verso libero: uno scritto manifesta la volontà di accogliere il verso libero ‘Uccidiamo il chiaro di luna’ del 1909. Tre anni dopo si è già andati molto in là: dalla libertà del verso libero alla libertà assoluta. Si arriverà poi al paro-liberismo. Si vede usare il verso all’infinito. Ogni sostantivo deve aver legato con un trattino il corrispondente per analogia (libera associazione). Abolire anche la punteggiatura sostituita da segni matematici o musicali. Il futurismo sole distruggere l’io cioè tutta la psicologia. Il futurismo importante nell’ambito della cinematografia. LA LIRICA DEL PRIMO NOVECENTO IN ITALIA Esprime una profonda esigenza di rinnovamento in seguito alla crisi della cultura positivista e all’esaurirsi delle forme della letteratura tradizionale. Il romanzo diventa un genere poco praticato. Alla prosa narrativa i giovani scrittori preferiscono la prosa lirica, che si ispira ai poemetti in prosa già coltivati da Bodelaire e dai simbolisti. Da qui la pratica del frammento: composizione breve e intensa, che cerca di suggerire impressioni simili a quelle della poesia. Le soluzioni decadenti fanno risentire l’importanza della soggettività del poeta e della condizione esistenziale dell’uomo contemporaneo, nel difficile e sofferto rapporto della realtà che lo circonda. Anche le rime e le forme chiuse della metrica tradizionale vengono via via contestate e rifiutate, sia da chi le corrode dall’interno, sia da chi fa uso del verso libero (che sarà una costante nella lirica del Novecento). che rivela le sue paure infantili e il desiderio di soffrire, quasi la tentazione di annullare la propria personalità nella solitudine. Il poeta è un piccolo dolce bambino dimenticato da tutti. C’è una sorta di masochismo: ‘desiderai… angolo oscuro’. Settima strofa. L’amore per la vita semplice delle cose può essere minacciato dalla precarietà in cui queste si trovano a esistere, in un trascorrere del tempo che le consuma e le risucchia verso la morte. Il motivo della malattia si riferisce non solo a una condizione autobiografica, ma diviene la cifra di un’intera dimensione esistenziale. Fisicamente è malato, ma si tratta soprattuto di una malattia spirituale. È una condizione che si trova nella ‘Coscienza di Zeno’. Il poeta è inserito nel meccanismo della banalità quotidiana: come tutto muore anche lui muore. Lui sa che per essere chiamati poeti non bisogna avere una vita banale come la sua. Ottava strofa. Trasferisce alla vita le caratteristiche della morte. Vivere significa morire. Per questo Corazzini non può essere definito poeta, per essere considerato tale conviene vive bene la vita. l’ultimo verso conferisce l’intonazione e il significato di una preghiera. Il verso libero si dispone secondo i modi di una confessione, in senso religioso-esistenziale, la comunione tra l’io del poeta e il tu dell’interlocutore ne imprime il tono di un colloquio intimo e sommesso. L’andamento è prosastico, con uso di parole semplici e comuni. GUIDO GOZZANO Nato a Torino nel 1883 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, senza portare a termine gli studi. Preferisce frequentare lettere. Tra gli studenti egli acquisisce presto una posizione di rilievo, fino a divenire il più rappresentativo fra i giovani scrittori torinesi. Si forma su Dante, Petrarca e anche su scrittori contemporanei. Nel 1907 esce la prima raccolta in versi ‘La via del rifugio’, seguita dai ‘Colloqui’ del 1911. L’accettazione di un’ esistenza senza avvenimenti di rilievo è accompagnata dall’ironia. In questi stessi anni intrattiene un difficile e sofferto legame sentimentale con Amalia Guglielminetti, poesia di gusto dannunziano e autrice di racconti di successo. Di questo tormentato rapporto è testimone il carteggio ‘Lettere d’amore’ pubblicato postumo nel 1951. Colpito dalla tubercolosi muore a Torino nel 1916. Per trovare sollievo al suo male aveva intrapreso, nel 1912, un viaggio in India, attratto anche dalle religioni orientali. Da lì invia una serie di articoli al quotidiano ‘La Stampa’. Queste corrispondenze verrano raccolte postume nel volume ‘Verso la cuna del mondo’, nel 1917. Anche per sopperire alle esigenze economiche aveva avviato una collaborazione con quotidiani e riviste, di cui le recensioni e le novelle furono raccolte postume nei volumi ‘L’altare del passato’, del 1918 e ‘L’ultima traccia’ del 1919. Mentre gli scritti di rievocazioni storiche e le cronache dell’esportazione torinese del 1911 furono raccolte nei volumi ‘I due talismani’ del 1914 e ‘La principessa si sposa del 1917. Pur essendo esperienze occasionali, mostrano la tendenza di Gozzano ad allontanare e a rimuovere il rapporto con la realtà. Anche la storia si svuota di ogni contenuto e finisce per risolversi in una complessa metafora della morte, mentre il presente gli appare come ‘il regno del non essere più, del non essere ancora’ (‘Torino d’altri tempi’). La raccolta ‘I Colloqui’ ha una struttura omogenea e compatta. Il titolo è lo stesso dei componimenti con cui si apre e si chiude l’opera. Quello iniziale introduce il tema della giovinezza che già vecchiaia, sul motivo del rimpianto. Si tratta di una vita che il poeta non è stato in grado di vivere e che altri ha vissuto per lui. La condizione è divisa in tre sezioni: - Il giovanile errore. ’Le due strade’ colgono attraverso il motivo petrartesco dello scorrere del tempo, il contrasto simbolico tra giovinezza e maturità, tra il sorgere e lo sfiorire delle illusioni, cercando invano una speranza di salvezza. ‘L’elogio degli amori ancillari’ parodica l’immagine dantesca della donna fatale, mentre ‘L’invernale’ esclude la possibilità di rivestire i panni del superuomo e scopre l’angoscia della morte. ‘L’assenza’ esprime la nostalgia per il distacco della madre. ‘Concito’ sottolinea l’inutile unzione della memoria e l’impossibilità per un’amore di restituire la fiducia nella vita. - Alle soglie. ‘Colloquio’ affronta il motivo della malattia. ‘Paolo e Virginia’ si propone di rivivere la vicenda pura e innocente degli amanti del romanzo sentimentale, ma il tentativo di immedesimarsi in Paolo fallisce per l’aridità del poeta. Lo stesso carattere si riscontra in ‘La Signorina Felicità’ e ‘L’amica di nonnaSperanza’ in cui l’attrazione per una provinciale quasi brutta e la fuga a ritroso negli anni del passato risorgimentale, ribadiscono l’alienazione dell’autore, l’impossibilità di sfuggire alla negatività del presente. ‘Cocotte’, il ricordo di una cattiva fanciullina premette all’ignaro fanciullo l’evasione fantastica, che si oppone al grigiore della vita familiare. - Il reduce. Riflette l’animo di chi si rassegna alla vita sorridendo. Il senso dell’estraneità appare irrigidito e fissato in una situazione temporale, come risulta da ‘Totò Merumeno’, degradazione dell’eroe e trasparente controfigura del poeta. L’ultima lirica ‘I Colloqui’, riassumendo le motivazioni dell’intera opera, conclude il carattere emblematico della confessione nel segno di una persistente e definitiva lacerazione. Il poema ‘Le Farfalle’ o ‘Epistole entomologiche’ mira alla proiezione di un itinerario spirituale, nella metamorfosi che trasforma l’insetto da bruco a farfalla. Cercando nella natura la vita dello Spirito, attraverso il simbolo della farfalla, Gozzano offre anche un ultimo e sommesso tributo alla poesia, alla sua delicata inutilità rispetto alla violenza della storia. T3 P.94 TOTO’ MERUMENO - Guido Cozzano La poesia viene scritta per divertire se stesso, per auto ironizzarsi: è la scelta di Gozzano. La metrica è tradizionale. Modifica il titolo della commedia di Terenzio. Spesso riprende espressioni classiche e le inserisce in un contesto on cui non hanno niente a che fare. Totò è il personaggio, l’artista crepuscolare. è l’artista che non ha più nulla a che vedere con l’artista dannunziano. Il titolo significa il ‘punitore di se stesso’. Questo esempio era già stato usato da Bodelaire. I- Descrizione del luogo in cui viene il personaggio che viene introdotto nel verso 15. Si tratta di una villa nobiliare in decadenza. Tipico ambiente crepuscolare: giardino incolto, l’era ha invaso i bei balconi della villa barocca. La villa sembra la villa di una poesia di Gozzano: si tratta di autostazione ironica. Si trova in una poesia dedicata alla Signorina felicita. Si tratta di una signorina che abita una casa famigliare, che ha perso il proprio decoro e è passata nelle mani della borghesia. La borghesia non ha gusto, quindi la villa ha perso quella che è la sua eleganza. Si tratta di gente ricca che non ha gusto e spende per mettere in casa cose chic. Sembra la villa tipo che serve a far capire cosa si intende per villa (come la raffigurazione utile al bambino che si trova nel libro di lettura delle elementari). È una villa triste in cui un tempo si facevano feste e banchetti illustri e si danzava. Il salone è stato spogliato dai mobili da parte degli antiquari. Si tratta di una vita triste, desolata che ha perso ogni suo splendore, ricchezza. Un tempo la casa era frequenta dalle nobili famiglie piemontesi, ora arriva l’automobile. l’automobile è il simbolo della borghesia contemporanea. C’è il contrasto tra i forestieri, i visitatori che bussano per farsi aprire alla gorgonie (rappresentazione sull’anello del portone). C’è stridore tra la modernità dei visitatori e l’antichità della casa. Al verso 13 è evidente come l’andamento sia posastico. La casa è come una caserma o un chiostro in cui c’è silenzio. e anche lui comunica con il silenzio perché vive nel silenzio (si chiude in questo luogo chiuso e isolato dalla vera vita che sta fuori dalla casa). La casa è abitata anche dalla madre (malata), la prozia (anziana) e lo zio (fuori di testa): con loro ha legami di sangue, ma non ha rapporti. Inoltre il protagonista ha 25 anni ed è costretto a vivere con persone malate e vecchie e si trova completamente isolato dalla società. II- Le caratteristiche del protagonista lo mostrano come un esempio di artista del primo novecento. Anziché svolgerà una professione tipicamente borghese quale l’avvocatura o il giornalismo ha scelto l’esilio. L’esilio gli ha dato la libertà. È presente il fenomeno dello stanziamento: usa testi eccezionali e li inserisce in un opera che di eccezionale non ha nulla. La sua cultura la impiega in attività che hanno poco di colto. In questo periodo in Piemonte c’è un forte flusso emigratorio verso l’argentina. Non è cattivo, è il buio che Nietzsche derideva. Non è buono perché di natura buona, ma perché non ha la forza per essere cattivo: si tratta della forza dell’inetto. (Come i protagonisti della ‘Coscienza di Zeno’ o ‘Il fu Mattia Pascal’) L’inetto è colui che non ha la forza per reagire, che non ha gli strumenti per vivere. I suoi compagni o sono anziani malati o animali. Tre sono i conviventi umani, tre sono conviventi animali. Posti in modo tale che si crei un parallelismo tripartito. III- Tutti i suoi sogni furono vani. Come la ricerca dell’Amore. Gi esempi vengono ripresi da D’Annunzio: si tratta degli amori che i ragazzi sognano. L’amore che ha sempre cantato si riduce a qualcosa di micro e sciatto e si riduce a un semplice atto sessuale. L’atto è meccanico e indica l’aridità della situazione. L’uomo sembra totalmente passivo durante l’atto. L’amore, le grandi cose della vita non lo toccano. È arida la vita di Totò. IV- Sentire nel senso latino: provare emozioni. È privo della capacità di sentire perché è stato inaridito dall’analisi e dal sofisma. La ragione ha inaridito i suoi sentimenti. Ha tolto le illusioni e le speranze. La ragione viene vista come un dono funesto. Il poeta risulta essere completamente rinsecchito,, come ciò che prende fuoco. Ma come l’edificio che ha già sperimentato il fuoco, con il tempo produce qualcosa, allo stesso tempo l’anima di Totò riesce a tirar fuori ancora qualcosa che ha a che fare con il sentimento: versi consolatori. La poesia dei crepuscolari sono esili versi consolatori. V- alterna l’indagine e la rima, ha raggiunto un equilibrio. Ora indaga scientificamente la realtà ora si lascia andare al sentimento. Toto chiuso in se stesso continua a riflettere, esplora, amplia la propria conoscenza e arriva a capire quello che prima non capiva, ovvero la vita dello spirito. È l’unica consolazione che l’uomo ha. Totò è del tutto isolato ma continua a meditare e scrivere, perché la voce è poca, l’ispirazione poetica è poca e la poesia è immensa. La sua vita è caratterizzata dall’inettitudine: aspetta che trascorra il giorno finché non arriverà l’ultimo. In Corrazzini avevamo una poesia consolatoria perché sfogo della sofferenza, qui è consolatoria perché auto-ironica. MARINO MORETTI Nato a Cesenatico nel 1885, non condusse a termine gli studi. A Firenze divenne amico di Palazzeschi, entrando poi in contato con altri poeti crepuscolari. Dopo essere stato tra i firmatari del manifesto antifascista di Benedetto Croce, condusse una vita schiava e appartata, collaborando intensamente al ‘Corriere della Sera’. Morì a Cesenatico nel 1979. La sua attività iniziale è rivolta alla poesia. La prima raccolta ‘Fraternità’, del 1905, è dedicata al fratello morto e alla madre piangente, l’atmosfera dominante è quella pascolano. Dopo i poemetti ‘Serenata delle zanzare’, del 1908, le ‘Poesie scritte con il lapis’ introducono gli ambienti e le figure tipiche del crepuscolarismo morettiano. Signorine appassite e chiusi ambienti di provincia, il grigiore e la noia quotidiana, sogno di un’ansia e di un’insoddisfazione represse, i cani randagi e gli organetti di Barberia, il senso dell’inutilità della vita cui corrisponde un linguaggio monotono e uniforme basato sulle ripetizione e sulle riprese, il mondo infantile, regressivo dei banchi e dei compagni di scuola. non mancano tuttavia momenti ironici. La situazione di fondo non muta nelle ‘Poesie di tutti i giorni’, del 1911, che si apre con ‘L’ode al lapis’, che insiste sul motivo dei luoghi chiusi sottratti al trascorre del tempo. ‘Il giardino dei frutti’, del 1916, conclude il discorso poetico accentuandone le componenti critiche. Nel medesimo anno avviene l’esordio di Moretti come romanziere, con ‘Il sole del sabato’, cui seguiranno ‘Guenda’, del 1918, ‘La voce di Dio’, del 1920, ’Nè bella, né brutta’, del 1921, ‘I puri di cuore’, del 1923, ‘Il segno della croce, del 1926, ’L’Andreana’, del 1935, ‘I coniugi Allori, del 1946, ‘La camera degli sposi’ del 1958. Ambientate in un mondo piccolo-borghese, queste opere ne riflettono l’ideologia dominante, ma ne colgono anche la crudeltà e le storture. Ancora più numerose dal 1907 al 1956 le raccolte di novelle. Da segnalare infine i libri di memorie come ‘Mia madre’, del 1923, ‘Laura’, del 1931, ‘Scrivere non è necessario’, del 1937, ‘I grilli di Pazzo Pazzi’, del 1951. Negli ultimi anni torna alla poesia, ripresa nei nuovi modi in un distacco ironico e sentenzioso con ‘L’ultima estate’, del 1969, ‘Tre anni e un girono’, del 1971, ‘le poveracce’, del 1973, ‘Diario senza le date’, del 1974,. L’atteggimento irriverente raggiunge i suoi risultati più significativi, per la libertà delle forme e dei toni con cui l’autore ha saputo esprimere umori e avversioni, risentimenti e predilezioni. La sua prosa poetica si esprime attraverso un diario poetico. Un diario a notazioni insieme scontrose e sincere, sottilmente ambigue nel comporre le tessere di un gioco che mescola verità e finzione, semplicità e paradosso. T.5 P.100 A CESENA, da Il giardino dei frutti - Marino Moretti Usa una rima particolare, usa le terzine, ma se non facessimo caso al fatto che è scritta i versi, ascoltandola sembrerebbe una prosa. Si tratta di un chiaro esempio della bassezza dei crepuscolari che danno l’andamento della prosa alla poesia. Inoltre basso è pure il contenuto: la sorella essendosi sposata ha abbandonato la casa famigliare e parla dei suoi problemi che sono però problemi di poco conto o comunque quotidiani. Il primo verso ‘Piove. È mercoledì. Sono a Cesena.’ Risulta nettamente diviso in tre brevi segmenti, che, isolati dal punto, colgono notazioni distinte: climatiche, cronologiche e geografiche. Si tratta di notazioni brevissime spoglie ed essenziali. La sua tristezza corrisponde per antitesi al sorriso della sorella sposa, che cerca di offrire l’immagine tranquillizzante di una felicità solo apparente. Il poeta sembra mosso da gelosi e quasi da rancore , che lo indice a spiare la realtà con occhi sospettosi. Di fronte al suo sguardo l’idillio famigliare si altera e rivela crepe nascoste, sottolineate da un profondo senso di avversione e estranei che prova nei confronti della nuova famiglia. Il vocativo mamma attribuito alla suocera aumenta il senso di falsità e ipocrisia, come in una recita. Il mondo delle convenzioni domestiche e famigliari diventa così una specie di prigione. Il corrispettivo simbolico di questa situazione è costituito dal motivo della pioggia, che percorre l’intero componimento, come una sort di contrappunto strategico (vv. 1,8,22,37,42,50). Essa scandisce il grigiore e la crudele monotonia dell’esistenza. L’andamento è prosastico. Il discorso appare spezzato e ritardato, come se il poeta procedesse lentamente e a fatica. All’effetto contribuiscono le riprese. Analoga è la funzione dell’anafora. Il verbo Parli allude conversione al cristianesimo. La raccolta è intitolata ‘Frammenti lirici’, che indica come ci troviamo ampiamente nel frammentismo. Si tratta di versi liberi. T6 P.106 O PIOGGIA FEROCE, dai Frammenti lirici - Clemente Rebora La pioggia è definita feroce, ossia crudele e implacabile. Il significato spirituale e religioso dell’acqua, come purificazione agisce qui con particolare intensità e violenza, con un accanimento proporzionale alle ‘lordure e menzogne’ della vita cittadina. Il sole riesce a far brillare anche le cose più turpi, esaltando le apparenze superficiali, che nascondono le colpe, mentre la pioggia penetra dentro alle cose e le scarnifica, mettendo a nudo le finte virtù e la miseria di un’esistenza falsa e artificiale. La visione del mondo di Rebora è acre e impietosa. Essa si esprime attraverso un linguaggio crudo e risentito e le azioni umane sono rappresentata nei contorni più duri. Ci sono parole con connotazione moralistica incisiva, in senso negativo: lordure, impure, rughe, rogne, pattume.… Sono parole dal suono capo e stridente che già Date aveva utilizzato. Queste caratteristiche foniche e semantiche riguardano anche le forme verbali: scarnifichi, rodi, spazzi, sgrumando…. gli effetti dell’allitterazione sono potenziati dalle riprese, dalle rime e dalle assonanze. La scelta è di un ‘plurilinguismo’ che accoglie anche gli aspetti più sgradevoli del reale e che sottolinea i particolari di situazioni sgradevoli e urtanti. La dura polemica del poeta riguarda le false apparenze e le finzioni superficiali, che coprono meschinità e falsità, mentre la sostanza delle cose deve essere cercata al di sotto delle convenzioni e dei giudizi comuni. La pioggia, con il suo ruolo implacabile, mette a nudo le colpe e i mali dell’umanità, in un mondo atterrito e sconvolto. Il tono moralistico è molto più forte, questo è proprio simile a Pesio. La critica è molto dura, molto forte. Si tratta di un’invocazione alla pioggia che viene detta feroce e viene invocata nella sua funzione purificatrice del male. È una delle tante funzioni dell’acqua anche nelle immagini religiose. Si tratta di una pioggia feroce, che indica la nerezza con cui deve arrivare nelle città del primo novecento. Sui selciati produce ciò che c’è sporco. Lordura è un termine espressionista sia per il suono sia per l’immagine. Nelle anime che sono impure (moralismo) lava via la falsità. Questa pioggia ha un alto ruolo che è quello di scarnificare le rughe dei selciati e le rogne dei morti viventi. Scarnificare: grattava la carne dalle ossa; le rughe, le rogne: le piaghe che si creano nella pelle, morti viventi: esseri umani. Deve arrivare con la sua violenza a grattava lo sporco dalle strade e dagli uomini le rogne. Si tratta di un periodo nominale. Introduce una temporale in cui l’immagine del sole è in antitesi con la pioggia. Quando c’è il sole la sporcizia non si vede. Il sole fa splendere tutto e in questo modo lo sporco si maschera. caratteristica espressionista è anche quella di non usare l’articolo, l’espressionismo ha qualcosa del futurismo, si tratta infatti degli stessi anni. Similoro: quello che sembra oro ma non è. Nella vita comune non viviamo l’apparenza, la falsità e si riempiono i vuoti rimorsi (placati dalla falsità). La falsità viene meno sparendo il sole e arrivando i nuvoloni e la pioggia. La verità viene svelata e la reazione dell’uomo è un’oscura meravigli (essere meravigliati da qualcosa di negativo) e un terrore di profezia. Striglia: spazzola con i denti di ferro che serve per strigliare i cavalli. La striglia viene messo in mano alla pioggia che deve grattare via la sporcizia. Anche il termine rodi è forte. Va a grattare via i magagni degli uomini: il baratto e la sporcizia. (Lo stile e l’idea del rinnovatore morale che è il Veltro, dovrebbe ricordare l’immagine dell’inferno di Dante; anche l’immagine del baratto dovrebbe ricordare Dante; anche lo stile ricorda lo stile di tanti passi dell’inferno come ad esempio di Cerbero, dei Golosi). C’è la necessità che l’uomo si purifichi. Le tre possibili condizioni dell’uomo peccatore, carico di vizi nel momento in cui la pioggia arriva e lo striglia: annaspare nella memoria, si rimescola negli altri rifiuta, finisce nel rigolo di spurghi dove scendo la pioggia che ha portato via la sporcizia. Non è facile l’immediatezza, perché bisogna sempre leggere al disotto dell’immagine letterale per andare a interpretare. Definizione della pioggia: fredda amazzone implicata. Noi: sono i diversi da quelli appena spigliati, si tratta degli uomini che vivono per i veri valori. Per loro la pioggia scende invocata perché fa trionfare il bene. Per noi che percepiamo queso mistero insolubile (esistenza) nel momento in cui la vita si sdraia tra le cose. Bisogna leggera l’allegoria. Altro mito in cui leggiamo il mistero assoluto è mentre l’eternità, attraverso un marito di prove - la nostra vita-, ci appare come una spontanea essenza del vero: attraverso la sofferenza della già cogliamo l’eternità. Questa pioggia fa due azioni per i buoni (v.29-32). Lava è ora una preghiera. Anche i buoni devo essere spazzati, lavati… chi non ha voluto stare insieme, far fortuna, tra coloro che barano nel mondo (potrebbero essere coloro che non vogliono vedere). Sfibrando e lugubre. Togliendo il male e le finzioni e le illusioni verrà finalmente messa in luce la verità, i veri valori. Tali veri valori sono quelli spirituali. Non sono i beni vani, quelli che si vendono sei comprano, ma quelli che splendono di luce divina. CAMILLO SBARBARO Nato a Santa Margherita Ligure nel 1888, condusse un’esistenza schiava e appartata. Interrotti gli studi trovò impiego presso industrie siderurgiche di Savona e di Genova. Dopo aver saltuariamente collaborato con la ‘Voce’, partecipò, senza entusiasmo, alla Prima Guerra Mondiale. La prima raccolta in versi ‘Resine’ fu pubblicata nel 1911. Sbarabaro si stacca decisamente da D’Annunzio, degradandone la materia del sublime ed eroica ad n livello basso e concreto, uniformemente prosaico. Nel paesaggio ligure identifica il senso di un’aridità destinata a divenire materiale della sua maggiore raccolta poetica ‘Pianissimo’ uscita nel 1911 presso ‘Voce’. Non a caso uno dei motivi dominanti è il deserto che traduce l’estraneità nei confronti di un mondo privo di speranza. Barbaro presenta così la città moderna com luogo della solitudine e dell’alienazione. Da questo carcere è impossibile evadere. Neppure l’infanzia e la natura rappresentano i momenti di un rifugio consolatorio , come risulta da ‘Rimanenze’ del 1918-1921, anche il ricordo della donna, nei ‘Versi a Dina’ del 1931-32, non riesce a ricomporsi nella realtà del presente. Anche le raccolte autobiografiche e lirico-narrative hanno un carattere frammentario e sofferto. T8 P.112 TACI, ANIMA STANCA DI GODERE in Pianissimo - Camillo Sbarbaro L’opera è stata pubblicata nel 1914 . Si tratta di una poesia in versi liberi. (Scheda sulla forma metrica, che raccoglie la storia di come si arriva in Italia al verso libero). In questa poesia il poeta stabilisce una sorta di colloquio interiore con la priora anima, individuandola nel silenzio. L’anima è in preda alla stanchezza che si configura come rassegnazione.‘Taci anima stanca’ ricorda ‘A se stesso’. Se l’anima è stanca, non devi invitarla a tacere, è già muta, quindi taci non è propriamente un invito all’anima a star zitta, ma un’affermazione che prende atto del silenzio dell’anima. Si tratta di un anima completamente vuota di ciò che invece dovrebbe costituirla: sensazioni e emozioni. Il cuore di Leopardi veniva invitato a smettere di battere, ma almeno provava qualcosa. Quindi la condizione del cuore di Leopardi è migliore di quella dell’anima di Sbarbaro. Le voci sono i sentimenti. Le emozioni che Sbarbaro non prova, sono invece presenti in Leopardi. La speranza (anche se lo abbandona nell’ultima poesia), il tedio, l’ira, lo sdegno sono presenti in Leopardi, mentre in quest’anima i sentimenti sono completamente annullati. Al verso 8 il come apre un mondo, apre l’attesa alla risposta. Non solo l’anima è svuotata ma lo è anche il corpo. Rassegnazione disperata è un’ossimoro, è disperata perché ha perso ogni speranza, ma anche perché atroce. Si trova in una condizione tale che il poeta, colloquiando pianissimo, le dice che se anche morissero non cambierebbe niente. A questo punto la vita diventa simile alla morte, ne ci sarebbe da stupirsi se le funzioni vitali si arrestassero e venissero meno. Sospeso se è un’anastrofe. Il cuore si ferma e non si respira più: sono i due segni della morte. Il poeta non si stupirebbe della morte, ma in realtà lui e l’anima camminano. Infatti l’esistenza continua, anche se in questa sua dimensione che è paradossalmente priva di vita. Il vero indica nn solo la monotona ripetitività delle azioni quotidiane, ma anche lo sforzo affannoso necessario per compierle, tanto che l’anima e il poeta vengono presentati come sonnambuli. L’uomo è una sorta di essere incosciente, che si limita a produrre i gesti meccanici di un automa. Si tratta di un uomo alienato che si muove come se fosse uno zombie in una realtà che non è più sua, con cui non ha alcun contatto.La figura del personaggio zombie in una città deformata e deformante è tratto tipico dell’espressionismo, che ricordano le opere di Eliot. Tuttavia lo stile non ha nulla a che vedere con l’espressionismo, ma è simile a quello di leopardi (Sbarbaro è l’anello tra Leopardi e Montale). all’automatismo dei gesti umani corrisponde l’immobilità quasi spettrale di un mondo fissato in contorni irrigiditi, per cogliere l’assenza di vita che investe anche le cose il poeta fa ricorso alla figura della tautologia (spiegare un concetto con il concetto stesso): le case sono case, gli alberi sono alberi… con essa muore il simbolismo. Sono morte le relazioni tra uomo e natura, perché l’uomo è completamente estraniato dalla natura. L’uomo non capisce la natura. Vengono meno le correspondances. Ne le gioie ne i dolori non interessano più l’uomo, questo riprende l’inizio: stanca di godere e di soffrire. Nella sirena potremmo vedere o l’animale mitologico o lo strumento che amplifica il rumore. In un caso o nell’altro si può leggere la poesia, che in questa realtà non ha più niente da dire. Un uomo in tali condizioni non ha più niente da trasmettere attraverso la poesia. Il mondo è un grande deserto, ma anche l’uomo è un deserto. Quindi se c’è un legame è solo nell’aridità. Io guardo negli asciutti occhi me stesso: è la figura dell’alienato che l’unica cosa che può fare è guardarsi da fuori, come fece il ‘Fu Mattia Pascal’ che vive una non vita. Vengono meno anche le lacrime perché non c’è più nemmeno sofferenza. È venuto meno tutto. Lo stile ricorda molto il procedere dell’endecasillabo di Leopardi: per la maggior parte sono endecasillabi sciolti, ci sono settenari e tra il settimo e l’ottavo verso se li accostassimo si ricreerebbe l’endecasillabo. Invece, camminiamo, camminiamo, sonnambuli: la ripetizione di alcuni accostamenti come mb n e m rallenta fortemente il ritmo. È il procedere lento di un uomo che si trova in un mondo visto come non suo. C’è l’idea che la campagna sia l’ambiente salutare e la città l’ambiente degradato e ciò si vede anche nel ‘Fu Mattia Pascal’. Il quadro del ROMANZO NEL PRIMO NOVECENTO IN ITALIA. Tenendo conto dei cambiamenti che il romanzo subisce nella sua evoluzione tra ottocento e novecento. Ottocento: parte dal romanzo storico con i Promessi Sposi, poi romanzo realista con Madame Bovarie, verso la fine il romanzo decadente Il giocatore. Il romanzo decadente è presentato anche da Il Piacere. Il romanzo del primo novecento è un romanzo di attenzione psicologia, sulla psiche umana. I fondamentali elementi he determinano questo cambiamento sono prettamente scientifici. Ci sono tre fatti: a teoria della relatività, la teoria quantistica, la psicanalisi di Freud. Sono gli lenenti che uniti al progresso tecnologico (velocità, automobile, aereo, treno, telegrafo, telefono…) che influiranno sulla struttura e sul personaggio. L’ambito burocratico influisce sul personaggio. Bisogna anche tenetele conto della guerra, del primo conflitto mondiale. ITALO SVEVO 1. La vita Italo vero è lo pseudonimo letterario di Aron Hector Schmitz. Egli nacque il 19 dicembre 1861 a Trieste, allora territorio dell’impero Asburgico, da un’agiata famiglia borghese. Il padre, Francesco, era figlio di un funzionario imperiale austriaco di origine ebraica, la madre, Allegra Moravia, era anch’essa di famiglia ebraica. Gli studi furono indirizzati verso la carriera commerciale. Nel 1873 con i fratelli Adolfo e Elio, fu mandato in collegio in Germania, a Segnitz, dove studiò materie utili per quel tipo di attività e si impadronì perfettamente del tedesco. Contemporaneamente si dedicò alle letture di scrittori tedeschi: Goethe, Shiller, Heine, Jean Paul. Nel 1878 tornò a Trieste e si iscrisse all’Istituto Superiore per il Commercio ‘Pasquale Revoltella’, frequentandolo per due anni. La sua aspirazione era però di divenire scrittore. A partire dal 1880 collaborò al giornale triestino ‘L’Indipendente’, di orientamento liberal-nazionale e irredentista, firmando con lo pseudonimo E. Samigli. Nel 1880 inseguito a un investimento industriale sbagliato il padre fallì: Svevo conobbe l’esperienza della declamazione. Si impiegò presso la filiale triestina della Banca Union di Vienna. Il lavoro era per lui arido e opprimente, per cui cercava evasione nella letteratura. Si dedicò alle sue prime opere narrative, progettando il suo primo romanzo ‘Una vita’ che pubblicherà nel 1892, con lo pseudonimo Italo Svevo. Nel 1895 morì la madre, a cui lo scrittore era molto legato. Nel capezzale incontrò una cugina molto più giovane di lui, Livia Veneziani, e se ne innamorò. Si fidanzarono. Le nozze furono celebrate nel 1896 e l’anno successivo nacque la figlia Letizia. Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella vita di Italo Svevo: sul piano psicologico trovava un sostegno su cui poggiare e poteva arrivare a coincidere con la figura del pater familias, che era parsa irraggiungibile; mutava la sua condizione sociale, entrò a far parte della ditta dei suoceri ( facoltosi industriali, proprietari di una fabbrica di vernici antiruggine per navi, che era ben inserita nel mercato internazionale). Da intellettuale si trasformò a dirigente d’industria. I suoi orizzonti si allargarono a dimensioni internazionale, perché dovette compiere viaggi di lavoro che lo portarono in Francia e in Inghilterra. Venne in contato con un mondo del tutto diverso: un mondo tutto borghese in cui ciò che contava erano gli affari e il profitto. Divenuto anch’egli uno d’affari e dirigente industriale lasciò l’attività letteraria, guardandola come qualcosa che poteva compromettere la sua attività produttiva; essa venne definita “ridicola e dannosa”. Più tardi nel ‘Profilo autobiografico’ redatto nel 1927 in terza persona, sostiene di non poter più scrivere. Il senso di colpa dell’intellettuale che si sente superfluo e parassitario nell’età del trionfo industriale è un dato ricorrente in quest’epoca: ma Svevo compì davvero il passo decisivo, lasciando la letteratura e passando decisamente nel campo avversario. In realtà tale proposito non fu osservato con rigore. Il bisogno di scrivere riaffiora sotto il pretesto del fine pratico di “capirsi meglio”. Inoltre compaiono anche alcune scritture inequivocabilmente letterarie, alcuni racconti, i drammi ‘Un terzetto spezzato’ e ‘Un marito’. Gli interessi culturali erano in stato di latenza, in attesa di un occasione che permettesse loro di riaffiorare. Negli anni tra l’ingresso nell’attività industriale e lo scoppio della Prima guerra mondiale si verificarono due eventi capitali per la sua formazione intellettuale. L’incontro con James Joyce da cui prese lezioni di inglese. Tra i due nacque una stretta amicizia, fervida di scambi solo a ritrarre una condizione psicologica, sa anche individuare acutamente le radici sociali di quella debolezza e di quella impotenza dinanzi alla vita. Alfonso è declassato da una condizione più elevata e è un intellettuale ancora legato a un tipo di cultura esclusivamente umanistica: ciò lo rende un diverso nella società borghese. Egli sente la sua diversità come inferiorità e quindi ha bisogno di crearsi una realtà compensatoria. Ciò che lo rende diverso si trasforma così in motivo d’orgoglio, nel senso di un privilegio spirituale. Si costruisce una maschera fittizia, un’immagine di se consolatoria, che lo risarcisce dalle frustrazioni reali. Questa evasione nei sogni è un altro aspetto distintivo dell’inetto svenivano. Accanto al Padre si colloca una sua variante, il Rivale: Macario. Egli possiede tutte quelle doti che ad Alfonso fanno difetto: brillante, disinvolto in società, sicuro di sé, perfettamente adatto alla vita, conformato dalla natura alla lotta, tanto quanto Alfonso è incapace e sconfitto in partenza. La narrazione è condotta da una voce fuori campo, che si riferisce ai personaggi con la terza persona. Il narratore è più vicino al codice dell’impersonalità. Predomina la focalizzazione interna al protagonista: il punto di vista è collocato nella sua coscienza. Tutto passa attraverso il filtro della soggettività. La rigorosa soggettività è sintomo del passaggio dal romanzo realiste e naturalistico a quello psicologico. Tuttavia il primo romanzo sveviano presenta una sua peculiarità: non si ha solo la minuziosa capillare analisi dei moti interiori del personaggio, nella quale il processo conserva una logica chiara e coerente, ma la coscienza diviene un labirinto di tortuosità inestricabili, in cui si intrecciano sogni, velleità, momenti di lucidità e chiaroveggenza, autoinganni , ambivalenze, contraddizioni…. Assistiamo all’esplorazione di piani contraddittori della psiche. Nel 1892 Freud non aveva ancora pubblicato le sue teorie, ma Svevo aveva già delle intuizioni che spingevano in quella direzione. Tuttavia a volte c’è l’intervento del narratore, che interviene a giudicare o a correggere qualcosa. La prospettiva del narratore è dotato di una consapevolezze più lucida, superiore a quella del personaggio. Il romanzo si regge tutto su questa opposizione di due punti di vista antagonistici, che rivela l’atteggiamento critico dell’autore verso il suo personaggio. Il processo sarà ripreso e portato a estreme conseguenze in ‘Senilità’. T1 P.139 LE ALI DEL GABBIANO da Una vita cap. VIII - Italo Svevo Al centro dell’episodio vi è l’opposizione tra Alfonso (nelle prime righe si nota la figura tipica di Fantozzi: Fantozzi = inetto) e Macario. Il mare è il banco di prova che fa emergere l’inettitudine e la forza: Alfonso non è solo inesperto, ma è anche pieno di paure e di apprensioni, mentre Macario è perfettamente a suo agio. La sua calma e la sua forza risaltano proprio per la debolezza di Alfonso. Macario ha tutti i vantaggi a farsi vedere con Alfonso. Il contrasto esalta. Alfonso se ne rende conto. Se tu trovi chi è peggio di te ti senti bene. Pur sapendo le motivazioni è comunque contento di aver un amico. Il tema della salute è una costante nelle opere di Svevo considerata sia come fisica che psicologica.Il lottatore, Macario, nutre un profondo disprezzo per la qualità di intellettuale, che è propria di Alfonso. È un’esaltazione della pura forza che svaluta il cervello, le qualità intellettuali, ritenute perfettamente inutili, se non dannose, nel meccanismo brutale e elementare della lotta per la vita. Ciò viene manifestato da Macario nelle sue riflessioni filosofiche sui gabbiani.I gabbiani naturalmente sono predisposti in modo tale che le loro funzioni sono prendere da mangiare. Azioni per cui non serve un cervello ma un corpo predisposto. Se sei nato per prendere i pesci ti serve un fisico adatto. Quindi tu che curi il tuo cervello, cosa o curi a fare che non serve per vivere nella società. Chi non ha le qualità necessarie per vivere non gli cresceranno durante la vita, quindi soccombe. Si muore nello stato in cui si nasce: nasci inetto muori inetto. Non può migliorarsi, non ha le ali. È una teoria deterministica, alla cui base scorgono Darwin e Schopenhauer, lo scienziato positivista teorico della lotta per la vita e il filosofo pessimista che nega la libertà di scelta dell’uomo e afferma che si è o lottato o contemplatori per natura. In questo passo forse Svevo utilizza il punto di vista di Macario, che è un personaggio negativo, per esprimere la propria posizione critica verso il personaggio dell’inetto, verso la sua vocazione intellettuale che diventa una “malattia” e gli impedisce di agire nella realtà. 4. Il secondo romanzo. Senilità Il secondo romanzo di Svevo esce nel 1898, sempre a spese dell’autore. Alcuni capitoli risalgono a sei anni prima, quindi alla sta di pubblicazione di ‘Una vita’. Il secondo romanzo incorre in un insuccesso peggiore del precedente. Il protagonista Emilio Brentani, trentacinquenne, vive di un modesto impiego presso una società di assicurazioni triestina e gode di una certa reputazione in ambito cittadino per un romanzo pubblicato anni prima, dopo il quale non ha più scritto nulla, per inerzia. Egli ha attraversato la vita con prudenza, evitando i pericoli, ma anche i piaceri e appoggiandosi alla sorella Amalia, con cui vive e che lo costudisce, e all’amico Stefano Balli, che rappresenta per Emilio una sorta di figura paterna. L’insoddisfazione per la propria esistenza porta Emilio a cercare il godimento nell’avventura, che egli crede facile e breve, con una popolana, Angiolina, da lui conosciuta casualmente. Le dice ‘mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai giammai essere più importante di un giocattolo’. Dice che importanti per lui sono la carriera e la famiglia e a questi due obiettivi deve essere dedicato il suo impegno. Si tratta di una bugia. Sono i due pilastri della borghesia. Chi all’interno della classe borghese non ha ne una ne l’altra non è considerato. Ciò si vede nella coscienza di Zeno, che non è capace di affermarsi nel mondo lavorativo e quindi si crede malato. Zeno dopo aver fatto carriera e aver costruito una famiglia capisce che quella non è la sanità ma la vera malattia. Emilio ha si una carriera e una famiglia, ma non sono quelle che lo distolgono dalla relazione, è lui che ha paura di lasciarsi andare, così dice una bugia.In realtà si innamora perdutamente della ragazza, idealizzandola e trasformandola nella sua fantasia in un creatura angelica. La scoperta della vera natura di Angiolini, che ha molti amanti e si rivela cinica e mentitrice, scatena la sua gelosia, che assume caratteri ossessivi. Egli cerca di staccarsi dalla donna, ma viene gettato in uno stato di prostrazione profonda, che gli fa perdere l’energia vitale che aveva trovato solo attraverso quel rapporto e che egli chiama “gioventù”. Di conseguenza riallaccia la relazione, ma il possesso fisico lo rende insoddisfatto perché ha avuto la donna reale e non quella che lui aveva idealizzato. Di Angiolina si interessa anche l’amico Stefano, di cui la ragazza si innamora perdutamente. La gelosia si sposta allora tutta sull’amico. Nel frattempo la sorella Amalia vive una storia parallela alla sua: si innamora di Stefano e non osando rivelare i suoi sentimenti, trova appagamento solamente nei sogni. Emilio allontana di casa l’amica, ma così facendo distrugge la vita della sorella. Amalia cerca l’oblio nell’etere, minando così il suo fisico già debole, che soccombe alla polmonite. Emilio lascia il capezzale della sorella per andare da Angiolina, deciso a chiudere con lei. Ma l’addio non avviene dolcemente: scoprendo l’ultimo tradimento Emilio si lascia trasportare dall’ira e la insulta violentemente. Dopo la morte della sorella e la fine definitiva della relazione Emilio torna a chiudersi nel guscio della sua “senilità”, guardando all’avventura come un vecchio alla “gioventù”. E nei suoi sogni fonde le due figure femminili fondamentali della sua vita in un’unica figura, penosa e intellettuale, che diviene anche il simbolo della sua utopia socialista. Angiolina è l’esatto opposto rispetto a Emilio. È una bellissima ragazza formosa, non è come la sorella di Emilio, Amalia, grigia e sempre chiusa i casa. Piccola e pallida, più giovane di lui e sembra più vecchia. Vuole dedicare tutta la vita alle cure del fratello dimentica di se stessa. Quando si innamora dell’anti-inetto inizierà una depressione che la porta alla malattia, si affiderà all’etere, droga, che la porterà alla morte. Angiolina gode a pieno la vita. La carriera di Emilio ha due scopi ben distinti: ricavare il denaro dall’impiego, e la carriera letteraria che viene definita ‘riputanziocella’. L’inetto mette in atto una serie di bugie per potersi proteggere. Lui ha una chiarissima coscienza della nullità della propria opera, il tutto è voluto. La condizione di senilità: ‘A trentacinque anni… che saputa per esperienza’ non ha mai agito e per esperienza non può sapere come comportarsi, si tira indietro anche sta volta, quindi non fa esperienza di vita. Angiolina invece, come si nota nella sua descrizione, è il ritratto della vita. Lui vuole un avventura facile e breve, ma non riesce ad avere solo una relazione sessuale. Tant’è che la prima volta che la porta in una stanza per fare l’amore non riesce, perché ha paura e psicologicamente, inconsciamente si tira indietro. Inevitabilmente alla fine la sua scelta è quella di continuare ad essere senile, vecchio. Il quarto personaggio Stefano Balli è l’antitesi di Emilio. Si tratta di personaggi opposti. Si tratta di due inetti e due anti-netti. É uno scultore, non molo bravo, ma bravo con le donne. Emilio vorrebbe fare quello che fa l’amico ma non ha la stoffa dell’amico. Soprattutto si tira indietro. T2 P.148 IL RITRATTO DELL’INETTO da Senilità - Italo Svevo La fisionomia del protagonista balza subito in evidenza, il dato essenziale che lo caratterizza è il fatto che mente. Due sono i livelli delle sue menzogne: nasconde ad Angiolini che per lui non potrà essere più che un giocattolo, ma poi mente anche a se stesso, adducendo la famiglia e la carriera come motivazione per non intrecciare un legame serio. La prima è costituita dalla convivenza con la sorella nubile, in cui ciascuno dei due recita al tempo stesso la parte di genitore e di figlio; la seconda non è che un modesto “impieguccio” a cui si aggiunge la “riputazionecella” ricavata dal romanzo che ha pubblicato. Si manifesta qui la falsa coscienza di Emilio, la sua tendenza a costruirsi maschere gratificanti. Egli si crede “una potente macchina geniale ancora in costruzione”. Emerge come Emilio abbia paura di affrontare la vita e rinunci quindi a vivere chiuso nel nido domestico. In realtà la sua condizione più che senile appare una condizione di immaturità infantile. Questa condizione di non vita è però angustiata da una “brama insoddisfatta” dei piaceri e dell’amore a cui ha rinunciato. L’occasione per uscire da questa condizione è l’incontro con Angiolina. L’eroe l’assume come un vero e proprio antidoto alla sua “triste inerzia”, alla sua senilità, sentita come una malattia. Emilio idealizza Angiolina. Si tratta di una narrazione eterodiegetica (il narratore non è presente come personaggio nel racconto), ma il narratore non si eclissa, al contrario interviene frequentemente a giudicare e a commentare. Il nuovo romanzo si concentra sui quattro personaggi centrali, i cui rapporti e le cui vicende si compongono in una struttura essenziale, di geometrico rigore. Non sono più affrontati direttamente i problemi di natura sociale. Di conseguenza i fatti esteriori, l’intreccio romanzesco, la descrizione di ambienti fisici e sociali hanno poco rilievo: è la dimensione psicologica che l’autore si preoccupa di indagare. l’analisi del protagonista campeggia al centro dell’attenzione per quasi tutto il romanzo. Emilio è fratello carnale di Alfonso. Emilio si chiude in un sistema protettivo all’interno del nido domestico e con l’appoggio della figura materna di Amalia. Nonostante il rifugio, creato attraverso un calcolato sistema di rinunce, resta in Emilio un’inquietudine, che nasce dal desiderio irrefrenabile di godimento, di piaceri. La vita e il godimento si incarnano in Angiolini che divine simbolo di salute e di pienezza vitale. Con lei Emilio assapora per la prima volta il piacere e viene a contato con il mondo esterno. Ebbene proprio la relazione con la donna fa venire alla luce l’inettitudine di Emilio ad affrontare la realtà. Questa inettitudine è immaturità psicologica, fissazione Aad una fase infantile dell’evoluzione psichica. Emilio, nonostante vorrebbe una relazione facile e breve, ha paura della donna e del sesso e per questo sostituisce la donna reale con la figura ideale di Angiolini. Nel rapporto con lei egli manifesta il bisogno di un affetto materno: il possesso fisico lo lascia insoddisfatto perché contamina quel puro ideale. Emilio maschera ai propri occhi la sua immaturità psicologica nel rapporto con la donna costruendosi fittiziamente quell’immagine virile che non sa incarnare nella realtà e si compiace di recitare il ruolo paterno nei confronti di Angiolini. È il modello di uomo proposto dalla società borghese ottocentesca nella fase della sua pienezza. Tuttavia l’immaturità infantile messa in luce dal rapporto con la donna denuncia come Emilio non riesce più a coincidere con quella immagine virile: quella dell’uomo forte, sicuro, capace di dominare la realtà. Questa figura era entrata in crisi in quell’età di intense trasformazioni, con il trionfo dell’assetto monopolistico e della società massificata, che distruggevano l’idea tradizionale dell’individuo. Emilio incarna esemplarmente questa crisi: in lui l’impotenza sociale del piccolo borghese declassato, frustrato da una condizione alienante e spersonalizzata, si traduce in impotenza psicologica ad affrontare la realtà esterna al nido familiare. Per questo Emilio si appoggia all’amico Stefano. In realtà i due personaggi rappresentano due risposte diverse a questa crisi: Emilio il chiudersi vittimistico nella sconfitta e nell’impotenza; Stefano il tentativo di rovesciare velleitariamente l’impotenza in onnipotenza, mascherando la debolezza con l’ostentazione della forza dominatrice. Il ritratto psicoanalitico di Emilio non è un caso di patologia individuale, ma l’indagine su un tipo sociale inserito in precise coordinate storiche. Infatti il romanzo, mediante l’analisi psicologica capillare, è anche la radiografia della struttura ideologica dell’intellettuale piccolo borghese di fine Ottocento. Emilio filtra la realtà attraverso schemi letterari, rivelando la dipendenza da una tradizionale cultura umanistica. L’analisi porta poi alla luce gli schemi filosofici e politici attraverso cui Emilio filtra l’esperienza. Sono ravvisabili residui positivistici, secondo cui gli atteggiamenti umani sono determinati da leggi di natura. Ma si manifesta anche un pessimismo filosofico e un superomismo dannunziano. Vagheggia anche idee socialiste, intrise di umanitarismo sentimentale, determinismo positivissimo e utopismo. Svevo proietta nel suo personaggio le componenti essenziale della sua stessa cultura, ma in Emilio tali componenti sono ridotte a stereotipi e vuoti luoghi comuni. Ha modo di presentare in modo critico la degradazione che i grandi temi culturali del tempo subiscono nell’assimilazione da parte dell’intellettuale piccolo borghese e provinciale. L’ideologica che guida Emilio nel suo agire effettivo è del tutto diversa da quella professata. Egli si rivela nella realtà un romantico sentimentale e appare schiavo di un moralismo tradizionale e perbenismo per cui si scandalizza della libertà sessuale ella donna ed è dominato in forma maniacale dall’idea della fedeltà, dal culto della rispettabilità e del decoro esteriore, dai principi della famiglia e della carriera. Il suo pessimismo filosofico è diffidenza e paura della realtà, una paura neppure nata dall’esperienza ma dai libri. Ciò che l’analisi di Svevo mette in luce è che i principi filosofico e politici professati da Emilio sono solo giovane. Zeno aspira ad entrare nella normalità borghese sia per quanto riguarda la famiglia sia per quanto riguarda la carriera. Fonda perciò un’associazione commerciale con il cognato Guido, che ha sposato Ada. Questi è l’antitesi di Zeno ed incarna perciò il ruolo del Rivale. L’amicizia e l’affetto fraterno ostentato nei suoi confronti mascherano un odio profondo che si tradisce ai funerali di Guido, morto suicida per un dissesto finanziario. Zeno sbaglia corteo funebre, uno di quegli “atti mancati” che Freud ha dimostrato essere estremamente rivelatori dei nostri impulsi inconsci. Zeno, ormai anziano, decide di intraprendere la cura psicoanalitica e qui ha inizio la stesura di quel memoriale che costituisce il corpo più cospicuo del romanzo. Zeno però si ribella alla diagnosi che indirizza in lui il classico complesso edipico. Lo scoppio favorisce alcune su speculazioni commerciali che lo trasforma da inetto a uomo d’affari. Zeno perderà tutto dopo la guerra: il successo era stato solo frutto del caso. Zeno si proclama guarito, ma questa resistenza è solo un sintomo della malattia. Alla fine Zeno sottolinea il confine incerto tra malattia e salute nelle condizioni attuali, in cui la vita è inquinata alle radici. Il romanzo termina in chiave apocalittica, con una riflessione di Zeno sull’uomo corruttore di ordigni, che finiranno per portare a una catastrofe cosmica. Zeno è chiaramente un narratore inattendibile. Lo denuncia subito nella prefazione del Dottor S., che insite sulle tante verità e bugie accumulate nel memoriale. l’autobiografia in esso contenuta è tutta un gigantesco tentativo di autogiustificazione. Sono autoinganni determinati da processi inconsapevoli con i quali Zeno cerca di tacitare i sensi di colpa. Per tutto il romanzo le affermazioni di Zeno rivelano un groviglio complesso di motivazioni ambigue, sempre diverse o addirittura opposte rispetto a quelle dichiarate consapevolmente. Per cui la coscienza di Zeno appare come cattiva coscienza, una coscienza falsa. Tanto anche anche il titolo può essere inteso in accezione antifrastica. A differenza di Emilio Zeno non è solo oggetto di critica ma anche soggetto. Non vi è solo l’ironia oggettiva che pesa su Zeno, il romanzo è anche percorso dal distacco ironico con cui Zeno guarda il mondo che lo circonda. la diversità di Zeno, la sua malattia funge da strumento straniante nei confronti dei cosiddetti sani e normali. La malattia porta alla luce l’incoscienza della pretesa sanità degli altri, che in quella parte vivono completamente soddisfatti, incrollabili nelle loro certezze. Zeno è disponibile alle trasformazioni, a sperimentare le varie forma dell’esistenza, mentre i sani sono cristallizzati in una forma rigida, immutabile. In Zeno vi è un disperato bisogno di salute, di normalità, di integrazione nel contesto borghese. Ma non riesce mai a coincidere con quella forma compiuta e definitiva di uomo. Perciò il suo sguardo di irriducibile estraneo corrode quel mondo, ne mina alle basi le certezza indiscusse, mai sottoposte dai suoi rappresentai al cuccio critico. Zeno finisce per scoprire che la salute atroce degli altri è anch’essa una malattia, la vera malattia. In Zeno si confondono cecità e chiaroveggenza menzogna e acutezza, così che è impossibile fissare confini certi. Zeno sottopone a critica il mondo e ne presenta i limiti. Paradossalmente in quanto inetto porta alla chiarezza la realtà degli altri. Zeno è un personaggio a più facce, fortemente problematico e negativo per un verso, come perfetto campione della falsa coscienza borghese, ma anche positivo, come strumento di stracciamento e di coscienza. L’inetto appare come un’abbozzo, un essere in divenire, che può ancora evolversi verso altre forme, mentre i sani sono già mi se perfettamente compiuti in tutte le loro parti, sono incapaci di evolversi ulteriormente, cristallizzati nella loro forma definitiva. L’inettitudine non è più considerata un marchio di inferiorità, ma una condizione aperta, disponibile ad ogni forma di sviluppo, che si può considerare anche positivamente. L’atteggiamento di Svevo verso l’inetto, in quest’ultimo romanzo, è aperto e problematico, non più critico. il cambiamento dell’impianto narrativo è dovuto al fatto che Zeno non è più un eroe del tutto negativo, anzi è persino in posizione di rilievo quanto presenta oggettivamente una visione straniante del mondo in cui vive, quindi non avrebbe più ragion d’essere a presenza del narratore esterno al narrato. Inoltre dinnanzi a una realtà aperta e ambigua non è più possibile l’intervento di una voce che giudichi in nomi di valori certi e determinati. La narrazione viene affidata alla voce del personaggio. Ciò che dice Zeno può essere verità o bugia o tutte e due le cose insieme e nessun punto di riferimento permette di distinguerlo con definita certezza. Il mutare della fisionomia degli eroi sveviani e dell’atteggiamento dello scrittore verso essi rivela il passaggio dalla visione chiusa dell’Ottocento a quella aperta del Novecento, e l’evoluzione delle tecniche narrative segue puntualmente l’evoluzione ideologica. Il protagonista è un inetto che viene rivalutato, rispetto ai primi due romanzi di Svevo. Ora invece viene invece pesantemente svalutato il mondo borghese per colpa del quale si trova ad essere inetto. Il tutto viene fatto partire da uno psicanalista che invita il paziente a percorrere le tappe precedenti della sua esistenza. Sembra essere una cura anche se sarebbe stata vista con disdegno dai colleghi esperti in psicanalisi. Zeno è chiaramente un nevrotico. Egli inizia seguendo la cura inizia a ripercorrere la propria vita. Trattandosi di un nevrotico non è di conseguenza attendibile. Il nevrotico applica la rimozione: allontana dalla coscienza gli eventi più traumatici. Quindi quello che ci racconta non è detto che corrisponda pienamente alla verità nel momento in cui lo racconta. Non sappiamo nemmeno se il narratore conosca la verità sia quella del passato che quella del presente , perché costantemente Zeno sottolinea come non capisce il proprio presente. Viene meno il patto fondamentale del romanzo (il lettore si accinge a leggere accettando per vero), così il lettore deve accettare quello che legge. Mentre Svevo ci dice che quello che scrive potrebbe essere vero o no. L’io narrante e l’io narrato coincidono pur essendo diversi, e incapaci di essere narratori perché non portati ad essere narratori credibili. Allo stesso modo è inaffidabile anche il dottor s perché vuole guadagnarci, è risentito… non è uno psicanalista ortodosso. Nel romanzo dell’ottocento normalmente questa modalità era propria dell’autobiografia e ciò che da valore e sensatezza è che l’io narrante è più maturo e consapevole dell’io narrato. Normalmente una volta maturato l’individuo ripercorre la propria esistenza passata e la reinterpreta. Mentre due io della coscienza di Zeno sono entrambi deboli e non matti. Perciò viene meno un’altro dei due pilastri fondamentali, che il narratore alla luce dell’esperienza sappia reinterpretare la vita passata. Si tratta di un narratore continuamente distratto: sta raccontando sente il rumore della locomotiva e parla della locomotiva, il cui rumore gli richiama il respirare ansante del padre e quindi inizia a parlare del padre…. Molto spesso tutte le domande che ci poniamo riguarda le interpretazioni vanno bene e funzionano perché è proprio un’opera aperta. Zeno continuamente ci avvisa della sua incapacità a interpretare e capire passato e presente. Un po’ alla volta andiamo a scoprire il personaggio che è un inetto. Appartiene alla medio alta borghesia triestina. Ci spostiamo in gradino più inoltro rispetto ai precedenti protagonisti. È consapevole che per diventare uomo deve affermarsi sul piano lavorativo e famigliare. Zeno ritiene di non essere capace a lavorare nell’azienda paterna, non si sente all’altezza. Fatica d’altro canto a trovare la moglie era bravo inetto sceglie quella che gli rimane (Ada e Anna lo rifiutano, l’altra era troppo piccola e quindi gli rimane la sorella brutta). arriva al matrimonio e la salute della moglie(perfetta borghese capace di amministrare la vita propria e del marito), inizia a inserirsi nell’azienda del suocero in cui acquisisce successo. Guarisce inserendosi nei giusti meccanismi della borghesia. Il quadro si completa quando arriva ad avere l’amante (Carla, anche l’amante fa parte del quadretto borghese). Riesce addirittura a superare Guido (importante è il lapsus frodano in cui sbaglia funerale e va a quello di un altro). Acquisisce questo comportamento borghese, ma capisce che alla fine era meglio essere inetti. La borghesia è la vera malattia. Il mondo borghese, del guadagno, del prevalere farà implodere la terra. Sembra essere una mossa necessaria perché siamo caduti talmente in basso. Si tratta del destino a cui la borghesia ha portato il mondo. Molto meglio l’inettitudine che non riveste i comportamenti che porteranno il mondo alla istruzione. Il personaggio dell’inetto viene rivalutato notevolmente e diventa addirittura personaggio modello. T6 (ONLINE) INETTO COME ABBOZZO DELL’UOMO FUTURO da La coscienza di Zeno - Italo Svevo Come dice dice in questo brano l’inetto è positivo perché un abbozzo aperto a tutto, mente il borghese si è già fossilizzato nei modi malati. Va chiaramente ad esaltare la figura dell’inetto. Gli si apre davanti ogni prospettava. A questa soluzione arriverà anche Pirandello, secondo il quale essere inetti è meglio che esser non inetti perché è consapevole della propria condizione esistenziale. L’uomo che ragiona che considera, che continuamente indaga è l’ideale umano. LUIGI PIRANDELLO 1. La vita Nacque il 28 giugno 1867 presso Grigenti, ribattezzato poi Agrigento, da un famiglia di agiata condizione borghese e di tradizioni risorgimentali e garibaldine. Dopo gli studi si iscrisse all’università di Palermo e poi alla facoltà di Lettere di Roma, inseguito si trasferì all’Università di Bonn, dove si laureò nel 1891 in filosofia romanza. Nel frattempo aveva già iniziato la produzione letteraria scrivendo poesie e una tragedia. L’esperienza degli studi in Germani fu importante per lo scrittore , perché lo mise in contato con gli scrittori tedeschi romantici che ebbero profonda influenza sulla sua opera e sulle teorie riguardanti l’umorismo. Dal 1892 si spostò a Roma dedicandosi interamente alla letteratura. Stinse legami con il mondo culturale romano, soprattutto grazie a Fleres e Capuana. Nel 1893 scrisse il suo primo romanzo ‘L’esclusa’ e nel 1894 la sua prima raccolta di romanzi ‘Amori senza amore’. Nello stesso anno aveva sposato Girgenti Maria Antonietta Portulano. Nel 1987 iniziò come supplente l’insegnamento di Lingua italiana e divenne poi di ruolo. Nel frattempo pubblicò articoli e saggi su varie riviste, tra cui il “Marzocco”. Scrisse la sua prima commedia ‘Il nibbio’ nel 1896 che riprese più tardi col titolo ‘Se non così’ del 1915. Nel 1903 un allargamento della miniera di zolfo in cui aveva investito provocò il dissesto economico della famiglia. Il fatto ebbe un effetto disastroso sullo scrittore e portò la moglie alla follia. La convivenza con la donna costituì per Pirandello un tormento continuo. la perdita delle rendite mutò anche la condizione di Pirandello che fu costretto a intensificare la propria produzione che tra il 1904 4 il 1915 si fece particolarmente fitta. Lavorò anche per l’industria cinematografica. Anche l’esistenza di Pirandello fu segnata dalla declamazione. Questo fatto gli fornì lo spunto per la rappresentazione del grigiore soffocante della vita piccolo borghese. Inoltre il rancore e l’insofferenza che ne derivano acuirono il rifiuto irrazionalistico e anarchico del meccanismo sociale alienante, sentito come una trappola. Con le pubblicazioni ebbe un buon successo ma non fu molto considerato dalla critica che lo riteneva un umorista minore. Dal 1910 ebbe i primi contati con il mondo teatrale, con la rappresentazione di ‘Lumie di Sicilia’ e ‘La morsa’, da parte della compagnia di Nino Martoglio a Roma. Dal 1915 la produzione teatrale si intensificò. mise in atto la prima commedia in tre atti ‘Se non così’. Da quel momento divenne soprattutto scrittore di teatro. Tra il 1916 e il 1918 mise in scena una seria dei drammi che modificavano completamente il linguaggio della scena del tempo: ‘Pensaci Giacomino!’, ‘Liolà’, ‘Così è (se vi pare)’, ‘il berretto a sonagli’, ‘il piacere dell’onestà’, ‘Il giuoco delle parti’. Pirandello aveva visto con favore l’entrata in guerra dell’Italia, tuttavia il conflitto incise negativamente sulla sua vita. Il figlio Stefano partito come volontario fu subito fatto prigioniero dagli Austriaci. In conseguenza al fatto la malattia della moglie si aggravò, tanto che lo scrittore fu costretto a portarla in una casa di cura. Dal 1920 il teatro di Pirandello iniziò a riscuotere successo nel pubblico. Del 1921 sono i ‘Sei personaggi in cerca d’autore’ che rivoluzionarono radicalmente il linguaggio drammatico. La condizione del scrittore cambiò profondamente: lasciò la vita sedentaria da piccolo borghese e iniziò a seguire in giro per il mondo le compagnie nelle loro tournees. Nel 1925 assunse la direzione del Teatro d’Arte a Roma e qui si legò sentimentalmente, anche se in modo platonico, a una giovane attrice, Marta Abba, per la quale scrisse vari drammi. L’esperienza del teatro fu resa possibile ance dal finanziamento dello Stato. Pirandello, nel 1924, subito dopo il delitto Matteotti, si era iscritto al partito fascista e questo gli servì per ottenere appoggi da parte del regime. Ben presto dovette rendersi conto del carattere di vuota esteriorità del regime e quindi accentuò il proprio distacco, evitando ogni forma di rottura o di disprezzo. D’altronde la critica corrosiva delle istituzioni sociali e delle maschere da esse imposte, era propria della visione pirandelliana, non poteva certo risparmiare il regime , che della falsità del meccanismo sociale era un esempio macroscopico. Negli ultimi anni seguì personalmente la pubblicazione organica delle sue opere, in numerosi volumi: le ‘Novelle per un anno’, le ‘maschere nude’. Nel 1934 gli fu assegnato il premio Nobel per la Letteratura. Si ammalò di polmonite e così il 10 dicembre 1936, lasciando incompiuto il suo ultimo capolavoro teatrale. È uno dei firmatari del manifesto degli intellettuali fascisti. 2. La visione del mondo Alla base della sua visione del mondo vi è una concezione vitalistica. Tutta la realtà è vita, perpetuo movimento vitale. Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume forma distinta e individuale si irrigidisce e comincia, secondo Pirandello, a morire, così avviene dell’identità personale dell’uomo. In realtà noi ci cristallizziamo in forma individuali, tendiamo a fissarci in una realtà che noi stessi ci diamo. Questa personalità non è altro che un’illusione che scaturisce dal sentimento soggettivo che noi abbaiamo del mondo.anche gli altri vedendoci ci danno particolari forme. Noi crediamo di essere uno per noi stessi e per gli altri, mentre siamo sani individui diversi , a seconda della visione di chi ci guarda. Ciascuna di queste forme è una costante fittizia, una maschera che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il contesto sociale. Sotto la maschera vi è il fluire indistinto e incoerente di stati perennemente in trasformazione. Pirandello fu influenzato dallo psicologo Binet che era convinto che nell’uomo coesistessero più persone , che possono emergere inaspettatamente. Questa teoria della frantumazione dell’io è un dato storicamente significativo: entra in crisi l’idea di realtà oggettiva e del soggetto. L’io si disgrega nel naufragio di tutte le sue certezze. La crisi dell’idea di identità e di persone risente evidentemente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea , dove si muovono forze che tendono proprio alla frantumazione e alla negazione dell’individuo. L’instaurarsi del capitalismo monopolistico, che annulla l’iniziativa che nasce dal fatto che una signora di quell’età non dovrebbe apparire così, ma chiediamoci perché si veste, si trucca come una ragazzina. Ponendoci questa domanda individuiamo seri motivi: che il marito abbia un’amante più giovane di lui, che il marito non la ami più e lei cerca di riconquistarlo… non c’è solo una percezione, ma c’è anche una motivazione. Le serie motivazioni emergono attraverso l’umorismo che fa provare quasi compassione. L’arte umoristica cerca il sentimento del contrario. Secondo passo: va a definire la vita. La vita è ciò che noi realmente siamo, il prodotto della nostra esistenza. Alla riga 41. Va a definire il flusso continuo che abbiamo dentro di noi. Pirandello sottolinea come noi abbiamo pluripersonalità, in cui si sente l’influsso delle teorie di Binet. Come diceva Pascal: non è tanto diverso un uomo dall’altro quanto uomo diverso a se stesso: nel corso del tempo, ma anche nel coesistere di più personalità. Terzo passo: va a definire la vita e la forma. La vita è un flusso continuo, ma noi inevitabilmente la fissiamo in forme stabili e determinate. Le forme sono i nostri valori. Il flusso della vita è in tutti, c’è chi ne è consapevole e chi no, e di tanto in tanto può capitare che questo flusso prorompa e esca fuori. Nel momento in cui lo manteniamo dentro non siamo veramente noi stessi. L’azione non è considerata da Pirandello: nel momento in cui siamo coscienti ci limitiamo a riflettere, mai ad agire. Qui ammette solo questa possibilità: anche chi è cosciente di essere una forma non può fare altro che vedersi vivere. Lo specchio è molto importante. Questo oggetto è presene anche nel fu Mattia Pascal, in cui vede come dal occhi strabici escano lacrime di gioia e di dolore. Lo specchio presente nella lirica barocca, che non era più solo oggetto di unità ma anche lo strumento che riflette la coscienza. Questa è la stessa funzione che assume anche in Pirandello. Quarto passo: Pirandello sta dicendo come ormai l’uomo moderno non può più essere rappresentato dall’arte tradizionale che ordina tutto coerentemente. Ora l’uomo non è più coerente, ha dentro di se più anime. Se prevale un’anima sull’altra l’uomo varata, cambia. Quindi non è più possibile una rappresentazione attraverso l’arte classica. Quinto passo: differenze tra poeta epico e scrittore umorista. La poesia tradizionale epica e tragica compone il carattere, mentre l’umorista scompone il carattere. La composizione viene meno perché non c’è più ordine. L’arte classica viene meno in quanto basta su assolute certezze, l’esempio si ha nel fu Mattia Pascal sullo strappo del cielo di carta nel teatrino mentre Oreste sta recitando. Oreste che è il tipico eroe classico va in crisi perché gli apre un qualcosa che non conosceva e diventa un uomo moderno: a quel punto in cui non sappiamo più distinguere il bene dal male in modo assoluto la tragedia e l’epica non possono più rappresentarci. Per l’umorista non ci sono eroi. Sesto passo: l’oggetto dell’arte umoristica è la realtà contemporanea, quindi frammentata. Viene meno in queste affermazioni il simbolismo e il decadentismo. C’è tutto questo relativismo che segna tutta la realtà. Vengono meno le corrispondenze e le relazioni tra le cose. Nel saggio sull’umorismo Pirandello lascia intendere che l’umorismo sia sostanzialmente tipico di ogni età, storicamente parlando. Sembra ritenere ontologica questa condizione dell’uomo. Ma già nel Fu Mattia Pascal, di quattro anni prima, aveva dato un’origine storica. Premessa seconda le Fu Mattia Pascal: il Fu Mattia Pascal è il principale esempio della poetica dell’umorismo. ‘Maledetto sia Copernico!’ Don Eligio gli chiede cosa c’entra. La letteratura tradizionale fUnzIona fino a Copernico, nel momento in cui arriva la teoria copernicana, che fa saltare tutte le certezze, la terra diventa ‘un’invisibile trottolina … giri?’. Copernico ha rovinato l’umanità. la colpa di questa crisi ha un inizio storico, mentre nel saggio nell’umorismo non è così. Gli antichi greci e romani inconsapevoli di questi elementi erano personaggi coerenti, questa coerenza è venuta meno con la modernità. È chiaro che la letteratura tradizionale non è più adatta a rappresentare l’uomo e la realtà moderna. Quindi le strutture narrative non sanno rappresentare questa condizione umana. Gli esempi che fa a Eligio di inizio di esordi tradizionali. ‘Il signor conte si levò alle ore otto e mezza preciso’ le assolute certezze non esistono più, quindi la precisione per quanto riguarda il tempo per quanto riguarda i dettagli degli abiti o dei sentimenti non è valida per rappresentare l’uomo contemporaneo. Ecco allora che Pirandello scegli una struttura diversa, nuova. Il romanzo inizia a vicenda conclusa e coincide con la fine. È narrato in prima persona dl protagonista, l quale quando inizia la narrazione ha già concluso la vicenda. L’opera può essere divisa in tre parti: il capitolo 17 e 18 dove abbiamo il fu Mattia Pascal che è ormai estraneo alla vita e ci racconta quella che è stat la sua vicenda, prima di raccontare fa due vicende il capitolo primo e il capitolo secondo il cui narratore è il fu Mattia Pascal. Il fu Mattia Pascal iniziale e finale coincidono. Il narratore fu Mattia Pascal vive fuori dalla vita, una non vista fuori dal tempo, è estraneo all’esistenza, lo spazio in cui vive è morto, non a caso sceglie un biblioteca sconsacrata che non viene frequentata. Si trova in un tempo fermo, fuori dalla vita. È in una situazione tale per cui da li non può nascere una storia. Se non abbiamo temo e protagonista non possiamo narrare una storia. La seconda parte occupa i capitoli dal secondo al sesto: qui il narratore è il giovane Mattia Pascal che racconta la sua giovinezza in cui influisce il romanzo idilliaco famigliare. Entrano poi a far parte i personaggi negativi. Attua per vendicarsi di Batta Malagna cerca di mettere in cinta Romilda, am mette incinta anche la mogli di Batta Malagna, Oliva. Così deve sposare Romilda, che invece avrebbe voluto B per guadagnare. Il matrimonio è un fallimento. Romilda avrà due gemelle che poi moriranno, muore anche la madre di Mattia. Gli affari vanno male. Pensa di uscire da questa situazione suicidandosi. Accade un evento fortunato, mentre è a Montecarlo per girare al casinò viene a conoscenza del fatto che un corpo annegato è stato riconosciuto come suo. Ciò viene raccontato nel settimo capitolo che fa da anello tra la seconda e la terza parte. Neal terza parte egli usa lo pseudonimo di Adriano Meis. Si creano una serie di situazioni negative perché non avendo documenti e identità non può rivolgersi alle forze. Viene sfidato a duello per la donna che ama, ma non avendo identità non può parteciparvi, così inscena un nuovo suicidio e inscena il Fu Mattia Pascal. Ci sono alcuni collegamenti con il romanzo tradizionale: la terza parte assomiglia al romanzo di formazione ma in forma fallimentare (Adriano Meis non riesce a rifarsi una vita). Come esempio di romanzo tradizionale prendiamo i promessi sposi in cui gli avvenimenti seguono la cronologia e al massimo c’è un flashback. Mentre nel Fu Mattia Pascal non si può parlare di flashback perché c’è un personaggio, all’inizio, che non compie alcuna azione, riflette solamente, mentre il flashback si crea nel mezzo della narrazione. Si tratta di narratore interno e focalizzazione interna per tutta l’opera. Egli legge i fatti secondo quello che egli percepisce o soprattutto secondo ciò che no percepisce, perché egli è al di fuori della realtà. Il narratore è molto simile a quello della Coscienza di Zeno. Altro aspetto da considerare e che avvicina l’opera a quella della Coscienza di Zeno: all’inizio dell’opera ci da motivazioni di dubitare di quanto va a raccontare. Ciò è evidente con la pubblicazione del 1921 in cui pospone l’avvertenza sugli scrupoli della fantasia. Serve per indicare la plausibilità della storia che viene raccontata. serve per indicare come la storia che ha invitato è strana, ma nella realtà se ne è vetrificata una molto simile. Nella realtà c’è stato un caso che racconta questo (riporta l’articolo di un giornale). Se la realtà è assurda non dobbiamo farci scrupoli che nella letteratura venga riproposta tale assurdità. Sostiene la verosomiglianza della situazione che ha inventato perché si è realizzata anche nella realtà. All’inizio egli aveva cercato di presentare la storia come vera tant’è che usa lo stesso stratagemma manzoniano del manoscritto. Da come vero all’inizio poi dice attenzione è assurdo ma può essere verosimile e in questo modo si contraddice. Se ci hai dato la storia come fatto accaduto e poi ci dai la verosimiglianza fa dubitare che si realmente accaduto. Mente lo scrittore dell’ottocento faceva di tutto per dare per vera la propria storia. Calvino: il romanzo non è chiave di lettura della realtà ma è pura finzione. E questo già Pirandello e Svevo l’avevano messo in luce. La tecnica narrativa. Prevale il soliloquio: è il personaggio che parla da solo come se ci fosse un interlocutore che in realtà non c’è. - I lanternini sono i nostri lavori. Molto spesso questi lanternini sono offuscati dai lanternoni: i valori generazionali. Quei valori che sono crollati e non sono ancora stati sostituiti. I lanternini della gente comune si rifanno ai lanternoni. La Roma di Pirandello andrebbe paragonata a quella di D’Annunzio. Pirandello la chiama posacenere: a un passato glorioso e un presente disastroso, mentre dal Piacere ne emerge un quadro spettacolare. In Pirandello il caso ha un grande rilievo. 4. Le poesie e le novelle Compone poesie per un trentennio, dal 1883 al 1912. Egli rifiuta le soluzioni avanzate dal Simbolismo, Futurismo, Espressionismo e conserva i codici letterari, i moduli espressivi e le forme metriche tradizionali (Carducci). La prima raccolta ‘Mal Giocondo’ del 1889 esprime la crisi di un sogno di armonia e sanità classiche allo scontro con un presente in cui la scienza dissolve le illusioni ed approda ad un invito vitalissimo ad abbandonarsi alla natura. La successiva è ‘Pasqua di Gea’ del 1891. Le ‘Elegie renane’ del 1895sono modellate sull’esempio delle elegie romane di Goethe. Nella ‘Zampogna’ del 1901 pur con influsso pascolano evita l’incanto delle corrispondences e fa affiorare spunti umoristici e stranianti. Con l’ultima ‘Fuori di chiave’ del 1912 l’impiego umoristico rovescia lo statuto lirico della poesia. Si tratta di una produzione copiosissima nata in modo occasionale per la pubblicazione su quotidiani o riviste. Tuttavia l’autore si preoccupò subito di raccoglierla in volumi. Il primo fu ‘Amori senza amore’ del 1894, poi ‘Beffe della morte e della vita’ del 1902, ‘Quand’ero matto’ del 1903, ‘Berecche e la guerra’ del 1919. Nel 1922 progettò una sistemazione globale in 24 volumi con il titolo complessivo ‘Novelle per un anno’. Tipica di Pirandello è l’assenza d’ordine. Sembra quindi riflettere la visione globale del mondo che è propria diPirandello, un mondo non ordinato, ma disgregato il cui senso complessivo sembra irraggiungibile. All’interno della raccolta è possibile distinguere le novelle collocate in Sicilia, che prendono il nome di novelle siciliane. Pirandello diverge dal verismo in due situazioni: da un lato riscopre il sostato mitico della terra siciliana ed in questo si rivela più vicino al clima decadente; dall’altro quelle figure di un arcaico mondo contadino sono deformate fino al parossismo da una carica grottesca che le trasforma in immagini bizzarre, prive di ogni diretto riferimento ad un contesto sociale, diventando dei casi paradossali, estremizzati fino all’assurdo. Su una linea affine si collocano le novelle piccolo-borghesi. È presente una successione sterminati di figure umane che rappresentano una condizione meschina grigia e frustrata. Le figure non sono che una metafora di una condizione esistenziale assoluta. La trappola è costituita dalla famiglia e dal lavoro. Esse non sono la metafora secondo cui la vita nel duo fluire viene ad essere imprigionata. Nel tratteggiare questo variegato campionario di umanità Pirandello mette in atto il suo tipico atteggiamento umoristico. T4 P. 263 IL TRENO HA FISCHIATO da Novelle per un anno - Luigi Pirandello 5. I Romanzi Nell’estate del 1893 Pirandello scrisse il suo primo romanzo ‘Marta Ajala’ pubblicato solo nel 1901 nelle appendici del quotidiano ‘La tribuna’ con il titolo ‘L’esclusa’. È una storia ambientata in Sicilia di una donna accusata ingiustamente di adulterio che viene cacciata di casa dal marito e vi verrà riammessa solo dopo essersi resa effettivamente colpevole. Il romanzo ha ancora legami con il Naturalismo sia nella materia sia nell’impianto narrativo. In realtà i capisaldi della visione naturalistica e positivista sono già messi in discussione. Al centro, come nella narrativa verista, vi è un fatto dal forte potere condizionante, l’adulterio, ma il fatto non ha vera consistenza oggettiva, Marta non è colpevole, conto le apparenze che l’accusano. La fatalità deterministica scaturisce non da un evento reale ma da una realtà solo soggettiva, il convincimento della colpa di Marta quale si afferma nella mente del marito, della famiglia e dei cittadini. La struttura della vicenda sottolinea gli aspetti assurdi e paradossali delle azioni umane. Al meccanismo deterministico si sostituisce il gioco imprevedibile e beffardo del caso. In tal modo Pirandello conduce un’implicita polemica nei confronti del Naturalismo. Nel romanzo si può scorgere una primordiale impostazione umoristica da un lato si ha la vicenda seria e drammatica di Marta, dall’altro una folta galleria di figure grottesche e ridicole, il cui aspetto è ritratto con esasperata deformazione espressionistica. Questa singolare struttura disomogenea e frammentaria rispose all’idea pirandelliana di arte umoristica, che rappresenta l’arte senz’ordine e colma di contraddizioni. Il gioco del caso è ripreso nel romanzo successivo ‘Il turno’ del 1895 dove un innamorato deve aspettare il suo turno per sposare la donna amata, dopo la morte di altri due mariti. Il tema è svolto però in modo comico. FU MATTIA PASCAL Ormai decisamente aldilà dell’ambito naturalistico è il terzo romanzo, ‘Il fu Mattia Pascal’ che presenta già in forme pienamente mature i temi più tipici dello scrittore e sperimenta nuove soluzioni narrative. Fu pubblicato nel 1904 a puntate sulla rivista ‘La Nuova Antologia’ e nello stesso anno in volume. I motivi più rilevanti del romanzo sono: la trappola delle istituzioni sociali che imprigionano il flusso vitale; la critica dell’identità individuale, che si rivela inconsistente, una maschera convenzionale; l’estraniarsi dal meccanismo sociale da parte di chi “ha capito il giuoco”. Nel ‘Fu Mattia Pascal’ si assiste anche ad una prima prova altamente significativa della poetica dell’umorismo. Che Pirandello teorizzerà quattro anni dopo nel volume omonimo. La realtà, attraverso il gioco paradossale del caso, viene ridotta a meccanismo bizzarro, ma aldilà del riso che questo suscita vi è l’autentica sofferenza del protagonista. Scatta dunque il sentimento del contrario. La novità investe anche l’impianto narrativo: il romanzo è raccontato dal protagonista stesso, in forma retrospettiva, in quanto Mattia Pascal, al termine della sua Vicenza, affida ad un memoriale la sua esperienza; inoltre il racconto è focalizzato non sull’io narratore, che ha vissuto i fatti e quindi sa di più, ma sull’io narrato, sul personaggio mentre vive i fatti. Al punto di vista oggettivo della narrazione si sostituisce un punto di vista soggettivo, parziale, mutevole, sostanzialmente
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