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Il processo di formazione. Scritti di formazione 2 (1981-2005) - G.P. Quaglino, Appunti di Sociologia Del Lavoro

Riassunto del libro "Il processo di formazione. Scritti di formazione 2 (1981-2005)" di G.P. Quaglino. Libro d'esame "Lavoro e Capitale umano, secondo modulo"

Tipologia: Appunti

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Scarica Il processo di formazione. Scritti di formazione 2 (1981-2005) - G.P. Quaglino e più Appunti in PDF di Sociologia Del Lavoro solo su Docsity! 1 IL PROCESSO DI FORMAZIONE Scritti di formazione 2 (1981-2005) – G.Piero Quaglino PARTE PRIMA CAPITOLO 1 → IL PROCESSO DI FORMAZIONE La formazione prima che come settore della pratica sociale va riferita e ricollegata ad un campo di macro- eventi che vedono coinvolte collettività di rilevanti dimensioni rispetto a più o meno complessi processi di acculturazione, di istruzione, di aggiornamento continuo. Alcuni autori sul fine degli anni ’60 avevano designato come “ambiente turbolento”, volendo con questo termine esprimere il particolare momento dinamico che la società andava attraversando, riguardava molti fatti che si presentavano caratterizzati da cicli o ritmi di cambiamento in progressiva accelerazione. Tra questi fatti rientrano la produzione di conoscenza, l’accrescimento del sapere e il suo accumulo. E ciò poneva il problema della trasmissione di tale sapere dai ristretti gruppi che presiedevano alla sua produzione ai più ampi settori della collettività. L’esigenza della formazione come fatto e fenomeno diffuso nasce dunque da una necessità di utilizzazione di conoscenze “nuove” finalizzata ad un miglioramento di molteplici aspetti della vita sociale. In particolare, il settore dove tale necessità sembrava essere fondamentale era quello del lavoro, un settore in cui si muovevano individui adulti rispetto a quella parte della loro vita adulta che è rappresentata dalla professione che essi svolgono. Tutto ciò vale ancora oggi per cui la formazione va vista come un fatto intrinseco al funzionamento di quei particolari “mondi sociali” che sono istituiti dalle organizzazioni di lavoro. E per tali motivi essa assume connotati e caratteristiche proprie che tendono a differenziarla nettamente dai processi di istruzione “scolastica” che si rivolgono ai giovani. La formazione viene ad essere riconosciuta soprattutto rispetto alle sue finalità concrete ed operative di miglioramento della preparazione professionale di determinati gruppi o categorie di individui: essa non si caratterizza cioè come fatto di promozione culturale quanto come momento di trasmissione e acquisizione di un sapere tecnico e specialistico che si ritiene vincolante per un’efficace “prestazione di lavoro”. Una nostra sensazione è che i contributi alla riflessione che si sono accumulati in questi anni ad opera di studiosi e operatori sembrano talvolta essere stati dettati più dalla preoccupazione di consolidare pratiche immediatamente condivisibili che non dall’obiettivo di “sfruttare” la pratica in un’ottica critica, di dibattito e di cambiamento. Ciò che è certo largamente condiviso e consolidato è un modo di pensare e di rappresentare l’insieme delle azioni ed operazioni che designano il campo della formazione rispetto ad una sequenza di momenti o di tappe, rigorosamente determinata (ANALISI DEI BISOGNI → PROGETTAZIONE DELL’INTERVENTO → ATTUAZIONE DELL’INTERVENTO → VALUTAZIONE DEI RISULTATI). Scontato che la formazione non si dà per così dire “nel vuoto sociale” ma deve prendere avviò da necessità ed esigenze specifiche: dunque da una rilevazione più o meno puntuale, precisa, approfondita, ma comunque sufficientemente aderente alla realtà, di “bisogni” da soddisfare, di carenze da comare in riferimento ad aree altrettanto realisticamente individuate di preparazione professionale. Il passo successivo non potrà che consistere nella produzione di ciò che è stato rilevato come bisogno in specifiche indicazioni quanto alle caratteristiche che dovrà assumere il setting finalizzato alla trasmissione del sapere. Si tratta di specificare obiettivi di apprendimento, di dettagliare i contenuti di tale sapere, di scegliere le modalità più opportune per la sua trasmissione → di costruire il “corso” che è ciò in cui si concretizza lazione formativa. 2 Un ulteriore passo è rappresentato dal tentativo di disporre di una misurazione di ciò che è realmente avvenuto, di ciò che si è ottenuto con l’azione formativa: dei suoi risultati rispetto agli obiettivi che ci si era posti. Si tratta di distinguere meglio tra un piano del dichiarato ed un piano del pratico. Nella pratica molte cose divengono meno chiare e meno ovvie. Il rapporto tra ricerca e azione si intende più nella logica della continuità che non della contemporaneità, una logica che non tiene conto de nodo tra conoscenza e cambiamento. Ciò che si verifica è un’identificazione dell’azione unicamente con il momento del corso: analisi dei bisogni e valutazione dei risultati sono invece riconosciuti come fatti di “ricerca” dunque in una cera misura estranei al cambiamento, irrilevanti rispetto agli obiettivi di cambiamento che con la formazione ci si pone. La formazione tende inevitabilmente a riprodursi attraverso i corsi che fa: in tal senso ad autoconfermarsi e di conseguenza a distanziarsi progressivamente dalla realtà che al contrario continua per conto suo a trasformarmi. Ed è ovvio che uno dei modi per essere aderenti alla realtà, per tenere il passo delle trasformazioni non può essere che quello di interrogarne effettivamente i bisogni da un lato e di misurarsi con i risultati ottenuto dall’altro. Il che ci conduce a prendere in esame un secondo aspetto accanto a quello della sequenza di fasi di cui si compone il processo formativo. Possiamo distinguere TRE obiettivi del processo formativo: • Il sapere: indica un miglioramento quantitativo di dati di conoscenza, nozioni, concetti. • Il saper fare: indica un miglioramento qualitativo di particolari capacità legate alle modalità specifiche richieste per svolgere un particolare lavoro o al modo di affrontare i problemi connessi ad un particolare ruolo istituzionale o professionale. • Il saper essere: indica un miglioramento sia quantitativo che qualitativo, inteso sia come approfondimento degli elementi di conoscenza su di sé, sui propri comportamenti e sulle proprie modalità di strutturare le relazioni sociali o i rapporti all’interno dei diversi gruppi sociali di appartenenza; sia come evoluzione e maturazione sul piano personale nei modi di affrontare i diversi problemi di relazione nella società o nelle organizzazioni istituzionali. A ciascuno di questi obiettivi si associano i diversi piani su cui si focalizza l’apprendimento e i diversi tipi di strumenti o metodologie didattiche. È certo pensabile che esistano tipi differenti di formazione che per le loro diverse caratteristiche e a fronte di bisogni ugualmente diversi si orientano a promuovere contenuti di apprendimento in riferimento ad un sapere “tecnico” piuttosto che ad un sapere “personale”. Ma non è certo pensabile realisticamente che gli individui di cui tale apprendimento si vuole promuovere possano essere “attivati” su piani differenti o per parti diverse: escludendo cioè ad esempio di ottenere un miglioramento di conoscenze che non stimoli alcun cambiamento di atteggiamenti. Pensare il contrario è dunque possibile sole se si pensa alla formazione senza pensare agli individui a cui si indirizza. La formazione in questo senso è infatti per lui esperienza totalizzante in quanto in ogni caso mette in gioco la totalità delle sue esperienze. Anche in questo caso il ritrovare più precisi collegamenti tra i vari piani, il rendere permeabili i rispettivi confini non può che tradursi in ultima analisi in una formazione più vicina a colui al quale si indirizza. Anche in questo caso il recupero dell’individuo, e cioè i suoi bisogni, come “elemento vincolante” per la scelta di obiettivi e contenuto della formazione, non può che riflettersi in una rilevante diminuzione della distanza della formazione stessa dalla realtà. In sintesi l’esistenza di ampie zone di condivisione quanto ai modi di intendere taluni aspetti di fondo della formazione non deve trarre in inganno: altrettanto ampie sono le aree problematiche sottese. Esse vanno riferite in larga misura a quell’esclusione del soggetto che è a sua volta vincolo principale per una effettiva aderenza alla realtà del processo formativo e condizione rilevante della sua efficacia. Gli aspetti problematici di concretezza ed efficacia della formazione riguardano principalmente il settore della formazione al management. 5 Come si vede ancora una volta è l’esplicitazione del confine tra mondo esterno e mondo interno da un alto il recupero del mondo interno dell’altro ad articolare una proposta di soluzione del problema della concretezza della formazione. Il concetto di esperienza è il riferimento che si ritiene cruciale. Morris (1975) ritiene che pensare agli operatori della formazione come agenti di consapevolezza ci consente di ritrovare per confronto con l’agente di cambiamento, quel nodo inestricabile tra conoscenza e cambiamento dove la conoscenza per sé è tanto più efficace quanto più è al tempo stesso conoscenza di sé: dove cioè la trasmissione del sapere è tanto più autentica quanto è al tempo stesso elaborazione dell’esperienza. CAPITOLO 2 → L’ANALISI DEI BISOGNI L’analisi dei bisogni viene solitamente identificata con il momento di rilevazione delle necessità formative preliminare al corso vero e proprio. Questa definizione operativa che non contiene elementi che ne precisino l’oggetto, è comunque chiara e condivisa. Si deve riconoscere il ruolo essenziale dell’analisi dei bisogni rispetto all’efficacia dell’intero processo formativo, e dall’altro nell’esprimere un’insicurezza rispetto alla pratica ovvero alla traduzione dell’obiettivo di analisi dei bisogni sul piano operativo, concreto. Per chiarire questa contraddizione tra dichiarazioni di importanza e ammissioni di incertezza nella pratica, si può fare riferimento alla ricerca promossa dall’Efmd nel 1973/74 su “i bisogni di formazione al management nella comunità economica europea”. In questa ricerca si è riscontrato che i ricercatori si sono imbattuti in una difficoltà dove si trattava di definire in modo univoco il concetto di bisogni di formazione; di conseguenza ne sono derivate, sul piano della conduzione della ricerca stessa, ulteriori difficoltà nel costruire una classificazione esaustiva delle procedure e dei modelli di riferimento utilizzati nel fare l’analisi dei bisogni; infine dai dati raccolti non si può non rilevare una differenziazione tra gli interlocutori della ricerca rispetto ai modi, ai tempi e agli investimenti pensati e attuati per attività di analisi dei bisogni. Le modalità operative che sono state messe a punto non sempre sono risultate valide ed efficaci. Negli ultimi anni si sono verificati fatti nuovi che hanno contribuito a riconfermare l’importanza dell’attività di analisi dei bisogni rispetto alla formazione. Nella maggior parte dei casi l’attività di analisi dei bisogni continua ad essere concepita come una operazione di confronto tra gruppi di informazioni differenti, riguardanti da un lato lo schema ideale della formazione, della carriera e le strategie aziendali e dall’altro la rilevazione del mercato e la rilevazione delle carenze dell’Università. 2.1 IL “POSTO” DELL’ANALISI DEI BISOGNI L’analisi dei bisogni è in primo luogo un’attività di ricerca finalizzata all’acquisizione di dati ed informazioni utili per proseguire o meno nelle tappe successive del processo di formazione: nell’individuazione degli obiettivi didattici, dei contenuti e dei metodi d’insegnamento da adottare, e nella realizzazione di tale esperienza attraverso un corso. Dopo aver definito l’oggetto di indagine, individuato tramite l’analisi dei bisogni, sarà possibile procedere con la scelta di strumenti e tecniche congruenti rispetto allo specifico oggetto di indagine. Vi è un secondo problema che riguarda la definizione dell’oggetto di indagine: che cosa si intende con il termine “bisogno di formazione”? Esiste un terzo problema che rappresenta il vero problema dell’analisi dei bisogni, che va ritrovato nel contesto relazionale entro cui l’attività di ricerca si svolge. L’attività di formazione è in larga misura promossa da organizzazioni concrete, come industrie, banche, enti pubblici etc., che devono nella formazione uno strumento per migliorare la loro efficienza e per risolvere problemi legati alla preparazione professionale delle persone. L’analisi dei bisogni è un’attività di ricerca effettuata dagli specialisti, essa è anche ciò che le organizzazioni fanno, implicitamente o esplicitamente, o hanno già fatto nel momento in cui si rivolgono alla formazione: in termini di costi, di budget e di impegni finanziari. 6 L’attività di formazione è un fatto di strategia aziendale, un fatto di investimenti e un fatto di politica del personale. L’attività di formazione accompagna anche momenti o fatti di cambiamento dell’organizzazione, intersecando in questi processi di gestione del personale ma anche processi più complessi di ridefinizione strutturale. Per poter capire meglio questa contraddizione tra la chiarezza delle definizioni e le difficoltà di pratica per ciò che concerne l’analisi dei bisogni, si cerca di esplorare l’analisi dei bisogni su un duplice piano: come fatto relazione e come fatto metodologico. È tuttavia indispensabile fare prima altre due considerazioni in merito al concetto di bisogno di formazione. 2.2 COME DEFINIRE I BISOGNI DI FORMAZIONE Sono state raccolte alcune definizioni di bisogno: 1. Desideri di sviluppo personale dichiarati dai manager e finalizzati ad un miglior svolgimento dei loro compiti; 2. Scarto tra contenuti della formazione manageriale e ciò che i manager desidererebbero/dovrebbero apprendere; 3. Scarto tra modello pedagogico utilizzato dalla formazione manageriale e desideri dei manager/delle loro organizzazioni; 4. Scarto tra risorse a disposizione per la formazione e risorse necessarie; 5. Scarto tra il ruolo teorico della formazione manageriale nell’economia e il ruolo effettivamente giocato; 6. Scarto tra comportamenti attuati e modello teorico del manager ideale. Non tutte queste definizioni si devono considerare come alternative le une rispetto alle altre: alcune possono essere considerate complementari. Ciascuna definizione rimanda a un più generale modo di intendere la stessa formazione manageriale. Le definizioni 1 e 4 privilegiano aspetti legati ad una teoria dell’organizzazione, mentre le definizioni 2 e 3 privilegiano aspetti connessi con una teoria dell’apprendimento/cambiamento individuale; la definizione 6 privilegia aspetti riconducibili ad una teoria del management. La teoria della formazione manageriale nasce dall’intreccio della teoria dell’organizzazione, della teoria del management e di una teoria dell’apprendimento/cambiamento. Si possono dare differenti definizioni dei bisogni in quanto ciascuna può privilegiare aspetti riconducibili a più generali punti di vista differenti sulla formazione. Una definizione di bisogno accettabile deve tenere conto contemporaneamente di più piani e livelli di analisi. Un altro dato a cui si può prestare attenzione, è che in cinque casi il bisogno formativo compare definito dal termine scarto. Il bisogno si riferisce ad uno stato di mancanza da colmare, ad una distanza tra ciò che si ha o si è e ciò che si pensa si dovrebbe avere o essere. Il concetto di bisogno formativo non può essere esaustivamente definito e assunto muovendosi all’interno di una logica per cui l’individuo è solo il compito che svolge ed ha solo competenze e capacità associate allo svolgimento di tale compito. Quaglino propone inoltre una definizione di manager che non ricorra unicamente a tipologie operazionali (basate su ciò che i diversi tipi di manager fanno) e a tipologie situazionali (che tengono conto delle differenze sulla base del ruolo globalmente inteso). Con il termine manager si indica: - Un ambito particolare di vita quotidiana, insieme di sequenze, di atti e di azioni complesse, routinarie ma sufficientemente specifiche da non essere confuse né assimilate in altri ambiti; - Un insieme di modelli, di modi di pensare e di rappresentarsi l’organizzazione di un lavoro, il profitto, la carriera, il potere, le relazioni interpersonali e di gruppo etc.: in una parola tutto il mondo aziendale, dal punto di vista di chi occupa una posizione di dirigente; - Un insieme di piani , più o meno articolati, che riguardano gli obiettivi personali e professionali del manager, quelli a lui assegnati in riferimento ai compiti da svolgere, quelli più ampi perseguiti 7 dall’organizzazione di cui fa parte e i meta-obiettivi che riguardano il bilanciamento di tutti questi; inoltre, il manager tenta di conciliare i propri obiettivi con quelli dell’organizzazione; - Un insieme di vissuti emotivi, di desideri, ansie, di timori etc. associati con ciò che si fa e con ciò che ci si propone di fare rispetto al contesto in cui ci si trova; - Tutti gli aspetti precedenti considerati come ciò che inconsapevolmente ma inevitabilmente si accumula e si modifica in termini di cultura propria di un particolare gruppo di persone. Il concetto di bisogno può essere riferito ad un ordine di fatti più ampio di quelli che si riassumono nel compito, da un lato, e nelle conoscenze, capacità dall’altro. Questo bisogno, si può ritenere espressione della relazione tra individuo ed organizzazione: può dunque essere definito tenendo conto sia di più complessi aspetti dell’individuo e dell’organizzazione, sia di quello che possiamo definire il sistema di attese reciproco. I bisogni di formazione restano un fatto specifico rispetto al più generale sistema di bisogni in base al quale gli individui orientano la loro condotta. In tale articolazione il lavoro e l’organizzazione di appartenenza, occupa un posto di privilegiato così come un posto altrettanto privilegiato è occupato dalla famiglia. Il sistema dei bisogni risulta fortemente vincolato dall’appartenenza organizzativa oltre che a quella familiare ed i bisogni di formazione non possono essere considerati del tutto estranei a questo ordine di fatti più generali. Se gli individui appartengono all’organizzazione è vero anche che l’organizzazione appartiene agli individui in quanto fa parte dell’articolazione del loro mondo sociale: dunque i bisogni di formazione ne vengono influenzati. Si possono, allora, definire i bisogni di formazione sono quelle specifiche esigenze connesse alla preparazione professionale dei singoli, che avranno per contenuto ciò che gli individui fanno (la loro attività), ciò che si propongono di fare (i loro piani e progetti) e come (il loro modello culturale), in riferimento allo stato della loro relazione con l’organizzazione. Anche l’organizzazione esplicita i suoi bisogni di formazione rispetto agli individui: li formulata dipendentemente dal suo sistema di bisogni, dai suoi piani, dal suo modello culturale. I bisogni di formazione sono ciò che volte a volta emerge dall’incontro tra la definizione che ne dà l’organizzazione e quella che ne danno gli individui. 2.3 L’ANALISI DEI BISOGNI COME FATTO RELAZIONALE Nel momento in cui un’organizzazione riconosce la preparazione professionale come problema cruciale per il raggiungimento dei propri obiettivi e nel momento stesso in cui riconosce nella formazione lo strumento di cui avvalersi per la risoluzione di tale problema, allora la formazione diventa un fatto istituzionale. Diventa ciò a cui si fa riferimento per promuovere miglioramenti nel funzionamento dell’organizzazione. L’organizzazione si attrezza così per fare formazione, impegnando risorse economiche, delegando persone ad occuparsi di queste attività. Tutte queste persone coinvolte possono avere interessi ed obiettivi diversi. Con il termine formatore si vuole indicare coloro che gestiscono in prima persona il processo formativo rispetto alle varie fasi di cui esso è composto. Con il termine committente si designano tutti coloro che agendo all’interno e per conto dell’organizzazione, si trovano ad essere estensori e promotori di una richiesta di azioni finalizzate alla preparazione professionale di altre persone o gruppi appartenenti alla stessa organizzazione. Molto spesso il committente è il vertice aziendale, le varie direzioni o enti in cui l’organizzazione si articola. Con il termine cliente/utente si indicano tutti coloro a cui è diretta l’iniziativa di formazione, in quanto “partecipanti al corso”. Il rapporto tra queste 3 figure è problematico nella pratica per diversi motivi. Per prima cosa si può osservare che il committente in quanto mette a disposizione le risorse economiche necessario per la realizzazione dell’iniziativa di formazione, è portato a riflettere su di essa, in termini di costi/benefici. Da parte del committente è condivisa un’immagine della formazione (e dei bisogni che essa deve colmare e dei risultati che deve ottenere), come finalizzata ad un miglioramento globale dell’organizzazione. Il committente considera la formazione come un fatto di sviluppo dell’organizzazione, il 10 avvalere solo dell’osservazione diretta, dell’intervista (individuale o di gruppo), e del questionario o di altri strumenti analoghi che si basano sulla compilazione di uno scritto. Ciascuno di questi tre metodi si differenzia dagli altri per il modo in cui vengono raccolti i dati, ovvero per il modo in cui viene condotta l’interrogazione dell’oggetto o del fenomeno per la possibilità di interrogare in tutto o in parte l’oggetto o il fenomeno stesso. Soddisfare l’obiettivo di indagine che ci si propone, dipende dal riconoscimento di queste differenze ovvero dai pregi e difetti di ciascun strumento. Il metodo dell’osservazione comporta problemi operativi complessi, come per esempio la difficolta di procedere all’interno di una organizzazione con un’attività di osservazione di un certo numero di persone per periodi di tempo significativi. L’osservazione diretta modifica l’oggetto osservato o interferisce con la possibilità reale di acquisire dati validi ed attendibili. Da un lato si deve tenere conto di quelle che sono le implicazioni soggettive dell’osservatore che tendono ad interferire con quanto si osserva. Dall’altro lato si tratta si tenere conto delle parallele implicazioni soggettive dell’osservato in larga misura vincolate a vissuti di ansia presenti nella situazione di osservazione rispetto a ciò che gli altri stanno scoprendo. Questo viene designato con il termine di effetto Hawthorne Quando l’osservazione viene utilizzata come strumento di ricerca in ambito organizzativo, alle difficoltà delle implicazioni soggettive delle parti in gioco, vanno aggiunte le difficoltà delle implicazioni soggettive dell’intera organizzazione entro cui ha luogo il processo di osservazione. L’utilizzo di questo strumento (osservazione) in vista di un’analisi dei bisogni di formazione richiede al ricercatore di tenere conto delle distorsioni che si possono verificare rispetto ai dati che si raccolgono. Passando al questionario, anche per questo metodo si possono esprimere alcune critiche. L’eccessiva distanza che esso istituisce tra il ricercatore e l’oggetto di indagine, conduce a ritenere che l’utilizzo del questionario è indispensabile solo in funzione della dimensione dell’oggetto di indagine stesso: come per esempio una popolazione di soggetti da interrogare ampia, o distribuita su un territorio molto vasto. Il questionario consente di ottenere dati di superficie rispetto all’oggetto di indagine, molto generali e generici; questo sia perché i dati che si ricavano sono precodificati in funzione dello schema che si è adottato per la formulazione delle domande che compongono lo strumento, sia per l’impossibilità di controllare l’attendibilità e validità dei dati che si raccolgono. A questi problemi si può avviare con una standardizzazione dello strumento; la procedura in questo caso è quella di effettuare delle interviste aperte con un campione di potenziali interlocutori dell’indagine, e di giungere alla formazione di domande precise da introdurre nel questionario. Rispetto all’analisi dei bisogni, il ricorso al questionario si rivela connesso con un ordine di problemi inerenti da un lato la completezza dello schema concettuale di riferimento circa l’oggetto di indagine e dall’altro la precisione e la coerenza interna con cui si opera nella formulazione delle singole domande. Il ricorso all’intervista è da privilegiarsi in molti casi rispetto ad altri strumenti. La possibilità di controllare i singoli contenuti del processo di scoperta nel momento in cui esso ha luogo e con la partecipazione e collaborazione degli interlocutori dell’indagine che fanno considerare l’intervista con termini positivi. Il ricercatore quindi, quando avvia un’indagine di analisi dei bisogni, deve predisporre di una lista di interrogazione con la quale raccogliere i dati indispensabili per proseguire nell’attività di formazione. Questa interrogazione rimarrà nel caso dell’osservazione, implicita e silenziosa, nel caso del questionario rimarrà silenziosa ma esplicita e nel caso dell’intervista rimarrà esplicita e manifesta. Quasi sempre bisognerà adattare queste liste di interrogazione alle specifiche esigenze poste dall’indagine. L’analisi dei bisogni è definita come un’attività di raccolta di dati a due differenti livelli: presso l’organizzazione e presso gli individui. Rispetto all’analisi dei bisogni di formazione dell’organizzazione, si tratta di predisporre un impianto di indagine finalizzato alla raccolta di tre tipi differenti di dati. I primi sono i dati generali sull’organizzazione in base ai quali ricavare una descrizione dettagliata dei diversi aspetti della realtà organizzativa entro la quale si pensa di promuovere iniziative di formazione. I secondi sono i dati sul personale che consentono di ottenere una descrizione delle caratteristiche oggettive possedute dalle persone che in questa organizzazione operano (come età, titolo di studio, anzianità aziendale etc.) e delle 11 caratteristiche inerenti alcuni aspetti del “comportamento organizzativo” (come assenteismo, dimissioni, turnover etc.). In fine ci sono i dati sulla formazione in base ai quali ottenere un profilo dettagliato e in serie delle iniziative di formazione promosse e realizzate dall’organizzazione sia la suo interno sia attraverso opportunità esterne. Rispetto all’analisi dei bisogni di formazione degli individui si tratta di ricavare informazioni in merito attraverso un’attività di ricerca condotta presso i potenziali utenti e finalizzata ad esplorare specifiche aree di temi e problemi. Se ne possono indicare in particolare quattro: la prima è l’analisi dell’attività in cui le informazioni, inerenti i bisogni di formazione, vengono elaborate a partire da una descrizione articolata e dettagliata di ciò che gli individui fanno, del loro lavoro, dei compiti che svolgono, delle operazioni che compiono quotidianamente; la seconda è l’analisi del ruolo si tratta di ottenere indicazioni su come gli individui “si rappresentano” il loro ruolo nell’organizzazione e nei diversi aspetti riguardanti da un lato il raggiungimento degli obiettivi assegnati, dall’altro le relazioni interpersonali e di autorità, sulle valutazioni personali che esprimono in merito a questi aspetti; l’analisi degli eventi critici indicazioni efficaci si possono ottenere dalla ricostruzione approfondita e analitica di situazioni che gli individui ritengono critiche e che essi incontrano con una certa frequenza nello svolgimento della loro attività; l’analisi del sistema di attese, in questo caso si ricercano indicazioni riguardanti la relazione tra gli individui e l’organizzazione per ciò che si riferisce da un lato alle attese reciproche, esplicite o implicite, così come vengono percepite dagli individui stessi, nonché all’insieme dei bisogni cui sono collegate (bisogni di appartenenza, di sviluppo, di carriera..) dall’altro ai piani e ai progetti che guidano il loro agire quotidiano nell’organizzazione rispetto all’articolazione dei diversi gruppi cui l’individuo appartiene non solo dentro l’organizzazione, ma anche fuori di essa. Mentre l’analisi dei bisogni dell’organizzazione può considerarsi opportunamente condotta entrando in possesso di tutti e tre i tipi di dati riguardanti l’organizzazione, il personale, la formazione e l’analisi dei bisogni degli individui potrà essere effettuata ricorrendo anche ad uno solo dei quattro tipi di dati indicati sopra. L’attenzione rivolta dal ricercatore all’uno piuttosto che all’altro di questi tipi di dati dipenderà dagli schemi concettuali di riferimento, dunque dalla teoria implicita a cui aderisce. Il compito ulteriore che spetta al ricercatore è quello di confrontare i dati raccolti sia presso l’organizzazione sia presso gli individui e di ricavare da essi elementi utili a pervenire ad una definizione dei bisogni di formazione. CAPITOLO 3 → STRUMENTI PER L’ANALISI DEI BISOGNI Nel capitolo 2 si è detto come l’analisi dei bisogni debba essere intesa nei termini di una raccolta e confronto di dati ottenuti da due differenti interlocutore, l’organizzazione da un lato e gli individui dall’altro. In questo capitolo vengono presentati alcuni strumenti e tecniche che possono essere impiegati nella conduzione dell’attività di ricerca nelle due direzioni previste. Tutti questi strumenti vanno considerati come esempi di “liste di interrogazione” che dovranno essere completate o modificate in funzione delle specifiche esigenze del ricercatore caso per caso. 3.1 – ANALISI DEI BISOGNI DI FORMAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE Molti autori esprimono l’esigenza di poter disporre di dati sul contesto organizzativo entro cui gli individui si muovono ma ben pochi in realtà giungono a proporre specifiche metodologie di indagine a questo livello. Tra questi autori si può prendere in considerazione Goldstein se si fa riferimento alle indicazioni più generali da lui formulate sul tema dell’analisi dei bisogni. La sua necessità è quella di muoversi in tale tipo di indagine entro una logica “allargata” di analisi organizzativa: e, per questo motivo, precisa come tale lista di interrogazione debba ritenersi un efficace schema di base o di partenza rispetto al quale operare integrazioni e modifiche in funzione delle specifiche caratteristiche dell’organizzazione oggetto della ricerca. La lista si compone di più voci: I. Obiettivi istituzionali II. Articolazione dell’unità III. Vincoli IV. Sintesi dei bisogni di formazione 12 V. Fonti di dati Per ciascuna voce i dati raccolti vengono riferiti alle due dimensioni dei problemi emergenti e della eventualità di formazione da intraprendere. Questa lista di interrogazione x quanto risulti una delle più precise e formalizzate non è da ritenersi alla fin fine del tutto soddisfacente. Anzitutto perché non è così immediata la lettura dei bisogni di formazione cos’ come appare nel punto IV. In secondo luogo perché le domande contenute nel punto V B dirette ai vari livelli di personale direttivo, di supervisione e impiegatizio risultano riconducibili con molta difficoltà ad uno schema di riferimento sufficientemente integrato e tale da consentire una lettura incrociata delle risposte. In terzo luogo perché non è chiaro il collegamento tra la descrizione dell’unità dell’organizzazione così come potrebbe emergere dai dati raccolti nei punti I, II, III e taluni aspetti specifici rilevabili dai documenti ufficiali indicati nel punto V A. È indispensabile però un modello di riferimento che sappia integrare in modo efficace i tre ordini di dati riferiti a organizzazione, personale e formazione. In funzione di questi 3 aspetti si propongono specifici strumenti per la raccolta dei differenti tipi di dati. Quanto all’organizzazione si tratta di impostare la ricerca finalizzata ad una raccolta di dati che ne consentano una lettura non solo per il presente. Si tratta di indagare passato, presente e futuro dell’organizzazione dove per “organizzazione” si intende quella particolare unità, sistema o sottosistema organizzativo che costituisce l’oggetto di indagine. Per quanto riguarda il passato lo schema di analisi proposto è rappresentato dalla matrice Periodi/Eventi. Si tratta di raccogliere e classificare fatti che si riferiscono a tre tipi di eventi: a) Eventi importanti che si sono verificati nell’ambiente esterno cui opera l’unità organizzativa. Con ambiente esterno si intende sia l’ambiente remoto che quello prossimo. - L’ambiente remoto ha un’influenza sull’unità organizzativa di tipo indiretto. Costituisce il quadro di riferimento entro ci si muove l’intera organizzazione, e rientrano i cambiamenti del contesto socio-politico, economico e del mercato-lavoro. - L’ambiente prossimo è costituito da sistemi e sottosistemi organizzativi con cui l’organizzazione interagisce. b) Eventi che si sono verificati all’interno del sottosistema, in particolare per quanto si riferisce a: cambiamenti e variazioni nella disponibilità/utilizzazione di risorse (persone, mezzi, know-how..); cambiamenti e variazioni in prodotti e servizi (caratteristiche, processo produttivo, allocazione e distribuzione); cambiamenti e variazioni nell’articolazione strutturale per ciò che riguarda il suo compito primario (quello necessario alla sopravvivenza della stessa). c) Eventi critici che hanno messo particolarmente in difficoltà il funzionamento o la sopravvivenza del sistema e che sono connessi agli eventi sopra descritti. Per quanto riguarda il presente lo schema di analisi proposto è costituito dalla mappa dei Processi di Scambio-Trasformazione, per ottenere una descrizione dell’organizzazione nel momento in cui la ricerca ha luogo in base a una raccolta dati per le seguenti voci: - obiettivi; - processi di trasformazione → sistema dei compiti; articolazione interna; meccanismi di controllo - processi di scambio: input (informazione & risorse); output (informazioni & prodotti servizi) - articolazione esterna La sottovoce “informazioni” sta ad indicare tutto ciò che l’unità organizzativa scambia con l’ambiente esterno in termini di richieste, politiche, norme e dati conoscitivi. Quanto all’articolazione esterna essa sta ad indicare la rete di relazioni che collega l’unità organizzativa a tutti i suoi interlocutori diretti, all’interno e all’esterno del sistema organizzativo di cui fa parte. Per quanto riguarda il futuro non esiste uno schema di analisi formalizzato. Si tratta di acquisire dati e informazioni riguardanti da un lato piani e programmi in base ai quali l’organizzazione orienta la sua azione e riguardo alle previsioni più generali che è in grado di formulare in proposito. Un secondo ordine di dati da acquisire ai fini dell’analisi dei bisogni dell’organizzazione ha per oggetto le persone, ovvero il personale: la lista di interrogazioni comprende: dati di status (età, titolo di studio, 15 ma devono costituire essi stessi parte del contenuto del corso, per consentire agli individui di compiere quel processo di riapprendimento e rielaborazione attivato nel momento della ricerca. A fronte di queste due condizioni l’analisi delle attività può in concreto tradursi nei seguenti tre tipi per ciascuno dei quali valgono strumenti e tecniche d’indagine specifiche: - Il campionamento delle operazioni; - I diari delle operazioni; - I resoconti delle operazioni. IL CAMPIONAMENTO DELLE OPERAZIONI Heiland e Richardson che tra i primi hanno affrontato il problema del campionamento delle operazioni, individuano nei seguenti i requisiti di base richiesti da uno strumento finalizzato a questo tipo di rilevazioni: 1. Una lista predeterminata di quali dimensioni devono essere rilevate: ad esempio le dimensioni “operazione svolta” oppure “luogo dove viene svolta l’operazione” oppure “contratti di lavoro”; 2. Una lista predeterminata di rivelazioni all’interno di ogni dimensione: ad esempio, all’interno della dimensione “operazione svolta” si porrebbero osservare lavoro manuale, comunicazioni telefoniche, riunioni etc.; la dimensione “luogo dove viene svolta l’operazione” potrebbe comprendere: proprio l’ufficio, ufficio d’altri, stabilimento etc.; la dimensione “contatti di lavoro” potrebbe essere descritta utilizzando la lita delle persone con le quai l’individuo viene a contatto durante il lavoro; 3. Una definizione preliminare degli interventi di tempo rispetto ai quali la rilevazione dovrà essere fatta; 4. La definizione preliminare del percorso fisico che dovrà compier il ricercatore per cogliere tutti gli aspetti utili della rilevazione. La principale caratteristica di questa metodologia d’indagine è quella di consentire una rilevazione di operazioni rispetto a 3 dimensioni: il contenuto; il luogo; i contatti. Un’ulteriore caratteristica sul piano più procedurale consiste nel fatto che la rilevazione dei dati viene effettuata rispetto a degli intervalli di tempo predeterminati: dunque a “campione” se riferita all’attività intesa dell’individuo. Thurley e Wirdenius si proponevano di ovviare ai vincoli procedurali connessi con l’uso del metodo dell’osservazione su cui si basavano le ricerche condotte sino ad allora. Nella loro indagine sulla natura dei compiti del personale di supervisione condotta su un campione di soggetti, essi procedono abbinando osservazione e intervista. In tal modo ottengono un numero assai più elevato di dati che facilitano a loro volta una analisi più approfondita dell’attività di questa fascia di personale. Essi mettono a punto un impianto di rilevazione dei dati che comprendere intervalli di tempo standardizzati che va sotto il nome di Sisco e che ovvia in parte ai problemi connessi con il ricorso al campione causale utilizzato dagli autori in precedenza. La tecnica di questi due studiosi da un lato non risolve completamente i problemi circa l’attendibilità dei dati ottenibili e dall’altro apre nuovi problemi per ciò che riguarda l’efficace utilizzazione delle molte informazioni che genera. Oltre ciò l’efficacia di tale tecnica sembra essere molto vincolata al tipo particolare di attività oggetto di indagine, si tratta di una scelta procedurale da adottare solo in casi specifici. DIARI DELLE OPERAZIONI È questa una tecnica di indagine che ha trovato la più diffusa utilizzazione nei diversi settori di studio sull’organizzazione. Le ricerche effettuate con tale tecnica sono numerose e possono essere ricondotte a quel particolare orientamento o approccio all’organizzazione che egli definisce come “scuola dell’attività di lavoro” (work activities). La principale caratteristica di questa tecnica riguarda il fatto che l’unità considerata non è la singola operazione o un insieme di operazioni (come campionamento) ma l’intera sequenza delle operazioni che l’individuo svolge in un determinato arco di tempo qual è la sua giornata di lavoro o la settimana. 16 Molta letteratura distingue in proposito tra diari compilati dal ricercatore stessi attraverso l’osservazione diretta di ciò che gli individui fanno e diari compilati da questi ultimi momento per momento o al termine del loro giornata di lavoro. Quando si opera in un settore per molti versi particolare quale è quello dell’analisi dei bisogni occorre adottare criteri specifici rispetto a quelli che valgono in genere per la ricerca nelle organizzazioni. Gli schemi di analisi che vengono presentanti vanno visti come liste di interrogazione il cui impiego è anzitutto vincolato alla relazione tra ricercatore e interlocutori dell’indagine. Tra i molti disponibili si sono scelti quelli che possono essere utilizzati in tema di analisi dei bisogni. Lo schema di analisi proposto da Carlson che è quello da considerare, forse, come la prima delle ricerche effettuate in ambito organizzativo con il ricorso sistematico allo strumento del diario delle operazioni. Ciascuna singola operazione viene classificata rispetto alle dimensioni seguenti: durata, luogo, contatti, contenuto e tipo. A queste vanno aggiunte due altre dimensioni in base alle quali l’operazione è classificata rispetto al suo riferimento temporale ed alla sua natura strategica o meno. A partire dal contributo di Carlson, gli studi successivi si sono orientati proprio sul piano metodologico in due differenti direzioni: alimentando in questo un dibattito che è di un certo interesse segnalare. Vi è stato così chi si è proposto di mettere a punto schemi di analisi più strutturali, formalizzati e standardizzati aspirando soprattutto ad ottenere una precisa quantificazione dei dati raccolti e chi invece si è mosso con strumenti di indagine destrutturati, “aperti”, tali da agevolare una maggiore acquisizione di informazioni e dunque una lettura più approfondita seppure sostanzialmente qualitativa di questo tipo di fenomeni. Vi è stato inoltre chi ha privilegiato una analisi dei contenuti delle operazioni in sé rispetto all’attività degli individui oggetto di indagine e chi invece ha focalizzato l’attenzione sulle caratteristiche di tali operazioni rispetto ad esempio al tipo di scambi ovvero di rete di contatti sottese da ogni attività. E infine vi è stato chi si è collocato all’interno di un approccio di analisi delle operazioni rispetto al sistema di compiti assegnato agli individui e chi si è mosso con una prospettiva tendente a recuperare tali operazioni nella dimensione del ruolo. La scelta migliore non è quella che coincide sempre con il “giusto mezzo” e che dunque si tratti di mettere a punto o recuperare strumenti di indagine né totalmente strutturati e standardizzati né totalmente destrutturati. Horne e Lupton hanno messo a punto una scheda di rilevazione delle operazioni che compongono l’attività del personale di supervisione di organizzazioni aziendali, che utilizza una codificazione semplice, ma nello stesso tempo sufficientemente completa. Tale scheda ha la forma di un opuscolo di 40 moduli da utilizzarsi per registrare tutto ciò che gli individuo fanno in una giornata lavorativa: un mulo per ciascuna operazione, breve o lunga. Le caratteristiche dell’operazioni vengono descritte in funzione delle dimensioni seguenti: 1. Metodo o mezzi usati (es. telefono, colloquio, riunione etc.); 2. Tempo di inizio dell’operazione e sua durata; 3. Luogo di svolgimento (es. ufficio del personale, sala rapporto etc.); 4. Riferimento temporale (se riguarda il passato, il presente o il futuro); 5. Riferimento gerarchico; 6. Persone implicate; 7. Area funzionale (tipo di problema); 8. Obiettivo dell’operazione. Mintzberg si occupò dell’indagine sul lavoro manageriale: preziosa perché ad essa è seguita per opera dello stesso autore una riflessione a più livelli, teorico, metodologico e operativo. La tecnica di rilevazione da lui approntata e definita structured observation, pur assumendo la forma dell’osservazione diretta del comportamento di lavoro. Le operazioni vengono classificate come si vede in base a tre dimensioni principali che consentono di effettuare altre registrazioni: - Il tempo ovvero la durata; - La posta in entrata e in uscita; - Il tipo di contatti. Nonostante questi contributi si rivelino particolarmente validi quanto all’efficacia degli strumenti di indagine utilizzati restano ancora aperti alcuni problemi specifici che suggeriscono l’impiego dei diari di operazioni in attività di analisi di bisogno solo “a certe condizioni”. 17 Stewart si è avvalsa di una occasione di uno schema di analisi della sequenza delle operazioni quotidiane la cui essenzialità finisce con il risultare particolarmente convincente. Tale schema prevede di classificare le singole operazioni in base alle 4 dimensioni del: quando; chi; come; che cosa. In realtà dunque anche lo strumento del diario delle operazioni presenta sul piano metodologico e operativo problemi non indifferenti, e le principali difficoltà consistono nel modo in cui gli individui, gli interlocutori dell’indagine, accettano o meno di “sottoporsi” ad un tale tipo di rilevazioni. Ma alcuni studiosi forniscono valide indicazioni per costruire nel modo migliore schede di rilevazione, del tipo diari delle operazioni, finalizzate proprio al tema che interessa e cioè all’analisi dei bisogni di formazione. Nel predisporre un diario il formatore deve compiere i seguenti passaggi: 1. Compiere un’indagine pilotata al fine di individuare in modo approssimativo i bisogni di formazione e se essi sono riconducibili ad una o più aree di capacità; 2. Stabilire le specifiche domande che si propone di fare; se la durata dell’operazione è importante: se sono importanti informazioni quelle concernenti l’area di discrezionalità del manager nel scegliere le operazioni da compiere; 3. Codificare ciascuna operazione secondo apposite categorie; 4. Predisporre un questionario nella forma di un diario. L’utilizzazione si diari delle operazioni non consente che una rilevazione “vincola a priori” nel senso che tiene in scaro conto l’importanza o meno di ciò che gli individui fanno dal loro punto di vista, e per ovviare a questo vincolo un modo, forse, sarebbe quello di ricorrere ai resoconti delle operazioni. I RESOCONTI DELLE OPERAZIONI Registrare ciò che un individuo fa non è del tutto identico ad annotare ciò che un individuo dice di star facendo. Ci si potrebbe chiedere come mai alcuni pensano che far ricerca significhi ottenere risposte precise a domande altrettanto precise, piuttosto che resoconti ampi a domande generali di semplice stimolo alle verbalizzazioni del soggetto. Il resoconto delle operazioni si presenta così come una tecnica di indagine finalizzata ad ottenere non solo un profilo della sequenza di operazioni che gli individui compiono bensì un commento dettagliato su tale sequenza che comprende spiegazioni e valutazioni x ciascuna di tali operazioni. Wirdenius è stato il primo a muoversi in questa direzione abbinando alla compilazione di un diario delle operazioni una registrazione dei commenti che gli individui erano invitati a fornire sulla base dei dati raccolti. Marples propone uno schema di rilevazione che a partire dal diario delle operazioni focalizza l’attenzione non già su tali singole operazioni bensì sui problemi che esse rappresentano per gli individui rispetto al loro lavoro. La tecnica di richiedere ad essi un commento o un resoconto dei loro comportamenti, anziché di registrarne i tratti peculiari, è del resto parte integrante di uno dei più stimolanti ed innovativi contributi proposti in questi ultimi anni della psicologia sociale. Nell’analisi dei bisogni occorre procedere secondo modalità più strutturate. Hesseling propone una scheda di rilevazione, per altro sostanzialmente analoga al diario delle operazioni, finalizzata però in particolare a raccogliere dati per ciò che si riferisce all’insieme delle comunicazioni che si danno all’interno di un gruppo di manager e articolata rispetto alle seguenti dimensioni: 1. Durata della comunicazione; 2. Chi ha avviato la comunicazione; 3. Contenuto della comunicazione; 4. Tipo di comunicazione; 5. Valutazione dell’importanza della comunicazione. È un tipo di strumento “al confine” tra diario e resoconto delle operazioni. Non è un vero e proprio diario, nonostante utilizzi dimensioni, per la classificazione dei dati, sostanzialmente analoghe e non è un resoconto a tutti gli effetti perché tali dimensioni limitano di molto il numero e il contenuto delle informazioni che si tengono e perché la valutazione richiesta ai soggetti consiste semplicemente 20 tratta di predisporre di liste di interrogazione per ottenere dati e informazioni piuttosto ricchi e dettagliati rispetto ad alcune aree tematiche di fatti e problemi associati al ruolo, tali da lasciare spazio agli individui per commenti, giudizi, attese, etc. Le componenti soggettive sono qui rilevanti e danno un senso ai dati stessi. Occorre però una particolare attenzione nell’analisi dei dati: una lettura intelligente e approfondita del contenuto condotta con opportune tecniche. Williams mise a punto uno schema di rilevazione che utilizza l’intervista individuale e che si propone l’obiettivo di esplorare gli aspetti di discrezionalità connessi con l’insieme dei compiti affidati ai soggetti. Diana Pheysey propone una formula assai originale in gran parte derivata dalle ricerche di Hemphill sugli aspetti e sulle dimensioni di quelle che egli definisce excutive positions, e che si avvale della tecnica del differenziale semantico. L’obiettivo che si propone è quello di raccogliere dati su come i manager “percepiscono” il contenuto del lavoro lavoro rispetto alle sei aree di attività seguenti: individuazione dei problemi; pianificazione; istruzioni ai subordinati; conduzione di riunioni; riesame del lavoro svolto dai subordinati; coinvolgimento nei problemi personali. L’attenzione viene posta su due liste di interrogazione presentate in una versione ridotta, la prima è ricavata da Hague e si articola in base alle seguenti aree tematiche: 1. Descrizione dell’attività (obiettivi; compiti; aree di risultati-chiave); 2. Descrizione dell’articolazione del tempo di lavoro (contenuti; contatti; decisioni); 3. Valutazione dell’attività (contenuti; cambiamenti; contatti; episodi; proprie capacità); 4. Valutazione della carriera 5. Valutazione della formazione La seconda è ricavata da V. Stewart e A. Stewart, e si articola in base alle seguenti aree tematiche: 1. Descrizione valutazione dell’attività; 2. Descrizione valutazione delle relazioni; 3. Descrizione delle attese; 4. Valutazione della formazione Si può osservare che il momento della racconta dei dati coincide per gli individui con un momento di rielaborazione personale dei fatti e problemi che riguardano la loro relazione con il proprio ruolo di avvio di un processo di riflessione su di sé strutturata e guidata, e di riapprendimento della propria esistenza personale che dovrà trovare spazi e tempi opportuni nel corso di formazione a cui parteciperanno. LA RAPPRESENTAZIONE DEL RUOLO Si indica con questo termine un insieme di conoscenze riferite a un certo oggetto. Tale insieme può essere più o meno “ricco” ed organizzato per ciascun individuo, e ciò dipenderà dal tipo di relazioni esistente tra l’individuo e l’oggetto della rappresentazione. Le conoscenze di cui si compone la rappresentazione vanno distinte in primo luogo tra degli elementi componenti (unità di conoscenza vere e proprie) e dei percorsi esplicativi costituenti la rappresentazione (sequenze casuali associate agli elementi componenti che ne spiegano a diversi livelli il contenuto). In secondo luogo vanno distinte unità di conoscenze descrittive (indicano il piano delle caratteristiche e connotati dell’oggetto), operative/normative (indicano il piano delle pratiche, sia nel senso del tipo di relazione, sia in quello delle regole e dei principi costitutivi della relazione stessa) e valutative/valoriali (fanno riferimento da un lato al piano dei giudizi e dall’altro a quello dei valori a cui i giudizi possono rimandare). Ciascuna rappresentazione contiene una sua articolazione e organizzazione interna, tra gli elementi componenti. Tuttavia, se è possibile indagare su una rappresentazione isolandola da altre, è certo che non vi è rappresentazione di alcun oggetto che si dia totalmente isolata: occorre indagare in termini di una “articolazione esterna” tra rappresentazioni, di una vera e propria rete rappresentazionale sottesa. 21 Quanto alle funzioni della rappresentazione occorre partire dalla considerazione che una rappresentazione contiene l’oggetto cui si riferisce. Le unità di conoscenza di cui essa è costituita hanno cioè la funzione di contenere a loro volta l’oggetto. In tale senso è possibile pensare ad una funzione generale di controllo dell’oggetto ovvero della relazione con l’oggetto. La formazione/trasformazione della rappresentazione è collegata ai circuiti sociali di scambio: l’inclusione/esclusione di unità di conoscenza dipende dalle diverse fonti di informazione alle quali l’individuo è esposto. Tali fonti comprendono sia i luoghi fisici, i territori, sia gli interlocutori che entrano nel circuito di scambio dell’individuo stesso. La rappresentazione si ricollega da un lato agli orientamenti degli individui, ovvero l’insieme delle attese individuali verso sé e verso il mondo esterno, dall’altro all’insieme dei piani e dei progetti di vita in funzione delle scelte di azione dell’individuo. A fronte di queste indicazioni si può precisare che un tipo di indagine finalizzata alla rilevazione delle rappresentazioni di ruolo si caratterizzerà rispetto ai 3 obiettivi seguenti: - Ricostruire l’insieme degli elementi componenti e dei percorsi esplicativi costituenti la rappresentazione nonché la sua articolazione interna rispetto alle unità di conoscenza descrittive, operative/normative e valutative/valoriali; - Individuare le fonti di informazione incidenti sulla formazione/trasformazione della rappresentazione - Indagare i collegamenti esistenti tra rappresentazione e orientamento da un lato, tra rappresentazione e progetti di vita dall’altro e in funzione delle scelte di azione dell’individuo. Si usa generalmente un’intervista approfondita e aperta per consentire al soggetto di fornire tutti i dati utili per la ricostruzione della rappresentazione e al ricercatore di controllare “in itinere” la verbalizzazione di tali dati da parte del soggetto stesso. Indagine particolarmente complessa, ma molto efficace. 3.2.3 – L’analisi degli eventi critici I dati e le informazioni che ci si propone di raccogliere in questo caso sono finalizzati alla ricostruzione piuttosto analitica di situazioni o avvenimenti che gli individui considerano come particolarmente critici e che compaiono frequentemente, periodicamente e occasionalmente nella loro attività lavorativa quotidiana. Due tecniche di indagine rivestono un interesse non solo sul pano metodologico ma anche su quello teorico e concettuale: - Il repertory grid; - Il critical incident. IL “REPERTORY GRID” La tecnica del repertory grid (griglia-inventario) può essere compresa solo partendo dalla ‘teoria dei costrutti personali’ di G. A. Kelly. Egli sostiene che ciascun individuo attribuisce significati all’esperienza di vita che conduce e matura: nel “dare un senso” al mondo in cui si muove. Il risultato di questo processo si esprime in quello che egli definisce il sistema di costrutti personali, cioè dimensioni cognitive di cui l’individuo si avvale per capire, interpretare e anticipare il proprio comportamento e quello degli altri. Essi non sono semplici modi per classificare, organizzare, “etichettare” fatti, avvenimenti, eventi etc. sono il modo personale di ciascuno di costruire le proprie e le altrui azioni. Kelly postula che tale sistema di costrutti sia composto da un numero finito di elementi di tipo dicotomico ognuno dei quali può essere utilizzato dall’individuo in riferimento ad un insieme finito di eventi. Come a dire che l’uomo può produrre mentalmente ciò che fa e ciò che fanno gli altri prima che questo accada. I costrutti sono la replica mentale anticipatoria di eventi e azioni. Per individuare i costrutti personali di cui ciascuno si serve Kelly elabora il Role Construct Repertory. La procedura classica di impiego di tale strumento prevede che dato n numero sufficientemente rappresentativo di ruolo sociali: 22 - Il soggetto indichi una persona realmente conosciuta presente nel suo ambiente interpersonale; - Successivamente confronti i diversi ruolo specificando per quali aspetti 2 di essi si possono ritenere simili tra loro e differenti dal terzo; - Si ottenga così una lista di costrutti che possono essere applicati con modalità diverse a tutti i ruoli; - Si sottopongono i dati raccolti ad opportune analisi statistiche; - Si riscostruisca lo “spazio interpersonale” del soggetto. Questa tecnica è stata elaborata in sede clinica e psicoterapeutica e successivamente è stata impiegata con opportuni adattamenti anche in svariati altri campi. Ma è possibile ricostruire il sistema dei costrutti personali non solo in riferimento ai ruoli, ma anche in riferimento agli avvenimenti che hanno coinvolto direttamente gli individui, scandendo la loro esperienza e il loro lavoro. Steward V. e A. suggeriscono una procedura di indagine degli eventi critici basata sul repertory grid, articolata nelle seguenti fasi: - Individuazione e selezione di un certo numero di fatti o episodi vissuti dal soggetto (un fatto importante; n fatto che ha occupato il soggetto per molto tempo; un fatto importante, ma indesiderato, etc.); - Trascrizione di ciascuno di tali fatti su appositi cartoncini; - Confronti successivi; - Registrazione dei vari costrutti emergenti da ciascun confronto. Di solito una ventina di confronto sono sufficienti per consentire al ricercatore di ricostruire lo spazio intrapersonale del soggetto per ciò che si riferisca al “posto” occupato dai vari eventi critici oggetto di valutazione. È evidente la complessità procedurale di un impianto di indagine che utilizzi questa tecnica, in cui la preparazione del ricercatore è un requisito cruciale. Quanto la sua efficacia è superfluo esprimere un giudizio più che positivo non solo perché consente il recupero del soggetto ma per di più con una modalità sufficientemente formalizzata e sistematica. Per quanto riguarda l’individuazione dei bisogni di formazione come specifica e settoriale prospettiva entro cui muoversi nella lettura dei dati raccolti con il repertory grid resti un’operazione con connotati, marginali e limitati di notevole empiricità, non si può che essere soddisfatti dei risultati che si ottengono con l’impiego di questo strumento. IL “CRITICAL INCIDENT” Questa tecnica è più semplice della precedente, e viene formulata da Flanagan (1954), il cui obiettivo è quello di ricavare dettagliate descrizioni di fatti o avvenimenti “tipici” rispetto a una efficace/inefficace prestazione di lavoro. Secondo Flanagan la criticità è lo scarto tra successi e insuccessi. La tecnica del critical incident così come è stata codificata da Flanagan consiste più semplicemente in una intervista in profondità articolata introno ad una domanda generale di parte e in base a tale domanda il soggetto è invitato a precisare via via i contorni ed il contenuto dell’episodio rispetto alle seguenti dimensioni: quando?; perché?; con chi?; quali “costi” ha comportato? Etc. I dati raccolti potranno a loro volta essere analizzati sia in riferimento alle dimensioni già più volte prese in esame trattando degli strumenti di analisi delle attività (in particolare ci si riferisce al campionamento e ai diari delle operazioni) quali: contatti; contenuto; tipo. Sia in riferimento alla sequenza delle singole operazioni implicate e agli aspetti-problema ricorrenti. Questa tecnica del critical incident va pensata in riferimento allo specifico lavoro che svolgono i soggetti dell’indagine e la natura degli episodi dipende dal tipo di attività rispetto alla quale essi “si generano”. E oltre a ciò vi sono pur sempre attività differenti anche tenuto conto del parametro temporale previsto per lo svolgimento e il controllo delle singole operazioni. In conclusione, la peculiarità di questo strumento consiste nel consentire una raccolta di dati analitici tali da agevolare l’individuazione dell’esatta relazione esistente, rispetto a un particolare evento, tra gli elementi 25 indipendente e della variabile dipendenti; si definisce un campione di soggetti; si procede all’esperimento facendo variare la variabile indipendente e registrando le variazioni rispetto alla variabile dipendente; si analizzano i dati raccolti scegliendo le opportune procedure di controllo statistico. Il contenuto del ragionamento sotteso da tale processo pone l’accento sulla ricerca di relazioni tra due ordini di fatti o di elementi attinenti il problema considerato. La misurazione scientifica degli effetti di un fenomeno consiste, dunque, nell’effettuare delle prove con lo scopo di confutare o confermare l’ipotesi che certi effetti siano causati da quel fenomeno. Per questo motivo si devono tenere sotto controllo tutte le variabili esterne che potrebbero determinare variazioni nella variabile dipendente. I problemi da superare per attuare questa valutazione scientifica sono complessi. Per prima cosa deve essere garantita l’uguaglianza dei gruppi: devono coincidere tutte le caratteristiche individuali dei componenti dei vari gruppi. In secondo luogo si deve affrontare il problema di quando misurare: se subito dopo la formazione oppure a distanza di tempo quando altri fattori estranei alla formazione potrebbero avere influito sui risultati. Infine si deve tenere conto dell’effetto Hawthorne in base al quale il gruppo di controllo sottoposto a misurazione potrebbe migliorare le proprie caratteristiche a causa della consapevole partecipazione alla misurazione. Si può identificare una situazione di formazione con il “laboratorio”, la formazione però è tutt’altro che una situazione artificiale. È il campo anziché il laboratorio ciò che designa la situazione formativa. È ovvio che dietro questo mood di considerare la formazione come sul terreno è presente un certo orientamento teorico e operativo le cui linee guida sono forse chiare a chi legge se si tiene conto di quanto detto. Il risvolto di questo orientamento generale sul piano specifico della valutazione dei risultati porta a considerare questa, che è la fase conclusiva di ogni processo formazione, nella logica di “campo” con cui si guarda alle fasi precedenti dell’analisi dei bisogni e del corso. Nella fase finale non c’è necessità del rigore sperimentale, ciò che è cruciale non è la relazione tra gruppi sperimentali e gruppi di controllo, quanto piuttosto il contesto relazionale tra committente, formatore e cliente/utente. Il problema della misurazione scientifica costituisce un problema di non facile soluzione. 4.2 IL CONTRIBUTO DI HAMBLIN I problemi della misurazione sono ancora oggi difficili da risolvere, ma alcuni studiosi, a partire dagli anni 60, che si sono occupati del problema della valutazione dei risultati, hanno proposto uno schema di riferimento. In base a questo schema ci sono quattro tipi di risultati misurabili: Il primo tipo sono le reazioni, cioè quanto i partecipanti sono soddisfatti della esperienza formativa; il secondo tipo è l’apprendimento ovvero quali conoscenze, tecniche, capacità sono state apprese dai partecipanti; il comportamento ovvero quanto l’apprendimento realizzato ha influito nel migliorare la condotta di lavoro; e infine i risultati cioè quali effetti ne sono derivati per l’organizzazione, quanto cioè il cambiamento individuale dei partecipanti ha influito sul cambiamento dell’organizzazione. A questo schema, se ne è accostato un altro che distingue tra quattro livelli di risultati: il livello delle reazioni, il livello dei risultati immediati, il livello dei risultati intermedi, il livello dei risultati finali. Guardando questi due schemi colpisce la logica di base alla quale sembrano costruiti questi schemi concettuali di riferimento. Se, come afferma Williams, “la formazione ha alcune caratteristiche: la prima è che il fuoco della sua attenzione è rappresentato dagli individui, la seconda è che quello che ci si aspetta dagli individui è che trasferiscano ciò che hanno appreso sul posto di lavoro” come si può pensare alla valutazione dei risultati finalizzandola all’organizzazione? Hamblin partendo anche da questo tipo di domande, che cerca di definire uno schema di riferimento dei risultati della formazione equilibrato per quello che riguarda l’aspetto dell’apprendimento individuale. Secondo Hamblin esistono diversi tipi di obiettivi di formazione a ciascuno dei quali corrispondono differenti risultati: si può valutare la formazione attraverso l’esame di quanto viene trasferito dagli individui sul lavoro, piuttosto che in termini di aumento delle loro conoscenze o di miglioramento delle loro capacità. 26 Hamblin sostiene che se si classificano i diversi tipi di obiettivi/risultati ci si accorge che si può ordinarli anche in base ad una sequenza logica in cui l’effetto di un fenomeno è la causa del fenomeno successivo. I singoli passaggi che compongono questa sequenza sono individuati: l’azione di formazione provoca nei partecipanti delle reazioni; dalle reazioni si passa alla fase successiva cioè all’apprendimento, che a sua volta l’apprendimento produce cambiamenti di comportamento sul lavoro; questi cambiamenti si manifestano con degli effetti sulla organizzazione che sono la premessa indispensabile per il raggiungimento del fine ultimo dell’organizzazione stessa. Tutti i passaggi devono avvenire affinché l’azione di formazione raggiunta l’obiettivo di un cambiamento nei risultati finali. Essi sono in rapporto di causa-effetto gli uni con gli altri, e il valutatore ha il compito di controllare i collegamenti fra un livello e l’altro. Hamblin propone delle definizioni per ciascun tipo di obiettivi/risultati: Reazione. Il primo risultato della formazione è la reazione del formando, che può verificarsi in qualsiasi momento. L’oggetto della reazione può essere la materia del corso, il formatore, i metodi usati etc. Le reazioni possono cambiare nel tempo. Questo è il primo livello a cui si possono stabilire degli obiettivi (di reazione) e raccoglier informazioni sui risultati che servono per verificare il raggiungimento di tali obiettivi. Il ciclo al primo livello quindi è il seguente: si definiscono obiettivi di reazione che determinano scelte nell’azione di formazione; l’azione di formazione provocherà delle reazioni che verranno confrontate con gli obiettivi iniziali e il ciclo si chiude. La reazione del formando può essere influenzata da eventi estranei all’azione del formatore, tali eventi devono essere controllati dal valutatore per scoprire quale tipo di influenza hanno esercitato. Reazione positive o negative possono avere una certa influenza a sua volta positiva o negativa sul processo d’apprendimento in atto nell’esperienza formativa. Apprendimento. L’azione di formazione favorisce un processo di cambiamento nelle conoscenze, nelle capacità e negli atteggiamenti attraverso l’apprendimento. I risultati possono essere valutati raccogliendo dati sull’apprendimento avvenuto nei formandi. Quindi partendo dagli obiettivi di apprendimento si opera una attività formativa che produce risultati; i risultati della formazione a livello di apprendimento concorrono a riformulare e a correggere gli obiettivi corrispondenti. Il successo dell’apprendimento dipende dall’attiva partecipazione del soggetto. Secondo Hamblin per raggiungere gli obiettivi di apprendimento devono essere soddisfate una serie di condizioni: 1. I partecipanti devono possedere le attitudini di base per essere in grado si acquisire le conoscenze e le capacità desiderate; 2. I prerequisiti del partecipante a livello di conoscenze, capacità e atteggiamento devono essere compatibili con gli obiettivi formativi; 3. I partecipanti devono reagire favorevolmente alla formazione ossia devono essere positivi quei risultati misurati al livello precedente. Dato che sul livello dell’apprendimento influiscono anche attività estranee all’attività di formazione, il formatore deve tenerne conto quando misura i risultati della sua azione. Cambiamento di comportamento sul lavoro. L’apprendimento è la premessa per raggiungere gli obiettivi di cambiamento del comportamento di lavoro. Nel raggiungimento di certi obiettivi di comportamento sul lavoro concorrono oltre all’attività di formazione, anche altre variabili che possono appartenere all’ambiente di lavoro dei partecipanti: quindi non possono essere controllate e riconosciute direttamente. Effetti sull’organizzazione e fine ultimo. Quando la valutazione dell’attività di formazione è fatta misurando il raggiungimento degli obiettivi di comportamento, viene assunto implicitamente che il raggiungere di certi obiettivi di comportamento avrà effetti benefici sull’organizzazione di cui i partecipanti al corso sono membri. Gli effetti della formazione sull’organizzazione possono essere misurati solo se esistono degli obiettivi chiari verso i quali la formazione deve tendere. 27 Esistono non solo tempi distinti e successivi, ma anche spazi diversi: un luogo in cui si impara e un luogo in cui si agisce. Si può capire che l’intreccio dei problemi tra apprendimento e azione è molto meno rigido e molto più complesso di quanto Hambiln lo ritiene. Si deve riconoscere il momento dell’apprendimento come momento di trasformazione dell’azione e l’azione stessa come un fatto di apprendimento. È ovvio che esisteranno spazi fisici diversi tra aula e posto di lavoro, tra istituto di formazione e organizzazione; il problema è quello di trasferire nell’aula ciò che si è vissuto e sperimentato da parte degli individui sul posto di lavoro al fine di promuovere un modo di agire da parte degli individui stessi sul posto di lavoro che sia anche un modo di imparare su ciò che si sta facendo. Pensando al problema della trasferibilità dei contenuti, ciò che si può trasferire non sono tanto i contenuti, quanto un modo di trasformare in contenuti ciò che si fa. 4.3 ALCUNE RIFLESSIONI DI SINTESI Le indicazioni fornite nei punti precedenti in merito ai problemi di definizione della valutazione dei risultati, ai criteri di misurazione cui riferirsi e agli schemi concettuali e procedurali contenuti nella letteratura vanno ora riformulate. Quali risultati? I risultati di un intervento formativo possono essere riferiti a tre differenti ordini di fatti o fenomeni: - Le reazioni dei partecipanti. Con questo si intende l’insieme delle percezioni, dei giudizi suscitati nei partecipanti dall’esperienza formativa per quanto riguarda diversi aspetti dell’esperienza stessa e l’immagine della formazione in generale. Le reazioni costituiscono un ordine di fatti e fenomeni direttamente emergenti nella e dalla situazione di formazione. Riguardano il modo in cui i partecipanti hanno vissuto questa esperienza, ma dipende anche da come essi hanno comunicato questa esperienza. Sono fenomeni fluidi, che possono essere verificati durante o dopo la conclusione del corso e che si consolidano a distanza di tempo nella rappresentazione della formazione. - L’apprendimento/cambiamento. Intendendo con questo, da un lato, l’insieme degli effetti prodotti per i singoli individui dalla partecipazione al corso in termini di miglioramento delle loro conoscenze e capacità, e dall’altro l’insieme degli effetti che questo miglioramento promuove rispetto alla condotta di tali individui. L’apprendimento/cambiamento costituisce il vero riferimento dei risultati del corso. Si tratta di fenomeni meno fluidi che si riferiscono alla quantità e al tipo di conoscenze apprese dagli individui, alla qualità dello sviluppo della loro condotta di lavoro. - Il cambiamento dell’organizzazione. Intendendo con questo l’impatto, che attraverso i singoli individui, che l’intervento formativo abbia avuto sulla realtà dell’organizzazione e sul suo funzionamento in riferimento in particolare agli aspetti della cultura e del clima. A questi livelli di risultati si pone il problema di ricollegare, o di individuare quanto il miglioramento registrato nei singoli si traduca in un miglioramento nel funzionamento dell’organizzazione. In questo caso il ricercatore non si troverà più confrontato con l’organizzazione da un lato, e gli individui dall’altro (come nell’analisi dei bisogni), e con la necessità di giungere ad una conciliazione di differenti definizioni di bisogni di formazione. I risultati devono essere valutati da un lato sul piano individuale rappresentato ai singoli partecipanti al corso e dall’altro per il significato che tali risultati possono assumere per l’organizzazione. Mentre, nel caso dell’analisi dei bisogni, l’attività di indagine è sdoppiata ai due livelli dell’organizzazione e degli individui, nel caso della valutazione dei risultati essa è unica in quanto non coinvolge questi due interlocutori, ma ha per interlocutori coloro che hanno partecipato al corso. Duplice sarà l’analisi di tali risultati, nel senso che spetterà al ricercatore capire gli effetti che l’apprendimento produce sul piano dell’organizzazione. Possono 30 favorirlo od ostacolarlo. Il formatore attento e preparato è in grado di cogliere le reazioni e sa trarre di volta in volta indicazioni preziose per modificare o meno la sua azione. A volte può essere necessario coinvolgere i partecipanti su questi fenomeni, favorendone una esplicitazione ed elaborazione, e sul controllo nel processo di apprendimento. Le scale di reazione sono uno strumento che può essere impiegato principalmente con questa finalità: attraverso la loro compilazione si ottengono sintetiche valutazioni a caldo di particolari momenti del corso. La loro efficacia è ovviamente limitata ad ottenere indicazioni piuttosto semplici su come stanno andando le cose, ma la loro utilità può essere effettiva se si dedica uno spazio sufficiente alla discussione tra formatore e partecipanti sui dati raccolti. DIARIO DELLE REAZIONI E LA LISTA DELLE OSSERVAZIONI DEI PARTECIPANTI (DURANTE) Accanto alle scale di reazioni che consentono misurazioni di tipo essenzialmente quantitativo, è possibile adottare anche strumenti di valutazione differenti atti a raccogliere dati di tipo qualitativo. È questo il caso del “diario” scritto dai partecipanti giornalmente oppure in chiusura di ciascuna sessione in cui si articola l’intera esperienza formativa e sul quale ognuno è invitato ad esporre le osservazioni che ritiene di esprimere, liberamente e al di fuori di ogni modalità strutturata o regola di compilazione prestabilita. L’oggetto di analisi sono le impressioni e i vissuti sperimentati da ognuno in riferimento sia ai contenuti che ai metodi di lavoro proposti dai formatori, sia alle relazioni con gli altri partecipanti. Tra i vantaggi del diario di reazioni va sottolineata la sua semplicità, immediatezza e la varietà dei dati. Questa tecnica può consentire meglio di altre di individuare più in profondo cosa davvero ha colpito positivamente o negativamente i singoli. Tutto ciò a condizione ovviamente che i partecipanti stessi per primi ritengano utile e valido questo tipo di lavoro, che esprimono fiducia nell’uso che verrà fatto di tali informazioni e che il corso stesso preveda uno spazio opportuna di discussione e di elaborazione. QUESTIONARI E GIORNATE DI VALUTAZIONE A FINE CORSO (DOPO) Le tecniche di misurazione a livello di reazioni all’esperienza di formazione sin qui esaminate consentono di attuare invariato modo un controllo del processo formativo nel momento stesso in cui esso si verifica e dunque di disporre di valutazioni pur sempre parziali, contingenti e anch’esse in cambiamento. Nei casi in cui si volessero raccogliere informazioni sulle reazioni più generalizzate e il cui utilizzo possa essere finalizzato al miglioramento di futuri programmi formativi, allora è indispensabile effettuare la valutazione solo al termine dell’intera esperienza formativa quando i partecipanti hanno la possibilità di prendere in considerazione tale esperienza nella sua globalità e di confrontare le diverse sessioni tra loro. In molti se non tutti i corsi di formazione l’ultima giornata è dedicata a una discussione di valutazione del corso, generalmente attraverso questionari appositamente costruiti. Le domande potranno riguardare l’intero corso oppure parti o sessioni del corso stesso o altri particolari aspetti come i metodi didattici adottati o i contenuti trattati. In una parola, del complesso clima difensivo connesso con il problema del cambiamento che per la prima volta forse i partecipanti intravedono in questo momento in tutti i suoi aspetti problematici. Il libro consiglia di far seguire al questionario finale un’attività di interviste a campione o un questionario più articolato ad una certa distanza di tempo dalla conclusione del corso che consentano di entrare in possesso di dati sufficientemente attendibili e di evitare il clima difensivo che si sperimenta alla fine del corso. LA VALUTAZIONE DELLE ASPETTATIVE (DOPO) In genere si ritiene che la valutazione delle reazioni debba avvenire dopo lo svolgimento del corso di formazione e che pertanto non sia necessario accertare le reazioni prima di tale svolgimento. I partecipanti che stanno per iniziare un corso sviluppano già prima delle aspettative su di esso, che possono influenzare gli atteggiamenti manifestati durante il corso o le reazioni a fine sessione tra aspettative e reazioni, la cui conoscenza può essere estremamente utile anche per una più precisa valutazione dei risultati di 31 apprendimento. La valutazione delle aspettative può essere effettuata o tramite un questionario semplice o tramite intervista, dedicandovi generalmente una parte della prima giornata del corso in modo analogo a quanto si intende fare con le sedute di valutazione finale. LA VALUTAZIONE DELLE PERCEZIONI DEL CORSO (DOPO) Un esame a parte si ritiene debba essere dedicato alla possibilità di condurre una valutazione delle reazioni in modo più organico e completo di quelli finora analizzati. Si tratta della possibilità di raccogliere in forma strutturata quelle percezioni e giudizi che i partecipanti si sentono di esprimere a una certa distanza di tempo dalla conclusione del corso stesso. Dunque, si potrebbe dire sulla rappresentazione della formazione. Per condurre questo tipo di indagine, può essere utile costruire uno schema atto a distinguere e articolare i diversi elementi su cui è possibile raccogliere percezioni e giudizi: le diverse aree di opinione. Lo schema proposto dal libro costituisce un esempio, ciascuno dei cerchi di cui è composto indica un’area od una sotto area di potenziali opinioni: 1. La formazione come attività, esperienza, occasione in generale di crescita e cambiamento; 2. Le reazioni personali durante l’esperienza-corso in termini di interesse; 3. Il “clima” dei rapporti interpersonali tra i partecipanti; 4. Il corso in se stesso come strumento di apprendimento rispetto ai 4 elementi degli obiettivi, dei contenuti, dei metodi didattici e della durata; 5. Il docente o il gruppo dei docenti; 6. I risultati ottenuti in termini di miglioramento di conoscenze, di sviluppo di capacità, di ampliamento della sfera di conoscenza di sé. Tuttavia, la certezza dello strumento, quando è estremamente rigoroso e scientifico, non risolve magicamente l’incertezza dei fenomeni a cui si applica. È forse questo il motivo principale per cui lo strumento più utile perciò è un’intervista sufficientemente aperta e destrutturata, tale da consentire la raccolta più che di dati, di vere e proprie verbalizzazioni da cui ricavare, attraverso un’opportuna analisi di contenuto, indicazioni più specifiche ed articolate. E si tenga conto che questi dati potranno trovare un significato ben più ampio di quello che tradizionalmente si attribuisce a quelli raccolti con strumenti di rilevazione molto strutturati proprio là dove essi finiscono per tradursi in una valutazione della formazione da parte dei partecipanti. 5.2- L’APPRENDIMENTO/CAMBIAMENTO Lo spazio piuttosto ampio che si è dedicato al tema delle reazioni nonostante la parzialità che esso rappresenta rispetto alla problematica della valutazione dei risultati, va giustificato tenendo conto di due considerazioni. Da un lato le esperienze maturate in sede di valutazione delle reazioni da parte degli operatori di formazione sono ben più numerose e consolidate di quelle accumulate in sede di misurazione dell’apprendimento. Dall’altro lato la specificità dei fenomeni è tale per cui si può pensare di operare con strumenti che siano al tempo stesso poco complessi e molto standardizzati. La situazione è decisamente opposta proprio nel caso della valutazione dell’apprendimento/cambiamento. Questa valutazione si rivela sul piano metodologico e procedurale assai complessa e ben poco standardizzabile. L’oggetto di indagine è più complesso rivolgendosi ad un ordine di fatti e fenomeni che va riferito all’individuo considerato nella sua totalità e ad un livello di profondità ben diverso da quello interessato dalle “reazioni”. Indagare sul tipo di apprendimento che i partecipanti ad un corso hanno realizzato con tale esperienza significa aver chiarito preliminarmente da parte dei formatori non solo e non tanto quale tipo di apprendimento ci si prefiggeva di promuovere, ma a quale teoria dell’apprendimento si far riferimento. Indagare d’altro canto sul tipo di cambiamento che gli stessi partecipanti hanno maturato rispetto alla loro condotta di lavoro a seguito dell’esperienza formativa non significa chiarire quanto e che cosa è stato da 32 essi applicato, quanto piuttosto come ciò che hanno appreso ha contribuito a trasformare il modo in cui essi pensano a ciò che fanno, e di conseguenza a cambiare il loro modo di porsi rispetto all’attività che svolgono. Nel caso della valutazione dei risultati di apprendimento/cambiamento, vi sono problemi di fondo che investono tutto il processo di formazione nelle sue varie fasi, che vanno riconosciuti e risolti: l’attendibilità dei dati che si raccolgono e l’efficacia dell’intera operazione di misurazione dei risultati dipendono in larga misura da tale riconoscimento e dalle soluzioni adottate. Questo tipo di indagine risulta però inscindibile dallo specifico corso a cui si riferisce l’apprendimento/cambiamento che si vuole misurare. Il vero vincolo per la valutazione dell’apprendimento/cambiamento è costituito proprio dal tipo particolare di obiettivo e contenuti dei vari corsi. Esistono da un lato indicazioni procedurali che valgono in generale per questa attività di ricerca e schemi di riferimento per “tipi” di esperienze formative quali quello da noi utilizzato in precedenza che distingue tra corsi di base, specialistici e integrati. Non è solo possibile misurare da parte del formatore l’apprendimento/cambiamento, ma anche richiedere ai partecipanti di esprimere essi stessi una valutazione dei risultati che ritengono di aver conseguito a questo livello. Vengono così esaminati le indicazioni procedurali che valgono per i 4 tipi di indagine individuati: - La valutazione dell’apprendimento di conoscenze; - La valutazione dell’apprendimento di capacità; - L’autovalutazione; - La valutazione del cambiamento della condotta di lavoro. Resta escluso l’argomento degli atteggiamenti, il motivo di tale esclusione è da ritrovarsi essenzialmente nel più ampio orientamento ai temi della formazione a cui si aderisce. D’altro canto il termine atteggiamento si trova al centro di un dibattito teorico nel quale emergono precise indicazioni quanto alla sua fragilità concettuale ed alla sua incapacità esplicativa nel rendere ragione di fatti complessi. Per questi motivi si ritiene che pensare alla formazione anche nei termini di un’azione volta a ottenere un cambiamento degli atteggiamenti, richieda allo stato attuale forme e proposte concettuali ben più complesse di quelle di cui si dispone. LA VALUTAZIONE DELL’APPRENDIMENTO DI CONOSCENZE Ogni esperienza di formazione si articola intorno all’obiettivo di trasmettere un certo insieme di conoscenze. Tale obiettivo si collega esplicitamente alle esigenze di promuovere un miglioramento della preparazione professionale dei partecipanti in riferimento al tipo di attività che svolgono e al ruolo che ricoprono nell’organizzazione. Rientrano in questa logica indicazioni e scelte seguite e affrontate in sede di progettazione da parte dei formatori in merito al bagaglio delle conoscenze che si ritiene indispensabile sia posseduto da chi fa un certo lavoro. Le conoscenze costituiscono un set di informazioni tecniche in base alle quali effettuare specifiche operazioni connesse con lo svolgimento di una certa attività: know-how. Ogni attività di valutazione di questo tipo di risultati avrà cioè il significato di un test, cioè di una prova di misurazione le cui caratteristiche di standardizzazione e formalizzazione sono da ricondursi al proposito di formulare un giudizio oggettivo. La valutazione dell’apprendimento si può effettuare non solo dopo la conclusione del corso ma anche durante il corso o al termine di questo. Quanto alla valutazione DURANTE IL CORSO, si tratta di uno schema di istruzione programmata, ossia un particolare metodo di trasmissione di conoscenze che si basa sulla frammentazione del processo di apprendimento in singole unità in progressione rigidamente determinata. Ciascuna unità è presentata dal formatore come problema da risolvere, le cui risposte si trovano nei contenuti del corso. Il formando è messo in grado di valutare domanda per domanda se 35 del tipo di analisi dipenderà dalle scelte effettuate in precedenza per l’analisi dei bisogni e da quelle compiute nella fase di progettazione dell’azione formativa. Quanto ai risultati essi si ricaveranno da un confronto tra i dati raccolti prima e i dati raccolti dopo il corso: i risultati saranno cioè misurati in funzione dello scarto emergente da tale confronto. 5.3 – IL CAMBIAMENTO DELL’ORGANIZZAZIONE Si tratta di pensare ad un tipo di indagine finalizzata a capire quanto e come l’esperienza formativa abbia avuto un impatto sul funzionamento dell’organizzazione da cui i partecipanti provengono e a cui appartengono. Una valutazione dei risultati a livello di cambiamento organizzativo è effettuabile, ma a certe condizioni e fatte salve alcune considerazioni preliminari. Katz e Kahn affermano che non è pensabile ritenere di poter operare un vero e proprio cambiamento dell’organizzazione attraverso la formazione: gli effetti dei mutamenti individuali sulla struttura sociale tendono ad essere nulli. Essi sostengono che il tentativo messo in atto dell’organizzazione di cambiare operando sugli individui senza mutare i loro ruoli nel sistema è fittizio e impraticabile. Se è vero che la formazione non può infatti proporsi di cambiare l’organizzazione senza appoggiarsi su un intervento di ridefinizione strutturale più ampio, è altrettanto vero che l’organizzazione stessa non può essere pensata come totalmente insensibile alle esperienze formative che essa promuove e realizza se si considerano gli aspetti del clima e della cultura. Un modo di valutare i risultati in termini di cambiamento dell’organizzazione può consistere nel predisporre di un impianto di indagine sul clima, che risulta molto utile. Se si pensa alla formazione come ad uno dei molti eventi che scandiscono la vita dell’organizzazione, ma esplicitamente rivolto o pilotato vero un traguardo di cambiamento e miglioramento dell’organizzazione stessa attraverso un aumento della preparazione professionale dei suoi membri, si deve ritenere che gli effetti positivi o negativi che essa potrà avere proprio in riferimento all’organizzazione, si accumulino o vadano ricollegati alla dimensione del clima piuttosto che della struttura o degli obiettivi. Un modo di valutare i risultati della formazione in termini di cambiamento dell’organizzazione può consistere nel predisporre un impianto di indagine del clima. Esistono in particolare questionari che si propongono più come schemi di riferimento in base ai quali costruire appropriate liste di interrogazione per specifici contesti organizzativi, che non come strumenti da applicare in ogni occasione di indagine. In una prospettiva di valutazione dei risultati la strategia di ricerca a questo livello non può essere impostata secondo una logica del solo confronto tra dati raccolti presso i partecipanti all’esperienza formativa prima e dopo l’esperienza stessa. Nel caso particolare in cui i partecipanti rappresentino un gruppo omogeneo di persone appartenenti alla stessa organizzazione è opportuno ricorrere a una serie di confronti incrociati attraverso la somministrazione dello stesso questionario almeno a campioni differenti di persone che occupano in quella organizzazione posizioni analoghe a quelle dei partecipanti ai corsi di formazione, con cui li si confronta. L’indagine sul clima esaurisce in sé ogni possibilità di effettuare la valutazione dei risultati a livello di cambiamenti organizzativi. Va tenuto conto del fatto che ciò che è stato individuato nella fase di analisi dei bisogni come bisogni dell’organizzazione non trova una risposta in sé che prescinda dai partecipanti al corso. L’impatto della formazione sull’organizzazione è sempre mediato dalla singolarità degli individui che vi hanno partecipato. Questa sul clima è un tipo di indagine che proprio per le sue caratteristiche e peculiarità finisce con l’essere utile non solo in sede di valutazione dei risultati ma anche in quanto consente di riaprire il ciclo del processo formativo consegnando al ricercatore indicazioni preziose, di sfondo, sugli eventuali nuovi bisogni emergenti. E questo è tanto più importante se solo si considera quanto l’efficacia dell’azione formativa dipenda anche in gran parte dal modo in cui essa sa divenire elemento integrante della vita dell’organizzazione, cessando di essere fatto occasionale. 36 Le domande che si sono formulate per definire ciascun obiettivo di indagine della valutazione dei risultati ai tre differenti livelli delle reazioni dei partecipanti al corso, dell’apprendimento/cambiamento e del cambiamento dell’organizzazione non escludono che talvolta presso gli operatori di formazione ci si chieda se è possibile individuare il valore economico della formazione stessa, quanto essa sia un costo o un beneficio per l’organizzazione. Si tratta però di un errore di prospettiva nel modo di intendere la formazione, il suo utilizzo e la sua utilità. Stabilire se le azioni formative promosse siano state un costo o un reale investimento per l’organizzazione è possibile in un unico modo: accertando se e come i bisogni di formazione rilevati siano stati soddisfatti. Ma l’indicazione che se ne ricava è sempre generale, se non generica, stimare con precisione i risultati in termini di costi/benefici risulta quindi impraticabile. Anzitutto perché è improponibile trasformare la formazione in un fatto economico, la formazione ha a che fare con una economia del sapere più che con una economia del denaro. Essa richiede di affrontare e sostenere “spese” e costi in termini monetari, vi sono i costi dell’apprendimento e dell’applicazione del sapere che si è ricavato che sono di ben altro tipo. Avere procedure di gestione anche per l’attività di formazione è un fatto strumentale, di condizione ordinata e trasparente dell’organizzazione: disporre di un parametro che esprima i risultati di tale attività in termini di costi/benefici monetari non è che un errore di prospettiva, tenere distinti questi due aspetti è importante. PARTE SECONDA CAPITOLO 6 → FARE ANALISI DEI BISOGNI DI FORMAZIONE: AGGIORNAMENTO 2005 Questo capitolo offre un resoconto dell’evoluzione del tema dell’analisi dei bisogni di formazione. Sono stati raccolti i materiali in tre principali contenitori. Il primo è la gestione dell’analisi dei bisogni: specifica quali sono le figure che partecipano all’analisi dei bisogni di formazione e con quale ruolo forniscono il loro contributo; Il secondo sono gli strumenti per l’analisi dei bisogni: prestando attenzione a quelli qualitativi che nel corso degli ultimi 10 anni hanno conosciuto un forte sviluppo. Il terzo chiama in causa il piano di formazione, ovvero il tema dell’esito dell’analisi dei bisogni, del suo utilizzo da parte di chi intende sviluppare iniziative formative o gestire e governare programmi. 6.1 LA GESTIONE DELL’ANALISI DEI BISOGNI L’analisi dei bisogni è un’attività di ricerca, assumere l’analisi dei bisogni come attività di ricerca significa proporre tre ordini di considerazioni. In primo luogo rende necessario affrontare il problema della responsabilità (chi governa le azioni legate all’analisi dei bisogni? quali competenze possiede? Con quali risorse la realizza?). La realizzazione dell’analisi dei bisogni veniva affitta di volta in volta a soggetti diversi, attori dell’organizzazione o consulenti di passaggio, che non potevano contribuire a costruire una storia dei bisogni di formazione, e quindi di essere utilizzata in senso prospettico. La letteratura contemporanea dice invece che la responsabilità dell’analisi dei bisogni si colloca nell’area dell’Ufficio formazione indicando con questo termine il luogo in cui si governano le politiche di formazione in organizzazione e se ne controlla l’esecuzione. L’ufficio formazione progetta e indirizza l’analisi dei bisogni anticipando il formato dei risultati attesi e a seconda delle situazioni la realizza con le proprie risorse interne o con l’ausilio di consulenti. In secondo luogo obbliga a rinunciare allo spontaneismo che ha portato i gestori della formazione in organizzazione a fidarsi più delle proprie intuizioni che dei dati provenienti dal campo di azione della formazione stessa. Si fa riferimento a due ordini di situazioni: da un lato alle situazioni in cui l’analisi dei bisogni è stata condotta a tavolino, sulla base di ragionamenti ipotetici, di imitazione delle mode del momento; dall’altro lato alle situazioni in cui la ricerca è stata condotta senza una pianificazione dei dati. Se la formazione è un’attiva di ricerca risulta fondamentale uscire dall’Ufficio 37 formazione per raccogliere informazioni, raccogliendole in modo appropriato, ovvero precisando le fasi e i momenti di lavoro, gli interlocutori che si intendono incontrare, gli strumenti da utilizzare. In terzo luogo significa farsi carico del problema del metodo, infatti realizzare una ricerca di analisi dei bisogni è possibile se ci si è dati un metodo di lavoro, ovvero se si è definito un insieme di passaggi, di strumenti e di regole che si intendono utilizzare per raccogliere i dati necessari a rispondere alle domande di partenza. Le opzioni sul piano del metodo sono molteplici, sia in termini di fonti alle quali attingere sia in termini di strumenti che si possono utilizzare per interrogare ciascuna fonte e ottenere le informazioni utili per il lavoro di analisi dei bisogni. Oltre all’acquisizione dei dati, è fondamentale curare sia la loro analisi, che può essere più approfondita o più sintetica, sia la loro formalizzazione, che dovrà tenere conto dell’interlocutore organizzativo al quale si rivolge la presentazione. La scelta delle fonti, degli strumenti di interrogazione, delle modalità di analisi dei dati, della forma che assumerà la reportistica va guidata dai responsabili dell’ufficio in funzione del peculiare tipo di obiettivi e di interlocutori interni che configurano la ricerca. 6.1.1 Quali bisogni? Quindi l’analisi dei bisogni è un’attività di ricerca finalizzata all’individuazione delle esigenze di apprendimento degli attori organizzativi che viene gestita dal responsabile dell’Ufficio Formazione. Quali sono le esigenze di apprendendo degli attori organizzativi? Per rispondere a questa domanda si devono raccogliere quanti più dati è possibile a proposito delle esigenze di apprendimento, ovvero attingere a differenti fonti di informazione ciascuna delle quali è capace di offrire indicazioni peculiari. La letteratura ha subito una evoluzione che si possono riassumere in cinque punti: 1. Si è attenuata la separazione tra bisogni di formazione dell’organizzazione e bisogni di formazione degli individui, perché l’attore organizzativo risulta essere l’unità di analisi privilegiata in cui confluiscono entrambe le istanze. Su di esso convergono sia le esigenze di apprendimento di natura organizzativa, sia le esigenze di apprendimento di natura individuale ed è ad esso che si rivolge la formazione. 2. Le tecniche riconducibili all’analisi delle attività lavorative, all’analisi di ruolo, all’analisi degli eventi critici, hanno lasciato progressivamente spazio alle tecniche riconducibili all’analisi del sistema di attese. 3. Le opinioni dei soggetti hanno assunto maggiore rilevanza, in quanto le persone vengono ritenute maggiormente consapevoli dei propri bisogni di formazione così come dei bisogni dei soggetti con cui lavorano. Viene attribuita quindi maggiore affidabilità alle auto-valutazioni dei bisogni di formazione formulate dagli individui. 4. Lo stato di costante cambiamento diminuisce l’enfasi sull’analisi della situazione attuale e aumenta l’importanza della situazione futura, ovvero dei bisogni di formazione che il cambiamento stesso farà emergere. 5. L’ambiente esterno all’organizzazione viene percepito come un interlocutore con cui è importante confrontarsi per riconoscere le linee di sviluppo della formazione e anticipare l’emergere di una distanza tra le competenze possedute e le competenze necessarie allo svolgimento delle attività e al presidio del ruolo. L’affermazione del punto 1 richiede un approfondimento. In passato la distinzione tra bisogni di tipo organizzativo e bisogni di tipo individuale veniva enfatizzata quasi a rimarcare una impossibile separazione tra l’organizzazione e gli individui che ne fanno parte. Oggi invece viene sottolineata l’interconnessione tra questi differenti ordini di bisogni: viene sottolineata la reciproca influenza che entrambi questi soggetti esercitano a vicenda. È importante che si stabiliscano collegamenti tra i propri bisogni e il contesto in cui si opera; questi collegamenti sono fondamentali anche per favorire l’efficacia della formazione. Un’analisi dei bisogni condotta in modo adeguato alimenta la disponibilità ad apprendere. Un intervento di formazione che voglia corrispondere ai bisogni dell’organizzazione sarà tanto più efficace quanto più sarà preceduto da un’analisi dei bisogni in grado di trovare tracce di quei bisogni nelle dichiarazioni degli attori relative ai 40 6.1.4 I tempi dell’analisi dei bisogni È evidente che la scelta degli strumenti non può non tener conto dei vincoli posti dalle risorse di cui il responsabile dell’analisi dei bisogni dispone. È opportuno distinguere tra due approcci complementari all’analisi dei bisogni: - L’approccio allargato, ovvero la campagna di analisi dei bisogni che consente di “fare il punto” e va a sollecitare tutti gli attori dell’organizzazione, e può riproporsi con una periodicità di tipo medio. - L’approccio focalizzato, ovvero gli approfondimenti di analisi dei bisogni, che sollecitano fonti nel momento in cui il responsabile della formazione è interessato a raccogliere dati più precisi relativi a esigenze di apprendimento che ha percepito in senso generale e si intende specificare meglio. La combinazione di queste attività consente di raccogliere dati sia in senso estensivo sia in senso intensivo, tenendo sotto controllo le evoluzioni di tipo generale dei bisogni di formazione, così come di precisarne i caratteri peculiari. 6.2 GLI STRUMENTI PER L’ANALISI DEI BISOGNI Esistono quindi strumenti che si collocano all’intento dell’approccio quantitativo alla ricerca di un’organizzazione e strumenti che si collocano all’interno dell’approccio qualitativo. 6.2.1 L’approccio quantitativo L’approccio quantitativo ha in sé l’idea della formazione numerica. Si utilizza questo approccio quando si chiede: “Ti proponiamo un elenco di competenze relative al lavoro in organizzazione: per ciascuna di esse ti chiediamo di valutare quanto risulta importante per svolgere le attività previste nella tua posizione. Rispondi utilizzando una scala da 1 (minimo) a 10 (massimo).” Tra i principali vantaggi che presenta tale approccio ne vogliamo ricordare quattro: - I confronti sono immediati: possiamo paragonare rapidamente i risultati che qualificano differenti popolazioni e differenti momenti temporali. - Si può essere sia sintetici che analitici: è possibile costruire indicatori di tipo generale così come indicatori di tipo specifico oppure guardare all’organizzazione nel suo insieme o a sue parti. - Si può utilizzare la statistica per analizzare i dati: oltre a medie e deviazioni standard è possibile condurre analisi delle correlazioni, della varianza, dei cluster. - Si possono coinvolgere ampie popolazioni senza un eccessivo dispendio di risorse: un questionario on-line può essere inviato a tutti i dipendenti a prescindere dall’ampiezza e dalla dispersione geografica dell’organizzazione. Lo strumento privilegiato che si utilizza in ambito quantitativo è il questionario: un elenco di domande che prevedono un ordine e una modalità di risposta prefissata (tra le modalità più note: scala Likert, scelta dicotomica, graduatoria). Le risposte al questionario possono essere trasferite in una matrice dati di tipo casi per variabili e sottoposte a una analisi statistica attraverso appositi software. C’è una condizione di efficacia per la ricerca basata su questo strumento: il contenuto della ricerca deve essere ben rappresentato dalle domande in cui si articola il questionario. In altri termini, bisogna essere sicuri che il questionario sia valido. Per avere questa sicurezza possiamo ricorrere a questionari proposti dalla letteratura specialistica, dunque a strumenti che esistono già e che proprio per questo vengono detti pronti all’uso, oppure predisporre un questionario su misura, ovvero costruito ad hoc, che si adatta al contenuto che cui proponiamo di approfondire e al topo di linguaggio proprio dell’organizzazione. Si ritiene più vantaggioso investire nella predisposizione di un questionario su misura: la letteratura può offrire degli spunti capaci di semplificare il lavoro di costruzione del questionario stesso. 6.2.2 L’approccio qualitativo Il nucleo centrale dell’approccio qualitativo è invece rappresentato dalla possibilità di lasciar spazio alla soggettività e comprendere in profondità i significati che l’interlocutore vuole comunicare. Utilizziamo l’approccio qualitativo quando si chiede: “quali sono le esigenze di apprendimento che percepisci oggi 41 quando pensi al tuo ruolo in organizzazione?”. Nel caso dell’approccio qualitativo il ricercatore chiede ai suoi interlocutori di dichiarare i propri pensieri utilizzando una modalità espressiva di tipo verbale, ovvero di costruire un testo. In sintesi, rispondere utilizzando le parole è la consegna che ricevono le persone che vengono coinvolte in una ricerca qualitativa. I quattro principali vantaggi che rappresenta l’approccio qualitativo sono: - Si può approfondire il dato: per cogliere fino in fondo la natura dei pensieri espressi dai soggetti è possibile chiedere loro di essere più precisi, di riformulare quanto hanno dichiarato, di fare un esempio; - Dà spazio alle sfumature di pensiero ed evita fraintendimenti linguistici: mentre due punteggi pari a “3” hanno lo stesso valore agli occhi del ricercatore, due dichiarazioni analoghe del tipo “le competenze legate alla comunicazione interpersonale sono abbastanza importanti” possono risultare differenti se si approfondisce cosa ciascun soggetto intende per “abbastanza “. Quindi si può chiedere al soggetto quale significato attribuisce a una certa parola, e il soggetto può chiedere al ricercatore di spiegarsi meglio se una domanda non gli è chiara; - Fa scoprire cose che non si erano previste: le sollecitazioni sono definite a priori, ma il soggetto è libero di fare collegamenti o chiamare in causa nuovi temi. - È un momento di dialogo e confronto molto apprezzato: si avvicina l’organizzazione alle persone dimostrando interesse per le opinioni dei dipendenti ascoltate dalla loro “viva voce”. L’intervista e il focus group rappresentano i principali strumenti di tipo qualitativo. In entrambi i casi il ricercatore guida la conversazione a partire da una traccia messa a punto in precedenza che consente di non dimenticare alcuna domanda significativa e di mantenere un adeguato livello di omogeneità delle modalità di realizzazione dell’intervista nel tempo e tra ricercatori differenti. La letteratura descrive forme particolari di intervista che possono essere utilizzate nel corso della ricerca di analisi dei bisogni: - La Job Analysis Grid ovvero una modalità di dialogo strutturata che si avvale anche di cartoncini sui quali l’intervistato scrive le proprie risposte alle domande formulate dal ricercatore. Il colloquio inizia con una prima serie di domande che sono in grado di sollecitare opinioni e valutazioni che vengono scritte su una Erie di cartoncini. Questi cartoncini sono usati come punto di partenza per una seconda serie di domande direttamente legate al tema delle competenze significative per il lavoro che producono esempi di buone e cattive prestazioni. Le risposte a questa seconda serie di domande consentono al ricercatore di individuare le esigenze di apprendimento che gli individui ritengono appropriate per sé e per i propri colleghi, capi, collaboratori. - Il Need to Know Process, ovvero una forma alternativa di intervista in cui si analizza insieme all’intervistato un processo di lavoro a ritroso, dalla sua conclusione al suo inizio, chiedendosi: “che cosa è necessario per arrivare qui?”. Questo consente di elencare le attività da svolgere, e di identificare le competenze richieste da ciascuna di queste attività. - Le interviste narrative finalizzate a raccogliere storie di vita professionale, ovvero dei racconti autobiografici che trattano della storia formativa, rendendo esplicito come i soggetti utilizzano le occasioni di formazione per progredire nel proprio progetto di vita personale e professionale. Il racconto risulta di facile utilizzo per l’individuazione dei bisogni di apprendimento. Anche i diari e i resoconti delle operazioni appartengono all’ambito degli strumenti qualitativi di orientamento narrativo, e possono essere significativi là dove accanto ad una descrizione storica, viene chiesto di ipotizzare le future evoluzioni sia delle attività in questione sia delle competenze significative per lo svolgimento di tali attività, ovvero di passare dalla logica dello scarto a quella dello sviluppo. Alcuni riferimenti presenti in letteratura sostengono l’opportunità di utilizzare, come materiale per l’analisi dei bisogni di formazione anche le dichiarazioni e la documentazione relativa agli incidenti critici, definiti come “eventi previsti che evidenziano un problema”, ad esempio un infortunio sul lavoro, un guasto, la perdita di un cliente. L’analisi degli incidenti critici consente di riconoscere quali prestazioni hanno contribuito a causare il problema e di conseguenza, contribuisce all’identificazione delle competenze che vanno sviluppate o 42 acquisite. Nel caso di un infortunio, è possibile comprendere quali procedure di sicurezza sono state disattese o quali standard non sono stati rispettati. Il desiderio di privilegiare la logica dello sviluppo rispetto a quella dello scarto è alla base dell’utilizzo, in qualità di fonte per l’analisi die bisogni di formazione, e analisi dei profili professionali realizzate all’interno dell’organizzazione. Il bilancio di competenze finalizzata al sostegno dei processi di inserimento o reinserimento lavorativo/professionale e alla gestione dei percorsi di carriera, si basa su un confronto tra le risorse personali e professionali con le attese organizzative e per questa ragione ha tra le finalità quella di riorientare gli investimenti formativi costruendo ipotesi professionali e definendo progetti di cambiamento/sviluppo. In particolare, il responsabile dell’analisi dei bisogni potrà prendere in esame due prodotti del bilancio: il descrittivo delle competenze e il progetto di sviluppo professionale con il relativo piano di azione. Tra gli strumenti di natura qualitativa vanno infine citati le riunioni, che sono i momenti di incontro in piccolo gruppo, in cui il responsabile dell’analisi dei bisogni aggiorna gli interlocutori organizzativi, che sono “portatori di interessi” rispetto al tema della formazione, circa i risultati dell’attività di analisi dei bisogni che sta svolgendo e utilizza l’incontro per chiedere feedback, suggerimenti e integrazioni che gli consentono di arricchire il proprio lavoro. L’integrazione dell’approccio quantitativo con quello qualitativo è utile nell’analisi dei bisogni di formazione, e può aver luogo ad esempio mediante un processo articolato in tre passaggi: - Si comincia con una serie di focus group per ricostruire le categorie che consentono di formulare un questionario di analisi dei bisogni appropriato al contesto di ricerca; - Si procede con la somministrazione del questionario al fine di raccogliere dati quantitativi in senso estensivo, individuare priorità, effettuare confronti; - Si realizza un ulteriore momento qualitativo per approfondire temi più interessanti tra quelli emersi anche in vista della messa a punto del piano di formazione e della progettazione dei singoli interventi. 6.3 IL PIANO DI FORMAZIONE Le informazioni provenienti dalla ricerca di analisi dei bisogni consentono di evidenziare le esigenze di apprendimento delle persone che lavorano nell’organizzazione e guidano la successiva fase del processo di formazione rappresentata dalla progettazione degli interventi. Ma per utilizzare il potenziale dell’analisi dei bisogni è necessario che il responsabile della ricerca condensi le informazioni raccolte in un rapporto di ricerca. Si tratta di un documento scritto che riporta sia i risultati ottenuti sia le osservazioni e i commenti. Nel rapporto di ricerca ciò che viene espresso dai soggetti in termini di bisogni di formazione, viene tradotto in esigenze di apprendimento. Il passaggio che segue la scrittura del rapporto di ricerca è rappresentato dalla diffusione dei risultati. Tutti gli attori organizzativi (il gruppo di progetto, il vertice, i partecipanti, le organizzazioni sindacali, i dipendenti dell’organizzazione nel loro insieme) sono da considerare destinatari di questa comunicazione e vanno raggiunti con un messaggio tempestivo, completo e mirato. Nel momento della diffusione dei risultati va chiarito se e come si utilizzeranno i dati emersi. Il rapporto di ricerca di analisi dei bisogni guida la seconda fase del processo di formazione ovvero la progettazione delle attività. Tale progettazione ha luogo a due livelli: - Un livello di tipo generale (o di macro-progettazione) in riferimento al quale il gestore della formazione in organizzazione definisce un piano di formazione che sintetizza le priorità di intervento formativo per il prossimo futuro e propone una loro calendarizzazione. - Un livello di tipo specifico (o micro-progettazione) in riferimento al quale per ciascuno degli interventi viene predisposta una scheda che individua con precisione i caratteri che lo qualificano: obiettivo, contenuto, metodo, materiale, durata. Il piano di formazione costituisce il principale documento predisposto dall’Ufficio Formazione. La sua messa a punto richiede tre principali passaggi. In primo luogo le esigenze di apprendimento risultanti dal rapporto di ricerca di analisi dei bisogni vanno trasformate in obiettivi di formazione che verranno poi perseguiti nelle differenti iniziative. In secondo luogo vengono definite delle priorità che consentono di ordinare la 45 7.1.1. Segnali Di Cambiamento Tra i diversi livelli del modello di Kirkpatrick viene ipotizzato un legame causale, una catena consequenziale, in cui l’effetto di un fenomeno è all’origine di quello successivo: è necessario che tutti i passaggi avvengano purché l’azione formativa raggiunga l’obiettivo ultimo di un cambiamento nei risultati. In sintesi: 1. A fianco di una concezione più tradizionale di valutazione realizzata al termine del processo di formazione emergono indicazioni favorevoli a una valutazione che accompagna la formazione durante il suo svolgimento e che dunque assume la forma di un monitoraggio utilizzabile anche con finalità di riprogettazione mentre il processo è ancora in corso; 2. La valutazione dei risultati viene percepita come una ulteriore opportunità di apprendimento; 3. La responsabilità relativa alla progettazione e realizzazione della valutazione dei risultati non viene attribuita esclusivamente al formatore che lavora con i partecipanti ma al gestore della formazione in organizzazione; 4. Si allarga il campo di interlocutori che possono essere interrogati per ottenere informazioni utili per la valutazione: da un lato viene considerato il formatore, dall’altro i colleghi, i collaboratori e i clienti; 5. Cresce l’importanza attribuita agli strumenti di ricerca di tipo qualitativo, quali le interviste, i diari, le giornate d’aula, che appaiono in grado di riconoscere e cogliere implicazioni delle attività di formazione non prevedibili a propri. 7.1.2. Valutazione come verifica, monitoraggio o apprendimento? Quaglino vuole approfondire quanto affermato al punto 1 e 2 del precedente capitolo in riferimento alle dicotomie tra verifica ex-post e monitoraggio in itinere e tra valutazione come rilevazione di un effetto e valutazione come opportunità di apprendimento. Il primo approccio di tipo sistemico-funzionale utilizza i dati della valutazione come prove e indicazioni, quindi concepisce la valutazione come “ultimo atto” del processo di formazione e la colloca a valle della realizzazione dell’intervento. In qualche caso questo tipo di valutazione è collocata al termine di ciascuna delle “tappe intermedie” del percorso formativo, dunque ha luogo in itinere al fine di cogliere in tempo reale le indicazioni utili al miglioramento del percorso stesso attraverso un meccanismo di controllo e correzione. Questo accento sulla necessità di non valutare solo il prodotto finale ma di vigilare costantemente, rinvia al concetto di valutazione dinamica, dove il test standardizzato è sostituito dall’analisi delle diverse fasi in cui il processo formativo si dipana. L’osservazione in itinere dell’andamento del percorso formativo ha contribuito all’affermarsi di una nuova modalità di valutazione definitiva monitoraggio, che consente di capire cosa sta accadendo x intervenire in diretta su un programma in corso, modificando e ristrutturandolo. L’idea di controllo assume in questo modo una valenza meno normativa per aderire agli eventi nel corso del loro compimento, confrontandosi con ciò che emerge nell’azione ed assumendo i tratti caratteristici individuati nei compiti di suivi e cura costante del processo di formazione in atto. L’idea del “suivi” esprime l’esigenza di un atto valutativo distribuito nel tempo e che accompagna l’intero processo, l’idea di cura richiama al contempo un intervento di ri-orientamento del corso dell’azione. Questa idea di monitoraggio era già presente nella distinzione tra valutazione sommativa e formativa, dove la valutazione sommativa ha lo scopo di verificare la riuscita complessiva di un intervento, e tale valutazione è “outcomes oriented” ha come obiettivo prioritario la verifica dei risultati e dell’impatto. La valutazione formativa si propone di analizzare il processo e fornire informazioni che consentano di migliorarlo, in questo caso la valutazione è “process oriented” cioè finalizzata a conoscere i meccanismi di funzionamento di un dato programma, non mira a generalizzarli ma piuttosto allo studio dei processi specifici di un singolo caso. Il secondo approccio costruttivista concepisce i dati e i momenti di valutazione come occasioni a sostegno dell’apprendimento possibile. Si tratta di un’ipotesi tra valutazione come proving (valutazione sommativa finalizzata a dimostrare) e valutazione come improving (valutazione formativa finalizzata a migliorare) e 46 valutazione come learning (ovvero come momento inscindibile dai processi che studia, parte integrante del processo di apprendimento). La valutazione sollecita l’apprendimento x due ragioni: - Aumenta la consapevolezza dei partecipanti sullo sviluppo delle competenze apprese, sul loro trasferimento nella pratica di lavoro, aumentando la possibilità che essi intervengano nel processo formativo; - È un’occasione di meta-apprendimento, in cui ciascuno diventa capace di monitorare il proprio processo di costruzione di conoscenze e utilizzare altre occasioni (auto)formative, avvicinandosi all’ideale di apprendista auto-regolato. Risulta evidente che nessuno di questi differenti paradigmi esaurisce i significati che la valutazione dei risultati della formazione può assumere. In questo senso solo nelle occasioni in cui i responsabili della ricerca di valutazione dei risultati si dimostrano capaci di contemplare le indicazioni provenienti da una pluralità di approcci sarò possibile sfruttare il potenziale dei processi di valutazione e perseguire i molti obiettivi. È importante ricordare che la valutazione dei risultati non ottiene uno spazio sufficiente all’interno dei percorsi di formazione in organizzazione. Quanto più si farà strada una concezione della valutazione intesa come monitoraggio e a servizio dell’apprendimento quanto più queste ragioni appariranno inconsistenti e le resistenze che frequentemente l’idea stessa di valutazione fa emergere potranno essere contenute e superate. 7.2 - LA GESTIONE DELLA VALUTAZIONE DEI RISULTATI Per la valutazione dei risultati la letteratura assegna la responsabilità relativa alla sua gestione a quell’area della Direzione Risorse Umane che abbiamo identificato nell’Ufficio Formazione. L’Ufficio Formazione progetta e indirizzala valutazione dei risultati, e a seconda delle situazioni la realizza con le proprie risorse interne o con l’ausilio di consulenti: ma in ogni caso gestisce direttamente la definizione del metodo e la lettura dei risultati, anche al fine di patrimonializzare le indicazioni utili per l’analisi dei bisogni che dalla valutazione dei risultati stessa possono emergere. 7.2.1. Le fonti di informazione Cosa ha prodotto la formazione in termini di reazioni, apprendimenti, comportamenti, risultati? Per rispondere è necessario rintracciare e raccogliere quanti più dati è possibile, ovvero attingere a differenti finti di informazione ciascuna delle quali è capace di offrire indicazioni peculiari in funzione del punto di vista dal quale sta guardando al processo di formazione. Nel fare valutazioni assume rilievo l’applicazione di regole, principi e metodologie proprie della ricerca sociale, anzi si può affermare che la ricerca valutativa faccia parta di una particolare tipologia di ricerca sociale: quella applicata, finalizzata cioè a un uso diretto e strumentale da parte di individui, attori sociali etc. Valutare i risultati della formazione significa interrogare ciascuna fonte ritenuta significativa a partire da una domanda appropriata al livello al quale la valutazione stessa si colloca. Più in dettaglio: - Per la reazione: i partecipanti apprezzano l’intervento formativo? Domanda che può essere rivolta a coloro che hanno vissuta l’esperienza formazione ovvero i partecipanti e al/i formatore/i. - Per l’apprendimento: la partecipazione all’intervento di formazione promuove la trasformazione e lo sviluppo delle competenze possedute dai partecipanti? Domanda che può essere rivolta ai partecipanti, e i suoi “facilitatori” cioè il/i formatore/i, che con i partecipanti ha interagito osservando le modalità con cui hanno avuto luogo i processi di apprendimento e i loro esiti. - Per i comportamenti: le competenze apprese dai partecipanti vengono utilizzate nelle quotidiane pratiche di lavoro? Questa domanda può essere rivolta sia ai partecipanti, sia a coloro che nell’organizzazione li vedono “all’opera”: i capi diretti, i colleghi, i collaboratori etc., assumendo le caratteristiche di un feedback a 360°. - Per i risultati: in seguiti all’intervento di formazione l’organizzazione è cambiata? Come e quanto è cambiata? Destinatari privilegiati di questa domanda sono coloro che osservano e controllano le 47 trasformazioni dell’organizzazione: l vertice, i capi di linea e i responsabili del personale ma anche i partecipanti agli interventi, che si rivelano osservatori sensibili della realtà in cui operano, attenti a cogliere gli esiti della formazione di tipo simbolico e immateriale che influiscono sui risultati generali. Sono da prendere in considerazione tutti i documenti in cui tali trasformazioni sono descritte, quali ad esempio il bilancio dell’organizzazione, le indagini sulla produttività, sulla qualità del prodotto/servizio e sulla soddisfazione dei clienti etc. 7.2.2. I movimenti della valutazione Mentre la reazione e l’apprendimento possono essere valutati già nel corso della realizzazione dell’intervento di formazione, i comportamenti e i risultati sono dimensioni che possono essere valutati solo a posteriori. La verifica dei comportamenti richiede un adeguato periodo di decantazione delle emozioni sollecitate dalla partecipazione all’intervento. In ogni caso questo principio non si applica ai percorsi formatici che si sviluppano in un arco temporale significativo: si pensi ai Master che prevedono una/due giornate di lavoro per settimana/mese. In questi casi anche la valutazione dei comportamenti può avvenire in itinere, risultando preziosa per sostenere l’apprendimento grazie alla possibilità che offre di riprogettare il percorso facendo tesoro dell’esperienza precedente e alla sua capacità di “portare consapevolezza”. La valutazione della reazione viene realizzata in modo sintetico nel corso di ogni giornata e in modo più approfondito al termine del percorso. La valutazione dell’apprendimento viene realizzata al termine di ciascuna giornata, nell’intervallo tra un modulo e il modulo successivo e a un mese dal termine del percorso. La valutazione dei comportamenti viene realizzata nell’intervallo tra un modulo e il modulo successivo, al termine del percorso e a sei mesi di stanza dalla conclusione dell’iniziativa. La valutazione dei risultati viene realizzata a partire da sei mesi fino a 15 mesi di distanza dalla conclusione del percorso. 7.2.3. Una molteplicità di strumenti Per ciascuna fonte con cui si dialoga alla ricerca di informazioni utili per la valutazione dei risultati è necessario individuare il giusto metodo di interrogazione e selezionare quelle ritenute più significative e più adeguate agli scopi della valutazione e al tipo di interrogativi cui si intende dare risposta. Affianco all’indicazione delle differenti fonti vi è lo strumento ritenuto maggiormente appropriato. L’elenco degli strumenti risulta articolato: - Analisi di contenuto: è lo strumento con cui si passano al vaglio i vari tipi di documentazione disponibile al fine di rintracciare le indicazioni significative per la valutazione dei risultati: schede di valutazione delle prestazioni, report di sintesi di azioni di bilancio di competenze etc. È importante operare confronti tra presente e passato per verificare la presenza di cambiamenti riconducibili alla realizzazione dell’intervento formativo in questione. Per verificare la correttezza dell’attribuzione dei cambiamenti eventualmente individuati all’iniziativa di formazione può essere utile confrontare il cambiamento che si rileva nei soggetti che hanno preso parte all’iniziativa con quello eventualmente presente nei soggetti che a tale iniziativa non hanno preso parte. - Interviste individuali faccia-a-faccia: si tratta di incontri di durata variabile, da 30 minuti a 2 ore, in cui si dialoga con un interlocutore a proposito della propria esperienza relativa agli esiti conseguiti dall’intervento di formazione. - Intervista individuali telefoniche: ha le caratteristiche di un’intervista individuale faccia-a-faccia, ma risulta più breve e semplice, rivelandosi utile soprattutto la dove si intende valutare la formazione in termini di reazione. - Focus group: il ragionamento sui risultati ottenuti dall’intervento di formazione viene proposto a un gruppo di persone convocate dal ricercatore che possono confrontarsi tra loro, influenzandosi. - Riunioni: il responsabile della valutazione dei risultati presenta una relazione in progress sull’attività che sta svolgendo agli interlocutori organizzativi che sono portatori di interessi rispetto al tema della formazione. 50 Al di là di questi esempi i cartelloni possono essere strutturati in modi estremamente differenti: le uniche caratteristiche che dovrebbero mantenere costanti riguardano la semplicità delle richieste e la velocità di risposta. Per questa ragione i cartelloni sono esclusivamente indicati per le attività di valutazione delle reazioni. Una traccia di intervista che può essere utilizzata per raccogliere le valutazioni del capo del partecipante al medesimo percorso di formazione analizzato, in questo caso il focus dell’intervista è rappresentato dai comportamento. Una valutazione dei comportamenti può essere ottenuta tramite un focus group, nel libro viene riportato un esempio di traccia x la condizione di un focus group con i capi di linea sul tema dei comportamenti dove sono stati ascoltati tramite il focus group i 4 responsabili dell’area marketing di un’azienda di servizi in cui lavorano 50 operai di call-center. I primi risultati della ricerca di valutazione possono essere presentati e discussi nel corso di una riunione, che assume il significato di un ulteriore momento di ricerca. La riunione viene utilizzata con gli interlocutori istituzionali che sono portatori di interesse. Tra le caratteristiche che rendono i diari strumenti del tutto peculiari vi è la possibilità di rendere tangibile il valore della valutazione in termini di consolidamento e sostegno dei processi di apprendimento. I diari consentono al partecipante di riconoscere più chiaramente il legame tra tre diversi aspetti: le caratteristiche del lavoro formativo che a luogo durante l’intervento, gli apprendimenti che scaturiscono da tale lavoro, i tentativi di usare quanto è stato appreso per trasformare il proprio comportamento nell’organizzazione. Nel libro viene riportato un esempio di un diario consegnato ai partecipanti all’inizio di n percorso, la valutazione focalizza 4 momenti del percorso formativo: la singola giornata; il singolo modulo; l’intermezzo e la sperimentazione sul campo. L’utilizzo del diario inoltre facilita l’interiorizzazione della capacità di portare la riflessione nel corso dell’azione progettando sperimentazioni sul campo, valutando gli impatti delle proprie azioni sperimentali sui comportamenti di lavoro. Le giornate di follow-up hanno l’obiettivo di condividere il bilancio personale degli apprendimenti e dei cambiamenti di comportamento che ciascun partecipante percepisce di aver realizzato onde consolidarli, alimentarli e mettere a punto un piano di autoformazione. L’obiettivo delle giornate di follow-up è di fornire agli utenti una più alta capacità di rappresentazione dei fenomeni legati alla formazione, cosi come di auto-monitoraggio e di consapevolezza circa i propri stili di apprendimento. La presenza degli altri partecipanti alimenta l’efficacia di questo metodo di lavoro: il gruppo agisce come moltiplicatore dei punti di osservazione, e consente di verificare le proprie rappresentazioni. Nel corso della valutazione i partecipanti sono coinvolti in tre principali attività: 1. Analisi del documento di valutazione dei risultati predisposto dall’Ufficio di formazione con la collaborazione dei formatori e nella raccolta di ulteriori feedback utili per la riprogettazione del percorso; 2. Presentazione e discussione di due autocasi relativi alla sperimentazione sul campo delle competenze apprese durante il percorso. Questi autocasi sono stati selezionati per la ricchezza delle indicazioni emerse e per la loro capacità di suscitare l’interesse degli altri partecipanti; 3. Lettura dei progetti individuali di cambiamento delle proprie modalità di relazione con i collaboratori e un brainstorming finalizzato a individuare le risorse per l’apprendimento continuo presenti in organizzazioni che ciascuno dei partecipanti potrà utilizzare per proseguire il percorso intrapreso nella logica dell’autoformazione. Un significato differente hanno invece le discussioni in gruppo con i partecipanti possono essere realizzate al termine del corso o durante, preferibilmente in occasione di passaggi importanti. Esse consentono una valutazione delle reazioni e offrono dati utili per una riprogettazione in itinere. Sebbene tali discussioni possono essere condotte dal formatore la presenza di una figura dell’Ufficio Formazione ha un’influenza positiva, siccome alimenta nei partecipanti la sensazione che l’organizzazione non solo si cura della formazione attraverso un monitoraggio ma anche valorizza il feedback di coloro ai quali la formazione è rivolta. 51 7.4. PER UNA VALUTAZIONE NON SOLO DI SUPERFICIE Due tematiche emergenti: 1. Riguarda la natura politica della valutazione dei risultati; 2. Gli esiti di tipo simbolico che la formazione può ottenere. Hanno osservato che si può condurre una perfetta valutazione dei risultati, tale da consentire di trovare brillanti soluzioni rispetto ai problemi che si sono verificati nel corso della realizzazione dell’intervento: ma se il responsabile dell’Ufficio Formazione decide di ignorare tali informazioni esse saranno completamente inutili. La valutazione dei risultati suscita non solo un certo interesse ma anche degli interessi da parte di differenti attori organizzativi, che per questa ragione la letteratura definisce stakeholder, ovvero portatori di interesse. Portatori di interessi sono prima di tutto coloro che partecipano alle diverse fasi del processo di formazione, dall’analisi dei bisogni alla misurazione dei risultati. A questi soggetti va aggiunto il vertice dell’organizzazione, che rappresenta l’interprete dell’interesse complessivo dell’organizzazione o dell’istituzione, e qualunque altro soggetto che assuma il ruolo di committente dell’intervento formativo. Altri portatori di interesse sono i destinatari dell’intervento e i fruitori indiretti (capi, colleghi, collaboratori); ricercatori sociali e gli esperti di formazione (e analoghi). Vergani afferma in tal senso che la valutazione dei risultati di formazione è un evento politico, perché non ha carattere neutro ed è esposta a sua volta a condizionamenti da parte dei soggetti portatori di interesse. Gli esiti della valutazione oltre a costituire un’informazione utile per impostare, correggere, migliorare programmi di formazione, possono essere costruiti e utilizzati in modo strumentale allo scopo di legittimare le iniziative già avviate o concluse. Il tema della politicità della valutazione dei risultati della formazione, contribuendo all’individuazione dei differenti gruppi di stakeholders ed evidenziando come la matrice positivista e quantitativa che ispira gran parte delle azioni di valutazione dei risultati finisca per utilizzare la presunta “oggettività” del dato per occultare la dimensione politica. Tale matrice positivista e quantitativa ha nel tempo prodotto anche un secondo esito sfavorevole alla costruzione di una effettiva qualità dei progetti di valutazione: la perdita della possibilità di indagare l’impatto simbolico della formazione. Tra gli impatti simbolici descritti in letteratura possiamo citare le trasformazioni culturali, le aspettative di cambiamento, l’immagine dell’organizzazione, il senso di comunità con i colleghi, il senso attribuito agli eventi. Gli impatti simbolici possono tradursi in impatti sostanziali, ovvero avere importanti effetti sulle prestazioni aziendali nel medio-lungo periodo. L’esito simbolico è quel risultato che ha un’importanza reale per l’attore e può avere nel tempo conseguenze sostanziali e influenzare significativamente i comportamenti. Tra gli esiti degli impatti simbolici che la letteratura indica si ritrova: l’incremento del fatturato e degli utili, l’efficienza complessiva, il decremento del turnover, la diminuzione dell’assenteismo e dei ritardi etc. Per riconoscere questi impatti bisogna combinare gli strumenti quantitativi con quelli qualitativi, per riconoscere il significato attribuito dagli attori all’evento formativo. Oltre agli strumenti descritti in precedenza possiamo aggiungere l’autoetnografia, ossia un approccio autobiografico in cui il soggetto che ha vissuto l’esperienza diventa ricercatore e usa strumenti di indagine quali la riflessività e l’autosservazione. In altri termini l’autoetnografia è un’introspezione, un racconto della propria esperienza, dei sentimenti provati. Le caratteristiche dello strumento di ricerca di per sé non garantiscono l’adeguatezza del metodo e dell’approccio.
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