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Il processo esecutivo, Dispense di Diritto Processuale Civile

Riassunto chiaro, essenziale e schematico del processo esecutivo. Tratto dal III vol. di Francesco P. Luiso

Tipologia: Dispense

2016/2017

Caricato il 30/07/2017

martap-168
martap-168 🇮🇹

4.5

(2)

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il processo esecutivo e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Riassunto “processo esecutivo”, dal III vol. del Luiso Marta Polidori Il processo esecutivo è rivolto alla soddisfazione dell'interesse del creditore, nei limiti di quanto la legge o il giudice stabiliscono. Si affianca (in molti casi in rapporto di strumentalità) al processo di cognizione, e presuppone l'esistenza di un valido titolo esecutivo. I presupposti necessari per iniziare il processo di esecuzione quindi sono: –titolo esecutivo; –precetto (intimazione fatta dal creditore al debitore ad eseguire quanto stabilito nel titolo esecutivo onde evitare l'inizio dell'esecuzione). Il processo di esecuzione si svolge su impulso di parte, nel rispetto del principio della domanda e sotto la direzione di un giudice (il giudice dell'esecuzione), che ha funzioni apparentemente analoghe a quelle del g.i., ma nella pratica profondamente diverse: nel processo di esecuzione non esiste cognizione da svolgere, ma attività materiale da eseguire. Tale caratteristica del processo pone in rilievo una ulteriore figura, quella dell'ufficiale giudiziario. Quest'ultimo svolge gran parte delle attività materiali ed è autorizzato a servirsi dell'assistenza della forza pubblica in caso di necessità. Abbiamo poi la figura del cancelliere che, analogamente a quanto accade nel processo di cognizione, svolge un ruolo di tramite tra le parti e gli organi del processo. Come intuibile i tipi di esecuzione forzata si ricollegano al contenuto della sentenza di condanna, che può stabilire che il debitore sia tenuto al pagamento di una data somma di denaro piuttosto che alla consegna di una cosa mobile o al rilascio di un immobile, o addirittura a compiere o ad astenersi dal compiere una determinata attività. Grazie a ciò abbiamo essenzialmente due tipi di esecuzione: –l'espropriazione forzata, che sarà azionata di fronte ad un credito in stato di insoddisfazione, la quale distingue il suo oggetto in: ► espropriazione immobiliare, quando ha per oggetto un bene immobile o diritti immobiliari; ► espropriazione mobiliare, quando ha per oggetto beni mobili; ► espropriazione mobiliare presso terzi, quando i beni mobili oggetto dell'esecuzione non si trovino nella diretta disponibilità del debitore, ma presso un terzo; ► espropriazione di beni indivisi, quando il debitore è proprietario pro quota di un bene che s'intende espropriare; ► espropriazione contro il terzo proprietario, quando il proprietario di un bene è gravato di responsabilità per un debito altrui; ► espropriazione di crediti; –L'esecuzione in forma specifica, che sarà azionata quando il creditore dovrà ottenere non una somma di denaro, ma un altro bene o una materiale attività del debitore. Questa seconda forma può a sua volta distinguersi in: ► esecuzione forzata per consegna o rilascio, nel caso in cui il creditore intenda ottenere la consegna di una cosa mobile o il rilascio di una immobile; ► esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, quando il creditore intenda ottenere una determinata prestazione dal debitore, diversa dal pagamento o dalla consegna o rilascio, o intenda eliminare le conseguenze di un'attività illegittimamente già svolta dal debitore. A seguito della riforma che ha istituito il giudice unico di primo grado, il tribunale è sempre competente per l'esecuzione, indipendentemente dal valore del credito per cui si vuol procedere e dal tipo di esecuzione. Abbiamo detto che il processo esecutivo si differenzia da quello ordinario essenzialmente per l'assenza di attività di cognizione. Può accadere, però, che nel corso del processo, o addirittura prima che inizi, sia necessario risolvere delle questioni che potrebbero condizionare l'esistenza stessa del procedimento esecutivo o il suo regolare svolgimento. Gli strumenti che l'ordinamento mette a disposizione per far valere tali contestazioni sono le opposizioni, previste dal titolo V del terzo libro del c.p.c. Diverso è l'oggetto e la natura dei tre tipi di opposizione, per cui abbiamo: –l'opposizione all'esecuzione, attraverso la quale si contesta il diritto della parte istante a procedere all'esecuzione; –l'opposizione agli atti esecutivi, attraverso la quale si contesta la regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto o di singoli atti esecutivi; –l'opposizione di terzo all'esecuzione, azionabile da terzi che pretendano di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati. Anche il processo esecutivo, come quello di cognizione, può essere sospeso o estinguersi. Nel caso di una sospensione normalmente non c'è questione pregiudiziale da risolvere (contrariamente a quando accade per il processo di cognizione), ma una impugnazione del titolo esecutivo o contestazione del diritto a procedere o delle modalità di svolgimento. L'estinzione del processo esecutivo si verifica per rinuncia agli atti o inattività delle parti. Secondo l'art. 474 c.p.c., l'esecuzione forzata non può aver luogo se non in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. Tale titolo deve esistere al momento dell'inizio del processo esecutivo e permanere per tutta la sua durata. Dottrina a e giurisprudenza hanno discusso molto a riguardo, giungendo alle seguenti conclusioni: –l'espressione “diritto certo” si riferisce all'esecuzione per consegna e rilascio e all'esecuzione per obblighi di fare: la certezza consiste nell'individuazione del bene oggetto di intervento esecutivo e del fare che deve essere compiuto; –l'espressione “diritto liquido” si riferisce ai crediti relativi a somme di denaro (o più in generale a quantità di cose fungibili) ed equivale alla certezza riferita a diritti su beni individuati: il credito che spetta deve essere quantificato numericamente, direttamente nel titolo esecutivo, o qualificabile con operazione aritmetiche sulla base di elementi contenuti nel titolo stesso; –il “diritto esigibile” significa non sottoposto a termine o condizione (naturalmente sospensiva): da riferirsi non al momento della formazione del titolo ma a quello dell'esecuzione forzata. Una ipotesi di non esigibilità è stabilita dall'art. 478 c.p.c., quando l'efficacia del titolo esecutivo è subordinata alla prestazione di una cauzione. Il co. II dell'art. 474 c.p.c. elenca i titoli esecutivi, suddividendoli in tre categorie: –giudiziali (sentenze di condanna, ordinanze e decreti); –scritture private autenticate e titoli di credito: cambiali, assegni ed altri titoli → le scritture private costituiscono titolo esecutivo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute e l'art. qui fa riferimento non solo ai contratti, ma anche agli atti unilaterali; –atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, e come stabilito dal co. III questi costituiscono titolo esecutivo anche in relazione all'esecuzione per consegna e rilascio. L'efficacia del titolo esecutivo deve essere prevista dal legislatore espressamente, non può essere attribuita in via di interpretazione analogica. Il principio per cui il legislatore attribuisce tale efficacia ad alcuni atti piuttosto che ad altri è ricollegabile alla certezza dell'esistenza del diritto da tutelare, anche se in realtà ciò che conta è solo che ritenga meritevole di tutela esecutiva una data situazione sostanziale. L'esistenza del titolo esecutivo è condizione sufficiente per la tutela esecutiva. L'effetto di natura processuale scaturisce solo da questo e la sua esistenza non incide sulla liceità dell'esecuzione forzata sul piano del diritto sostanziale, per cui è necessaria l'effettiva esistenza del diritto da tutelare. In virtù dell'art. 96, co. II c.p.c. si può usufruire della tutela esecutiva, e tuttavia essere dove si trova il bene; per l'espropriazione presso terzi è ilo giudice del luogo dove risiede il terzo debitore; per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è il giudice del luogo dove l'obbligo deve essere adempiuto; per l'esecuzione forzata per consegna o rilascio il giudice dove si trovano i beni. La competenza territoriale è, ex art. 28 c.p.c., inderogabile dalla volontà delle parti. La competenza per le cause di cognizione incidentale è quella degli artt. 17 (competenza per valore) e 27 (competenza territoriale) c.p.c. Espropriazione forzata: Tutela esecutiva per i crediti pecuniari. Il fondamento sta non nel c.p.c. quanto nel c.c., in particolare nell'art. 2740 da leggersi congiuntamente al 2910: i beni del debitore rispondono dell'adempimento delle obbligazioni e il creditore ha il potere di farli espropriare. Fasi dell'espropriazione: –individuazione e conservazione dell'elemento attivo del patrimonio del debitore → c.d. pignoramento; –trasformazione del diritto pignorato: da liquidarsi e trasformarsi in una somma di denaro (non necessaria quando oggetto del pignoramento è già una somma di denaro); –distribuzione del ricavato (non possibile se non si realizza una liquidità). Ex art. 491 c.p.c. il pignoramento è l'atto iniziale dell'espropriazione forzata. È l'atto con cui si individuano e conservano i diritti del debitore (elemento patrimoniale) sottoposti ad espropriazione. Gli elementi patrimoniali, per essere espropriabili, devono essere trasferibili sul piano del diritto sostanziale. Il primo comma dell'art. 492 c.p.c. indica l'elemento comune a tutti i pignoramenti, costituito dall'ingiunzione all'esecutato di astenersi dal compiere qualunque atto volto a sottrarre alla garanzia del credito i beni pignorati e gli eventuali frutti di essi. Il secondo comma prevede che l'ufficiale giudiziario debba invitare il debitore ad effettuare presso la cancelleria del tribunale la dichiarazione di residenza o l'elezione del domicilio in un comune del circondario del tribunale stesso (manifestazione che, lato sensu, valenza di costituzione in giudizio e con cui viene appurato l'interesse del debitore alla procedura esecutiva). Il terzo e il quarto comma introducono il dovere di “manifestare” il proprio patrimonio, il cui presupposto attiene alla insufficienza dei beni pignorati o alla lunga durata della loro liquidazione. Il settimo comma tratta del meccanismo che consente il reperimento dei beni pignorabili, mentre l'ottavo introduce una speciale forma di ispezione per gli imprenditori commerciali. I due punti fondamentali per rendere fruttuosa l'espropriazione sono in ogni caso l'individuazione degli elementi attivi del patrimonio e la loro liquidazione a prezzo di mercato. Il pignoramento deve adattarsi ai tre modi di circolazione dei beni nel nostro ordinamento, e quindi possiamo distinguerne tre forme: –pignoramento mobiliare → la richiesta di effettuare il pignoramento mobiliare è fatta dal creditore procedente all'ufficiale giudiziario in forma libera (di solito oralmente): non c'è bisogno di accertare previamente che il debitore abbia la proprietà del bene, ricorrendo al criterio della c.d. “appartenenza” (essi si trovano collocati in beni immobili di cui il debitore abbia disponibilità). Tutte le volte in cui l'appartenenza non coincide con l'effettiva proprietà vale lo strumento dell'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. Oggetto dell'esecuzione è la titolarità, in capo all'esecutato, di un diritto sostanziale trasferibile sul bene pignorato. Casi di pignoramento diretto: ► beni mobili che si trovano in un bene immobile appartenente al debitore; ► beni mobili che non si trovino in luoghi appartenente al debitore tramite autorizzazione del giudice (su ricorso del creditore), ma dei quali egli possa disporre senza opposizione alcuna; ► quando l'ufficiale giudiziario sottopone a pignoramento cose del debitore che il terzo possessore consente di esibirgli; –pignoramento immobiliare → oggetto dell'esecuzione forzata è anche qui il diritto che il debitore esecutato ha sull'immobile, suscettibile di trasferimento sul piano sostanziale e la situazione di titolarità è di più facile accertamento in quanto esistono i pubblici registri. L'appartenenza qui si determina dalla semplice affermazione da parte del creditore procedente, che se ne assume la responsabilità. Il creditore richiede l'autorizzazione a procedere con atto avente forma scritta e da lui sottoscritto. Gli effetti verso il debitore decorrono dalla notifica e l'opposizione ai terzi dalla trascrizione. Fin dalla notificazione del pignoramento l'esecutato diviene “custode” del bene, custodia che cessa al momento in cui viene disposta la vendita; –pignoramento di crediti → meccanismo che può avere disciplina diversificata con limiti di pignorabilità ex art. 545 c.p.c. L'atto di pignoramento, notificato al debitore esecutato e al terzo debitore, contiene l'indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto e dell'indicazione delle somme o cose dovute dal terzo debitore al debitore esecutato. Vi deve essere contenuta anche la data di fissazione di udienza dinanzi al tribunale competente. Con la notifica di tale atto si producono già tutti gli effetti del pignoramento. La posizione del terzo debitore dal momento della notifica è quella di custode. L'ulteriore sviluppo del procedimento differisce a seconda che il terzo debitore renda o meno una dichiarazione conforme a quanto affermato dal creditore nell'atto di pignoramento, costituendo una fattispecie a formazione progressiva. La disciplina degli effetti conservativi del pignoramento è contenuta nel codice civile, per tradizione storica, ed occorre individuare preventivamente i pericoli che corre il creditore per il fatto che la tutela esecutiva non gli sia concessa contestualmente alla richiesta. I pericoli che corre sono essenzialmente due: modificazioni della realtà materiale che riguarda il bene, ed a tale pericolo si fa fronte con la custodia, e le modificazioni attinenti alla titolarità del diritto pignorato attraverso atti idonei a sottrarre il bene alla garanzia del credito, a cui ricorre una disciplina speciale per gli atti di disposizione compiuti dall'esecutato dopo il pignoramento. Il pignoramento comprende le pertinenze, gli accessori e i frutti del bene pignorato. I frutti maturati dopo il pignoramento vengono acquisiti all'esecuzione, sia quelli civili che quelli naturali. In caso di pignoramento di immobile tali frutti sono percepiti solo materialmente dall'esecutato, che non può farli propri ma deve conservarli nell'interesse dell'esecuzione. Se il bene pignorato è posseduto da terzi al momento dell'esecuzione allora il debitore esecutato non può diventarne custode, in quanto non ne ha il possesso. In ogni caso il debitore esecutato, al momento dell'esecuzione, perde il possesso del bene e se ne mantiene la materiale disponibilità è solo a titolo di custodia. Il possesso resta in un limbo fino a che il bene non viene consegnato all'aggiudicatario. Gli atti di alienazione dei beni pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e degli eventuali creditori che intervengono nell'esecuzione. Gli effetti del pignoramento vanno a vantaggio di tutti i creditori che intervengono nel processo esecutivo, anche se l'intervento ha luogo successivamente all'alienazione del bene. In caso di alienazione del bene pignorato l'espropriazione non muta direzione, e l'art. 2913 c.c. deve conservare al creditore procedente i diritti che sul bene spettavano al debitore esecutato e non far acquistare più diritti di quelli che aveva il debitore. Il pignoramento “congela” le ragioni di prelazione dei vari creditori. Nella distribuzione del ricavato si tiene conto solo delle ragioni esistenti alla data del pignoramento, quelle sorte dopo non sono opponibili. Il pignoramento non effettua il blocco dei crediti, i quali possono essere fatti valere all'interno del processo di espropriazione anche se sorti dopo il pignoramento. Istituti che si collocano fra il pignoramento e la vendita forzata: –pignoramento congiunto → unica istanza di pignoramento a tutela di più creditori; –unione di pignoramenti → più ufficiali giudiziari, separatamente richiesti, si trovano congiuntamente ad effettuare un pignoramento mobiliare; –pignoramento successivo. Non possono aversi processi esecutivi diversi per lo stesso bene pignorato nei confronti dello stesso debitore. In caso di pagamento nelle mani dell'ufficiale giudiziario l'esecuzione non avrà luogo, in quanto il debito si estingue. Con la conversione del pignoramento invece il debitore sostituisce ai beni pignorati una somma di denaro, e questa può essere fatta da qualunque soggetto, anche dal terzo che abbia ad es. acquistato i beni pignorati. Si ha una riduzione del pignoramento quando il valore dei beni pignorati è superiore all'importo delle spese e dei crediti di cui all'art. 495 c.p.c. Il pignoramento può perdere efficacia anzitutto se il creditore procedente non iscrive tempestivamente al ruolo il processo esecutivo o derivare dall'art. 497 c.p.c. Pignoramento presso terzi → con il pignoramento presso terzi il creditore pignora non già i beni attualmente nella disponibilità materiale del debitore, ma quelli che ancora non si trovano nel suo possesso: si tratta, di norma, di somme di denaro che gli devono essere versate da un terzo soggetto (es. datore di lavoro, banca, ente di previdenza ecc.), e tale soggetto viene definito come “debitore del debitore”. Il creditore notifica l'atto di pignoramento non solo al debitore, ma anche al suo debitore (c.d. “terzo pignorato”), intimando a quest'ultimo di consegnare, direttamente al creditore, la somma pignorata. Ciò implica che il debitore pignorato non potrà più pretendere dal proprio debitore le somme che questi gli deve. A livello di procedura il creditore comincia col notificare l'atto del pignoramento a debitore e terzo pignorato, dopodiché il terzo pignorato deve inviare, al creditore procedente, una dichiarazione con cui gli comunica se sia effettivamente debitore del debitore principale. Se il terzo pignorato omette di inviare tale dichiarazione il giudice fissa una seconda udienza alla quale egli deve comparire personalmente per fornire i chiarimenti richiesti. Se anche qui non si fa vivo il giudice emette un ordine col quale gli intima di versare, al creditore procedente, le somme pignorate. Il credito, in questo caso, si considera con contestato ai fini del procedimento in corso (il che significa che non sarà un accertamento erga omnes, ma con efficacia meramente endoprocessuale). L'unico modo che ha il terzo pignorato di contestare quest'ordine del giudice è di effettuare una opposizione agli atti dell'esecuzione, a patto di provare di non aver avuto conoscenza della notifica del pignoramento per irregolarità della stessa. L'intervento dei creditori nell'espropriazione trova il suo fondamento nell'art. 2741 c.c., letto congiuntamente all'art. 2740 c.c. Da tale lettura si ricava che le ragioni di prelazione sono l'unico meccanismo che incide sul principio della par condicio creditorum. Le cause di prelazione nascono dal diritto sostanziale e non dal processo ed il processo dovrà rispettarle. L'art. 499, I c.p.c. limita l'intervento: –a chi ha titolo esecutivo (anche successivo al pignoramento); –a chi, al momento del pagamento, ha un credito garantito da pegno, prelazione scritta o sequestro; –a chi, al momento del pignoramento, è titolare di un credito risultante dalle scritture contabili. Per intervenire il creditore deve depositare in cancelleria del giudice dell'esecuzione un ricorso contenente l'indicazione del credito e del titolo di esso, nonché la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata. Se l'intervento si fonda sulle scritture contabili queste devono essere allegate. L'art. 499, V e VI c.p.c. istituisce una sorta di procedimento di verificazione del credito per i soli creditori legittimati ad intervenire ma privi di un titolo esecutivo. I creditori che non rientrano in una di queste categorie non hanno speranza di soddisfarsi, se non ricorrendo alla tutela di urgenza di cui all'art. 700 c.p.c., allegando il pregiudizio imminente ed irreparabile che si concretizza nell'evaporarsi della garanzia patrimoniale del loro debitore. Gli effetti dell'intervento sono previsti in generale dall'art. 500 c.p.c., cui si aggiungono gli artt. 526 c.p.c. per i beni mobili e 564 c.p.c. per i beni immobili. Ex art. 631 c.p.c. la mancata comparizione a due udienze consecutive porta all'estinzione del processo esecutivo. Se all'udienza si presentano solo creditori privi di titolo esecutivo questa si considera deserta. I creditori privilegiati devono necessariamente essere avvertiti della pendenza del processo, a meno che non si tratti di creditori non iscritti. L'intervento dei creditori può essere tempestivo o tardivo: i creditori con prelazione, in qualunque momento del processo esecutivo intervengano, sono soddisfatti secondo l'ordine delle prelazioni previsto dal codice civile (naturalmente il termine ultimo per l'intervento sia per i chirografari che per i privilegiati è il momento della distribuzione dei ricavato), i creditori chirografari tempestivi agli atti esecutivi. Le controversie in sede di distribuzione sono istruite e risolte in sede di processo esecutivo, dato che l'ordinanza con cui il giudice risolve non produce effetto di accertamento dichiarativo. Le ragioni di prelazione possono benissimo essere contestate da un creditore nei confronti dell'altro, dato che operano nei rapporti tra di loro. Le parti che devono essere sentite dal giudice dell'esecuzione sono tutte quelle che, se la contestazione è accolta, vedono modificato nei loro confronti il piano di riparto. In presenza del subprocedimento finalizzato alla risoluzione delle contestazioni, il processo esecutivo può essere in tutto o in parte sospeso, e trattasi qui di sospensione obbligatoria ma per provvedimento del giudice. Espropriazione dei beni indivisi: Fra gli elementi attivi del patrimonio esiste una contitolarità sul diritto reale espropriabile. La peculiarità si verifica quando non tutti i contitolari del diritto sono assoggettabili all'espropriazione. La quota del soggetto nei cui confronti sussiste il titolo esecutivo può essere espropriata, perché anche una quota garantisce i creditori. In tal caso titolo esecutivo e precetto si notificano al solo debitore contitolare del diritto assoggettabile all'espropriazione e si effettua poi il pignoramento nelle forme ordinarie. Il creditore pignorante deve però dare avviso agli altri contitolari dell'avvenuto pignoramento. I contitolari divengono parte del processo esecutivo ed il giudice li convoca assieme a creditore e debitore provvedendo, se del caso, alla separazione della quota in natura. Cosa peraltro possibile solo in caso di contitolarità su beni fungibili. Nel caso in cui il giudice ritenga più fruttuosa la vendita della quota indivisa o, più semplicemente, non sia possibile procedere a separazione, l'aggiudicatario subentrerà al posto dell'esecutato nella contitolarità del diritto. Mentre si svolge il processo di divisione del bene quello esecutivo è automaticamente sospeso, da quando viene proposta la domanda di divisione fino all'intervenuto accordo delle parti o una sentenza di primo grado passata in giudicato, oppure una sentenza di appello. Espropriazione contro il terzo proprietario: Prevista dall'art. 602 c.p.c. per due ipotesi: –quando il bene è gravato da pegno o ipoteca per un debito altrui, due fattispecie: ► l'ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriazione anche nei confronti del terzo che acquista i beni vincolati a garanzia del suo credito (diritto di sequela) → terzo acquirente; ► l'ipoteca può essere concessa da un terzo a garanzia di un debito altrui: l'ipoteca segue il bene presso ciascun successivo acquirente, nei cui confronti il creditore ipotecario può ugualmente procedere ad espropriazione → terzo datore; –quando si tratta di un bene la cui alienazione da parte del debitore è stata revocata per frode. La norma dà attuazione processuale a quanto previsto dall'art. 2910, II c.c., il quale stabilisce che possano essere espropriati anche i beni di un terzo, quando siano vincolati a garanzia del credito o siano oggetto di un atto revocato perché compiuto in pregiudizio al creditore. Il precetto va fatto a colui che è il solo debitore sul piano sostanziale e notificato, per conoscenza, anche al terzo proprietario, il quale ha diversi strumenti per evitare l'espropriazione: –pagare, adempiendo l'obbligo altrui; –chiedere la liberazione dei beni dalle ipoteche; –rilasciare il bene ai creditori, in tal caso abbandonando il bene l'espropriazione avrà luogo presso un curatore nominato dal tribunale. Se non fa niente di tutto ciò assume la posizione di debitore esecutato, salva la facoltà di proporre opposizione all'esecuzione sul diritto del creditore a procedere. L'esecuzione in forma specifica: L'esecuzione in forma specifica è un termine che compare solo nel codice civile e in alcune leggi speciali più recenti: –esecuzione correlata agli obblighi di consegna di una cosa determinata: ► di consegna, se si tratta di un bene mobile; ► di rilascio, se si tratta di un bene immobile; –esecuzione per obblighi di fare. Non è da confondere con la tutela in forma specifica, contrapposta alla tutela per equivalente, scelta che spetta al legislatore e che pone problematiche di diritto sostanziale. Andando a vedere la differenza tra espropriazione ed esecuzione in forma specifica: nell'esecuzione per espropriazione i fattori in gioco sono due: il diritto di credito ed il diritto patrimoniale del debitore, ed il credito prevale sulla proprietà del debitore. Nell'esecuzione in forma specifica il diritto in gioco è solo uno: quello individuato nel titolo esecutivo e di cui si chiede la tutela. La differenza sta dunque nell'unicità o duplicità delle situazioni sostanziali coinvolte nell'esecuzione. Considerato che l'ufficio esecutivo dovrà sostituirsi col proprio comportamento ad un'inattività dell'obbligato originario, è evidentemente il contenuto dell'obbligo (pagare, consegnare un bene, ecc.) ad essere rilevante: una differenziazione ragionata sul tipo di diritto non risulta utile. Accanto all'esecuzione diretta esiste la forma dell'esecuzione indiretta, con cui si cerca di ottenere l'adempimento dell'obbligato attraverso l'irrogazione di sanzione. L'attività sostitutiva dell'ufficio esecutivo trova un limite nella possibile surrogabilità del comportamento dell'obbligato, che deve essere sostituibile affinché l'avente diritto riceva dall'ufficio la medesima utilità che avrebbe ricevuto dall'adempimento dell'obbligato originario. Questo implica che l'attività da sostituirsi sia “fungibile”. L'infungibilità può derivare sia dal fatto che l'obbligo è stato assunto volendo la prestazione personale dell'obbligato originario, sia da una situazione di monopolio in cui si trova l'obbligato originario, sicché in teoria la prestazione potrebbe essere resa da chiunque ma di fatto può essere data solo da un soggetto. Occorre puntualizzare che l'obbligo di astensione è, intuitivamente, di per sé sempre infungibile. Vediamo ora le singole tipologie di esecuzione in forma specifica: –esecuzione per consegna e rilascio → ha lo scopo di trasferire il potere di fatto sul bene, identificato nel titolo esecutivo, da colui che lo esercita attualmente a colui che ha il diritto di esercitarlo, e tale trasferimento non opera modifiche sulla situazione sostanziale: l'avente diritto acquista il possesso sul bene se gli è stato riconosciuto un diritto reale, mentre acquista la semplice detenzione se sul bene gli è stata riconosciuta l'esistenza di un diritto personale di godimento. La situazione possessoria di chi riceve il bene si differenzia in base al diritto a tutela del quale si è avuta l'esecuzione e non con riferimento alle modalità dell'esecuzione stessa. L'obbligo di consegna e rilascio viene effettuato secondo le forme di cui agli artt. 605 e ss. c.p.c. in modo sempre uguale. I titoli esecutivi che fondano l'esecuzione sono quelli previsti dai numeri 1 e 3 dell'art. 474, II c.p.c., e lo è anche il verbale di conciliazione giudiziale e spesso il legislatore vi aggiunge anche titoli derivanti da conciliazioni stragiudiziali (es. mediazione). Ex art. 605 c.p.c. il precetto deve contenere la descrizione dei beni (già contenuta nel titolo esecutivo). Unico soggetto dell'ufficio esecutivo necessariamente presente è l'ufficiale giudiziario, il giudice dell'esecuzione resta inattivo finché non è chiamato ad intervenire. La consegna del bene mobile avviene ex art. 606 c.p.c. e l'ufficiale giudiziario ricerca il bene dove si trova; il rilascio del bene immobile avviene ex art. 608 c.p.c., deve essere dato all'esecutato almeno dieci giorni prima il preavviso del giorno e dell'ora in cui avverrà l'immissione nel possesso. Con la notifica del preavviso ha inizio l'esecuzione forzata; –esecuzione per obblighi di fare → profili generali sono forniti dagli artt. 2931 e 2933 c.c. In sede di esecuzione forzata si tratta sempre degli obblighi di fare. Anche qui l'attuazione della tutela esecutiva non modifica le situazioni sostanziali esistenti sul bene. Il vero oggetto di questa esecuzione è costituito dalla costruzione o distruzione di un'opera. L'esecutato viene individuato sulla base degli effetti concreti che produrrà l'esecuzione: titolo esecutivo e precetto vanno notificati a colui che esercita il potere di fatto sul bene, nonché al proprietario se questi è soggetto diverso dal procedente o dall'esecutato. Decorsi dieci giorni dalla notifica il creditore ricorre al giudice dell'esecuzione perché determini le modalità dell'esecuzione, che quest'ultimo stabilirà con ordinanza previa convocazione dell'esecutato, nominando l'ufficiale giudiziario chiamato a sovraintendere. Le spese dell'esecuzione sono a carico dell'esecutato ed il giudice dovrà scegliere le modalità meno onerose. Può darsi che l'opera da costruire necessiti del rilascio di concessioni o autorizzazioni da parte della pubblica amministrazione, che se sono state richieste e rifiutate precedentemente dall'esecutato l'ufficio esecutivo può ottenere tramite opportune impugnative. L'esecuzione indiretta: Per lungo tempo il nostro ordinamento è stato lacunoso in questo settore e stralci di disciplina erano contenuti qui e là in leggi speciali, mancando una previsione generale per le ipotesi di obblighi infungibili. Questa lacuna è stata colmata dalla riforma del 2009, che ha introdotto l'art. 614bis c.p.c., il quale adotta la tecnica della sanzione civile di cui è beneficiario l'avente diritto. Occorre stabilire se il provvedimento con cui viene disposta la misura coercitiva abbia contenuto sostanziale o processuale, vale a dire se si tratti un provvedimento di merito o di rito. La misura esecutiva, ancorché impartita dal giudice del processo dichiarativo, conserva le sue caratteristiche fondamentali e rimane un provvedimento a contenuto processuale, e non diviene una pronuncia di merito per il solo fatto di essere contenuta nello stesso provvedimento. La regola di condotta contenuta nella misura esecutiva non ha nulla di sostanziale, come invece accade per il provvedimento di merito. Trattandosi di misura processuale, la necessaria istanza della parte non costituisce una vera e propria domanda che si aggiunge alla domanda di condanna, ed il provvedimento con cui il giudice fissa la sanzione pecuniaria non è di merito e non si cumula a quello che decide la domanda principale. Essa costituisce un provvedimento di rito. Per quanto riguardi i rapporti con il risarcimento questo non viene meno se spetti sulla scorta della normativa sostanziale, anzi si cumula. La determinazione della somma avviene “per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento”. Viene rimesso all'arbitrio del giudice determinare la somma dovuta. Poiché ciò avviene in sede dichiarativa, le contestazioni circa la congruità della somma determinata sono rimesse al giudice dell'impugnazione. Una volta avanzata la richiesta non può non essere accolta, salvo che il giudice verifichi la fungibilità della prestazione. Vi sono anche ipotesi in cui, seppur il fare sia infungibile, l'esecuzione indiretta è esclusa: –materia di lavoro subordinato e parasubordinato (esclusione poco comprensibile); –ove ciò sia manifestamente iniquo. Non vi è necessità, a livello di controlli, di una preventiva verifica dell'effettiva esistenza dell'illecito, salva possibile opposizione all'esecuzione da parte del diretto interessato. Opposizione all'esecuzione: Disciplinata dagli artt. 615 e 616 c.p.c. e ha per oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Si tratta della situazione processuale che dà diritto ad agire in via esecutiva, la quale presenta due profili: –la sussistenza della situazione sostanziale di cui si chiede tutela in via esecutiva (diritto da tutelare), contestabile per: ► inefficacia originaria del titolo esecutivo; ► inefficacia sopravvenuta del titolo esecutivo; –il titolo esecutivo in senso sostanziale, cioè la tutelabilità esecutiva del diritto sostanziale (diritto alla tutela). Il diritto a procedere può essere contestato sotto uno di questi due aspetti. Considerato che l'efficacia del titolo esecutivo deve sussistere dall'inizio alla fine del processo esecutivo. Problemi particolari si pongono quando si alleghi la nullità dell'atto in cui il titolo esecutivo consiste (sentenza emessa da giudice incompetente, atto rogato da soggetto che non è pubblico ufficiale, titolo di credito che non presenti i requisiti formali previsti). Per i titoli esecutivi stragiudiziali non si pongono problemi, nel senso che ogni nullità rilevante può essere fatta valere in sede di La sospensione costituisce un stasi caratterizzata dall'interferenza fra un processo di cognizione e il processo esecutivo. Sull'istanza di sospensione il giudice provvede con ordinanza, la quale è contestabile tramite reclamo. Tale fase va riattivata con il meccanismo della “riassunzione”, ex art. 627 c.p.c. La sospensione può essere disposta: –dalla legge, quando il processo di cognizione incidentale riguarda l'oggetto del processo esecutivo (e non l'oggetto dell'esecuzione forzata); –da un provvedimento del giudice davanti a cui è impugnato il titolo esecutivo; –da un provvedimento del giudice dell'esecuzione, la norma qui richiama come presupposti i “gravi motivi”; –a seguito di opposizione all'esecuzione e di opposizione di terzo, in quanto il processo di cognizione riguarda il diritto a procedere ad esecuzione forzata o l'oggetto dell'esecuzione del processo esecutivo: in questo caso la sospensione non è né obbligatoria né automatica, ma data la sussistenza di “gravi motivi” e risponde ad esigenze analoghe a quelle del processo cautelare. L'art. 624bis c.p.c. introduce nel processo esecutivo la sospensione concordata. La sospensione deve essere richiesta, prima della vendita, da tutti i creditori minuti di titolo esecutivo: il debitore deve essere sentito, ma il suo consenso non rileva. Può essere richiesta una sola volta ed ha durata massima di due anni. Gli effetti della sospensione consistono nell'impossibilità di compiere atti nel processo esecutivo. Le eccezioni sono gli atti conservativi, che possono essere autorizzati dal giudice dell'esecuzione. La sospensione cessa nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione, o non più tardi di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l'opposizione. Se la sospensione è automatica, nell'interesse del creditore procedente, l'estinzione del processo di cognizione comporta la caducazione del processo esecutivo. Nel caso di sospensione nell'interesse dell'opponente dovrebbe comportare la possibilità di riprendere l'esecuzione, ma deve concludersi che, estinto o chiuso in rito il processo di cognizione incidentale, l'opponente può avanzare l'istanza di estinzione del processo esecutivo che nel frattempo era stato sospeso. La previsione di cui all'art. 627 c.p.c. non è molto felice, perché costringe il creditore a riassumere il processo esecutivo quando non è ancora passata in giudicato la sentenza di appello che rigetta l'opposizione, altrimenti il processo esecutivo si estingue. Con il rischio che la Cassazione annulli la sentenza di appello ed il creditore veda accresciuta la propria responsabilità per danni ex art. 96, II c.p.c. La riassunzione si effettua con ricorso al giudice dell'esecuzione che o compie l'atto successivo o consente al creditore di compierlo. L'estinzione del processo esecutivo è simile a quella del processo di cognizione. Diversi sono gli effetti a seconda che l'evento per cui il processo non può più proseguire si verifica prima o dopo l'emanazione di provvedimenti con effetti di diritto sostanziale. Le ipotesi che portano all'estinzione del processo sono sempre: –la rinuncia agli atti → proveniente dal creditore procedente e soggetta a regime di accettazione diversificato per i creditori intervenuti, a seconda che avvenga prima o dopo la vendita: prima deve essere accettate soltanto dagli creditori intervenuti con titolo esecutivo, dopo invece è necessaria l'accettazione di tutti i creditori concorrenti intervenuti anche senza titolo esecutivo; –per inattività delle parti → prima ipotesi di inattività alla mancata, tempestiva, prosecuzione o riassunzione del processo esecutivo: l'estinzione opera di diritto e gli effetti retroagiscono al momento in cui è maturata la fattispecie estintiva. L'estinzione può essere eccepita dalla parte o anche dichiarata di ufficio dal giudice, ma non oltre la prima udienza successiva al verificarsi dell'estinzione stessa. Seconda ipotesi è costituita dalla mancata comparizione alla prima udienza: la diserzione di due udienze consecutive porta all'estinzione del processo, che è dichiarata anche d'ufficio. Tale disposizione non si applica all'udienza di vendita, che ha luogo anche in assenza di un creditore munito di titolo esecutivo; –mancata riassunzione entro il termine a seguito di sospensione. Se l'estinzione si verifica prima della vendita tutti gli atti del processo esecutivo divengono inefficaci; se la vendita non ha luogo decadono anche gli effetti del pignoramento, che non hanno più ragione di esistere quando non sia possibile il compimento dell'atto al quale sono funzionali; se l'estinzione si verifica dopo la vendita è fatto salvo il trasferimento all'aggiudicatario ed il ricavato della vendita è consegnato al debitore esecutato (per vendita è da intendersi anche l'aggiudicazione provvisoria).
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