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Il processo esecutivo - Libro III, Appunti di Diritto Processuale Civile

Luiso - Procedura civile Libro III

Tipologia: Appunti

2013/2014

Caricato il 08/09/2014

eleo28
eleo28 🇮🇹

3.6

(12)

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il processo esecutivo - Libro III e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 1. Esecuzione forzata nel quadro dell’ordinamento Alcune norme danno la facoltà di compiere certe attività, altre norme ne vietano il comportamento. Distinzione fra situazioni: Situazioni finali: alcune situazioni sostanziali protette si attuano fornendo al loro titolare poteri di comportamento in relazione ad un certo bene e facendo semplicemente obbligo a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento di non in frammentarsi fra il titolare del diritto e il bene garantito = impone a tutti gli altri soggetti dei doveri di astensione. Situazioni strumentali: l’interesse, che costituisce la situazione sostanziale protetta, è garantito non dall’attività indisturbata del titolare del diritto, ma da un comportamento attivo di un altro soggetto. Senza il comportamento la situazione sostanziale non è soddisfatta. II distinzione: fra doveri di comportamento primari e secondari. Doveri primari: attuano lo svolgimento fisiologico della situazione sostanziale. Tutti quei casi in cui è previsto come obbligo primario quello di tenere un certo comportamento attivo. Doveri secondari: nascono da un precedente illecito. Esisteva un altro dovere a monte, che non è stato rispettato; da qui consegue la nascita di un dovere di contenuto diverso che si può chiamare secondario, perché origina da un precedente dovere inadempiuto, che ha una funzione in un senso lato ripristinatoria. Ciò che rileva per la tutela esecutiva: che sul piano del diritto sostanziale, non sia stato tenuto quel comportamento, che è necessario per dare al titolare del diritto l’utilità che l’ordinamento gli garantisce, gli riconosce una situazione sostanziale protetta rispetto ad un certo bene. Inadempimento di obblighi imposti dal diritto sostanziale: a volte è lo stesso avente diritto che può sostituirsi all’obbligato con la propria attività sul piano del diritto sostanziale, per ottenere quel risultato utile che l’ordinamento gli garantisce e che non ha ottenuto con lo spontaneo adeguamento dell’obbligato alla regola di condotta di diritto sostanziale. Questo prima che l’eventuale processo di cognizione statuisca sul modo di essere del rapporto fra le parti. Non sempre sul piano sostanziale è possibile questa attività sostitutiva: non sempre l’avente diritto può autonomamente procurarsi l’utilità che gli era garantita dall’ordinamento. Il diritto sostanziale in questi casi è impotente: occorre quindi uno strumento giurisdizionale che possa fornire all’avente diritto quell’utilità che non ha ricevuto. Questo strumento giurisdizionale è l’esecuzione forzata. Da chiarire: la tutela dichiarativa non è un prius logico e cronologico rispetto alla tutela esecutiva. Ciò è possibile solo se l’ordinamento positivo prevede che l’esistenza di un atto di accertamento è presupposto indispensabile per avere accesso alla tutela esecutiva. Non è così per l’esecuzione forzata civile: il suo presupposto possono essere anche altri atti che non hanno la caratteristica di impartire tutela dichiarativa, così che il previo 1 ricorso alla tutela dichiarativa da parte dell’avente diritto si rende necessario solo dove non esista già un titolo esecutivo stragiudiziale -> quindi il titolare del diritto deve procurarsi un titolo esecutivo mediante un processo di cognizione. Altrimenti, il titolare del diritto può immediatamente ottenere ciò che gli interessa = la tutela esecutiva. 2. Esecuzione diretta ed esecuzione indiretta Diritto di azione di difesa: art. 24 Cost. -> comprendono anche la tutela esecutiva. Portata molto ampia del dettato costituzionale: garantisce il diritto ad una tutela giurisdizionale efficace che si deve esplicare in tutte le forme necessarie per la soddisfazione dei vari diritti. Nella forma del processo di cognizione: quando è necessario statuire sui rispettivi diritti ed obblighi delle parti e quindi determinare i comportamenti che questi possono tenere; nella forma del processo cautelare: quando la situazione sostanziale protetta corre il rischio di un pregiudizio per il tempo occorrente a farla valere in via ordinaria; nella forma dell’esecuzione forzata: quando ci si trova di fronte ad obblighi di comportamento che rimangono disattesi e che sono funzionali alla soddisfazione del titolare dell’interesse protetto. Inadempimento dell’obbligato si può reagire in sede giurisdizionale con: esecuzione diretta ed indiretta. Esecuzione diretta: ogni volta in cui l’inerzia dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo, che compie ciò che il primo doveva fare, facendo conseguire all’avente diritto ciò che gli spetta secondo il diritto sostanziale. L’ufficio fa quelle stesse cose che avrebbe fatto l’obbligato se fosse stato adempiente. Questa tecnica di tutela ha un limite: l’obbligo deve essere fungibile = per il titolare del diritto deve essere indifferente che la prestazione provenga personalmente dall’obbligato, oppure da un terzo. Tecnica di tutela non utilizzabile: quando per il titolare del diritto non è indifferente che la prestazione provenga personalmente dall’obbligato o da un terzo: cioè quando l’obbligo è infungibile e quindi non sostituibile idoneamente dal comportamento di un altro soggetto. Nozione di fungibilità – infungibilità: è diversa da quella disciplinata dall’art. 1285 cc e seguenti = qui indica la sostituibilità o meno da parte di un terzo della prestazione inadempiuta dall’obbligato. Obblighi infungibili: tutti quelli, in cui l’adempimento personale da parte dell’obbligato è determinante o a causa del contenuto personale della prestazione, o perché si tratta di obblighi di astensione ( sono tutti infungibili). Esecuzione indiretta: è obbligatoria quando ci si trova di fronte a prestazioni infungibili. Occorre indurre l’obbligato ad adempiere, prevedendo che l’obbligato vada incontro a conseguenze negative per lui più onerose rispetto all’adempimento. Le conseguenze possono essere sia civili che penali: • Con misure coercitive civili: quando sua previsto a carico dell’inadempiente, una volta verificati i presupposti della tutela esecutiva, un obbligo di pagare una certa 2 Art. 474 cpc: l’esecuzione forzata non può avere luogo se non in virtù di un titolo esecutivo. Titolo esecutivo: è la fattispecie da cui nasce un effetto giuridico, che è la tutelabilità esecutiva del diritto sostanziale. Perché nasca la pretesa della tutela esecutiva: Non basta l’affermazione del soggetto, ma è necessario che abbia a suo favore un titolo esecutivo, che è condizione necessaria perché l’ufficio esecutivo sia obbligato a fornire la tutela giurisdizionale richiesta. Fattispecie da cui nasce il diritto alla tutela esecutiva: è diversa rispetto alla fattispecie da cui nasce il diritto da tutelare in sede esecutiva. Distinzione quindi fra diritto alla tutela esecutiva e diritto oggetto dell’esecuzione. Diritto oggetto dell’esecuzione: è il diritto sostanziale. Il diritto alla tutela esecutiva è il diritto processuale a che l’ufficio esecutivo si metta in moto e ponga in essere le misure giurisdizionali previste. Non basta la sola nascita, sul piano del diritto sostanziale, della situazione protetta. Occorre anche un titolo esecutivo. Titolo esecutivo: deve sorreggere tutto il diritto esecutivo = deve esistere al momento dell’inizio e permanere per tutta la sua durata. Art. 474 I comma cpc: l’esecuzione forzata non può avvenire se non mediante un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. Diritto certo: individuazione del bene oggetto dell’intervento esecutivo e del fare che deve essere compiuto. L’individuazione che deve essere compiuto non è necessaria nella consegna o rilascio, perché è già tipizzata dal legislatore. Diritto liquido: crediti relativi a somme di denaro ed è equivalente della certezza riferita ai diritti su beni individuati. Il credito che spetta deve essere identificato quantitativamente, direttamente nel titolo esecutivo o mediante operazioni matematiche sulla base di elementi contenuti nello stesso titolo. Diritto esigibile: non sottoposto a termine o condizione sospensiva. Esigibilità: non deve essere riferito al momento della formazione del titolo, ma a quello dell’esecuzione forzata. Ipotesi di non esigibilità = art. 478 cpc quando l’efficacia del titolo esecutivo è subordinata alla prestazione di una cauzione. In questi casi: secondo l’art. non si può iniziare l’esecuzione forzata fino a che questa non è stata prestata. Uguale dispone l’art. 669 novies III comma cpc per i provvedimenti cautelari. II comma art. 474 cpc: elenca i titoli esecutivi, distinguendo fra 3 categorie. 1. Titoli esecutivi giudiziali = sono tali le sentenze di condanna e non quelle di mero accertamento. Vi si possono ricondurre anche le ordinanze e i decreti. Riforma del 2006: ha aggiunto l’espressione “gli altri atti”. Si è risolto il problema della efficacia esecutiva del verbale di conciliazione giudiziale. Conciliazione = quel modo di chiusura del processo che si ha quando le parti si trovano in accordo per una risoluzione consensuale della controversia. Ci si domandava se questo verbale fosse titolo esecutivo giudiziale (= idoneo per ogni forma di esecuzione forzata) o stragiudiziale ( = idoneo solo per l’espropriazione e non 5 anche per le altre forme di esecuzione). Modifica del 2006: ha eliminato ogni dubbio, equiparando il verbale di conciliazione ai titoli esecutivi giudiziali. 2. Scritture private autenticate e titoli di credito. Le scritture private autenticate costituiscono titolo esecutivo per le obbligazioni di somme di denaro in essi contenute. Scritture private: sono titoli esecutivi solo per l’espropriazione e non per le altre forme di esecuzione forzata. Contratto di compravendita: stipulato davanti al notaio in forma di scrittura privata ( non di atto pubblico) è titolo esecutivo per l’obbligo del compratore di pagare il prezzo e invece non lo è per l’obbligo del venditore di consegnare il bene. Obbligo del compratore: ha ad oggetto il pagamento di una somma = il contratto è titolo esecutivo. Obbligo del venditore: ha ad oggetto la consegna del bene, quindi la scrittura privata sotto questo aspetto non è titolo esecutivo. 3. Atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverlo. L’atto pubblico costituisce titolo esecutivo anche in relazione all’esecuzione per consegna e rilascio. Fra le varie fattispecie, meritano interesse: Concilazione stragiudiziale: negli ultimi anni è sempre più spesso prevista dal legislatore. Quel procedimento che è volto a favorire una soluzione negoziale della controversia. Proprio per questo scopo: il legislatore attribuisce all’accordo, assunto in sede conciliativa, l’efficacia piena di titolo esecutivo. Art. 12 d. lgs 124/2004: se il personale delle direzioni provinciali, in occasione della attività di vigilanza, verifica l’inosservanza da parte del datore di lavoro, di disposizioni da cui scaturisce la sussistenza di crediti a favore del lavoratore, diffida lo stesso datore a corrispondere quanto dovuto. La diffida: acquista efficacia a titolo esecutivo a favore del lavoratore per le somme li indicate. Particolarità di questa fattispecie di titolo esecutivo: qui l’atto amministrativo della PA è titolo esecutivo non a favore della stessa PA, ma a favore di un terzo. Domanda: perché il legislatore individua in queste fattispecie, e non in altre, come costitutive del diritto alla tutela esecutiva? Dottrina: comune denominatore dell’efficacia esecutiva di certi atti a ciò che questi atti darebbero certezza dell’esistenza di un diritto da tutelare = per l’efficacia di accertamento propria degli uni e non anche degli altri. Impostazione che non convince: la certezza dell’esistenza del diritto da tutelare non è l’elemento fondamentale, unificante in quanto alla base della scelta del legislatore per l’individuazione del titolo esecutivo e quindi la concessione della tutela. Ciò che conta in realtà: che il legislatore ritenga per motivi vari ( uno solo dei quali è la certezza della esistenza del diritto) meritevole di tutela esecutiva una certa situazione sostanziale. Situazione sostanziale ritenuta meritevole di tutela esecutiva lo è per varie ragioni: quando il diritto è sufficientemente certo; quando il diritto appartiene ad un enete pubblico o previdenziale; quando appartiene ad un soggetto che abbia necessità di rapida tutela esecutiva del proprio diritto; quando si vogliono raggiungere fini fiscali. 6 Da rilevare: i titoli di credito sono scritture private la cui sottoscrizione non è necessariamente autenticata da un pubblico ufficiale, e quindi non danno certezza della loro provenienza. Può quindi formarsi un titolo di credito falso, il cui portatore può iniziare, alla data di scadenza, l’esecuzione forzata contro l’altro soggetto. Cambiale: ha efficacia esecutiva contro un soggetto, la cui sottoscrizione non è affatto accertata -> il titolo di credito può essere anche un falso. Manca quindi la prima e fondamentale ragione di certezza = manca l’accertamento sulla provenienza del titolo. L’ordinamento attribuisce tutela esecutiva ad un diritto, senza che vi sia anche la minima certezza della provenienza del titolo di credito da colui, contro il quale viene proposta l’esecuzione forzata. Il legislatore sconta il rischio della loro falsificazione e compie la seguente valutazione: fra il non dare efficacia esecutiva ai titoli di credito se non vi è certezza della loro provenienza e il rischiare una esecuzione forzata ingiusta, attribuendo tutela esecutiva ad un diritto che non esiste ( perché il titolo è falso) -> è più opportuno correre il rischio di attribuire la tutela esecutiva ad un diritto inesistente, piuttosto che pretendere una certezza dell’esistenza del diritto che comporterebbe inevitabilmente l’esclusione dell’efficacia esecutiva dei titoli di credito. Quindi: gli elementi che il legislatore prende in considerazione per attribuire la tutela esecutiva sono disomogenei: rileva si anche la certezza del diritto, ma solo come uno dei vari fattori presi in considerazione. Il legislatore: attribuisce efficacia esecutiva all’atto quando ritiene che il diritto, in esso contenuto, sia meritevole di tutela esecutiva. Tutela esecutiva: non è fornita a chiunque la richieda affermando di essere titolare di un diritto leso dall’inerzia dall’obbligato. Occorre invece che venga ad esistenza un diritto processuale ( =il diritto alla tutela esecutiva)diverso dal diritto sostanziale (= il diritto da tutelare). Per accedere alla tutela esecutiva: occorre un titolo esecutivo. Se l’interessato non ha un titolo esecutivo stragiudiziale, deve procurarsene uno. Può accadere solo con un processo ordinario o di cognizione. 5. Il titolo esecutivo in senso sostanziale e documentale Il titolo esecutivo sta fuori e prima dell’esecuzione. Non è l’oggetto dell’esecuzione, ma la fattispecie alla cui presenza si ha l’azione esecutiva. = il diritto processuale alla tutela esecutiva del diritto sostanziale. Oggetto della tutela esecutiva: è il diritto sostanziale da tutelare. Questa precisazione è avvenuta in sede di processo civile, perché nel processo penale o amministrativo l’esecuzione presuppone sempre un provvedimento giurisdizionale. Processo civile: l’esecuzione può prescinderne perché esistono anche titoli di esecuzione stragiudiziali. Esistenza di titoli esecutivi stragiudiziali: ha comportato una rimeditazione sulla specificazione del termine “esecuzione” e ha comportato una conclusione: il termine non si riferisce al provvedimento giurisdizionale ma al diritto sostanziale. La loro esistenza ha inoltre permesso di mettere a fuoco i rapporti fra il titolo e l’esecuzione, facendo rendere 7 previste dal I e III comma dell’art. 474 cpc ( provvedimenti giudiziali e atti pubblici). Primo caso: il titolo esecutivo in senso documentale è rappresentato dall’originale del titolo esecutivo. Secondo caso: l’originale dell’atto resta custodito dal pubblico ufficiale che lo ha formato. Il titolo esecutivo in senso documentale non è quindi costituito dall’originale, ma da una copia di esso. Pericolo di circolazione di più titoli esecutivi documentali: fronteggiato con il meccanismo della spedizione in forma esecutiva, art. 475 cpc. Permette di identificare la copia dell’atto, che costituisce titolo esecutivo in forma documentale. Le cautele previste dall’art. 475 cpc sono eccessive: il pericolo che vi siano in circolazione più titoli esecutivi in forma documentale è di scarsa rilevanza, rispetto al fatto che in qualunque momento ( anche quando il titolo ha perso efficacia esecutiva) la parte può andare dal cancelliere o dal notaio ed ottenerne una copia della pronuncia o dell’atto e con questa iniziare una esecuzione forzata. Quindi: l’ordinamento si preoccupa che non vi siano in circolazione più titoli esecutivi documentali dello stesso titolo esecutivo in senso sostanziale, ma non si preoccupa di far risultare dall’originale dell’atto le successive vicende attinenti all’efficacia esecutiva dello stesso. Spedizione in forma esecutiva: non ha nessuna incidenza sul diritto a procedere ad esecuzione forzata. Un atto ha efficacia esecutiva: la mantiene anche se il titolo esecutivo in forma documentale manca della formula esecutiva. Il diritto a procedere ad esecuzione forzata vi è comunque, anche se malamente esercitato. Se invece, ad un atto che non è titolo esecutivo viene per errore apposta la formula esecutiva, il creditore non acquista solo per questo il diritto a procedere ad esecuzione forzata. 6. Efficacia del titolo esecutivo verso terzi Anche il titolo esecutivo ha il carattere della concretezza: individua nominativamente i destinatari dei suoi effetti = se e quando il titolo esecutivo è utilizzabile da un soggetto diverso da colui che nello stesso titolo è indicato come titolare del diritto o se e quando l’avente diritto può usare il titolo esecutivo contro un soggetto diverso da quello individuato nel titolo stesso come obbligato; se e quando ci può essere una variazione sia dal lato del creditore che da quello del debitore. Molte norme prevedono esplicitamente o implicitamente che un certo atto sia efficace verso soggetti diversi da quelli che sono individuati nell’atto stesso. Art. 2909 cc: per i provvedimenti giurisdizionali, è previsto che la sentenza passata in giudicato ha effetto fra le parti, eredi ed aventi causa. Art. 111 cpc: la sentenza emessa fra le parti originarie ha effetti anche verso il successore del diritto controverso. Queste norme non sono però idonee a risolvere il problema: prevedono sì che questi provvedimenti abbiano effetti verso terzi, ma non che costituiscano titolo esecutivo versi 10 questi stessi. Si potrebbe infatti intendere che ai terzi è estesa solo l’efficacia dichiarativa della sentenza e non anche la efficacia esecutiva. Non si può quindi fondare l’efficacia del titolo esecutivo verso i terzi sulle norme che prevedono genericamente l’efficacia dell’atto verso terzi, ma si deve ricorrere a norme che prevedono specificatamente l’efficacia del titolo esecutivo nei confronti di terzi determinati. = costatare che l’atto è efficace verso terzi, non significa necessariamente che questo sia utilizzabile come titolo esecutivo da e contro questi terzi. Art. 475 II comma cpc: la spedizione del titolo in forma esecutiva è possibile anche a favore di soggetti non individuati nel titolo stesso come creditori, che sono successori dell’avente diritto. L’efficacia del titolo esecutivo a favore di successori non è espressamente prevista dalla norma, ma è da essa necessariamente presupposta, quando essa dispone che il successore possa farsi rilasciare il titolo esecutivo in senso documentale. Qui si è quindi certi di aver individuato un’ipotesi di efficacia del titolo esecutivo a favore di III per 2 motivi: 1. Da un punto di vista strutturale, per le caratteristiche secondarie del titolo esecutivo in senso documentale rispetto a quello sostanziale ( il primo rappresenta documentalmente il secondo); 2. Da un punto di vista funzionale, perché non ha senso che il successore si possa far rilasciare il titolo esecutivo in senso documentale se poi non lo può usare. Successione nel diritto: porta alla nascita di un diritto diverso oggettivamente e soggettivamente da quello del dante causa. Sul piano sostanziale accade: esiste il diritto dell’avente causa -> viene in essere una successione -> un diritto diverso ma dipendente sorge in capo all’avente causa. Dall’art. 475 II comma cpc si ricava: insieme alla successione nel diritto sostanziale, si ha successione anche nel diritto processuale alla tutela esecutiva, che spettava al dante causa. Inoltre, poiché la successione è avvenuta dopo la formazione dell’atto titolo esecutivo, l’atto in questione ha verso il successore, e relativamente al modo di essere del diritto pregiudiziale, gli stessi effetti preclusivi che ha verso il dante causa. L’efficacia preclusiva riguarda solo il diritto pregiudiziale non anche il diritto dipendente. Il titolo esecutivo è usato per la tutela esecutiva di un diritto oggettivamente diverso da quello consacrato nel titolo stesso, diritto che è però connesso a quello di cui al titolo per pregiudizialità dipendenza. Il successore non ha obbligo di dimostrare, neppure documentalmente, la sua qualità di successore = l’effettiva sussistenza del fatto successorio. La tutela contro i falsi successori, che hanno ottenuto la copia affermando esistente una successione che in realtà non si è verificata, è data dall’opposizione all’esecuzione, che può proporre chi vede minacciata l’esecuzione da un falso successore. Efficacia a favore del successore del titolo esecutivo formatosi a favore del dante causa: ha la funzione di evitare la necessità di istaurare un processo di cognizione verso il debitore, solo per accertare la sussistenza della successione. Scopo: evitare un processo di cognizione che potrebbe essere inutile. 11 L’ordinamento si trova di fronte ad una alternativa: da un lato se nega l’efficacia a favore del successore del titolo esecutivo esistente a favore del dante causa, rende inevitabile l’istaurarsi di un processo di cognizione con il solo fine di formare un titolo esecutivo diretto fra costoro. Dall’altro, se l’ordinamento afferma l’efficacia a favore del successore del titolo esecutivo a favore del dante causa, rende concreto il rischio che l’esecuzione sia iniziata da chi non è effettivamente un successore. Di fronte a questi due rischi contrapposti: il nostro legislatore sceglie il II, rimettendo l’iniziativa dell’accertamento della qualità di successore all’eventuale contestazione dell’esecutato. Eventuale processo di opposizione: spetta al creditore dimostrare ciò che ha affermato nel momento in cui ha chiesto la spedizione del titolo esecutivo = la sua qualità di successore di colui che risulta creditore secondo il titolo esecutivo. Art. 477 cpc: il titolo esecutivo contro il de cuius ha efficacia contro gli eredi. Si ha quindi una situazione analoga, ma rovesciata a quella all’art. 475 cpc = si ha la successione nell’obbligo. L’erede è titolare di un obbligo connesso per pregiudizialità – dipendenza con l’obbligo del de cuius. Art. 477 cpc: non impone al creditore di provare che l’esecutato è effettivamente erede. Basta che colui che vuole procedere ad esecuzione forzata affermi che l’esecutato è l’erede di colui che risulta debitore secondo il titolo esecutivo. Eventuali false dichiarazioni del creditore: l’esecutato può fronteggiarle con l’opposizione all’esecuzione e l’onere della prova della qualità di erede è a carico di chi procede ad esecuzione forzata. Funzione della norma: evitare al creditore la necessità di istaurare un processo di cognizione per accertare la qualità di erede dell’esecutato. Art. 475 cpc: ricomprende ogni ipotesi di successione. Art. 477 cpc: prevede solo la successione a titolo universale. La previsione però è estensibile analogicamente a tutte le altre ipotesi di successione, in quanto sussiste l’eadem ratio. Se si concentra l’attenzione sul singolo obbligo, rispetto al quale si verifica la successione, si riscontra che non esiste nessuna diversità fra una successione a titolo universale ( ha come potenziale oggetto tutta una serie di rapporti fra i quali anche quello contenuto nel titolo esecutivo) e qualunque altro tipo di successione nell’obbligo. Le differenze fra la successione a titolo universale e la successione a titolo particolare non sono rilevanti per ciò che attiene alle relazioni di natura sostanziale esistenti fra l’obbligo pregiudiziale e quello dipendente. Ragioni storiche per la previsione restrittiva all’art. 477 cpc: si è mantenuta inalterata dal cpc napoleonico, nonostante siano venute meno le ragioni che ne determinarono l’introduzione. La successione ereditaria da luogo sotto tutti i profili rilevanti ad un fenomeno analogo alle altre ipotesi in cui si verifica la nascita di un obbligo dipendente da quello consacrato nel titolo -> niente impedisce l’estensione della disciplina all’art. 477 cpc al di la della ipotesi espressamente prevista ai casi in cui si verifica lo stesso fenomeno sostanziale, cioè la nascita di un obbligo dipendente. A condizione che l’atto, che funge da titolo esecutivo, sia efficace nei confronti del titolare dell’obbligo dipendente. 12 Il precetto perde efficacia entro 90 giorni dalla notifica, se non è iniziata la esecuzione forzata. Art. 481 II comma cp: l’opposizione contro il precetto non sospende il processo esecutivo. Tuttavia il creditore procedente, quando è presentata opposizione contro il precetto non è obbligato a dare corso all’esecuzione forzata. Può procedere comunque, nonostante l’opposizione, assumendosi la responsabilità dei danni per l’esecuzione ingiusta, oppure aspettare l’esito del processo di opposizione. Validità del processo permane per tutta la durata del processo di opposizione così che , anche se a distanza di 3 o 4 anni l’opposizione è rigettata, il creditore può iniziare l’esecuzione forzata senza bisogno di notificare un altro precetto. Secondo la giurisprudenza della Cassazione: il termine di perenzione del precetto ( essendo un termine di decadenza e non di prescrizione) è fatto salvo da un pignoramento effettuato tempestivamente. Altri pignoramenti, successivi al primo, possono quindi essere effettuati anche se il termine di 90 giorni sia già decorso. 8. La struttura generale del processo esecutivo Art. 483 e 490 cpc: sono redatti con riferimento all’espropriazione forzata, ma sono utilizzabili anche come parte generale del processo esecutivo, quindi anche con riferimento all’esecuzione in forma specifica. Compito dell’esecuzione forzata: non è quello di stabilire i diritti e gli obblighi delle parti ( è compito del processo di cognizione). Suo compito è invece quello di procurare la soddisfazione dei diritti correlati ad obblighi non adempiuti, dando per scontata l’esistenza di questi diritti ed obblighi. Sugli effetti delle misure giurisdizionali esecutive non si può quindi formare il giudicato previsto dall’art. 2909 cc. Nel processo esecutivo non si parte da una situazione in cui bisogna stabilire cosa possono o devono fare le parti, ma si da per scontato che i diritti e gli obblighi esistano. Preclusione che rende incontrovertibili gli effetti dell’esecuzione forzata nascono piuttosto dall’atto, in cui il titolo esecutivo consiste: i risultati dell’esecuzione trovano la loro stabilità solo e nei limiti in cui siano sorretti dalla preclusione propria dell’atto utilizzato come titolo esecutivo. Non è compito dell’esecuzione forzata accertare che l’adempimento coattivo sia dovuto sul piano sostanziale. Ufficio esecutivo: si muove accertando preventivamente la sussistenza dei presupposti per la propria attività e quindi sulla base di una cognizione. Dal punto di vista strumentale: la cognizione forma il necessario presupposto di qualunque attività non solo giurisdizionale. Quindi anche nel processo esecutivo, i soggetti interessati compiono una ricognizione della situazione esistente per vedere se e come agire. L’ufficio esecutivo, prima di emettere una misura esecutiva, compie una ricognizione per la verifica dei presupposti per emetterla. 15 Anche se l’esecuzione forzata è strutturata in base a modalità che non solo tipiche della sola funzione dichiarativa ma sono proprie di ogni attività giurisdizionale ( anche della tutela cautelare) = domanda della misura giurisdizionale, ricognizione della situazione esistente, risposta dell’ufficio giurisdizionale. Ciò che è escluso dalla ricognizione del’ufficio esecutivo: è l’effettiva esistenza del diritto da tutelare, che è dato come esistente. Qualcuno afferma che l’esecuzione non deve avere luogo, perché non esiste il diritto da tutelare -> deve aprire un processo dichiarativo e portare in sede adeguata questa controversia. Contestazioni sull’esistenza del diritto: sono fuori dal processo esecutivo, in quanto riguardano un dato che nel processo esecutivo è dato come presupposto. Compito di accertamento dell’ufficio esecutivo: riguarda i presupposti per la concessione della tutela stessa e deve dare una sua risposta, positiva o negativa. Nle processo dichiarativo ( proprio perché ha la funzione di statuire sull’esistenza o in generale sul modo di essere della realtà sostanziale) la risposta negativa del giudice ( no tutela richiesta) va distinta in una risposta negativa di rito e in una negativa di merito. 2 motivi per il rifiuto della tutela: mancano le condizioni processuali per statuire sulla realtà sostanziale oppure perché manca la situazione di cui si richiede la tutela. Queste pronunce negative hanno diversi effetti: la prima ha i suoi effetti sul terreno processuale, non forma giudicato e non impedisce al soccombente di riproporre la domanda per chiedere la tutela dello stesso diritto sostanziale; la seconda ha una efficacia di merito che si riflette sul terreno del diritto sostanziale e che forma giudicato, imponendo al soccombente di affermarsi titolare della situazione sostanziale che il giudice ha accertato come esistente. Processo dichiarativo: le questioni di rito e quelle di merito vengono decise e trattate con gli stessi istituti processuali. Non esistono istituti processuali ad hoc per le questioni di rito, diverse da quelle di merito. La struttura del processo dichiarativo, ion stretta connessione con la sua funzione, è tale da consentire la ricezione, trattazione e decisione delle questioni di rito con gli stessi strumenti previsti per le questioni di merito. Processo di cognizione: ha quindi funzione dichiarativa e struttura decisoria. Nel processo esecutivo le cose cambiano -> non essendo proprio di questo processo la funzione di accertare il modo di essere della realtà sostanziale e non avendo quindi una struttura idonea a decidere, le risposte dell’ufficio sono sempre 2 ( o affermativa o negativa), ma quella negativa non si sotto distingue ulteriormente in rito e merito. Questo rifiuto ha sempre gli stessi effetti, qualunque siano le ragioni del rifiuto stesso. Ufficio esecutivo si convince che vi sono le condizioni per accogliere la domanda, emette il provvedimento. Se manca una condizione, rifiuta l’emissione del provvedimento. Anche dal punto di vista della forma vi è differenza fra processo dichiarativo ed esecutivo. Processo dichiarativo: la forma del provvedimento è sempre quella della sentenza, indipendentemente dal suo contenuto. Processo esecutivo: la forma può essere diversa a seconda della risposta dell’ufficio esecutivo, che sia negativa o positiva. L’ufficio ritiene di dover rispondere positivamente: emette la misura esecutiva che ha la forma prevista dalla legge (= pignoramento, ordinanza di vendita) L’ufficio ritiene di 16 dover rispondere negativamente: il rifiuto è un non provvedimento, che può avere una forma diversa. L’interessato si lamenta del comportamento dell’ufficio: la misura controversia non può essere mai decisa nel processo esecutivo. Nel processo esecutivo l’interessato deve creare un ambiente adatto a decidere la questione, aprendo un processo di cognizione incidentale -> in quella sede si stabilità se gli atti compiuti sono più o meno conformi alla legge processuale. Processo esecutivo: non è strutturato per risolvere le controversie relative al modo di essere della realtà sostanziale -> non ha quindi neppure la struttura idonea a risolvere le controversie che possono nascere per questioni processuali. Questo non significa che non vi sia cognizione dell’organo esecutivo: questo, prima di emanare la misura, deve pur sempre verificare la presenza dei presupposti. Questa cognizione è strumentale ad un provvedimento che non ha funzione decisoria. Ambito di cognizione degli organi del processo esecutivo: ha la stessa portata di quella dell’ufficio giudiziario. Condizioni minime indispensabili per emettere una misura esecutiva = condizioni per la decisione nel merito. Sono date dai presupposti processuali del processo esecutivo, in mancanza dei quali la richiesta di tutela non può essere accolta perché il processo è viziato. Regola generale per la rilevabilità dei vizi dei presupposti processuali: in mancanza di diversa disposizione normativa, sono rilevabili anche d’ufficio, senza alcuna preclusione. A questa regola fanno eccezione le norme che restringono la rilevabilità del vizio quanto ai soggetti e quanto alle fasi del processo, nelle quali il vizio deve essere rilevato. In alcuni casi il legislatore prevede la prima udienza come termine ultimo per la rilevazione dei vizi di certi presupposti processuali: ad es. l’ncompetenza. Opinione più convincente: alla prima udienza del processo dichiarativo corrisponde, nell’esecutivo, la prima udienza di fronte al giudice dell’esecuzione. Espropriazione forzata: normalmente è l’udienza in cui si decide sulla vendita o l’assegnazione del bene. Esecuzione per obblighi di fare o non fare: è l’udienza fissata a seguito della presentazione del ricorso previsto dall’art. 612 cpc. Esecuzione per consegna o rilascio: dato che non vi sono udienze, le preclusioni per la prima udienza non operano. Al di là dei casi espressamente previsti, la carenza di un presupposto processuale è rilevabile anche d’ufficio senza limiti di tempo. In conclusione: se un vizio del processo ( che consiste nella mancanza di un presupposto processuale) è rilevato in tempi e modi previsti, l’ufficio esecutivo deve rifiutare l’emanazione dell’atto che gli è stato chiesto. Nullità dei singoli atti del processo: differenza fra la carenza di presupposti e la nullità dei singoli atti = la carenza dei presupposti ha come conseguenza la nullità di tutti gli atti del 17 Quello che serve per la sua emanazione dipende da ciò che è stato richiesto. Anche nel processo esecutivo, l’ufficio deve procedere alla raccolta di tutto ciò che risulti essere necessario per decidere se emettere o meno la misura giurisdizionale o quale contenuto darle. Anche nel processo esecutivo vi è una cognizione dell’ufficio = è come nel processo dichiarativo, finalizzata a stabilire se emettere o meno o che contenuto dare al provvedimento esecutivo. Principio del contradditorio nel processo esecutivo = si esplica consentendo alle parti di contribuire, in una posizione di parità, alla raccolta di ciò che è rilevante per l’emanazione della misura esecutiva. Per ritenere che sia rispettato il principio: è necessario che le parti possano interloquire su ciò che è rilevante = garantisce il diritto alla difesa su ciò che serve e non su ciò che non serve. Ciò che si deve stabilire nel processo esecutivo: ( dando per scontato che il diritto da tutelare esista) quali siano le attività che devono essere compiute per impartire la tutela. È in relazione al compimento di queste attività che occorre garantire alle parti pari diritto di interloquire di fronte al giudice. Art. 485 – 487 cpc: ( regolano le domande e le istanze che si propongono al giudice dell’esecuzione e i provvedimenti del giudice) l’ordinamento prevede che l’ufficio esecutivo debba sentire le parti prima di emettere la misura. Sentire le parti = istaurare il contraddittorio sulle modalità con cui deve procedere il pr. Esecutivo. Audizione delle parti: avviene avvertendole di aver fissato una udienza da parte del giudice. Il giudice fissa l’udienza, dispone la comparizione delle parti e il provvedimento è comunicato alle stesse. Art. 485 Ultimo comma cpc: se risulta che una delle parti avvertite non è comparsa per cause indipendente dalla sua volontà, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che il provvedimento in cui si stabilisce la nuova udienza sia comunicato alla parte non comparsa. Vi sono quindi tutti i requisiti per il rispetto del principio del contradditorio. Art. 486 cpc: le domande delle parti si propongono con ricorso da depositare in cancelleria o oralmente, nel verbale di udienza. Nel processo esecutivo, nel discutere di ciò che è rilevante, le parti non sono in una posizione di squilibrio. Art. 487 cpc: i provvedimenti del giudice dell’esecuzione devono avere la forma dell’ordinanza che può essere modificata o revocata fino a che non si ha avuto esecuzione; una volta eseguita, il giudice non può modificarla. Composizione dell’ufficio esecutivo: gli uffici giudiziari competenti sono indicati all’art. 9 e 26 cpc. In senso verticale per l’esecuzione forzata è sempre competente il tribunale. In senso orizzontale: territorialmente competente per l’espropriazione mobiliare ed immobiliare è il giudice del luogo in cui si trova il bene. Per l’espropriazione presso terzi: competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore. 20 Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare: competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto. Esecuzione forzata per consegna o rilascio: il giudice del luogo dove si trovano i beni. Competenza territoriale ex art. 28 cpc è inderogabile dalla volontà delle parti = le parti non possono accordarsi per svolgere l’esecuzione ad un giudice diverso dal quello indicato agli art. 16 e 26 cpc. L’incompetenza è rilevabile anche d’ufficio, non solo dal giudice ma anche dall’ufficiale giudiziario. Da non confondersi con la competenza per l’esecuzione ( art. 9 cpc) è la competenza per le cause di cognizione incidentali all’esecuzione = sono dei veri processi di cognizione, la cui competenza è disciplinata agli art. 17 e 27 cpc. Tutti i processi incidentali dell’esecuzione forzata sono quindi decisi dal giudice monocratico. Ufficio esecutivo non è composto dal tribunale nel suo complesso ma: da uno o più giudici, ai quali vengono attribuite le mansioni di giudice dell’esecuzione. Anche il cancelliere fa parte dell’ufficio esecutivo. Assume poi un ruolo importante l’ufficiale giudiziario: in alcune forme di esecuzione forzata, è l’unico soggetto a svolgere una attività. 9. Espropriazione forzata Tutela esecutiva per i crediti pecuniari. Processo con cui si tutelano esecutivamente i crediti relativi a somme di denaro è l’espropriazione forzata. Fondamento dell’espropriazione forzata: art. 2740 e 2910 cc. = la regola in virtù della quale i beni del debitore rispondono dell’adempimento delle obbligazioni e il creditore ha il potere di farli espropriare. Responsabilità patrimoniale: art. 2740 cc è il fondamento di ogni espropriazione forzata. È un principio con una lunga storia per la sua affermazione -> per poter concepire il principio della responsabilità patrimoniale, è necessario affermare la prevalenza del credito sulla proprietà e che quindi i beni del debitore siano assoggettati al potere del creditore. Secondo principio: attiene al tipo di potere che il creditore ha sui beni del debitore. L’art. 2910 non dice che il creditore possa impadronirsi dei beni del creditore per soddisfare il suo diritto, ma che il creditore può far espropriare i beni del debitore e non espropriare. Il creditore: non ha un diritto sostanziale sui beni del debitore ma ha un diritto processuale verso lo Stato, perché lo Stato eserciti il suo potere espropriativo verso il debitore. Il processo di espropriazione forzata è fra tutti quello più complesso = passa necessariamente attraverso 3 momenti indispensabili e non sostituibili. 21 1. Individuazione e conservazione dell’elemento attivo del patrimonio del debitore. Art. 2740 cc: il debitore risponde con tutti i suoi beni = non fa riferimento al bene materiale, ma al diritto sul bene. Dalla garanzia generica si passa ad una specifica: non più un generico diritto su tutti quanti gli elementi attivi, ma uno specifico e concreto diritto processuale del creditore su singoli ed individuati elementi attivi del patrimonio del debitore. Funzione di individuare gli elementi attivi del patrimonio è svolta dal primo atto dell’espropriazione = pignoramento. 2. Trasformazione del diritto pignorato. L’elemento attivo deve essere liquidato: trasformato in una somma di denaro. Questa fase non è necessaria quando oggetto del pignoramento è già una somma di denaro, in questo caso l’elemento è già liquido. 3. Distribuzione del ricavato: il diritto del debitore, oggetto del pignoramento, è liquidato = trasformato in una somma di denaro e con questa somma si paga il creditore. Quest’ultima fase non è possibile quando non si realizza una liquidità = se la fase di liquidazione non da un risultato utile. L’espropriazione è più complessa delle altre forme di tutela esecutiva, perché entrano in gioco due situazioni sostanziali: 1. Il diritto del creditore da tutelare; 2. Il diritto del debitore, l’elemento attivo del patrimonio del debitore che deve essere individuato, conservato e liquidato. Alla fine del processo di espropriazione: il diritto di credito viene soddisfatto ed il diritto del debitore (= l’elemento attivo del suo patrimonio) di cui prima dell’esecuzione ne era titolare, diventa di titolarità di un terzo. L’espropriazione si differenzia dall’esecuzione in forma specifica: perché opera su 2 situazioni sostanziali. Esecuzione in forma specifica: opera su 1 sola situazione sostanziale = il diritto che deve essere tutelato. Gli elementi attivi dell’espropriazione circolano in modo diverso sul piano del diritto sostanziale -> l’esecuzione si deve adattare al diverso modo di circolazione e quindi si struttura in modo corrispondente al tipo di circolazione di ciascun diritto. I modi di circolazione che conosce il nostro ordinamento riguardano: i diritti sui beni mobili; i diritti sui beni immobili; i diritti di credito. Sulla base di queste 3 forme di circolazione, vi sono 3 diverse forme di espropriazione forzata: per i beni mobili, per i beni immobili, per i crediti. Il nostro ordinamento prevede anche 2 forme speciali di espropriazione per ipotesi particolari: quando oggetto dell’esecuzione è la con titolarità di un bene = espropriazione di beni condivisi. Quando poi si ha la responsabilità senza debito = espropriazione contro il terzo proprietario, esecutato ma non debitore. 10. Il pignoramento Art. 491 cpc: il pignoramento è l’atto iniziale dell’espropriazione forzata. Il processo esecutivo inizia con la notificazione del titolo esecutivo e del precetto. L’espropriazione inizia con il pignoramento. 22 Art. 513 cpc: fornisce la nozione fondamentale di appartenenza. • I possibilità: Possono essere pignorati i beni mobili che si trovano in un bene immobile ( casa e altri luoghi) appartenenti al debitore. Non si parla di proprietà di questi beni immobili, ma della loro disponibilità materiale da parte del debitore, indipendentemente da qualsiasi titolo che possa legittimare la disponibilità materiale. • II possibilità: Art. 513 II comma: su ricorso del creditore, il giudice può autorizzare il pignoramento mobiliare anche in relazione a beni che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore, ma dei quali questo può certamente disporre senza che colui al quale appartiene l’immobile, possa rifiutare all’esecutato di disporre direttamente di tale bene mobile. • III possibilità: l’ufficiale giudiziario sottopone a pignoramento le cose del debitore che il terzo possessore consente di esibirgli. Della cosa mobile il debitore non ha la disponibilità materiale perché questa cosa mobile è nella possesso o nella detenzione di terzo. In questi casi vi sono 2 possibilità: o il terzo riconosce volontariamente che il bene posseduto è di proprietà del debitore e ne permette il pignoramento o se il terzo rifiuta il consenso al pignoramento diretto, diventa necessario ricorrere al pignoramento verso terzi, in quanto bisogna accertare la proprietà del bene mobile in capo al debitore, nel contraddittorio del terzo detentore. Art. 514 – 516 cpc: indicano una serie di cose mobili in relazione alla quale la pignorabilità è assolutamente o parzialmente esclusa o consentita in condizioni particolari di tempo. Sono norme che riguardano beni di primaria necessità per il debitore o di scarso valore economico. Irrilevanza di eventuali dichiarazioni del debitore esecutato circa la non corrispondenza fra appartenenza e proprietà. Se anche il debitore afferma che i beni che si trovano in determinati luoghi, non sono suoi, questo non esime l’ufficiale giudiziario dal procedere comunque al pignoramento tranne che il creditore , presente al pignoramento, non decida di rinunciare in quanto si convince delle affermazioni del debitore. Art. 517 cpc: l’ufficiale giudiziario deve preferire i beni che sono di maggior valore e di più sicura realizzazione e, al di fuori di questi, deve scegliere le cose che possono essere liquidate più facilmente. L’ufficiale giudiziario, di volta in volta che individua i beni, li descrive, mediante rappresentazione fotografica o altro strumento simile, in assenza di uno stimatore. Quindi: l’ufficiale deve prima compiere un pignoramento provvisorio, poi interviene lo stimatore che ha la possibilità di accedere al luogo in cui si trovano i beni pignorati. Una volta compiuta la stima: sulla base dei risultati, l’ufficiale giudiziario procede al pignoramento definitivo. L’ufficiale giudiziario trasmette copia del verbale di pignoramento al creditore e al debitore che lo chiedono. 25 Art. 518 VII comma cpc: si può procedere al completamento del pignoramento quando lo richiede il debitore entro il termine per il deposito dell’istanza di vendita ed il giudice ritiene errato il valore di realizzo dei beni che è stato determinato in sede di pignoramento. In pratica: ricorrendo al creditore, il giudice ha la possibilità di ottenere un riesame delle valutazioni effettuate dall’ufficiale giudiziario. Dopo la redazione del verbale di pignoramento: l’ufficiale giudiziario provvede ad asportare i beni per collocarli in un deposito. L’asportazione dei beni è fatta per evitare che il bene mobile possa essere sottratto all’esecuzione. Art. 521 cpc: non può essere nominato come custode il creditore o il suo coniuge senza il consenso del debitore, ne debitore o famigliari con lui conviventi senza il consenso del creditore. -> il bene deve essere custodito da persona fidata. 2. Pignoramento immobiliare, ex art. 555 cpc. Oggetto dell’esecuzione forzata: è il diritto del debitore esecutato sull’immobile. Il diritto, da un punto di vista sostanziale, deve essere suscettibile di trasferimento: sono quindi tali proprietà, usufrutto, nuda proprietà, diritto di superficie, enfiteusi. Non possono essere oggetto di espropriazione: il diritto d’uso e di abitazione e le servitù. La situazione di titolarità del diritto sul bene immobile è di più facile accertamento rispetto ai beni mobili : esistono i pubblici registri immobiliari e l’usocapione. Appartenenza: qui si determina con la semplice affermazione da parte del creditore procedente, che il debitore ha un diritto trasferibile sul bene immobile. Qui il legislatore si accontenta di un minimo di certezza che il debitore esecutato sia effettivamente titolare del diritto sul bene immobile. Spetta al creditore effettuare, nel suo interesse, gli opportuni accertamenti. Individuazione del diritto sul bene: avviene secondo art. 555 cpc. Descrizione del bene: è effettuata dal creditore con gli estremi richiesti dal cc per l’individuazione dell’immobile ipotecato = indicazione della tipologia del bene, del comune in cui si trova e degli estremi catastali. Il creditore chiede all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento del bene immobile, individuato e descritto dal creditore in un atto che assume forma scritta e che è da lui sottoscritto. A questo atto, l’ufficiale giudiziario aggiunge la sua ingiunzione e notifica tutto al debitore esecutato. Poi trascrive l’atto di pignoramento nel registro immobiliare. Notifica e trascrizione sono i momenti che determinano la decorrenza degli effetti del pignoramento: gli effetti verso il debitore decorrono dalla notifica e l’opponibilità del pignoramento ai terzi decorre dalla trascrizione. Fin dal momento della notificazione del pignoramento ( quindi al di la della sua trascrizione) l’esecutato diventa ipso iure custode del bene. Il giudice dell’esecuzione deve necessariamente sostituire l’esecutato nella custodia del bene, se questo non è da lui occupato. Occupato = si intende una situazione in cui un terzo ha la materiale disponibilità del bene, in virtù di un qualunque titolo o anche senza. 26 Sostituzione del debitore con un altro custode: è attività vincolata del giudice, senza che questo abbia alcuna discrezionalità. Ratio della necessaria sostituzione: opportunità che i rapporti con il terzo che occupa il bene siano tenuti non dall’esecutato, ma da un soggetto che sia maggiori garanzie. Custodia dell’esecutato: cessa comunque nel momento in cui viene disposta la vendita ex art. 569 e 591 bis cpc. Al posto dell’esecutato è nominato custode il soggetto incaricato della vendita o l’istituto di vendite giudiziarie. A ciò si fa eccezione nei casi in cui la sostituzione sia considerata inutile per la particolare natura dei beni. Per stabilire quando la sostituzione risulti essere inutile: bisogna chiedersi perché il legislatore ha ritenuto opportuno che, nel momento in cui inizia il sub procedimento di vendita, anche i beni occupati dall’esecutato passino normalmente nella custodia di un terzo. Ratio che ha indotto il legislatore: sta nella necessità che i soggetti che sono interessati all’acquisto, possano esaminare meglio il bene e nella maggiore affidabilità che dà un soggetto esterno piuttosto che l’esecutato. Se questa è la ragione, allora le ipotesi in cui la sostituzione è inutile si verificano quando l’esame dei beni da parte dei potenziali acquirenti può avvenire anche senza la collaborazione del custode. Art. 559 VI comma cpc: i provvedimenti di nomina e sostituzione del custode sono dati dal giudice con ordinanza non impugnabile = non modificabile o revocabile. Il provvedimento del giudice è comunque controllabile con l’opposizione agli atti esecutivi. Art. 560 cpc: il custode del bene immobile, nella sostanza, è una sorta di mini curatore. Al V comma: spetta al giudice dell’esecuzione, nel disporre la vendita del bene, prevedere le modalità con cui i potenziali acquirenti possano esaminare il bene stesso. Art. 560 III e IV comma cpc: il provvedimento di aggiudicazione o assegnazione costituisce necessariamente il motivo di revoca dell’autorizzazione ad abitare l’immobile. Revoca dell’autorizzazione: l’ordinanza è titolo esecutivo verso l’esecutato, attraverso il quale il custode può ottenere la disponibilità del bene. 3. Pignoramento dei crediti: In questo caso, perché si possa procedere dei pignoramento di crediti ( o di mobili del debitore in possesso di terzi) il legislatore esige un pieno accertamento dell’effettiva esistenza in capo al debitore, o del credito o della proprietà del bene mobile. Se il debitore è solvibile: il pignoramento dei crediti è la forma più sicura e meno dispendiosa di espropriazione forzata, cui si ricorre per preferenza. Atto di pignoramento: si notifica al debitore esecutato e al terzo debitore un atto che deve contenere: indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto, dell’indicazione anche generica delle somme o cose dovute dal terzo debitore al debitore esecutato. 27 l’esistenza di un suo diritto, non può proporre domanda in questa sede, ma può farlo in sede opportuna = separatamente, in apposito processo. In primo luogo, perché il debitore esecutato non ha interesse a portare avanti l’esecuzione forzata e perché non riceverebbe in tale sede una tutela maggiore di quella che riceverebbe in processo autonomo. La ragione vera per il quale l’esecutato non può proporre in questa sede la domanda di accertamento del suo diritto è un’altra: l’oggetto del processo di accertamento del credito solo in senso approssimativo è il diritto di credito del debitore esecutato verso il III debitore. Il diritto di credito pignorato si autonomizza nel momento in cui viene effettuato il pignoramento = quando viene notificato l’atto ex art. 543 cpc. Domanda con cui il debitore esecutato chiede l’accertamento dell’esistenza del proprio credito verso il III: ha un oggetto diverso da quello previsto dall’art. 548 cpc = non più l’accertamento del credito pignorato com’era al momento del pignoramento, ma del credito così com’è nel momento in cui si svolge il processo. L’oggetto del processo sarebbe quindi diverso da quello individuato ex art. 548 cpc. Oggetto dell’accertamento: se è l’esistenza del diritto di credito con riferimento alla data del pignoramento, vi sono alcune considerazioni da farsi: 1. Rimane senza fondamento la costante opinione della giurisprudenza, secondo cui vi è un litisconsorzio necessario fra creditore procedente, debitore esecutato e terzo debitore. Infatti, il debitore esecutato è estraneo rispetto all’oggetto del processo e agli effetti della sentenza. 2. spetta al creditore dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del credito e al terzo debitore l’esistenza dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi del proprio debito. Se questi fatti dipendono da atti di disposizione o pagamenti, devono essere anteriori alla data di notifica del pignoramento. Dalla data il diritto si è autonomizzato: rispetto a questi atti dispositivi il creditore pignorante è terzo. Quindi: per dimostrare l’esistenza di fatti estintivi attraverso scritture private, il terzo deve dimostrare che tali dati hanno data certa anteriore alla notifica del pignoramento. Sentenza: accerta l’esistenza del diritto pignorato ha come oggetto = il creditore pignorante ha validamente costituito oggetto del processo di espropriazione la situazione creditoria fra debitore esecutato e terzo debitore. La pronuncia non disciplina la situazione sostanziale fra il debitore esecutato e il terzo debitore per 2 ragioni: Il referente temporale di questa pronuncia è la notifica del pignoramento e questa non dice nulla sui fatti estintivi o modificativi del credito che si sono avuti dopo il pignoramento e che sono in opponibili al creditore procedente, ma che sono invece validi ed efficaci fra il debitore esecutato ed il terzo debitore. Questa sentenza non accerta l’esistenza del diritto di credito. = non forma giudicato fra il debitore esecutato e il terzo debitore. 30 Se il processo esecutivo procede e il terzo debitore è costretto ad adempiere per la II volta, egli può fondatamente agire in ripetizione dell’indebito nei confronti del debitore esecutato, in quanto ha pagato 2 volte. L’accertamento contenuto nella sentenza ex art. 548 cpc non impedisce quindi al III debitore di agire in ripetizione dell’indebito nei confronti del debitore esecutato. Se si ammette anche che, all’interno del processo istaurato dal creditore, si possa proporre anche una domanda diretta all’accertamento dei rapporti fra debitore esecutato e terzo debitore, si avrà un processo con un duplice oggetto: l’oggetto dell’art. 548 cpc con riguardo al creditore procedente e l’oggetto ordinario fra le parti della situazione controversa. Si avrà quindi una sentenza con un duplice oggetto: stabilità per il creditore procedente che il diritto di credito esiste e che lo può legittimamente assoggettare all’esecuzione perché il pagamento non è stato dimostrato dal III debitore in modo opponibile al creditore; nei rapporti interni fra debitore esecutato e III debitore, la sentenza stabilirà che il diritto non esiste, perchè estinto in virtù di quel pagamento, in opponibile al creditore, ma efficace inter partes. 11. Gli effetti conservativi del pignoramento È contenuta nel cc, come da tradizione storica: così era già disciplinata nel codice napoleonico. Bisogna prima individuare i pericoli che corre il creditore dal fatto che la tutela esecutiva che lui richiede, non è concessa subito, ma dopo un certo periodo di tempo. Non è possibile accordare al creditore, nel momento stesso in cui la richiede, la tutela che esige. Vi sarà per forza un intervallo di tempo, in cui si possono verificare degli avvenimenti che pregiudicano la tutela esecutiva richiesta. I pericoli che corre sono due: 1. Vi sono le modifiche della realtà materiale che riguarda il bene su cui ricade il diritto pignorato -> a questo pericolo si fa fronte mediante la custodia. 2. Vi sono le modifiche attinenti alla titolarità del diritto pignorato, attraverso degli atti di disposizione idonei a sottrarre il bene alla garanzia del credito -> a questo pericolo l’ordinamento vi fa fronte con una disciplina speciale per gli atti di disposizione compiuti dal debitore esecutato dopo il pignoramento. Individuazione di questa disciplina: bisogna seguire il principio del minimo mezzo = l’alterazione delle regole ordinarie deve attenere al minimo indispensabile per il raggiungimento dello scopo. Art. 2912 e ss cc: il pignoramento ha lo scopo di impedire che la circolazione del diritto pignorato pregiudichi il creditore che effettua il pignoramento. Il pignoramento comprende le pertinenze, gli accessori e i frutti del bene pignorato. Frutti che maturano dopo il pignoramento: vengono acquisiti all’esecuzione, sia quelli civili che quelli naturali. Questo è possibile perché dal momento del pignoramento il bene è affidato alla custodia di un soggetto che ha l’obbligo di amministrarlo nell’interesse dell’esecuzione. 31 Art. 1148 cc: i frutti sono percepiti dal possessore e quindi la percezione dei frutti è la conseguenza della situazione possessoria. Con il pignoramento: il debitore pignorato perde il possesso del bene che è affidato ad un custode. Se il custode è lo stesso debitore: non esercita più il possesso come specchio di un diritto reale, ma solo la detenzione nell’interesse di terzi. Pignoramento di beni mobili: art. 513 cpc fa coincidere la materiale disponibilità con il pignoramento ( = i beni mobili pignorati appartengono all’esecutato e con il pignoramento si ha il suo spossessamento); per gli immobili: è possibile che il pignoramento cada su beni di cui l’esecutato non ha possesso, dato che il pignoramento immobiliare non presuppone che il bene immobile sia posseduto dall’esecutato. In questo caso, l’esecutato non perde il possesso del bene per il solo fatto che non lo aveva in precedenza, quindi l’art. 2912 cc non può operare e gli eventuali frutti continuano ad essere percepiti dall’effettivo possessore del bene in questione. Quindi: se il bene immobile pignorato è in possesso dell’esecutato: si applicano le norme sulla custodia = il debitore diventa custode dei beni con i relativi obblighi e i frutti maturati dopo il pignoramento sono percepiti solo materialmente dall’esecutato, in quanto non può più farli propri ma conservarli nell’interesse dell’esecuzione. Il bene è posseduto da III al momento del pignoramento: il debitore esecutato non può diventarne custode perché non ne aveva originariamente il possesso. Dopo il pignoramento, il debitore esecutato non può percepire i frutti, perché continuano ad essere percepiti dal possessore del bene. Debitore esecutato, che è il soggetto possessore del bene al momento del pignoramento, perde dunque il possesso = se ne mantiene la materiale disponibilità, questo avviene a titolo di custodia. Il possesso si congela: l’esecutato lo perde, ma nessuno acquista il possesso civilistico sul bene. Questo perché il creditore procedente, con il pignoramento, acquista un diritto non di natura sostanziale, ma processuale, inidoneo a far sorgere il possesso. Il possesso rimane in una sorta di limbo: fino a che non è effettuata la vendita forzata, il bene non sarà consegnato all’aggiudicatario che acquisterà di nuovo il possesso corrispondente al diritto, acquistato in sede di vendita forzata. Art. 2913 cpc: gli atti di alienazione dei beni pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e di eventuali creditori che intervengono nell’esecuzione. Il debitore esecutato può far nascere a favore di un III, a titolo originario, un diritto sul bene pignorato sulla base della regola ex art. 1153 cc. ( = acquisto in buona fede di beni mobili). Art. 1153 cc: sana non solo un difetto di titolarità, ma anche un difetto di potere dispositivo. Il terzo acquirente di bene mobile pignorato riceve il possesso in buona fede: acquista un diritto che è opponibile anche al creditore procedente e che travolge gli effetti del pignoramento. Pignoramento dei beni mobili: il legislatore ha posto una particolare attenzione alla custodia del bene, in quanto questo soggetto, avendo la disponibilità materiale, ha la 32 - una delle parti ha acquistato in buona fede il possesso, quindi è preferita all’altra; - se nessuno degli acquirenti acquisisce in buona fede il possesso del bene mobile, allora vale il criterio generale dell’atto di data certa anteriore. Al n. 4 dell’art. 2914 vi è una particolarità: colui che ha acquistato il bene mobile dal debitore prevale sul creditore procedente in 2 casi: se ha conseguito in buona fede il possesso del bene prima del pignoramento, oppure se il suo acquisto risulta da un atto di data certa anteriore al pignoramento. Il primo criterio non interessa, in quanto è piena applicazione dell’art. 1155 cc. Secondo criterio: in questa ipotesi si presuppone che il debitore esecutato abbia venduto il bene mobile e che la vendita sia stata consacrata in un atto con data certa, ma il venditore non ha trasmesso il possesso e che lo abbia conservato presso di sé. Il bene è quindi nei luoghi immobili che appartengono al debitore e qui è pignorato. L’acquirente del bene mobile propone opposizione di III e dimostra che il bene gli era stato venduto con atto che ha data anteriore certa al pignoramento e vince l’opposizione. Se l’art. 2194 n. 4 fosse la trasposizione dell’art. 1155 cc, quale sarebbe la soluzione? Spiegazione: è vero che con il pignoramento il possesso viene tolto al debitore, però questo non fa acquisire al creditore pignorante una situazione possessoria , perché il diritto del creditore procedente non ha natura sostanziale, ma processuale. Egli non è titolare di un diritto reale, il cui esercizio può essere qualificato come possesso. Il possesso del bene pignorato rimane congelato, fino a che con la vendita forzata l’acquirente del bene, a cui sarà consegnato, instaurerà di nuovo un rapporto possessorio, come specchio del diritto di proprietà o del diritto reale minore che avrà acquistato in sede di vendita forzata. Se il creditore procedente con il pignoramento acquistasse il possesso del bene, l’art. 2914 n. 4 cc dovrebbe essere formulato diversamente. Siccome però il possesso del bene non viene acquisito dal creditore, continua a rimanere prevalente fino alla vendita forzata, la posizione dell’acquirente del bene mobile che ha un titolo con data certa anteriore al pignoramento, ancorchè non abbia conseguito il possesso. Art. 2915 cc: detta una disciplina identica a quella che si ha quando un soggetto acquista un diritto sul quale grava un vincolo di indisponibilità. Anche qui, se il vincolo è trascritto prima della trascrizione dell’atto di acquisto, il vincolo prevale sull’atto di acquisto. Se invece è trascritto prima l’atto di acquisto e poi il vincolo di indisponibilità, allora prevale il primo sul secondo. Art. 2915 II comma cc: bisogna fare riferimento agli art. 2652 e 2653 cc -> questi prevedono una serie di domande giudiziali che sono soggette a trascrizione per poter essere opponibili ai terzi. La trascrizione della domanda giudiziale ha un duplice effetto: ha un effetto di natura processuale ( rispetto ai terzi la litispendenza si determinino con riguardo al momento della trascrizione della domanda). 35 Se la trascrizione della domanda dell’attore contro il convenuto sia anteriore alla trascrizione dell’acquisto del III contro io convenuto = la posizione dell’avente causa del convenuto è disciplinata dall’art. 111 cpc . Quindi, la sentenza emessa al termi9ne di quel processo, la cui domanda è stata trascritta anteriormente alla trascrizione dell’atto di acquisto del III, è efficace e vincolante anche verso l’avente causa del convenuto. Es: Tizio agisce in rivendicazione contro Caio, che vende il bene immobile rivendicato a Sempronio, il quale trascrive il proprio atto di acquisto dopo la trascrizione della domanda di rivendicazione di Tizio contro Caio. La fattispecie rientra nell’art. 2653 n. 1 cc. La sentenza che dichiara Tizio proprietario del bene immobile è vincolante verso Caio e il suo avente causa Sempronio che non potrà, nella successiva lite con Tizio, sostenere di essere proprietario per averlo acquistato da Caio. Se invece, si ha prima la trascrizione Di Sempronio verso Caio e dopo la trascrizione della domanda di rivendicazione di Tizio verso Caio, allora la sentenza non produce effetti verso Sempronio. Il vantaggio per Sempronio è però solo processuale: sul piano del diritto sostanziale, la trascrizione del suo atto di acquisto non gli da più diritti di quanti gliene ha trasmessi il suo dante causa e se questo non era proprietario del bene, Sempronio non ha acquistato la proprietà dello stesso. Tizio è vittorioso con una sentenza che non può spendere verso Sempronio, avente causa del convenuto; potrà però convenire in giudizio ex novo l’avente causa Sempronio, dimostrare di essere proprietario del bene e ottenere tutela anche nei confronti di Sempronio senza che questo ci guadagni nulla, sul piano del diritto sostanziale dal fatto che ha trascritto il suo titolo di acquisto prima della trascrizione della domanda giudiziale contro il suo dante causa. Seconda alternativa: la trascrizione del pignoramento è anteriore alla trascrizione della domanda. Vi è qui un problema specifico legato alla tutela esecutiva: quando Tizio vuole ottenere una sentenza efficace anche contro Mevio (= avente causa ante lite da Caio) deve istaurare il contraddittorio nei confronti di Mevio. Tizio, quindi, chiama Mevio a partecipare al processo attraverso una delle tecniche previste ( litisconsorzio facoltativo passivo, chiamata in causa). Ma se l’avente causa è un creditore procedente non è possibile proporre la domanda nei modi ordinari, perché l’esecuzione forzata non ha una struttura che prevede un suo rappresentante ( come accade nel fallimento con il curatore) che sia abilitato a condurre processi con effetti per l’esecuzione. Non potendo l’attore istaurare un processo ordinario di cognizione contro l’esecuzione forzata, si rende necessario che egli proponga la domanda all’interno del processo esecutivo, attraverso l’opposizione di III che consente l’instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’esecuzione. Trascrizione della domanda: oltre all’effetto processuale, ha a volte anche effetti sostanziali: questo accade nelle ipotesi previste dall’art. 2652 cc. La priorità della trascrizione della domanda dell’attore contro il convenuto rispetto alla trascrizione dell’atto di acquisto dell’avente causa del convenuto comporta le stesse conseguenze della rivendicazione: la sentenza è efficace e vincolante anche verso l’avente causa del convenuto, che non può contestare il contenuto. 36 Invece, la priorità della trascrizione dell’atto di acquisto dell’avente causa rispetto alla trascrizione della domanda, da sola o con altri elementi, variamente previsti dall’art. 2652 cc determina anche un titolo di preferenza ( oltre all’inefficienza processuale della pronuncia in emanazione) sul piano sostanziale dell’avente causa verso l’attore: l’avente causa acquista una posizione che è preferita, sul piano del diritto sostanziale, a quella dell’attore. Art. 2915 II comma cc: l’attore, il quale si trova trascritto il pignoramento prima della trascrizione della sua domanda di rivendicazione, è pregiudicato per il solo fatto che deve far valere il suo diritto di proprietà all’interno del processo esecutivo. Ma sul piano sostanziale, non ha ostacoli maggiori a far valere il suo diritto, all’interno del processo esecutivo con l’opposizione, rispetto a quando lo fa valere contro il debitore in un ordinario processo di cognizione. Nelle stesse ipotesi in cui l’avente causa del convenuto che abbia trascritto il titolo prima della trascrizione della domanda, acquista sul piano sostanziale, una posizione che l’attore non può più attaccare, anche il creditore pignorante contro il convenuto, con la trascrizione del pignoramento acquista una posizione inattaccabile da parte dell’opponente. Qualora, per la salvezza del sub acquirente si rende necessaria, oltre all’anteriorità della trascrizione del suo titolo rispetto alla trascrizione della domanda, anche la presenza degli altri elementi previsti dall’art. 2652 cc ( buona fede, titolo oneroso, decorso del tempo), la sussistenza di tali elementi deve essere valutata con riferimento al creditore pignorante. Art. 2916 cc ricaviamo 2 principi: 1. il pignoramento congela le ragioni di prelazione dei vari creditori. 2. Il pignoramento non effettua il blocco dei crediti, i quali possono essere fatti valere all’interno del processo di espropriazione anche se sorti dopo il pignoramento. Art. 2917 cc: gli effetti del pignoramento del credito sono l’inopponibilità all’esecuzione forzata degli atti di disposizione compiuti dopo il pignoramento dal titolare del diritto di credito pignorato. Verso il debitore esecutato gli effetti del pignoramento sono quindi analoghi a quelli del pignoramento di beni diversi dai crediti. Il terzo debitore: con la notifica dell’atto previsto dall’art. 513 cpc, diventa custode. Oggetto del pignoramento è un bene mobile del debitore che si trova presso III: occorre qui fare ricorso all’espropriazione presso terzi, il terzo assume quindi gli obblighi di custodia del bene mobile. Il terzo non lo può consegnare ad altri soggetti, tanto meno al debitore esecutato = il proprietario del bene stesso. Oggetto del pignoramento è un credito: il III debitore è obbligato a non adempiere verso il debitore esecutato. Se il terzo adempie nonostante l’intervenuto pignoramento, il pagamento, pur avendo effetti estintivi sul piano del diritto sostanziale, non è opponibile al creditore procedente. Sul piano processuale: il terzo debitore è obbligato a corrispondere ugualmente la somma una seconda volta all’esecuzione forzata. Se invece i fatti estinti del credito si sono prodotti anteriormente al pignoramento o non dipendono da atti di disposizione dell’esecutato o da comportamenti volontari del III debitore, essi sono opponibili al debitore. 37 Accanto a questa eccezione, il cumulo dei mezzi di espropriazione o anche più espropriazioni dello stesso tipo su beni diversi, sono pienamente ammissibili. Art. 494 cpc: pagamento nelle mani dell’ufficiale giudiziario. I comma: consente ad debitore esecutato di adempiere nelle mani dell’ufficiale giudiziario, quindi l’esecuzione forzata non ha luogo perché il credito si estingue. Così l’ufficiale giudiziario, invece di effettuare il pignoramento, riceve la somma che consegna al creditore. Per diritto sostanziale, il pagamento va fatto al creditore o ad un suo rappresentante e se è fatto ad un soggetto diverso non è liberatorio. L’ufficiale giudiziario non è un rappresentante del creditore, ma un organo esecutivo così come il giudice: anche il pagamento fatto al giudice non sarebbe liberatorio. Previsione nel I comma dell’art. 494 cpc: è importante perché consente espressamente di effettuare il pagamento con effetto liberatorio anche ad un soggetto diverso da quelli a cui il pagamento dovrebbe essere fatto secondo il diritto sostanziale. Istituto interessante anche per un altro profilo: l’esistenza del credito, da tutelare esecutivamente, è irrilevante nel processo esecutivo. Invece qui, in modo eccezionale, un effetto di diritto sostanziale è rilevante anche sul piano processuale, perché rende legittima l’omissione del pignoramento. Ipotesi disciplinata al I comma = pagamento nelle mani dell’ufficiale giudiziario: il denaro è dato come adempimento e quindi evita il pignoramento. L’esecuzione così non inizia neppure. Ipotesi al III comma: il debitore da all’ufficiale giudiziario una somma di denaro maggiore di quella prevista nel I comma ma questa somma è percepita dall’ufficiale giudiziario come oggetto di pignoramento. L’ufficiale: non consegna la somma al creditore ma la versa nelle casse dell’esecuzione, così come accade quando l’ufficiale giudiziario trova del denaro da pignorare. L’ufficiale poi deposita il verbale di pignoramento insieme al denaro, il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione e si apre il processo di espropriazione. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle 2 possibilità offerte al debitore? III comma: il debitore sceglie di sottoporre al pignoramento il denaro per evitare che siano pignorati mobili, immobili o crediti perché ritiene di poter dimostrare, in sede di opposizione all’esecuzione, che l’esecuzione non deve aver luogo in quanto il creditore non ha diritto di procedere ad esecuzione forzata. Quindi il debitore ha in mente di proporre opposizione e di chiedere la sospensione della distribuzione del denaro. Se il giudice accoglie l’istanza di sospensione e poi l’esecuzione risulta fondata: il debitore ha il vantaggio che la somma di denaro gli verrà restituita perché è al sicuro nelle casse dell’esecuzione. Con il pagamento al I comma invece: c’è il pericolo che il creditore prenda la somma di denaro e poi risulti insolvibile di fronte ad una sentenza che riconoscerà fondata la ripetizione dell’indebito. Art. 495 cpc: conversione del pignoramento. Qui si ha una sostituzione dell’oggetto del pignoramento: originariamente sono stati pignorati beni del debitore e il debitore sostituisce ai beni pignorati una somma di denaro = realizza ex post ciò che si sarebbe potuto fare fin dall’inizio con il meccanismo previsto dal III comma dell’art. 494 cpc. 40 Il procedimento si svolge in 2 fasi: all’istanza di conversione del debitore ( con cui si deve depositare una somma pari a 1/5 dell’importo dei crediti del creditore procedente e dei creditori intervenuti) segue una prima ordinanza del giudice che determina la somma definitiva che deve essere versata ed un termine entro cui adempiere; viene poi fissata una udienza successiva al termine in questione, per verificare se la somma è stata effettivamente versata. Il versamento è stato effettuato: con una seconda ordinanza il giudice dispone la liberazione del pignoramento dei beni, altrimenti si dispone che il processo esecutivo proceda. In questo caso la somma provvisoriamente versata rimane acquisita all’esecuzione. Art. 496 cpc: riduzione del pignoramento. Su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti, il giudice, dopo aver sentito il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento. Con la riduzione del pignoramento: alcuni beni vengono liberati dal pignoramento e ritornano nella libera disponibilità del debitore esecutato. Art. 497 cpc: cessazione dell’efficacia del pignoramento. Come il precetto deve essere seguito dal pignoramento in un termine minimo di 10 giorni e massimo di 90, così all’avvenuto pignoramento deve seguire un termine minimo di 10 e massimo di 90 giorni per la richiesta di liquidazione del bene = la richiesta del creditore di passare alla fase successiva dell’espropriazione. Art. 562 cpc: la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Se il pignoramento immobiliare perde efficacia ex art. 497 cpc, tuttavia resta sempre nei registri immobiliari la sua trascrizione, anche se oramai solo apparente, perché il pignoramento ha perso efficacia. Occorre quindi procedere alla cancellazione della trascrizione: si effettua trascrivendo un altro atto, nel quale si dichiara che il pignoramento è divenuto inefficace. Può accadere che il processo esecutivo si estingua ( prima della vendita) senza che vi sia un provvedimento formale del giudice di dichiarazione di estinzione e quindi senza che vi sia un ordine di cancellazione della trascrizione. Art. 2668 ter cc: consente di non tenere conto delle trascrizioni dei pignoramenti effettuate oltre 20 anni prima. Il debitore che vuole contestare il diritto di procedere ad esecuzione forzata, ha a disposizioni strumenti esterni all’esecuzione, anche se incidenti sull’esecuzione stessa = sono processi di cognizione, separati dal processo esecutivo, il cui compito è quello di accertare se vi è o no il diritto di procedere ad esecuzione forzata. All’interno dell’esecuzione si parte invece dal presupposto che il diritto da tutelare vi sia e si adegua il processo esecutivo nel miglior modo possibile allo scopo da raggiungere: perché si abbia la soddisfazione del diritto, ma senza eccedere nell’espropriazione. Si può quindi dedurre che le contestazioni del debitore riguardo l’entità del credito, di cui il creditore procedente chiede la tutela esecutiva, non possono mai condurre alla caducazione del processo esecutivo: il pignoramento è valido anche se il credito è in realtà inferiore a quello vantato nel precetto. Perché il creditore abbia diritto di procedere ad esecuzione forzata è necessario che il credito vi sia, non anche che sia di una certa entità. Quindi: le contestazioni sull’entità 41 del credito del creditore procedente possono essere fatte valere non con l’opposizione all’esecuzione, ma con altri strumenti. 13. L’intervento dei creditori Art. 2740 cc: il debitore risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Art. 2741 cc: i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione: privilegi, pegno, ipoteca. Nel nostro ordinamento non esistono ipoteche generali o occulte, perché l’ipoteca deve risultare dal pubblico registro. Pegno e ipoteca, diversamente dai privilegi, sono diritti reali di garanzia = hanno sequela anche nei confronti del patrimonio di soggetti diversi dal debitore. Dalla lettura congiunta degli art. 2740 e 2741 si ricava: le ragioni di prelazione sono l’unico meccanismo che incide sul principio della par condicio dei creditori. Le cause di prelazione nascono non dal processo, ma dal diritto sostanziale. Quindi, nel processo esecutivo, si devono rispettare in linea di principio, le condizioni che i creditori hanno sul piano del diritto sostanziale. La vera portata del principio della par condicio credito rum: non va cercata sul piano del diritto sostanziale, quanto sul terreno del diritto processuale. Il debitore risponde nei confronti di tutti i suoi creditori secondo le regole del diritto sostanziale, dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri: la tutela esecutiva dei diritti di credito deve essere strutturata in modo da attuare le prescrizioni del diritto sostanziale e non alterare le scelte del legislatore sostanziale. Fino alla riforma del 2006: tutti i creditori avevano la possibilità di intervenire nell’esecuzione aperta da uno di essi, per chiedere la soddisfazione del proprio diritto sulla base delle regole del diritto sostanziale. Nuova disciplina: è una delle più importanti e più infelici innovazioni della riforma -> diversi profili di incostituzionalità. Art. 499 I comma cpc: limitazione dell’intervento a: chi ha titolo esecutivo, a chi ha un credito garantito da pegno, da prelazione iscritta o da sequestro; nonché anche a chi è titolare di un credito risultante da scritture contabili. Il creditore per intervenire deve: depositare nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, un ricorso contenente l’indicazione del credito e del titolo nonché la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata. Creditore non munito di titolo esecutivo e che comunque ha potere di intervento nell’esecuzione, in quanto appartiene ad una delle categorie al I comma art. 499 cpc: deve notificare al debitore l’atto di intervento e copia autentica delle scritture contabili, se l’intervento avviene per esse. Art. 499 V e VI comma cpc: istituisce una sorta di procedimento di verificazione del credito per i soli creditori che sono legittimati ad intervenire, ma non hanno titolo 42 pubblico registro e quelli che hanno un diritto reale di garanzia che però non risulta da pubblico registro, ed infine i creditori muniti di privilegio. Creditore munito di semplice privilegio: ha prelazione finchè il bene rimane nel patrimonio del debitore; quando il bene, per qualsiasi ragione, esce da questo patrimonio, viene meno anche la prelazione. Il privilegio non da diritto di sequela. Diritto reale di garanzia invece: ha sempre ad oggetto beni individuati ( non ve ne sono che hanno ad oggetto l’intero patrimonio) e tutti devono essere resi pubblici nei modi che prevede l’ordinamento. Se si tratta di beni che sono iscritti ai pubblici registri, i diritti reali di garanzia devono essere resi pubblici con l’iscrizione nei pubblici registri. Il creditore mantiene così il diritto di prelazione nei confronti di qualunque soggetto divenga successivamente proprietario del bene ( vi è diritto di seguito). Quindi perché solo i creditori privilegiati devono essere avvertiti? Perché l’avvertimento è condizione necessaria per procedere alla vendita. Bisogna quindi limitare l’onere del creditore all’ispezione dei pubblici registri per vedere se risultano prelazioni iscritte ed obbligarlo ad avvertire colore che sono iscritti nei pubblici registri. Però: anche i creditori che non risultano iscritti nei pubblici registri perdono la loro prelazione con la vendita forzata del bene ma non è necessario che siano avvertiti. Giustificazione alla diversità di trattamento: a seconda che si tratta di privilegio o di diritto reale di garanzia. In caso di privilegio: il problema non sussiste perché il privilegio vi è fino a quando il bene permane nel patrimonio del debitore. Per i creditori privilegiati quindi la vendita forzata non ha effetti diversi dalla vendita di diritto comune. Estinzione dei privilegi: è un effetto della vendita in genere e non della vendita forzata in particolare. Poiché la vendita di diritto comune è valida ed efficace anche se i creditori privilegiati non sono avvertiti, anche la vendita forzata può essere compiuta senza avvisarli. Diritti reali di garanzia non iscritti: la vendita forzata ha un effetto estintivo della prelazione che la vendita di diritto comune non ha; il creditore munito di pegno può far valere il suo diritto contro qualunque soggetto a cui il proprietario trasferisca la proprietà del bene, ma non nei confronti dell’aggiudicatario. Diritti reali di garanzia che risultano iscritti nei pubblici registri: scatta l’obbligo ex art. 498 cpc. Il creditore procedente deve notificare a questi un avviso contenente l’indicazione del creditore pignorante, del credito per cui si procede e il titolo. In mancanza, il giudice deve rifiutarsi di emettere ordinanza di vendita. È praticamente impossibile quindi che si abbia luogo alla vendita senza che siano stati informati i creditori iscritti: il mancato avvertimento può derivare da errore del conservatore nel controllare i registri o da una disattenzione del giudice. In questi casi il creditore privilegiato che non è stato avvertito, ha diritto al risarcimento dei danni da parte del creditore pignorante, che ha omesso la notifica prescritta o da parte del conservatore, se l’errore è a lui imputabile. 45 Intervento dei creditori: può essere tempestivo o tardivo. Art. 528 e 565 cpc distinguono i creditori intervenuti tempestivamente o tardivamente con riferimento ai creditori critografari (= creditori che non sono muniti del diritti di prelazione). Creditori con prelazione, in qualsiasi momento dell’esecuzione intervengano, sono soddisfatti secondo l’ordine di prelazione previsto dal cc. L’intervento, sia per i critografari che per quelli muniti di prelazione, ha come termine ultimo il momento in cui si effettua la distribuzione del ricavato. Dopo quel momento, l’intervento non è più possibile perché il processo esecutivo si è oramai concluso. Creditori crittografari tempestivi: sono soddisfatti in percentuale al loro credito. Creditori crittografari tardivi: sono soddisfatti sul residuo che eventualmente avanza, dopo che sono stati soddisfatti per intero i crettografari tempestivi. Vi sono quindi 3 categorie di creditori: con diritto di prelazione, crittografari tempestivi e crittografati tardivi. Momento che determina la tempestività dell’intervento: è dato di solito dalla prima udienza fissata per stabilire le modalità di assegnazione e di vendita = udienza che apre la fase di liquidazione. Art. 525 III comma cpc: nel caso della piccola espropriazione mobiliare -> la tempestività dell’intervento è misurata invece sull’istanza ( precedente) con cui il creditore pignorante chiede che sia fissata l’udienza per determinare le modalità di liquidazione. Espropriazione dei crediti: rilevante è l’udienza di comparizione delle parti, fissata dal creditore pignorante con il ricorso ex art. 543n. 4 cpc. In questa udienza: qualora il terzo renda o abbia reso dichiarazione conforme, ha luogo anche l’assegnazione del credito e il processo esecutivo si chiude. Intervento tardivo nell’espropriazione dei crediti è possibile solo se la dichiarazione è omessa o contestata, perché in quel caso il creditore avrà la possibilità materiale di intervenire, anche se tardivamente. Ratio della distinzione del legislatore fra creditori tempestivi e tardivi: con una serie di istituti che la legge prevede, l’ordinamento condente al creditore di muoversi liberamente nella scelta delle varie forme di espropriazione e nella individuazione dei beni da espropriare. Ma, se il creditore esagera, è possibile ricondurre il valore dei beni pignorati all’entità del credito. L’intervento di un creditore, in una fase successiva rispetto a quella della liquidazione, sconvolge tutti i calcoli che sono stati fatti sul presupposto che vi sia una certa quantità di crediti da soddisfare, con il rischio che i beni, di cui è stata disposta la liquidazione, risultino insufficienti per soddisfare i creditori. Questa è la ragione per cui, da un certo momento in poi, l’intervento del creditore critografaro è tardivo e come tale il creditore è soddisfatto dopo che si sono soddisfatti i creditori tempestivi; in ogni caso, dopo il creditore procedente. È chiaro che la regola non vale per i creditori privilegiati: in ogni caso questi hanno diritto ad essere soddisfatti prima dei critografari, anche se tempestivi. 46 Oggetto del pignoramento è quindi una quantità di beni di valore pari o di poco superiore al credito. Ma questi beni, che sono sufficiente per il creditore procedente, diventano insufficienti se intervengono altri creditori. Se i beni pignorati sono tutto quanto vi è di attivo nel patrimonio del debitore, si verificherà una situazione di in capienza del patrimonio del debitore. Si applicano quindi le regole di diritto sostanziale: si fa una lista di creditori, si mettono prima i creditori con prelazione nell’ordine previsto dal cc, poi i creditori critografari in ordine in proporzione ai loro crediti. Se la quantità di beni pignorati deriva da una doverosa scelta del creditore procedente, che ha limitato il pignoramento in relazione all’entità del suo credito e nel patrimonio del debitore vi sono altri bei che possono essere pignorati utilmente, è chiaro che il meccanismo della soddisfazione proporzionale non funziona più, in quanto in questo caso siamo in una situazione di in capienza. Gli altri creditori sono intervenuti nell’esecuzione non perché nel patrimonio del debitore non vi fossero altri beni, ma per loro scelta o perché non hanno titolo esecutivo. Il creditore procedente può allora indicare agli intervenuti l’esistenza di altri beni ed invitarli ad estendere il pignoramenti ( se sono muniti di titolo esecutivo) o se no lo hanno, ad anticipare a lui le spese, per effettuare l’estensione con il proprio titolo. 14. La vendita e l’assegnazione in generale II fase del processo di espropriazione: il diritto pignorato viene liquidato = trasformato in una somma di denaro, di modo da poter soddisfare il creditore procedente e i creditori eventualmente intervenuti. Passaggio al pignoramento alla liquidazione: fondamentale l’art. 501 cpc. Prevede un termine minimo di 10 giorni dal pignoramento alla domanda di assegnazione o vendita. Il pignoramento perde effetti decorsi 90 gg; effettuato il pignoramento ci sono 80 gg per proporre istanza di vendita. Termine dilatorio all’art. 501 cpc ha 2 funzioni: permette al debitore di reagire al pignoramento e dà ad altri creditori un minimo di tempo per poter intervenire tempestivamente nell’esecuzione. Art. 529 cpc: decorso il termine dilatorio, il creditore procedente e quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo possono chiedere la distribuzione del denaro e la vendita di tutti gli altri beni. Da queste norme si ricava che: per proporre l’istanza di vendita, occorre essere muniti di titolo esecutivo e l’istanza può essere proposta dal creditore procedente o da qualsiasi altro creditore. Modi per procedere alla liquidazione sono 2: la vendita e l’assegnazione. La differenza non è sostanziale, quanto processuale: nella vendita il soggetto che diventa titolare del diritto pignorato al posto dell’esecutato, può essere qualunque soggetto. Nel assegnazione invece il diritto viene trasferito ad uno dei creditori ( procedente o intervenuto). 47 Art. 530 e 569 cpc: si ha la decisione con sentenza, dell’opposizione agli atti esecutivi e solo dopo la pronuncia dell’ordinanza di vendita o di assegnazione. Art. 111 Cost: la sentenza che decide l’opposizione agli atti esecutivi è suscettibile di impugnazione in Cassazione. Pronunciata la sentenza che rigetta l’opposizione agli atti: si apre la strada della vendita forzata e le soluzioni possibili sono 2: o si aspetta il giudicato ( = la sentenza non è stata impugnata o se impugnata, che sia stata emessa sentenza della Corte di Cassazione) oppure ci si attiene all’art. 530 e 569 cpc e si afferma sufficiente la sentenza di I e unico grado, irrilevante la sua eventuale impugnazione. La soluzione più corretta sembra la prima = occorra attendere il giudicato. Il legislatore ha imposto la preventiva decisione delle questioni di rito per evitare che si procedesse alla vendita quando è ancora incerta la validità del processo esecutivo e quindi che una successiva dichiarazione di invalidità, dopo la vendita, comporti la caducazione della vendita stessa. Si arriva quindi al momento in cui o opposizioni agli atti non ve ne sono oppure si è raggiunto un accordo o vi è stata una sentenza passata in giudicato che le rigetta: il giudice quindi dispone con ordinanza la vendita forzata o l’assegnazione dove possibile. Ma disporre la vendita o l’assegnazione è = attribuire un valore al bene che è stato pignorato. Determinazione del valore fatta dall’ufficiale giudiziario: non è vincolante anche per la vendita. È necessario procedere alla valutazione del bene ad opera di un soggetto competente = stimatore. Le strade qui si dividono sulla base delle singole tipologie di espropriazione, perché i vari tipi di bene sono assoggettati a forme diverse di liquidazione. 15. Le singole forme di vendita forzata Espropriazione mobiliare: i modi di liquidazione del bene mobile sono 2: la vendita a mezzo commissionario e la vendita all’incanto. Vendita a mezzo commissionario: art. 532 e 533 cpc. = si affida la vendita del bene mobile, stimato preventivamente da un esperto, per un prezzo minimo stabilito dal giudice ad un soggetto, che però lo vende attraverso trattativa privata, con un contratto che lui stipula con un acquirente. L’atto traslativo non avviene all’interno del processo esecutivo, ma è delegato ad un III. Il processo esecutivo recepisce gli effetti dell’atto traslativo che viene compiuto fra il commissionario e l’acquirente in vendita forzata. Commissionario: ha diritto ad un compenso che stabilisce il giudice, deve documentare la vendita e versare la somma che ha ricavato nelle casse dell’esecuzione. Vendita all’incanto: art. 534 e 537 cpc. Art. 534 cpc: la vendita all’incanto può essere affidata al cancelliere o all’ufficiale giudiziario o ad istituto autorizzato. Viene stabilito un prezzo minimo per l’incanto, fissata la data e nei giorni precedenti all’incanto l’incaricato si reca per ritirare i beni dal custode, perché la vendita avviene in presenza del bene. L’aggiudicazione avviene verso il maggior offerente. Acquirente: paga il prezzo e si 50 porta via il bene, il soggetto incaricato della vendita versa all’esecuzione il ricavato, trattenendosi il compenso che per legge spetta all’incaricato della vendita dei beni mobili. Vendita di bene mobile che non avviene in nessuna delle 2 forme sopra previste, perché non si trova nessuno che offra il prezzo minimo di stima. = ipotesi della vendita fallita. Vendita fallita: vendita non effettuata per mancanza di offerenti. Art. 538: 2 possibilità: assegnazione del bene, su richiesta di uno o più creditori, per il valore di stima che il giudice ha determinato prima di procedere alla sua vendita, oppure se nessuno ne chiede l’assegnazione, l’incaricato effettua una II vendita ad un prezzo di baso inferiore del 20 % rispetto al precedente. II vendita a prezzi libero: non può essere fatta per oro e argento, i quali devono essere coattivamente assegnati per il loro valore intrinseco. Liquidazione dei crediti: perché si perfezioni il pignoramento è necessario o una dichiarazione conforme del III o una sentenza che accerti l’esistenza del credito pignorato. Perfezionato il pignoramento: si può procedere alla liquidazione del credito che avviene con il trasferimento del credito dal debitore esecutato ad un soggetto diverso. Nell’espropriazione singolare: l’ufficio esecutivo non cura la riscossione del credito. Unico modo per liquidare il credito: è il trasferimento ad altro soggetto, che compirà l’attività necessaria per la riscossione. Il trasferimento del credito è, nel diritto sostanziale, una cessione del credito. Bisogna però considerare una differenza: cessione di diritto comune = può avere luogo anche senza nessun previo accertamento del credito. Trasferimento del credito: vi è una vicenda pregressa o una sentenza che accerta l’esistenza del credito. Eccezioni opponibili dal III debitore all’assegnatario: non possono contrastare con il contenuto vincolante della dichiarazione o della sentenza. Inoltre, in virtù degli effetti del pignoramento, il III debitore non può opporre all’assegnatario o all’acquirente del credito le eccezioni che non può opporre al creditore procedente. Credito pignorato è scaduto: il diritto dell’assegnatario verso il debitore che ha subito l’espropriazione non si estingue con la riscossione del credito assegnato. Quindi, al momento dell’assegnazione non avviene l’estinzione del diritto del creditore assegnatario verso il debitore, ma tutti e 2 i diritti rimangono coesistenti. Il creditore assegnatario mantiene i due diritti fino al momento del pagamento. Quando il III debitore paga il suo debito al creditore assegnatario, automaticamente si estingue anche per la quantità corrispondente il credito che l’assegnatario vanta nei confronti del debitore esecutato. Più incerta è la disciplina dei crediti che scadono oltre i 90 giorni: art. 553 II comma cpc. -> i crediti che scadono oltre i 90 giorni possono essere assegnati o venduti. Assegnati: se i creditori ne fanno domanda. Venduti: se nessuno dei creditori ne chiede l’assegnazione. Se vi è una vendita non sorgono problemi: si è trovato un soggetto che si rende cessionario del credito pagando una somma che è inferiore al valore nominale del credito. Problematico è invece se i creditori ne chiedono l’assegnazione: qui avviene su domanda dei creditori, ma pro soluto o pro solvendo? 51 Per risolvere il problema: art. 553 II comma cpc: equipara la vendita del credito all’assegnazione su domanda. La vendita avviene sicuramente pro soluto, quindi si deduce che anche l’assegnazione avvenga pro soluto. Assegnatario: è nella posizione di curatore della riscossione del credito di cui è divenuto titolare. In caso di assegnazione pro solvendo: curare la riscossione è un onere del creditore assegnatario, il quale quindi non può rendersi inattivo, omettendo di compiere quanto necessario per riscuotere il credito al III assegnato e pretendere poi di mantenere il suo credito verso il debitore esecutato. Se vuole mantenere il credito: deve fare tutto ciò che è necessario per riscuotere dall’assegnato- Assegnazione pro soluto: il credito nei confronti del debitore esecutato si è già estinto nel momento dell’assegnazione, per la somma corrispondente al valore dell’assegnazione stessa. In entrambi i casi emerge un problema: se il terzo debitore non paga, l’assegnatario deve provvedere alla tutela giurisdizionale del suo diritto di credito. Per poter procedere all’esecuzione forzata verso il III debitore assegnato, l’assegnatario deve avere un titolo esecutivo. Il debitore esecutato era già munito di un titolo esecutivo nei confronti del III debitore: l’assegnatario subentra nella possibilità di utilizzare tale titolo esecutivo in qualità di successore del creditore originario. Se il debitore esecutato invece non aveva un titolo esecutivo: secondo una I opinione l’assegnatario si deve tutelare nelle vie ordinarie come qualunque creditore; secondo una II opinione, dalla vicenda relativa al pignoramento si ricava la formazione di un titolo esecutivo spendibile nei confronti del III assegnato. Il pignoramento si perfeziona o con una dichiarazione confessoria o con una sentenza. Se si perfeziona con una sentenza: non ci sono problemi perché una sentenza è titolo esecutivo. Ma anche se il pignoramento si forma con la dichiarazione di III, si ritiene formato un titolo esecutivo. Udienza in cui si stabiliscono le modalità per la vendita dell’immobile si svolgono in modo analogo. All’istanza di vendita deve essere allegata la documentazione prevista ex art. 567 cpc. A seguito della presentazione dell’istanza, il giudice incarica un esperto della stima del bene e fissa l’udienza, in cui dispone la vendita del bene e ne fissa la modalità. Modalità di liquidazione del bene: vendita senza incanto e vendita con incanto. Prima di procede alla vendita senza incanto: se questa non da esito positivo, si procede a quella con incanto. Vendita senza incanto = invito a fare la propria offerta in cancelleria a busta chiusa, offerta che rimane sconosciuta fino a che non vengono aperte le buste. Deposito in cancelleria dell’offerta in busta chiusa: si deve versare a titolo di cauzione una somma pari a 1/10 del prezzo offerto. Scaduto il termine per il deposito in cancelleria delle buste: il giudice dell’esecuzione le apre e guarda le offerte. Convoca poi tutte le parti del processo esecutivo e se l’offerta maggiore è superiore di almeno il 20 % rispetto alla stima, l’immobile è immediatamente aggiudicato all’offerente. Altrimenti, si passa alla vendita all’incanto se il creditore procedente lo richiede, ovvero se il giudice lo ritiene opportuno. Se vi sono più offerte: il giudice dell’esecuzione invita i più offerenti ad una gara sull’offerta più alta. 52 Bisogna cercare dei creditori che, verso gli atti di disposizione dell’esecutato, sono in opponibili in misura maggiore di quanto lo siano verso il creditore pignorante. Bisogna cercare un meccanismo di protezione del creditore intervenuto che gli rende in opponibili gli atti di disposizione dell’esecutato in modo diverso e maggiore rispetto a quanto fa il pignoramento, altrimenti sarebbe inutile il riferimento ai creditori intervenuti ex art. 2919 cc. Esiste un diverso meccanismo di protezione: è previsto a favore del creditore ipotecario ex art. 2812 cc che distingue in 2 categorie di terzi acquirenti di diritti sulla cosa ipotecata: 1. I titolari di servitù, usufrutto, uso e abitazione; 2. I titolari di superficie, enfiteusi, nuda o piena proprietà. Il fenomeno è il seguente: dopo l’iscrizione dell’ipoteca sul bene, un terzo viene investito di un diritto appartenente in alternativa o alla prima o alla seconda categoria. Il terzo viene investito di un diritto appartenente alla II categoria: art. 2818 III comma cc stabilisce che si osservano le disposizioni relative ai III acquirenti. Questa norma da al creditore ipotecario il potere di espropriare il bene anche contro il terzo acquirente. Il creditore ipotecario ha il potere di espropriare il bene non solo nei confronti di colui che gli ha concesso l’ipoteca ma anche nei confronti di chi abbia acquistato sul bene un diritto appartenente alla II categoria. Art. 2818 I comma cpc: stabilisce invece che i diritti appartenente alla I categoria non sono opponibili al creditore ipotecario, che può far vendere la cosa come libera. Quindi: il creditore ipotecario può e deve agire esecutivamente contro i III, titolari dei diritti appartenenti alla II categoria. Al contrario, i terzi titolari di diritti appartenenti alla I categoria non divengono soggetti espropriati, non assumono la qualità di esecutato. Quindi se dopo l’iscrizione dell’ipoteca, il proprietario ha costituito sul bene ipotecato, a favore di terzi, un diritto di superficie, enfiteusi, piena o nuda proprietà, il creditore ipotecario può espropriare il bene ma deve notificare il titolo esecutivo e il precetto al III acquirente, deve effettuare il pignoramento contro il terzo che assume il ruolo di esecutato; la vendita forzata viene fatta contro il III acquirente e l’aggiudicatario acquista un titolo contro il III acquirente. Per i diritti minori che appartengono alla I categoria invece, il meccanismo è diverso. Art. 2818 I comma cc: al creditore ipotecario non sono opponibili i diritti di servitù, usufrutto, uso e abitazione, il cui titolo sia stato trascritto dopo l’iscrizione dell’ipoteca: il creditore ipotecario può far vendere il bene come libero. Perché il legislatore per i diritti alla II categoria ( art. 2818 III comma cc) prevede che l’espropriazione si faccia contro i titolari dei medesimi e per i diritti alla I categoria ( art. 2818 I comma cc) che l’espropriazione si faccia ignorando i titolari di questi diritti? Ratio: l’espropriazione contro il titolare di diritto di uso, abitazione e servitù non è possibile, mentre è possibile procedere contro il titolare dei diritti di usufrutto, enfiteusi, superficie, nuda e piena proprietà, perché i diritti di uso, abitazione e servitù non sono trasferibili sul piano del diritto sostanziale: quindi non si può formare il titolo di trasferimento fra l’acquirente in vendita forzata e il titolare di questi diritti minori. Far subire l’espropriazione al titolare del diritto di abitazione non ha senso, perché questo 55 diritto non è trasferibile sul piano del diritto sostanziale e quindi l’aggiudicatario non può acquistarlo. Assoggettati ad esecuzione possono diventare solo i titolari di diritti trasferibili, perché solo contro di loro può ottenersi un trasferimento forzato. Titolati dei diritti all’art. 2812 I comma cc: non diventano esecutati perché non sono titolari di un diritto suscettibile di essere trasferito. Il loro diritto, con la vendita forzata si estingue per incompatibilità, e si trasforma in una somma di denaro che è l’equivalente del diritto estinto. Questo credito può essere fatto valere nell’espropriazione con preferenza rispetto alle ipoteche iscritte successivamente alla data di trascrizione dell’atto costitutivo del diritto e quindi anche rispetto al creditore pignorante che non sia il creditore ipotecario. I titolari dei diritti, che si estinguono con l’espropriazione, diventano quindi creditori privilegiati iscritti: privilegiati perché hanno preferenza sui creditori ipotecari posteriori e sui creditori critografari; iscritti perché il loro credito deriva dalla trasformazione di un diritto che trae origine da un atto trascritto. Essendo la loro posizione destinata a trasformarsi in un diritto di credito avente ragione di prelazione, che risulta dai pubblici registri, essi rientrano nella previsione dell’art. 498 cpc e quindi devono essere avvertiti della pendenza del processo esecutivo. Beni mobili registrati: non sono assoggettati alla forma di circolazione disciplinata dagli art. 1153 e 1155 cc. La fattispecie dell’art. 2913 cc fa riferimento ad un atto di disposizione che compia il debitore esecutato o più in generale il custode del bene mobile pignorato, il quale fa realizzare un acquisto a titolo originario a favore dell’acquirente, titolo che è prevalente rispetto a quello del creditore procedente, e quindi idoneo a sottrarre il bene dall’espropriazione. Art. 2919 cc: acquirente di buona fede non è il terzo al quale il custode aliena il bene pignorato, ma è l’aggiudicatario, il quale fonderà il suo acquisto ex art. 1153 cc sul titolo astrattamente idoneo costituito dalla vendita o assegnazione forzata, sulla consegna del bene mobile e sulla buona fede, consistente nella mancata conoscenza che il bene non appartiene a colui che ha subito l’espropriazione. Buona fede qui: l’acquirente in vendita forzata non sa che il bene è di proprietà di un terzo. Se lo sapesse, mancherebbe la buona fede idonea a completare la fattispecie acquisitiva ex art. 1153 cc. Art. 2913 cc: la buona fede consiste nel non sapere che il bene è pignorato, qui nel non sapere che il bene non appartiene all’esecutato. L’esecutato non è titolare del diritto pignorato e trasferito: il conflitto fra il terzo, proprietario del bene e l’acquirente in vendita forzata si risolve normalmente a favore del terzo: la vendita forzata per regola generale da luogo ad un acquisto a titolo derivativo. Ed eccezionalmente, quando la vendita forzata da luogo ad un acquisto a titolo originario, a favore dell’aggiudicatario. Bisogna poi vedere la tutela di colui che, nel conflitto, rimane soccombente, iniziando dall’acquisto a titolo originario e quindi dal caso in cui soccombente è il terzo proprietario. La disciplina è data dall’art. 2920 cc per la vendita e 2926 cc per l’assegnazione. 56 Art. 2920 cc: se oggetto della vendita forzata è una cosa mobile, coloro che avevano la proprietà o altri diritti reali su di essa ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall’espropriazione, non possono farle valere nei confronti dell’acquirente di buona fede ne possono ripetere dai creditori la somma loro distribuita. Il terzo può soddisfarsi sulla somma ricavata dalla vendita finchè non sia stata distribuita, finchè non è nelle casse dell’esecuzione. L’acquisto a titolo originario ex art. 1153 cc presuppone: un titolo astrattamente idoneo ( in questo caso la vendita forzata), la consegna del bene accertabile facilmente, la buona fede ( in questo caso consiste sulla mancata conoscenza che l’esecutato non era proprietario del bene pignorato) la buona fede era presunta, quindi ciò che rileva in realtà era la malafede, che come tutte le situazioni psicologiche, non si può provare in via diretta ma solo in via indiziaria. Una volta dimostrato che, a causa della carenza di buona fede, non si è completata la fattispecie ex art. 1153 cc, l’acquisto in vendita forzata è qualificabile come acquisto a titolo derivativo anziché a titolo originario e torna così applicabile la regola generale dell’art. 2919 cc, secondo cui l’acquirente in vendita forzata acquista solo i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione. Rimangono comunque, oltre al diritto sulla somma ricavata, altre 2 possibilità a favore di III che ha perso il proprio diritto perché si è realizzato un acquisto a titolo originario a favore dell’aggiudicatario. Prima possibilità: prevista dall’art. 2920 cc: presuppone la prova della mala fede del creditore procedente, il quale ha proseguito l’esecuzione nonostante sapesse che il bene pignorato non apparteneva all’esecutato. Prova difficile da fare: se tuttavia il terzo ex proprietario riesce a dimostrare la mala fede del creditore procedente, può ottenere il risarcimento dei danni. Seconda possibilità: non scritta nell’art. 2920 cc ma derivante dai principi, è l’arricchimento senza causa nei confronti del debitore esecutato. Arricchimento senza causa si fonda su questa considerazione: il debitore ha pagato debiti suoi con beni di altri. Il terzo proprietario non può ripetere dai creditori la somma distribuita: quindi i creditori si tengono la somma, con cui viene estinto il credito che avevano nei confronti dell’esecutato per la parte corrispondente alla somma ricevuta. Quindi l’esecutato si arricchisce a spese dell’ex proprietario, perché si libera dei propri debiti a spese altrui. II terzi che avevano la proprietà del bene mobile assegnato possono, entro il termine di 60 giorni dall’assegnazione, rivolgersi all’assegnatario che ha ricevuto in buona fede il possesso del bene per farsi dare da costui la somma che egli si è trattenuto a soddisfazione totale o parziale del suo credito. Art. 2926 cc: il terzo ex proprietario può rivolgersi all’assegnatario e dire: il bene oramai è tuo, perché l’hai acquistato ex art. 1153 cc, però devi versare nelle casse dell’esecuzione la somma che ti sei trattenuto a soddisfazione del tuo credito. Ultimo comma art. 2926 cc: versando la somma in questione, l’assegnatario torna creditore del debitore perché il suo credito non è più soddisfatto. Ovviamente, l’art, presuppone che si sia avuta una assegnazione satisfattiva, perché se l’assegnatario ha 57 1. senza possibilità di deroga, al primo posto sono messe le spese di procedura. Le spese che vanno prededotte sono quelle del pignoramento, della vendita, della custodia del bene ed eventualmente le spese delle opposizioni infondatamente poste dal debitore esecutato. 2. Sono collocati i creditori con diritto di prelazione. 3. Sono collocati i creditori critografari tempestivi, ove la somma non sia sufficiente per tutti, si opera una ripartizione proporzionale. 4. Creditori critografari tardivi = quelli intervenuti dopo l’udienza in cui si determinano le modalità di vendita o di assegnazione o, in caso di piccola espropriazione mobiliare, quelli intervenuti dopo il deposito dell’istanza con cui il creditore procedente chiede la fissazione dell’udienza per determinare le modalità di vendita o di assegnazione. 5. Esecutato, per l’eventuale residuo. Se invece vi sono più creditori da soddisfare, occorre procedere alla formazione di un piano di reparto. Formazione del piano di riparto: vi sono alcune differenze fra l’espropriazione mobiliare e quella immobiliare. Espropriazione mobiliare: i creditori possono presentare al giudice un piano di riparto concordato fra loro, già predisposto e sottoscritto da tutti loro. Art. 541 cpc stabilisce che il giudice dell’esecuzione provvede in conformità, se non vi è opposizione del debitore. Se vi è opposizione: si procede ex art. 512 cpc = il giudice provvede con ordinanza. Se manca un piano di riparto concordato: ogni creditore può chiedere che si proceda alla distribuzione della somma ricavata: ognuno = ogni creditore intervenuto, anche non munito di titolo esecutivo ed anche se il suo credito è stato contestato dal debitore, purchè abbia tempestivamente presentato la domanda per ottenere un titolo esecutivo. Il giudice prepara un piano di riparto, lo sottopone alle parti, che possono approvarlo; se invece qualcuno lo contesta, si procede con ordinanza del giudice per risolvere le contestazioni. Espropriazione immobiliare: le modalità di formazione del riparto sono diverse, perché il giudice procede d’ufficio senza bisogno di istanza di parte o di un piano concordato. Art. 510 II e III comma cpc: a favore dei creditori contestati e che hanno tempestivamente proposto la domanda volta ad ottenere un titolo esecutivo, si prevede che il giudice dell’esecuzione disponga l’accantonamento delle somme ad essi eventualmente spettanti. Il piano di riparto viene predisposto tenendo conto anche di questi creditori, dopo di che le somme che, in base al piano, spetteranno loro, sono accantonate per il tempo necessario perché questi creditori possano munirsi di un titolo esecutivo e, in ogni caso, per un periodo che non sia superiore ai 3 anni. La somma accantonata è distribuita una volta decorso il termine fissato dal giudice, o d’ufficio o su istanza di parte. Decorsi al massimo 3 anni: la somma accantonata è comunque distribuita. La disposizione presenta un serie di profili di incostituzionalità: se il principio per cui, la durata del processo non deve essere fonte di pregiudizio per la parte che ha ragione, è 60 espressione irrinunciabile dell’art. 24 Cost, è contrario comunque ai principi costituzionali che rimanga insoddisfatto il creditore privilegiato, il quale sta ancora attendendo la sentenza quando scade il triennio; e che al posto suo, sia soddisfatto invece chi ha una posizione postergata rispetto alla sua , ma che il legislatore processuale ha comunque favorito, consentendo a lui e non all’altro di partecipare alla distribuzione del ricavato. Art. 511 cpc: disciplina la domanda di sostituzione nel processo esecutivo. I creditori di un creditore, avente diritto alla distribuzione, possono chiedere di essere a lui sostituiti proponendo domanda dall’art. 499 cpc. Domanda di sostituzione: si effettua nelle forme della domanda di intervento, ma non è una domanda di intervento. La domanda di intervento o è già stata proposta dal sostituito o la propone il sostituente per il sostituto, ma allora deve avere tutte le caratteristiche dell’intervento contro l’esecutato. Invece l’art. 511 quando dice proponendo domanda a norma dell’art. 499 cpc, si riferisce alla domanda di sostituzione, a quella fra sostituente e sostituito. Se costituente e costituito controvertono fra di loro, prima si effettua il riparto nel modo che si è visto e con questo si stabilisce la somma che spetta al sostituito; poi, fra sostituente e sostituito si stabilisce a chi deve andare quella somma. Bisogna affrontare un altro problema: quello degli effetti della distribuzione del ricavato. Il provvedimento con cui il giudice distribuisce il ricavato è un atto del processo esecutivo e come tale ha la stabilità degli atti del processo esecutivo. La nullità di tali atti deve essere fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi, da utilizzare in modi e termini previsti dalle norme processuali. Ma supponiamo che gli atti del processo esecutivo siano perfettamente regolari: che possibilità ha il debitore di contestare la sussistenza di un credito, una volta che si è concluso il processo esecutivo? Il fatto che la somma sia stata percepita dal creditore in sede di distribuzione del processo esecutivo pone una preclusione alla possibilità, per il debitore di affermare che in realtà il credito era inesistente o inferiore? Di fronte all’inattività di colui che è obbligato, secondo il titolo esecutivo, ad adempiere, c’è l’attività giurisdizionale sostitutiva: non vi è alcun motivo per cui tale attività sostitutiva produca effetti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla sua funzione = quella di sostituire un adempimento. L’accertamento che l’adempimento è dovuto sul piano del diritto sostanziale costituisce un quid pluris estraneo ed esterno alla funzione dell’esecuzione forzata ed è un problema proprio del processo di cognizione. In conclusione: la distribuzione del ricavato non può avere una efficacia stabilizzante della distribuzione stessa, perché questa efficacia costituirebbe un effetto eccedente rispetto alla sua funzione; non può essere vista nella inattività del debitore una forma di accettazione tacita del piano di riparto, perché l’adempimento spontaneo non ha alcun effetto preclusivo della ripetizione dell’indebito. E se questo effetto non consegue ad un comportamento attivo, quale quello dell’adempimento spontaneo, tanto meno può conseguire ad un comportamento omissivo, come quello della mancata contestazione del piano di riparto. 61 L’esecutato, quindi, una volta terminata la distribuzione, può mettere in discussione il risultato, assumendo e dimostrando che l’effetto prodotto dal processo esecutivo non è conforme al diritto sostanziale. Può un creditore contestare, al di fuori del processo esecutivo, l’ordine nel quale è stata effettuata la distribuzione del ricavato? Risposta negativa e la ratio si fonda solo sul diritto sostanziale. Il rango dei rispettivi crediti diventa rilevante solo al momento della distribuzione del ricavato. Una volta che il credito è stato pagato, non vi è nessuna possibilità giuridica che un altro creditore, munito di prelazione poziore, possa rivolgersi al creditore soddisfatto per far valere la preferenza, che l’ordinamento accorda alla sua posizione. L’unica possibilità che ha un creditore di agire contro un altro: far valere in via surrogatoria, le ragioni che il comune debitore ha e che trascura di usare. Il debitore non ha mai la possibilità di far valere questioni che attengono al rango dei creditori ( = il debitore deve adempiere verso tutti i creditori perché per lui sono tutti uguali): quindi, al di fuori della distribuzione del ricavato, non vi è possibilità per un creditore di far valere, verso un altro, ragioni che attengono al rango del proprio credito. Motivo che impedisce ad un creditore, al di fuori del processo esecutivo, di contestare ad un altro creditore, la propria collocazione nel riparto in rapporto alle singole prelazioni, sta tutta nel diritto sostanziale e non ha nulla a che fare con una pretesa efficacia stabilizzatrice della distribuzione del ricavato. La distribuzione del ricavato può essere occasione per la nascita di controversie che riguardano il piano di riparto: la riforma del 2006 ha profondamente innovato. In precedenza: se sorgeva una controversia fra creditori, fra creditori e debitore o terzo assoggettato all’espropriazione sulla sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o sulla sussistenza di prelazioni, questa controversia era risolta mediante un processo di cognizione ordinario, incidentale rispetto al processo esecutivo. Quindi in ogni caso, l’accertamento dell’esistenza del credito aveva l’effetto di stabilizzare il risultato della distribuzione -> talvolta, un’eventuale ripetizione dell’indebito è ostacolata non tanto dalla distribuzione del ricavato, ma che essa ha a monte l’accertamento sull’esistenza del credito soddisfatto. Oggi meccanismo completamente mutato: nuovo art. 512 cpc. Sorta la controversia, il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza, la quale è impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi. Controversie in sede di distribuzione: sono istruite e risolte in sede di processo esecutivo. L’attività del giudice dell’esecuzione è esercizio di giurisdizione esecutiva, che non può per definizione avere efficacia dichiarativa. Attività che svolge il giudice dell’esecuzione: non è finalizzata ad accertare se esiste o meno il credito, ma solo a distribuire il ricavato. Un accertamento infatti postula l’esercizio di una giurisdizione dichiarativa, che invece è del tutto carente nel nuovo art. 512 cpc. Espressione: effetti limitati al processo esecutivo, significa che gli effetti della risoluzione della controversia distributiva sono quelli propri dell’esecuzione forzata. 62 rimane inerte e non contesta, negli stessi strumenti e con gli stessi limiti, lo può fare il creditore, per il principio da cui scaturisce l’azione surrogatoria. Ma in questo caso, deve rispettare le pregresse attività, sostanziali e processuali, compiute dal debitore. Quando invece si tratta di far valere la frode, la nullità o la simulazione, il creditore agisce iure proprio -> in questo caso è svincolato dagli atti. Le parti necessarie nel processo sono tutti quei soggetti che, se la contestazione è accolta, vedono modificato nei loro confronti il piano di riparto. In pendenza del processo di cognizione, il processo esecutivo può essere totalmente o parzialmente sospeso. È sospeso totalmente: se la contestazione riguarda tutta la distribuzione. È sospeso parzialmente: quando vi è una somma non controversa. Il giudice dell’esecuzione apporta al piano di distribuzione le modifiche conseguenti a quanto stabilito con l’ordinanza, con cui ha risolto la contestazione. 20. L’esecuzione in forma specifica Esecuzione correlata agli obblighi di consegna di una cosa determinata ( esecuzione per consegna se si tratta di un bene mobile, per rilascio se è un bene immobile) e ad ogni altro tipo di attività che l’obbligato omette di tenere ( esecuzione per obblighi di fare). Queste 2 tecniche di tutela sono anche denominate: esecuzione forzata in forma specifica. Non bisogna confondere la tutela specifica con l’esecuzione specifica. Tutela in forma specifica: si differenzia dalla tutela per equivalente e pone un problema che rileva per il solo diritto sostanziale. Posto un illecito, che lede un interesse protetto, bisogna chiedersi se questo illecito porta all’estinzione del diritto leso e alla nascita, in sua sostituzione, di un credito avente ad oggetto il risarcimento del danno subito. (= tutela per equivalente); oppure se l’illecito non estingue il diritto leso, ma lo fa permanere integro e fa sorgere obblighi strumentali diretti ad eliminare la lesione ( tutela in forma specifica), ripristinando il diritto leso nello stato quo ante. Scelta fra tutela in forma specifica o per equivalente: spetta al legislatore sostanziale. A volte si tratta di una scelta obbligata: tutte le volte in cui il bene della vita, garantito dalla situazione sostanziale protetta, è definitivamente distrutto o compresso. -> in questi casi la tutela in forma specifica non è possibile, perché non vi è più l’interesse sostanziale da tutelare. Altre volte il legislatore sceglie sulla base di valutazioni di opportunità. La distinzione appartiene quindi al solo diritto sostanziale ed è puramente recepita dal processo: al processo spetta quindi non se stabilire se si abbia l’una o l’altra forma di tutela, ma attuare la scelta effettuata dalla normativa sostanziale. Al momento della tutela esecutiva ciò che conta è il tipo di obbligo inadempiuto, ed è irrilevante che il credito inadempiuto abbia natura risarcitoria o meno. Che differenza c’è fra l’espropriazione e l’esecuzione in forma specifica? Nell’esecuzione per espropriazione: i diritti in gioco sono 2 = il diritto di credito, 65 di cui si chiede la tutela esecutiva e che è potenzialmente destinato ad essere soddisfatto con la distribuzione del ricavato, e il diritto patrimoniale del debitore, che è oggetto del pignoramento e poi della vendita. Il fondamento dell’espropriazione è: il credito prevale sulla proprietà del debitore. Nell’esecuzione in forma specifica il diritto in gioco è solo 1: quello, individuato nel titolo esecutivo e del quale si chiede la tutela giurisdizionale esecutiva. Ulteriore problema: individuazione dei diritti sostanziali tutelabili con l’esecuzione in forma specifica. Secondo parte di dottrina: sono surrogabili nel loro inadempimento dall’ufficio esecutivo con l’esecuzione in forma specifica, non tutti gli obblighi, ma solo quelli correlati a diritti assoluti. La dottrina in esame opera una contrapposizione fra situazioni strumentali e finali: situazione finale è il diritto, il cui titolare è soddisfatto attraverso l’esercizio dei poteri che l’ordinamento gli attribuisce; a fronte di questi poteri sta, per la collettività, il dovere di astenersi dal turbare l’attività del titolare del diritto. Situazione finale: è utile fino a che esiste. Quando la situazione finale si estingue, viene meno l’utilità concreta che l’ordinamento gli garantisce. Situazione strumentale è invece il diritto, il cui titolare è soddisfatto quando gli obblighi correlati a questa situazione vengono adempiuti dal soggetto obbligato. Quello che è utile al titolare della situazione strumentale è l’adempimento dell’obbligato, adempimento che estingue la situazione strumentale. Il credito è la situazione strumentale per eccellenza. Per orientarsi sulla questione è meglio tenere conto che determinante, per stabilire il tipo di tutela esecutiva, è la struttura dell’obbligo che rimane inadempiuto e non la struttura del diritto a tale obbligo contrapposto. Struttura del diritto: potrebbe essere rilevante sotto il profilo pregiudiziale della tutela in forma specifica e quindi nell’ambito del diritto sostanziale. Elemento che distingue i diritti assoluti da quelli relativi: non è la loro struttura, quanto le vicende costitutive ed estintive di questi diritti e soprattutto la loro opponibilità ai terzi. Servitù negativa e nell’obbligo di non fare: dal punto di vista strutturale è identico il tipo di comportamento che devono tenere il proprietario del fondo servente e il soggetto che si è obbligato. La differenza è un’altra: la servitù negativa è opponibile non solo all’attuale proprietario del fondo servente, ma anche a tutti i successivi proprietari. L’obbligo di non fare invece non è opponibile ai successivi proprietari del bene a cui l’obbligo inerisce, salvo che anche questi non assumano personalmente quest’obbligo. Ma fino a che il diritto esiste, non vi è alcuna differenza di struttura fra le due situazioni sostanziali, che permetta una distinzione per quello che riguarda la 66 tutelabilità. E infatti anche per i diritti relativi che hanno ad oggetto beni individuati devono essere qualificati come situazioni finali, avendo = struttura ai diritti assoluti. Art. 1218 cc: prevedendo il risarcimento del danno per l’inadempimento, non stabilisce che la tutela delle situazioni strumentali sia solo risarcitoria. L’inadempimento: non trasforma tutte le situazioni strumentali in crediti pecuniari. Quindi, tutti gli obblighi che hanno ad oggetto una cosa determinata, sono suscettibili di tutela esecutiva in forma specifica, qualunque sia la situazione sostanziale di cui questi obblighi fanno parte. La differenza fra le varie situazioni sostanziali ( reali o obbligatorie) può essere rilevante per stabilire se il diritto esiste, ma una volta stabilito che esso è esistente, non può essere esclusa la tutela in forma specifica per ragioni strutturali. Altro problema da affrontare: gli obblighi relativi a cose indeterminate sono suscettibili di tutela con forma specifica? Una quantità di cose può diventare oggetto di un contratto in 2 modi diversi. Se l’oggetto del contratto è una quantità di cose fungibili individuate si applica l’art. 1377 cc. Non rileva che queste cose debbano essere misurate; il trasferimento della proprietà avviene comunque al momento del consenso. Se invece il contratto ha ad oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere si applica l’art. 1378 cc. Poiché il bene non è identificato, il trasferimento della proprietà avviene non al momento del consenso, ma con la specificazione = quando si separa dalla massa del genus la parte oggetto del contratto. Es: un contratto con cui si acquista tutto il petrolio caricato su una petroliera. Allo scambio del consenso, l’acquirente diventa proprietario del petrolio e all’inadempimento del venditore può ottenere una sentenza di condanna alla consegna del bene che è determinato. I beni di cui l’acquirente ottiene la consegna sono già di sua proprietà, appartengono già al suo patrimonio e l’obbligato ne ha solo la detenzione materiale, quindi con la consegna non vi è nessuna depauperazione del suo patrimonio. Tutela esecutiva: serve per sottrargli la materiale disponibilità e non per ottenere la proprietà del bene, proprietà che ha già perso al momento dello scambio del consenso. Se invece si tratta di una fattispecie in cui si applica l’art. 1378 cc, attraverso l’esecuzione in forma specifica si ottiene il trasferimento della proprietà del bene, solo perché al momento dell’attività esecutiva si ha l’individuazione del bene e con questa individuazione, il trasferimento della proprietà. Ostacolo che impedisce l’esecuzione forzata in forma specifica: art. 2741 cc per la par condicio credito rum. Ipotesi vista sopra: il diritto fatto valere è concorrente con il diritto di tutti gli altri creditori e il bene su cui il soggetto si soddisfa, fa parte del patrimonio di altro soggetto. È l’art. 2741 cc che impedisce ad un 67 I titoli esecutivi che fondano l’esecuzione sono quelli previsti dai n. 1 e 3 dell’art. 474 II comma cpc. Le scritture private autenticate e i titoli di credito che abbiano per oggetto beni individuati non costituiscono quindi titoli esecutivi idonei per un’esecuzione da consegna o rilascio. Lo sono invece gli atti pubblici. Titolo esecutivo è anche il verbale di conciliazione giudiziale; spesso il legislatore attribuisce efficacia di titolo esecutivo per la consegna e il rilascio anche a conciliazioni stragiudiziali. Uno degli effetti dell’espropriazione: è la creazione di un titolo di acquisto fra l’esecutato e l’aggiudicatario. Se il bene è di proprietà di chi non è esecutato, questi non subisce alcun effetto dall’espropriazione perché il titolo d’acquisto si forma contro colui, al quale il creditore ha fatto acquisire la qualità di esecutato, dirigendo nei suoi confronti l’azione esecutiva. Nell’esecuzione per consegna o rilascio, si verifica un fenomeno diverso: ipotesi che l’esecuzione sia compiuta e la detenzione corpore del bene sia trasferita dall’ufficio esecutivo al procedente. Se il bene era nella materiale disponibilità del terzo, l’esecuzione produce effetti nei suoi confronti e non verso colui al quale il creditore ha fatto acquisire la qualità di esecutato. Il terzo subisce al posto dell’esecutato, gli effetti tipici dell’esecuzione: il terzo aveva la materiale disponibilità del bene e la perde; l’esecutato, che non aveva la materiale disponibilità, non riceve nessun effetto dall’esecuzione perché non può perdere ciò che non aveva. Fra espropriazione ed esecuzione forzata in forma specifica vi è una distinzione fondamentale: mentre la direzione degli effetti dell’espropriazione è soggettiva, perché dipende dall’individuazione dell’esecutato da parte del procedente e gli effetti si verificano solo nella sfera giuridica del soggetto che il creditore procedente individua come esecutato, nell’esecuzione in forma specifica, la direzione degli effetti dell’esecuzione è oggettiva, gli effetti si producono non secondo la scelta del creditore ma secondo l’effettiva situazione esistente: nei confronti del detentore corpore del bene nell’esecuzione per consegna o rilascio; verso questi o il proprietario nell’esecuzione per obblighi di fare. Sia nel processo di cognizione che nell’espropriazione l’assunzione della qualità di destinatari degli effetti dei provvedimenti giurisdizionali è un posterius rispetto all’assunzione della qualità di parte, assunzione che avviene mediante la domanda della parte istante. Iter logico: chi assume la qualità di parte diviene destinatario degli effetti della misura giurisdizionale. Invece, nell’esecuzione in forma specifica, il fenomeno è rovesciato: prima bisogna stabilire chi subirà in concreto gli effetti dell’esecuzione e poi lo si fa diventare parte esecutata. Procedimento per consegna o rilascio: art. 605 cpc, il precetto deve contenere la descrizione dei beni, descrizione che è già necessariamente contenuta nel titolo esecutivo. Unico soggetto dell’ufficio esecutivo necessariamente presente nell’esecuzione per consegna o rilascio è l’ufficiale giudiziario. Il giudice dell’esecuzione resta inattivo, finchè non è chiamato ad intervenire. 70 La consegna del bene mobile avviene ex art. 606 cpc. L’ufficiale giudiziario fa uso dei poteri che gli sono conferiti dall’art. 513 II comma cpc: questo non significa che i luoghi dove può ricercare il bene siano solo quelli indicati in quell’art. ( = casa del debitore e gli altri luoghi a lui appartenenti). L’ufficiale giudiziario infatti cerca il bene dove si trova. Rilascio del bene immobile avviene ex art. 608 cpc: deve essere dato all’esecutato, almeno 10 giorni prima il preavviso del giorno e ora in cui avverrà l’immissione in possesso. Con la notifica del preavviso di rilascio ha inizio l’esecuzione. Siccome dopo la notificazione del precetto l’istante ha un termine di 90 giorni per iniziare l’esecuzione, è sufficiente che la notificazione del preavviso di rilascio per impedire la perenzione del precetto. Ultima frase del II comma art. 608 cpc: presuppone che la detenzione corpore del bene non sia attualmente dell’esecutato, ma di detentori che esercitano il potere di fatto in nome dell’esecutato. Si presuppone inoltre che il creditore procedente non voglia la detenzione corpore del bene, incompatibile con quella dei detentori. Se l’avente diritto vuole anche la detenzione corpore del bene = una situazione incompatibile con quella dei III conduttori, non si applica l’ultima parte dell’art. 608 cpc, perché il procedente vuole ottenere la detenzione del bene estromettendone i detentori e quindi deve agire esecutivamente nei loro confronti. Art. 608 ultima parte cpc si applica: quando il bene è in parte nella detenzione corpore dell’esecutato e in parte nella detenzione di terzi. L’esecuzione ha luogo contro l’obbligato secondo il titolo esecutivo per la parte del bene di cui lui ha la detenzione corpore e in parte avviene la ingiunzione al terzo debitore. Per la parte del bene, sulla quale l’obbligato ha il potere di fatto, si ha esecuzione per rilascio; per la parte di cui l’obbligato ha solo possesso formale, si ha ingiunzione ai detentori di riconoscere il nuovo possesso. Le spese dell’esecuzione sono anticipate dalla parte istante e sono a carico dell’esecutato. Queste spese comprendono, oltre alle spese vive, anche i diritti e gli onorari dell’avvocato del creditore. 22. Esecuzione per obblighi di fare Nonostante di solito si parli di esecuzione per obblighi di fare e di non fare, in sede di esecuzione forzata si tratta sempre e solo di obblighi di fare. Costruzione e distruzione di un’opera costituisce il vero oggetto dell’esecuzione per obblighi di fare e non fare. Art. 612 cpc: parla di esecuzione forzata di una sentenza di condanna. L’esecuzione forzata ha in realtà sempre ad oggetto il diritto e non il provvedimento; si attua e si tutela in via esecutiva il diritto e non la sentenza. Art. 612 cpc: sembrerebbe esigere una sentenza come titolo esecutivo per l’esecuzione degli obblighi di fare. Il problema si pone soprattutto per i verbali di conciliazione giudiziale. Soluzione negativa: da respingere, perché è assurdo pretendere di fronte ad un 71 accordo delle parti, che il giudice debba comunque emettere una sentenza solo perché il verbale di conciliazione non ha efficacia esecutiva. Quindi si deve ritenere che anche i verbali di conciliazione siano titoli idonei all’esecuzione per obblighi di fare. L’esecutato viene individuato sulla base di effetti concreti che produrrà l’esecuzione: titolo esecutivo e precetto devono essere quindi notificati a chi esercita sul bene il potere di fatto, nonché al proprietario, se questo è un soggetto diverso dal procedente o dall’esecutato. La costruzione o la demolizione, infatti, incide oltre che nella sfera giuridica del detentore corpore, anche nella sfera giuridica del proprietario. Decorsi 10 giorni dalla notifica del precetto, il creditore ricorre al giudice dell’esecuzione perché determini le modalità dell’esecuzione. Sui rapporti fra titolo esecutivo e ordinanza di determinazione delle modalità di esecuzione non vi è ancora un orientamento giurisprudenziale abbastanza consolidato. Di solito il titolo esecutivo individua il risultato che deve essere raggiunto con l’esecuzione e l’ordinanza stabilisce come si deve raggiungere questo risultato. Le spese dell’esecuzione sono a carico dell’esecutato. In sede di esecuzione per obblighi di fare, può darsi che l’opera da costruire necessiti del rilascio di concessioni, autorizzazioni o simili da parte della PA. Il titolo esecutivo da all’ufficio esecutivo la possibilità di usare tutti gli strumenti giuridici che il debitore ha nel suo patrimonio. 24. Opposizione all’esecuzione Disciplinata dagli art. 615 e 616 cpc: ha per oggetto la contestazione del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Situazione processuale che presenta 2 profili: quello della sussistenza della situazione sostanziale di cui si chiede la tutela in via esecutiva ( = diritto da tutelare) e quello del titolo esecutivo in senso sostanziale (= diritto alla tutela). Primo profilo: mancanza del diritto alla tutela esecutiva = del titolo esecutivo in senso sostanziale. Il titolo esecutivo in senso documentale è invece un atto del processo esecutivo, la cui eventuale nullità è fronteggiabile con l’opposizione agli atti esecutivi e che non è rilevante rispetto al diritto alla tutela esecutiva, che scaturisce dal titolo esecutivo in senso sostanziale. L’opponente può negare il diritto a procedere ad esecuzione sostenendo che la parte instante non ha diritto alla tutela esecutiva perché il titolo esecutivo in senso sostanziale non è mai esistito o è venuto meno = inefficacia originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo. Dal punto di vista processuale, l’esecuzione forzata è legittima se è fondata su un valido ed efficace titolo esecutivo. L’efficacia del titolo esecutivo deve sussistere per tutta la durata dell’esecuzione, fino a che questa non sia terminata. Problemi particolari sorgono quando si nega l’esistenza del titolo esecutivo, allegando la nullità dell’atto, il cui titolo esecutivo consiste. Le contestazioni relative alle nullità del titolo esecutivo riguardano la nullità dell’atto in sé. Si contesta l’efficacia esecutiva del titolo, perché la nullità dell’atto incide su tutti gli effetti dell’atto stesso, fra cui anche quelli esecutivi, con la consequenziale inesistenza del diritto alla tutela esecutiva. 72 Opposizione proposta prima dell’inizio dell’esecuzione (= opposizione a precetto) si propone come un ordinario atto di citazione di fronte al giudice competente per materia o per valore con riferimento al diritto sostanziale del quale si richiede tutela esecutiva. Se l’esecuzione ha già avuto inizio ex art. 615 II comma cpc: l’opposizione è proposta con ricorso che si deposita nella cancelleria del giudice dell’esecuzione e che successivamente è portata alla conoscenza delle altre parti interessate, insieme al decreto con cui il giudice dell’esecuzione fissa l’udienza di comparizione davanti a sé. Udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione: realizza il raccordo fra processo esecutivo e processo dichiarativo. Per quello che riguarda l’udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione: art. 185 disp. Att. Cpc rende applicabile ad essa il rito camerale. Le 2 attività principali che deve svolgere il giudice in questa sede sono: risposta all’eventuale domanda di sospensione che ha avanzato l’opponente e l’individuazione del giudice competente a decidere nel merito la domanda di opposizione. Come avviene quindi il distacco della causa di opposizione dal processo esecutivo, in cui è stata proposta? Per comprendere, bisogna capire la disciplina prima del 2006. In precedenza l’art. 616 cpc: si limitava a stabilire che, se la causa di opposizione era di competenza dell’ufficio giudiziario a cui apparteneva il giudice dell’esecuzione, questo provvedeva all’istruzione sulla base degli art. 175 e seguenti. Questa disposizione: da un lato istituiva una sorta di competenza funzionale del giudice dell’esecuzione: era il giudice dell’esecuzione a svolgere il ruolo di giudice istruttore della causa di opposizione. Dall’altro, il richiamato art. 175 cpc aveva fatto sorgere molte incertezze sul coordinamento fra la fase introduttiva della controversia e quella della trattazione. Con riferimento alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione: è venuta meno. A seguito dell’iscrizione a ruolo della causa, il presidente del tribunale nomina un magistrato appartenente a quello stesso ufficio, magistrato che non necessariamente è il giudice dell’esecuzione. Per quello che riguarda invece il passaggio dalla fase introduttiva a quella di trattazione: questo avviene attraverso la fissazione di un termine perentorio, entro il quale la parte interessata deve iscrivere la causa a ruolo e poi compiere un atto secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito. Atto introduttivo del giudizio: non dovrà necessariamente contenere una domanda, ma potrà contenerne di ulteriori. In sostanza, il legislatore, come per altre fattispecie, non ha voluto che la fase introduttiva speciale producesse per le parti alcun tipo di preclusione. E quindi il passaggio dalla fase introduttiva a quella di trattazione, da alle parti la possibilità di compiere tutte le attività che si possono normalmente compiere quando si propone una domanda. La legittimazione a proporre l’opposizione all’esecuzione spetta sempre all’esecutato = al debitore e al III proprietario. L’opposizione può essere, secondo opinione pacifica, 75 proposta anche in via surrogatoria ex art. 2900 cc da un creditore dell’esecutato nell’inerzia di quest’ultimo. Il creditore procedente è senz’altro la controparte dell’opposizione all’esecuzione: infatti l’opponente contesta il diritto a procedere a esecuzione forzata del creditore procedente. I creditori, già intervenuti quando viene proposta l’esecuzione, sono litisconsorti necessari solo se sono muniti del titolo esecutivo. Infatti, la rinuncia del creditore procedente è efficace incondizionatamente verso il creditore sprovvisto di titolo esecutivo, mentre questa rinuncia deve essere accertata dal creditore munito di titolo. Il creditore intervenuto quindi, che ha titolo esecutivo, è litisconsorte del creditore procedente nell’opposizione all’esecuzione, perché una sentenza che accogliesse l’opposizione solo verso il creditore procedente non sarebbe idonea a fermare l’esecuzione, che potrebbe andare avanti su impulso del creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo. Quindi il creditore intervenuto con titolo esecutivo è litisconsorte necessario del creditore procedente nel processo di opposizione all’esecuzione. Al contrario, il creditore che interviene senza titolo esecutivo, non ha poteri di spendere fino a che non vi è la distribuzione del ricavato. Per arrivare alla vendita c’è bisogno di atti di impulso processuale da parte di un creditore con titolo esecutivo. Il creditore senza titolo esecutivo in pratica fa solo una prenotazione sulla distribuzione del ricavato. È spettatore passivo, perché non ha il potere ne il diritto che quell’espropriazione prosegua. L’eventuale accoglimento dell’opposizione all’esecuzione pregiudica anche i creditori intervenuti, perché opera la chiusura del processo espropriativo anche nei loro confronti. I creditori intervenuti senza titolo esecutivo possono partecipare al processo di opposizione in via di intervento volontario, ma non vi è ragione perché debbano essere chiamati necessariamente a partecipare al processo di opposizione, in quanto dall’accoglimento dell’opposizione ricevono un pregiudizio non diverso da quello che a loro deriva da un atto di volontà del creditore procedente. Il processo di opposizione all’esecuzione è un ordinario processo di cognizione in cui si realizza un’inversione della iniziativa processuale. Mentre di solito, l’iniziativa processuale parte da chi afferma l’esistenza del diritto e ne richiede la tutela, nell’opposizione l’iniziativa processuale è di colui che nega l’esistenza del diritto. Art. 2967 cc che disciplina l’onere della prova: è applicato in base alla posizione sostanziale delle parti e non all’iniziativa processuale. È il creditore procedente, convenuto opposto, a dover dimostrare i fatti costitutivi del diritto ed è il debitore esecutato a dover dimostrare i fatti impeditivi, modificativi, estintivi del diritto del creditore. Talvolta questo può anche non accadere: la contestazione da parte dell’esecutato dell’esistenza del diritto del creditore procedente può imporre a costui l’onere della prova già in I battuta. In questi casi l’opposizione costituisce una provocatio ad probandum: l’esecutato nega ed il procedente deve provare i fatti negati. 76 Il creditore opposto può proporre una domanda riconvenzionale avente ad oggetto lo stesso diritto oppure un diritto connesso con quello di cui era stata richiesta la tutela esecutiva. Questo accade spesso con i titoli esecutivi stragiudiziali. L’accoglimento dell’opposizione, accompagnato dall’eventuale accoglimento della domanda riconvenzionale, non fa salva l’esecuzione. Il creditore procedente, soccombente alla domanda di opposizione, e vittorioso nella domanda riconvenzionale, può tutelarsi esecutivamente, ma deve iniziare da capo l’esecuzione; e qui il nuovo titolo esecutivo si forma solo al momento dell’accoglimento della domanda riconvenzionale. L’esecuzione in corso è caducata. La sentenza, che rigetta l’opposizione, afferma l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata; in coerenza con l’inversione dell’iniziativa processuale, questa sentenza equivale a quello che normalmente è l’accoglimento della domanda. L’accoglimento dell’opposizione ha un effetto costante: impedisce la prosecuzione del processo esecutivo e caduca gli effetti degli atti già compiuti. Per l’efficacia della sentenza di rigetto dell’opposizione il discorso è analogo: la dichiarazione di pignorabilità del bene e di efficacia del titolo esecutivo impediscono di risollevare, nello stesso processo esecutivo, la medesima questione ( salvo per le sopravvenienze di fatto e di diritto). La dichiarazione di esistenza del diritto, per il quale è stata richiesta la tutela esecutiva, ha l’efficacia preclusiva di una normale pronuncia di merito. 25. Opposizione agli atti esecutivi Opposizione agli atti esecutivi è lo strumento con cui si risolvono le controversie relative alla conformità degli atti del processo esecutivo alle prescrizioni normative che li disciplinano. Con l’opposizione agli atti non si contesta che l’esecuzione si debba fare, ma si rileva che si sta procedendo in modo sbagliato, in quanto uno o più atti del processo esecutivo sono nulli. Se l’esecuzione non si doveva svolgere perché non vi era il diritto sostanziale da tutelare, si rimedia rimettendo chi ha subito l’esecuzione nella situazione in cui si sarebbe trovato se l’esecuzione non si fosse svolta, operando le restituzioni e le integrazioni patrimoniali opportune. L’an dell’esecuzione è condizione esterna all’esecuzione stessa: il fatto che l’esecuzione si sia svolta e sia giunta al suo risultato non impedisce che ciò che ha ottenuto il creditore non debba essere restituito, se non era dovuto. Al contrario, se l’esecuzione si svolge male, se vi è un vizio, un errore all’interno del processo esecutivo, questo non è rimediabile al di fuori del processo stesso, salvo eccezioni come ex art. 2929 cc. Nel processo esecutivo nullo si verifica una distorsione degli effetti dell’esecuzione, che a causa del vizio, non sono più quelli voluti dal sistema. Sotto questo profilo, i vizi relativi al quomodo sono più gravi di quelli relativi all’an. I vizi relativi al quomodo, proprio perché interni al processo esecutivo, devono trovare un rimedio all’interno dello stesso processo esecutivo; quelli relativi all’esistenza del diritto da tutelare possono essere fatti valere con l’opposizione all’esecuzione ma, poiché sono 77 sull’opposizione agli atti non sono soggette a riserva di collegialità, ma vengono decise dallo stesso giudice dell’esecuzione in funzione di giudice unico. Si pone quindi il problema relativo all’elemento rilevante ai fini dell’individuazione del regime di impugnazione della sentenza che decide dell’opposizione, essendo appellabile quella che decide dell’opposizione dell’esecuzione e ricorribile in Cassazione quella che decideva una opposizione agli atti. È rilevante la qualificazione che dell’opposizione abbia dato il giudice che la decide: se egli, a ragione o torto, la qualifica come opposizione agli atti esecutivi, la sentenza è ricorribile in Cassazione; se invece la qualifica opposizione all’esecuzione, la sentenza è appellabile. La sentenza di rigetto dell’opposizione accerta la validità dell’atto esecutivo e ne produce la stabilità; ma nelle ipotesi di nullità extra formali la sentenza forma giudicato anche sul motivo posto a fondamento delle nullità dell’atto e che è stato ritenuto insussistente da parte del giudice dell’opposizione. La sentenza di accoglimento dichiara l’invalidità dell’atto opposto e accerta la sussistenza del motivo dell’invalidità di quell’atto. Se il motivo di invalidità dell’atto è tale che riguarda anche tutti gli atti successivi e impedisce la prosecuzione del processo esecutivo, l’accoglimento dell’opposizione determina così la chiusura del processo esecutivo. Se il vizio invece riguarda solo quel singolo atto, l’accoglimento comporta la caducazione di tutti i successivi atti che ne siano dipendenti. Nella II ipotesi niente impedisce che l’atto sia rinnovato e che il processo esecutivo riprenda dal punto in cui si è verificato l’atto viziato. Le nullità del processo esecutivo non possono essere fatte valere al di fuori del processo stesso. Per rimediare alla ingiustizia dell’esecuzione non c’è nessuna necessità di uno strumento specifico: bastano gli ordinari mezzi previsti dal diritto sostanziale. 26. L’opposizione di terzo L’opposizione di terzo trova applicazione quando il bene è legittimamente acquisito al processo esecutivo, ma gli effetti sostanziali non possono operare in relazione al bene pignorato, perché colui che subisce l’esecuzione non ha sul bene alcun diritto alienabile. La funzione specifica dell’opposizione di terzo è proprio quella di far valere eventuali possibili discrasie fra la situazione a rilevanza processuale che fonda l’oggetto del processo esecutivo e la realtà sostanziale che fonda l’oggetto dell’esecuzione. Nell’espropriazione terzo è colui, al quale il creditore non ha fatto assumere il ruolo di esecutato, rilevante ai sensi dell’art. 2919 cc. Quindi Il III è colui che non è esecutato, e come tale non risente degli effetti dell’espropriazione, che si producono nei confronti di colui che il creditore individua come esecutato. Il diritto del III, per essere opponibile al creditore procedente, può trovare la sua fattispecie costitutiva o in titolo d’acquisto originario o in un titolo d’acquisto derivato da un soggetto diverso dal debitore. Se infine il terzo è avente causa del debitore esecutato, il suo diritto deve essere opponibile al creditore procedente sulla base degli art. 2913 e 2915 cc. All’opposizione di III bisogna ricondurre anche le ipotesi, regolate dal II comma dell’art. 2915 cc, di conflitto fra la trascrizione di una domanda giudiziale e la trascrizione di un pignoramento. 80 L’attore, che voglia vedere riconosciuto il suo diritto nei confronti non solo del convenuto, ma anche verso il creditore, deve proporre la domanda nelle forme dell’opposizione di III. È questo l’unico modo con cui l’attore può istaurare il contradditorio nei confronti dell’esecuzione e l’instaurazione del contradditorio è indispensabile per ottenere una sentenza efficace verso il creditore e quindi verso l’aggiudicatario. Quindi, anche se il dante causa ha acquistato in base ad un titolo nullo, annullabile , rescindibile, risolubile, il verificarsi di una fattispecie di salvezza fornisce il sub acquirente di un titolo preferenziale rispetto al primo dante causa, così che costui non può riavere indietro il bene in pregiudizio del sub acquirente, ma deve accontentarsi del risarcimento del danno nei confronti del primo acquirente. Quindi, il rischio della insolvenza del I acquirente, è a carico del primo alienante. L’attore, quando si accorge che è già stato trascritto un pignoramento, per superare il principio dei limiti soggettivi di efficacia della sentenza, deve estendere il contraddittorio al creditore procedente, così da ottenere una pronuncia che faccia stato anche nei suoi confronti, in quanto parte del processo e non più III. Se non che, nei confronti di un avente causa per atto di diritto sostanziale, l’estensione del contradditorio è semplice tecnicamente: basta realizzare un litisconsorzio facoltativo passivo o chiamare in causa il sub acquirente. Ma se l’avente causa è un creditore pignorante, l’estensione del contradditorio con le tecniche consuete non è possibile perché l’esecuzione non è un soggetto di diritto e non esiste chi possa stare in giudizio in nome e per suo conto dell’esecuzione, come invece accade nel fallimento. Qui occorre creare il contradditorio all’interno del processo esecutivo: si utilizza l’opposizione di terzo e si propone la domanda non con una citazione notificata al debitore, ma con un ricorso al giudice dell’esecuzione. Si mantiene identico il contenuto e si cambia solo la forma dell’atto. I diritti di restituzione sorgono sulla base della seguente fattispecie: la controparte ha avuto il bene in attuazione di un rapporto; il rapporto è venuto meno per una causa patologica o fisiologica. Venuto meno il titolo che ha fondato l’attribuzione del godimento del bene, nasce l’obbligo speculare di restituzione. Il vantaggio dei diritti di restituzione consiste nell’esonerare l’attore dell’onus probandi della proprietà: questa è una probatio diabolica prchè occorre dimostrare che, a favore dell’attore o dei suoi danti causa, si è verificato un acquisto a titolo originario. Le azioni di restituzione sono azioni personali = si possono far valere solo verso soggetti che sono legati al vincolo contrattuale. Questo significa che l’esecuzione non ha un possesso idoneo a escludere l’esperibilità dell’azione di restituzione, perché non è un terzo divenuto possessore del bene, nei cui confronti non si può far valere un diritto di restituzione; l’esecuzione conserva semplicemente il possesso del bene così come si trovava in capo all’esecutato; quindi, se l’opponente ha un’azione di restituzione nei confronti dell’esecutato, può farla valere anche nei confronti del creditore procedente e dell’esecuzione in genere. Ma può farla valere anche nei confronti dell’aggiudicatario, in quanto questo è a tutti gli effetti un terzo 81 che è divenuto possessore del bene e quindi nei suoi confronti si rende necessaria la rivendicazione. L’art. 619 cpc non va interpretato alla lettera: è sufficiente far valere anche un diritto di restituzione, poiché dal punto di vista sostanziale questo diritto non è in contrasto con gli effetti del pignoramento, in quanto il possesso del bene è sì tolto dall’esecutato, ma è conservato dall’esecuzione e non è acquisito da alcuno che possa opporre ciò che invece può opporre il terzo che possiede il bene nei confronti di un’azione di restituzione. Nonostante l’art. 619 cpc non lo preveda espressamente, l’opposizione di III deve anche avere una ulteriore caratteristica: il diritto, sul quale il terzo fonda la sua opposizione, deve essere incompatibile con il diritto oggetto del pignoramento. Quindi l’incompatibilità va intesa in senso ampio: non solo l’incompatibilità assoluta ma anche possibilità per il terzo di far effettuare la vendita del bene specificando l’esistenza del suo diritto. Quando la vendita forzata determina un acquisto a titolo derivativo, l’aggiudicatario non è investito di diritti maggiori di quelli che spettavano all’esecutato. Tuttavia, le azioni di restituzione, che possono fondare l’opposizione di terzo, non possono essere fatte valore nei confronti dell’aggiudicatario: infatti, l’azione di restituzione che prima della vendita può essere fatta valere con l’opposizione di terzo, viene meno una volta che il possesso del bene è acquisito dall’aggiudicatario e ciò costringe il terzo ad una azione di rivendicazione contro l’aggiudicatario, con i connessi più gravosi oneri probatori. Quindi, a fronte di un acquisto a titolo derivativo, l’opposizione di terzo ha 2 funzioni: una generica e costante funzione preventiva ( il terzo vuole che non si proceda alla vendita di un diritto che appartiene a lui e non al debitore esecutato) e una più specifica ed eventuale funzione di consentire l’utilizzo della più semplice e comoda azione di restituzione, piuttosto che di quella più onerosa azione reale che si renderebbe necessaria nei confronti dell’acquirente in vendita forzata. Diversamente accade quando la vendita forzata ha natura di acquisto a titolo originario perché qui l’acquirente in vendita forzata acquista anche i diritti che non spettavano all’esecutato. Con l’opposizione ex art. 619 cpc il terzo non contesta il diritto a procedere ad esecuzione forzata; per il terzo è assolutamente indifferente che il pignorato sia debitore, che il creditore procedente abbia un titolo esecutivo; a lui non interessa contestare la sussistenza delle condizioni per procedere ad esecuzione; al terzo interessa l’altro diritto coinvolto nell’espropriazione = la sussistenza nel patrimonio dell’esecutato del diritto che è oggetto di esecuzione. In sostanza, il terzo non vuole impedire l’esecuzione, ma sottrarre ad essa i beni sui quali vanta un diritto incompatibile con l’esecuzione stessa. L’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. Infatti essa è necessariamente successiva al pignoramento, in quanto prima del pignoramento il terzo non può lamentare alcun pregiudizio, visto che non sono ancora stati individuati come appartenenti alla responsabilità patrimoniale del debitore, beni che invece non ne fanno parte. Presentato il ricorso, il giudice dell’esecuzione fissa con decreto l’udienza di 82
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