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Il processo esecutivo, Appunti di Diritto Processuale Civile

Appunti sul processo esecutivo

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 22/05/2019

Mattdels
Mattdels 🇮🇹

5

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Scarica Il processo esecutivo e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Con i procedimenti camerali, con questa ulteriore appendice problematica che abbiamo visto, sostanzialmente chiudiamo la prima parte del corso che fa riferimento all’ampia area dei procedimenti sommari che rispondono a funzioni molto diverse tra di loro: ci sono i sommari decisori, sommari cautelari, sommari camerali con alcune ipotesi di sommari meramente esecutivi -> possessori per esempio che fanno storia a sé; ed alcuni provvedimenti camerali in materia contenziosa per i quali può valere quella soluzione di qualificarli come provvedimenti meramente esecutivi. In tutte queste ipotesi, alla base di questi procedimenti c’è sempre l’esercizio di un’azione di cognizione, a parte quelli di giurisdizione volontaria che per il particolare oggetto che hanno non presuppongono l’esercizio dell’azione perché non si tutelano i diritti soggettivi, ma negli altri abbiamo sempre un’azione che ha contenuto diverso perché una cosa è l’azione di cognizione per il procedimento sommario decisorio; altra cosa è l’azione di cognizione per il provvedimento sommario cautelare anche il contenuto della domanda cambia. Però è vero anche che comunque sia, quest’ampia area dei provvedimenti di cognizione sommaria rientra nella giurisdizione di cognizione. Quindi la giurisdizione di cognizione alla luce dell’ampio discorso fatto fin’ora, si compone dei processi a cognizione piena -> 1) ordinario e 2)speciali (rito del lavoro, rito agrario, rito locatizio, separazione e divorzio) e poi di questa ulteriore area dei procedimenti a cognizione sommaria. Sempre cognizione è, anche se nei casi dei procedimenti sommari, non è detto che l’obiettivo sia ottenere la formazione del giudicato, mentre quest’obiettivo ce l’abbiamo sempre quando abbiamo a che fare col processo a cognizione piena,nei casi dei procedimenti sommari abbiamo visto la cognizione non è finalizzata necessariamente alla produzione del giudicato. Ora, finita questa parte ci spostiamo sul versante della giurisdizione esecutiva, cioè dei processi di esecuzione forzata. Sempre partendo dal presupposto fondamentale che l’obiettivo dell’ordinamento processuale è assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, non è detto che per assicurarla, sia sufficiente la cognizione piena. In talune ipotesi, l’effettività della tutela richiede anche la disponibilità di strumenti di esecuzione forzata. Una disciplina processuale che riguardi propriamente questo aspetto, cioè la possibilità di portare ad esecuzione forzata un determinato diritto soggettivo accertato esistente, di portarlo ad esecuzione forzata e cioè di portarlo al soddisfacimento materiale anche contro la volontà dell’obbligato, del debitore. L’esecuzione forzata quindi a differenza della tutela cognitiva, che adimira le indicazioni dell’incertezza sull’esistenza del diritto cioè eliminare l’incertezza e ottenere l’accertamento appunto dell’esistenza del diritto controverso, o dell’esistenza dello status; l’esecuzione forzata invece parte da un presupposto, da un certo grado di certezza sull’esistenza del diritto e va oltre cioè arriva a ottenere che materialmente, non più sul piano della certezza, si ottenga il soddisfacimento del diritto in questione. Anche in questo caso, tuttavia, ci stiamo muovendo all’interno del principio dell’effettività della tutela, quindi un ordinamento che non prevedesse gli strumenti dell’esecuzione forzata sarebbe un ordinamento monco, mancherebbe di qualcosa e tra l’altro, presterebbe il fianco alla possibilità dei consociati una volta che abbiano l’accertamento del diritto, ma poi non avendo gli strumenti dell’esecuzione forzata, cerchino in altri modi di adeguare lo stato di fatto a quanto risultante dall’accertamento. Quindi, essendo l’obiettivo quello di adeguare la realtà a quanto emerge dall’accertamento del diritto, è chiaro anche che siccome i diritti hanno contenuti diversi, le modalità attraverso le quali, sul piano processuale, si arriva ad ottenere l’obiettivo dell’adeguamento materiale, saranno diverse per consentire di adeguare appunto lo strumento processuale al contenuto del diritto che si intende portare a soddisfacimento concreto. Vedremo come in realtà, così come abbiamo visto accadere per la cognizione, dove abbiamo visto esserci diverse forme di processo di cognizione, parimenti vedremo per il processo di esecuzione forzata. Non è un unico processo di esecuzione forzata ma abbiamo diversi processi di esecuzione forzata a seconda della natura del diritto che si intende tutelare in via esecutiva. Nei casi dei processi di esecuzione forzata, il punto di partenza è l’acquisizione di un grado di certezza circa l’esistenza del diritto. Questo grado di certezza è dato dal fatto che il titolare del diritto disponga di un atto formale che gli riconosce appunto l’esistenza del diritto, che dia la certezza dell’esistenza del diritto; quest’atto formale che regge appunto tutti i processi di esecuzione forzata va sotto il nome di titolo esecutivo cioè l’atto formale che per l’ordinamento conferisce al titolare del diritto quel grado di certezza ritenuto idoneo dall’ordinamento per intraprendere il processo di esecuzione forzata, oppure per dirla in termini tecnico-processuali, per esercitare l’azione esecutiva. Perché, ovviamente, anche nell’ambito dei processi di esecuzione forzata, siccome stiamo parlando appunto di attività giurisdizionale, degli organi giudiziali, alla base dell’attivazione del giudice c’è sempre l’esercizio di un’azione (art. 24 primo comma della Costituzione), solo che qui l’azione di cognizione sarà l’azione esecutiva quindi un’azione che avrà ovviamente delle caratteristiche del tutto particolari. Il requisito necessario e sufficiente per esercitare quest’azione esecutiva è appunto il possesso del titolo esecutivo, cioè dell’atto formale che dia certezza sull’esistenza del diritto. Ora, ATTENZIONE, questo discorso cioè che per esercitare l’azione esecutiva bisogna disporre del titolo esecutivo, ci serve questa formula perché ci dà due indicazioni fondamentali, o meglio, ci serve in due direzioni diverse: la prima direzione è che è lo stesso legislatore, codice, che ci dirà quali, secondo l’ordinamento, sono da considerare i titoli esecutivi cioè quegli atti formali che garantiscono sull’esistenza del diritto da portare ad esecuzione. Perché è lo stesso legislatore? Perché evidentemente qui per attivare il processo di esecuzione forzata, ci si rivolge al giudice e si utilizza la forza pubblica per aggredire il patrimonio altrui, questa è la sostanza del processo ad esecuzione forzata. Ed è chiaro che per fare questo, siccome il possesso del titolo esecutivo è un modo per utilizzare la forza pubblica, è evidente che il legislatore si riserva l’esclusiva di stabilire lui quale sia la chiave d’accesso a questi strumenti e se la riserva appunto individuando specificatamente e tassativamente quali sono questi titoli esecutivi, questi atti formali che attribuiscono al titolare del diritto la chiave d’ accesso alle forme dell’esecuzione forzata. Quindi questa è una prima indicazione e vedremo cosa ci dice su questo versante il legislatore. La seconda conseguenza, che nasce dall’affermazione per cui il titolo esecutivo è condizione necessaria e sufficiente per agire in via esecutiva, è che evidentemente non tutti i titoli esecutivi danno lo stesso grado di certezza sull’esistenza del diritto. Vedremo come questo grado di certezza va da un minimo a un massimo e all’interno di questa gamma di diversi gradi di certezza, ovviamente saranno diverse anche le possibilità che vengono date alla controparte, in questo caso l’esecutato/il debitore/ l’obbligato (come lo volete chiamare) per poter reagire all’azione esecutiva e perché dico questo? Perché anche nell’ambito dei processi di esecuzione forzata, deve valere il rispetto dei principi costituzionali e soprattutto del principio fondamentale del diritto al contraddittorio e questo diritto al contraddittorio, nell’ambito dei processi di esecuzione forzata, lo troviamo estrinsecarsi nelle possibilità che avrà il debitore esecutato di reagire all’azione esecutiva. Quindi, in sostanza, abbiamo detto che il possesso del titolo esecutivo è condizione necessaria e sufficiente MA il grado di certezza insito in ognuna delle diverse tipologie di titoli esecutivi individuati dal legislatore varia, di conseguenza le possibilità di reazione del debitore saranno diverse, già lo saranno inversamente proporzionali rispetto al grado di certezza conferito dal titolo esecutivo, quanto più alto è il grado di certezza, tanto minori saranno le possibilità di reazione, quindi le possibilità di esercitare il contraddittorio che comunque deve essere garantito anche all’interno del processo di esecuzione forzata. Ora, tenendo presente questi elementi che vi ho dato e concentrandoci appunto su questo elemento fondamentale dal quale partire, cioè il possesso del titolo esecutivo, come vi dicevo, le indicazioni su quali siano i titoli idonei per esercitare l’azione esecutiva, ci vengono dallo stesso legislatore e le troviamo espressamente individuate, queste ipotesi tipiche e tassative nel primo articolo nel quale si apre il Libro III del Codice di procedura civile, che è appunto il libro dedicato all’esecuzione forzata. Il primo articolo disciplina esattamente il titolo esecutivo, quali siano nel nostro ordinamento gli atti e i provvedimenti che sono da considerare titoli esecutivi. Prima di vedere queste indicazioni che ci dà il legislatore, teniamo anche presente il fatto che appunto il titolo esecutivo, costituendo la condizione necessaria e sufficiente per esercitare l’azione esecutiva, ci dà anche le indicazioni sulla sussistenza in capo a colui che dal titolo esecutivo risulta creditore, anche le indicazioni sulla sussistenza delle cosiddette condizioni dell’azione esecutiva. Perché ovviamente siccome anche i processi di esecuzione forzata sono retti dall’esercizio di un’azione, anche se si tratta di un’azione appunto che va sotto il nome di azione esecutiva, però è evidente che anche in relazione all’azione esecutiva noi dobbiamo configurare la sussistenza delle condizioni dell’azione e vi ricordate che con riferimento all’azione di cognizione, le condizioni dell’azione quali sono? La legittimazione ad agire, l’interesse ad agire e la possibilità giuridica . Queste tre condizioni, nel caso dell’azione esecutiva, ovviamente sono dimostrate dal possesso del titolo esecutivo. il fatto di essere possessori del titolo esecutivo, conferma da un lato, circa la sussistenza del diritto da portare ad esecuzione forzata; dall’altro, circa la sussistenza delle condizioni dell’azione. Quindi non c’è bisogno di dimostrare nient’altro che la disponibilità, il possesso del titolo esecutivo. Questo è appunto sufficiente, oltre che necessario, per esercitare l’azione esecutiva. Quindi sarà dal titolo esecutivo che ricaveremo oltre che l’esistenza del diritto da portare a esecuzione, anche la legittimazione del creditore ad esercitare l’azione esecutiva e potrà esercitare l’azione esecutiva, il soggetto che evidentemente dal titolo esecutivo risulta essere quanto a atti che siano nati all’interno del processo di cognizione e ai quali il legislatore conferisce efficacia esecutiva. Quali sono questi atti? I verbali di conciliazione. Durante il processo di cognizione può emergere la conciliazione tra le parti, che attenzione nel caso della conciliazione non avremo la pronuncia del giudice ma l’accordo ha eliminato la controversia e noi sappiamo che ai sensi dell’art. 185 del c.p.c. il verbale di conciliazione, raggiunta in sede di processo di cognizione, è titolo esecutivo. quindi anche qui abbiamo un titolo esecutivo che non è costituito dal provvedimento, da un atto, e che tuttavia è nato in occasione del processo. Quindi numero 1 provvedimenti e atti, numero 2 i titoli di credito (cambiali, assegni) che nel nostro ordinamento, sappiamo che sulla base della legge cambiale e della legge sull’assegno, sono titoli esecutivi ovviamente una volta che il credito in esso contenuto sia scaduto e quindi il numero 2 dell’art 474 richiama, all’interno dello stesso numero 2 del 474 vengono richiamati anche le scritture private autenticate, ovviamente sono atti stragiudiziali tanto i titoli di credito quanto le scritture private autenticate che contengono l’esistenza di un diritto di credito e quindi sono per l’ordinamento affidabili in qualche maniera danno un grado di certezza tale da consentire l’esercizio dell’azione esecutiva, quindi come vedete qui non c’è nessun accertamento del giudice, tuttavia per l’ordinamento sono atti particolarmente qualificati per le caratteristiche che hanno e quindi danno quel grado di certezza idoneo a intraprendere l’esecuzione. E infine, il numero 3, gli atti pubblici cioè gli atti ricevuti dal notaio, anche questi costituiscono titolo esecutivo ovviamente per le obbligazioni che emergano dagli atti pubblici e anche qui costituiscono titolo esecutivo per la particolare natura di questa, si tratta di atti stragiudiziali ma siccome quello che è contenuto nell’atto pubblico, per essere smentito, deve essere sottoposto a querela di falso quindi non può essere semplicemente contestato, anche in questo caso, per l’ordinamento, abbiamo un grado di certezza idoneo a intraprendere l’esecuzione forzata. Allora riprendiamo il discorso che abbiamo iniziato la scorsa settimana sui processi di esecuzione forzata, in particolare sui titoli esecutivi che, come vi ho detto, sono condizione necessaria e sufficiente, o meglio il possesso del titolo esecutivo é condizione necessaria e sufficiente per intraprendere qualunque processo di esecuzione forzata. Ora, L'art.474, come abbiamo visto, individua 3 categorie di titoli esecutivi di diversa origine e natura, che appunto per l'ordinamento sono da considerare titoli idonei per intraprendere l'esecuzione forzata. Abbiamo visto queste tre categorie, che possiamo distinguere fondamentalmente tra titoli esecutivi di origine o natura giudiziale, che sono quelli indicati dal n1 del 2 comma art.474 e titoli esecutivi stragiudiziali, di natura stragiudiziale, che noi troviamo nei n2/3 dello stesso art.474. Ora, l'ordine che ci dà L'art.474 é un ordine anzitutto collegato alla più o meno ampia possibilità di utilizzare questo titolo esecutivo per intraprendere le varie tipologie di processo esecutivo. Cosa voglio dire? Ovviamente, come vi ho anticipato la scorsa settimana, i processi esecutivi che noi dovremo analizzare e prendere in considerazione e che il codice individua sono diversi a seconda della tipologia dell'obbligazione o meglio del contenuto del diritto di credito da portare ad esecuzione forzata. A seconda che l'obbligazione sia per il pagamento di somma di denaro, nel qual caso avremo il processo di esecuzione forzata per espropriazione(l'obiettivo è aggredire il patrimonio del debitore, individuare i beni da sottoporre a vendita forzata, quindi trasformarli in somme di denaro e sulle somme di denaro ricavate dalla vendita forzata consentire il soddisfacimento del creditore). Il meccanismo è abbastanza semplice quando abbiamo a che fare con obbligazioni per il pagamento di somme di denaro. Cioè dal titolo esecutivo emerge un'obbligazione che ha ad oggetto il pagamento di somme di denaro, sia che si tratti di titolo esecutivo giudiziale che stragiudiziale. Oppure dal titolo esecutivo può emergere un'obbligazione che ha ad oggetto la consegna di beni mobili o il rilascio di beni immobili, quindi la consegna o di una cosa specifica, quello specifico bene oppure una quantità determinata di beni mobili oppure ancora il rilascio di un determinato bene immobile. Anche in questi casi il creditore che sia in possesso del titolo esecutivo può intraprendere il processo di esecuzione forzata, ma non per espropriazione(non vuole una somma di denaro), vuole avere quel bene specifico o quella quantità determinata di beni e in questo caso il codice ha previsto il processo di esecuzione forzata in forma specifica, per consegna di beni mobili o rilascio di beni immobili, che evidentemente avrà struttura diversa dal processo esecutivo per espropriazione forzata. Queste differenze le vedremo, ma intanto registriamo che le forme del processo esecutivo saranno diverse a seconda del credito da portare ad esecuzione forzata. Infine, sempre nell'ambito delle diverse tipologie di obbligazioni, dal titolo esecutivo potrebbe emergere un'obbligazione che ha ad oggetto un obbligo di fare o non fare, da portare ad esecuzione forzata. Dal titolo esecutivo emerge che il debitore ha assunto un'obbligazione di fare o non fare, ossia omissione dal fare determinate attività, che tuttavia é stata violata e non é stata compiuta. Si tratta di portarla ad esecuzione forzata. Anche qui non serviranno le forme del processo per espropriazione, né quelle del processo per consegna o rilascio, il codice individua una terza forma di processo esecutivo, ossia il processo esecutivo in forma specifica ma per obblighi di fare o non fare. Quindi in realtà, come potete notare, a seconda della natura del credito che emerga dal titolo esecutivo, dobbiamo utilizzare forme di processo esecutivo diverse. A differenza di quello che abbiamo visto accadere nel processo di cognizione, che é sempre lo stesso quale che sia il diritto da accertare. In queste tre forme di processo esecutivo(che andranno utilizzate a seconda della natura del credito che emerga dal titolo esecutivo, che è il punto di riferimento anche in questo caso per individuare quale sia il processo esecutivo per il quale dovremo avviare il processo di esecuzione forzata, quindi l'azione esecutiva), sostanzialmente l'attivazione dell'organo giurisdizionale serve per consentire che il creditore, colui che risulti degno creditore dal titolo esecutivo, ottenga quanto gli spetta sulla base del titolo esecutivo, anche senza che il debitore sia costretto a collaborare all'adempimento. Le forme dell'esecuzione forzata servono per scavalcare la cooperazione da parte del debitore, per arrivare comunque all'adempimento dell'obbligazione; di fatto vedremo che in tutte e 3 le diverse forme di processo esecutivo ci sarà l'organo pubblico giurisdizionale, che si sostituisce al debitore e fa sì che il creditore ottenga quanto gli spetti, cioè l'adeguamento della realtà materiale a quanto risulta dal titolo esecutivo, la sostituzione dell'organo giurisdizionale al debitore, che evidentemente é rimasto inadempiente rispetto all'obbligazione. Difatti per connotare queste 3 forme di processo esecutivo ed evidenziarne l'elemento comune, si parla di esecuzione forzata diretta: é l'organo giurisdizionale che, verificata la sussistenza dei presupposti, in particolare quella del possesso del titolo esecutivo, si sostituisce secondo le forme stabilite dal c.p.c. al debitore e fa sì che il creditore ottenga materialmente quanto gli spetta, a seconda della natura del credito. Dico questo perché è evidente che queste 3 forme di esecuzione forzata, disciplinate dal codice, proprio perché impostate sulla base della sostituzione dell'organo giurisdizionale al debitore, presuppongono che si tratti sempre di un'obbligazione di natura fungibile, il cui adempimento consenta la sostituzione. Se invece fossimo in presenza di un'obbligazione di natura infungibile, è evidente che questa operazione di sostituzione non può compiersi. Per come strutturate le forme del processo esecutivo, quale che sia quello che vogliamo utilizzare, presuppongono la natura fungibile dell'obbligazione e del credito, quindi incontrano un ostacolo insormontabile laddove il diritto di credito abbia ad oggetto un'obbligazione di natura infungibile. Quando siamo in presenza di un'obbligazione di natura infungibile? Quando per poter essere adempiuta necessariamente richiede la cooperazione del debitore, per esempio nel licenziamento illegittimo del lavoratore indipendente, se il giudice accerta l'illiceitá del licenziamento e ordina la reintegrazione del lavoratore dipendente, quest'ultima può essere eseguita solo dal datore di lavoro, nessun altro può sostituirsi a lui e disporre la riassunzione. In generale avremo l'infungibilità tutte le volte in cui l'obbligazione non può essere compiuta che dal debitore: solo il debitore può adempiere l'obbligazione. In questi casi, i processi di esecuzione forzata con i quali ci confronteremo non servono, non possono essere utilizzati. Vedremo che, proprio venendo incontro a questa esigenza, al fatto che quando ricorrono obbligazioni di natura infungibile da portare ad esecuzione forzata le forme dei processi esecutivi non possono essere utilizzate perchè tutte presuppongono la sostituzione dell'organo giurisdizionale al debitore, in tali casi di fare infungibile il nostro, come altri legislatori, ricorrono allo strumento delle cosiddette misure coercitive, strumento che noi abbiamo già incontrato, cioè l'adozione di forme di esecuzione indiretta perché in realtà attraverso l'adozione di queste misure il legislatore fa scaturire, dall'inadempimento dell'obbligazione, in capo al debitore delle conseguenze ulteriori di natura patrimoniale o personale, che lo inducano ad adempiere spontaneamente. Questa è l'esecuzione indiretta: non c'è l'organo giurisdizionale che si sostituisce al debitore come in quella diretta, ma è il legislatore che fa scattare delle conseguenze negative in capo al debitore per indurlo ad adempiere spontaneamente. Cioè per fargli valutare come non conveniente l'inadempimento. Difatti ricorderete, tornando all'esempio precedente, che l'inadempimento del datore di lavoro che non riassuma il lavoratore illegittimamente licenziato fa scattare una misura coercitiva a suo carico, addirittura di natura penale(art.388 c.p.). Stesso discorso per le obbligazioni di non fare, da cui emerge la natura di obbligazione fungibile/ infungibile: obbligo del debitore di omettere di compiere determinate attività. -Pensate a quella di non costruire un muro oltre una certa altezza perché c'è una servitù di veduta. Come si viola l'obbligazione di non fare? Compiendo quello che il debitore ha assunto come obbligo di non fare, costruendo oltre l'altezza. Come si porta ad esecuzione forzata? Distruggendo quanto è stato compiuto. La distruzione integra un'obbligazione di fare, e distruggere non richiede particolari competenze quindi chiunque può sostituirsi al debitore e distruggere quanto è stato compiuto. Con riferimento alle obbligazioni di non fare, fin quando queste non vengono violate sono infungibili(solo il debitore può omettere di fare quella attività per cui si é obbligato, non costruire oltre una certa altezza). Ma nel momento in cui viene violata si trasforma in un'obbligazione di fare, cioè distruggere quanto è stato costruito in violazione di quella di non fare. Questa distruzione perde la sua natura di infungibilità e vedremo che finché si tratta di ottenere che vengano salvaguardate e siano adempiute le prestazioni di non fare, il rimedio è quello delle misure coercitive perchè hanno natura infungibile. Per ottenere che non siano violate il creditore ha a disposizione solo la natura coercitiva. Quando vengono violate invece, trasformandosi in obbligazione di fare(distruggere quanto costruito in violazione) si trasformano in obbligazione fungibile e per ottenere l'adempimento coattivo dell'obbligazione di non fare violata, utilizzeremo le forme dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare-non fare. La particolarità delle obbligazioni di non fare sta nel fatto che nascono come obbligazioni infungibili, ma ove violate si trasformano in obbligazioni fungibili. Quindi: se dal titolo esecutivo emerge un'obbligazione di fare noi sappiamo fin dall'inizio che si tratta di un'obbligazione fungibile o non, dipende dalla natura del facere; se dal titolo emerge un'obbligazione di non fare siamo in presenza di obbligazioni di natura infungibile finché sono adempiute, perché solo il debitore può adempiere l'obbligazione di non fare(se il vicino si è assunto l'obbligo di non costruire oltre una certa altezza, non mi interessa che un altro rispetti questo obbligo) finché non venga violata; quando violata, si trasforma in obbligazione di fare, di distruggere quanto costruito in violazione e diventa di natura fungibile utilizzabile nel processo esecutivo. Il processo esecutivo lo utilizziamo quando l'obbligazione é violata, per ottenere l'adeguamento della realtà materiale a quanto risulti dal titolo esecutivo. Non mi interessa che l'obbligazione di non facere sia di natura infungibile quando non violata, perché in quel caso potrei utilizzare la misura coercitiva per condizionare il debitore e costringerlo ad adempiere spontaneamente, ma se anche non utilizzassi la misura coercitiva e il debitore dovesse violare l'obbligazione, io ho a disposizione lo strumento del processo esecutivo che mi consente di distruggere quanto costruito in violazione dell'obbligo di non facere. Quindi, un problema di distinzione della natura fungibile/infungibile dell'obbligazione l'abbiamo solo nell'area degli obblighi di fare/non fare, ma con questa distinzione gli obblighi di fare possono essere di natura fungibile o infungibile fin dall'inizio e non si trasformano strada facendo, rimangono tali anche in caso di violazione; gli obblighi di non fare presentano questa particolarità, nascendo sempre con natura infungibile(implicano l'omissione dell'attività a carico del debitore) ma ove violati diventano di natura fungibile(implicano la distruzione, un facere compiuto da chiunque si sostituisca al debitore). Questo è il quadro con cui ci confronteremo di volta in volta quando abbiamo a che fare con il processo esecutivo, tenendo presente che l'obbligazione di pagamento di somme di denaro e di consegna o rilascio sono sempre fungibili; quelle di fare o non fare no, vedendo di volta in volta qual è l'obbligo. Tenendo presente questo quadro che copre l'intera gamma delle possibili situazioni di diritti di credito, come ricolleghiamo il discorso al titolo esecutivo? Sebbene l’art.474 disciplini il titolo esecutivo, le tre diverse categorie di titoli esecutivi sono titoli che legittimano all'esecuzione forzata ma con una forza diversa, cioè non valgono per qualunque processo esecutivo intendiamo intraprendere. L'art.474 oltre a darci l'elenco dei titoli esecutivi, ci dice anche per ognuno dei titoli ivi richiamati quale sia la sua forza di legittimazione; da questo punto di vista, leggendo l'elenco dell'art.474 noi ricaviamo che i titoli esecutivi al n1 che comprendono quelli giudiziali, sono utilizzabili quale che sia la forma di processo esecutivo che noi intendiamo intraprendere, sono gli unici titoli esecutivi a largo spettro. Quale che sia l'obbligo che derivi dal provvedimento giudiziale, dotato di efficacia esecutiva(obbligo di pagamento di somme di denaro, consegna o rilascio di beni, fare o non fare), è un titolo valido per intraprendere il processo esecutivo. Lo stesso discorso, poiché ci muoviamo all'interno del n1, vale per i verbali di conciliazione (altri atti a cui il legislatore conferisce efficacia esecutiva), richiamati nel n1 perché richiedono un atto formale da parte del giudice di conferimento dell'efficacia esecutiva, non nascendo come provvedimenti giudiziali (sono definiti infatti "altri atti" che si aggiungono al procedimento giudiziale). -Ricorderete per esempio il verbale di conciliazione ex art.185 nel corso del processo di cognizione, in cui il giudizio non va avanti ma ai sensi dell'art.185 il verbale ha efficacia esecutiva una volta che sia stato sottoscritto dal giudice, che gli conferisce tale efficacia. -Così come nel caso di conciliazione della controversia di lavoro, c'è la facoltà delle parti di rivolgersi all'ufficio provinciale del lavoro per la conciliazione ex art.410: anche in questo caso se raggiunta la conciliazione in via stragiudiziale, per far sì che il verbale acquisisca efficacia esecutiva è necessario depositarlo presso la cancelleria del giudice perché egli conferisca allo stesso efficacia esecutiva, previo controllo formale. In entrambi i casi abbiamo intervento del giudice, quindi quell'altro atto di natura stragiudiziale perché acquisti efficacia esecutiva necessita di un intervento formale del giudice, che gli conferisca questa efficacia. Per questa ragione il legislatore ha richiamato questa categoria nel n1. Richiamandoli lì, gli ha anche conferito la stessa efficacia dei titoli esecutivi giudiziali, a largo spettro: come i provvedimenti giudiziali, anche gli altri atti del n1(verbali di conciliazione, dotati di efficacia esecutiva) sono utilizzabili quale che sia l'obbligazione. Sono gli unici titoli esecutivi, quelli richiamati dal n1, che consentono questa utilizzabilità a largo spettro, essendo alla base di qualsiasi tipologia di titolo esecutivo. Nelle altre 2 categorie richiamate dall'art.474 siamo sempre in presenza di un titolo esecutivo, atto dotato di efficacia esecutiva, ma si tratta di un titolo esecutivo a spettro più ridotto, utilizzabile solo per attivare determinati processi esecutivi. Come emerge dall'art.474, perché leggendolo in maniera integrale ricaviamo che i titoli esecutivi n2 sono per intraprendere solo il processo esecutivo per espropriazione forzata(per far valere obbligazioni con oggetto il pagamento di somme di denaro), non possiamo utilizzarli per intraprendere processo esecutivo con oggetto consegna o rilascio di beni, né per far valere obbligazioni di fare o non fare(utilizzabilità più ridotta). Quali sono? Cambiali, assegni e altri titoli di credito, scritture private autenticate. Con riferimento a cambiali, assegni e titoli di credito, la motivazione del restringimento dell'utilizzabilità è in re ipsa, in quanto i titoli di credito hanno sempre ad oggetto pagamento di somme di denaro, non altre obbligazioni: è evidente quindi che se siamo in presenza di un titolo di credito, quest'ultimo può essere titolo esecutivo solo per intraprendere il processo di espropriazione La prima esigenza che l'ordinamento ritiene opportuno tutelare riguarda l'ipotesi in cui il debitore intenda contestare l'esistenza del diritto di credito del creditore, quindi il diritto stesso di procedere all'esecuzione forzata. Questa prima ipotesi disciplinata dall'art.615 va sotto il nome di opposizione al precetto o all'esecuzione. La vedremo meglio in futuro ma intanto registriamo il fatto che alla luce di questa previsione, fin dal momento in cui il creditore manifesta la volontà di procedere ad esecuzione forzata, il debitore può subito contestare l'esistenza del diritto di credito risultante dal titolo esecutivo, e aprire l'incidente cognitivo che è dato da questa opposizione. Perché può nascere questa esigenza? Proprio alla luce degli atti e provvedimenti che L'art.474 individua come titoli esecutivi. Stando alle sue indicazioni, mai abbiamo certezza assoluta che il diritto di credito emergente dal titolo sussista ancora, e che il creditore possa utilizzare il processo esecutivo. Siccome può profilarsi questa ipotesi, l'ordinamento ha l'esigenza di salvaguardare la posizione del debitore che si trovi di fronte ad un creditore che utilizza legittimamente il titolo esecutivo, ma per far valere un credito che per il debitore non esiste più. La particolarità è che il rimedio il legislatore l'ha previsto solo se il debitore si attiva e fa valere questa opposizione, altrimenti per l'ordinamento va tutto liscio, perché il possesso del titolo esecutivo per l'ordinamento è necessario e sufficiente. Deve essere il debitore, ove ritenga che il diritto di credito risultante dal titolo esecutivo in realtà non sussista, che si deve attivare per far valere l'opposizione di cui all'art.615. Vedremo che per effetto di questa attivazione da parte del debitore e la proposizione dell'opposizione, si apre un vero e proprio processo di cognizione che avrà ad oggetto l'accertamento dell'esistenza del diritto di credito risultante dal titolo esecutivo. Per questa ragione parliamo di incidente cognitivo: c'è un processo di esecuzione forzata e al suo interno germoglia un processo di cognizione con ad oggetto l'accertamento del diritto di credito. Il punto su cui voglio attirare la vostra attenzione è: se l'oggetto del procedimento di cui all'art.615 è l'accertamento del diritto di credito, è evidente che questo accertamento e quindi le possibilità del debitore di contestare l'esistenza del diritto in questione, sono inversamente proporzionali rispetto alla qualità dell'accertamento emergente dal titolo esecutivo. Quanto più ampia è la qualità di accertamento, tanto più ridotte saranno le possibilità difensive di contestazione del debitore; quanto più bassa è la qualità di accertamento, tanto più ampie sono le possibilità di difesa del debitore. Siccome alla luce dell'art.474 abbiamo una gradazione della qualità di accertamento del diritto di credito, dai provvedimenti giudiziali ai verbali di conciliazione, ai titoli di credito, alle scritture private autenticate, agli atti pubblici, ognuno di questi ha una qualità di accertamento diversa. Se andiamo all'interno dei provvedimenti giudiziali abbiamo diverse gradazioni perché il titolo esecutivo può essere costituito da: un'ordinanza anticipatoria di condanna(provvisoria, qualità di accertamento inferiore rispetto alla sentenza di primo grado di condanna); sentenza di primo grado a sua volta inferiore dell'accertamento contenuto in una sentenza di appello di condanna; quest'ultimo ancora inferiore alla sentenza passata in giudicato. Allora in relazione a questa qualità noi ritagliamo l'ambito entro cui il debitore può contestare l'esistenza del diritto di credito emergente dal titolo esecutivo: seguendo l'ordine abbiamo l'ampiezza massima di difesa quando il titolo esecutivo è costituito da un atto stragiudiziale(titolo n2/3 art.474) in quanto l'accertamento sull'esistenza del diritto di credito è contenuto in un atto di natura stragiudiziale, non c'è accertamento da parte del giudice, quindi evidentemente nei confronti di quest'atto il debitore può rilevare qualsiasi contestazione. Così come potrebbe fuori dal processo esecutivo contestare l'esistenza del diritto di credito emergente da un atto stragiudiziale(deducendo nullità, annullamento contratto, risoluzione o altre impugnative contrattuali), queste stesse possibilità difensive le avrà il debitore ove quell'atto venga utilizzato come titolo esecutivo. Considerando che nei n2/3 vengono richiamati atti di natura stragiudiziale che hanno particolari requisiti formali(titolo di credito o scrittura privata autentica o atto pubblico), si aggiungono alle possibilità del debitore di far valere tutte le impugnative negoziali, anche le contestazioni legate ai requisiti particolari formali dell'atto specifico. Ad esempio la cambiale per poter valere come tale deve presentare determinati requisiti formali(versare l'imposta di bollo), deve avere caratteristiche formali, queste sono contestazioni che il debitore può muovere rispetto alla sussistenza del diritto di credito che emerga dal titolo esecutivo. Se siamo in presenza di una scrittura privata autenticata, il debitore oltre alla possibilità di contestare l'intrinseco(impugnative negoziali), può contestare l'estrinseco facendo valere la querela di falso per contestare l'autenticità della sottoscrizione. Questo rimedio vale a contestare il requisito formale richiesto dall'art.474 perché quel titolo esecutivo sia tale. Quindi oltre alle contestazioni nel merito abbiamo anche questo tipo di contestazione. Lo stesso vale per l'atto pubblico, nei confronti del quale le parti possono far valere la querela di falso(falso materiale o ideologico compiuto dall'ufficiale giudiziario che ha redatto l'atto): rimedio ulteriore che vale a minare l'efficacia di quell'atto come titolo esecutivo. Quando parliamo di titoli di credito, nei loro confronti si può far valere sia l'azione cosiddetta causale, legata all'atto negoziale che ha dato vita al titolo di credito, sia l'azione formale, perché i titoli hanno la particolarità per l'ordinamento del requisito dell'astrattezza(circolano a prescindere dall'esistenza della causale) quindi se trasportiamo il discorso nel processo esecutivo, il debitore potrà far valere anche quest'ultima azione. Se ci spostiamo sul versante dei titoli esecutivi giudizialidi cui al n1 abbiamo una gradazione all'interno: titoli esecutivi che rientrano nel n1 che hanno di giudiziale solo l'accertamento dei requisiti formali(verbali di conciliazione, che abbisognano dell'exequatur del giudice, che non giudica l'esistenza del merito) e quindi quello che attiene al merito è suscettibile di esser contestato ad opera delle parti. Siccome sul piano dell'efficacia sostanziale il verbale di conciliazione è una sorta di contratto, esso è suscettibile di essere contestato nel merito con qualsiasi impugnativa di tipo negoziale. Oltre a ciò si può contestare l'esistenza di quel requisito formale richiesto dall'ordinamento: l'exequatur da parte del giudice che gli conferisce efficacia esecutiva. Se passiamo ai veri e propri titoli esecutivi giudiziali, andiamo dal minimo dato dal provvedimento sommario diverso dalla sentenza a cui il legislatore conferisce efficacia esecutiva(ordinanza anticipatoria di condanna, decreto ingiuntivo, ordinanza di rilascio), arrivando alle sentenze di primo grado, di secondo grado e passate in giudicato. Gradi diversi di efficacia. Il problema che si pone rispetto alle possibilità difensive del creditore di contestare l'esistenza del diritto di credito è: o siamo in presenza di un provvedimento giudiziale non ancora definitivo e per cui il legislatore ha previsto nell'ambito del processo di cognizione rimedi specifici(impugnazione, opposizione per il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, revoca o modifica dell'ordinanza anticipatoria di condanna da parte dello stesso giudice che l'ha pronunciata, appello per la sentenza di primo grado, cassazione per quella di secondo grado), in tali casi la contestazione da parte del debitore può avvenire nel processo esecutivo al di fuori di quello che l'ordinamento consente di fare attraverso rimedi specifici. Tutto ciò che non è coperto dal rimedio specifico, potrà essere fatto valere col rimedio dell'opposizione art.615: se l'ordinamento rispetto al titolo esecutivo giudiziale ha previsto un rimedio ad hoc, non si può utilizzare il procedimento di opposizione per far valere la stessa contestazione. Ad esempio se il titolo esecutivo è costituito da una sentenza di condanna di primo grado, c'è un rimedio specifico: l'appello, attraverso cui possiamo contestare oltre ai vizi formali del provvedimento, anche quelli sostanziali, contestando l'esistenza del diritto(ingiustizia della sentenza di primo grado). Ne deriva che essendo questo l'ambito in cui contestare formalmente e nel merito l'esistenza del diritto di credito, in sede di opposizione all'esecuzione il debitore potrà far valere solo tutto ciò che non è deducibile in quella sede, per esempio fatti sopravvenuti alla chiusura del giudizio di primo grado che non siano deducibili in sede di appello(pensate al debitore che ha adempiuto spontaneamente rispetto alla sentenza di primo grado, è un fatto sopravvenuto, può proporre appello ma in tale sede è rilevante l'aver adempiuto, l'adempimento non è oggetto di appello, e questo fatto potrà essere oggetto dell'opposizione all'esecuzione). Possiamo far valere tutto ciò che residua rispetto al rimedio specifico. Avendo visto i mezzi a disposizione del debitore e del terzo contro l'azione esecutiva, domani vedremo come si avvia l'azione esecutiva, gli atti preliminari che il creditore deve compiere per portare ad esecuzione forzata il diritto. Le attività preliminari Fin ora abbiamo esaminato il titolo esecutivo come presupposto fondamentale per poter esercitare l’azione esecutiva ; abbiamo visto il titolo esecutivo dal punto di vista statico cioè quali sono i titoli esecutivi , quale legittimazione conferiscono in capo al creditore e quali conseguenze il titolo esecutivo ha rispetto alle possibili contestazioni nel merito ad opera del debitore. Ora vediamo sempre in titolo esecutivo , ma sul versante della concreta utilizzazione di questo atto-documento formale proprio ai fini di intraprendere l esecuzione forzata. Abbiamo un creditore che è in possesso di un titolo esecutivo di quei titoli esecutivi indicati dall’art 474. Per poter avviare concretamente il processo esecutivo il codice prevede che, ed è questa la particolarità che distingue l’azione esecutiva dall’azione di cognizione , prima di esercitare l azione esecutiva il creditore debba compiere alcune attività che non sono ancora l’inizio o l’esercizio dell’azione esecutiva , infatti vengono nominate attività preliminari all’inizio dell’esecuzione forzata. Sono previste perché il legislatore ha voluto prevedere queste cautele a salvaguardia del debitore . Le attività preliminari sono sostanzialmente tre e le troviamo individuate nell’ art 475 e negli art 479 e 480 . In questi 3 articoli troviamo indicate come attività preliminari all’inizio dell’esecuzione forzata 3 diverse attività tra loro correlate che in maniera riepilogativa definiamo come attività di apposizione della formula esecutiva su titolo (art 475) attività , notificazione del titolo esecutivo al debitore (art 479), notificazione del precetto al debitore . Sono tutte attività finalizzate a comunicare al debitore l’intenzione di intraprendere l’esecuzione forzata, quindi per consentire al debitore da un lato di sapere qual’è il credito in relazione al quale si intende procedere all’esecuzione forzata , dall’altro consentirgli anche , ove voglia evitare il processo esecutivo , di adempiere spontaneamente. Quindi queste attività hanno questa duplice funzione. 1. La prima attività preliminare richiamata dal codice è l’ attività di apposizione della formula esecutiva sul tutto (art475) : deve essere apposta materialmente sul titolo esecutivo affinché quel titolo esecutivo sia utilizzato come titolo per intraprendere l’esecuzione forzata , ma l’apposizione di questa formula non riguarda tutti i titoli esecutivi , in secondo luogo ha una funzione di salvaguardia del debitore , in terzo luogo ricaviamo l efficacia soggettiva del titolo esecutivo . Quindi la possibilità che il titolo esecutivo estenda la sua efficacia dal lato attivo oltre che a favore del creditore che risulta dal credito medesimo , anche a favore di altri soggetti. Il 1 comma dell’art 475 ci dice quali sono i titoli esecutivi ai quali va apposta la forma medesima , e fa riferimento ai titoli esecutivi giudiziali (quindi sentenze, provvedimenti che ai sensi del numero 1 dall art 474 sono titoli esecutivi giudiziali )e in secondo luogo i titoli esecutivi costituiti da atto pubblico cioè quelli di cui al numero 3 dell’art 474. L’apposizione della formula esecutiva va richiesta al cancelliere nel caso dei provvedimenti giudiziali , al notaio nel caso dell’atto pubblico presso il quale è depositato l’originale del titolo esecutivo. Da qui ricaviamo che questa apposizione della formula esecutiva, il creditore la chiederà su una copia del titolo esecutivo , non è l’originale in quanto quest’ultimo continuerà a rimanere o presso il cancelliere o il notaio . La funzione dell’apposizione della formula esecutiva sulla copia serve per confermare al debitore ,nel momento in cui quel titolo esecutivo gli verrà notificato , che quella copia è conforme all’ originale e questo va a garanzia del debitore. In questa maniera si vuole evitare che il creditore utilizzi una copia artefatta del titolo esecutivo . Sempre sulla base del 1 comma dell art 475 noi riusciamo a comprendere perché solo in questi casi il legislatore chiede l’apposizione della formula esecutiva perché negli altri casi non abbiamo un soggetto presso il quale l’originale è depositato perché l’originale ce l ha il creditore . Quindi in questi casi abbiamo un creditore che dispone dell’originale che per far valere il suo credito deve necessariamente utilizzare. In questi casi ne deriva che il legislatore non chiede l’apposizione della formula esecutiva perché il creditore o è in possesso dell’originale o non ha il titolo esecutivo. Come si garantisce però il debitore dell’integrità del titolo esecutivo che si sta utilizzando ? In questi casi il legislatore ricorre alla soluzione del precetto in quanto il legislatore richiederà che nel precetto venga riprodotto integralmente il titolo esecutivo. Un altro profilo importante riguarda il profilo dell’efficacia soggettiva del titolo e lo ricaviamo sempre dall’art 475 in quanto quest’ultimo nel disciplinare l’attività di apposizione della formula esecutiva ci dice che la richiesta di apposizione della formula esecutiva può essere chiesta sia da colui che risulti creditore dal titolo o dai suoi successori. Il legislatore ci sta dicendo in termini generali che il titolo esecutivo è tale non solo a favore di colui che risulti creditore dal titolo ma anche a favore dei suoi eventuali successori ( cioè sia quelli a titolo universale quindi mortis causa sia; a eventuali successori a titolo particolare.) Alla luce di questa indicazione possiamo ritenere che il titolo esecutivo è efficace non solo a favore del creditore che risulti tale dal titolo ma anche a favore di tutti i suoi successori. Il processo di esecuzione forzata viene iniziato oltre dal creditore , anche eventualmente dai suoi successori che siano subentrati o nell’intero patrimonio del creditore o specificatamente nel credito con riferimento al quale si sia formato questo titolo esecutivo. Tutto ciò lo stiamo vedendo in questa fase e in questo articolo nell’ipotesi in cui il fenomeno successorio sia avvenuto prima dell’inizio dell’esecuzione forzata . Diversa è la situazione che si verifica nel caso in cui il fenomeno successorio dovesse verificarsi a processo esecutivo già iniziato perché qui non si rileva l’art 475 in quanto quest’ultimo fa riferimento al caso in cui la successione sia avvenuta prima dell'inizio del processo di esecuzione forzata e di fatti nel caso in cui la successione dovesse verificarsi a processo esecutivo già iniziato ( e la successione potrebbe essere anche qui o a titolo universale o a titolo particolare ) ci si è posto il problema se in questo caso trovino applicazione gli articoli che trovano applicazione nell ipotesi della successione in pendenza del processo di cognizione cioè gli articolo 110 e 111. Nell’art 110 è pacifica l’applicazione anche al processo esecutivo ( art 110 prevede che in caso di morte della parte nel corso del processo di cognizione subentrano gli eredi e il processo viene proseguito da o contro gli eredi ). Più complesso è il discorso nel caso di successione a titolo particolare perché anche in questo caso si ritiene che trova applicazione l’articolo 111 ma in questo caso l’art 111 non può trovare integrale applicazione nell ambito del processo esecutivo. Nel caso di successione a titolo particolare nel credito oggetto di esecuzione forzata ,il processo esecutivo viene proseguito dal successore , non si applica l’art 111 con riferimento alla previsione che noi troviamo nel medesimo articolo il quale prevede che in caso di successione a titolo particolare il processo di cognizione venga proseguito o dagli eredi o dalle parti originarie. Quindi il processo esecutivo proseguirà in caso di successione a titolo particolare ad opera di colui che è subentrato a titolo particolare. Va affiancata una norma che traiamo dall’art 477 che riguarda l’efficacia soggettiva del titolo esecutivo dal lato del debitore. L’ 477 dice che laddove il debitore risultante dal titolo sia defunto , il creditore deve notificare il titolo esecutivo ai suoi eredi . Da questa indicazione ricaviamo che il titolo esecutivo è estendibile nei confronti degli eredi del debitore. E’ importante la differenza nel linguaggio usata dal legislatore rispetto al 475 , in quanto dal lato del creditore parla di successori ; dal lato del debitore parla degli eredi . L’erede appartiene alla categoria dei successori ma è un successore a titolo universale quindi dobbiamo ricavare che dal lato del debitore il titolo esecutivo ha efficacia soggettiva più ampia ma ce l’ ha solo nella direzione del successore universale del debitore , non anche nel successore a titolo particolare . Quindi nell’eventualità in cui dovessimo avere che dal lato del debitore si sia verificato un fenomeno di successione a titolo particolare nel debito dobbiamo ritenere che il creditore deve munirsi di un nuovo titolo esecutivo in quanto quel titolo esecutivo non è efficace nei confronti del successore a titolo particolare , lo è nei confronti degli eredi ma non lo è nei confronti dei successori a titolo particolare. Anche qui vi è una ratio nella scelta , perché gli eredi accettano l’eredità sia nelle posizioni attive che nelle posizioni passive e quindi subentra nel de cuius in tutto il suo patrimonio. Infatti nel disciplinare il fenomeno successorio , il codice civile dà la possibilità all’erede di accettare con beneficio d’inventario. Nel caso della successione a titolo particolare questo fenomeno non si verifica in quanto il subentrare in un rapporto debito-credito non significa che il debitore risponde col suo patrimonio dell’eventuale debito , perché il debitore è entrato nella sola obbligazione ed è per questa ragione che il legislatore dice che quel titolo esecutivo che il creditore si è formato per poter aggredire il patrimonio del debitore , lo puoi utilizzare nei confronti dell’erede ma non puoi utilizzarlo nei confronti del successore a titolo particolare . L’art 477 fa riferimento all’ipotesi in cui il fenomeno successorio si sia verificato prima dell’inizio del processo esecutivo e quindi non riguarda l’ipotesi in cui il fenomeno successorio dal lato del debitore si sia verificato in pendenza del processo esecutivo cioè quando il processo esecutivo è già iniziato. In questo caso non si applica l’art 477 perché qui applicheremo dal lato del debitore le stesse norme che abbiamo visto applicarsi dal lato del creditore ,quindi art 110 e 111. 2. La seconda attività preliminare che il codice richiama e che il creditore deve compiere per poter esercitare correttamente l’azione esecutiva è la notificazione del titolo -> una volta che sulla copia del titolo esecutivo sia stata apposta la formula esecutiva quel titolo esecutivo va notificato e questa onere che viene previsto in capo al creditore lo troviamo espressamente richiamato dall’art 479. La notificazione del titolo esecutivo deve avvenire personalmente al debitore perché evidentemente è il debitore che è direttamente interessato al successivo esercizio dell’azione esecutiva. Il 1 comma dell’art 479 dice : ’’ se la legge non prevede altrimenti l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva .’’ Quest’ultima informazione ci da due indicazioni: a) la notificazione del titolo non è un onere che il creditore deve compiere sempre ; b) la notificazione riguarda i titoli esecutivi e il titolo che deve essere notificato deve essere in forma esecutiva cioè quei titoli sui quali è stata apposta la formula esecutiva in quanto sono quelli che vanno in notifica , quindi vuol dire che l’attività di notificazione del titolo esecutivo non riguarda i titoli esecutivi costituti da verbali di conciliazione , i titoli esecutivi costituiti da titoli di credito o da scritture private autenticate ai sensi del numero 2 del 474. L’apposizione della formula esecutiva e la notificazione del titolo riguardano gli stessi titoli esecutivi. Stando a ciò che prevede il 479 , la notificazione deve avvenire personalmente al debitore secondo le forme (art 137 e seguenti ) ; nell ipotesi in cui il debitore è defunto il medesimo titolo esecutivo è utilizzabile nei confronti degli eredi quindi vuol dire preliminare e per il fenomeno successorio trovano applicazione gli art 475 dal lato del creditore e 477 dal lato del debitore. Quindi indicazioni delle parti nel senso in cui vi ho detto poi aggiunge l’indicazione della data in cui è avvenuta la notificazione del titolo esecutivo se evidentemente questa è avvenuta in un momento diverso, separatamente. Perché se avviene la notificazione del titolo esecutivo cumulativamente insieme al precetto come abbiamo visto consentito nel 479 è evidente che non c’è bisogno di indicare nel precetto la data di notificazione. Ma se è avvenuta prima la notificazione del titolo esecutivo quindi in maniera separata dal precetto un elemento che deve emergere dal precetto è appunto l’indicazione della data di notificazione. Perché il 480 richiede queste indicazioni ? Perché la realtà potrebbe offrire questa situazione, il legislatore sta pensando al caso in cui ci sia un creditore che abbia più titoli esecutivi da far valere nei confronti del debitore e li abbia notificati e il debitore quando gli viene notificato il precetto deve sapere quali di questi titoli il creditore intenda materialmente portare in esecuzione o meglio con riferimento a quali di questi titoli che ha già notificato sta formulando il precetto cioè l’ingiunzione ad adempiere. Quindi da qui nasce l’onere di indicare la data della notificazione del titolo esecutivo, perché se ha notificato più titoli esecutivi indicando la data consente al debitore di sapere anche qual è il titolo con riferimento al quale ha formulato il precetto. Terza indicazione che deve emergere dal precetto ai sensi del secondo comma del 480, la trascrizione integrale del titolo stesso, quando questa è richiesta dal legislatore. La trascrizione all’interno del precetto del titolo esecutivo quando questa sia richiesta espressamente dal legislatore. Attenzione a questa formulazione. Il 480 ci dice che nel precetto deve essere trascritto il titolo ma non sempre solo quando il legislatore lo preveda espressamente. E quando è che il legislatore lo prevede espressamente ? Siamo in tutte quelle ipotesi nelle quali il creditore sta utilizzando il titolo esecutivo per il quale il legislatore non ha imposto la apposizione della formula esecutiva alla conseguente notificazione al debitore cioè quelle ipotesi in cui il creditore ha a sua disposizione l’originale del titolo quindi verbali di conciliazione, titoli di credito, scritture private autenticate. Sono queste tre le ipotesi nelle quali espressamente il legislatore QUINDI TITOLI CHE VANNO TRASCRITTI NEL PRECETTO A PENA DI NULLITÀ SONO IL VERBALE DI CONCILIAZIONE, I TITOLI DI CREDITO E LE SCRITTURE PRIVATE AUTEMTICATE, escludendo che questi titoli vadano notificati al debitore, impone tuttavia al creditore di trascrivere integralmente come dice il secondo comma del 480 questo titolo all’interno del precetto. E perché impone di trascriverlo? Perché in questa maniera il debitore sa esattamente qual è il titolo che in originale è nelle mani del creditore e che il creditore ovviamente utilizzerà poi per avviare il processo. Quindi la trascrizione appunto integrale del titolo esecutivo e in questi casi trovate che all’interno del precetto è quasi una riconduzione formale del titolo esecutivo con tutti gli elementi, come nel caso della cambiale voi ritrovate riprodotto esattamente l’atto in questione. Anche questo a pena di nullità perché è in funzione di tutela del debitore ed è in questo modo che il debitore viene a sapere integralmente quali sono gli elementi contenutistici del titolo esecutivo di cui dispone il creditore. Sempre con riferimento alla riproduzione del titolo esecutivo all’interno del precetto nei casi che abbiamo visto, c’è da dire che l’atto del precetto viene redatto dal creditore ma poter essere notificato al debitore deve essere consegnato all’ufficiale giudiziario. È l’ufficiale giudiziario che nel nostro ordinamento ai sensi degli arti 137 e ss. del codice provvederà materialmente alla notificazione, o a mani proprie o mediante invio postale. Il 480 secondo comma vi aggiunge che, nel momento in cui il creditore redatto il precetto lo consegna all’ufficiale giudiziario ai fini della notificazione quindi chiedendogli di notificarlo al destinatario, l’ufficiale giudiziario verificherà che la riproduzione del titolo esecutivo contenuta nel precetto anzi, come dice il 480 secondo comma,la trascrizione sia perfettamente identica all’originale. Il creditore deve presentare quindi l’originale perché l’ufficiale giudiziario verifichi la piena coincidenza tra la riproduzione e l’originale. Infine l’atto di precetto deve essere sottoscritto dal creditore, deve essere personalmente sottoscritto. Perché personalmente? Perché non è un atto processuale, siamo fuori dall’inizio dell’attività processuale è un atto preliminare all’inizio dell’attività processuale e quindi non è richiesta la nomina di un difensore per il compimento di questi atti poi normalmente il creditore si rivolgerà al difensore però attenzione, siccome il 480 secondo comma dice che l’atto di precetto deve essere sottoscritto personalmente dalla parte, perché lo sottoscriva l’avvocato in nome e per conto del creditore deve avere un’apposita procura, un apposito mandato nel quale si dica espressamente che il difensore è autorizzato a sottoscrivere il precetto in nome e per conto del creditore perché in mancanza di questa procura è evidente che la sottoscrizione è viziata, l’atto di precetto manca dell’elemento della sottoscrizione così come indicato dal 480 secondo comma. Questi sono elementi attenzione che il legislatore prevede a pena di nullità quindi ove mancasse o fosse incerto uno di questi elementi la conseguenza è che l’atto di precetto è nullo. Poi vedremo come far valere questa nullità. Il secondo profilo abbastanza rilevante che emerge dal 480 terzo comma riguarda un onere imposto al creditore ma non a pena di nullità. Il terzo comma del 480 vi dice che il creditore nell’atto di precetto deve anche provvedere ad eleggere domicilio o a dichiarare la residenza nel luogo in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. Il giudice competente per l’esecuzione sappiamo che come regola è sempre il tribunale ma quale tribunale? Come si individua la competenza territoriale? Questo elemento che ci richiama il terzo comma del 480 cioè l’elezione del domicilio e la dichiarazione di residenza nel luogo in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione attiene alla competenza territoriale, come si determina questa competenza? C’è una norma nelle disposizioni generali sulla competenza del giudice, l’art 26 che ci individua la competenza territoriale del giudice e quindi in relazione a quell’indicazione di cui all’art 26 che poi il creditore nel precetto dovrà provvedere a eleggere domicilio o a dichiarare residenza. Cosa vi dice l’art 26? Individua la competenza territoriale del tribunale in relazione all’oggetto dell’esecuzione del contratto. È molto semplice la formulazione di questo articolo 26, vi dice che se l’esecuzione forzata ha per oggetto beni mobili o immobili la competenza territoriale si individua in base al luogo dove si trovano i beni. Non è quindi la residenza o il domicilio del debitore ma è il luogo dove si trovano i beni. COMPETENZA TERRITORIALE NEL LUOGO DOVE SI TROVANO I BENI OGGETTO DELL ESECUZIONE STANDO ALL ART 36 CPC.Laddove invece oggetto di esecuzione forzata, cosa che può accadere, fossero obblighi di fare o non fare in questo caso è competente anche qui il giudice del luogo in cui deve essere effettuata l’attività che porta all’esecuzione di facere o di non facere, tenendo presente che per l’esecuzione forzata è l’obbligo di facere e l’esecuzione forzata dell’obbligo di non facere violato consiste nella distruzione di quanto è stato compiuto in violazione dell’obbligo omissivo. Applicando queste indicazioni che ci da l’art 26 alla formulazione del terzo comma dell’art. 480 nel precetto il creditore deve eleggere domicilio nel luogo in cui ha sede il tribunale dove si trovano i beni mobili o immobili che si intendono portare ad esecuzione forzata oppure nel luogo in cui deve essere effettuata l’attività connessa all’obbligo di fare o di non fare. Questo onere di elezione del domicilio noi lo troviamo nel terzo comma dell’art 480 e non è prevista pena di nullità, quindi è un onore che non è sanzionato dal legislatore,e ove inadempiuto,con la nullità. Questo vuol dire che possiamo anche avere un atto di precetto nel quale il creditore non abbia eletto domicilio o dichiarato residenza nel luogo del giudice competente per l’esecuzione e cosa accade in questo caso? La prima conseguenza è a carico dello stesso creditore e lo ricaviamo sempre dal terzo comma del 480, vi dice che mancando l’elezione del domicilio o la dichiarazione di residenza nel luogo del giudice competente per l’esecuzione tutti gli atti o i provvedimenti da divulgare al debitore si intendono comunicati mediante deposito presso la cancelleria del giudice. Non c’è quindi la comunicazione personale e viene sanzionato in questa maniera il non adempimento dell’onore da parte del creditore. Una seconda conseguenza però ce l’abbiamo sul versante del debitore perché lo stesso terzo comma del 480 dice che il debitore laddove intenda contestare le ragioni creditorie quindi avanzare delle contestazioni alle ragioni creditorie o ai requisiti formali dell’atto di precetto proporrà la sua opposizione, opposizione al precetto nel caso voglia contestare nel merito, opposizione agli atti esecutivi nel caso voglia contestare i requisiti formali del precetto, dunque proporrà opposizione ma a quale giudice ? Non al giudice che sarà competente per l’esecuzione ma dice il terzo comma del 480 li propone al giudice del luogo in cui è avvenuta la notificazione del precetto e il luogo in cui è avvenuta tale notificazione qual è? Il precetto viene notificato presso l’abitazione del debitore quindi è una scelta a favore del debitore. In questo caso siccome non c’è stata l’elezione del domicilio o la dichiarazione di residenza da parte del creditore nel luogo in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione scatta questa scelta del legislatore, il debitore che intenda proporre opposizione nel merito o formale al precetto dovrà proporla non davanti al giudice competente per l’esecuzione ma davanti al giudice del luogo in cui era avvenuta la notificazione che è il giudice del luogo in cui ha domicilio il debitore perché è presso il domicilio del debitore che ai sensi dell’art. 137 e ss. avviene la notificazione. Come vedete in questo caso abbiamo una norma che deroga alla regola generale per quanto riguarda la competenza del giudice davanti al quale vanno proposte le eventuali contestazioni di merito o di rito. Abbiamo visto gli elementi a pena di nullità e l’elemento dell’elezione del domicilio ma c’è una terza indicazione che trovate nel secondo comma dell’art 480 che riguarda il contenuto del precetto per il quale però per questa terza indicazione il legislatore non ha previsto che la sua mancanza determini nullità del precetto. È quindi una indicazione che il legislatore vuole accompagni il precetto ma in realtà non è sanzionata in alcun modo e si ritiene in questo caso che la mancanza di questa indicazione determini una mera irregolarità del precetto non contestabile dal debitore perché non inficia la nullità dell’atto. Qual è questa terza indicazione ? Il legislatore vuole che nel precetto ci sia anche l’avvertimento rivolto al debitore circa la possibilità d utilizzare la procedura cosiddetta di sovraindebitamento che è stata introdotta nel nostro ordinamento nel 2012 dalla legge 3/2012. Procedura attraverso la quale si consente al debitore ove si trovi in una situazione di sovraindebitamento, che è data quel credito non esista, non sussista, o perché non sussista per vizi all’origine o perché non sussista per fatti sopravvenuti per esempio il credito è stato già adempiuto, sebbene il credito sussistesse tuttavia è stato adempiuto e non c’è il diritto del creditore di procedere all’esecuzione. Allora è su questo secondo profilo che ovviamente vale il discorso secondo cui in relazione alla regola per cui l’ampiezza delle contestazioni che il debitore può muovere nel merito è inversamente proporzionale alla qualità dell’accertamento contenuto nel titolo esecutivo. Quindi per come formulato il primo comma dell’art 615 la formulazione è ampia e in questa formulazione ampia rientra anche la contestazione nel merito, però non è detto che per contestare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata necessariamente il debitore debba contestare nel merito il diritto di credito, potrebbe trattarsi semplicemente della contestazione della sussistenza dei presupposti per poter agire in via esecutiva e quindi non necessariamente la contestazione nel merito. Per esempio la giurisprudenza ritiene che rientri in questa categoria, cioè della contestazione del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, la mancata opposizione della formula esecutiva che abbiamo visto dover essere apposta sui titoli esecutivi rientranti nei numeri 1 e 3 del 474. Per esempio gli viene notificato il titolo esecutivo, rientrante in una di queste categorie, al quale manca la formula esecutiva. Secondo la giurisprudenza questa integra una mancanza del presupposto per poter esercitare l’azione esecutiva quindi il credito sul piano sostanziale potrebbe anche esistere, ma di fatto mancano i presupposti, come dice il primo comma del 615 per consentire al creditore di procedere all’esecuzione forzata e cioè per configurare il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata. Quindi non è necessariamente la contestazione nel merito che rientra tra le ipotesi in cui il debitore avanzerà questa opposizione al precetto. Notiamo anche che il primo comma del 615 parla di opposizione al precetto, ma noi sappiamo che in realtà il creditore potrebbe notificare prima il titolo esecutivo e poi successivamente il precetto. Sappiamo che può farlo in maniera cumulata, tranne nell’ipotesi in cui agisca nei confronti degli eredi perché in quel caso necessariamente li deve notificare separatamente, ma se ha voluto notificare separatamente i due atti avremo la notificazione del titolo esecutivo prima e poi la notificazione dell’atto del precetto. Notiamo quindi che il primo comma del 615 parla di opposizione al precetto, quindi la mera notificazione del titolo esecutivo di per sé ancora non apre la possibilità dell’opposizione in questione perché nel momento in cui il creditore ha notificato il titolo esecutivo senza il precetto, ancora non ha concretamente manifestato la volontà di intraprendere il processo esecutivo, di fatti il debitore non sa né se effettivamente il creditore procederà all’esecuzione forzata non avendo ricevuto quell’ingiunzione ad adempiere contenuta nel precetto, né quale tipo di processo esecutivo intenda intraprendere. Questo lo acquisirà solo nel momento in cui riceverà la notificazione al precetto ed ecco perché il legislatore parla di opposizione al precetto. È solo nel momento in cui arriva al debitore la notificazione del precetto che chiaramente viene esplicitata la volontà del creditore di procedere ad esecuzione forzata secondo uno dei tipi di processo esecutivo che l’ordinamento gli mette a disposizione. Quindi è da quel momento che nasce l’interesse eventualmente del debitore di avanzare questa contestazione del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata. Quindi bisogna attendere, perché si apra questa possibilità, la notificazione del precetto. La scelta del debitore di seguire questa strada, cioè di contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione forzata, sappiamo già che instaura un vero e proprio giudizio di cognizione. L’opposizione in questione dà vita ad un incidente cognitivo, apre un vero e proprio giudizio di cognizione che avrà ad oggetto appunto la contestazione mossa dal debitore. Avremo quindi un primo grado di giudizio che si chiude con sentenza, appellabile e poi ricorribile per cassazione. Come si proporrà in questo caso l’opposizione al precetto, di cui parla il primo comma del 615, ce lo dice lo stesso legislatore: in questo caso l’opposizione si propone con atto di citazione. Quindi un normale giudizio di cognizione che si apre con un atto di citazione. Questo riferimento al normale giudizio di cognizione ci dà anche le indicazioni sull’individuazione del giudice competente e anche su questo il primo comma dell’art 615 è chiaro, dicendo che il giudice competente per questa opposizione al precetto è il giudice dal punto di vista della competenza verticale, quindi il giudice che risulta dall’applicazione delle normali regole della competenza per materia o per valore quindi se si tratta di un credito avente ad oggetto un rapporto, una controversia con riferimento alla quale il legislatore ha previsto una determinata competenza per materia, per esempio il giudice di pace, l’opposizione in questione andrà proposta davanti al giudice di pace. Lo stesso discorso vale se applichiamo i criteri della competenza per valore è un credito per esempio inferiore a 5.000 euro, la competenza sarà del giudice di pace; mentre se è superiore la competenza sarà del tribunale. Quindi si applicheranno le normali regole della competenza per materia o per valore. Sul versante invece della competenza territoriale, la competenza orizzontale, una volta individuato il giudice competente per materia o per valore, l’art 615 primo comma ci dice che il giudice competente per territorio si individua a norma dell’art 27. Se andiamo a vedere l’art 27 ci dice che nel caso di opposizione ai sensi del primo comma dell’art 615 è competente il giudice del luogo dell’esecuzione, salva la disposizione dell’art 480 terzo comma. È qui che troviamo la possibile divergenza delle regole sulla competenza territoriale del giudice dell’esecuzione. Quindi 615 primo comma ci dice che per la competenza territoriale si applica l’art 27. L’art 27 ci dà due possibilità: 1. Per la competenza territoriale la regola è che il giudice competente per l’esecuzione, cioè quello indicato dall’art 26, se l’esecuzione ha ad oggetto beni mobili o immobili competente è il giudice del luogo in cui si trovano questi beni; se si tratta di competenza dell’esecuzione forzata di consegna o rilascio vale la stessa cosa; se si tratta dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare è il giudice del luogo in cui va compiuta l’attività integrata dall’obbligazione. Questa è la regola. 2. Lo stesso articolo 27 aggiunge salva la disposizione di cui al terzo comma dell’art 480 ai sensi del quale il creditore, nel momento in cui formula l’atto di precetto, ha l’onere di eleggere domicilio, dichiarare residenza nel luogo del giudice competente per l’esecuzione determinato alla luce dell’art 26, ove non adempia a questo onere di elezione di domicilio e di dichiarazione di residenza le eventuali opposizioni il debitore le può proporre davanti al giudice del luogo in cui è avvenuta la notificazione. Il luogo in cui è avvenuta la notificazione è il luogo di residenza e domicilio del debitore. Quindi ne deriva che l’opposizione che stiamo prendendo in considerazione di cui al primo comma del 615 andrà proposta davanti al giudice competente per materia o per valore secondo i criteri ordinari, quindi giudice di pace o tribunale del luogo determinato ai sensi dell’art 26 (giudice del luogo competente per l’esecuzione) salvo che non debba trovare applicazione il terzo comma del 480 perché in questo caso sarà il giudice competente per materia e per valore del luogo in cui è avvenuta la notificazione (residenza o domicilio del debitore). La combinazione di queste norme ci dice qual è la regola e qual è l’eccezione solo con riguardo alla competenza territoriale, perché per la competenza per materia o per valore non c’è nessuna deroga ai normali criteri di competenza del giudice. Di fatti alla luce di questa disposizione noi ricaviamo che in effetti, sebbene allo stato attuale il giudice di pace non è mai competente per l’esecuzione, tuttavia potrebbe diventare competente per l’opposizione al precetto perché si applicano i normali criteri della competenza per materia o per valore, quindi effettivamente il credito, con riferimento al quale si fa valere l’opposizione al precetto, potrebbe rientrare nella competenza per materia o per valore del giudice di pace e quindi coinvolgere anche eventualmente il giudice di pace in questo processo esecutivo sebbene solo per incidente cognitivo e non direttamente per il processo esecutivo. Queste sono le indicazioni che ci dà l’art 615 per quanto riguarda l’individuazione del giudice competente. L’altra indicazione, l’altro profilo abbastanza rilevante da prendere in considerazione, che emerge dal primo comma del 615, riguarda la possibilità che ha il debitore nel proporre l’opposizione in questione di chiedere al giudice dell’opposizione la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e cioè, proponendo l’opposizione, di impedire che il creditore inizi, vada avanti con il processo esecutivo. La situazione che può profilarsi è questa: il creditore ha compiuto gli atti preparatori e quindi è pronto per esercitare l’azione esecutiva, viene instaurata un’opposizione al precetto dal debitore, il debitore instaura il giudizio di merito con l’opposizione ma evidentemente vuole in qualche maniera evitare che il creditore vada avanti con il processo esecutivo e lo evita chiedendo la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. Attenzione: non dell’esecuzione, perché l’esecuzione ancora non è iniziata in quanto siamo in una fase antecedente del processo esecutivo; quindi l’unica cosa che può chiedere è la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo se ricorrono gravi motivi come dice il primo comma del 615. Quindi è la stessa formula che il legislatore utilizza nell’art 283 quando, proponendo l’appello, l’appellante vuole ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado per dimostrare che sussistano gravi motivi. Questi gravi motivi nella maggior parte dei casi saranno legati alla probabile fondatezza delle ragioni che il debitore ha portato a fondamento della contestazione. Quindi ai fini dell’eventuale sospensiva dell’efficacia esecutiva del titolo, c’è una valutazione da parte del giudice dell’opposizione della probabile fondatezza delle contestazioni mosse nel merito (nel senso indicato in precedenza) da parte del debitore. È evidente che queste contestazioni al giudice se appaiono fondate disporrà la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. Lo stesso primo comma del 615 aggiunge che se la contestazione nel merito dovesse riguardare solo una parte del credito (per esempio il debitore dice che è debitore ma in realtà il creditore nel precetto ha individuato un credito superiore al debito chiede il pagamento di 1.000 euro ma il debitore risulta debitore per 500 euro), quindi è una contestazione parziale del credito fatto valere dal creditore nell’atto di precetto, in questo caso la sospensione eventualmente dell’efficacia esecutiva riguarderà solo la parte contestata, perché per la parte non contestata è chiaro che lo stesso debitore non sta muovendo nessuna contestazione nel merito. Questo provvedimento eventualmente di sospensione dell’efficacia esecutiva è un provvedimento che ha natura lato sensu cautelare perché l’obiettivo qui è quello di impedire dell’impugnazione o dell’opposizione al decreto ingiuntivo non possa invece essere concesso dal giudice dell’opposizione al precetto. Ragionando al contrario da quello che ci dice il primo comma del 615, e cioè proprio sulla possibilità che ha il debitore opponente di ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, ne deriva che questa sospensione potrebbe anche non esserci perché è una possibilità che il debitore ha. Dimostrando che sussistano gravi motivi può chiedere ed ottenere la sospensione, ma potrebbe anzitutto non chiederla e anche se l’ha chiesta potrebbe non ottenerla. Quali effetti determina ciò? Ove non fosse stata disposta la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo oggetto dell’opposizione al precetto, noi avremmo e possiamo avere in concreto che parallelamente il creditore inizierà il processo esecutivo, decorsi i termini minimi indicati nel precetto per adempiere (almeno 10 giorni), potrà intraprendere il processo esecutivo a secondo di quale sia il processo esecutivo e parallelamente il debitore porterà avanti il giudizio di cognizione che è stato instaurato con l’opposizione al precetto. Potrebbe quindi in concreto verificarsi che l’esecuzione forzata viene portata a termine, quindi il creditore viene soddisfatto nelle sue ragioni, e solo successivamente il giudizio che è stato instaurato con l’opposizione al precetto arriva a conclusione smentendo la sussistenza del credito che è stato soddisfatto, perché se lo conferma nulla questio. Nel caso in cui smentisce la sussistenza del credito, perché il debitore possa riottenere indietro quanto è stato oggetto di adempimento a favore del creditore ha a sua disposizione il rimedio della ripetizione del debito ex art 2033 cc, perché quanto è stato adempiuto non aveva ragion d’essere come ha dimostrato il giudizio di opposizione al precetto una volta che si sia concluso con l’accertamento dell’inesistenza del credito oggetto di esecuzione forzata. Quindi anche questo può verificarsi e anche in questo caso il debitore avrà la possibilità di riavere indietro quanto è stato oggetto di adempimento del suo presunto debito che poi si è rivelato inesistente. Questa è la possibilità che ha il debitore nel momento in cui riceva la notificazione del precetto. Notiamo che il primo comma del 615 non pone nessun termine per proporre questa opposizione e di fatti vedremo che il debitore ha solo una possibilità di far valere questo rimedio e potrebbe anche non farlo valere e questo non gli impedirà di avanzare le stesse contestazioni in un momento successivo, cioè quando il processo esecutivo è stato già iniziato e in quel caso troverà applicazione il secondo comma del 615 che parla dell’opposizione all’esecuzione cioè contestazione del diritto del creditore di procedere ad esecuzione ma questa volta non più nel momento in cui è stato notificato il precetto ma quando il processo esecutivo è già stato iniziato dal creditore. Quindi non essendo sottoposto ad alcun termine decadenziale l’esercizio dell’opposizione al precetto ne deriva che la medesima contestazione nel merito per le stesse ragioni per le quali poteva essere proposta nei confronti del precetto, può tranquillamente essere proposta in seguito dopo che il creditore ha dato inizio al processo esecutivo. Quindi non è un rimedio sottoposto a decadenza. L’oggetto di questa opposizione è l’accertamento della sussistenza delle contestazioni mosse dal debitore e quindi varierà a seconda del tipo di contestazione. È chiaro che se è una contestazione che attiene alla sussistenza dei presupposti per esercitare l’azione esecutiva (manca la formula esecutiva, manca la legittimazione attiva, il titolo non è idoneo per intraprendere quel tipo di processo esecutivo quindi una contestazione che è nel merito ma è legata ai presupposti per l’esercizio dell’azione) in questo caso non rileva direttamente l’accertamento del credito ma rileverà la sussistenza di questo vizio e quindi l’oggetto sarà direttamente l’accertamento della sussistenza del vizio che il debitore ha denunciato attraverso questa opposizione. Quindi sarà un error in procedendo sostanzialmente, non è un error in iudicando, non è una contestazione direttamente legata alla sussistenza del credito e quindi è un’azione di accertamento positivo (ha ad oggetto l’accertamento di quel vizio che il debitore ha denunciato manca la formula esecutiva, il titolo non è idoneo e via dicendo). Diverso è il discorso quando la contestazione del debitore attiene direttamente all’esistenza del credito perché in questo caso il debitore sta facendo valere l’azione di cognizione di accertamento negativo del credito con tutte le regole che valgono per l’azione di accertamento negativo e cioè il debitore dal punto di vista dell’allegazione dei fatti e della prova in giudizio ha l’onere di allegare i fatti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto e non i fatti costitutivi del diritto che rientrano invece nell’onere della controparte. In sede di azione di accertamento negativo è questo l’onere che ha l’attore e in questo caso l’opponente, l’onere di allegare i fatti modificativi, impeditivi e estintivi del diritto vantato dal creditore. Qui vantato perché contenuto in un titolo esecutivo poi fatto oggetto del precetto. Sarà poi il creditore, convenuto nel giudizio di opposizione al precetto ad allegare in giudizio e a dimostrare i fatti costitutivi del suo diritto di credito. Se ad esempio il debitore in seguito all’opposizione al precetto denuncia l’aver adempiuto già quel credito, attraverso l’azione di cognizione di accertamento negativo del credito vantato dal creditore, sta formulando una specie di eccezione di pagamento in un fatto estintivo del credito, lo allegherà in giudizio, lo proverà e a questo si limita l’onere che ha l’opponente. Poi sarà eventualmente il creditore a dimostrare che non è così, che quel fatto non è vero, che in realtà non è avvenuto l’adempimento integrale e via dicendo. Quindi l’onere che ha l’opponente, laddove la contestazione sia nel merito di esistenza del credito, è lo stesso onere che ha l’attore nell’azione di cognizione di accertamento negativo e cioè allegare e provare eventuali fatto modificativi, impeditivi o estintivi del credito. La mancata scadenza del credito è un fatto impeditivo. Questo è l’ambito nel quale si può muovere il debitore, nel senso che è una facoltà che ha il debitore, se vuole difendere le sue ragioni una volta che gli sia stato notificato il precetto. Se invece il problema si sposta sul versante della REGOLARITÀ FORMALE DEGLI ATTI COMPIUTI DAL CREDITORE, degli atti preliminari all'esecuzione forzata compiuti dal creditore (quindi non è il merito che interessa ma la contestazione della regolarità formale) qui il rimedio è quello di cui all’ART 617 cpc opposizione agli atti esecutivi . Qui impropriamente detta opposizione agli atti esecutivi perché stiamo parlando dell'eventuale contestazione della regolarità formale di atti che non sono esecutivi, ma sono preliminari all'esecuzione. Quindi impropriamente si parla di opposizione agli atti esecutivi; in senso più proprio noi parliamo di opposizione agli atti esecutivi prima dell'inizio dell'esecuzione. Qui, il fatto che sia proponibile la contestazione prima dell’inizio dell'esecuzione forzata, quindi il fatto che non c'è un giudice dell'esecuzione, inciderà ancora una volta sul giudice competente anche per questa opposizione. Innanzitutto, però, prima di vedere quest'aspetto che attiene alla concreta instaurazione di questa opposizione vediamo l’ambito di applicazione del rimedio. L’art 617 dice che attraverso questo rimedio il debitore può far valere le disposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto (qui ritorna in ballo il titolo esecutivi, non è più un'opposizione al precetto). Anche il titolo esecutivo può essere soggetto a questa opposizione perché anche il titolo esecutivo ha dei requisiti formali prescritti dal legislatore (Es. La formula esecutiva c'è ma non è identica a quella prevista DALL’ART 475 cpc. È un profilo regolarità formale, che attiene al titolo esecutivo, non al precetto). Quindi questa contestazione della regolarità formale può avere ad oggetto il titolo esecutivo, oppure il precetto. Nel caso del precetto: i vizi di regolarità formale del precetto saranno quei vizi che riguardano il contenuto dell'atto del precetto. Abbiamo già visto ai sensi dell'ART 480 cpc quali sono gli elementi che il precetto deve contenere a pena di nullità dello stesso • Indicazione delle parti • Indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo che sia avvenuta precedentemente • La trascrizione del titolo ove richiesta • La sottoscrizione dell'atto di precetto Sono tutti elementi indicati dal 480 a pena di nullità: ove mancasse uno di questi elementi la contestazione rientra nell'ipotesi richiamata al 617 cpc (l'atto di precetto c'è stato, non si vuole contestare il merito, si vuole contestare la regolarità formale dell'atto di precetto, cioè il vizio formale dell'atto di precetto). La contestazione però, e questo non emerge dall’ART 617 cpc, ma si ritiene che anche questa è una contestazione che rientri nell’ART 617, potrebbe riguardare anche il procedimento notificatorio del titolo esecutivo del precetto, cioè un vizio nel procedimento notificatorio. Anche questo è un vizio che va fatto valere, se lo s'intende far valere, sempre con l'opposizione agli atti esecutivi proposta prima dell'inizio dell'esecuzione forzata. Anche qui (nell’ambito della contestazione della regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto) potrebbe esserci una qualche interferenza di questa opposizione con eventuali impugnazioni del titolo esecutivo, quando il titolo esecutivo sia costituito da un provvedimento giudiziale. Cioè a dire: se la regolarità formale ad esempio attiene al titolo esecutivo e integra un vizio di nullità del titolo esecutivo, per esempio costituito da una sentenza di 1°grado, è una sentenza di 1°grado che presenta dei vizi di nullità. Per il vizio di nullità della sentenza il legislatore ha previsto un RIMEDIO SPECIFICO. Come si fa valere il vizio di nullità della sentenza? Per esempio: la sentenza non è sottoscritta dal giudice. C'è il rimedio dell'appello che va proposto entro termini decadenziali ben precisi. Quel rimedio non è suscettibile all’opposizione agli atti esecutivi. Anche qui ci potrebbe essere una qualche interferenza con le impugnazioni, nel senso che il vizio regolarità formale del titolo esecutivo di cui parla il 617 potrebbe essere un vizio che è già suscettibile di essere denunciato attraverso un rimedio Il vizio in questione è formale però, anche qui potrebbero esserci anche qui dei vizi sostanziali. Cioè potrebbero emergere anche delle nullità c.d. assolute ( quelle nullità che nell’ambito del processo di cognizione noi abbiamo definito come nullità che attengono alla regolare costituzione del giudice). In questa fase queste nullità non emergono perché non c’è ancora un giudice; emergeranno dopo l’inizio dell’esecuzione perché a quel punto il giudice dell’esecuzione è attivato, e quindi il termine decadenziale, ove attenga a nullità assolute, non si applica. Quindi il termine decadenziale ex art 617 attiene solo alle nullità formali, che prima dell’inizio dell’esecuzione formale sono le uniche contestabili con l’opposizione in questione. Dopo l’inizio dell’esecuzione forzata, a queste nullità formali potrebbero aggiungersi delle nullità assolute (quelle che nel processo di cognizione sono regolate dall’art 158 ed attengono alla regolare costituzione del giudice), per le quali non si applicherà il termine decadenziale perché il termine decadenziale in questione riguarda solo le nullità formali. Quindi le nullità assolute sono suscettibili di essere fatte valere senza termine decadenziale. La particolarità del giudizio che si apre per effetto di questa opposizione di natura formale (avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un vizio formale degli atti compiuti dal creditore(atti preliminari all’esecuzione)) porterà poi alla pronuncia della sentenza perché si tratta di un normale giudizio di cognizione. L’art 618, ultimo co., dice che le sentenze pronunciate ai sensi dell’art 617, 1°co. sono NON impugnabili. Quindi la particolarità che troviamo qui, sebbene siamo in presenza di un normale giudizio di cognizione, la sentenza di 1° grado che verrà pronunciata all’esito di questo giudizio non è impugnabile, cioè non è appellabile. C’è però un orientamento pacifico della giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo il quale: sebbene si tratti di una sentenza non appellabile, sia tuttavia una sentenza ricorribile per Cassazione in applicazione dell’ART 111, 7°CO., Cost. il quale dice che comunque tutte le sentenze devono essere ricorribili per cassazione, quindi anche questa lo sarà. Quindi è vero che abbiamo una sentenza di 1° grado non appellabile, tuttavia sarà ricorribile per Cassazione per tutti i motivi di cui all’art 360 cpc. Quindi abbiamo un unico grado di merito + il ricorso per cassazione. Il fatto che sia prevista la ricorribilità per Cassazione non significa che qui troviamo una sentenza idonea a produrre il giudicato in senso sostanziale il giudicato in senso formale sicuramente lo produrrà, nel senso che decorsi i termini per proporre il ricorso per Cassazione quella sentenza è definitiva; ma il giudicato sostanziale non l’avremo perché l’oggetto del giudizio non è l’accertamento di un diritto e noi sappiamo che ai sensi dell’art 2909 cc il giudicato sostanziale si formerà in relazione all’accertamento contenuto in una sentenza che abbia ad oggetto un diritto soggettivo; del resto non potrebbe esserci un giudicato sostanziale sull’esistenza o meno di un vizio formale. Quindi è una particolarità, è una di quelle ipotesi rarissime nelle quali nonostante siamo in presenza di una sentenza, tuttavia il provvedimento in questione non acquista mai efficacia di giudicato sostanziale. Lo abbiamo visto in relazione al POSSESSO (TUTELA POSSESSORIA) la ragione è sempre l’oggetto della tutela, anche lì, nel caso del procedimento possessorio che sia poi sfociato in una sentenza passata in giudicato formale, non acquista mai il giudicato sostanziale perché l’oggetto è la tutela del possesso e non un diritto soggettivo. Qui vale lo stesso discorso: l’oggetto non è l’accertamento di un diritto, ergo al giudicato formale non consegue anche il giudicato sostanziale. Notate anche che il legislatore non dice nulla circa la possibilità di ottenere la sospensione della provvisoria esecutività del titolo perché chiaramente il problema qui si porrà solo nel momento in cui il processo esecutivo verrà instaurato, e in quel caso ci potrà essere la sospensione del processo esecutivo. Ma la sospensione della provvisoria esecutorietà non viene richiamata perché stiamo parlando di vizi di natura formale e quindi il legislatore non li ritiene tali da condizionare l’efficacia esecutiva del titolo. Quindi, in questo caso, se eventualmente dovesse proporsi un’opposizione di questo tipo e poi il creditore dovesse intraprendere l’esecuzione forzata nonostante la proposizione dell’opposizione in questione, davanti al giudice dell’esecuzione, poi eventualmente, si avanzerà la richiesta di sospensione dell’esecuzione forzata alla luce di una disposizione che vedremo in seguito e che troviamo nell’ART 624, ultimo co, il quale dice che: proposta l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, davanti al giudice dell’esecuzione si può chiedere la sospensione del processo esecutivo. Quindi la differenza qui rispetto all’opposizione all’esecuzione sta nel fatto che, mentre la proposizione dell’opposizione al precetto legittima anche a chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, la proposizione dell’opposizione per vizi di regolarità formale del titolo esecutivo NON consente la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. Eventualmente si potrà avere la sospensione dell’esecuzione forzata, non anche la sospensione dell’efficacia esecutiva del tiolo. Per chiudere il discorso sui rimedi oppositivi, non abbiamo richiamato il TERZO rimedio che abbiamo visto proponibile, cioè l’OPPOSIZIONE DI TERZO (altro rimedio che abbiamo visto in termini generali che dà vita ai c.d. INCIDENTI DI COGNIZIONE ex artt 615, 617, 619). L’art 619 non lo richiamiamo qui in questa fase ( siamo nella fase prima dell’inizio dell’esecuzione forzata) perché l’opposizione di terzo è un rimedio previsto dall’ordinamento a favore di terzi che abbiano visto loro beni coinvolti nell’esecuzione (qui l’esecuzione non è ancora iniziata quindi è chiaro che quel problema non estiste). Poi vedremo che questa possibilità si aprirà con l’inizio dell’esecuzione forzata; già con l’inizio dell’esecuzione forzata di fatti poi possiamo avere che, per errore, vengano coinvolti nel processo esecutivo beni non del debitore ma di un terzo, ed è solo a seguito di ciò che si apre la possibilità della terza forma di opposizione del 619. Detto ciò, dobbiamo ritornare sul versante del CREDITORE e prendere in considerazione l’ipotesi in cui, che sia stata proposta una delle opposizioni del debitore oppure no, comunque il creditore non ha visto sospesa l’efficacia del suo titolo, ha compito tutte le attività preliminari, quindi è nella posizione di esercitare l’azione esecutiva, cioè di intraprendere il processo esecutivo. E quindi dobbiamo andare a vedere come concretamente si muoverà il creditore. La prima valutazione che il creditore dovrà fare è, in relazione alla natura del suo credito, qual è in concreto il processo esecutivo che dovrà intraprendere, perché quegli atti preliminari che abbiamo visto finora valgono per qualsiasi tipologia di processo esecutivo, ma dopo che sono stati compiuti gli atti preliminari e si tratta concretamente di avviare il processo esecutivo, quindi di esercitare l’azione esecutiva, le modalità attraverso le quali si eserciterà l’azione esecutiva sono diverse a seconda del tipo di processo esecutivo che il creditore intende utilizzare. Noi le vedremo separatamente queste modalità, partendo da quella che è più diffusa che è la modalità del processo esecutivo per espropriazione forzata. È quella più diffusa perché attraverso le forme del processo esecutivo per espropriazione forzata il creditore farà valere un credito che ha ad oggetto il pagamento di somme di denaro e quindi è chiaro che l’obbligazione relativa al pagamento di somme di denaro è l’obbligazione statisticamente più diffusa; e ne deriva che il processo per espropriazione forzata è quello tra i processi esecutivi più utilizzati. L’obbiettivo del processo per espropriazione forzata è: siccome il credito è per il pagamento di somme di denaro si tratta di ottenere la somma corrispondente al credito del creditore che consenta di soddisfare le ragioni creditorie. Come si ottiene questo? Si ottiene aggredendo i beni del patrimonio del debitore e trasformando questi beni in somme di denaro sulle quali ottenere poi il soddisfacimento concreto e materiale del creditore. Il processo per espropriazione forzata vi dice come avverrà tutto ciò, cioè come aggredisce il patrimonio del debitore, come si ottiene la trasformazione del debitore in somme di denaro, come concretamente il creditore verrà soddisfatto. Il legislatore processuale predispone questo meccanismo, ma ovviamente il fondamento del processo per espropriazione forzata noi ce lo abbiamo dal punto di vista sistematico nell’ART 2910 cc (Libro VI cc, dedicato alla Tutela dei diritti). L’art 2910 cc dice che il creditore può utilizzare il patrimonio del debitore per ottenere il soddisfacimento del proprio credito inadempiuto secondo le forme del processo per espropriazione forzata disciplinato dal codice di procedura civile. Quindi la norma generale è il 2910, norma che a sua volta trae origine o trae giustificazione dal principio generale di cui all’art 2740 cc, cioè la responsabilità patrimoniale del debitore ( il debitore risponde con tutti i suoi beni dei debiti che ha assunto). Quindi il meccanismo è questo: il 2740 giustifica il 2910 e sulla base del 2910 cc abbiamo la disposizione degli strumenti processuali nell’ambito del codice di procedura civile. Siccome stiamo parlando di un’obbligazione generica da portare ad esecuzione forzata (il pagamento di somme di denaro è per definizione un’obbligazione generica) e siccome il che nella vendita contra�ualis�ca, il bene viene trasferito nello stato in cui si trova in capo al venditore. E questa è la differenza fondamentale tra le due vendite. Il legislatore ha previsto questo per favorire al massimo la vendita di ques� beni. A questa fase, segue la terza e ul�ma fase, de�a fase sa�sfa�va, cioè la fase nella quale avremo la materiale soddisfazione del crediotre, cioè sulla somma che è stata ricavata dalla vendita forzata, verrà soddisfa�o il creditore, sempre che la somma ricavata consente il soddisfacimento integrale delle ragioni creditorie, perchè ove così non dovesse essere e ove il creditore dovesse essere soddifas�o solo in maniera parziale sulla base della somma ricavata, la parte di credito che residua con�nuerà ad esistere e su quella parte il creditore ha modo di u�lizzare ancora le forme dell'espropriazione fozata, sempre che ci siano ancora beni del debitore da espropriare, altrimen� dovrà a�endere che sopravvengono dei beni, perchè ricordiamo che l'art 2740 cc ci dice che "il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tu� i suoi beni presen� e futuri", quindi anche quelli che sopravvengono in un secondo momento. Quindi avremo il concreto soddisfacimento del creditore. A queste tre fasi, può aggiungersi ed è facile che si aggiunga una quarta fase, sopra�u�o quando abbiamo a che fare con un debitore che ha un patrimonio che risul� incapiente rispe�o all'ammontare dei suoi debi�. Questa quarta fase eventuale è chiamata intervento di altri creditori nel processo esecu�vo. E' qualcosa di simile all'intervento dei terzi nel processo di cognizione, qui la par�colarità è data dal fa�o che ci possono essere altri creditori del medesimo debitore che siano interessa� a partecipare al processo espropria�vo, cioè a soddisfare le proprie ragioni sui beni che sono sta� pignora� dal creditore procedente. Ora nel caso dell'intervento dei creditori è chiaro che il processo espropria�vo subirà alcune complicazioni, innanzitu�o perchè si tra�erà di capire quali siano i creditori legi�ma� ad intervenire, in par�colare il problema si pone per comprendere se il creditore non munito di �tolo esecu�vo possa partecipare al processo, perchè è chiaro che se il creditore stesso sia munito di �tolo esecu�vo, potrebbe iniziare egli stesso un processo di esecuzione forzata e quindi non si pongono par�colari complicazioni, ma se si tra�a di un creditore privo del �tolo esecu�vo, questo creditore interviene sì, ma interveine in una posizione subordinata all'inizia�va del creditore procedente o dei creditori muni� di �tolo esecu�vo, assume quindi una posizione differenziata. Quindi il primo profilo riguarda chi siano i creditori legi�ma� ad intervenire, il secondo profilo riguarda il momento nel quale ques� terzi creditori decidono di intervenire, perchè una cosa è avere l'intervento dei creditori prima che i beni pignora� vengano so�opos� a vendita forzata, altra cosa è avere l'intevento dopo la vendita forzata. Se l'intervento avviene prima, vuol dire che eventualmente l'area dei beni pignora� può essere ancora allargata proprio per soddisfare anche le ragioni degli eventuali creditori, se invece ques� dovessero intervenire tardivamente, cioè dopo che è avvenuta la vendita forzata dei beni, è chiaro che questa operazione di allargamento della massa dei beni pignora� non può più esserci, e vedremo che il legislatore �ene conto dell'intervento del creditore tardivo e lo pone in una posizione subordinata alla posizione del creditore procedente. Il terzo profilo problema�co a�nente all'intervento dei creditori, riguarda quei par�colari creditori che sui beni che sono sta� pignora� abbiano un diri�o di prelazione quindi privilegi, pegni o ipoteche. La complicazione nasce perchè ques� creditori che hanno un diri�o di prelazione sono obbliga� a intervenire perchè ove non dovessero intervenire per far valere le loro ragioni creditorie e i beni sui quali hanno il diri�o di prelazione dovessero essere so�opos� a vendita forazta, sappiamo che i beni vengono acquista� da terzi liberi di qualsiasi vincolo. Quindi se non intervenissero, perderebbero il loro diri�o di prelazione, ed è per questo che il legislatore pone par�colari garanzie in aiuto di ques� creditori muni� di diri�o di prelazione sui beni pignora�. La gius�ficazione di questo tra�amento par�colare nasce da una norma generale che è il 2741 cc che ci dice infa� che "i creditori hanno eguale diri�o di essere soddisfa� sui beni del debitore, salve le cause legi�me di prelazione ". Par�amo dalla prima fase dell'espropriazione, il pignoramento. Il primo artcolo è il 491 cpc che ci dice che "salva l'ipotesi prevista nell'ar�colo 502 , l'espropriazione forzata si inizia col pignoramento". ESPROPRIAZIONE FORZATA INIZIA COL PIGNORAMENTO Quindi non sempre l'espropriazione forzata ha inizio con il pignoramento, in quanto fanno eccezione le ipotesi previste dall'ar�colo 502 che sono le ipotesi nelle quali il creditore che voglia procedere ad espropriazione forzata sia un crediotre che abbia avuto in pegno le cose sulle quali vuole intraprendere esecuzione forzata, oppure che abbia avuto un'ipoteca scri�a su beni mobili. Ricordiamo che il pegno è una garanzia reali su beni mobili, quindi alcuni creditori possono chiedere nel momento in cui nasce il credito e a garanzia di questo, la cos�tuzione di un pegno, che consiste nella possibilità che il creditore abbia una quan�tà di beni mobili a sua disposizione, cioè il possesso di ques� beni viene trasferito dal debitore al creditore. Quest'ul�mo ovviamente non diventa proprietario, il pegno è una forma di garanzia. Oppure nel caso di beni mobili iscri� a pubblici registri, si effe�ua l'ipoteca. L'ar�colo 502 ci dice che "per l'espropriazione delle cose date in pegno e dei mobili sogge� ad ipoteca si seguono le norme del presente codice, ma l'assegnazione o la vendita può essere chiesta senza che sia stata preceduta da pignoramento. In tal caso il termine per l'istanza di assegnazione o di vendita decorre dalla no�ficazione del prece�o", quindi il creditore può passare dire�amente alla fase delle vendita forzata, che sarebbe quella successiva al pignoramento, poichè essendo i beni già nella disponibilità materiale dei creditori, sarebbe inu�le procedere alla fase del pignoramento e il legislatore quindi dà la possibilità a questo creditore di saltare la fase del pignoramento. Mentre in tu� gli altri casi, il pignoramento è necessario. La norma in cui troviamo la definizione delle natura giuridica dell'a�o di pignoramento è l'ar�colo 492 che stabilisce al primo comma che "il pignoramento consiste in una ingiunzione che l'ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque a�o dire�o a so�rarre alla garanzia del credito esa�amente indicato i beni che si assogge�ano alla espropriazione e i fru� di essi". Gli a� dai quali il debitore dovrà astenersi possono essere sia gli a� giuridici (trasferimento della proprietà di quel bene, per esempio), sia a� materiali (alterazione dello stato delle cose, come distruzione, o altri interven� dire� a alterare lo stato delle cose pignorate). Le cose che sono stata pignorate quindi, nel momento in cui vengono pignorate fanno maturare in capo al debitore l'obbligo di astenersi da ques� a�. Vedremo tu�avia cosa accade nel caso il debitore non adempia a tali obblighi di astensione. L'ingiunzione deve essere rivolta necessariamente dall'ufficiale giudiziario, su richiesta del creditore, e qualsiasi sia la forma del pignoramento (mobiliarae, immobiliare o presso terzi), avremo sempre questa ingiunzione rivolta al debitore. Sempre nel primo comma, l'art 492 cpc ci diche che accanto a questa ingiunzione, il pignoramneto avrà forme diverse a seconda delle �poglie di bene che dovrà essere pignorato ("Salve le forme par�colari previste nei capi seguen�"). Quete forme par�colari le vedremo in un secondo momento (sono comunque mobiliari, immobiliari o presso terzi). La seconda indicazione che ci viene data tramite l'art 492 cpc sull'a�o di pignoramento è che "il pignoramento deve altresi' contenere l'invito rivolto al debitore ad effe�uare presso la cancelleria del giudice dell'esecuzione la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione". L'onere così rivolto al debitore è posto al fine di favorire la comunicazione di eventuali a� o provvedimen� al debitore. Difa�, lo stesso art 492 cpc con�nua dicendo che "con l'avver�mento che, in mancanza ovvero in caso di irreperibilita' presso la residenza dichiarata o il domicilio ele�o, le successive no�fiche o comunicazioni a lui dire�e saranno effe�uate presso la cancelleria dello stesso giudice", obbligando quindi il debitore a consultare sistemia�camente la cancelleria per vedere se ci sono comunicazioni a lui dire�e. Questo tra l'altro è un onere che il legislatore pone in capo al debitore che non avrà piu senso di esistere nel momento in cui anche per gli gli a� giudiziari nel corso dei processi esecu�vi diverrà obbligatorio la loro comunicazione per via telema�ca. La terza indicazione dataci dall'art. 492 cpc che riguarda il contenuto dell'a�o di pignoramento è l'avver�mento rivolto al debitore che una volta effetuato il pignoramento può chiedere per una sola volta nel corso del processo espropria�vo, la conversione del pignoramento, che consiste, una volta effetuato il pignoramento, in un'offerta proposta dal debitore di so�oporre a pignoramento una somma di denaro invece che me�ere a pignoramento dei beni, cioè me�a a disposizione delle somme di denaro equivalen� al credito per il quale si procede, e su queste somme verrà trasferito il pignoramento originariamente effetuato sui beni. E' una possibilità che viene offerta al debitore ai sensi dell'art 495 cpc nell'eventualità che ques� sia un sogge�o che abbia intenzione di liberare i beni so�opos� all'a�o di pignoramento ed evitare che vengano so�opos� a vendita forzata. Accanto a questo primo avver�mento, ve n'è un altro che deve essere contenuto nell'a�o di pignoramento e che riguarda la possibilità che ha il debitore di avanzare opposizione all'esecuzione. Già sappiamo in cosa consiste questa opposizione all'esecuzione, cioè è la possibilità che ha il debitore di contestare nel merito la sussistenza in capo al creditore del diri�o di procedere all'esecuzione forzata (art 615 cpc), abbiamo già visto che il debitore in realtà può esperire questa opposizione già nel momento in cui riceve la no�ficazione del prece�o, ma se non lo dovesse fare, lo può fare anche dopo. Tu�avia, l'art 615 cpc, secondo comma, stabilisce che il debitore può opporsi all'esecuzione anche in pendenza del processo esecu�vo, ma fino al termine ul�mo della vendita o dell'assegnazione del bene. Il legislatore vuole che il debitore venga avver�to di questo termine già nell'a�o di pignoramento. La ragione della fissazione di questo termine ul�mo nasce dal fa�o che il legislatore vuole evitare che dopo che sia stata effetuata la vendita o l'assegnazione, quel bene possa essere aggredito in conseguenza dell'accoglimento dell'eventuale opposizione. L'a�o di pignoramento è materialmente effetuato dall'ufficiale giudizario, ma siccome il pignoramento consiste in un a�o che viene comunicato al debitore, quest'a�o materialmente dovrà essere reda�o dal creditore procedente, quindi è il creditore procedente, nel momento in cui chiede all'ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento, indicando su quali beni all'interno del patrimonio del debitore dovrà effetuare il pignoramento, gli consegnerà anche l'a�o materiale che poi l'ufficialie giudiziario so�oscriverà nel momento in cui verrà effetuato in concreto il pignoramento. Quindi è il creditore procedente che deve sapere come redigere in maniera corre�a quest'a�o. La conseguenza della mancanza di ques� elemen� può rilevare sul piano della non regolarità formale dell'a�o di pignoramento, quindi esporre quest'a�o, essendo il primo a�o esecu�vo del processo in esame, al rimedio dell'opposizione degli a� esecu�vi, art 617 cpc, e portare quindi eventualmente alla dichiarazione di nullità dell'a�o, il che comporterà che il creditore eprocedente dovrà provvedere nuovamente all'a�o di pignoramento se è nei termini per farlo, poichè nel caso in cui siano tracsorsi quei 90 giorni previs� dall'art. 481 cpc, l'eventuale nullità dell'a�o di pignoramento fa cadere anche l'efficacia del prece�o, costringendo il creditore a ricominciare tu�o daccapo. Potrebbe accadere che nel momento in cui l'ufficiale giudiziario vada ad effe�uare il pignoramento su indicazione del creditore procedente, trovi nel patrimonio del debitore beni insufficien� a coprire l'ammontare del credito. In questo caso, l'ar�colo 492 cpc al quarto comma prevede due ipotesi differen�: la prima è il caso in cui l'ufficiale giudiziario trovi nel patrimonio del debitore beni insufficien� a coprire l'ammontare del credito (tenete presente che i beni pignora� devono coprire non solo l'ammontare del credito, ma anche le spese che il creditore sopporta per procedere all'esecuzione forzata che sono tu�e spese a carico del debitore), la seconda ipotesi è quella in cui i beni sono sta� pignora� dall'ufficiale giudiziario, ma si tra�a di beni che richiedono una lunga durata della liquidazione. Le due ipotesi sono affiancate dal legislatore perchè entrambe danno la possibilità al creditore procedente di chiedere al debitore l'indicazione di altri beni sui quali effe�uare il pginoramento. E' una possibilità a favore del creditore, ed è una situazione par�colare perchè per effe�o dell'invito che il creditore volge al debitore di indicare altri beni, scaturisce in capo al debitore stesso l'obbligo a rendere dichiarazioni veri�ere. Lo stesso 4° comma infa� vi dice che in questo caso il debitore ove ome�a di rendere la dichiarazione o renda una falsa dichiarazione (quindi o man�ene il silenzio oppure dice "no, non ho beni" ma in realtà ce li ha) scaturisce a suo carico, dice il 4° comma, la sanzione prevista per l'omessa o falsa dichiarazione, che è un reato, previsto appunto dal codice penale, configurato come tale "omessa o falsa dichiarazione all'autorità giudiziaria", quindi è come se appunto il debitore avesse omesso di rendere quella dichiarazione o abbia reso la dichiarazione in ques�one falsa dire�amente all'autorità giudiziaria. Dunque non è, diciamo così, un tenta�vo del tu�o velleitario ma fa scaturire in capo al debitore l'obbligo di rendere questa dichiarazione e di renderla in maniera veri�era. All'esito di questa dichiarazione cosa può emergere? Anzitu�o può emergere che effe�vamente il debitore non ha nessun bene, non ha altri beni, e in questo caso il creditore non può che prendere a�o di ciò; invece la seconda ipotesi è che dalla dichiarazione del debitore emerga che invece ci sono altri beni sui quali effe�uare il pignoramento e, nel caso di specie, il creditore, tenendo presente la dichiarazione resa dal debitore, incarica l'ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento anche di ques� altri beni indica� dal debitore o in aggiunta ai beni che ha già pignorato l'ufficiale giudiziario nell'ipotesi in cui il primo pignoramento fosse insufficiente o in sos�tuzione, nella seconda ipotesi, quando si tra� di un pignoramento che ha riguardato beni di non facile liquidazione. L'altra ipotesi che può verificarsi, sempre in sede di effe�uazione del pignoramento e che è prevista dall'art. 492, penul�mo comma, riguarda il caso in cui il debitore sia un imprenditore commerciale: in questo caso l'art 492 cpc dice che se il debitore è un imprenditore commerciale l'ufficiale giudiziario, previa istanza del creditore procedente e a sue spese, prima di procedere al pignoramento può chiedere all'imprenditore di indicare il luogo presso il quale sono depositate le sue scri�ure contabili. A che cosa serve questo? A seguito dell'indicazione da parte dell'imprenditore del luogo in cui sono depositate le scri�ure contabili, il creditore procedente può procedere alla nomina di un esperto (che potrà essere un commercialista, un avvocato, un notaio) perchè analizzi queste scri�ure contabili per acquisire gli elemen� u�li ai fini di individuare i beni da pignorare dell'imprenditore commerciale. disposi�vo che in realtà è inefficace rela�vamente nei confron� del creditore procedente e dei creditori intervenu�. Quarta considerazione che qui emerge dalla le�ura dell'art 2913 cc, cioè questa è la regola salvo che non si tra� di beni mobili non registra� perchè in questo caso il trasferimento del possesso in buona fede vale �tolo e quindi, in qualche maniera, laddove si tra� di beni mobili so�opos� a pignoramento c'è ovviamente l'obbligo del debitore, come dice l'art 492 cpc, di non compiere a� che ledano la garanzia del credito, ma se dovesse compiere a� di alienazione su beni mobili, cioè trasferire il possesso del bene mobile a terzi in buona fede ( cioè in buona fede vuol dire che ignorano che il bene in ques�one è pignorato), qui il legislatore tra tutelare le ragioni del creditore pignorante e degli eventuali creditori intervenu� e tutelare invece la buona fede del terzo che ha acquistato il possesso su bene mobile, NEL CASO DI TRASFERIMENTO DI BENI MOBILI A TERZI IN BUONA FEDE IL LEGISLATORE PREFERISCE TUTELARE IL TERZO IN BUONA FEDE. il legislatore preferisce questa seconda posizione, cioè tutela il terzo che abbia acquistato il possesso su beni mobili in buona fede e quindi privilegia l'applicazione del principio di cui all'art. 1153 cc (il trasferimento del possesso in buona fede su beni mobili vale �tolo), per tenere fermo questo principio il legislatore stabilisce all'art 2913 cc che quel principio non viene meno neanche se i beni mobili in ques�one fossero beni pignora�. Ovviamente nella scelta che qui il legislatore si è trovato di fronte, tra tutelare le ragioni del creditore pignorante e tutelare le ragioni del terzo acquirente in buona fede su beni mobili, ha preferito tutelare questo secondo sogge�o ma vedremo, e questo lo vedremo quando parleremo del pignoramento mobiliare, che per evitare che il creditore pignorante incorra in questo rischio, cioè che pignori i beni mobili e poi ques� beni mobili vengano trasferi� a terzi in buona fede facendo perdere sostanzialmente la garanzia del pignoramento, l'ordinamento prevede la possibilità, nel caso del pignoramento mobiliare, che il creditore chieda e il giudice disponga che i beni mobili pignora� vengano affida� ad un custode diverso ovviamente dal debitore esecutato, e quindi in questa maniera materialmente il debitore non ha più la disponibilità dei beni mobili pignora� e di conseguenza non può verificarsi quel rischio che è paventato dall'art 2913 cc. Quindi come vedete abbiamo pesi e contrappesi: da una parte il legislatore ci dice che il terzo che dovesse acquistare in buona fede il bene mobile, pure pignorato, sappia che ha acquistato un bene, cioè ha acquistato la proprietà, nessuno può fargli perdere la proprietà che ha acquistato, in base al principio di cui all'art 1153 cc; dall'altro lato si preoccupa di offrire al creditore procedente gli strumen� adegua� per evitare che si verifichi questa eventualità. Perchè l'art. 2913 cc pone questa eccezione solo per i beni mobili pignora�? Perchè evidentemente laddove si tra� di beni mobili registra� o di beni immobili l'a�o di pignoramento che viene effe�uato, e questo lo vedremo appunto quando affronteremo le modalità di effe�uazione del pignoramento immobiliare, deve risultare dai pubblici registri, cioè viene trascri�o nei pubblici registri e quindi è evidente che quando abbiamo a che fare col pignoramento di beni mobili registra� o di beni immobili rileva il principio della pubblicità dell'a�o e quindi tu�o quello che risulta trascri�o nei registri immobiliari prima del pignoramento prevale sul pignoramento, tu�o quello che verrà trascri�o successivamente soccombe rispe�o al pignoramento (vale il principio appunto dell'a�o trascri�o per primo, il principio della pubblicità, come normalmente avviene per tu� gli a� disposi�vi su beni mobili registra� o su beni immobili). Quindi non c'è nessun possibile confli�o nel caso dei beni mobili registra� o dei beni immobili perchè chi ha trascri�o per primo avrà la prevalenza su tu� quelli che trascriveranno dopo e quindi di conseguenza ne deriva che eventuali a� disposi�vi del debitore (su beni mobili registra� o su beni immobili) compiu� prima del pignoramento ma trascri� dopo o compiu� dopo il pignoramento sono inefficaci rela�vamente per il creditore procedente e per i creditori intervenu�. Cosa rimane fuori da questo discorso tra i beni che sono susce�bili di pignoramento? I credi� che eventualmente il debitore abbia nei confron� di terzi, perchè ques� credi� non emergono da pubblici registri nè possono essere considera� alla stregua di beni mobili, difa� sono credi�, sono un genus diverso di beni. In questo caso la norma di riferimento è l'art 2914 cc il quale ci dice che il terzo debitore del debitore, cioè il terzo nei confron� del quale l'esecutato ha un credito che è stato pignorato, dal momento in cui gli viene no�ficato l'a�o di pignoramento, quindi viene informato che quel debito che lui ha nei confron� dell'esecutato è ogge�o di pignoramento, da quel momento non può più adempiere il debito che ha dire�amente al suo creditore (che sarebbe l'esecutato) e ove dovesse fare ciò è comunque tenuto a soddisfare il creditore pignorante, cioè il pagamento dell'eventuale credito è fa�o male; essendoci stato il pignoramento è obbligato a pagare il credito a favore del creditore pignorante e quindi ove dovesse, nonostante la previsione dell'art 2914 cc, pagare quel debito che ha nei confron� del suo dire�o creditore, che è l'esecutato, ha pagato male e quindi sarà comunque tenuto a soddisfare il suo debito a favore del creditore procedente. Questo è il meccanismo che il legislatore prevede. Dunque in tu�e queste tre ipotesi (beni mobili non registra�, beni mobili registra� e beni immobili, credi� pignora�) abbiamo visto la situazione che si verifica, diciamo l'effe�o che il pignoramento determina su a� disposi�vi successivi al pignoramento e abbiamo visto che cosa accade nelle tre diverse situazioni. Talvolta però può accadere, e anche qui il problema si pone in relazione ai beni mobili non registra�, che l'a�o disposi�vo sia precedente al pignoramento e tu�avia può produrre effe� sul pignoramento. Cioè l'ipotesi quale è? Un eventuale a�o disposi�vo compiuto sul bene mobile non registrato (quindi non risultante da pubblici registri), che poi è stato pignorato, quindi è stato pignorato dall'ufficiale giudiziario che evidentemente ignorava che quel bene mobile fosse stato nel fra�empo trasferito a terzi, avvenuto prima dell'effe�uazione del pignoramento; quindi in concreto vuol dire che l'ufficiale giudiziario ha pignorato un bene mobile non di proprietà del debitore ma di proprietà di un terzo, questo rischio ovviamente non può verificarsi nelle altre ipotesi perchè se siamo in presenza di bene mobile registrato l'a�o deve risultare da pubblici registri, se non risulta si può pignorare tranquillamente perchè vuol dire che per l'ordinamento quel bene è di proprietà del territorio; se si tra�a di bene immobile idem, perchè quello che risulta dai pubblici registri fa fede e quindi se l'a�o di diposizione non risulta dai pubblici registri tamquam non esset; se si tra�a di credi� pignora�, lo vedremo anche questo, nel momento in cui viene effe�uato il pignoramento presso terzi di credi�, il terzo debitor debitoris, cioè il terzo che è debitore dell'esecutato, oltre ad essere informato che si sta procedendo al pignoramento vedremo che è tenuto a dichiarare al creditore procedente se su quel credito siano sta� già effe�ua� altri pignoramen�, quindi se ci sono sta� su quel credito a� disposi�vi del suo creditore perchè, se non lo fa, per il creditore procedente anche qui tamquam non esset, quindi delle due l'una: il credito è stato pignorato perchè il debitor debitoris non ha dichiarato che il credito è stato ceduto dal debitore esecutato nè che sono sta� effe�ua� altri pignoramen� oppure ha dichiarato che sono sta� effe�ua� a� di cessione o a� di pignoramento e tu�avia il creditore procedente ha proceduto comunque al pignoramento, in entrambi i casi l'a�o disposi�vo avvenuto prima comunque è a conoscenza del creditore procedente e quindi se nonostante questo ha proceduto al pignoramento se ne assume tu�e le conseguenze. E quindi non può verificarsi niente anche rispe�o ad a� disposi�vi del credito che non siano a conoscenza del creditore procedente nel momento in cui è andato ad effe�uare il pignoramento del credito. De�o ciò quindi l'unico problema che può nascere riguarda solo i beni mobili non registra� che vengono pignora� i quali, ripeto, potrebbero essere sta� trasferi� a terzi prima del pignoramento. Allora in questo caso cosa prevede l'ordinamento? è in questo caso che in realtà per noi si apre la possibilità alla quale fa riferimento l'art 619 cpc, cioè la c.d. opposizione di terzo in sede di esecuzione forzata. L'art 619 cpc prevede che nell'eventualità in cui terzi abbiano visto i loro beni coinvol� nell'espropriazione forzata, per errore evidentemente, per poter far valere il loro diri�o di proprietà su ques� beni devono avanzare opposizione di terzo ai sensi dell'art 619 cpc. E all'interno di questo giudizio, che si apre per effe�o dell'opposizione di terzo (che è un vero e proprio giudizio di cognizione), devono dimostrare l'esistenza del loro diri�o di proprietà su quel bene, quindi l'ogge�o dell'opposizione di terzo è esa�amente l'accertamento dell'esistenza del diri�o di proprietà vantato dal terzo sul bene pignorato e l'unica ipotesi in cui ciò può verificarsi, ripeto, riguarda l'ipotesi in cui siano sta� pignora� dei beni mobili che l'ufficiale giudiziario ha trovato presso l'abitazione del debitore, li ha pignora�, ma in realtà sono beni di proprietà di terzi. Quindi non è che questo fa venir meno il pignoramento; il pignoramento rimane lì, sarà il terzo eventualmente ad a�varsi, facendo valere l'opposizione di terzo ex art 619 cpc, dimostrando di essere lui il proprietario di ques� beni all'interno appunto del giudizio di cognizione che si apre in conseguenza dell'opposizione. Ora, la par�colarità che noi abbiamo in questo caso quale è? Siccome s�amo parlando di beni mobili potrebbe accadere che il terzo, in sede di opposizione di terzo, per dimostrare di essere il proprietario del bene u�lizzi prove in qualche maniera artefa�e (visto che il �tolo di proprietà su beni mobili non risulta da pubblici registri), quindi che si è costruito ad hoc, proprio al fine di dimostrare di essere lui il proprietario del bene ed in questo modo ledere le ragioni del creditore pignorante magari in combu�a con il debitore esecutato. Ed è quello che vuole evitare il legislatore - e lo vedremo meglio quando parlaremo appunto di questa forma di opposizione di terzo all'esecuzione - nell'art 621 cpc perchè se andate a leggere tale ar�colo vi dice che l'opponente, in sede di opposizione di terzo, non può u�lizzare, al fine di dimostrare il suo diri�o di proprietà sui beni pignora� (evidentemente diri�o di proprietà acquistato prima del pignoramento), prove tes�moniali perchè il legislatore teme che eventuali tes�moni, che in questo caso vengono chiama� per dimostrare la sussistenza della proprietà in capo al terzo, siano tes�moni in realtà non affidabili, che rendano una tes�monianza falsa. Per evitare tu�o ciò l'art 621 cpc esclude in toto la possibilità di u�lizzare la prova tes�moniale. In realtà, se ci fermassimo sull'art 621 cpc, noi trarremmo la conclusione che l'unica prova che non può u�lizzare il terzo, nel momento in cui fa valere l'opposizione di terzo all'esecuzione, è la prova di �po tes�moniale, ma questa norma la dobbiamo combinare con l'art 2915 cc il quale prende in considerazione questa ipotesi, cioè l'ipotesi in cui eventuali beni mobili pignora� siano sta� trasferi� a terzi prima del pignoramento e il legislatore in questo caso vi dice che in tale ipotesi il terzo viene salvaguardato nel suo diri�o di proprietà solo se produce in giudizio un a�o scri�o dal quale risul� il suo diri�o di proprietà avente data certa. Quindi in realtà mentre l'art 621 cpc vi esclude solo le prove tes�moniali ma non vi dice quali altre prove sono u�lizzabili da parte del terzo per dimostrare il suo diri�o di proprietà, se andiamo a leggere il 2915 cc (ed è questa la combinazione che dovete fare) in realtà ricaviamo che l'unico mezzo di prova che il terzo può u�lizzare per dimostrare il suo diri�o di proprietà sul bene mobile, erroneamente pignorato, è un a�o scri�o avente data certa, quindi potrebbe essere un a�o pubblico o una scri�ura privata però avente data certa ( avente data certa: art 2704 cc, che vi dice quando una scri�ura privata ha data certa e la data certa è un elemento giuridico dell'a�o, non basta che rechi la data ma deve essere una DATA CERTA, cioè una data vincolante anche per i terzi) e le modalità a�raverso le quali la scri�ura privata acquista il requisito della data certa ve le dà lo stesso art 2704 cc, in par�colare, mentre per l'a�o pubblico il problema non si pone perchè la data certa è data dallo stesso pubblico ufficiale nel momento in cui so�oscrive l'a�o pubblico, nel caso delle scri�ure private la data certa è data o dalla so�oscrizione auten�cata, quindi anche in questo caso abbiamo l'intervento del pubblico ufficiale che cer�fica la so�oscrizione indicando la data in cui tale so�oscrizione è resa, oppure, vi dice l'art 2704 cc, da altri even� che escludano che quell'a�o possa essere stato reda�o in una data successiva, quindi even� che possono essere i più diversi, e tu�avia è onere della parte dimostrare ques� even� dire� ad escludere la possibilità che la scri�ura privata sia stata reda�a in un momento successivo. Quindi l'elemento principe in realtà è dato dalla so�oscrizione ex art 2704 cc. Al di fuori di queste ipotesi, quindi al di fuori dei casi in cui il terzo abbia acquistato il diri�o di proprietà su un bene mobile che poi è stato pignorato, al di fuori dell'ipotesi in cui disponga di un a�o scri�o avente data certa, il terzo pur essendo proprietario del bene tu�avia si vede espropriato il bene, quel bene non lo o�errà più indietro sebbene di fa�o dovesse essere il vero proprietario perchè in questo caso, appunto nel bilanciamento tra le due posizioni, cioè tra la posizione del terzo che abbia acquistato un diri�o di proprietà ma non lo può dimostrare con a�o scri�o avente data certa e il creditore procedente che ha pignorato quel bene a�raverso l'ufficiale giudiziario che ha trovato quel bene presso l'abitazione del debitore, l'ordinamento fa prevalere la posizione del creditore procedente, appunto con la sola eccezione dell'ipotesi in cui il terzo disponga di un a�o scri�o avente data certa. A�enzione a questo elemento perchè quando abbiamo a che fare con beni mobili, sopra�u�o con beni mobili di valore che si trovano presso l'abitazione del debitore ma che appartengono in realtà a terzi, magari a familiari del debitore, non è che il familiare abbia necessariamente un a�o scri�o avente data certa per dimostrare di essere lui il proprietario, e quindi molto spesso deriva che l'impossibilità di dimostrare il �tolo di proprietà por� comunque a perdere il bene che è stato pignorato (pensate sopa�u�o ai rappor� tra coniugi, ad esempio un diamante è di proprietà della moglie ma non ha un a�o scri�o avente data certa col quale dimostrare di essere la proprietaria e quindi quel diamante entra nell'espropriazione, viene pignorato, verrà venduto per saldare i debi� dell'altro coniuge). Ci fermiamo qui e lunedì vedremo l'intervento dei creditori nell'espropriazione e la vendita forzata. Ciò perché la regola che tutti i beni del debitore sono pignorabili ha il limite dell’impignorabilità di alcuni beni necessari per la sopravvivenza del debitore, in questo caso il debitore potrà effettuare l’opposizione ex II comma dell’articolo 615 c.p.c. La norma che disciplina la prosecuzione del giudizio instaurato con questo ricorso è l’articolo 616 c.p.c., il quale ci dice come procederà il giudice dell’esecuzione davanti al quale è stato proposto questo ricorso. Il giudice dell’esecuzione, ricevuto il ricorso dell’esecutato, fissa un’udienza ed anche il termine all’opponente per notificare il ricorso introduttivo ed il decreto di fissazione dell’udienza alla controparte (ossia al creditore procedente). Quindi abbiamo la fissazione dell’udienza con instaurazione del contraddittorio con la controparte. Vanno rispettati i termini minimi fissati dall’articolo 163 bis ridotti a metà: termini minimi di 90 giorni che devono intercorrere tra la notificazione dell’atto di citazione e l’udienza, ridotti della metà significa che si tratta di 45 giorni di termine minimo per poter svolgere l’udienza. L’oggetto dell’udienza davanti al giudice dell’esecuzione è ben determinato, l’obiettivo del legislatore è consentire al giudice di comprendere se sospendere o meno la procedura esecutiva ex art.624 c.p.c. Qui non si pone il problema di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo (come per il I comma dell’articolo 615) ma di sospensione della procedura esecutiva già avviata. La valutazione che è rimessa al giudice è dunque limitata solo a questo profilo: alla valutazione della sussistenza dei gravi motivi necessari per la sospensione della procedura esecutiva. a. Se sussistono questi gravi motivi, il giudice dell’esecuzione sospenderà la procedura esecutiva con ORDINANZA ex art.624, ordinanza reclamabile al collegio in applicazione del 669 terdiecies ossia utilizzando il reclamo cautelare. Se è disposta questa sospensione, il processo esecutivo rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza sull’opposizione all’esecuzione; b. Se non sussistono questi gravi secondo il giudice dell’opposizione, non disporrà la sospensione. Dunque il processo esecutivo procederà parallelamente al giudizio di opposizione all’esecuzione. Chiusa questa fase preliminare che ad oggetto questa valutazione dei presupposti per la sospensione della procedura esecutiva, si apre la fase di merito. Lo stesso articolo 616, anche se con una formulazione non puntuale, ci dice come si aprirà questa seconda fase. L’articolo 616 ci dice che il giudice dell’esecuzione,a chiusura dell’udienza nella quale ha valutato la sussistenza dei presupposti per predisporre la sospensione della procedura esecutiva, fissa con ordinanza un termine per a. L’introduzione della causa di merito se lo stesso ufficio giudiziario a cui appartiene il giudice dell’esecuzione è competente anche per il merito (qui si applicano i normali criteri della competenza per materia e per valore) ; b. La riassunzione della causa davanti al giudice competente, ove non fosse quell’ufficio giudiziario competente per il merito. Es. credito oggetto dell’espropriazione forzata sia di 4000 euro, il creditore ha proceduto a pignoramento, il debitore fa opposizione davanti al tribunale competente per l’esecuzione. Il giudice con ordinanza fissa un termine per la riassunzione del giudizio dinanzi al giudice competente per materia o per valore, ossia in questo caso davanti al giudice di pace. Dunque entro quel termine l’opponente dovrà riassumere il giudizio dinanzi al giudice di pace. Una volta che vi sia stata la riassunzione, il giudizio prosegue come un normale giudizio di merito. Due sono gli elementi dell’articolo 616 su cui fare attenzione • L’articolo 616 impropriamento ci dice che quando -il giudice competente per il merito è lo stesso tribunale a cui appartiene il giudice dell’esecuzione,questi con ordinanza fisserà un termine perentorio entro il quale andrà introdotto il giudizio di merito; -non sia quel tribunale competente per il merito parla di riassunzione. In realtà in entrambi i casi siamo sempre dinanzi ad una riassunzione del giudizio, poiché il giudizio è stato già introdotto con il ricorso che l’opponente ha proposto davanti al giudice dell’esecuzione. Quindi si tratta solo di una translatio iudicii del giudizio già instaurato davanti al giudice competente per il merito. Quindi i due diversi termini che utilizza l’articolo 616 (“introdurre” e “riassumere”) sono una imprecisione linguistica del legislatore, infatti è sempre una riassunzione. Se non fosse così nel primo caso (giudice competente per il merito è lo stesso del tribunale cui appartiene il giudice dell’esecuzione) il giudizio andrebbe nuovamente introdotto e si esporrebbe ad una eccezione di litis pendentia. Infatti “introdurre un nuovo giudizio”, significherebbe introdurre un nuovo atto introduttivo ma noi sappiamo che il giudizio è stato già introdotto con il ricorso proposto ex 615 II comma davanti al giudice dell’esecuzione. Si tratta di riassumerlo per poter consentire il giudizio nel merito. • Una volta che il giudizio viene riassunto,al giudizio di merito si applicheranno le regole del normale processo di cognizione, salvo che per la materia specifica oggetto dell’opposizione all’esecuzione il legislatore non abbia previsto l’applicazione di un rito diverso sempre a cognizione piena. Es. Se il credito per il quale ha proceduto il creditore è un credito derivante da rapporti di lavoro dipendente, all’opposizione all’esecuzione si applicheranno le regole del processo del lavoro. Per la trattazione del merito si seguono le regole del processo a cognizione piena previste dal legislatore ove quel giudizio fosse stato fin dall’inizio introdotto come un normale giudizio di cognizione. Quindi giudizio ordinario, salvo che il legislatore non abbia previsto un specifico rito speciale per il particolare rapporto creditorio oggetto dell’opposizione. b) L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI ex art. 617 II comma (DOPO L’INIZIO DELL’ESECUZIONE FORZATA) Nel caso in cui il debitore contesti la regolarità formale dell’atto di pignoramento ( regolarità formale definita dall’ art 492 c.p.c.) il rimedio è l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617. Anche in questo caso, saremo dinanzi ad una opposizione che avviene dopo l’inizio dell’esecuzione forzata, dunque il riferimento è all’articolo 617 II comma. Il I comma dell’art. 617 fa riferimento alla contestazione della regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto che il debitore può avanzare prima dell’inizio dell’esecuzione forzata. Il II comma dell’art. 617 disciplina invece l’opposizione agli atti esecutivi dopo l’inizio dell’esecuzione forzata ossia dopo il pignoramento ed evidenzia come: • questo rimedio è utilizzabile per contestare la regolarità formale del pignoramento o comunque di qualsiasi atto esecutivo compiuto nel corso della procedura esecutiva; • questa opposizione va proposta entro 20 giorni dal momento in cui l’atto esecutivo di cui si vuole contestare la regolarità formale è compiuto; • ma sempre il II comma evidenzia come dopo l’inizio dell’esecuzione, il debitore -sempre che non l’abbia fatto prima- può ancora contestare la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto entro 20 giorni dal pignoramento. La forma dell’atto introduttivo è il RICORSO che deve essere proposto al giudice competente per l’esecuzione. La norma che disciplina la prosecuzione del giudizio instaurato con questo ricorso è l’articolo 618 c.p.c. Il giudice dell’esecuzione, ricevuto il ricorso dell’esecutato, fissa un’udienza ed anche il termine all’opponente per notificare il ricorso introduttivo ed il decreto di fissazione dell’udienza alla controparte (ossia al creditore procedente). All’udienza il giudice dell’esecuzione disporrà l’eventuale sospensione della procedura esecutiva. Come per il 616 anche questa udienza preliminare è funzionale a valutare la sussistenza di quei gravi motivi che giustificano la sospensione della procedura esecutiva. Anche questa volta la sospensione avverrà con ordinanza reclamabile al collegio in applicazione del 669 terdiecies ossia utilizzando il reclamo cautelare. A chiusura di questa udienza preliminare, l’art. 618 precisa che il giudice fisserà il termine perentorio entro il quale l’opponente dovrà riassumere il giudizio dinanziaal giudice del merito Il debitore utilizzerà questo istituto se ha interesse a vedere liberati i beni dal pignoramento,dunque offre una somma di denaro ed avanza al giudice dell’esecuzione, con RICORSO, l’istanza di conversione del pignoramento. 2 1 5 5Offrendo, già al momento in cui avanza questa istanza, un del valore del credito del creditore procedente sommato al credito degli eventuali creditori intervenuti ex art.495 II comma. La differenza rispetto al III comma del 494 risiede nel fatto che: • Nel 494 III comma, la somma di denaro deve comprendere: il credito del creditore procedente; le spese della procedura esecutiva; un aumento del valore del credito del creditore procedente 2 1 5 5aumentato di . Non si parla del credito dei creditori intervenuti poiché in quel momento non ci possono essere stati creditori interventi, l’intervento si sta attuando in quel momento. • Se invece l’istanza di conversione viene avanzata successivamente ex art. 495, bisogna tener conto anche del valore del credito dei creditori eventualmente intervenuti. La somma che il debitore esecutato offre nel momento in cui propone l’istanza di conversione del 2 1 5 5pignoramento, è una somma che deve essere non inferiore ad dell’importo del credito del 2 1 5 5creditore procedente, delle spese della procedura e dei crediti dei creditori intervenuti. serve solo per avanzare l’istanza di conversione del pignoramento ex art. 495 II comma. Se l’istanza viene accolta dal giudice dell’esecuzione, ex art. 495 I comma,il debitore dovrà depositare l’intera somma che comprende, oltre alle spese di esecuzione, il credito del creditore procedente e dei creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese. Questa istanza, evidenzia l’art.495, può essere avanzata dal debitore • dopo che sia avvenuto il pignoramento ma prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione . Dunque nel periodo dei 45 giorni di cui parla l’art. 495; • una sola volta nel corso della procedura; • anche chiedendo la rateizzazione della somma da versare, fino ad un massimo di 36 mesi. Il giudice fisserà le scadenze delle reta.Se il debitore viene meno al versamento di queste rate, decadrà dai benefici della conversione del pignoramento e le somme eventualmente versate fino a quel momento verranno inglobate nei beni pignorati.Una sorta di sanzione a carico del debitore che non ha rispettato le scadenze. RIDUZIONE DEL PIGNORAMENTO ex art.496 L’altra possibilità che il debitore ha è la riduzione del pignoramento. Sempre nel corso della procedura il debitore può chiedere,con RICORSO al giudice dell’esecuzione, che il pignoramento effettuato venga ridotto quando il valore dei beni pignorati sia superiore, in maniera consistente, rispetto al valore del credito del creditore procedente, dei creditori intervenuti, alle spese. L’articolo 496 non lo precisa ma è evidente che questa istanza può essere avanzata nella misura in cui i beni non siano stati già oggetto di vendita forzata o assegnazione, in questo caso la riduzione del pignoramento è impossibile essendo stata trasferita a terzi la proprietà di quei beni. Tuttavia se in sede di vendita forzata e di distribuzione del ricavato dovessero avanzare delle somme, il residuo sarà riconsegnato al debitore. Sia nel caso in cui il debitore esecutato abbia utilizzato il III comma del 494 sia che abbia utilizzato l’istituto del 495 (dopo il pignoramento), la POSIZIONE DEL DEBITORE NON CAMBIA ossia continua a rimanere esecutato e quindi, il fatto di aver chiesto la conversione non significa che abbia rinunciato a fare opposizione. Il debitore ha semplicemente ottenuto che, invece di avere i beni pignorati, ha le somme di denaro pignorate. E’ solo questa la differenza. Bisogna tener presente anche che, ove il debitore utilizzi l’istituto del 495 o il 496, avanza un ricorso che sarà il giudice dell’esecuzione, con ordinanza, ad accogliere o respingere. Questa ordinanza è un provvedimento esecutivo, come tale è suscettibile di essere sottoposto, entro 20 giorni da quando è pronunciato, al rimedio generale di cui al 617 II comma. Questo rimedio vale per qualsiasi atto esecutivo. Se l’istanza è stata accolta, l’eventuale rimedio sarà esperito non dal debitore ma da altri soggetti; se è stata rigettata il rimedio sarà esperito dal debitore. Dunque in questo lasso di tempo che va dal momento in cui è avvenuto il pignoramento al momento in cui il creditore procedente avanza istanza di vendita o assegnazione, il debitore ha a disposizione le suddette possibilità. 2) LA POSIZIONE DI TERZI, DIVERSI DAL DEBITORE ESECUTATO Dobbiamo distinguere a seconda che si tratti di: • Terzi erroneamente coinvolti nella procedura di espropriazione, che hanno visto erroneamente pignorati i propri beni; • Terzi costituiti da altri creditore del medesimo debitore a. TERZO ERRONEAMENTE COINVOLTO NELLA PROCEDURA DI ESPROPRIAZIONE (art. 619) In questo caso il terzo, ex art. 619 venuto a conoscenza che è stato pignorato un bene di sua proprietà o su cui è titolare di un diritto reale (es. diritto reale parziale: uso, abitazione), ha a disposizione L’OPPOSIZIONE DI TERZO ALL’ESECUZIONE di cui all’art. 619. Si tratta della terza forma di opposizione o di incidente cognitivo che noi troviamo nel processo esecutivo e si tratta di una opposizione che il terzo può far valere quando già il processo esecutivo è iniziato. L’interesse del terzo nasce, infatti, proprio quando ha visto i suoi beni pignorati erroneamente. Erroneamente perché ci sono ipotesi di espropriazione del terzo proprietario che, però, ha legittimamente offerto un suo bene a garanzia delle ragioni creditorie, quindi non era un errore. In questo caso stiamo vedendo un terzo che è stato erroneamente coinvolto nella procedura di espropriazione. Ciò può verificarsi solo quando si tratta di pignoramento di beni mobili non registrati, qui può nascere l’errore.L’ufficiale giudiziario si reca presso l’abitazione del debitore per pignorare i beni del debitore, lì vi sono beni di terzi che l’U.G. pignora comunque. Si ribalta a questo punto sul terzo proprietario l’onere di attivarsi per difendere un proprio diritto. Questo discorso in realtà, sulla base dell’applicazione giurisprudenziale di questo rimedio disciplinato dal 619, è stato applicato anche per terzi che vogliono rivendicare il proprio diritto di proprietà che hanno acquistato sul bene dopo il pignoramento. Anche in questo caso il rimedio è l’opposizione di terzo. Dunque questo rimedio sarà utilizzato: • sia dal terzo titolare di diritto di proprietà o di diritto reale sul bene erroneamente pignorato; • sia dal terzo che ha acquistato il diritto di proprietà o il diritto reale sul bene, dopo il pignoramento di questo. Ciò può accadere sempre quando abbiamo a che fare con beni mobili non registrati, a riguardo l’art. 2913 c.c. “sono inefficaci gli atti dispositivi compiuti dal debitore successivamente al pignoramento, salvi gli effetti del trasferimento del possesso in buona fede” e si tratta dei beni mobili non registrati. Dunque può essere accaduto che il bene fosse di proprietà del debitore quando è stato pignorato ma, dopo il pignoramento, il debitore venendo meno all’obbligo che ha di non disperdere la garanzia del credito trasferisce in buona fede a terzi il possesso del bene. Ai sensi dell’articolo 1153 c.c.il trasferimento in buona fede del possesso vale titolo, quindi il terzo ha acquistato legittimamente il diritto di proprietà del bene, anche se pignorato.Sempre che si tratti di beni mobili non registrati. Infatti, per i beni mobili registrati ed i beni immobili questo rischio non vi è perché l’atto di pignoramento risulta dai registri immobiliari, tutto quello che viene trascritto successivamente è inefficace per il creditore. In questo caso, vi è la possibilità di questi altri creditori di intervenire nell’ambito del processo esecutivo avviato con il pignoramento. Prima di vedere questa possibilità di intervento di altri creditori, facciamo alcune considerazioni di carattere generale: • Questa possibilità di intervento di altri creditori vi è nel processo esecutivo per espropriazione per la ragione che tale processo mira ad adempiere obbligazioni di natura generica. Dunque è facile che altri creditori, che abbiano nei confronti del medesimo debitore lo stesso credito (ossia un credito avente ad oggetto il pagamento di somme di denaro), possano intervenire nel processo esecutivo iniziato da uno dei creditori. Ciò perché l’oggetto dell’obbligazione è di natura generica quindi, ex art 2740 c.c., il debitore ne risponde con tutto il suo patrimonio in concorso con tutti i creditori, come dice il 2741 c.c. nel rispetto del diritto di prelazione. Dunque tutti i creditori hanno pari diritto di partecipare all’espropriazione forzata dei beni del debitore. Questa è una prima specificazione che giustifica l’intervento di altri creditori nel processo esecutivo per espropriazione. Negli altri processi esecutivi, infatti, questo istituto non ha ragion d’essere poiché gli altri processi esecutivi hanno tutti ad oggetto l’adempimento coattivo di obbligazioni di natura specifica. • La seconda considerazione è che quando parliamo di altri creditori è proprio in virtù della regola generale che fissa l’art. 2741 c.c.. Potrebbe trattarsi di altri creditori “chirografari” privi di diritti di prelazione sui beni pignorati oppure di creditori che abbiano un diritto di prelazione sui beni oggetto di pignoramento, in questo secondo caso parliamo di creditori “privilegiati”. Il diritto di prelazione è un diritto accessorio rispetto al diritto di credito ed è un diritto di garanzia. I diritti di prelazione nel nostro ordinamento sono ipoteca su beni immobili o mobili registrati , pegno su beni mobili e privilegio su beni mobili ( il privilegio ha natura tipica, si utilizza nei casi espressamente previsti dal codice civile per determinate tipologie di crediti. Inoltre si distingue in privilegio “generale” su tutti i beni del debitore e privilegio “speciale” su alcuni beni). Mentre l’ipoteca ed il pegno nascono da un atto negoziale (ipoteca può nascere anche da un atto giudiziale e si parla di “ipoteca giudiziale”), il privilegio nasce per opera della legge, quindi automaticamente al sorgere del credito. Es. il privilegio dell’albergatore sui crediti per il soggiorno nell’albergo oppure i crediti del trasportatore o del depositario. In ogni caso, l’esistenza in capo a questi creditori di un diritto di prelazione non impedisce che quel bene sia pignorato da parte di altri creditori. Tuttavia quello che nasce è un obbligo ex 2741 di far valere quel diritto di prelazione, per non perdere il diritto di prelazione per l’avvenuto pignoramento. Dunque il fatto che ci sia stato il pignoramento non implica che il creditore privilegiato possa perdere il diritto di prelazione. Quindi bisogna combinare queste due diverse esigenze. Andiamo a vedere cosa accade: Siamo nell’ipotesi in cui siano stati pignorati dei beni è vi sia un diritto di prelazione di altri creditori su quegli stessi beni. L’art 498 c.p.c. fa sorgere in capo al creditore procedente un onere ben preciso: entro 5 giorni dall’avvenuto pignoramento, il creditore procedente deve dare notizia dell’avvenuto pignoramento a quei creditori che su quei beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante da pubblici registri. Se non dà comunicazione di ciò, non potrà avanzare istanza di vendita o di assegnazione, dunque gli è impedita la prosecuzione del processo esecutivo. La comunicazione è richiesta non nei riguardi di tutti i creditori ma solo nei confronti di creditori che abbiano un “diritto di prelazione risultante da pubblici registri”.Questa formulazione restringe il campo di applicazione di questa norma, tenendo conto delle 3 forme di diritto di prelazione esistente nel nostro ordinamento (ipoteca, pegno, privilegio). Di queste 3 forme: l’ipoteca risulta da pubblici registri (riguarda beni mobili registrati o immobili e deve essere trascritta su pubblici registri), in parte questo vale anche per i privilegi poiché per alcuni privilegi si richiede la trascrizione su pubblici registri; il pegno non ha trascrizione riguardando beni mobili non registrati. Dunque questo onere imposto dall’art 498 si limita alla comunicazione ai creditori ipotecari o ai creditori privilegiati dove si tratti di un privilegio risultante da pubblici registri. La finalità di questa comunicazione è quella di far sapere a questi creditori che è avvenuto il pignoramento e che, dunque, quel bene sarà sottoposto a vendita forzata o assegnazione. Siccome sappiamo già che con l’assegnazione o la vendita forzata il bene viene trasferito a terzi, libero da vincoli ciò vuol dire che il creditore privilegiato, se intende far valere il suo diritto di prelazione, deve intervenire nel processo esecutivo. Qualora non lo facesse il diritto di prelazione che aveva, effettuata la vendita o l’assegnazione forzata, viene meno. Dunque o interviene ed intervenendo partecipa al processo esecutivo, trovando soddisfacimento sulla somma che verrà ricavata dalla vendita o assegnazione forzata oppure non partecipa e perde il diritto di prelazione una volta che il bene pignorato venga venduto o assegnato. L’onere di comunicazione è a salvaguardia di questi creditori. Non si comprende però perché questo onere di comunicazione venga limitato solo a creditori che abbiano un diritto di prelazione risultante da pubblici registri. Per gli altri creditori che non hanno un diritto di prelazione risultante da pubblici registri l’ordinamento mette a disposizione altre forme di tutela, non richiamate dal 498 ma che esistono (continuerà a spiegare questo profilo nella lezione dell’8 maggio). LEZIONE PROCEDURA CIVILE II 08/05/2018: Ritorniamo al nostro discorso relativo all’intervento dei creditori, dicevamo la prima categoria di creditori ai quali dedica attenzione il legislatore sono i creditori che abbiano un diritto di prelazione sui beni pignorati, in particolare, stando all’articolo 498, il legislatore guarda ai creditori privilegiati il cui diritto di prelazione risulti da pubblici registri. Con riferimento a questi l’articolo 498 impone l’onere di comunicazione in capo al creditore procedente entro 5 giorni, termine che non è perentorio, l’importante è che lo faccia prima di andare a chiedere l’istanza di assegnazione o vendita perché se non ha comunicato l’avvenuto pignoramento ai creditori privilegiati il cui diritto di prelazione risulti dai pubblici registri, la sua richiesta di assegnazione o vendita è inammissibile. Questi creditori sicuramente possono intervenire. Vi dicevo ieri che può sembrare strano che l’art 498 faccia riferimento ai soli creditori il cui diritto di prelazione risulti da pubblici registri, gli altri vengono lasciati al loro destino? In realtà no Gli altri creditori privilegiati che sono i creditori che abbiano il pegno o un privilegio che non risulti da pubblici registri, come sono tutelati rispetto all’eventualità che i beni sui quali hanno il loro diritto di prelazione siano pignorati rispetto all’ esigenza di salvaguardare il loro diritto di prelazione? Allora prendiamo queste due categorie: creditori che abbiano il pegno e creditori che abbiano un privilegio su beni pignorati, stiamo parlando sempre di creditori che hanno un diritto su beni mobili perchè tanto il pegno quanto il privilegio riguardano questi tipi di beni. La costituzione del pegno a garanzia di un credito su determinati beni mobili comporta la sottrazione del bene alla disponibilità da parte del debitore, quindi la disponibilità del bene passa- sebbene la proprietà continua a rimanere del debitore- nelle mani del creditore che dispone materialmente del bene. Questo è fondamentale ai nostri fini perchè se il creditore procedente, in sede di espropriazione forzata, dovesse voler pignorare quei beni sui cui un altro creditore ha un diritto di pegno, quali modalità di pignoramento dovrebbe utilizzare? Il pignoramento presso terzi che è la forma di pignoramento da utilizzare quando si vogliano pignorare beni di proprietà del debitore ma nella disponibilità di terzi. Il pignoramento verso terzi, perchè si realizzi, implica il coinvolgimento del terzo che ha la disponibilità materiale del bene, in questo caso dell’altro creditore che ha il diritto di pegno su quei beni. Quindi chiaramente se è necessario per effettuare il pignoramento dei beni oggetto del pegno, attraverso le modalità del pignoramento verso terzi, coinvolgere l’altro creditore nel momento in cui si effettua il pignoramento, questi viene a sapere che il bene è stato pignorato. Quindi si è raggiunto l’obbiettivo che si prefigge il legislatore imponendo l’onere di comunicare ai creditori il cui diritto di prelazione risulti da pubblici registri. Obbiettivo è sempre quello, consentire di salvaguardare il loro diritto di prelazione intervenendo nell’espropriazione. Quindi l’ipotesi è: viene chiesto il pignoramento di un bene su cui un altro creditore ha il diritto di pegno per effettuare questo pignoramento nelle forme del pignoramento presso terzi, e queste implicano necessariamente che il terzo che ha la disponibilità materiale del bene venga coinvolto, ecco che in questo modo questo terzo acquisisce la notizia dell’avvenuto pignoramento. A questo punto poi deciderà se, per salvaguardare il suo diritto di pegno, intende intervenire ai sensi dell’art 499, se invece rinuncia a intervenire però deve sapere che volontariamente sta rinunciando al suo diritto di prelazione perchè il bene verrà poi venduto e l’acquirente del bene in sede di vendita forzata acquista il bene libero da vincoli. Il punto è metterlo a conoscenza del fatto che il bene su cui ha costituito il diritto di pegno è oggetto di pignoramento, e questo lo si ottiene attraverso le forme del pignoramento presso terzi. Quindi necessariamente non c’è bisogno che venga comunicato, come dice l’art 498, perchè è proprio la procedura del pignoramento presso terzi che implica il coinvolgimento di questo soggetto. Lo stesso discorso lo possiamo fare per i titolari di privilegio su beni mobili del debitore che non risulta da pubblici registri. (Se risulta da pubblici registri rientriamo nell’applicazione del 498, onere di comunicazione ecc..). Il privilegio solo in alcuni limitati casi viene iscritto in pubblici registri, normalmente non viene iscritto, quindi è costituito ope legis. Quindi anche qui non rientriamo nell’ipotesi del 498. Anche in questo caso come si tutela il diritto di prelazione del creditore che è stato costituito ope legis sui beni pignorati da un altro creditore? Dobbiamo tener presente di una norma: co 2 art 2756 cc il quale ci dice che nel momento in cui viene costituito il diritto di privilegio in capo ad un determinato creditore, questo ovviamente diventa creditore privilegiato, ha il DIRITTO DI RITENZIONE DEL BENE. Significa che fin quando non viene pagato ha diritto di trattenere i beni su cui ha il privilegio. La possibilità di salvaguardare il proprio diritto questo creditore ce l’ha, se esercita il diritto di ritenzione vuol dire che il bene in questione è nella sua disponibilità. Quindi situazione identica a quella che si verifica con il pegno, solo che nella situazione di pegno avviene in automatico il trasferimento della disponibilità del bene (sennò non c’è il pegno), nel caso del privilegio, invece, è il creditore che deve esercitare, se lo vuole, questo diritto di ritenzione sapendo che se non esercita questo diritto e quel bene dovesse essere pignorato e poi venduto perderà il suo diritto di prelazione. Se esercita il diritto di ritenzione ne deriva che la disponibilità materiale passa dal debitore al creditore, e ancora una volta un altro creditore che intenda pignorare quei beni dovrà utilizzare le forme del pignoramento presso terzi, quindi necessariamente deve coinvolgere il creditore privilegiato L’articolo fa riferimento al sequestro, ma in realtà il legislatore trascura che potrebbe anche, invece che il sequestro conservativo, aver ottenuto un provvedimento d’urgenza che gli consente di dare attuazione ad un provvedimento simile al sequestro conservativo. Quindi questa norma riguarda non solo il creditore che abbia dato attuazione al sequestro ma anche al creditore che ha ottenuto un provvedimento d’urgenza simile al sequestro conservativo, anche in questo caso si tratta di preservare la posizione del creditore che ha dato attuazione al provvedimento cautelare. • Terza categoria: (sempre co 1 del 499) creditori il cui credito risulti dalle scritture contabili di cui all’art 2214 cc. Anche qui siamo nell’eccezione alla regola, quindi possono intervenire anche se non muniti di titolo esecutivo. Il legislatore qui rinvia al 2214 ma sta parlando dei creditori che svolgono attività imprenditoriali commerciali. Qualunque imprenditore commerciale può, ai sensi del primo comma del 499, esperire intervento nell’espropriazione forzata anche se non munito di titolo esecutivo, se munito nulla questio perché si rientra nella regola. Attenzione, qui il legislatore in realtà, a differenza delle altre due ipotesi dove si poneva l’esigenza di salvaguardare una posizione di primazia del creditore (privilegiato o che avesse dato attuazione al provvedimento cautelare) ,qui è una scelta di politica legislativa, il legislatore tratta con un certo favore questa categoria di creditori e consente loro di poter intervenire anche se non muniti di titolo esecutivo in deroga alla regola generale che vale per tutti i creditori, regola per cui si può intervenire solo se muniti di titolo esecutivo. È al limite della costituzionalità perché in realtà non è che il fatto di essere creditore imprenditore commerciale dia un qualche elemento che giustifichi sul piano oggettivo il trattamento di favore, però questa è la scelta del legislatore. Teniamo presente che questa norma è stata introdotta dalle riforme del 2005/2006. In precedenza lo stesso articolo 499 prevedeva, invece, la possibilità che qualunque creditore potesse intervenire nell’espropriazione forzata, anche non munito di titolo. Nel 2005/06 il legislatore fa una scelta diversa, introduce la regola per cui si può intervenire solo se si è in possesso di titolo esecutivo, ma introduce anche queste tre eccezioni. Mentre le prime due si giustificano in relazione ad un dato oggettivo, la terza è solo legata all’atteggiamento di favore che il legislatore ha avuto nei confronti dei creditori imprenditori commerciali. Quindi il legislatore restringe la possibilità di intervento, la ammette solo per i creditori muniti di titolo esecutivo ma introduce queste tre eccezioni che derogano alla regola. Per effetto di questa previsione ex primo comma possiamo avere in concreto che dopo che sia effettuato il pignoramento possono intervenire altri creditori, tanto muniti quanto non del titolo esecutivo purchè rientrino in una delle tre ipotesi richiamate. Se siamo in presenza del creditore titolato questo non pone problemi rispetto all’esistenza del suo diritto di credito perché quel soggetto, avendo a disposizione il titolo esecutivo, è assimilabile a quella del creditore procedente e difatti può compiere gli stessi atti all’interno del processo esecutivo che può compiere il creditore procedente. Quindi da questo punto di vista l’unico problema che può emergere è il caso in cui, per effetto dell’intervento, il creditore procedente si rende conto che la massa dei beni su cui è stato effettuato pignoramento non consenta il soddisfacimento pieno del suo diritto di credito e anche del creditore intervenuto. In questo caso come si può tutelare questo creditore procedente? La possibilità che ha è di procedere direttamente a pignorare altri beni, sempre che ce ne siano, allargando la massa dei beni da pignorare oppure invitare il creditore che è intervenuto a fare lui questo ampliamento, visto che è munito di titolo esecutivo può ovviamente procedere direttamente lui ad ampliare la massa dei beni pignorati che poi entreranno nella vendita forzata; in questa maniera si cautela. Diversa è la situazione che si determina quando intervenga un creditore non titolato (una delle tre eccezioni precedentemente richiamate). Qui si pone un duplice problema: 1. Problema nei confronti del creditore procedente e vedremo come verrà risolto dal co 4 dell’art 499 2. Problema nei confronti del debitore, perché questi creditori che sono intervenuti non sono muniti di titolo esecutivo, quindi non c’è nemmeno quel minimo di certezza che l’ordinamento riconosce per intraprendere il processo espropriativo, sono soggetti che si affermano creditori ma non sappiamo se il loro diritto di credito effettivamente esista. 1. Problema nei confronti del creditore procedente: nel momento in cui intervenga un creditore non munito di titolo esecutivo anche in questo caso noi possiamo avere che il creditore procedente si rende conto in realtà che non ha possibilità di essere pienamente soddisfatto delle sue ragioni creditorie. Pensiamo ad esempio l’ipotesi in cui il creditore che intervenga sia un creditore che ha diritto di prelazione, non ha ancora il titolo esecutivo. È chiaro che quando si arriverà al momento della distribuzione del ricavato, essendo questo creditore che è intervenuto un creditore che ha un diritto di prelazione sui beni, ha diritto di essere soddisfatto prima degli altri (sennò a che serve diritto di prelazione). Lo stesso discorso vale nel caso in cui il creditore intervenuto non titolato aveva dato attuazione ad un provvedimento cautelare, idem ha un diritto ad essere soddisfatto prima. Allora potrebbe il creditore procedente rendersi conto che è a rischio la sua possibilità di soddisfacimento sui beni pignorati. Cosa può fare? Il co 4 art 499 ci dice che cosa ha a disposizione il creditore procedente, può indicare a questi creditori intervenuti degli altri beni del debitore sui quali, lui creditore procedente potrà provvedere a effettuare il pignoramento (non lo possono fare questi creditori intervenuti non avendo il titolo esecutivo), e quindi in questa maniera li sollecita a dare il consenso ad allargare la massa dei beni da pignorare. La conseguenza è che se vengono indicati dei beni sui quali allargare il pignoramento e questi creditori intervenuti non titolati non acconsentono ad effettuare l’allargamento del pignoramento, che dovrebbe avvenire a loro spese, il co4 ci dice che in questo caso il creditore procedente acquisisce lui il diritto di prelazione. Cioè ha diritto in questo caso ad essere lui soddisfatto prima degli altri creditori intervenuti. È una modalità alla quale ricorre il legislatore per salvaguardare la posizione del creditore procedente. Attenzione, questa possibilità però, in tanto è concretizzabile in quanto vi siano effettivamente altri beni del debitore sui quali estendere il pignoramento, se così non fosse è evidente che questo strumento non è a disposizione del creditore procedente. 2. Problema su come viene tutelata la posizione del debitore nei confronti del creditore intervenuto non titolato. Anzitutto in questo caso rileva il co 2 art 499 il quale ci dice che per esperire l’intervento il creditore non titolato deve effettuarlo con ricordo con il quale chiede di partecipare alla distribuzione del ricavato, indica il titolo sulla base del quale si fonda il suo diritto di credito e effettuato l’intervento dovrà poi notificare questo atto di intervento anche al debitore in modo che questo acquisisca gli elementi utili a conoscere il titolo sulla base del quale questo soggetto ha esperito l’intervento. Dopodiché il processo espropriativo andrà avanti e nel momento in cui verrà acquistata l’udienza per la vendita o l’assegnazione forzata, cioè si aprirà la seconda fase del processo esecutivo, in quella sede il giudice è tenuto a fissare un’udienza alla quale parteciperà tanto il creditore intervenuto non titolato quanto il debitore, e in quella sede il debitore dovrà dichiarare se riconosce o meno l’esistenza del credito del creditore intervenuto. Può accadere a questa udienza, anzitutto, che il debitore si presenta e riconosce il credito del creditore intervenuto, questo atto di riconoscimento equivale per il creditore intervenuto ad una sorta di titolo esecutivo, cioè può tranquillamente partecipare alla distribuzione del ricavato senza doversi premunire del titolo esecutivo. Se invece il debitore in quella sede dovesse disconoscere il credito, ci dice il co 6 del 499, ha l’onere di premunirsi del titolo esecutivo per poter partecipare (in sede di distribuzione del ricavato) alla ripartizione del ricavato della vendita forzata. Quindi se non c’è il riconoscimento de credito da parte del debitore la conseguenza è che il creditore che è intervenuto rimane tale ma parteciperà alla distribuzione del ricavato solo se nel frattempo ha acquisito il titolo esecutivo, se non ha acquisito il titolo esecutivo l’unica possibilità che ha, ai sensi dell’art 510, è quella di avere le somme a lui destinate accantonate per un periodo di tempo al fine di consentirgli di munirsi di questo titolo esecutivo, dopodiché se non l’ha fatto le somme a lui destinate verranno ripartite tra gli altri creditori, quindi non verrà soddisfatto. In realtà, quindi, sebbene il legislatore consenta l’intervento di creditori non titolati, tuttavia ai fini della loro partecipazione alla distribuzione del ricavato impone comunque l’acquisizione del titolo esecutivo o comunque del riconoscimento da parte del debitore nell’udienza che il giudice fisserà quando dovrà disporre la vendita o l’assegnazione forzata dei beni che sono stati pignorati. Se manca il riconoscimento o l’acquisizione del titolo esecutivo, questi creditori avranno accantonate le somme a loro destinate per un certo lasso di tempo stabilito dal giudice, ma dopodiché non potranno più partecipare alla distribuzione del ricavato. L’altro elemento da tener presente è che tutto questo meccanismo delineato dall’art 499 cpc, che mira a salvaguardare il creditore procedente e il debitore rispetto ad altri creditori non titolati, trova applicazione se l’intervento è avvenuto prima che vi sia stata udienza di vendita o assegnazione fissata dal giudice per verificare se il debitore riconosce o meno il credito del creditore intervenuto non titolato. Anche per allargare la massa dei beni è necessario che l’intervento sia avvenuto prima che il giudice abbia disposto l’udienza di vendita o assegnazione. Ma l’art 499 cpc prevede anche un intervento tardivo di creditori avvenuto cioè successivamente all’udienza di assegnazione. Dobbiamo distinguere casi di intervento tardivo dei creditori: l’unica possibilità è che siano muniti di titolo esecutivo, perché non può qui trovare applicazione il meccanismo del riconoscimento da parte del debitore. Il creditore che interviene successivamente può essere chirografario o privilegiato: la posizione cambia notevolmente. Nell’eventualità in cui il creditore che intervenga tardivamente per partecipare alla distribuzione del ricavato ottenuta dalla vendita dei beni pignorati dal creditore procedente: se è creditore privilegiato e il creditore procedente è chirografario, la posizione del procedente soccombe rispetto al creditore privilegiato e non c’è possibilità per il creditore procedente di tutelare la sua posizione. Diverso è invece il caso se intervenuto tardivamente è il creditore chirografario al pari del creditore procedente. In questo caso nel confronto tra i due creditori, l’ordinamento fa prevalere il creditore procedente perché, essendo il chirografario intervenuto tardivamente, ha diritto a soddisfarsi solo sul residuo che avanzi dopo che è stato soddisfatto il creditore procedente. La ragione di questa scelta è che il creditore procedente non ha avuto modo di allargare la massa dei beni pignorati e di salvaguardare la sua posizione perché intervenuto successivamente. Quello che residua è l’ipotesi in cui il creditore procedente sia anch’egli creditore privilegiato. In questo caso se interviene un altro creditore chirografario, nulla quaestio. Invece se interviene un altro creditore privilegiato (tempestivamente o tardivamente è indifferente) come viene tutelata la posizione del creditore procedente? Lo vedremo poi in sede di distribuzione del ricavato, però dobbiamo tenere presente che nell’ambito della disciplina dei diritti di prelazione, il codice civile fa una graduatoria. Non sono tutti sullo stesso livello. Per esempio: il privilegio speciale ha la prevalenza su privilegio generale. Ancora l’ipoteca può essere di primo livello o di livello successivo. Tale graduazione rileverà nel concorso di creditori privilegiati nell’espropriazione. Così abbiamo che: in primo luogo devono essere soddisfatti i creditori privilegiati secondo la graduatoria, e in secondo 2. Assegnazione – vendita: ipotesi in cui invece di avere un unico creditore nella procedura di espropriazione forzata, abbiamo un concorso di creditori e uno di questi richiede l’assegnazione. Tuttavia nella graduatoria (fatta in sede di distribuzione del ricavato)che riguarda tutti i creditori che partecipino al concorso la posizione del creditore che ha chiesto assegnazione è subordinata alla posizione di altri creditori, che devono essere soddisfatti prima. Per esempio: nel concorso che si è generato all’interno dell’ espropriazione forzata, c’è la categoria dei creditori privilegiati. Nessuno dei creditori privilegiati chiede l’assegnazione e al posto di questi chiede assegnazione uno della categoria dei creditori chirografari. In questo caso non si può procedere ad assegnazione satisfattiva perché il creditore che ha chiesto assegnazione passerà al primo posto e verrebbe meno la sua prelazione. È in questa ipotesi che vediamo applicata l’assegnazione-vendita: il creditore otterrà assegnazione non per soddisfare le sue ragioni, ma sarà obbligato a pagare il corrispettivo del valore del bene (è come se stesse acquistando il bene in seguito di vendita forzata, ma invece lo sta ottenendo con assegnazione) e sul ricavato poi verranno soddisfatti i creditori secondo la graduatoria. L’assegnazione non è stata funzionale ad ottenere il soddisfacimento del credito, perché non è detto che residui qualcosa per lui. Perciò ha ottenuto assegnazione, ma non è soddisfatto in pieno (non è quindi assegnazione satisfattiva). Qual è l’utilità? Duplice vantaggio di assegnazione: 1) il creditore acquista e sceglie direttamente il bene senza concorrere con altri possibili acquirenti; 2)se fosse disposta vendita forzata, a questa i creditori non potrebbero partecipare e quindi non potrebbero beneficiare di questa possibilità. Per poter procedere tanto a vendita quanto ad assegnazione forzata c’è bisogno di un provvedimento del giudice. Il processo esecutivo per poter avanzare ha bisogno di iniziativa della parte, non procede d’ufficio. Per questo anche qui troviamo la stessa regola: dice l’art 497 cpc che una volta che vi sia stato pignoramento, entro 45 giorni deve essere avanzata istanza perché il giudice disponga vendita o assegnazione e poi sarà il giudice a fissare l’ udienza e a questa provvederà con ordinanza a disporre la vendita forzata, o nei casi in cui sussistano i presupposti l’assegnazione forzata. Con riferimento a questo provvedimento del giudice ci sono alcune considerazioni: in primo luogo è il provvedimento del giudice che autorizza la vendita o assegnazione, ma in relazione al momento in cui il giudice autorizza vendita o assegnazione forzata, vi sono alcune scadenze: la prima è l’art 495 cpc: “conversione del pignoramento”. Questo articolo dice che l’istanza della conversione di pignoramento può essere avanzata dal debitore fino al momento in cui non è disposta la vendita o assegnazione forzata dal giudice. Il termine ultimo per avanzare istanza di conversione è la sede dell’udienza : finchè il giudice non ha autorizzato vendita o assegnazione forzata ci potrebbe essere istanza di conversione da parte del debitore. La seconda decadenza è quella vista in precedenza: il termine per stabilire se un intervento di un altro creditore è tempestivo o tardivo è legato ancora uno volta al momento in cui il giudice autorizza l’assegnazione o la vendita. La terza conseguenza la troviamo nel codice civile all’art 2922: nel momento in cui si arriva alla fase liquidatoria, cioè la fase in cui il giudice autorizza vendita o assegnazione, eventuali nullità del processo esecutivo non fatte valere prima, non possono esser fatte più valere. Cioè vizi della procedura esecutiva che si siano manifestati durante la fase precedente alla vendita o esecuzione forzata e non siano fatti valere, si sanano automaticamente. Si potranno far valere eventuali vizi che siano emersi successivamente. I vizi verificatesi prima di quel momento sono sanabili ai sensi dell’art 2922 cc. Perché questa norma? Essa è funzionale a salvaguardare la posizione dell’acquirente (in sede di vendita) o assegnatario (in sede di assegnazione) perché si vuole cautelare la posizione di questi soggetti : il legislatore dice che le parti del processo esecutivo (creditore e debitore) non possono inficiare la vendita o assegnazione forzata che si è disposta facendo valere vizi di natura processuale verificatesi prima del momento in cui il giudice ha autorizzato la vendita o l’assegnazione, non potendo far valere più i vizi successivamente, l’unica possibilità che le parti hanno per far valere i vizi sono quelli che attengono specificatamente alla procedura della vendita forzata. Ma eventuali vizi precedenti si sanano quando il giudice ha disposto vendita o assegnazione forzata per salvaguardare la posizione dell’acquirente (in sede di vendita forzata) o l’assegnatario (in sede di assegnazione forzata). Lezione 9 maggio 2018 Riprendendo il discorso che facevamo ieri: Nel momento in cui viene autorizzata la vendita o l'assegnazione nell'esecuzione forzata attraverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, abbiamo visto che maturano alcune decadenze; alcune le abbiamo già viste, in particolare il momento dell'autorizzazione alla vendita o all'assegnazione è il momento nel quale scade la possibilità, o meglio, il debitore decade dalla possibilità di chiedere la conversione del pignoramento, e viene meno la possibilità di far valere nullità precedenti a quel momento, nullità che riguardano gli atti del processo esecutivo, e in quel momento abbiamo anche il discrimen, per quanto riguarda eventuali creditori chirografari intervenuti, tra intervento tempestivo o intervento tardivo. C'è un ulteriore decadenza della quale dobbiamo tener conto. La troviamo nel secondo comma del 615, e che riguarda l'opposizione all'esecuzione. Perché appunto il secondo comma dell'articolo 615 ci dice che l'opposizione all'esecuzione da parte del debitore può essere avanzata nell'ambito dell'esecuzione forzata (perchè riguarda solo l'esecuzione forzata questa decadenza) solo fino al momento in cui viene disposta la vendita o l'assegnazione; perchè il secondo comma aggiunge poi che successivamente a tale momento l'opposizione all'esecuzione, quindi la contestazione al diritto del creditore di procedere all'espropriazione forzata può essere avanzata solo per fatti sopravvenuti. Quindi questo significa che i fatti anteriori a tale momento che giustifichino la contestazione del diritto del creditore di procedere all'espropriazione forzata non possono più essere fatti oggetto di opposizione all'esecuzione; quindi abbiamo una ulteriore limitazione che è sempre funzionale a salvaguardare poi la fase liquidatoria cioè la vendita o l'assegnazione. Detto ciò l'articolo 503 ci dà le indicazioni sulle forme di vendita forzata, cioè sulle alternative che ha a disposizione il giudice nel momento in cui autorizza la vendita forzata. L'articolo 503 dice “può farsi con o senza incanto”, queste sono le due forme di vendita forzata. Il giudice può alternativamente scegliere se il bene pignorato vada sottoposto a vendita con incanto o a vendita senza incanto. Che vuol dire vendita con incanto e vendita senza incanto: 1. La vendita con incanto vuol dire che viene fissato un giorno nel quale si effettuerà la cosiddetta asta pubblica alla quale possono partecipare gli interessati, e all'esito di questa asta pubblica il bene sarà trasferito a colui che ha effettuato l'offerta più alta. Nel caso di vendita con incanto, il prezzo di partenza dell'asta è determinato dal giudice nell'ordinanza con il quale autorizza la vendita forzata; si partirà con un prezzo base che il giudice determina in relazione al valore del bene pignorato. Vedremo anche che questo valore del bene sarà innanzitutto individuato provvisoriamente dall'ufficiale giudiziario nel momento in cui procede al pignoramento, tuttavia, soprattutto per quanto riguarda la vendita forzata immobiliare, il giudice può anche chiedere ad uno stimatore la stima del valore del bene che poi utilizzerà per determinare il prezzo base. 2. La vendita senza incanto invece sarà effettuata mediante offerte libere entro un determinato lasso di tempo che il giudice determinerà. Offerte libere che gli interessati possono avanzare e all'esito di questa raccolta di offerte poi verrà individuato, aprendo le buste con le quali è stata effettuata quest'offerta, l'offerente migliore che poi sarà l'acquirente o aggiudicatario del bene. Anche in questo caso, nell'ordinanza del giudice dell'esecuzione si indicherà il prezzo base e si indicheranno anche le modalità con le quali si effettuano queste offerte libere. Se ci fermassimo a questa formulazione del primo comma dell'articolo 503 sembrerebbe che la scelta del giudice tra la vendita con incanto o la vendita senza incanto sia una scelta libera. In realtà il legislatore ha introdotto successivamente un secondo comma all'articolo 503, dal quale noi ricaviamo che la volontà del legislatore, vincolante per il giudice, è soprattutto a favore della vendita senza incanto perchè il secondo comma del 503 vi dice che il giudice procederà con incanto solo se ritiene che dalla vendita con incanto si di altri creditori nell'espropriazione che abbiamo già visto ai sensi dell'articolo 499. In questo caso abbiamo il cosiddetto concorso di credito, più creditori partecipano ad una procedura. Che cosa accade? Come si procede? Il secondo comma dell'articolo 510 dice che il giudice dell'esecuzione, o il professionista delegato in caso di delega, preparerà un piano di riparto cioè un programma di distribuzione. Qui abbiamo effettivamente la distribuzione del ricavato, quella che l'articolo 510 definisce genericamente come distribuzione del ricavato, perchè c'è un concorso infatti laddove abbiamo un solo creditore si tratterà di un soddisfacimento diretto. Nel caso in cui abbiamo più creditori c'è quindi bisogno di affrontare un piano di riparto, perchè? Perché come vi dicevo ieri bisognerà tener conto della posizione che ognuno dei creditori assume all'interno del concorso e la sua posizione nasce dalla natura del credito perchè come già sappiamo il piano di riparto dovrà conto del fatto che ci siano creditori privilegiato che abbiano un diritto di prelazione su quel bene (attenzione, su quel bene) perchè se ce l'hanno su un altro bene non sono creditori privilegiati, stiamo parlando di creditori che abbiano un diritto di prelazione sui beni oggetto di espropriazione. In questo caso si dovrà individuare questa categoria perchè i creditori privilegiati possono essere uno o tanti e vanno soddisfatti prima di tutti gli altri, in applicazione del principio generale dell'articolo 2741 il quale dice chiaramente “tutti i creditori hanno diritto di partecipare proporzionalmente sui beni del debitore salvi i diritti di prelazione”; quindi in primo luogo vanno soddisfatti i diritti di prelazione, cioè la categoria dei creditori privilegiati ed una volta soddisfatti se dovesse residuare ancora qualcosa poi sempre nel piano di riparto il giudice prevederà il soddisfacimento dei creditori chirografari, i quali vanno soddisfatti proporzionalmente ex articolo 2741. La prima scelta che il giudice dovrà fare è la distinzione all'interno del concorso dei creditori tra creditori privilegiati e chirografari. Sappiamo anche che all'interno della categoria dei creditori privilegiati, il soddisfacimento deve avvenire secondo una certa gradazione dunque non può avvenire proporzionalmente come per i chirografari. Bisogna individuare dunque il grado che ognuno dei creditori privilegiati assume all'interno della categoria dei creditori privilegiati, seguendo l'ordine di graduazione il giudice indicherà nel piano di riparto chi va soddisfatto per primo e poi via via gli altri seguendo la graduazione della loro posizione. Ora vi anticipavo ieri che il codice ci dà le indicazioni su come graduare questi creditori privilegiati, tenete presente che noi questa questione la stiamo prendendo in considerazione per l'espropriazione individuale perchè può verificarsi questo concorso di creditori e la stessa situazione la troviamo in maniera necessaria nell'ambito della procedura fallimentare cioè la procedura collettiva di espropriazione del patrimonio del debitore, perchè lì in maniera necessaria questa graduazione? Perché in caso di fallimento necessariamente si apre il concorso dei creditori, il fallito viene espropriato del suo patrimonio e tutto il patrimonio è sottoposto a liquidazione e quindi gli eventuali creditori che si presume siano molteplici necessariamente partecipano al concorso e il piano di riparto lo troveremo sempre. Nel caso della espropriazione individuale è un eventualità ce lo avremo solo se sono intervenuti altri creditori. Vi dicevo è il codice civile che ci dà le indicazioni su come graduare la categoria dei creditori privilegiati, ora per alcune ipotesi di creditori privilegiati la situazione è abbastanza semplice. I creditori possono essere o creditori ipotecari, che vantano un'ipoteca sul bene espropriato, o creditori pignoratizi, che vantano un pegno sul bene espropriato, o creditori privilegiati, che vantano un privilegio sul bene. Ora se riflettete su queste tre ipotesi, partendo dalla prima categoria; se entrano in ballo i creditori ipotecari significa che sono stati espropriati dei beni immobili e quindi ci sono creditori con un ipoteca. Se c'è un unico creditore ipotecario va soddisfatto per primo sul ricavato del bene immobile su cui c'è ipoteca, chiaro? Potrebbe anche verificarsi, e il codice civile non lo esclude e all'articolo 2808 ci dice che su un bene possono essere iscritte più ipoteche e ci dice anche che il grado di ognuna è in ragione del momento in cui viene iscritta, dunque può verificarsi che ci siano più creditori ipotecari e questi creditori vanno soddisfatti tenendo presente la gradazione dell'ipoteca. Quindi in questo caso, tenendo presente ciò che ci dice l'articolo 2741, è evidente che in primo luogo dovrà essere soddisfatto il creditore ipotecario di primo grado, poi quello di secondo e così via. È evidente che qui il concorso è solo interno ai creditori ipotecari, non ci può essere nessuna interferenza tra categorie diverse di creditori privilegiati, quindi la graduazione riguarderà solo i creditori ipotecari laddove ci siano più grado. Discorso diverso riguarda l'ipotesi di creditore pignoratizio, cioè che abbiamo un pegno sul bene. In questo caso, il diritto può essere vantato da un solo creditore perchè sappiamo come si effettua il pegno. Quindi non ci possono essere più creditori pignoratizi, ma soltanto un unico creditore pignoratizio. Questo creditore va soddisfatto per primo. Tuttavia, può verificarsi il concorso del creditore pignoratizio con eventuali creditori che vantano un diritto di prelazione sul bene cioè un creditore privilegiato, perchè il bene su cui c'è il pegno può essere un bene su cui vi è un privilegio degli altri creditori e il codice non esclude questo, e qui può nascere un concorso seppur esterno alla categoria dei creditori pignoratizi. Dunque, concorso creditore pignoratizio/creditore privilegiato. Anche qui il codice ci dà un indicazione nell'articolo 2748 il quale dice chiaramente che nell'eventuale concorso tra creditore pignoratizio e creditore privilegiato prevale sempre il creditore pignoratizio, usa la formula secondo cui il privilegio non può andare in danno del creditore pignoratizio. Abbiamo quindi la soluzione; in primo luogo deve essere soddisfatto il creditore pignoratizio e se qualcosa residua dal ricavato del bene mobile sul quale sussiste un pegno verrà soddisfatto anche il creditore privilegiato, d'accordo? E quindi anche qui abbiamo la soluzione di questo possibile conflitto che può generarsi. Terza ipotesi. Ipotesi in cui sui beni sottoposti ad esecuzione forzata ci siano più creditori che abbiano un privilegio. Anche in questo caso abbiamo una norma, l'articolo 2777 il quale ci dice che nel caso di concorso di più creditori minuti di privilegio sui beni espropriati qual è l'ordine che deve essere seguito nel soddisfacimento, c'è un elenco delle modalità secondo cui il giudice dovrà procedere per il soddisfacimento. In primo luogo trovate indicazioni che vanno stralciate le spese processuali, poi al primo posto vanno soddisfatti i creditori privilegiati di cui all'articolo 2751 bis che sono sostanzialmente i creditori che hanno un privilegio per un credito derivante o da lavoro dipendente o da lavoro intellettuale o da lavoro artigianale, quindi al primo posto il legislatore, seguendo l'ordine dell'articolo 2777, mette i crediti derivanti dallo svolgimento di un'attività lavorativa che può essere di lavoro dipendente o professionale quasi preferendo questi a tutti gli altri creditori privilegiati da soddisfare. Poi segue tutto un elenco, specialmente nell'articolo successivo 2778 dove troviamo ulteriore graduazione nell'eventuale concorso tra più creditori che sui medesimi beni abbiano un diritto di privilegio. Alla luce di questa indicazione, noi quindi troviamo che se è stato espropriato un bene immobile prima andranno soddisfatti i creditori ipotecari poi quelli chirografari sul residuo che sopravanzi dopo il soddisfacimento dei creditori ipotecari, soddisfatti secondo la graduazione ai sensi dell'articolo 2808. Se abbiamo l'espropriazione di beni mobili e ci sono creditori pignoratizi, questi vanno soddisfatti per primi sempre dopo aver stralciato le spese della procedura che sono sempre stralciate prima. Nell'eventualità che il creditore pignoratizio concorra con i creditori privilegiati va comunque soddisfatto per primo, quindi il creditore che vanta un privilegio sul bene su cui vi è pegno può essere soddisfatto solo dopo l'integrale soddisfacimento del creditore pignoratizio. Se abbiamo l'espropriazione di beni mobili su cui non c'è pegno ma ci sono dei privilegi, l'ordine che si segue è quello indicato dall'articolo 2777 del codice civile. Sono indicazioni che servono al giudice nel momento in cui andrà a redigere il piano di riparto. Attenzione, se il giudice non dovesse seguire queste indicazioni sta compiendo un piano di riparto viziato e quindi essendo anche questo un atto esecutivo sarà suscettibile di essere sottoposto al normale rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi, che potrà avvenire o dal debitore o da uno dei creditori che in qualche maniera si sia visto inciso dall non corretta redazione del piano di riparto. Questo è l'ordine che deve seguire il giudice nella redazione il piano di riparto, attenzione dopo aver redatto questo piano di riparto che individua la distribuzione dal punto di vista ideale del ricavato, poi subentra il discorso che già conosciamo, che per essere materialmente ognuno di questi creditori dei quali il giudice ha tenuto conto nel piano di riparto è necessario che ognuno di questi o sia intervenuto munito di titolo esecutivo o senza titolo esecutivo abbia avuto o il riconoscimento da parte del debitore ai sensi dell'articolo 499 oppure si sia munito di un titolo esecutivo nel frattempo. Se dell’ordinanza; vi dice anche l’art 512 secondo comma che ove diciamo ritenga di accogliere queste contestazioni può anche disporre la sospensione della distribuzione. Perché? Perché è chiaro che se queste contestazioni sono apparse al giudice dell’esecuzione prima facile fondate non ha senso procedere alla distribuzione del ricavato, ebbene sospende le attività di distribuzione del ricavato in attesa di vedere come andrà a finire questa contestazione e una volta che abbia pronunciato l’ordinanza in questione sempre il secondo comma dell’articolo 512 vi dice che nei confronti della ordinanza del giudice con la quale il giudice ha deciso in via sommaria la controversia distributiva che è sorta, nei confronti della ordinanza chiudendo la forma dice é proponibile un impugnazione nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617 secondo comma. Anzitutto notate l’improprieta del linguaggio usato dal legislatore, parla di impugnazione quando in realtà sta richiamando un opposizione perché il rimedio di cui all’articolo 617 é un opposizione che può essere proposta nei confronti dell’ordinanza in questione. La questione che è sorta è se questo richiamo che noi troviamo nel secondo comma dell’articolo 512 manifesti la volontà del legislatore di applicare l’opposizione agli atti esecutivi a questa ordinanza oppure invece vada limitato semplicemente come dice il secondo comma dell’articolo 512 solo alle forme e ai termini dell’opposizione e quindi non si richiami solo un opposizione degli atti esecutivi, semplicemente si richiamano le forme e i termini per introdurre l’opposizione e quindi diciamo la questione che si è posta è se l’ordinanza in questione sia sottoponibile solo all’opposizione agli atti esecutivi e quindi se trovi applicazione integralmente l’articolo 617 oppure se invece l’opposizione in questione sia retta solo per le forme e i termini dallarticolo 617, na una volta introdotta in realtà diventi un vero e proprio giudizio di merito questa è l’alternativa che è emersa attenzione la scelta tra queste due alternative non è del tutto secondaria e per farvi comprendere dove è il problema vediamole entrambe queste soluzioni: Se noi optiamo per la prima soluzione cioè nei confronti dell’ordinanza e proponibile l’opposizione agli atti esecutivi quindi l’intera disciplina degli atti esecutivi tralasciando la formula utilizzata dal legislatore quindi come se quella formula “nelle forme e nei termini” di cui al 617 secondo comma volesse dire si applica l’articolo 617. Non dice questo ma diciamo chi propende per questa soluzione interpreta la formula nei termini che vi ho detto cioè si applica integralmente l’articolo 617: l’opposizione agli atti esecutivi. Ora attenzione se noi accedessimo a questa soluzione vorrebbe dire che in sede di opposizione dell’ordinanza che attenzione ha deciso sull’esistenza di un credito, sull’ammontare di un credito,sull’esistenza di un diritto di prelazione ovvero su un diritto soggettivo dovremmo dire che in sede di opposizione, l’opponente puo se diciamo che si utilizza l’opposizione agli atti esecutivi contestare solo la regolarità formale dell’ordinanza, cioè non può contestare il merito della decisione del giudice e la decisione sommaria adottata dal giudice, quindi vorrebbe dire che il legislatore qui ha voluto che l’ordinanza in questione venisse contestata solo per i profili formali, solo per la regolarità formale. Il merito che fine fa se noi accediamo a questa soluzione? Cioè l’accertamento dell’esistenza o meno del diritto di credito contestato, l’accertamento del l’ammontare di questo diritto di credito contestato, l’accertamento del diritto di prelazione che fine fanno? Dovremmo dire che comunque quel diritto é suscettibile di essere oggetto di un autonomo giudizio successivamente alla chiusura delle operazione di espropriazione forzata perché è chiaro che nel caso di specie siccome accediamo a questa interpretazione , escludiamo che oggetto dell’opposizione possa essere la contestazione nel merito quel l’ordinanza che viene emessa dal giudice dell’esecuzione dovrebbe avere per così dire solo un efficacia endoprocessuale, non può avere efficacia di accertamento del diritto contestato,perché alle parti interessate da quella ordinanza non è stata data la possibilità di contestare nel merito la valutazione compiuta prima facie dal giudice dell’esecuzione,quindi vuol dire che alle parti nel rispetto dell’articolo 24 Cost deve essere data la possibilità di contestare nel merito quella decisione in un autonomo giudizio a cognizione piena, quindi vorrebbe dire anche che l’ordinanza del giudice emessa ai sensi del 512 con la quale ha deciso prima facie la controversia distributiva non è un ordinanza idonea ad acquistare efficacia di giudicato ma ha un efficacia meramente endoprocessuale cioè serve solo ai fini di procedere all’istituzione del ricavato lasciando incontestata la questione dell’esistenza o meno del diritto oggetto dell’originario ricorso avanzato o dal debitore o da uno dei creditori concorrenti, quindi vorrebbe dire che gli esiti della procedura esecutiva di espropriazione forzata non sono stabili, una volta chiusa la procedura se è emersa la contestazione e se diciamo che l’ordinanza in questione ha un efficacia solo endoprocessuale dobbiamo anche dire che all’esito di quel giudizio se il giudice dovesse accertare che effettivamente la contestazione era fondata all’esito del giudizio a cognizione piena quella decisione deve necessariamente andare a rivedere gli esiti della procedura esecutiva con tutte le complicazioni che questo ha, ovviamente il che vorrebbe dire che una volta avvenuta la distribuzione del ricavato non è detto che poi non ci possa essere appunto questo giudizio successivo che va almeno in parte a travolgere gli esiti della distribuzione del ricavato. Vediamo ora la seconda soluzione, la seconda soluzione è di applicare alla lettera la formulazione del secondo comma del 512 e alla lettera significa che l’opposizione avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione va proposta appunto come dice il legislatore nelle forme e nei termini di quell’articolo 617 secondo comma. Cosa comporta questo? Vuol dire che l’opposizione che viene mossa nei confronti dell’ordinanza in questione va proposta con le forme di cui all’articolo 617 secondo comma, quindi con ricorso; e nei termini del 617 secondo comma quindi entro 20 giorni dal momento in cui è stato pronunciato il provvedimento nei confronti del quale si intende proporre opposizione agli atti esecutivi. Questo è quello che dice il legislatore nel 512 secondo comma, altro non dice, quindi se ci limitiamo a questo dobbiamo ritenere che una volta introdotta questa opposizione nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617 secondo comma,quindi entro 20 giorni con ricorso; per tutto il resto siccome si tratta di un giudizio con il quale la parte sta proponendo una contestazione nel merito, quindi ha ad oggetto come dice il primo comma l’accertamento dell’esistenza del diritto di credito, il ammontare o l’esistenza del diritto di prelazione, se questo è l’oggetto e evidente che rispettata l’indicazione circa le forme e i termini per proporre l’opposizione, per il resto il giudizio sarà un normale giudizio a cognizione piena e quindi non è una opposizione agli atti esecutivi ma è un opposizione di merito perché solo in questa maniera noi riusciamo a consentire all’opponente di rivolgere nei confronti dell’ordinanza non solo contestazione di tipo formale ma contestazioni che hanno ad oggetto il merito cioè l’esistenza del diritto di credito, il suo ammontare, l’esistenza pone un termine decadenziale. Ora, il debitore in sede di distribuzione viene rimesso in termini? C'è un difetto di coordinamento, perché il legislatore che è intervenuto sul secondo comma del 615 è intervenuto solo nel 2016 introducendo il secondo comma del 615, ma si è dimenticato quanto il codice prevede sul 512, sulle possibilità che ha il debitore di contestare il diritto di credito, ovviamente la formulazione del 512 era stata fatta quando nel 615 non c'era il secondo comma e quindi l'opposizione all'esecuzione doveva essere avanzata dal debitore anche in sede di distribuzione del ricavato senza limite temporale e allora si coordinava benissimo con il 512. Arrivati in sede di distribuzione del ricavato il debitore che non avesse mosso l'opposizione all'esecuzione prima ai sensi del 615, poteva farlo in quella sede, soltanto che qui diventava una controversia distributiva ma l'oggetto era lo stesso, si voleva contestare l'esistenza del diritto di credito, il suo ammontare, l'esistenza del diritto di prelazione. Come si concilia invece oggi la formulazione del secondo comma del 615 che pone la decadenza che abbiamo visto con il fatto che il debitore ai sensi del 512 ha ancora la possibilità di contestare l'esistenza del diritto di credito, il suo ammontare, l'esistenza del diritto di prelazione? Possiamo arrivarci in via interpretativa, teniamo ferma la decadenza del 615 secondo comma, che l'opposizione all'esecuzione, attenzione che il debitore può muovere nei confronti del creditore procedente e nei confronti dei creditori intervenuti titolati, dopo tale momento può ancora muovere contestazione ai sensi del 512 ma queste ulteriori contestazioni possono riguardare sicuramente i creditori intervenuti non titolati perché nei confronti di questi può il debitore muovere in opposizione all'esecuzione? No, perché quel creditore non può compiere atti esecutivi, il creditore intervenuto non titolato vuole soltanto partecipare alla distribuzione del ricavato non può compiere atti esecutivi, non ha il titolo esecutivo, quindi l'opposizione all'esecuzione non la può muovere il debitore nei confronti del creditore intervenuto non titolato, quindi se vuole contestare l'esistenza del credito del creditore intervenuto non titolato L'unico rimedio che ha a disposizione il debitore è quello del 512 non ha altri rimedi nel merito. Questi creditore entrano in gioco solo nella fase distributiva e per questo il legislatore all'articolo 512 ci dice che in quella sede il debitore può muovere le contestazioni nei loro confronti indicate da questo articolo, però attenzione non è questa l'unica possibilità, potrebbero verificarsi altre situazioni che legittimano il debitore a muovere le contestazioni in sede di distribuzione del ricavato: 1 situazione riguarda sia il creditore procedente sia i creditore intervenuti titolati, perché il secondo comma del 615 ci dice l'opposizione all'esecuzione va proposta entro l'autorizzazione alla vendita o l'esecuzione forzata salvo che non derivi da fatti sopravvenuti, allora i fatti sopravvenuti potrebbero emergere anche nel momento in cui si arriva alla distribuzione del ricavato e in quella sede il debitore non può proporre opposizione all'esecuzione, lo può fare con riferimento alla contestazione di cui all'articolo 512 per far valere eventuali fatti sopravvenuti dopo la decadenza dall'opposizione all'esecuzione che lo legittimano sempre a contestare il diritto di credito dei creditore procedenti o sei creditore intervenuti titolati. Quindi eventuali fatti sopravvenuti dalla decadenza all'opposizione dell'esecuzione verranno fatti valere dal debitore con il rimedio di cui all'articolo 512. Terza ipotesi nella quale il debitore ha a disposizione l'articolo 512 riguarda i creditore intervenuti tardivamente titolati. Dovremmo ipotizzare anche una quarta ipotesi che riguarda sempre i creditori intervenuti non titolati, i quali abbiano avuto il riconoscimento da parte del debitore dell'udienza di cui all'articolo 499, perché diciamo dovremmo? Perché è una questione un po' controversa, nell'ipotesi in cui ci sia stato intervento di un creditore non titolato è il debitore non l'abbia riconosciuto, questo riconoscimento gli impedisce poi di muovere una contestazione di cui all'articolo 512 oppure no? Il riconoscimento consente a quel creditore di partecipare alla distribuzione del ricavato come se avesse titolo esecutivo, cioè non ha l'onere di munirsi di un titolo esecutivo per partecipare alla distribuzione del ricavato ma questo non significa che il debitore riconoscendo il creditore si sia privato della possibilità di avere un giudizio che accerti l'esistenza di quel credito, perché questo? Perché attenzione, il riconoscimento che fa il debitore in sede di 499 non è un'accoglimento di domanda giudiziale perché il creditore che ha proposto l'intervento ha solo chiesto di partecipare alla distribuzione del ricavato non di avere l'accertamento del suo diritto di credito e quindi il riconoscimento non ha li la funzione di escludere poi l'interesse ad agire come il rimedio del 512 per ottenere l'accertamento pieno dell'inesistenza di quel credito visto che viene mossa dal debitore, anche se lo ha riconosciuto ai sensi del 499. È una questione controversa perché alcuni ritengono appunto che il riconoscimento privi il debitore dell'interesse ad agire ai sensi del 512 che non convince il professore per le ragioni appena esposte, perché riconoscimento non vuoi dire aver rinunciato al diritto di azione con il rimedio dell'articolo 512. Se ci spostiamo sul versante degli altri legittimati, non più sotto il profilo del solo debitore, cioè i creditore che possono muovere le medesime contestazioni, il discorso è abbastanza semplice perché è evidente che i creditori ai sensi del 512 possono muovere le contestazioni circa l'esistenza di un credito, il suo ammontare o l'esistenza di un diritto di prelazione di un altro creditore, senza preclusione alcuna perché la decadenza del 615 vale per il debitore, solo il debitore può fare opposizione all'esecuzione, quindi è evidente che quella decadenza non riguarda i creditori. L'unico rimedio che hanno a disposizione i creditori che vogliano contestare altri crediti è quello del 512, non altri rimedi di contestazione nel merito, perché dal punto di vista formale si. Detto ciò per completare il quadro dobbiamo soffermarci invece sulle singole modalità di espropriazione forzata, a seconda del bene che si vuole pignorare del patrimonio del debitore, il codice prevede modalità diverse. I beni che possono essere oggetto di pignoramento sono sia beni mobili sia beni immobili sia crediti che il debitore ha nei confronti di terzi, le tre forme di pignoramento che noi troviamo nel codice sono queste: 1-pignoramento mobiliare presso il debitore, cioè il caso in cui il debitore voglia pignorare i beni mobili che si trovano presso l'abitazione del debitore ed è la modalità di pignoramento che noi troviamo indicata nell'articolo 513; 2-pignoramento immobiliare, ove s'intendano pignorare beni immobili o mobili registrati; 3 - pignoramento cd. Presso terzi che utilizzeremo quando si tratta di pignorare o mobili del debitore, di proprietà del debitore ma nella disponibilità di terzi, oppure crediti che il debitore abbia nei confronti di terzi . Partiamo dalla prima ipotesi, il pignoramento mobiliare presso il debitore o meglio, presso l'abitazione del debitore disciplinato dall'articolo 513, quale ci dice come viene effettuato questo pignoramento: l'ufficiale giudiziario munito di titolo esecutivo del precetto che sono stati già notificati al debitore dal creditore la vendita, perché verrà utilizzato per soddisfare il procedente, invece i beni preziosi e i titoli di credito saranno venduti ma sono facilmente liquidabili, perché si tratta di beni che hanno un valore determinato dai listini di borsa e quindi è facile trovare degli acquirenti. Altro elemento da tener presente è legato al modo, alle forme che seguirà l’ufficiale giudiziario per effettuare il pignoramento, dice l’art. 518 “il pignoramento mobiliare si esegue attraverso la redazione di un processo verbale” contenente l’elencazione dei beni, il loro presumibile valore, (eventualmente l’ufficiale può determinare il valore anche ricorrendo a uno stimatore, un ulteriore soggetto), e una volta redatto il processo, ingiunge al debitore pignorato quella formula di ingiunzione di cui all’art. 492 c.p.c., di non sottrarre i beni alla garanzia del credito, da’ tutti gli avvertimenti di cui all’art. 492 c.p.c. e consegna il verbale di effettuazione del pignoramento con l’elencazione dei beni pignorati, depositerà copia di questo verbale in cancelleria, e altra copia la consegnerà al creditore procedente perché provveda entro 15 giorni all’iscrizione al ruolo del processo esecutivo. Entro 15 giorni pena l’inefficacia del pignoramento, termine perentorio. L’obbligo di iscrizione a ruolo è stato introdotto di recente, prima non era previsto l’onere di iscrizione a ruolo, introdotto per evitare che risulti pendente il processo esecutivo anche se il creditore non fosse più interessato al proseguimento del processo esecutivo, tenendo presente che col pignoramento sarà pendente già il processo esecutivo, l’iscrizione a ruolo è una formalizzazione della pendenza del processo e questa nota di iscrizione a ruolo verrà effettuata presso la cancelleria del giudice competente, che sarà il giudice del luogo dove si trovano i beni da pignorare. Effettuate queste formalità, l’espropriazione mobiliare può passare alla fase successiva, cioè quella della vendita o assegnazione dei beni, previa istanza del creditore procedente. Prima di vedere questa fase successiva tuttavia dobbiamo soffermarci su un istituto che assume particolare rilevanza nel caso dell’espropriazione mobiliare per evitare che i beni pignorati vengano trasferiti a terzi. Infatti in base all’art. 2113 cc il trasferimento del possesso in buona fede dei beni pignorati è valido, dunque il possesso vale titolo e vengono sottratti alla garanzia del credito. L’art. 520 c.p.c. fa riferimento alla custodia dei beni pignorati e dice che: “l’ufficiale, una volta che abbia preceduto al pignoramento, consegna in cancelleria il denaro e i titoli di credito pignorati e gli oggetti preziosi colpiti dal pignoramento”. Il denaro viene depositato presso la cancelleria nelle forme dei depositi giudiziari, i beni preziosi e i titoli di credito sono depositati e custoditi nei modi stabiliti dal giudice. Tutti gli altri beni restano nella disponibilità del debitore che viene nominato custode se il creditore acconsente, altrimenti se il creditore non vi acconsente deve essere indicato un custode che normalmente è un istituto di deposito giudiziale, istituti presso i quali vengono depositati i beni, che vengono asportati dall’abitazione del debitore e depositati presso un istituto di deposito giudiziale indicato dal giudice, l’istituto assume tutti gli obblighi del custode. Anche il creditore può essere direttamente nominato custode, sempre che il debitore vi acconsenta. Debitore e creditore possono essere nominati solo se c’è consenso dell’altra parte, altrimenti sarà nominato un terzo. Con la nomina del custode il debitore non potrà trasferire a terzi il possesso dei beni pignorati, non si correrà il rischio paventato dall’art. 2113 c.c., invece nell’eventualità in cui il debitore sia nominato custode, il creditore ha acconsentito e quindi ne subisce eventuali conseguenze. Per quanto riguarda la fase liquidatoria la vendita dei beni mobili sottoposti a pignoramento, gli artt. che disciplina la vendita forzata sono gli art. 529 e 530 c.p.c., anche qui vengono individuate come forme di vendita forzata la vendita senza incanto o a mezzo commissionario, attraverso l’individuazione di un soggetto al quale vengono affidate le operazioni di vendita, che è il commissionario, oppure la vendita senza incanto. Anche in questo caso vale la regola generale per cui il giudice deve disporre la vendita senza incanto e può disporre la vendita con incanto solo se ritiene che dalla vendita con incanto possa ricavarsi più della metà del valore del bene venduto con l’incanto. Sempre in questo contesto può verificarsi che i debitori avanzino istanza di assegnazione, attenzione perché l’istanza di assegnazione, ai sensi dell’art. 529 c.p.c. non può riguardare qualsiasi bene può riguardare solo titoli di credito o altre cose il cui valore risulti da listini di borsa, o titoli di credito, o titoli di stato, o beni preziosi, il cui valore risulti da titoli di borsa. Per tutti gli altri beni non può avanzarsi istanza di assegnazione. La ragione della limitazione è funzionale ad evitare che attraverso l’assegnazione si depauperi il valore dei beni che sono stati sottoposti a pignoramento, quindi se non risulta il valore dai listini di borsa, quindi il valore è predeterminato, per tutti gli altri beni il legislatore preferisce la vendita forzata. Attenzione, nel momento in cui viene effettuato il pignoramento mobiliare, questa è un’eventualità che può verificarsi stante il fatto che siamo in presenza di una esecuzione non specifica, può accadere che nel momento in cui l’ufficiale giudiziario va ad eseguire il pignoramento su richiesta del creditore procedente, trovi sui beni che deve pignorare già effettuato un altro pignoramento su iniziativa di un altro creditore procedente. Come si comporterà l’ufficiale? Qui dobbiamo distinguere perché può essere che il pignoramento che già è stato effettuato abbia coperto tutti i beni presenti nell’abitazione del debitore, non ci siano altri beni da pignorare, oppure ci siano altri beni che possano ancora essere pignorati. 1. Il primo pignoramento ha pignorato tutto il pignorabile: l’ufficiale giudiziario indicherà nel processo verbale l’avvenuto pignoramento già eseguito ad opera di altro creditore procedente, e in questo caso il successivo creditore procedente può in qualche maniera intervenire nel pignoramento già eseguito. Questo intervento sarà tempestivo se il pignoramento già eseguito non sia ancora sfociato nell’udienza per l’autorizzazione a vendita o assegnazione, se invece il primo pignoramento ha già portato a tale udienza avremo un intervento tardivo, con tutte le conseguenze che ne derivano. Sappiamo che l’intervento tardivo comporta per il creditore chirografario, e sicuramente in questo caso è un creditore chirografario, altrimenti se avesse un privilegio già sarebbe venuto a conoscenza del processo esecutivo in atto, il suo soddisfacimento è postergato rispetto al soddisfacimento del creditore procedente, questa possibilità di soddisfacimento è una possibilità di soddisfacimento residuale; 2. Se ci sono altri beni da pignorare, l’ufficiale giudiziario provvederà a pignorarli e avremo un pignoramento ulteriore, due procedimenti esecutivi a carico del medesimo debitore. Il primo del primo procedente e il secondo processo esecutivo a iniziativa del secondo creditore procedente. In questo caso non ci sono particolarità, in quanto il secondo creditore trova altri beni da pignorare, non pone questioni particolare. Solo nel primo caso rileverà il momento in cui è richiesto il pignoramento successivo dal secondo creditore procedente, con le conseguenze che abbiamo visto a seconda che risulti interventore tempestivo o tardivo nel primo pignoramento. Nel passaggio dal pignoramento alla vendita, possiamo avere l’intervento di quei creditori che già conosciamo. Dopo che è stato effettuato il pignoramento e prima che sia disposta l’autorizzazione alla vendita, abbiamo la possibilità di interventi tempestivi o altri creditori tardivi se avvenuti dopo detta udienza, ciò si applica anche all’espropriazione mobiliare Nel momento in cui il giudice effettua o riceve l’istanza per la vendita o l’assegnazione, per procedere all’autorizzazione alla vendita o all’assegnazione dovrà fissare un’apposita udienza nella quale compariranno le parti del processo: il creditore procedente, l’esecutato e gli eventuali altri creditori intervenuti. E a questa udienza, dice l’art. 530 c.p.c.: il giudice dell’esecuzione, sentite le parti, sulle operazioni di vendita o eventuale richiesta di assegnazione, provvederà ad autorizzare la vendita o l’assegnazione con ordinanza. Nell’art.
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