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Il processo esecutivo, ne “diritto processuale civile” vol. II di Luiso, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

Riassunto de "Il processo esecutivo" a cura di F.P.Lusio

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

Caricato il 23/03/2014

kiaravai
kiaravai 🇮🇹

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Scarica Il processo esecutivo, ne “diritto processuale civile” vol. II di Luiso e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Diritto dell'esecuzione civile Il processo esecutivo, ne “diritto processuale civile” vol. II di Luiso Il diritto di azione e di difesa previsti e garantiti dall’art. 24 Cost., comprendono anche la tutela esecutiva: laddove ci si trovi di fronte ad obblighi di comportamento che rimangono disattesi e che sono funzionali alla soddisfazione del titolare dell’interesse protetto si avrà la tutela giurisdizionale nella forma di esecuzione forzata. All’inadempimento dell’obbligato si può reagire, in sede giurisdizionale esecutiva, con: 1. esecuzione diretta: si ha tutte le volte in cui l’inerzia dell’obbligato è sostituita dall’attività dell’ufficio esecutivo, il quale si attiva in luogo dell’inadempiente, compiendo ciò che quest’ultimo avrebbe dovuto fare, e facendo conseguire all’avente diritto l’utilità che gli spetta secondo il diritto sostanziale. Questa tecnica di tutela non è utilizzabile in presenza di obblighi infungibili, per cui per il titolare del diritto non è indifferente che la prestazione provenga personalmente dall’obbligato, oppure da un terzo. L’esecuzione diretta deve diversamente strutturarsi a seconda del tipo di comportamento che deve sostituire => tre diverse tecniche di tutela esecutiva diretta: • espropriazione forzata per i crediti di denaro • esecuzione per consegna o rilascio, per il trasferimento del potere di fatto su beni mobili o immobili • esecuzione per obblighi di fare o non fare, per tutti i comportamenti diversi da due precedenti e siano fungibili 2. esecuzione indiretta: si ha in presenza di obblighi infungibili per cui si deve indurre l’obbligato ad adempiere. Ciò si può ottenere prevedendo che l’obbligato inadempiente vada incontro a conseguenze negative per lui più onerose dell’adempimento, che possono essere civili o penali: • si ha esecuzione indiretta con misure coercitive civili quando sia previsto che a cari o dell’inadempiente, una volta verificatisi i presupposti della tutela esecutiva, sorge l’obbligo di pagare una certa somma di denaro, stabilita dal legislatore, per ogni ulteriore periodo di inerzia o per ogni ulteriore violazione del dovere di astensione. Il beneficiario delle somme versate può essere lo Stato oppure la controparte • si ha esecuzione indiretta con misure coercitive penali quando sia previsto che, verificatisi i presupposti della tutela esecutiva, gli ulteriori inadempimenti dell’obbligato integrano un’ipotesi di reato. Nel processo esecutivo non è rilevante accertare se esiste o meno il diritto: si presuppone che il diritto esista e che abbia bisogno di tutela esecutiva. Le caratteristiche peculiari dell’azione esecutiva sono: • unilateralità: non vi è contraddittorio • non esclusività: sullo stesso bene possono svolgersi molteplici azioni a parità di diritti • presupposto si un requisito formale: il titolo esecutivo Il titolo esecutivo è presupposto fondamentale per il processo esecutivo ex art. 474 I comma c.p.c.: “l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un credito certo, liquido ed esigibile”. Senza il titolo esecutivo non è possibile iniziare l’esecuzione: esso è la fattispecie da cui nasce la tutelabilità esecutiva del diritto sostanziale (un titolo esecutivo è ad esempio la sentenza di condanna). Il titolo esecutivo deve sorreggere tutto quanto il processo esecutivo, permanendo per tutta la sua durata. Il diritto sostanziale per avere esecuzione deve essere: • certo: non vi sono dubbi sulla sua esistenza; consiste nell’individuazione del bene oggetto dell’intervento esecutivo e del fare che deve essere compiuto • liquido: determinato nel suo ammontare • esigibile: non sottoposto a condizione né termine. Un’ipotesi di non esigibilità è prevista dall’art. 478 c.p.c.: quando l’efficacia del titolo esecutivo è subordinata alla prestazione di una cauzione, il giudice può emettere un provvedimento che ha efficacia esecutiva, subordinando l’esecutività dello stesso al fatto che il creditore presti una cauzione, e l’esecuzione forzata non può iniziare finchè la cauzione non è prestata. L’art. 474 II comma c.p.c. elenca i titoli esecutivi, suddividendoli in tre categorie: 1. titoli giudiziali: sentenze, provvedimenti e altri atti cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva (sentenze di condanna, verbali di conciliazione, decreti ingiuntivi, licenze e sfratti convalidati) 2. scritture private autenticate e titoli di credito (cambiali, assegni e altri titoli a cui la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia). Le scritture private autenticate costituiscono titolo esecutivo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute, e sono quindi titoli esecutivi solo per l’espropriazione. I titoli di credito invece sono titoli esecutivi solo se in regola con il bollo fin dal momento della loro emissione 3. atti ricevuti da notaio o da altri pubblici ufficiale autorizzati dalla legge a riceverli. L’atto pubblico costituisce titolo esecutivo anche in relazione all’esecuzione per consegna e rilascio. Altre fattispecie di titoli esecutivo sono previste espressamente dal legislatore, qua e là. Quelle di particolare interesse sono: 1. conciliazione stragiudiziale, procedimento volto a favorire una soluzione negoziale della controversia: l’accordo raggiunto in sede conciliativa ha efficacia esecutiva 2. fattispecie prevista dal d.lgs. 124/2004: ove il personale delle direzioni provinciali del lavoro, in occasione dello svolgimento della loro attività di vigilanza, verifichi l’inosservanza, da parte del datore di lavoro, di disposizione da cui scaturisce la sussistenza di crediti a favore del lavoratore, diffida il datore di lavoro a corrispondere quanto dovuto. Tale diffida, decorsi 30 gg senza che sia stato trovato un accordo tra datore e lavoratore, acquista efficacia di titolo esecutivo a favore del lavoratore per le somme ivi indicate. In generale il legislatore attribuisce efficacia esecutiva all’atto, quando ritiene che il diritto in esso contenuto sia meritevole di tutela esecutiva. Bisogna chiarire che il titolo esecutivo non è oggetto dell’esecuzione, ma la fattispecie in presenza della quale si ha l’azione esecutiva. Quindi oggetto della tutela esecutiva non è il titolo esecutivo, bensì il diritto sostanziale da tutelare. L’esistenza del titolo esecutivo è condizione sufficiente per la tutela esecutiva. La fattispecie prevista dall’art. 474 c.p.c. produce da sola il seguente effetto giuridico: il titolare della situazione sostanziale, descritta nel titolo esecutivo, ha il diritto di rivolgersi all’ufficio esecutivo e l’ufficio esecutivo ha il dovere di porre in essere la propria attività, di svolgere la propria funzione a tutela della situazione sostanziale indicata nel titolo. L’esistenza di questo effetto però non incide sulla liceità dell’esecuzione forzata sul piano del diritto sostanziale, ma è necessaria l’effettiva esistenza del diritto da tutelare: l’ufficio esecutivo non può rifiutare la propria attività dinanzi ad una richiesta di tutela esecutiva, anche quando si sta commettendo un illecito nei confronti di controparte, ma quanto l’ufficio compie costituisce un illecito di cui risponde chi ha chiesto all’ufficio di intervenire. Dobbiamo ora distinguere la nozione di titolo esecutivo in: 1. senso sostanziale: si intende la fattispecie da cui sorge l’effetto giuridico di rendere tutelabile in via esecutiva una situazione sostanziale protetta, in presenza della quale il titolare ha diritto all’intervento degli organi giurisdizionali, che hanno l’obbligo di attivarsi 2. senso documentale: è un documento che rappresenta in modo non completa la fattispecie del diritto a procedere ad esecuzione forzata (nel caso di scritture private autenticate e titoli di presupposti per la concessione della tutela stessa: il processo esecutivo vede solo due possibili risposte alla domanda di emanazione della misura esecutiva: o l’emissione o il rifiuto della misura richiesta • la forma delle misure giurisdizionali è diversa a seconda che la risposta dell’ufficio esecutivo sia positiva (emette la misura coercitiva con la forma prevista dalla legge: pignoramento, ordinanza di vendita ecc..) o negativa (si avrà un non provvedimento) • nel caso in cui l’interessato lamenti del comportamento dell’ufficio esecutivo sostenendo l’illegittimità del rifiuto o concessione della misura coercitiva, la relativa controversia non potrà mai essere decisa in processo esecutivo, ma si aprirà un processo di cognizione incidentale • presupposti processuali sono gli stessi del processo di cognizione: in caso di carenza i vizi processuali possono essere rilevati fino alla prima udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione (in espropriazione forzata questa è l’udienza in cui si decide la vendita o l’assegnazione del bene; nell’esecuzione per obblighi di fare o non fare è l’udienza fissata a seguito del ricorso). Al di là dei casi espressamente previsti la carenza di un presupposto processuale può essere rilevato anche d’ufficio senza limiti di tempo • l’ufficio esecutivo esamina anche la nullità dei singoli atti del processo: nel processo esecutivo tale cognizione non ha natura decisoria, ma è strumentale a stabilire se emettere o meno la misura esecutiva • nel processo esecutivo le questioni non sono decise, ma delibate per orientare l’azione dell’ufficio esecutivo, senza che ciò costituisca attività decisoria. Occorre quindi uno strumento per decidere le contestazioni relative alla correttezza dell’operato dell’ufficio esecutivo, che l’ordinamento individua nell’opposizione agli atti del processo esecutivo, ovvero un processo di cognizione che ha come oggetto l’accertamento della validità dell’atto esecutivo e nel quale sono decise quelle stesse questioni che nel processo esecutivo sono state affrontate per stabilire se emettere o meno la misura esecutiva. Si apre così un processo dichiarativo dove si discute della validità dell’atto esecutivo e si decide la questione che è già stata delibata in via incidentale dall’ufficio esecutivo • non avendo l’ufficio esecutivo mai il potere di valutare l’esistenza della situazione sostanziale di cui si chiede la tutela, l’esecutato non può sollevare all’interno del processo esecutivo, contestazioni circa l’esistenza di tale diritto, ma deve farlo al di fuori di tale processo proponendo opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: nel processo esecutivo sono rilevanti solo le questioni relative a come tutelare la situazione sostanziale, attuando sempre e cmq il principio del contraddittorio e garantendo il diritto alla difesa. Per ritenere rispettato il principio del contraddittorio è necessario che le parti possano interloquire su ciò che è rilevante per l’attività dell’ufficio esecutivo, cioè sulle attività da compiere per impartire la tutela. Ex artt. 485-487 c.p.c., che regolano le domande e le istanze che si propongono al giudice dell’esecuzione e i provvedimenti del giudice, l’ordinamento prevede che l’ufficio esecutivo debba sentire le parti prima di emettere la misura. L’audizione avviene mediante avviso di fissazione della relativa udienza da parte del giudice: se risulta che una delle parti avvertite non è comparsa per cause indipendenti dalla sua volontà, il giudice fissa una nuova udienza e dispone che il provvedimento sia comunicato alla parte non comparsa • l’art. 486 c.p.c. dispone che le domande delle parti si propongono con ricorso da depositare in cancelleria o oralmente nel verbale di udienza • l’art. 487 c.p.c. prevede che i provvedimenti del giudice dell’esecuzione abbiano forma di ordinanza, che può essere modificata e revocata fino a che non abbia avuto inizio l’esecuzione. • competenza (artt. 9-26 c.p.c.): 1. n senso verticale, per l’esecuzione forzata è competente sempre il tribunale 2. in senso orizzontale, territorialmente competente è: • per espropriazione immobiliare o mobiliare è il giudice del luogo dove si trova il bene • per l’espropriazione presso terzi è il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore • per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e non fare è il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto • per l’esecuzione forzata per consegna e rilascio il giudice dove si trovano i beni L’incompetenza è rilevabile d’ufficio e dall’ufficiale giudiziario • composizione: uno o più giudici ai quali vengono attribuite le mansioni del giudice di esecuzione, e il cancelliere Vediamo ora le tre tecniche di esecuzione diretta. • Espropriazione forzata: è il processo con cui si tutelano esecutivamente i crediti relativi a somme di denaro, disciplinato dal Titolo II del libro III. Il fondamento dell’espropriazione non sta nel c.p.c. ma nel c.c., in particolare negli artt.: 1. 2740 c.c. per cui il debitore dispone dei suoi beni 2. 2910 c.c. per cui il creditore può far espropriare i beni del debitore Il processo di espropriazione forzata è il più complesso di tutti, perché passa necessariamente attraverso tre momenti indispensabili non sostituibili: 3. individuazione e conservazione dell’elemento attivo del patrimonio del debitore, funzione svolta dal primo atto dell’espropriazione che è il pignoramento 4. trasformazione del diritto pignorato: l’elemento attivo deve essere liquidato, e quindi trasformato in una somma di denaro 5. distribuzione del ricavato: il diritto del debitore, oggetto del pignoramento, è liquidato. Siccome gli elementi attivi circolano in modo diverso sul piano del diritto sostanziale, ne consegue che l’esecuzione si deve adattare al diverso modo di circolazione. Il nostro ordinamento conosce tre modi di circolazione: • diritti sui beni mobili, espropriazione forzata per i beni mobili • diritti sui beni immobili, espropriazione forzata per i beni immobili • diritti di credito, espropriazione forzata per i crediti Sono previste altre due forme speciali di espropriazione per ipotesi particolari: • quando oggetto dell’esecuzione è la contitolarità di un diritto su un bene, si ha l’espropriazione di beni indivisi • quando si realizza la responsabilità senza debito, allorchè il terzo risponde con beni propri di un debito altrui, si ha l’espropriazione contro il terzo proprietario, esecutato ma non debitore. Prima fase: individuazione e conservazione dell’elemento attivo del patrimonio del debitore, funzione svolta dal primo atto dell’espropriazione che è il pignoramento Ex art. 491 c.p.c. il pignoramento è l’atto iniziale dell’espropriazione forzata. Con esso si individuano e si conservano i diritti del debitore sottoposti ad espropriazione. Dovendosi adattare ai diversi modi di circolazione dei diritti, esistono tre forme di pignoramento: • mobiliare • immobiliare • di crediti L’art. 492 c.p.c. è stato profondamente riformato dalla riforma del 2006, e tratta del pignoramento in generale: • primo comma: indica l’elemento comune a tutti i pignoramenti, ovvero l’ingiunzione, che l’ufficiale giudiziario fa all’esecutato nelle forme volta per volta previste dalle singole forme di pignoramento (oralmente o mediante atto a lui notificato) di astenersi dal compiere qualunque atto, diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni pignorati e gli eventuali frutti di essi • secondo comma: prevede che con l’atto di pignoramento, l’ufficiale giudiziario debba invitare il debitore ad effettuare, presso la cancelleria del tribunale, la dichiarazione di residenza o l’elezione del domicilio in un comune del circondario del tribunale stesso. Tale dichiarazione corrisponde ad una costituzione in giudizio, la mancata dichiarazione quindi alla contumacia. In caso di mancata dichiarazione e laddove il debitore risulti irreperibile le successive notificazioni e comunicazioni gli saranno effettuate in cancelleria. • quarto/quinto comma: introducono il dovere del debitore di manifestare il proprio patrimonio. Il presupposto perché tale dovere divenga attuale è costituito dalla insufficienza dei beni pignorati, o dalla lunga durata della loro liquidazione: quando ciò accade, l’ufficiale giudiziario invita il debitore a rendere nota l’esistenza di altri beni pignorabili, indicando il luogo in cui si trovano se beni mobili, e le generalità del terzo debitore se crediti; l’omessa o falsa dichiarazione costituisce illecito penale. Se il debitore risponde positivamente all’invito, dichiarando l’esistenza di tali beni, il pignoramento si considera fin da quel momento efficace nei suoi confronti agli effetti penale ed anche della custodia. Per il perfezionamento del pignoramento, e quindi per la sua opponibilità ai terzi, è tuttavia necessario procedere al compimento delle attività volta per volta previste dalle varie forme di pignoramento • sesto comma: prevede la stessa disciplina del quarto/quinto comma se i beni pignorati divengono insufficienti per l’intervento di altri creditori • settimo comma: introduce un altro meccanismo per il reperimento dei beni pignorabili. Il creditore procedente può chiedere all’ufficiale giudiziario di effettuare ricerche presso l’anagrafe tributaria e le altre banche dati pubbliche. La richiesta è possibile anche per più esecuzioni • ottavo comma: introduce una speciale forma di ispezione per gli imprenditori commerciali. Sempre su istanza del creditore procedente, ed a sue spese, l’ufficiale nomina un professionista che esamina le scritture contabili, e redige una relazione che il professionista trasmette all’ufficiale giudiziario ed al creditore istante: se dalla relazione risultano elementi attivi che il debitore non aveva dichiarato le spese sono a carico del debitore stesso. Analizziamo ora le tre forme di pignoramento: 1. pignoramento mobiliare: ex artt. 513 e ss la richiesta di effettuare il pignoramento mobiliare è fatta dal creditore procedente all’ufficiale giudiziario in forma libera, che di solito è orale. Oggetto del pignoramento sono i diritti che sul bene appartengono al debitore esecutato: pignorabile è il diritto di proprietà e qualunque altro diritto reale minore che abbia il carattere della trasferibilità. Non è necessario accertare previamente che il debitore abbia la proprietà del bene, ma bisogna verificare l’appartenenza: tutte le volte in cui l’appartenenza non coincide con la proprietà del bene, diviene utilizzabile l’opposizione di terzo. Dobbiamo distinguere tra: • oggetto dell’esecuzione, che è la titolarità in capo all’esecutato, di un diritto trasferibile sul bene pignorato • oggetto del processo esecutivo, che è invece l’appartenenza del bene. L’art. 513 c.p.c. ci fornisce la definizione di appartenenza, e disciplina il pignoramento veramente debitore di quella somma. Se il terzo effettua una dichiarazione conforme a quanto affermato dal creditore, il pignoramento si perfeziona e si consolidano quegli effetti che si erano provvisoriamente prodotti con la notifica dell’atto stesso; se il terzo non si presenta, o presentandosi tace, oppure nega di essere debitore, o cmq fa una dichiarazione che non corrisponde a quanto affermato dal creditore nell’atto di pignoramento, si deve procedere all’accertamento dell’esistenza del credito pignorato, altrimenti il pignoramento perde gli effetti • altro credito (non di lavoro subordinato): l’udienza di comparizione deve essere ugualmente fissata, anche se il terzo è stato invitato a rendere la dichiarazione mediante lettera, e quindi non ha necessità di essere presente. Quindi, se il creditore riceve dal terzo la raccomandata, nella quale quest’ultimo rende una dichiarazione conforme a quanto contenuto nell’atto di pignoramento, egli all’udienza produce la lettera, e il processo esecutivo può andare avanti, in quanto il pignoramento è perfezionato. Se, viceversa, il creditore non riceve risposta dal terzo, oppure riceve risposta insoddisfacente, all’udienza dovrà proporre la domanda ex art. 548 c.p.c.: se non lo fa il pignoramento perde effetti. Quindi, il pignoramento dei crediti è una fattispecie in formazione progressiva: gli effetti si producono provvisoriamente dal momento della notificazione dell’atto, e sono condizionati al perfezionamento della fattispecie, e se questa non si perfeziona, gli effetti sono eliminati retroattivamente. Per quanto riguarda l’appartenenza, nell’espropriazione dei crediti, il pignoramento si perfeziona sulla base della dichiarazione del terzo debitore, il cui accertamento è equivalente a quello che deriva dalla sentenza. Se manca la dichiarazione del terzo si deve procedere con l’accertamento giudiziale dell’effettiva esistenza del diritto pignorato. Ex art. 548 c.p.c., il giudice procede ad accertamento giudiziale non d’ufficio, ma su istanza di parte: la domanda di accertamento ha per oggetto il diritto di credito del debitore verso il terzo, o la proprietà in capo al debitore del bene mobile in possesso del terzo. Tale istanza è proposta dal creditore procedente o da eventuali altri creditori intervenuti nel processo e legittimati in quanto muniti di titolo esecutivo. Il debitore esecutato, che si vede contestata o non riconosciuta l’esistenza di un suo diritto da parte del terzo, non può proporre domanda in questa sede, ma può farlo separatamente in un processo autonomo. Il pignoramento individua e conserva il diritto pignorato per adibirlo alla tutela del creditore procedente. Se oggetto dell’accertamento è l’esistenza del diritto di credito con riferimento alla data del pignoramento, spetta al creditore dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi del credito e al terzo debitore l’esistenza dei fatti modificativi, impeditivi ed estintivi del proprio debito, e se tali fatti dipendono da atti di disposizione o pagamenti, devono essere anteriori alla data di pignoramento. Siccome da quella data il diritto si è autonomizzato, rispetto a tali atti dispositivi il creditore pignorante è terzo, quindi per dimostrare l’esistenza di tali fatti attraverso scritture private, il terzo deve dimostrare che tali atti hanno data certa anteriore alla notifica di pignoramento. Lo stesso vale per la quietanza. La sentenza che accerta l’esistenza del diritto pignorato ha tale oggetto: il creditore pignorante ha validamente costituito oggetto del processo di espropriazione la situazione creditoria tra debitore esecutato e terzo debitore. Tale sentenza non accerta, con efficacia anche nei rapporti tra il debitore esecutato ed il terzo debitore, l’esistenza del diritto di credito: il fatto estintivo è in opponibile al creditore, ma è pienamente efficace verso il debitore esecutato. Se dopo la sentenza di accertamento, per una qualunque ragione il credito pignorato no viene liquidato, l’ex esecutato non può chiedere al suo debitore l’adempimento, fondandosi sulla sentenza che ha accertato l’esistenza del credito, perché quel fatto estintivo, che il giudice non ha potuto considerare nel processo in quanto in opponibile al creditore, è pienamente opponibile al debitore: la sentenza quindi non forma giudicato tra debitore esecutato e terzo debitore. Vediamo ora gli effetti del pignoramento. Il pignoramento ha lo scopo di impedire che la circolazione del diritto pignorato pregiudichi il creditore che effettua il pignoramento. I suoi effetti sono disciplinati dai seguenti articoli del c.c.: • ex art. 2912 c.c. il pignoramento comprende le pertinenze, gli accessori e i frutti del bene pignorato: i frutti maturati dopo il pignoramento vengono acquisiti all’esecuzione. Sappiamo però nel pignoramento dei beni immobili è possibile che il pignoramento cada su beni di cui l’esecutato non abbia il possesso, dato che il pignoramento immobiliare non presuppone che il bene immobile sia posseduto dall’esecutato: in tal caso l’non è applicabile l’art. 2912 e gli eventuali frutti continuano ad essere percepiti dall’effettivo possessore del bene in questione. Quindi se il bene immobile pignorato è in possesso dell’esecutato, si applicano le norme sulla 10 custodia: il debitore diviene custode del bene coi relativi obblighi dell’art. 2912, e i frutti maturati dopo il pignoramento sono percepiti solo materialmente dall’esecutato che non può farli propri ma conservali nell’interesse dell’esecuzione. Se il bene pignorato è posseduto da terzi al momento del pignoramento, allora il debitore esecutato non può diventare custode, perché non ne ha originariamente il possesso, e i frutti non possono essere da lui percepiti in quanto non possessore, il debitore esecutato, possessore del bene al momento del pignoramento perde il possesso del bene: se ne mantiene la disponibilità materiale, ciò avviene a titolo di custodia. • ex art. 2913 c.c., gli atti di alienazione dei beni pignorati non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e degli eventuali creditori che intervengano nell’esecuzione. Vi è però un’eccezione: il possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri. Il debitore esecutato può far nascere a favore di un terzo, a titolo orinario, un diritto sul bene pignorato sulla base della regola del 1153 c.c. (acquisto in buona fede di beni mobili). Il terzo acquirente del bene mobile pignorato che riceve il possesso in buona fede, acquista un diritto che è opponibile anche al creditore procedente, e che travolge gli effetti del pignoramento. L’atto di alienazione del bene pignorato trasferisce efficacemente la proprietà sul piano sostanziale erga omnes, anche nei confronti del creditore procedente, ma tale trasferimento non è idoneo a fondare un’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c.: se l’acquirente del bene pignorato fonda la sua opposizione su un atto di disposizione inefficace ex art. 2913 rispetto al creditore, l’opposizione deve essere rigettata. L’art. 2913 estende l’inopponibilità degli atti di disposizione del bene pignorato anche ai creditori che intervengono nell’esecuzione. Ex art. 2913 c.c. oggetto dell’espropriazione rimane cmq il diritto del debitore, non quello dell’acquirente del bene pignorato. • l’art. 2914 c.c. costituisce l’applicazione dell’art. 2913 c.c.: individua i criteri per risolvere il conflitto tra l’esecuzione e gli aventi causa del debitore esecutato, cioè coloro che abbiano acquistato diritti sul bene pignorato, e quindi fornisce le regole della priorità tra l’atto di pignoramento e l’atto di alienazione: 1. se prioritario è l’atto di pignoramento, si verifica l’inefficacia ex art. 2912 2. se prioritario è l’atto di alienazione, si applica la regola dell’efficacia dell’atto di alienazione nei confronti del creditore procedente, e quindi l’acquirente prevale sul creditore, salvo l’esperimento da parte di quest’ultimo in separata sede, delle azioni di tutela del creditore (revocatoria, simulazione…) L’art. 2914 c.c. prevede quattro fattispecie che risolvono il conflitto tra creditore procedente e terzo acquirente dal debitore esecutato: 1. con riferimento ai beni immobili, si stabilisce che tra l’avente causa del debitore esecutato e il creditore pignorante prevale colui che per primo ha trascritto, rispettivamente, l’atto di acquisto o il pignoramento 2. nell’ipotesi in cui oggetto di pignoramento è un credito che sia stato ceduto da parte del debitore esecutato ad un terzo, il conflitto tra creditore pignorante e il cessionario si risolve sulla base della priorità tra pignoramento e notificazione della cessione al debitore ceduto, o l’accettazione della cessione da parte di costui con atto di data certa 3. in caso di doppia alienazione di universalità di mobili, il creditore procedente è equiparato ad un avente causa del debitore esecutato, in quanto si applica il criterio generale dell’atto di data certa anteriore 4. per quanto riguarda il conflitto tra il creditore pignorante e l’acquirente di un bene mobile dal debitore esecutato, colui che ha acquistato il bene mobile dal debitore prevale sul creditore procedente in due casi: • se ha conseguito in buona fede il possesso del bene prima del pignoramento (piena applicazione dell’art. 1155 c.c.) • se il suo acquisto risulta da un atto di data certa anteriore al pignoramento • l’art 2915 I comma c.c. dispone che se sul diritto acquistato grava un vincolo di indisponibilità, se il vincolo è trascritto prima della trascrizione dell’atto di acquisto, il vincolo prevale sull’atto di acquisto (beni immobili o mobili registrati); se invece è trascritto prima l’atto di acquisito e poi il vincolo di indisponibilità, allora prevale il primo sul secondo. In caso di beni mobili o universalità di mobili è invece rilevante l’atto di data certa anteriore. L’art. 2915 II comma, dispone che non hanno effetto atti e domanda per la cui efficacia rispetto ai terzi è richiesta la trascrizione, se essi sono trascritti successivamente al pignoramento. Quindi l’eventuale opposizione di terzo sarà rigettata. • dall’art. 2916 ricaviamo due principi: 1. il pignoramento congela le ragioni di prelazione dei vari creditori: nella distribuzione del ricavato si tiene conto solo delle ragioni di prelazione esistenti alla data del pignoramento, quelle sorte dopo il pignoramento non sono opponibili alla massa dei creditori 2. il pignoramento non effettua il blocco dei crediti, i quali possono essere fatti valere all’interno del processo di espropriazione anche se sorti dopo il pignoramento • quando oggetto del pignoramento è un credito, il terzo debitore è obbligato a non adempiere nei confronti del debitore esecutato. Se il terzo adempie nonostante l’intervenuto pignoramento, ex art. 2917 c.c., il pagamento non è opponibile al creditore procedente, ed il terzo debitore è obbligato a corrispondere ugualmente la somma una seconda volta all’esecuzione forzata Analizziamo ora una serie di istituti che si collocano tra il pignoramento e la vendita forzata. • pignoramento congiunto: ex. Art. 493 I comma c.p.c. ci può essere un’unica istanza di pignoramento e un solo atto di pignoramento a tutela di più creditori, anche sulla base di titoli esecutivi diversi, le eventuali nullità inerenti alla fase del pignoramento si verificano per tutti • unione di pignoramenti: ex art. 523 c.p.c. si ha unione quando più ufficiali giudiziari, separatamente richiesti, si trovano congiuntamente ad effettuare un pignoramento mobiliare. Si ha la stessa disciplina del pignoramento congiunto • pignoramento successivo: ex art. 493 II comma c.p.c. (per espropriazione mobiliare), art. 550 (per espropriazione di crediti), art. 561 (per espropriazione immobiliare). Si può avere in tutti i casi in cui l’atto di pignoramento è caducato per vizio proprio, o per carenza originaria di titolo esecutivo, o se il titolo esecutivo su cui è stato fatto il pignoramento venga meno con efficacia ex tunc. Nel caso in cui abbiamo un atto di pignoramento da parte del creditore Caio, seguito da intervento nell’esecuzione di Sempronio e poi dalla vendita del bene pignorato da parte di Tizio, e il pignoramento sia caducato perché dichiarato nullo, oppure perché Caio non era del ricavato solo se verificano le condizioni previste dall’art. 499 VI comma e, pur partecipando all’espropriazione, non ha il potere di compiere gli atti necessari per farla procedere verso la liquidazione del bene pignorato • gli artt. 526-564 stabiliscono che i creditori intervenuti partecipano all’espropriazione e se muniti di titolo esecutivo possono provocarne i singoli atti (di cui il più importante è l’istanza di vendita, che deve essere effettuata in un termine non inferiore a 10 gg e non superiori a 90 gg dal pignoramento, in mancanza della quale il processo esecutivo si estingue) L’intervento dei creditori trova il suo fondamento negli artt. 2740 (il debitore risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri) -2741 (i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione: privilegio, pegno, ipoteca) c.c., l’unico meccanismo di distinzione tra i creditori sono le ragioni di prelazioni. Fino alla riforma del 2006 tutti i creditori avevano la possibilità di intervenire nell’esecuzione aperta da uno di essi, per chiedere la soddisfazione del proprio diritto sulla base delle regole previste dal diritto sostanziale. L’art. 499 I comma c.p.c., così come riformato, limita l’intervento a: • chi ha titolo esecutivo, anche successivo al pignoramento • chi, al momento del pignoramento, ha un credito garantito da pegno, prelazione scritta, o sequestro • chi, al momento del pignoramento, è titolare di un credito risultante dalle scritture contabili I creditori che non appartengono a tali categorie non avranno alcuna possibilità di soddisfarsi a meno che non ricorrano alla tutela di urgenza ex. Art.700 c.p.c., allegando il pregiudizio imminente ed irreparabile, che si concretizza nell’evaporarsi della garanzia patrimoniale del loro debitore. Per intervenire il creditore deve depositare, nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, un ricorso contenente l’indicazione del credito e del titolo di esso, nonché la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata (art. 499 II comma c.p.c.). Se l’intervento si fonda sulle scritture contabili, queste debbono essere allegate all’atto di intervento in copia autentica. Il creditore non munito di titolo esecutivo, e che abbia cmq il potere di intervenire nell’esecuzione ex art. 499 I comma, deve notificare al debitore l’atto di intervento e l’eventuale copia autentica delle scritture contabili. L’art. 499 V e VI comma istituisce una sorta di procedimento per la verificazione del credito per i soli creditori legittimati ad intervenire, ma senza titolo esecutivo: con la stessa ordinanza con cui dispone sulla vendita e sull’assegnazione, il giudice dell’esecuzione fissa un’udienza dinanzi a sé per la comparizione del debitore e dei creditori non muniti di titolo esecutivo. L’ordinanza è notificata, a cura di una delle parti, ai creditori ed al debitore. All’udienza fissata, se il debitore non compare, o comparendo riconosce l’esistenza di tutto o in parte dei crediti, questi acquisiscono il diritto di essere soddisfatti; se invece i crediti sono tutto o in parte contestati, il creditore ha l’onere di proporre, entro 30 gg, una domanda idonea di munirlo di titolo esecutivo: in tal caso ha diritto all’accantonamento delle somme. Gli effetti dell’intervento sono previsti in generale dai seguenti articoli: • l’art. 500 c.p.c. fa riferimento a due conseguenze dell’intervento: il diritto di prendere parte alla distribuzione del ricavato, ed il diritto di partecipare attivamente al processo esecutivo. Tali conseguenze sono incondizionatamente assicurate ai creditori che intervengono muniti di titolo esecutivo, mentre chi interviene senza titolo può prendere parte alla distribuzione del ricavato solo se verificano le condizioni previste dall’art. 499 VI comma e, pur partecipando all’espropriazione, non ha il potere di compiere gli atti necessari per farla procedere verso la liquidazione del bene pignorato • gli artt. 526-564 stabiliscono che i creditori intervenuti partecipano all’espropriazione e se muniti di titolo esecutivo possono provocarne i singoli atti (di cui il più importante è l’istanza di vendita, che deve essere effettuata in un termine non inferiore a 10 gg e non superiori a 90 gg dal pignoramento, in mancanza della quale il processo esecutivo si estingue) La distinzione tra creditori con e senza titolo esecutivo vale finchè non sia effettuata la vendita: dal momento in cui il bene è trasformato in denaro, si perde tale distinzione, questo per due motivi: • la fase di distribuzione avviene d’ufficio senza atti di impulso di parte • l’art. 629 c.p.c., disciplinando la rinuncia agli atti del processo esecutivo, stabilisce che la rinuncia, se ha luogo prima della chiusura della fase di liquidazione, deve provenire da tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, mentre se la rinuncia ha luogo dopo la vendita, deve provenire da tutti i creditori intervenuti. Una particolare disciplina riguarda i creditori muniti di ragione di prelazione. L’art. 498 c.p.c. stabilisce che i creditori le cui ragioni di prelazione risultano da pubblici registri, devono essere necessariamente avvertiti della pendenza del processo esecutivo: il creditore procedente deve loro notificare un avviso contenente l’indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede e del titolo. In mancanza di tale notifica il giudice deve rifiutarsi di emettere l’ordinanza di vendita. Il creditore procedente deve allegare all’istanza di vendita i certificati delle trascrizioni ed iscrizioni e farsi lasciare dalla conservatoria dei registri immobiliari un certificato in cui si attesta se vi sono e quali sono le iscrizioni di diritti reali di garanzia sul bene. L’intervento dei creditori può essere tempestivo o tardivo: tale distinzione è fatta in relazione ai creditori chirografi, ovvero non muniti di diritto di prelazione. Il termine ultimo per l’intervento è cmq per tutti i creditori quello in cui si effettua la distribuzione del ricavato. Quindi possiamo dire che abbiamo tre tipi di creditori: • creditori muniti di diritto di prelazione: in qualsiasi momento del processo esecutivo intervengano, sono soddisfatti secondo l’ordine delle prelazioni previsto dal codice civile • creditori chirografari tempestivi: dopo i creditori con prelazione, sono soddisfatti in ragione percentuale del loro credito • creditori chirografari tardivi: dopo i creditori chirografari tempestivi, sono soddisfatti sul residuo che eventualmente avanza Il momento che determina la tempestività dell’intervento è la prima udienza fissata per stabilire le modalità di assegnazione o di vendita, cioè l’udienza che apre la fase di liquidazione; per quanto riguarda invece l’espropriazione dei crediti, rilevante è l’udienza di comparizione delle parti, fissata con ricorso dal creditore pignorante. Ex art. 499 VI comma c.p.c., ai creditori intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, all’udienza o con atto notificato, l’esistenza di altri beni del debitore ulteriormente pignorabili, ed invitarli ad estendere il pignoramento (se hanno titolo esecutivo), o anticipare a lui le spese per effettuare l’estensione col proprio titolo (se non hanno titolo esecutivo). Seconda fase: trasformazione del diritto pignorato: l’elemento attivo deve essere liquidato, e quindi trasformato in una somma di denaro Il diritto pignorato viene liquidato, cioè trasformato in una somma di denaro, in modo da poter soddisfare il creditore procedente ed i creditori eventualmente intervenuti. La liquidazione non è necessaria: • se il bene pignorato consiste in una somma di denaro • quando il debitore ha consegnato una somma di denaro come oggetto del pignoramento • quando vi è stata conversione del pignoramento Ex art. 501 c.p.c., è previsto un termine minimo dilatorio di dieci gg dal pignoramento alla domanda di assegnazione o vendita (se il pignoramento perde i suoi effetti decorsi 90 gg dal giorno in cui è compiuto senza che sia chiesta assegnazione o vendita, effettuato il pignoramento, ci sono 80 gg utili per proporre l’istanza di vendita). Tale termine ha due funzioni: • consente al debitore di reagire al pignoramento con richiesta di conversione, istanza di riduzione, opposizioni ecc.. • dà agli altri creditori un minimo di tempo per intervenire tempestivamente nell’esecuzione L’art. 529 c.p.c. stabilisce che decorso il termine dilatorio, il creditore procedente ed i creditori intervenuti con titolo esecutivo possono chiedere la distribuzione del denaro e la vendita di tutti gli altri beni. Per proporre istanza di vendita occorre essere muniti di titolo esecutivo, e questa può essere proposta dal creditore procedente o da qualsiasi atro creditore. Mancando l’istanza il pignoramento perde efficacia. I creditori senza titolo esecutivo attenderanno un eventuale nuovo pignoramento in cui potranno intervenire. I modi per procedere alla liquidazione sono: • assegnazione: il diritto pignorato viene trasferito ad uno dei creditori (procedente o intervenuti). L’assegnazione può assumere due diverse forme: 1. assegnazione satisfattiva: il creditore si rende assegnatario soddisfacendosi in tutto o in parte del proprio credito attraverso l’attribuzione del diritto pignorato. Si ha quindi, con un unico atto, un duplice effetto: effetto traslativo del diritto pignorato dal debitore al creditore; effetto estintivo, totale o parziale, del credito dell’assegnatario verso il debitore 2. assegnazione-vendita: il creditore assegnatario, per rendersi tale, paga una somma di denaro. Non si soddisfa quindi il suo credito, perché il corrispettivo del trasferimento del diritto non viene da lui trattenuto ad estinzione del suo credito, ma è da lui versato e poi sarà oggetto di distribuzione come se il bene pignorato fosse stato venduto. • vendita: il diritto pignorato viene trasferito ad un qualunque soggetto, tranne il debitore esecutato. I rapporti tra assegnazione e vendita sono i seguenti: 1. vi sono beni che devono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita, cioè i beni pignorati scaduti o che scadono entro 90 gg, assegnazione coattiva (prescinde dalla domanda dei creditori) 2. vi sono beni che possono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita, cioè i titoli di credito e le altre cose il cui valore risulta dal listino di borsa o di mercato (il valore dei beni risulta dal listino), assegnazione volontaria (ha luogo su istanza del creditore) 3. vi sono beni che devono essere assegnati dopo un tentativo di vendita fallito, cioè gli oggetti d’oro e d’argento che non possono essere venduti per un prezzo inferiore al valore intrinseco, e che se restano invenduti sono assegnati per tale valore ai creditori (art. 539 c.p.c.), assegnazione coattiva (prescinde dalla domanda dei creditori) 4. tutti gli altri beni possono essere assegnati dopo un primo tentativo di vendita fallito, assegnazione volontaria (ha luogo su istanza del creditore) Per evitare che l’assegnazione avvenga ad un prezzo di favore, in base ad un accordo dei creditori tra loro, viene stabilito un valore minimo di assegnazione, ex art. 506 c.p.c. per cui “l’assegnazione può essere fatta soltanto per un valore non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell’offerente. Se il valore del bene eccede, sull’eccedente concorrono l’offerente e gli altri creditori osservate le cause di prelazione che li assistono”, il valore dell’assegnazione è il maggiore tra il valore di stima del bene e la somma delle spese di esecuzione e dei crediti che hanno prelazione e che sono collocati anteriormente al creditore offerente. trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei vent’anni anteriori alla trascrizione del pignoramento). A seguito della presentazione dell’istanza, il giudice incarica un esperto della stima del bene, e fissa l’udienza, nella quale dispone la vendita del bene e ne fissa le modalità. Le modalità di liquidazione sono: • vendita senza incanto: consiste in un invito a fare la propria offerta in cancelleria in busta chiusa, che rimane sconosciuta fino all’apertura delle buste. Possono partecipare tutti gli interessati tranne il debitore esecutato. Una forma particolare di offerta è quella fatta per persona da nominare, ad opera di un avvocato: costui può offrire una certa somma senza indicare il soggetto interessato all’acquisto; avvenuta l’aggiudicazione a suo favore, entro 3 gg deve depositare in cancelleria il nome del vero acquirente, altrimenti l’aggiudicazione diviene definitiva a nome dell’avvocato. Con il deposito in busta chiusa si deve versare, a titolo di cauzione, una somma equivalente a 1/10 del prezzo offerto. Quando è scaduto il termine per il deposito in cancelleria delle buste, il giudice dell’esecuzione le apre e vede le offerte effettuate, poi convoca tutte le parti del processo esecutivo e se l’offerta maggiore è superiore di almeno il 20% della stima, l’immobile è immediatamente aggiudicato all’offerente, altrimenti si passa alla vendita all’incanto se il creditore procedente lo chiede o il giudice lo ritiene opportuno. Qualora vi siano più offerte, il giudice dell’esecuzione invita i più offerenti ad una gara sull’offerta più alta. Quando il giudice ritiene di accogliere l’offerta, allora deve emettere due decreti: 1. con il primo stabilisce le modalità di versamento del prezzo: se il versamento non è effettuato, il giudice provvede alla rivendita all’incanto del bene e la cauzione che aveva versato l’acquirente viene incamerata nelle casse dell’esecuzione; inoltre se nella rivendita, il bene spunta un prezzo minore, per la differenza tra il presso offerto e non pagato e il prezzo minore ottenuto nella rivendita resta obbligato il soggetto offerente ed inadempiente 2. con il secondo, decreto di trasferimento, laddove l’acquirente versi la somma con le modalità e i tempi previsti nel primo decreto, si chiude il procedimento di liquidazione con l’effetto di trasferire all’acquirente il diritto pignorato al debitore • vendita all’incanto: inizia con il bando di vendita, ex art. 576 c.p.c., soggetto a pubblicità. Il bando stabilisce ora e giorno i cui, nell’udienza pubblica, in presenza del giudice, si procederà alla vendita. I soggetti che possono partecipare sono gli stessi della vendita senza incanto. All’udienza il giudice procede alla vendita all’incanto: ciascun soggetto legittimato a partecipare fa oralmente la sua offerta; trascorsi 3 minuti dall’ultima offerta senza che ne siano fatte di maggiori, il bene viene aggiudicato all’ultimo offerente. L’art. 584 stabilisce che entro 10 gg dall’incanto, possono essere fatte delle offerte in aumento di almeno un quinto del prezzo raggiunto nell’aggiudicazione: il giudice convoca i nuovi offerenti e l’aggiudicatario della gara e procede nel modo sopra visto. L’offerente all’incanto, o il vincitore della gara, deve versare il prezzo nel modo stabilito dal bando di vendita: se non versa il prezzo nel termine stabilito, si producono le stesse conseguenze della vendita senza incanto (se il versamento non è effettuato, il giudice provvede alla rivendita all’incanto del bene e la cauzione che aveva versato l’acquirente viene incamerata nelle casse dell’esecuzione; inoltre se nella rivendita, il bene spunta un prezzo minore, per la differenza tra il presso offerto e non pagato e il prezzo minore ottenuto nella rivendita resta obbligato il soggetto offerente ed inadempiente). Se il versamento viene effettuato il giudice emette il decreto di trasferimento, con cui si dispone la cancellazione del pignoramento e delle iscrizioni ipotecarie. Un’importante novità introdotta dalla riforma del 2006, riguarda la possibilità che l’aggiudicatario finanzi il proprio acquisto mediante mutuo ipotecario: in questo caso, mutuante e mutuario possono stabilire, a garanzia del mutuante, che le somme siano versate all’esecuzione contestualmente all’iscrizione dell’ipoteca; se questo accade la trascrizione del decreto di trasferimento deve essere contestuale al’iscrizione ipotecaria. Il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio, cioè per ottenere la consegna del bene acquistato: per questo il decreto contiene l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto. Ex art. 588 c.p.c. ciascun creditore può chiedere l’assegnazione del bene immobile, per la somma maggiore tra il valore del bene secondo stima da un lato, e dall’altro i crediti e le spese di giustizia aventi prelazione anteriore al richiedente. L’istanza di assegnazione deve essere avanzata dal creditore almeno 10 gg prima della data fissata per l’incanto, per l’ipotesi in cui esso fallisca. Se non si provvede all’assegnazione, il giudice può provvedere in due modi: 1. dispone una nuova vendita all’incanto: il giudice può stabilire nuove condizione di vendita, oppure fissare un prezzo base inferiore del 25% al precedente. Non si procede direttamente ad un nuovo incanto, ma si ripercorre tutto l’iter. 2. dispone l’amministrazione giudiziaria del bene immobile, in due casi: • quando il bene produce dei frutti tali da poter soddisfare i creditori: il bene viene affidato al custode, il quale lo gestisce, ne prende i frutti, e se con essi si soddisfano tutti i creditori, l’amministrazione giudiziaria cessa e il bene viene restituito al debitore, altrimenti entro 3 anni bisogna procedere ad ulteriore vendita • se nel mercato è un momento in cui le offerte di acquisto sono scarse, il giudice può decidere di aspettare che il mercato si rialzi. Vediamo gli effetti della vendita. • ex art. 2919 c.c., la vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettano a colui che ha subito l’espropriazione. Si ha quindi un acquisto a titolo derivativo: la misura dell’acquisto è determinata dalla misura del diritto sul dante causa. Inoltre si ha inopponibilità dei diritti dei terzi al creditore pignorante e ai creditori intervenuti. Dobbiamo specificare, però, che il richiamo ai creditori intervenuti indica che in certi casi alcuni diritti di terzi, opponibili al creditore pignorante, sono in opponibili ad altri creditori che intervengono nell’esecuzione. A tal proposito, l’art. 2812 c.c., in relazione al creditore ipotecario, distingue due categorie di terzi acquirenti di diritti sulla cosa ipotecata: 1. titolari di servitù, usufrutto, uso e abitazione: i diritti appartenenti a questi terzi non sono opponibili al creditore ipotecario, che può far vendere la cosa come libera. Quindi tali soggetti non divengono soggetti espropriati, e non assumono la qualità di esecutato. I titolari dei diritti di servitù, usufrutto, uso e abitazione non divengono esecutati perché non sono titolari di un diritto suscettibile di trasferimento: il loro diritto con la vendita forzata si estingue per incompatibilità, e si trasforma in una somma di denaro che è l’equivalente del diritto estinto. Tali soggetti diverranno creditori privilegiati (hanno preferenza sui creditori ipotecari posteriori e sui creditori chirografari) e iscritti (il loro credito deriva dalla trasformazione di un diritto che trae origine da un atto trascritto. Essendo la loro posizione destinata a trasformarsi in un diritto di credito avente ragione di prelazione, risultante dai pubblici registri, essi devono essere avvertiti della pendenza del processo esecutivo, in cui potranno intervenire come creditori potenziali per effetto della vendita, e far valere le loro ragioni sul ricavato. 2. titolari di superficie, enfiteusi, nuda o piena proprietà: il creditore ipotecario può espropriare il bene anche contro il terzo acquirente. Quindi il creditore ipotecario può e deve agire esecutivamente contro i terzi; può espropriare il bene, ma deve notificare il titolo esecutivo e il precetto a terzo acquirente, e deve effettuare il pignoramento contro il terzo che assume il ruolo di esecutato: la vendita forzata viene fatta contro il terzo acquirente, e l’aggiudicatario acquista un titolo contro il terzo acquirente • l’art. 2913 c.c. stabilisce che gli atti di disposizione del diritto pignorato non hanno effetto in pregiudizio del creditore procedente e dei creditori intervenuti, salvi gli effetti del possesso di buona fede per i beni mobili non iscritti in pubblici registri. La buona fede consiste nel non sapere che il bene è pignorato. • gli artt. 2920 c.c. , per la vendita, e 2926 c.c., per l’assegnazione, disciplinano la tutela di colui che, nel conflitto tra il terzo, proprietario del bene, e l’acquirente in vendita forzata, rimane soccombente: 1. prevalenza dell’aggiudicatario: • ex art. 2920, se oggetto della vendita forzata è una cosa mobile, coloro che avevano la proprietà o altri diritti reali su di essa ma non hanno fatto valere le loro ragioni sulla somma ricavata dall’espropriazione, non possono farle valere nei confronti dell’acquirente in buona fede né possono ripetere dai creditori la somma loro distribuita. Il terzo deve dimostrare la mala fede dell’acquirente, e quindi dimostrare che l’acquirente sapeva che il bene non era dell’esecutato ma del terzo stesso: se lo dimostra può ottenere la restituzione del bene dall’aggiudicatario ed il risarcimento danni. • ex art. 2926, i terzi che avevano la proprietà del bene mobile assegnato possono, entro 60 gg dall’assegnazione, rivolgersi all’assegnatario che ha ricevuto in buona fede il possesso del bene per farsi dare da costui la somma che egli si è trattenuto a soddisfazione totale o parziale del suo credito. Versando la somma in questione, l’assegnatario torna creditore del debitore. 2. prevalenza del proprietario:ex art. 2921 l’aggiudicatario ha il diritto di farsi consegnare il ricavato della vendita, e se questo è già stato distribuito, può rivolgersi ai creditori, per ripetere da ciascuno di essi la somma corrispondente a quella assegnata in sede di distribuzione del ricavato. In caso di nullità del processo esecutivo, i creditori non sono tenuti a restituire quanto hanno ricevuto, pertanto l’esecutato non può agire in ripetizione nei confronti dei creditori intervenuti allegando la nullità del processo esecutivo. Per quanto riguarda, invece, i rapporti tra esecutato ed aggiudicatario-acquirente in vendita forzata, la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto nei confronti dell’aggiudicatario: si ha però l’eccezione del caso in cui l’acquirente abbia colluso col creditore procedente, approfittando della nullità per rendersi acquirente. Terza fase: distribuzione del ricavato: il diritto del debitore, oggetto del pignoramento, è liquidato Tale fase non ha luogo quando non sia stato possibile procedere alla realizzazione del diritto pignorato o quando è stato assegnato a un creditore senza che costui abbia versato un conguaglio. E’ disciplinata dagli artt. 509-512 c.p.c. L’art. 509 stabilisce che la somma oggetto della distribuzione è composta da quanto proviene a titolo di prezzo o di conguaglio, rendita o provento di cose pignorate, multa e risarcimento danni da parte dell’aggiudicatario. L’ordine dei crediti è il seguente: • spese della procedura, ovvero quelle del pignoramento, della vendita, della custodia del bene, ed • eventuali spese delle opposizioni infondatamente proposte dal debitore esecutato • creditori con diritto di prelazione: se due creditori hanno lo stesso grado di prelazione concorrono proporzionalmente tra loro • creditori chirografari tempestivi • creditori chirografari tardivi del suo credito (diritto di sequela) • ipotesi del terzo datore di pegno o di ipoteca, l’ipoteca può essere concessa ad un terzo a garanzia di un debito altrui. In entrambi i casi, il terzo datore e il terzo acquirente non sono personalmente obbligati: non sono tenuti ad adempiere, ma semplicemente a sopportare che l’espropriazione si svolga sul loro bene 2. quando si tratta di un bene la cui alienazione da parte del debitore è stata revocata per frode. Il riferimento è l’azione revocatoria e tutte le altre ipotesi simili. In tutti questi casi si ha una situazione simile a quella che si ha in seguito all’alienazione del bene oggetto di pegno o ipoteca: il terzo acquirente in base all’atto revocato continua ad essere proprietario del bene nei confronti di tutti, anche nei confronti del creditore, ma è soggetto al potere espropriativo di costui. Il terzo acquirente in virtù di un atto revocato a tutti gli effetti non è debitore, perché non deve nulla al creditore, ma deve solo subire l’espropriazione che va ad incidere sul suo patrimonio. Vediamo il processo esecutivo contro il terzo proprietario. L’art. 603 c.p.c. stabilisce che “titolo esecutivo e precetto” devono essere notificati al terzo (ovviamente è fatto precetto di pagare solo al debitore). Ex art. 2858 c.c., il terzo acquirente dei beni ipotecati che ha trascritto il titolo di acquisto e che non è personalmente obbligato può a sua scelta: • pagare, adempiendo l’obbligo altrui: il terzo proprietario si sostituisce, quindi, nei diritti del creditore e può recuperare la somma nei confronti del debitore, il cui debito è estinto • chiedere la liberazione dei beni dalle ipoteche • rilasciare il bene ai creditori Se non prende nessuna di queste posizioni, il terzo proprietario assume la posizione di esecutato. Un’altra particolarità riguarda la distribuzione del ricavato: l’ordine è diverso da quello ordinario. Infatti i creditori che possono intervenire nell’espropriazione contro il terzo proprietario sono i creditori di questo e non del debitore. L’ordine sarà quindi il seguente: • creditore ipotecario o che ha ottenuto la revoca dell’atto • creditore del terzo privilegiati, chirografari tempestivi e tardivi • se avanza un residuo questo sarà consegnato al terzo e non al debitore Il terzo proprietario può, con l’opposizione all’esecuzione, contestare il diritto del creditore istante di procedere all’esecuzione forzata, e avrà tutti gli strumenti di difesa propri del debitore. Il terzo può contestare: • che sussista ipoteca o pegno, oppure che l’azione revocatoria sia stata accolta con sentenza • che sussista l’obbligo garantito, e quindi il credito che l’ipoteca vuole garantire. Se il terzo trascrive il suo titolo di acquisto prima della proposizione, da parte del creditore, della domanda di condanna del debitore, la pronuncia è utilizzabile come titolo esecutivo contro il terzo proprietario, ma la sentenza non è per lui vincolante; se il terzo proprietario si oppone all’esecuzione, il creditore non può avvalersi, in sede di opposizione all’esecuzione, dell’efficacia preclusiva della sentenza emessa contro il debitore, ma dovrà dimostrare ex novo la sussistenza del credito garantito. Terminato l’esame dell’espropriazione forzata, dobbiamo ora analizzare l’esecuzione in forma specifica. Essa si ha in tutti i casi in cui il diritto del creditore può essere realizzato nella sua identità specifica, e cioè mediante la consegna del bene o il compimento delle attività che ne costituisce lo specifico oggetto. Il diritto in gioco è uno soltanto, cioè quello individuato nel titolo esecutivo, e del quale si chiede la tutela giurisdizionale esecutiva. Tutti gli obblighi aventi per oggetto una cosa determinata sono suscettibili di tutela esecutiva in forma specifica: stabilito che il diritto esiste, non ne può essere esclusa una tutela in forma specifica. Sono due i tipi di esecuzione in forma specifica previsti dal Codice: 1. esecuzione per consegna o rilascio 2. esecuzione per obblighi di fare • esecuzione per consegna o rilascio : ex art. 2930 c.c., ha lo scopo di trasferire il potere di fatto sul bene, identificato nel titolo esecutivo, da colui che esercita attualmente tale potere i fatto a colui che ha diritto di esercitarlo: si ha quindi il trasferimento della detenzione materiale del bene da colui che ha lo ius possesionis a colui che ha lo ius possidendi. Tale trasferimento non opera alcuna modificazione della situazione sostanziale, che ha come oggetto il bene rispetto al quale si opera il trasferimento: viene modificato solo il potere di fatto. I titoli esecutivi che formano questo tipo di esecuzione, ex art. 474 III comma c.p.c., sono: 1. sentenze, provvedimenti e gli altri atti a cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva (tra cui anche il verbale di conciliazione giudiziale) 2. atti pubblici L’ordine di rilascio ha efficacia erga omnes: il titolo esecutivo ha efficacia contro chiunque, nel momento in cui l’esecuzione si svolge, si trovi ad esercitare il potere di fatto sul bene. Tutte le volte in cui l’ufficiale giudiziario trova il bene nella materiale disponibilità di un soggetto diverso da colui che è obbligato alla consegna o rilascio secondo il titolo, l’esecuzione deve ugualmente avere luogo, anche in pregiudizio del terzo, salve le difese di quest’ultimo nelle sedi opportune. Il creditore deve individuare come parte esecutata il soggetto verso cui effettivamente si producono gli effetti dell’esecuzione: se poi chi ha potere di fatto sul bene è esecutabile, l’esecuzione è processualmente lecita; se colui, verso cui l’esecuzione produrrà i suoi effetti, non è soggetto all’efficacia del titolo esecutivo, l’esecuzione può essere da costui efficacemente ostacolata con opposizione all’esecuzione, in conseguenza dell’accoglimento della quale, occorrerà che il creditore si procuri un titolo esecutivo contro tale soggetto. Vediamo il procedimento per consegna o rilascio: ex art. 605 c.p.c., il precetto deve contenere la descrizione del bene, che di per sé è già contenuta nel titolo esecutivo. Unico soggetto dell’ufficio esecutivo necessariamente presente all’esecuzione per consegna o rilascio è l’ufficiale giudiziario: il giudice dell’esecuzione rimane inattivo finchè non è chiamato ad intervenire. La consegna del bene avviene ex art 606 c.p.c.: l’ufficiale giudiziario ricerca il bene dove si trova. Il rilascio del bene immobile avviene ex art. 608 c.p.c.: deve essere dato all’esecutato, almeno dieci giorni prima, il preavviso del giorno e dell’ora in cui avverrà l’immissione in possesso. Con la notifica del preavviso di rilascio, ha inizio l’esecuzione forzata. Poiché, dopo a notificazione del precetto, l’istante ha un termine di 90 gg per iniziare l’esecuzione, è sufficiente la notificazione del preavviso di rilascio per impedire la perenzione del precetto. L’ufficiale giudiziario ingiunge all’esecutato di astenersi dall’esercitare il potere di fatto e immette l’avente diritto nel possesso del bene: se l’esecutato non è presente bisogna notificargli l’atto di ingiunzione. Nel caso in cui la detenzione corpore del bene non sia attualmente dell’esecutato, ma di detentori che esercitano il potere di fatto dell’esecutato, laddove l’avente diritto vuole anche la detenzione corpore del bene, situazione quindi incompatibile con quella dei terzi conduttori, deve agire esecutivamente contro di loro: non si applica quindi l’ultima parte dell’art. 608 II comma c.p.c. “ingiungendo agli eventuali detentori di riconoscere il nuovo possessore”, in quanto il procedente vuole ottenere la detenzione corpore del bene estromettendone i detentori. Quella disposizione si applica quando il bene è in parte nella detenzione corpore dell’esecutato, in parte nella detenzione di terzi: l’esecuzione avrà quindi luogo contro l’obbligato secondo il titolo esecutivo per la parte del bene di cui egli ha la detenzione corpore, e in parte avviene con l’ingiunzione al terzo debitore, per la parte del bene sulla quale l’obbligato ha il potere di fatto, si ha esecuzione per rilascio; per la parte di cui l’obbligato ha solo possesso formale si ha ingiunzione ai detentori di riconoscere il nuovo possessore. Ex art. 610 c.p.c., le parti possono interpellare il giudice dell’esecuzione solo per farlo intervenire nella determinazione di ciò che l’ufficiale giudiziario deve fare per proseguire l’esecuzione forzata. Le spese dell’esecuzione sono anticipate dalla parte istante e sono a carico dell’esecutato, e comprendono, oltre alle spese vive, anche i diritti e gli onorari dell’avvocato del creditore (novità introdotta dalla riforma del 2006: prima la liquidazione dei diritti e gli onorari di avvocato avveniva previo provvedimento di ingiunzione, ora si ha con decreto del giudice dell’esecuzione). • esecuzione per obblighi di fare : gli artt. 2931 e 2933 c.c. forniscono i profili generali di tale esecuzione. Ex art. 2933 II comma “non può essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento dei danni, se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale”: il titolo esecutivo che contiene la condanna alla distruzione del bene, ha già superato questo ostacolo in quanto spetta al giudice valutare se la distruzione è di pregiudizio all’economia nazionale. L’attuazione della tutela esecutiva non modifica le situazioni sostanziali esistenti sul bene. Anche i verbali di conciliazione giudiziale sono titoli esecutivi idonei all’esecuzione per obblighi di fare. L’esecutato viene individuato sulla base degli effetti concreti che produrrà l’esecuzione: titolo esecutivo e precetto devono quindi essere notificati a chi esercita sul bene il potere di fatto, nonché al proprietario, se questi è soggetto diverso dal procedente e dall’esecutato. Decorsi 10 gg dalla notifica del precetto, il creditore ricorre al giudice dell’esecuzione perché determini le modalità di esecuzione: il giudice convoca l’esecutato, stabilisce con ordinanza le modalità di esecuzione, nomina l’ufficiale giudiziario che deve sovrintendere e chi materialmente deve compiere l’opera. Le spese dell’esecuzione sono a carico dell’esecutato. In sede di esecuzione per obblighi di fare, può dardi che l’opera da costruire necessiti del rilascio di concessioni, autorizzazioni e simili da pare della pubblica amministrazione Il titolo esecutivo dà all’ufficio esecutivo la possibilità di usare tutti gli strumenti giuridici che il debitore ha nel suo patrimonio, e quindi l’ufficio esecutivo, sulla base del titolo esecutivo, può chiedere tutte quelle autorizzazioni e concessioni che l’esecutato poteva e doveva chiedere e non ha richiesto. Se l’esecutato le aveva chieste e gli erano state rifiutate, l’ufficio esecutivo, che si sostituisce all’obbligato, può proporre le impugnative possibili ed opportune in sede di contenzioso amministrativo; se poi la pubblica amministrazione rifiuta definitivamente e legittimamente i necessari permessi, il diritto del procedente si trasforma in risarcimento del danno. Esecuzione indiretta: l'esecuzione indiretta è lo strumento necessario per tutelare in via esecutiva diritti correlati ad obblighi infungibili. Per lungo tempo il nostro ordinamento è stato lacunoso in questo settore, in quanto singole fattispecie di esecuzione indiretta erano previste qua e là da leggi speciali, ma mancava una previsione generale per tutte le ipotesi di obblighi infungibili. Questa lacuna è stata colmata con la riforma del 2009, che ha introdotto l’art. 614 bis c.p.c., il quale adotta la tecnica della sanzione civile di cui è beneficiario l’avente diritto. Detta norma stabilisce che “il giudice, con la sentenza di condanna fissa la somma di denaro dovuto dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento”, il legislatore affida al giudice della cognizione a concessione della misura coercitiva, e quindi l’avente diritto, beneficiario di un titolo esecutivo stragiudiziale per un obbligo infungibile, sarà costretto a proporre una domanda in sede dichiarativa per ottenere la determinazione della sanzione pecuniaria: la misura potrà quindi essere stabilita anche con lodo arbitrale, e potrà essere disposta non solo con sentenza, ma con qualsiasi provvedimento di condanna, che sarà di rito e non di merito. La determinazione della somma avviene: creditore intervenuto. I creditori intervenuti senza titolo esecutivo possono partecipare al processo di opposizione in via di intervento volontario adesivo-dipendente. Il processo di opposizione all’esecuzione è un ordinario processo di cognizione in cui si realizza un’inversione dell’iniziativa processuale: mentre solitamente l’iniziativa processuale è di colui che afferma l’esistenza del diritto e ne chiede la tutela, qui è di colui che nega l’esistenza del diritto. Questo implica che colui che afferma l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata è il creditore opposto, mentre chi nega l’esistenza di tale diritto è il debitore esecutato opponente: è quindi il creditore procedente, convenuto opposto, a dover dimostrare i fatti costitutivi del diritto, ed è il debitore esecutato, attore opponente, a dover dimostrare i fatti impeditivi, modificativi, estintivi del diritto del creditore. Se si contesta il diritto a procedere ad esecuzione forzata, perché si nega l’esistenza del diritto sostanziale da tutelare, l’atto, che ha efficacia di titolo esecutivo, ha anche una qualche efficacia di accertamento dell’esistenza del diritto. Il creditore opposto può proporre una domanda riconvenzionale avente ad oggetto lo stesso diritto, oppure un diritto connesso con quello di cui era stata chiesta la tutela esecutiva: ciò accade spesso coi titoli esecutivi stragiudiziali. L’accoglimento dell’opposizione, accompagnato dall’eventuale accoglimento della domanda riconvenzionale, non fa salva l’esecuzione: il creditore procedente, soccombente nella domanda di opposizione, e vittorioso nella domanda riconvenzionale, può tutelarsi esecutivamente, ma deve iniziare da capo l’esecuzione, perché il titolo esecutivo deve sussistere dall’inizio alla fine dell’esecuzione, ed il nuovo titolo si forma solo al momento dell’accoglimento della domanda riconvenzionale e l’esecuzione in corso è caducata. La sentenza che rigetta l’opposizione, afferma l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata; la sentenza che accoglie l’opposizione nega l’esistenza del diritto a procedere ad esecuzione forzata. L’accoglimento dell’opposizione impedisce la prosecuzione del processo esecutivo e caduca gli effetti degli atti già compiuti ed ha inoltre un effetto preclusivo, di accertamento, in relazione al quale è determinante il motivo per cui l’opposizione è stata accolta: • se è dichiarata l’impignorabilità del bene, la pronuncia libera il bene dal vincolo del pignoramento, ma non impedisce la prosecuzione del processo di espropriazione per gli altri beni, eventualmente sottoposti ad esecuzione • se è dichiarata l’inefficacia del titolo esecutivo, l’esecuzione è caducata, ma il creditore potrà instaurare un nuovo processo esecutivo, a tutela dello stesso diritto sostanziale • se è dichiarata inesistente la situazione sostanziale, di cui si è richiesta tutela esecutiva, la sentenza ha l’efficacia preclusiva di una normale pronuncia di merito. Opposizione agli atti esecutivi: è lo strumento col quale si risolvono le controversie relative alla conformità degli atti del processo esecutivo alle prescrizioni normative che li disciplinano. Si contesta il “come” (quomodo) dell’esecuzione. E’ un processo di cognizione incidentale al processo esecutivo. Oggetto di tale opposizione può essere: • regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto • regolarità formale della notificazione del titolo e del precetto • regolarità formale dei singoli atti di esecuzione Ex art. 617 II comma c.p.c., l’opposizione agli atti esecutivi deve essere proposta entro 20 gg dal momento in cui la parte è venuta a conoscenza dell’atto viziato. Dobbiamo però distinguere tra: • nullità formali: danno luogo ad un vizio dell’atto, rilevabile solo dalla parte interessata, e dal giudice solo nei casi previsti dalla legge. La mancata proposizione dell’opposizione agli atti nel termine previsto determina la sanatoria del vizio dell’atto processuale e di quelli successivi dipendenti. • nullità extraformali: sono rilevabili d’ufficio. Tutti gli atti del processo sono viziati autonomamente: nascono inficiati da un vizio originario, in quanto posti in essere in carenza di un presupposto processuale. Non si ha quindi la sanatoria prevista per le nullità formali. L’ufficio se rileva una nullità, deve rifiutare di emettere il provvedimento che gli viene richiesto. La parte interessata, di fronte alla nullità rilevabile ma non in concreta rilevata d’ufficio, può proporre opposizione agli atti esecutivi, oppure fare un’istanza al giudice perché modifichi o revochi il provvedimento che ha emesso: l’istanza non è più possibile quando il provvedimento ha avuto esecuzione. E’ possibile proporre opposizione agli atti esecutivi, nei confronti di ciascun atto successivo del processo esecutivo, finquando il vizio è rilevabile. Legittimati a proporre opposizione agli atti, sono tutti coloro parti del processo, con esclusione di colui che ha compiuto l’atto e la parte che vi ha rinunciato (solo per le nullità rilevabili d’ufficio). La nullità può essere fatta valere dalla parte che non vi ha dato causa e che non vi ha rinunciato solo se essa lede in concreto la sua posizione giuridica. Vediamo il procedimento. L’opposizione è proposta, prima dell’inizio dell’esecuzione, con citazione, dinanzi al tribunale, che è sempre competente per materia, che ha sede nel comune ove l’istante ha eletto il domicilio, o, in mancanza di elezione del domicilio, al tribunale del luogo dove è stato notificato il precetto. L’opposizione è proposta, dopo l’inizio dell’esecuzione, con ricorso depositato nella cancelleria del giudice dell’esecuzione, che fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé e dà un termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto alle altre parti. In caso di urgenza, il giudice dà i “provvedimenti indilazionabili”, e può anche sospendere il processo esecutivo: ove il vizio di nullità sia sanabile, il giudice può disporne la sanatoria; ove sia insanabile, e l’opposizione è ritenuta fondata, dispone la sospensione del processo esecutivo. Una volta pronunciati tali provvedimenti, l’opposizione si autonomizza dal processo esecutivo: il giudice dell’esecuzione fissa un termine per l’introduzione del giudizio di merito. A seguito dell’iscrizione della causa a ruolo, il presidente del tribunale provvede alla nomina di un giudice istruttore, che non sia giudice di esecuzione. La sentenza che decide l’opposizione agli atti esecutivi è impugnabile ex art. 618 c.p.c. con ricorso per Cassazione. Per quanto riguarda gli effetti della sentenza: • la sentenza di rigetto accerta la validità dell’atto esecutivo e ne produce la stabilità, e nelle ipotesi di nullità extraformali, la sentenza forma giudicato anche sul motivo posto a fondamento della nullità dell’atto e che è stato ritenuto insussistente da parte del giudice dell’opposizione • la sentenza di accoglimento dichiara l’invalidità dell’atto opposto, ed accerta la sussistenza del motivo dell’invalidità di tale atto, e se tale invalidità colpisce tutti gli atti successivi, il processo esecutivo si chiude. Opposizione di terzo: può essere proposta dal terzo che, ex art. 619 c.p.c., “pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati”. Trova applicazione quando il bene è legittimamente acquisito al processo esecutivo, ma gli effetti sostanziali non possono operare in relazione al bene ignorato, perché colui che subisce l’esecuzione non ha sul bene alcun diritto alienabile. Il terzo in questione è colui che non è esecutato e che come tale non risente degli effetti dell’espropriazione forzata. Il diritto del terzo, per essere opponibile al creditore procedente, può trovare la sua fattispecie costitutiva in: • titolo d’acquisto originario (es. usucapione) • titolo d’acquisto derivato da un soggetto diverso dal debitore Quando viene proposta opposizione di terzo, bisogna tener conto degli effetti del pignoramento, in quanto essa non può essere fondata su diritti derivanti da atti in opponibile al creditore procedente: il diritto del terzo, se è opponibile al creditore, può fondare una vittoriosa opposizione di terzo e, a vendita avvenuta, è opponibile anche all’aggiudicatario. L’art. 2915 II c.c., prevede un’altra ipotesi di opposizione di terzo: il conflitto tra la trascrizione di una domanda giudiziale e la trascrizione di un pignoramento: l’attore quando si accorge che è già stato trascritto un pignoramento, deve estendere il contraddittorio al creditore procedente, in modo da ottenere una pronuncia che faccia stato anche nei suoi confronti, in quanto parte del processo e non più terzo: • in caso di avente causa per diritto sostanziale, l’estensione del contradditorio è attuabile col semplice litisconsorzio facoltativo passivo, o con la chiamata in causa del sub acquirente • in caso di creditore pignorante occorre creare il contraddittorio all’interno del processo esecutivo mediante l’opposizione di terzo, proponendo la domanda con ricorso al giudice dell’esecuzione. Talvolta il proponente non fa valere il diritto di proprietà, ma propone un’impugnativa negoziale, ma l’art. 619 c.p.c. prevede che il terzo deve fondare la propria opposizione sulla proprietà o un altro diritto reale. Quindi il terzo deve dimostrare in ogni caso di essere titolare di un diritto reale, oppure in certi casi è sufficiente anche fondare l’opposizione su un diritto diverso? Si fa chiaramente riferimento ai diritti di restituzione, che trovano la loro origine in due fattispecie: • la controparte ha avuto il bene in attuazione di un rapporto • il rapporto è venuto meno per una causa fisiologica o patologica Ora, finchè il bene è posseduto da colui che è obbligato alla restituzione o dai suoi eredi, è possibile ottenerne la restituzione semplicemente dimostrando che il bene è stato consegnato in attuazione di quel rapporto e che, esaurito il rapporto stesso, il bene deve essere restituito; quando invece il possesso del bene è passato ad un terzo, bisogna ricorrere alla domanda di rivendicazione, accollandosi il relativo onere della prova. Possiamo sicuramente dire che l’art. 619 non va interpretato alla lettera come se solo la proprietà o altro diritto reale fossero idonei a fondare l’opposizione di terzo, anzi è sufficiente far valere anche un diritto di restituzione, poiché dal punto di vista sostanziale tale diritto non si trova in contrasto con gli effetti del pignoramento, in quando il possesso del bene è tolto all’esecutato, ma è conservato dall’esecuzione e non è acquisito da alcuno che possa opporre ciò che invece può opporre il terzo che possiede il bene nei confronti di un’azione di restituzione. L’opposizione di terzo deve presentare un’altra caratteristica: il diritto sul quale il terzo fonda la sua opposizione, deve essere incompatibile con il diritto oggetto del pignoramento: il terzo vuole sottrarre all’esecuzione i beni sui quali vanta un diritto incompatibile con l’esecuzione stessa. Vediamo il procedimento. L’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione, ed è quindi successiva al pignoramento, prima del quale il terzo non può lamentare alcun pregiudizio. Presentato il ricorso il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti ed il termine perentorio per la notifica del ricorso e del decreto. Parti necessarie sono il creditore procedente ed i creditori intervenuti con titolo esecutivo, per le stesse ragioni dell’opposizione all’esecuzione. All’udienza dinanzi al giudice le parti possono raggiungere un accordo, che potrà prevedere o la prosecuzione dell’espropriazione, o la cessazione della stessa. Se l’accordo non viene raggiunto, si ha lo stesso svolgimento dell’udienza in sede di opposizione all’esecuzione. Il giudice si pone i problemi di competenza, se l’ufficio è competente il giudice dell’esecuzione istruisce la causa, altrimenti la rimette al giudice di pace competente; territorialmente è competente sempre il giudice del luogo dell’esecuzione. Il processo di opposizione di terzo è un ordinario processo di cognizione. Il momento finale per proporre l’opposizione è la vendita forzata, con l’eccezione prevista per i beni
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