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Il processo decisionale-strategico, Sintesi del corso di Management Theory

I principali approcci che nel corso del tempo hanno caratterizzato il processo decisionale strategico: - Razionalista; - Comportamentista; - Sistemico;

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 11/06/2020

roberta_lopez
roberta_lopez 🇮🇹

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Scarica Il processo decisionale-strategico e più Sintesi del corso in PDF di Management Theory solo su Docsity! MANAGEMENT STRATEGICO | Roberta CAPITOLO 8 – IL PROCESSO DECISIONALE-STRATEGICO Il processo decisionale rappresenta il fulcro della gestione aziendale da cui dipende il successo e, spesso, la sopravvivenza dell’impresa. Assumere decisioni, soprattutto in un’ottica strategica, è un compito complesso a causa del rischio legato all’incertezza ed alle informazioni spesso ambigue ed incomplete. Quanto maggiore è la complessità ambientale, tanto più frequenti sono l’incertezza e il rischio. Questi sono derivazioni dirette della complessità, anzi, rappresentano sue differenti manifestazioni dipendenti dal grado di conoscenza/conoscibilità dei fenomeni: a) Si è in presenza di rischio quando è possibile conoscere con determinata probabilità il verificarsi della decisione presa; b) Si è in presenza di incertezza quando non si ha o non si può avere piena conoscenza della legge di probabilità che governa gli eventi, quindi condiziona la scelta adottata. Essa può essere attenuata dalla conoscenza dei fenomeni che consente la misurazione degli eventi, quindi, la valutazione del rischio o delle opportunità da essi potenzialmente derivanti. La vastità e la differente rilevanza delle decisioni determinano la loro classificazione in due macro tipologie: 1) Decisioni operative Sono rappresentate dall’insieme di scelte poste in essere per il normale funzionamento dell’impresa. Caratteristiche tipiche di queste decisioni sono: la semplicità della scelta, la frequenza e ripetitività dei problemi. Esse si manifestano prevalentemente nella sfera inerente la gestione dell’impresa e, proprio per via della minore complessità del contesto, possono far ricorso a precedenti esperienze positive che riescono a risolvere determinati problemi in maniera adeguata. Le routine si distinguono dall’attività di governo che richiede la conoscenza dei fenomeni, l’interpretazione delle condizioni migliori per la realizzazione delle finalità dell’impresa e l’adozione di decisioni volte anche a dirigere la struttura operativa. 2) Decisioni strategiche Attengono tanto al governo aziendale, quanto agli aspetti che riguardano l’avvio di processi volti ad affrontare situazioni straordinarie. Rispetto alle decisioni operative, quelle strategiche possono ritenersi di ordine superiore poiché attengono ad una più vasta gamma e considerano unitariamente il complesso aziendale. Le decisioni straordinarie dovranno affrontare ambiti riguardanti la modifica dell’assetto strutturale, valutando anche le relazioni interne ed esterne attivate. Si fa riferimento, quindi, a scelte inerenti l’ampliamento dimensionale, l’implementazione di nuovi processi produttivi e/o commerciali, l’attuazione di percorsi di risanamento volti a risolvere situazioni di declino o crisi aziendali. In quest’ambito possono darsi rientrare anche le decisioni di non azione le quali sono il frutto di un consapevole percorso cognitivo che conduce l’organo di governo al convincimento secondo cui la migliore decisione consiste nel non porre in essere alcuna modifica all’assetto strategico-gestionale dell’impresa. Qualunque sia la natura del processo gestionale è fondamentale considerare che, essendo la decisione un fatto umano, può accadere che le caratteristiche dell’individuo ed il relativo processo cognitivo possano deviare dal normale fluire della razionalità, giungendo talvolta a considerazioni ed assunzioni non in linea con ciò che potrebbe apparire logico. Gli approcci manageriali Un contributo sostanziale al processo di razionalizzazione delle procedure decisionali proviene dalla scuola dello Scientific Management che assegnò una particolare rilevanza alla fase di definizione delle scelte tra più alternative di azione finalizzata alla risoluzione di un problema. Due sono gli approccio proposti: uno considera la decisione il risultato di una procedura suddivisa in fasi mentre, l’altro, al contrario, considera il processo decisionale privo di formulazione. a) L’approccio per fasi fu proposto da Simon (metà degli anni ’60) che formulò uno schema di rappresentazione del processo composto da cinque momenti logici: 1. Analisi del problema: individuato il problema vengono analizzate, in ottica sistemica, tutte le informazioni ritenute utili per prendere una decisione; 2. Ricerca di possibili soluzioni: il responsabile del processo decisionale individua le possibili linee d’azione capaci di fronteggiare il problema; 3. Valutazione e scelta dell’alternativa migliore: si sostanzia nell’analisi, selezione e scelta dell’alternativa ritenuta migliore utilizzando parametri adeguati; 4. Attuazione della decisione: ha avvio con la condivisione delle decisioni a livello organizzativo e termina con la loro attuazione dal punto di vista operativo; 5. Controllo dei risultati e l’eventuale modifica della scelta: il responsabile procede al controllo delle conseguenze e dei risultati effettivi della scelta effettuata. Questa fase può, tramite il feedback, attivare un nuovo processo decisionale qualora ci si renda conto che i risultati non corrispondono con le aspettative e alla scelta di azioni correttive più appropriate. Altro importante esponente nel filone razionalista è Andrews che, riprendendo ed ampliando quanto asserito da Chandler, definisce la strategia come l’insieme di decisioni da cui discendono gli obiettivi di un’impresa e i programmi per raggiungerli; il tutto, nell’ambito di un mercato in cui operare attraverso un’opportuna organizzazione delle componenti umane e dei mezzi disponibili per rispondere alle attese degli stakeholders. Ansoff contribuisce alla diffusione di tale approccio, poi, interpretando la strategia come l’insieme delle modalità poste in essere dall’impresa per realizzare i propri fini. Grant, infine, definisce la pianificazione strategica come derivante da un processo logico-cognitivo durante il quale l’impresa si analizza, contestualizzando la propria configurazione rispetto all’ambiente di riferimento. L’attuazione, poi, discende dalla condivisione con l’intera organizzazione alla quale, tramite processi di delega, responsabilità e controllo, è affidata la sua esecuzione. Le decisioni della teoria comportamentista Negli anni Ottanta, per via dell’accentuarsi dell’instabilità ambientale e della connessa iper-competitività, si diffondono modelli comportamentali basati sull’apprendimento delle strategie di successo secondo una logica learning by doing. Secondo Coda, l’approccio comportamentista nasce e si diffonde per via del riconoscimento dell’importanza e della continuità del processo strategico e del ruolo del learning by doing nella definizione delle strategie. Secondo i sostenitori di tale approccio, la complessità ambientale e, quindi, la difficoltà di previsione vanificano il processo decisionale basato sulla razionalità comportamentale. Tra i principali fautori della teoria comportamentista c’è Normann che interpreta la strategia come l’effetto di un processo di apprendimento basato su << idee circa la nicchia o il mercato che dovrà alla fine essere dominato, il tipo di sistemi o prodotti da immettere nel mercato ed il tipo di organizzazione e risorse che rendono possibile tale dominanza >>. La peculiarità di questo approccio può trovarsi nella continua ricerca di adattamento delle scelte strategiche in funzione dei mutamenti ambientali e della nuova conoscenza maturata. L’esperienza dell’impresa e le capacità conoscitive del management diventano i pilastri fondamentali su cui poggia il disegno strategico che, in questa prospettiva, è in continua evoluzione. Altro importante contributo che muove dalla posizione di Normann è quello di Mintzberg, il quale sostiene che << la creazione della strategia procede per due vie parallele: quella deliberata e quella emergente >>, con ciò proponendo un distinguo tra la strategia intenzionale e la strategia effettivamente realizzata. La strategia deliberata per trasformarsi in strategia realizzata, ha bisogno del verificarsi di una serie di condizioni: a) esistenza di precise intenzioni, quindi obiettivi comunicati a tutta l’organizzazione; b) condivisione e supporto della stessa organizzazione; c) compatibilità ambientale, che può agevolare il raggiungimento degli obiettivi; Il differenziale tra la strategia deliberata e la strategia realizzata è la strategia emergente. Essa è il frutto dell’intuito e dell’esperienza del management che riesce ad attivare processi di sviluppo, sfruttando circostanze ed episodi non pienamente prevedibili. Il processo decisionale nell’ottica dell’Approccio Sistemico Vitale Le decisioni di governo e di gestione non sempre rispondono all’obiettivo dell’efficienza, talvolta anche per esigenze di ordine superiore cui le imprese devono far fronte. Il governo delle organizzazioni, infatti, è un’attività imprevedibile, non replicabile e facilmente comprensibile dall’esterno. Ciò perché il processo decisionale risente delle capacità, delle esperienze, conoscenze e sensibilità proprie del decisore, nonché di fattori ambientali e contingenti. E’ in quest’ottica che prende posizione l’Approccio Sistemico Vitale che cerca di contenere gli effetti di una decisione rapportandola alle aspettative dei sistemi con cui l’impresa si relaziona. In tale ottica sistemica, infatti, l’impresa interagisce con sovra e sotto sistemi dalle cui aspettative non è possibile non tener conto nel momento del processo decisionale e della definizione delle strategie. La soluzione che garantisce la massima efficienza, in generale, non è rapportata agli effetti che essa produce sulle relazioni in essere con gli altri sistemi. Si tratta, quindi, di riuscire a verificare, oltre all’efficienza, anche la consonanza, cioè la compatibilità sistemica, che essa produce sui rapporti (sia presenti che potenzialmente derivanti dalla decisione presa). Quindi, in linea generale, per attuare il processo decisionale l’approccio sistemico prevede le seguenti fasi: 1. definizione delle decisioni da assumere; 2. identificazione dei sovra sistemi rilevanti per ciascuna decisione; 3. articolazione degli attributi che contraddistinguono le varie decisioni; 4. determinazione dell’importanza di ciascun attributo per ogni sovra sistema; 5. definizione delle attese di ogni sovra sistema per le molteplici decisioni; Grazie alla possibilità di assumere decisioni compatibili con i sovra sistemi, l’impresa riesce, quindi, a perseguire la propria sopravvivenza. L’approccio sistemico pone particolare importanza al momento cognitivo nella formulazione e attuazione delle decisioni. La dinamica decisionale, infatti, è strettamente connessa ai livelli di conoscenza dei decisori. Questo patrimonio di informazioni viene, nella fase applicativa, mediato tramite la capacità operativa per trasformarsi da sapere astratto in sapere dotato di validità perché opportunamente contestualizzato. La conoscenze nel processo decisionale Tutti gli approcci manageriali al processo decisionale condividono la considerazione che il decisore è influenzato da ciò che conosce, dalle esperienze fatte e dalle difficoltà di interpretazione delle informazioni ricevute. Nel mercato attuale, competere significa apprendere in modo efficacie ma, soprattutto, più rapidamente rispetto ai competitors, trarre nuova conoscenza dalle esperienze quotidiane della gestione, mirando ad impiegare tale patrimonio accumulato, in termini di know how, abilità e competenze, come potenziale su cui fondare le azioni strategiche. La conoscenza intesa come insieme di esperienze, valori ed informazioni è riconosciuta, dunque, come risorsa chiave per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Si tratta di risorse intangibili sempre più rilevanti nella configurazione del patrimonio aziendale e costituiscono il fondamento del potere competitivo d’impresa. Conoscenza, informazioni e dati Il legame funzionale che trasforma un complesso di informazioni in conoscenza presuppone la capacità degli operatori aziendali di attivare relazioni interne ed esterne, di tratte dati dall’applicazione di norme e processi organizzativi. La rilevazione di dati non strutturati ha utilità per il processo solo se questi vengono contestualizzati, categorizzati e trasformati in informazioni con rilevanza e finalità specifiche. Per far ciò è richiesto un apparato adeguato, caratterizzato da competenze elevate e coordinamento tra i vari sub-sistemi aziendali. Le informazioni, in un’ottica di processo, sono un flusso di messaggi che influiscono sulla conoscenza, perché la integrano, la modificano, l’arricchiscono. L’informazione, in altre parole, offre un segnale che l’individuo può apprendere trasformandolo in conoscenza. La conoscenza, quindi, è un mix di esperienze, valori, informazioni contestuali, approfondimenti, intuizione fornite dall’ambiente. Nelle organizzazioni è incorporata non solo in documenti, ma anche in routine Successivamente si è assistito ad un uso più efficiente delle informazioni TPS grazie allo sviluppo di modelli atti a finalizzare meglio le informazioni tramite elaborazioni mirate. Un’importante evoluzione è stata quella rappresentata dai Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS) che permettono di analizzare le informazioni e supportare le decisioni tramite l’impiego di modelli matematico-statistici, i quali rielaborano e interpretano i dati aziendali in modo rapido e flessibile. Meriti riconosciuti ai DSS riguardano la correttezza e la tempestività nella verifica dei dati e dei correlati eventi, oltre ad una costante ricerca di semplificazione d’uso dei modelli sottostanti. Oltre a questi, l’utilità per la previsione della crisi tramite le rielaborazioni dei dati provenienti da bilanci aziendali opportunamente comparati ed analizzati. Ulteriore passo tecnologico è costituito dai sistemi aperti che risolvono i problemi con programmi di tipo inferenziale che ricercano la migliore soluzione vagliando le diverse alternative possibili. Due sistemi sono i Sistemi Basati sulla Conoscenza (SBC) e i DSS Intelligenti (IDSS), nati dall’integrazione tra scienza manageriale ed intelligenza artificiale. La raccolta e la rielaborazione dei dati risulta essere un processo decisivo per la gestione, perché da esso possono discendere le differenze competitive; in questo senso la business intelligence appare uno strumento fondamentale. Le attuali evoluzioni tecnologiche consentono, infatti, non solo l’elaborazione di dati con modelli matematici ma permettono anche una loro trasformazione in deduzioni logiche basate su un ragionamento simbolico. Questo processo parte con l’acquisizione di dati grezzi, che vengono poi selezionati, rielaborati ed interpretati secondo una sequenza basata sull’intelligenza artificiale, grazie alla quale si attua un processo problem solving che prevede diverse fasi: 1) Riconoscimento del problema, cioè di condizioni che richiedono soluzioni idonee ad apportare miglioramenti. In quest’ambito il problema può essere strutturato (quando si conoscono i metodi per individuare la soluzione migliore), non strutturato (quando ha il carattere della complessità e della novità poiché non si ritrovano precedenti esperienze) e semistrutturato (quando i criteri per trovare una soluzione sono parzialmente conosciuti). 2) Individuazione delle soluzioni alternative, molto legata al livello di conoscitivo del decisore. Maggiori conoscenze implicano maggiori alternative a disposizione per la scelta. La numerosità, tuttavia, non è sempre un elemento positivo dal momento che può condurre a determinare maggiore complessità, quindi maggiori difficoltà nella selezione della scelta migliore. 3) Individuazione di un criterio atto a valutare l’alternativa più adeguata rispetto alle esigenze aziendali. In questa fase è necessario, quindi, disporre un set di variabili e di attributi che la soluzione dovrebbe avere. 4) Scelta della migliore opzione considerando i diversi risultati raggiungibili dalle varie opzioni.
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