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Riassunto sul processo ordinario di cognizione e il processo esecutivo, Appunti di Diritto Processuale Civile

Riassunto del processo ordinario di cognizione e del processo di esecuzione 2015 - Fase introduttiva; disciplina della 1° udienza di comparizione e trattazione; assunzione dei mezzi di prova (prove precostituire e costituende); fase decisoria. - Processo esecutivo e opposizioni.

Tipologia: Appunti

2014/2015

In vendita dal 31/08/2015

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Scarica Riassunto sul processo ordinario di cognizione e il processo esecutivo e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 1 IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 2 FASE PREPARATORIA O INTRODUTTIVA NOTIFICA DELL’ATTO INTRODUTTIVO E VIZI DELLA CITAZIONE E DELLA NOTIFICA L’attore introduce il processo citando in giudizio il convenuto (vocatio in ius). Nella scelta della data di prima udienza da indicare nell’atto di citazione, l’attore deve rispettare i termini dilatori previsti dell’art. 163bis c.p.c., i quali hanno lo scopo di garantire al convenuto un periodo minimo di tempo per la predisposizione delle proprie difese. Tra il giorno della notifica della citazione e quello dell’udienza di comparizione devono intercorrere termini liberi non minori di 90 giorni (nel processo davanti al giudice di pace i termini sono ridotti alla metà ex art 318), se il luogo della notificazione si trova in Italia, e di 150 giorni se si trova all’estero. In caso di urgenza, il presidente può, su istanza dell’attore, abbreviare i termini di comparizione fino alla metà, alla riduzione dei termini di comparizione consegue automaticamente anche la riduzione dei termini di costituzione di attore e convenuto. Per impedire condotte dilatorie dell’attore, il quale abbia indicato, per la prima udienza, una data molto avanti nel tempo, l’art. 163bis, co. 3, c.p.c. prevede la possibilità, per il convenuto, di chiedere l’anticipazione dell’udienza. Ai sensi dell’art. 163, la domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa. L’atto di citazione deve contenere: 1. l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta; 2. il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore e del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio; 3. la determinazione della cosa oggetto della domanda (petitum); 4. l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (causa petendi), nonché l’indicazione esatta del provvedimento che si vuole ottenere (petitum immediato) rispetto al bene da tutelare (petitum mediato); 5. l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; 6. il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura; 7. l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 (impossibilità di contestare la competenza del giudice adito) e 167 (impossibilità di proporre le domande riconvenzionali, le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, di chiedere l’autorizzazione alla chiamata del terzo). L'atto di citazione, sottoscritto a norma dell'art. 125, è consegnato dalla parte o dal procuratore all'ufficiale giudiziario, il quale lo notifica a norma degli artt. 137 ss. L’art. 164 disciplina la nullità della citazione distinguendo - Vizi della vocatio in ius: la citazione è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell'articolo 163 (indicazione dell’autorità giudiziaria e delle parti), se manca l'indicazione della data dell'udienza di comparizione, se è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero se manca l'avvertimento previsto dal numero 7) dell'articolo 163. Quando la nullità colpisce la vocatio in ius IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 5  mancata costituzione del convenuto (contumacia del convenuto): il giudice verifica d’ufficio la regolarità della notifica della citazione. Se il G.I. non rileva alcun vizio, dichiara la contumacia del convenuto. Nel caso in cui il G.I. rilevi un vizio che importi la nullità della notificazione della citazione, fissa all’attore un termine perentorio per rinnovarla (art. 291): se il convenuto non si costituisce neppure all’udienza indicata, il giudice dichiara la contumacia con ordinanza (art. 171 comma 3); se invece entro tale termine il convenuto si costituisce, il vizio si sana retroattivamente (ex tunc) e il convenuto evita ogni decadenza conseguente alla ritardata costituzione; se invece la rinnovazione della citazione non è eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell’articolo 307, 3° comma (art. 291, co. 3, c.p.c.).  mancata costituzione dell’attore (contumacia dell’attore): se il convenuto ha provveduto tempestivamente all’iscrizione della causa a ruolo e chiede la prosecuzione del giudizio, il giudice dichiara la contumacia dell’attore e il processo prosegue. Altrimenti dispone che la causa sia cancellata dal ruolo e il processo si estingue (combinato disposto art. 168 e art. 290). Come detto la parte che, benchè regolarmente citata, non si costituisce neppure nella prima udienza è dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore. La parte che è stata dichiarata contumace può costituirsi in ogni momento del procedimento fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, la costituzione può avvenire mediante deposito di una comparsa e della procura in cancelleria o mediante comparizione in udienza (art. 293, 1° e 2° comma). Il contumace che si costituisce tardivamente accetta la causa nello stato in cui si trova. Tuttavia, gli è riconosciuto, nella prima udienza o nel termine assegnatogli dal giudice, la facoltà di disconoscere le scritture prodotte contro di lui (art. 293, 3° comma). Il contumace che si costituisce tardivamente può chiedere al giudice istruttore la rimessione in termini ossia di essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero precluse se dimostra che la nullità della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione è stata impedita da causa a lui non imputabile. Il giudice se ritiene verosimili i fatti allegati, ammette la prove dell’impedimento e provvede sulla remissione in termini ed in tal modo il soggetto rimasto contumace è ammesso a compiere attività processuali che altrimenti gli sarebbero precluse (art. 294). La contumacia non impedisce lo svolgimento del processo, in quanto in linea di diritto il convenuto è già presente in giudizio, ossia assume la qualità di parte, per il solo fatto di essere stato convenuto, ossia di essere stato regolarmente citato, ciò che per l’art 101 c.p.c. è già sufficiente perché il giudice possa provvedere nei suoi confronti. La regola del contraddittorio infatti vuole che il giudice si pronunci solo se il convenuto è stato posto in condizioni di difendersi, se lo vuole. Ma se non lo vuole, questa sua inerzia non può impedire lo svolgimento del processo nel quale egli è giuridicamente già presente come parte e destinatario del provvedimento. Un volta dichiarata la contumacia di una parte il processo continua nelle forme normali, la contumacia non esonera l’attore dalla prova dei fatti costitutivi allegati. Al contumace vanno notificati e comunicati i seguenti atti (art. 292): - l’ordinanza che ammette l’interrogatorio formale o il giuramento, e le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali vanno notificate personalmente al contumace nel termine fissato dal G.I.; - va notificata al contumace il verbale in cui si dà atto della produzione della scrittura privata nei procedimenti di cognizione ordinaria; - le altre comparse si considerano comunicate con il deposito in cancelleria e con l’apposizione del visto del cancelliere; IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 6 - le sentenze sono notificate alla parte contumace personalmente. ISCRIZIONE A RUOLO E FASCICOLO D’UFFICIO All'atto della costituzione dell'attore, o, se questi non si è costituito, all'atto della costituzione del convenuto, su presentazione della nota d'iscrizione a ruolo, il cancelliere iscrive la causa nel ruolo generale. Contemporaneamente il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio, nel quale inserisce la nota d'iscrizione a ruolo, copia dell'atto di citazione, delle comparse e delle memorie, e, successivamente, i processi verbali di udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti di istruzione e la copia del dispositivo delle sentenze. Formato un fascicolo d'ufficio a norma dell'articolo precedente, il cancelliere lo presenta senza indugio al presidente del tribunale, il quale, con decreto scritto in calce della nota d'iscrizione al ruolo, designa il giudice istruttore davanti al quale le parti debbono comparire, se non creda di procedere egli stesso all'istruzione. Nei tribunali divisi in più sezioni il presidente del tribunale assegna la causa ad una di esse, e il presidente della sezione provvede alla designazione del giudice istruttore. Il cancelliere, subito dopo la designazione del giudice istruttore da parte del Presidente del Tribunale, deve trasmettere all’istruttore il fascicolo d’ufficio, al fine di consentire al giudice di prendere immediatamente visione delle carte processuali. Se nel giorno fissato per la comparizione il giudice istruttore designato non tiene udienza, la comparizione delle parti è d'ufficio rimandata all'udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice designato. In questo caso, il termine di costituzione del convenuto rimane ancorato al giorno dell’udienza originariamente fissata (Cass. 4030/2009). Il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino ad un massimo di quarantacinque giorni. In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza. Il convenuto, in caso di differimento d’udienza, può costituirsi entro venti giorni prima della nuova udienza. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 7 FASE ISTRUTTORIA (distinta in due sottofasi: la trattazione della causa e l’eventuale istruzione probatoria) UDIENZA DI PRIMA COMPARIZIONE DELLE PARTI E TRATTAZIONE DELLA CAUSA (art. 183) Il G.I. procede al controllo della regolare instaurazione del processo, della costituzione e comparizione delle parti, della validità dell’atto di citazione e della domanda riconvenzionale. Ai sensi dell’art. 183 comma 1, il G.I. deve rilevare d’ufficio: - l’eventuale incompetenza per materia, valore e territorio (art. 28 c.p.c.); - deve, se del caso, ordinare l’integrazione del contraddittorio; - dichiarare la nullità dell’atto di citazione (per vizio della vocatio in ius e/o della editio actionis) con l’adozione dei provvedimenti conseguenziali; - concedere un termine perentorio per l’integrazione della domanda riconvenzionale carente; - quando rileva un difetto di rappresentanza (ad es., per incapacità processuale), di assistenza (ad es., il ricorso proposto dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore) o di autorizzazione (ad es., l’autorizzazione necessaria perché un ente pubblico possa agire o resistere in giudizio), il G.I. assegna un termine per la costituzione della persona cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione - disporre la rinotifica dell’atto di citazione al convenuto contumace qualora ravvisi la nullità (e non l’inesistenza) della prima notifica fissando una nuova udienza di trattazione. Il G.I, quando pronuncia i provvedimenti di cui all’art. 183 comma 1 in prima udienza, fissa una nuova udienza di trattazione. Il G.I. fissa altresì una nuova udienza quando, a richiesta congiunta delle parti, occorre procedere al libero interrogatorio delle parti per il tentativo di conciliazione. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, può disporre previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda nelle forme del procedimento sommario di cognizione ed invita le parti ad indicare nella stessa udienza, a pena di decadenza, i mezzi di prova di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria (art. 183bis). Occorre considerare che possono altresì verificarsi le seguenti ipotesi relative alla mancata comparizione delle parti (art. 181): - mancata comparizione di entrambe le parti nella prima udienza: se nessuna delle parti compare alla prima udienza, il giudice fissa un'udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo; - mancata comparizione del convenuto già costituito nella prima udienza: se il convenuto non compare alla prima udienza il processo può continuare in sua assenza ed il giudice dichiara la contumacia del convenuto; - mancata comparizione dell’attore già costituito nella prima udienza: in tal caso è sempre necessaria la richiesta del convenuto affinchè il processo continui. Se l'attore costituito non comparisce alla prima udienza, e il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, il giudice fissa una nuova udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all'attore. Se questi non comparisce alla nuova IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 10 Le prove precostituite o documenti La prova precostituita è quella che si forma fuori e, di solito, prima del processo, nel quale entra mediante un atto di esibizione (es. atto pubblico). Documento è ogni oggetto materiale idoneo a rappresentare o a dare conoscenza di un fatto. I documenti per adempiere alla loro funzione probatoria, debbono essere posti a disposizione del giudice. Ciò avviene mediante la produzione dei documento, consistente nell’inserzione degli stessi nel proprio fascicolo processuale, previa attestazione del relativo deposito in cancelleria al momento della costituzione in giudizio o nel corso dello stesso, oppure mediante espressa indicazione nel verbale di udienza. Il codice civile distingue due tipi di prove precostituite o documentali: 1) Atto pubblico (art. 2699-2700 c.c.) L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato. L'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti (non della verità delle dichiarazioni rese innanzi al medesimo). Il documento formato da ufficiale pubblico incompetente o incapace ovvero senza l'osservanza delle formalità prescritte, se è stato sottoscritto dalle parti, ha la stessa efficacia probatoria della scrittura privata (art. 2701 c.c.). Piena prova significa efficacia probatoria assoluta ed incondizionata, nel senso che non lascia margine al giudice per una libera valutazione, ossia lo vincola: il che equivale a dire che si tratta di prova legale che viene a cessare soltanto per effetto dell’eventuale esito positivo di uno speciale procedimento: la querela di falso. L’efficacia legale dell’atto pubblico riguarda: la provenienza delle dichiarazioni del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, il momento e il luogo di formazione ed in generale tutto ciò che davanti al pubblico ufficiale è stato detto o fatto (questo è l’estrinseco). Il pubblico ufficiale dunque raccoglie le dichiarazioni dei soggetti che sono parti dell’atto e provvede a redigerle per iscritto attribuendo pubblica fede a quanto si è detto o fatto davanti a lui. Quanto all’intrinseco, ossia al contenuto delle dichiarazioni è invece al di fuori dell’efficacia di prova legale e perciò rientra nell’ampia e normale libera valutabilità da parte del giudice (es.: il giudice, che è vincolato nel ritenere che Tizio compì quella certa dichiarazione di vendita o di riconoscimento di un debito o narrazione di un fatto in quel certo giorno e luogo davanti al notaio, è perfettamente libero di ritenere sulla base di altre risultanze che quel Tizio compì una dichiarazione falsa o non interamente vera). 2) Scrittura privata (art. 2702 c.c.) La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta. Anche nella scrittura privata l’efficacia di prova legale è limitata all’estrinseco ossia riguarda la provenienza delle dichiarazioni, mentre per quanto riguarda l’intrinseco vale quanto detto per l’atto pubblico: il giudice può valutarlo in piena libertà eventualmente ricorrendo a massime di esperienza. Mancando nella scrittura privata l’attestazione del notaio o altro pubblico ufficiale, la legge può contare solamente su uno strumento meno sicuro quale è la sottoscrizione. Per dare un sufficiente grado di certezza circa la provenienza dello scritto da parte del suo sottoscrittore fa riferimento ad altri espedienti integrativi che unitamente alla sottoscrizione conferiscono alla scrittura privata IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 11 efficacia di prova legale circa la provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta. Tali espedienti integrativi sono: a) riconoscimento della sottoscrizione da parte di colui contro il quale la scrittura è prodotta ossia da parte della controparte in giudizio (l’efficacia probatoria della scrittura privata sussiste soltanto in quanto la scrittura stessa provenga non da un terzo, ma da una delle parti e precisamente la controparte). b) autenticazione della sottoscrizione: ad essa si riferisce l’art. 2703 c.c. che dispone che “si ha per riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L'autenticazione consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive”. Occorre rilevare che, a differenza di quanto accade nell’atto pubblico, qui il pubblico ufficiale non è l’autore dell’atto e non raccoglie le dichiarazioni, ma si limita ad integrare l’efficacia della sottoscrizione attestando la provenienza del documento da parte di colui che lo ha sottoscritto in sua presenza. Occorre precisare che solamente la scrittura privata autenticata è idonea (come l’atto pubblico) a dare la prova legale anche della data della scrittura, poiché solo in questo caso esiste l’attestazione di un pubblico ufficiale circa la sottoscrizione avvenuta in sua presenza in un determinato momento. Ai sensi dell’art. 2704 c.c. la data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa ed opponibile anche ai terzi se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento. c) riconoscimento tacito: la parte contro la quale la scrittura privata è prodotta è gravata dall’onere di compiere il disconoscimento della sottoscrizione, in mancanza del quale verrebbe a subire le conseguenze del riconoscimento tacito. Ai sensi dell’art. 216 c.p.c. la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta: 1) se la parte, alla quale la scrittura è attribuita o contro la quale è prodotta, è contumace, salva la facoltà del contumace che si costituisce tardivamente, di effettuare il disconoscimento nella prima udienza o nel termine assegnatogli dal giudice); 2) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione. La tardività del disconoscimento non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, ma va eccepita dalla parte che ha prodotto il documento. Se la scrittura privata non viene tempestivamente disconosciuta, il giudice deve considerare come riconosciuta la sottoscrizione. Il giudizio di verificazione Rimane da vedere che cosa accade, invece, se la parte gravata del disconoscimento assolve tempestivamente a tale onere ossia disconosce la scrittura o la sottoscrizione. A questo punto la legge riversa sulla parte che ha prodotto lo scritto disconosciuto la responsabilità della scelta tra rinunciare ad avvalersi dello scritto disconosciuto (che perciò rimarrà privo di ogni efficacia probatoria) oppure insistere nel sostenerne la provenienza, in contrasto col disconoscimento, affrontando il rischio dell’instaurazione di un apposito giudizio che si inserisce come un incidente nel giudizio principale ma che ha un suo oggetto specifico (la verificazione della provenienza dello scritto) tanto che può essere proposto anche in via autonoma. Si tratta del giudizio di verificazione IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 12 (ossia l’accertamento dell’autenticità della scrittura o della sottoscrizione) disciplinato dall’art. 216 c.p.c.: “La parte che intende valersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione. L'istanza per la verificazione può anche proporsi in via principale con citazione, quando la parte dimostra di avervi interesse (che consisterà nella rilevanza della scrittura come prova nel processo principale, mentre in caso di giudizio autonomo l’interesse sarò determinato dalla possibilità di doversi servire della scrittura come prova in eventuali futuri giudizi o anche come titolo per trascrizioni o iscrizioni); ma se il convenuto riconosce la scrittura, le spese sono poste a carico dell'attore”. Il giudizio di verificazione, a differenza della querela di falso, concerne soltanto la falsità della sottoscrizione o della scrittura e quindi solo la falsità materiale (non anche la falsità ideologia che consiste nella falsità del contenuto). Ai sensi dell’art. 220 c.p.c. sull'istanza di verificazione pronuncia sempre il collegio (a seguito della riforma introdotta dal D. Lgs. 51/98, il giudizio di verificazione non rientra tra le cause che l’art. 50bis ha riservato al Collegio; pertanto l’espressione Collegio è da intendersi qui come organo giudicante). Se l’esito del giudizio è affermativo ossia accerta che la sottoscrizione o la scrittura provengono dalla parte che le ha disconosciute, la scrittura vale ad ogni effetto come se fosse stata riconosciuta ed il disconoscente può essere condannato, con la stessa sentenza, ad una pena pecuniaria. Dunque il risultato in tal caso è quello dell’equiparazione, sotto il profilo probatorio, della scrittura verificata alla scrittura riconosciuta o autenticata. Se l’esito è negativo, la scrittura disconosciuta rimane ovviamente priva di ogni effetto probatorio. La querela di falso L’atto pubblico e la scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata fa piena prova fino a querela di falso. Il che vuol dire che solo con la querela di falso si possono contestare le risultanze (estrinseche) dell’atto pubblico e della scrittura privata riconosciuta, autenticata o verificata alle quali la legge attribuisce efficacia di prova legale. Rispetto al giudizio di verificazione, la querela di falso non soltanto ha un oggetto più ampio poiché con essa si può far valere oltre alla falsità materiale che può concretarsi nella contraffazione (che si verifica quando il documento viene materialmente formato da un soggetto diverso dal suo autore apparente o posto in essere in una data o in un luogo diverso da quello apparente) oppure nell’alterazione (che è una modificazione delle risultanze del documento compiuta successivamente alla sua formazione) anche la falsità ideologica (che concerne in una enunciazione falsa nel contenuto) limitatamente per quanto concerne l’estrinseco del documento come nel caso in cui il notaio attesta falsamente che una dichiarazione è stata compiuta davanti a lui (nel caso di abusivo riempimento del foglio firmato in bianco, la querela di falso è proponibile solo nel caso in cui il riempimento non sia autorizzato da parte di colui che ha sottoscritto il foglio). La querela di falso oltre ad avere efficacia erga omnes, può investire, oltre all’atto pubblico e alla scrittura privata riconosciuta o autenticata, anche la scrittura privata sulla quale si sia già svolto un giudizio di verificazione, quest’ultima eventualità sarebbe impedita dal giudicato se con la querela di falso si volesse sostenere quella medesima falsità che già è stata esclusa nel giudizio di verificazione. Tale limitazione potrebbe non sussistere sia per la maggior ampiezza del possibile ambito della querela di falso sia perché in concreto l’oggetto dei due giudizi potrebbe essere diverso (ad es., perché nel giudizio di verificazione sia era sostenuta la falsità della sola sottoscrizione, mentre con la querela di IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 15 La parte, che ha deferito o riferito il giuramento decisorio, non può più revocarlo quando l'avversario ha dichiarato di essere pronto a prestarlo (art. 235 c.p.c.). La revoca è consentita se nell'ammettere il giuramento decisorio il giudice modifica la formula proposta dalla parte. Il giuramento decisorio è prestato personalmente dalla parte ed è ricevuto dal giudice istruttore. Questi ammonisce il giurante sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false, e quindi lo invita a giurare. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittima costituzionale relativamente alle parole “davanti a Dio e agli uomini” e “religioso”, la formula del giuramento è diventata: "consapevole della responsabilità che col giuramento assumo, giuro...", e continua ripetendo le parole della formula su cui giura. Il giuramento ha efficacia di prova legale: il giudice deve dichiarare vittoriosa la parte che ha giurato e soccombente l’altra parte, che non può essere ammessa a provare il contrario di quanto giurato. La parte alla quale il giuramento decisorio è deferito, se non si presenta senza giustificato motivo all'udienza all'uopo fissata, o, comparendo, rifiuta di prestarlo o non lo riferisce all'avversario, soccombe rispetto alla domanda o al punto di fatto relativamente al quale il giuramento è stato ammesso; e del pari soccombe la parte avversaria, se rifiuta di prestare il giuramento che le è riferito. Il giudice istruttore, se ritiene giustificata la mancata comparizione della parte che deve prestare il giuramento, fissa una nuova udienza o l’assunzione fuori dalla sede giudiziaria.. o suppletorio: quello che è deferito d'ufficio dal giudice a una delle parti al fine di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova. Una particolare specie di esso è il giuramento estimatorio che è deferito al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti. Gli artt. 242 e 243 c.p.c. precisano che alla prestazione del giuramento suppletorio si applicano le disposizioni relative al giuramento decisorio esclusa la possibilità del riferimento all’altra parte. 3) Testimonianza É la narrazione dei fatti della causa compiuta al giudice da soggetti che non sono parti nel processo, ma estranei agli interessi in contesa. Dal momento che la testimonianza non costituisce un tipo di prova di sicura attendibilità, la legge, da un lato, ha posto dei limiti alla sua ammissibilità, dall’altro, ne ha fatto una prova soggetta alla libera valutazione del giudice che deve apprezzare i fatti deposti e l’attendibilità dei testi. La legge pone dei limiti all’ammissibilità della prova testimoniale che non è ammessa quando: o si controverte di un atto per il quale la forma scritta è richiesta ad substantiam o ad probationem, salvo il caso in cui il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova (art. 2725 c.c.) o abbia per oggetto un contratto, un pagamento o una remissione di debito per un valore superiore a 2,50 euro, tuttavia il giudice può consentire la prova oltre detto limite tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza (art. 2721 e 2726 c.c.). o ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento qualora si alleghi che la stipulazione dei suddetti patti aggiunti o contrari sia stata anteriore o contemporanea alla redazione del documento (in tale ipotesi sarebbe scarsamente probabile che tali patti se effettivamente conclusi non siano stati inseriti nel documento). Qualora si alleghi che tali patti fossero stati stipulati dopo la redazione del documento, il IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 16 giudice potrebbe ammettere la prova per testimoni soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali (art. 2723 c.c.). La prova per testimoni è ammessa in ogni caso (art. 2724 c.c.): 1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato; 2) quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta; 3) quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova. L’art. 246 c.p.c. disciplina l’incapacità a testimoniare prevedendo che non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. I divieti di testimoniare del coniuge ancorché separato, dei parenti o degli affini in linea retta o dei minori di 14 anni (art. 247-248 c.p.c.) sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale perché in contrasto con gli artt. 24 e 3 Cost. L’intimazione al testimone ammesso su richiesta delle parti a comparire in udienza può essere effettuata, oltre che dall’ufficiale giudiziario, anche dal difensore attraverso l’invio di copia dell’atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo telefax. Il difensore che ha spedito l'atto da notificare con lettera raccomandata deposita nella cancelleria del giudice copia dell'atto inviato, attestandone la conformità all'originale, e l'avviso di ricevimento (art. 250 c.p.c.). La prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata (art. 244 c.p.c.). Con l'ordinanza che ammette la prova il giudice istruttore riduce le liste dei testimoni sovrabbondanti ed elimina i testimoni che non possono essere sentiti per legge. La rinuncia fatta da una parte all'audizione dei testimoni da essa indicati non ha effetto se le altre non vi aderiscono e se il giudice non vi consente (art. 245 c.p.c.). Il giudice istruttore interroga il testimone sui fatti intorno ai quali è chiamato a deporre. Può altresì rivolgergli, d'ufficio o su istanza di parte, tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti medesimi. È vietato alle parti e al pubblico ministero di interrogare direttamente i testimoni i quali non posso servirsi di scritti preparati, ma il giudice istruttore può consentirle di valersi di note o appunti, quando deve fare riferimento a nomi o a cifre, o quando particolari circostanze lo consigliano. Se alcuno dei testimoni si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice istruttore può disporre d'ufficio che esse siano chiamate a deporre. Il giudice può anche disporre che siano sentiti i testimoni dei quali ha ritenuto l'audizione superflua a norma dell'articolo 245 o dei quali ha consentito la rinuncia; e del pari può disporre che siano nuovamente esaminati i testimoni già interrogati, al fine di chiarire la loro deposizione o di correggere irregolarità avveratesi nel precedente esame. Se il testimone regolarmente intimato non si presenta, il giudice istruttore può ordinare una nuova intimazione oppure disporne l’accompagnamento all’udienza stessa o ad altra successiva. Con la medesima ordinanza il giudice, in caso di mancata comparizione senza giustificato motivo, può condannarlo ad una pena pecuniaria non inferiore a 100 euro e non superiore a 1.000 euro. In IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 17 caso di ulteriore mancata comparizione senza giustificato motivo, il giudice dispone l’accompagnamento del testimone all’udienza stessa o ad altra successiva e lo condanna a una pena pecuniaria non inferiore a 200 euro e non superiore a 1.000 euro. Se il testimone si trova nell’impossibilità di presentarsi o ne è esentato dalla legge o dalle convenzioni internazionali, il giudice si reca nella sua abitazione o nel suo ufficio; e, se questi sono situati fuori della circoscrizione del tribunale, delega all’esame il giudice istruttore del luogo. Se il testimone, presentandosi, rifiuta di giurare o di deporre senza giustificato motivo, o se vi è fondato sospetto che egli non abbia detto la verità o sia stato reticente, il giudice istruttore lo denuncia al pubblico ministero, al quale trasmette copia del processo verbale. Il testimone ha il dovere di deporre e di dire la verità. L’inosservanza del dovere di non dire il falso e di non tacere il vero è peraltro penalmente sanzionata con la reclusione da due a sei anni (art. 372). In alcuni casi eccezionali, tuttavia, il testimone può legittimamente astenersi dal deporre (art. 249 c.p.c.). Ciò accade nelle ipotesi previste dagli artt. 200, 201, 202 c.p.p. (es es., non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, i ministri di confessioni religiose, gli avvocati; i consulenti tecnici, i notai, i medici e i chirurghi, i farmacisti, ecc.) Una delle più significative novità della riforma del 2009 è la testimonianza scritta disciplinata dall’art. 257bis. Il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato. Il giudice dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone. Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione. Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice. Quando il testimone si avvale della facoltà d’astensione di cui all’articolo 249, ha l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione. Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all’articolo 255, primo comma. Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, essa può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è stata ammessa, senza il ricorso al modello di testimonianza. Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato. 4) L’ispezione É l’attività istruttoria disposta, d’ufficio, dal giudice diretta ad esaminare luoghi, persone, cose mobili e immobili, oggetti cioè che non possono entrare nel processo come documenti, ma solo come risultato di una osservazione. Il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti negli articoli 351 e 352 c.p.p. Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice può da questo rifiuto desumere argomenti di prova a norma dell’articolo 116 secondo IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 20 La rimessione totale dalla causa al collegio La rimessione totale della causa al collegio avviene nelle seguente ipotesi 1) il giudice istruttore rimette le parti davanti al collegio, se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova (art. 187, 1° comma). 2) Il giudice istruttore può rimettere le parti al collegio affinché sia decisa separatamente una questione preliminare o pregiudiziale (di competenza, di giurisdizione) quando il giudice istruttore ritenga che la decisione di esse può definire il giudizio (art. 187, 2° e 3° comma). In tali ipotesi il giudice ritiene opportuno farne oggetto di immediata rimessione totale anziché accantonarle fino alla chiusura dell’istruzione. 3) Il giudice istruttore rimette la causa al collegio dopo l’avvenuto svolgimento dell’istruzione probatoria (art. 188). Per quanto concerne le modalità di rimessione della causa al collegio occorre far riferimento all’art. 189 il quale dispone che: “Il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, a norma dei primi tre commi dell'articolo 187 o dell'articolo 188, invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 183. Le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dall'articolo 187, secondo e terzo comma (ossia anche nei casi di rimessione in funzione della risoluzione di questioni pregiudiziali e preliminari e ciò perché anche in tale ipotesi la rimessione investe il collegio di tutta la causa). La rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell'articolo 187, secondo e terzo comma (il collegio pertanto può decidere la causa come anche non deciderla o deciderla solo in parte rimettendola nuovamente all’istruttore a seconda che condivida o meno la valutazione di maturità per la decisione che quest’ultimo ha compiuto nell’effettuare la rimessione totale)”. La precisazione delle conclusioni è un atto orale documentato nel processo verbale dell’udienza da compiersi da ciascuna delle parti ed è un atto che prelude alla rimessione. Precisazione delle conclusioni significa manifestazione in modo preciso e definitivo delle conclusioni tenendo conto degli elementi emersi durante il corso della trattazione e dell’istruzione probatoria, eventualmente svoltasi, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’art. 183. Ciò in quanto è esclusa la proposizione di domande nuove o la loro modificazione che possono effettuarsi solo nella fase di prima udienza di comparizione e trattazione secondo il regime di preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c. Nel precisare le loro conclusioni le parti possono anche rinunciare a qualche domanda accessoria o diminuire il petitum o aumentarlo nel caso di sopravvenienza di norme o di fatti, ferma la causa petendi, oppure limitarsi a richiamare le conclusioni formulate in precedenza (ad es., le conclusioni contenute nella citazione o nella comparsa di risposta o successivamente formulate in udienza e raccolte a verbale o con memorie); questo richiamo dovrà essere effettuato implicitamente nel caso che una parte non ottemperi all’invito di precisare le conclusioni, ad es., non comparendo all’udienza. Come detto, la precisazione delle conclusioni prelude alla rimessione in decisione. Dopo la remissione della causa al collegio, il procedimento decisorio può variare a seconda che le parti richiedano o meno l’udienza di discussione davanti al collegio: a) La rimessione vera e propria avviene subito dopo, quando, cioè, il giudice istruttore, raccolta la precisazione delle conclusioni rimette le parti al collegio secondo il disposto dell’art. 189, 1° comma. A questo punto la legge passa a disciplinare le scambio tra le parti degli atti difensivi finali ossia delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Dalla remissione della causa al collegio cominciano a decorrere i 60 gg. entro i quali le parti devono depositare le comparse conclusionali ed i 20 gg. successivi per il deposito delle memorie di replica (art. 190 c.p.c.). Per il IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 21 deposito delle comparse conclusionali il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, può fissare un termine più breve, comunque non inferiore a venti giorni. Il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica consiste nel deposito in cancelleria in un originale destinato ad essere inserito nel fascicolo di parte ed in alcune copie delle quali una è destinata alla controparte, una è destinata al fascicolo d’ufficio e le altre agli altri componenti del collegio. Attraverso questo deposito avviene la comunicazione all’altra parte della copia ad essa destinata. Le comparse conclusionali devono contenere le sole conclusioni già fissate dinanzi all’istruttore e il compiuto svolgimento delle argomentazioni di fatto e di diritto su cui esse si fondano. Ciascuna parte ha soltanto l’onere, e non certo il dovere, di depositare la propria comparsa conclusionale nel termine di 60 giorni dalla rimessione della causa. Se non lo fa, l’iter procedimentale non ne rimane affatto ostacolato, poiché il collegio (o il giudice unico) si pronuncerà comunque eventualmente tenendo conto degli argomenti difensivi svolti negli atti precedenti e comunque riferendosi alle conclusioni formulate in precedenza. Tutto questo vale anche con riguardo all’ulteriore ed ultimo atto difensivo di parte, ossia le memorie di replica. Si tratta di semplici memorie (ossia brevi scritti difensivi) di replica la cui comunicazione o scambio tra le parti avviene con le medesime modalità dello scambio delle comparse conclusionali entro i 20 gg. successivi alla scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali. Rimessa la causa al collegio, la sentenza è depositata in cancelleria entro 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica (art. 275 comma 1) b) L’art. 275 c.p.c. stabilisce che, dopo la remissione della causa al collegio, di regola non si svolge l’udienza di discussione, a meno che non venga richiesta da almeno una delle parti. L’udienza di discussione innanzi al collegio si svolge solo se una delle parti, nel precisare le conclusioni, chiede che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, fermo restando il rispetto dei termini indicati nell'articolo 190 per il deposito delle difese scritte (comparse conclusionali e memorie di replica), la richiesta deve essere riproposta al Presidente del tribunale alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica. Il presidente provvede sulla richiesta fissando con decreto la data dell'udienza di discussione, da tenersi entro sessanta giorni. Nell'udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa. Dopo la relazione, il presidente ammette le parti alla discussione; la sentenza è depositata in cancelleria entro i 60 giorni successivi. La rimessione parziale della causa al collegio Come abbiamo visto una regola fondamentale soprassiede alla rimessione della causa al collegio in funzione della decisione, ossia la regola enunciata nel 2° comma dell’art. 189 secondo la quale la rimessione investe il collegio di tutta la causa. Le pochissime eccezioni a questa regola danno luogo ad una figura particolare di rimessione della causa al collegio che pur essendo in funzione della decisione e dovendo avvenire con le stesse modalità della rimessione totale, si limita tuttavia ad investire il collegio dei poteri inerenti ad una decisione parziale: e cioè di tutti i poteri ( di decisione, ma anche di eventuale ulteriore rimessione all’istruttore per la riapertura dell’istruzione) che si riferiscono soltanto a una questione o causa coordinata con la causa principale e dotata di una certa autonomia rispetto a quest’ultima, sì da potere essere decisa separatamente. Il legislatore ha persino evitato una disciplina unitaria della rimessione parziale che perciò si desume dalla disciplina particolare degli istituti per i quali è ammessa. L’opportunità di questa decisione separata è IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 22 valutata discrezionalmente dal giudice istruttore, ma soltanto quando ricorra una delle seguenti ipotesi tassative: - querela di falso: che (oltre in via principale) può essere proposta in via incidentale, in tal caso, poiché la querela di falso (per la necessaria partecipazione del p.m.) è inclusa tra le cause che l’art. 50bis c.p.c. riserva al collegio, l’art. 225 comma 2° dispone che il giudice istruttore può rimettere le parti al collegio per la decisione sulla querela indipendentemente dal merito - giudizio di verificazione: sempre che anche questo giudizio si svolga non in via principale, ma in via incidentale. Anche in questo caso (nel quale il riferimento al collegio va inteso come riferimento all’organo giudicante, in quanto questo giudizio non è incluso tra quelli che l’art. 50bis c.p.c. riserva al collegio) sussistono le medesime ragioni per una decisione separata sulla contestazione in discorso. La rimessione parziale in quanto è in funzione di una decisione deve avvenire con le modalità proprie della rimessione totale ossia previa precisazione delle conclusioni e scambio delle comparse conclusionali ed eventuali memorie di replica. Naturalmente le comparse conclusionali saranno solo quelle che concernono la postulata decisione parziale (giudizio sulla querela di falso o sulla verificazione) perché nella rimessione parziale non opera la regola propria della rimessione totale e secondo la quale tale rimessione investe il collegio di tutta la causa. Il procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica Ai sensi dell’art. 281bis nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi precedenti, ove non derogate dalle disposizioni del presente capo. L’art. 281 quater afferma il principio per il quale nelle materie sottratte alla competenza del collegio, il giudice monocratico (sia nel processo di cognizione che in quello esecutivo) decide con pienezza di poteri pari a quelli spettanti all’organo collegiale. I due articoli che seguono (281 quinquies e 281 sexies) e che esauriscono la disciplina del procedimento in esame, riguardano lo svolgimento della fase di decisione, ad ulteriore conferma che tutto l’iter procedimentale anteriore coincide con quello della disciplina del procedimento innanzi al tribunale indipendentemente dalla sua composizione. Gli articoli 281 quinquies e 281 sexies configurano due diverse modalità di decisione in relazione alle quali il giudice può scegliere in relazione alla natura della causa, alla sua complessità e ad una serie di circostanze da valutarsi caso per caso: a) Decisione a seguito di trattazione scritta o mista (art. 281 quinquies) Il giudice, fatte precisare le conclusioni a norma dell'articolo 189, dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell'articolo 190 e, quindi, deposita la sentenza in cancelleria entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica. Se una delle parti lo richiede, il giudice, disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali a norma dell'articolo 190, fissa l'udienza di discussione orale non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse medesime; la sentenza è depositata entro i 30 giorni successivi all'udienza di discussione. b) Decisione a seguito di trattazione orale (art. 281 sexies) Se non dispone a norma dell'articolo 281-quinquies, il giudice, fatte precisare le conclusioni, può ordinare la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un'udienza IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 25 IL PROCESSO ESECUTIVO O ATTIVITÀ GIURISDIZIONALE DI ESECUZIONE FORZATA Il processo esecutivo costituisce l’oggetto della disciplina contenuta nel terzo libro del codice di procedura civile (artt. 474-632 c.p.c.). Questo libro, che è intitolato, “del processo di esecuzione”, è interamente dedicato al processo esecutivo, di cui contiene l’intera disciplina e comprende anzi anche la disciplina di alcuni procedimenti che sono strutturalmente di cognizione e che soltanto funzionalmente sono coordinati all’esecuzione forzata: le opposizione nel processo esecutivo. Il III libro (del processo di esecuzione) del codice di procedura civile è così articolato: Titolo I – Del titolo esecutivo e del precetto (artt. 474-482) Titolo II – Dell'espropriazione forzata (artt. 483-604) Titolo III – Dell’esecuzione per consegna o rilascio (art. 605-611) Titolo IV – Dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare (artt. 612-614 bis) Titolo V – Delle opposizioni (artt. 615-622) Titolo VI - Della sospensione e dell’estinzione del processo (artt. 623-632) Occorre osservare che mentre la funzione della cognizione consiste nel conseguire l’accertamento del diritto da tutelare, la funzione dell’esecuzione forzata consiste nell’attuazione materiale coattiva del diritto quale risulta dall’accertamento contenuto nel titolo esecutivo. Quando l’ordinamento giuridico ha conseguito, sull’esistenza del diritto, un determinato grado di certezza, pur contando sull’adempimento spontaneo da parte del soggetto passivo di tale diritto, non può non prevedere l’ipotesi che tale adempimento spontaneo non si verifichi. In tale ipotesi, caratterizzata dalla divergenza tra la già accertata situazione di diritto e quella di fatto, sorge in capo al titolare del diritto una nuova esigenza di tutela giurisdizionale, diversa da quella già soddisfatta dal processo di cognizione e risultata non sufficiente. L’attività giurisdizionale che viene incontro a questa nuova esigenza è l’attività giurisdizionale esecutiva la quale si articola in una serie coordinata ed alternata di atti e di situazioni che nel suo insieme concreta un processo come fenomeno giuridico. Il processo esecutivo, quando fa seguito al processo di cognizione (di condanna), si coordina con quest’ultimo sotto il profilo funzionale (nel senso che la condanna è in funzione dell’esecuzione forzata, la quale è, a sua volta, in funzione dell’attuazione del diritto) pur essendo del tutto autonomo sul piano strutturale; mentre quando si fonda su un accertamento non giudiziale, è completamente autonomo anche sul piano funzionale. In relazione con questa completa autonomia strutturale del processo esecutivo dal processo di condanna che lo ha (eventualmente) preceduto, sta il rilievo fondamentale che il processo esecutivo è introdotto da una domanda specifica ed autonoma, rivolta a specifici organi e specificamente intesa ad offrire la prestazione della tutela giurisdizionale esecutiva. I soggetti ai quali fa capo l’attività processuale sono l’organo esecutivo (l’ufficiale giudiziario) che opera nel quadro di un ufficio giudiziario (questo ufficio giudiziario, che la legge chiama “giudice”, è, avuto riguardo al fatto che il giudice di pace non ha competenza in materia esecutiva, soltanto il tribunale) e sotto il controllo di un giudice (giudice dell’esecuzione nel ruolo di tribunale in composizione monocratica). Le parti si individuano con la qualifica di creditore e debitore risultante dal titolo (essi corrispondono a coloro che nel processo di cognizione erano l’attore e il convenuto ossia i soggetti che rispettivamente chiedono o nei cui confronti si chiede la tutela giurisdizionale esecutiva), ma tali sono anche coloro che, per errore o altri motivi, assumono o viene loro fatto assumere quel ruolo: si pensi all’intervento dei terzi o concorso nell’espropriazione che consente a creditori sprovvisti di titolo esecutivo di partecipare all’espropriazione (solo se privilegiati o sequestranti o creditori di somme risultanti dalle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c.) già iniziata da almeno un creditore provvisto di titolo esecutivo; altro esempio è dato dal fenomeno per il quale talora l’esecuzione può avvenire legittimamente nei confronti o a favore di IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 26 soggetti diversi da quelli che risultano dal titolo come accade nell’ipotesi del fenomeno successorio nel processo esecutivo. L’azione esecutiva spetta, dunque, al soggetto che nel titolo risulta creditore e nei confronti del soggetto che nel titolo risulta come debitore. La domanda del creditore è, per lo più, rivolta direttamente all’organo esecutivo affinché questo provveda senz’altro all’esecuzione, salvi i controlli e le direttive impartite dall’organo propriamente giudiziario, ossia dal giudice dell’esecuzione. Davanti al giudice, nelle sue funzioni di direzione e controllo dell’attività esecutiva, il debitore ed il creditore possono soltanto, di regola, essere “ascoltati” (art. 485 c.p.c.), in un contraddittorio che normalmente investe soltanto le modalità dell’esecuzione, al cui ambito si ritiene, d’altra parte, limitato l’operare della prova nel processo esecutivo. La domanda all’organo esecutivo è, di solito, proposta verbalmente ed è sempre preceduta da una serie di atti (notificazioni del titolo esecutivo e del precetto) che restano ancora al di fuori del processo esecutivo vero e proprio, del quale costituiscono un preannuncio. La domanda esecutiva ha anche effetto interuttivo della prescrizione, sia l’effetto istantaneo di cui all’art. 2943 c.c. e sia quello permanente di cui all’art. 2945, 2° comma c.c. Gli atti dell’organo esecutivo sono per lo più “operazioni”, mentre l’attività del giudice nel processo esecutivo si estrinseca, invece, in provvedimenti la cui natura è per lo più ordinatoria ed assume la forma dell’ordinanza o del decreto, e non in provvedimenti decisori, quali le sentenze (con le quali si concludono normalmente, invece, quelle parentesi di cognizione che sono le opposizioni nel processo esecutivo). La sentenza, dunque, rimane propria ed esclusiva dell’attività di cognizione che non può mai appartenere al processo esecutivo, ma che tuttavia può, nell’ambito di quel processo, dar luogo a delle parentesi di cognizione con la forma delle opposizioni al processo esecutivo. Da questi rilievi emerge che il processo esecutivo si conclude con atti privi del carattere dell’incontrovertibilità propria del giudicato, ancorché irrevocabili a processo concluso. Nel processo esecutivo operano i principi della domanda, dell’impulso di parte e della disponibilità dell’oggetto del processo nei limiti dell’accertamento contenuto nel titolo esecutivo, va tenuto presente che qui non si tratta di determinare l’ambito di un giudizio, ma l’oggetto di un’attività esecutiva. Nel processo esecutivo non c’è spazio per le prove poiché qui non si tratta di giudicare, ma di eseguire: poiché manca il giudizio sui fatti, manca la stessa ragion d’essere della prova. Per quanto concerne il principio dell’uguaglianza delle parti, occorre evidenziare che qui l’uguaglianza delle parti è soltanto formale poiché l’esecuzione si compie per attuare il diritto dell’una contro l’altra, mentre il contraddittorio prescinde dalla contrapposizione dialettica delle parti concernendo solo le modalità dell’esecuzione. La validità degli atti del processo esecutivo è regolata dalle medesime norme e principi che soprassiedono alla validità degli atti del processo di cognizione. Questo in pratica significa che agli atti del processo esecutivo si applica la disciplina dell’intero titolo sesto del libro primo del codice, ivi comprese le norme (spec. art. 121 c.p.c.), sulle quali si fonda il principio della congruità delle forme allo scopo certamente operante anche nel processo esecutivo, nonché la disciplina della nullità degli atti. Al quale ultimo riguardo si deve soltanto osservare che tale disciplina va coordinata con quella dell’apposito strumento (di cognizione) previsto per far valere i vizi degli atti del processo esecutivo: ossia l’opposizione agli atti esecutivi che è per l’appunto una di quelle parentesi di cognizione nel processo esecutivo di cui si parlava poc’anzi. L’esigenza tendenziale è quella di far conseguire al creditore tutto quello e proprio quello cui ha diritto, ne deriva che l’optimum dell’attività esecutiva sta nell’attuare il diritto nella sua identità specifica: come ad es., la consegna o il rilascio proprio di quella certa cosa (art. 2930 c.c.) o il compimento proprio di quella certa attività, ecc. Questa fondamentale esigenza che ispira l’intera disciplina del processo, è più specificatamente espressa nelle norme che il codice civile dedica alla funzione e alla disponibilità della IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 27 tutela giurisdizionale esecutiva, ossia negli artt. 2930, 2931 e 2933, che appunto enunciano la generica esigenza di attuare, nelle forme previste dal codice di procedura civile, la tutela in forma specifica, in quanto possibile. Senonché, questa possibilità viene talora a mancare (nelle esecuzioni di diritti diversi dalle obbligazioni pecuniarie) sia a causa di impedimenti materiali e sia a causa di ostacoli giuridici o dei limiti imposti dal rispetto della persona; così non si potrà realizzare la consegna coattiva della cosa mobile che il debitore ha distrutto o che ha venduto ad un terzo di buona fede; non potrà essere coattivamente eseguibile l’obbligazione di fare infungibile (come, ad es., l’esibizione in teatro di un certo attore, che si rifiuta di farlo). Quando la soddisfazione specifica non è possibile, l’ordinamento non può fare altro che reagire trasformando il diritto sostanziale nella sua essenza, e cioè rendendolo più generico; tanto più generico quanto è necessario perché lo si possa eseguire coattivamente (ad es., non quella macchina, ma un’altra uguale; non la prestazione di quel debitore, ma quella di un terzo) fino a quel massimo limite di genericità e fungibilità che è offerto dal denaro, nel quale in definitiva ogni diritto patrimoniale può, più o meno integralmente, risolversi, attraverso gli istituti della aestimatio rei, dell’obbligo di corresponsione del tantundem, del risarcimento dei danni. Non è compito del processo esecutivo lo stabilire se un diritto può essere eseguito coattivamente nella sua specificità oppure se, a causa degli ostacoli ai quali sopra si è fatto cenno esso deve trasformarsi per poter essere eseguito. Ciò è, invece, compito del processo di cognizione, al termine del quale il diritto deve risultare accertato come eseguibile con le forme preordinate in astratto dalla legge ma già determinate in concreto nella pronuncia del giudice, e che gli organi esecutivi debbono semplicemente attuare. Perciò, i problemi, spesso delicatissimi, concernenti l’eseguibilità specifica dei diritti, stanno, come si suol dire, a monte della disciplina del processo esecutivo, la quale in realtà presuppone la già avvenuta soluzione di quei problemi. Ed è appunto in relazione a ciò che tale disciplina appronta le diverse forme di esecuzione o tipi di processo esecutivo a seconda che il diritto sia stato accertato come eseguibile nella sua specificità (in forma specifica) oppure come eseguibile nella forma generica che consegue alla sua eventuale trasformazione in credito di denaro, o senz’altro in relazione al fatto che esso sia sorto come credito di denaro (in forma generica o per espropriazione). Il codice disciplina l’esecuzione forzata in forma generica o esecuzione per espropriazione che costituisce il tipo di esecuzione di più frequente utilizzazione non solo perché l’ordinamento deve spesso rinunciare all’esecuzione specifica, a causa degli ostacoli ai quali sopra si è fatto cenno, ma anche e specialmente perché gran parte dei diritti da eseguirsi hanno originariamente ad oggetto una somma di denaro. L’esecuzione forzata in forma generica o esecuzione per espropriazione è assai più complessa dell’esecuzione forzata in forma specifica, e ciò per due ragioni: da un lato perché, verificandosi ben raramente la possibilità di rinvenire denaro liquido nel patrimonio del debitore, la conseguente necessità di espropriare i suoi beni per convertirli in denaro costringe l’ordinamento ad una serie di atti che hanno funzione solo strumentale e che sono giuridicamente complessi; ed in secondo luogo perché la trasformazione dei beni del debitore in denaro consente ad eventuali altri creditori di utilizzare gli atti compiuti dal primo creditore procedente, così realizzando un concorso con ripartizione proporzionata ai rispettivi diritti. Invece i tipi di processo esecutivo che realizzano l’esecuzione forzata in forma specifica sono quelli strutturalmente più semplici, essi sono: l’esecuzione forzata per consegna di cose mobili o rilascio di immobili attraverso la quale il creditore della consegna o del rilascio può conseguire la disponibilità materiale di quella determinata cosa mobile o immobile nonché l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare attraverso la quale il creditore del fare o del non fare può conseguire la medesima specifica prestazione di fare o l’eliminazione di quanto fatto in violazione dell’obbligo di non fare. Nell’ambito della nozione dell’azione come diritto alla tutela giurisdizionale, possiamo contrapporre all’azione di cognizione, intesa come diritto alla tutela giurisdizionale mediante cognizione, l’azione di IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 30 differenza strutturale nel processo esecutivo della posizione delle due parti, delle quali soltanto il creditore assume di solito un ruolo attivo. Il che rende chiaro che soltanto rispetto al creditore la regola della necessità del ministero del difensore può dirsi pienamente operante con esclusione tuttavia del precetto, in quanto quest’atto non appartiene ancora al processo esecutivo; mentre il debitore che non ha evidentemente bisogno di difensore quando si limita a subire gli atti esecutivi, deve sottostare all’onere del patrocinio ogni qual volta assume iniziative o formuli richieste davanti al giudice dell’esecuzione, oltre che, ovviamente, quando assume iniziative di opposizione. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 31 GLI ATTI INTRODUTTIVI E PREPARATORI DEL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA L’art. art. 474 1° comma c.p.c dispone che: L’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo (il requisito della certezza, più che risultare dal titolo come avviene per i requisiti della liquidità e dell’esigibilità, è una conseguenza dell’esistenza del titolo esecutivo. Più precisamente in relazione al fatto che il titolo contiene un atto di accertamento, si potrà dire che il diritto risulta “certo” in quella concreta misura che l’ordinamento ha determinato e indicato come sufficiente, non dunque una certezza assoluta e neppure necessariamente quel grado di certezza che è determinato dalla cosa giudicata, ma una certezza che l’ordinamento giudica sufficiente per fondare l’esecuzione forzata), liquido (liquidità significa espressione del credito di denaro o di altre cose mobili fungibili in una misura determinata, così rimanendo escluso ogni credito espresso in modo generico; il requisito della liquidità deve non solo esistere, ma risultare dal titolo esecutivo) ed esigibile (esigibilità significa che l’eventuale condizione deve essersi già realizzata e l’eventuale termine già scaduto; anche il requisito dell’esigibilità deve non solo esistere, ma risultare dal titolo esecutivo). Il 2° comma dell’art. 474 c.p.c. recita:. Sono titoli esecutivi: 1) le sentenze, (dei tre tipi di sentenza che corrispondono ai tre tipi di cognizione: condanna, accertamento mero e sentenza costituiva, soltanto la prima può, per la sua funzione, fondare l’esecuzione forzata. Occorre ricordare che le sentenze di condanna non costituiscono titolo esecutivo se non quando siano passate in giudicato oppure, pur non avendo ancora acquisito tale efficacia, siano dichiarate esecutive dalla legge. Provvisoriamente esecutive sono le sentenze di primo grado, salva la sospensione dell’esecuzione di cui agli artt. 283 e 373 c.p.c. e salve le particolarità dell’esecutività delle sentenze di primo grado in materia di lavoro. Naturalmente, se nei successivi sviluppi del processo di cognizione, la sentenza viene riformata o se viene privata dell’efficacia esecutiva, la conseguente sopravvenuta mancanza del titolo esecutivo determina l’immediato arresto del processo di esecuzione forzata, con conseguente diritto al rispristino della situazione anteriore, salvo poi a vedere se questo ripristino possa essere immediato o debba attendere il passaggio in giudicato della sentenza) i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva (ossia le ordinanze e i decreti che decidono in via definitiva o anche solo provvisoria questioni che già investono il diritto sostanziale. Tra i provvedimenti definitivi o idonei a diventare tali vanno ricordati il decreto ingiuntivo in quanto sia divenuto incontrovertibile per mancata o non coltivata opposizione (art. 647 c.p.c.) o per rigetto dell’opposizione (653 c.p.c.), o che sia stato dichiarato dal giudice provvisoriamente esecutivo (artt. 642, 648 c.p.c.), l’ordinanza di convalida di licenza o sfratto prevista dall’art. 663 c.p.c. che peraltro costituisce titolo esecutivo soltanto insieme con l’atto d’intimazione, l’ordinanza pronunciata all’esito del nuovo procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis-702quater c.p.c. idonea ad acquisire l’efficacia di giudicato sostanziale ove non appellata. Tra i provvedimenti non definitivi, si può pensare all’ordinanza del presidente del tribunale nel giudizio di separazione dei coniugi prevista dall’art. 708 c.p.c. alla quale l’art. 189 disp. att. attribuisce efficacia di titolo esecutivo, e così ancora all’ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. e alle ordinanze di cui agli artt. 186 bis, 186 ter e 186 quater . Tra gli “altri atti” ai quali la norma si riferisce vengono in rilievo, in particolare, i verbali di conciliazione e comunque gli atti che si formano sotto il controllo del giudice); 2) le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la sua stessa efficacia; 3) gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. (Questi ultimi due gruppi di titoli esecutivi, che esaminiamo insieme perché insieme costituiscono la categoria dei titoli stragiudiziali, sono di formazione negoziale; il che, peraltro, non impedisce che anch’essi contengano un atto di accertamento. La scelta concorde di una documentazione particolarmente solenne e rigorosamente formale o la partecipazione di un pubblico ufficiale alla redazione dell’atto, hanno indubbiamente la funzione di richiamare l’attenzione dei soggetti dell’atto stesso sulla circostanza che essi non soltanto documentano e quindi accertano un diritto, ma lo accertano con quelle particolari forme documentali alle quali la legge fa conseguire l’efficacia esecutiva, IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 32 e dunque accertano quel diritto come eseguibile, così attribuendogli il requisito della certezza in misura che la legge valuta sufficiente perché si possa fare luogo all’esecuzione forzata. L’efficacia esecutiva è dunque attribuita alle scritture private autenticate nei limiti in cui si riferiscono ad obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro sia contrattuali che unilaterali come ad es., il riconoscimento del debito; alle cambiali, a tutti gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale; e infine sono titoli esecutivi tutti gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva). Infine il 3° comma dell’art. 474 c.p.c. dispone che: L'esecuzione forzata per consegna o rilascio non può aver luogo che in virtù dei titoli esecutivi di cui ai numeri 1) e 3) del secondo comma. Il precetto deve contenere trascrizione integrale, ai sensi dell'articolo 480, secondo comma, delle scritture private autenticate di cui al numero 2) del secondo comma. Dunque quest’ultimo comma precisa che all’esecuzione per consegna o rilascio non si può far luogo che in forza dei titoli esecutivi di cui al n. 1 (titoli giudiziali aut similia) o al n. 3 (atti ricevuti da notaio o altro pubblico ufficiale), che contengano lo specifico impegno. Lo stesso comma aggiunge che le scritture private autenticate di cui al n. 2 del 2° comma dell’art. 474 c.p.c. debbono essere trascritte integralmente nel precetto ai sensi dell’art. 480, 2° comma c.p.c., ciò in quanto dette scritture di solito non restano presso il notaio autenticante. L’efficacia di titolo esecutivo spetta anche alle decisioni di talune Istituzioni dell’Unione (sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea, atti del Consiglio, della Commissione o della Banca centrale europea che comportino un obbligo pecuniario a carico di persone) senza necessità di delibazione né di exequantur. Ugualmente operante nella sua efficacia esecutiva in ogni Stato membro, senza necessità di alcun procedimento delibatorio, è sia il titolo esecutivo europeo (T.E.E.) sia il provvedimento ingiuntivo europeo (I.P.E.). La revoca dell’efficacia esecutiva impedisce la prosecuzione dell’esecuzione, salva l’integrazione con pignoramenti successivi. Lo stesso effetto è prodotto dalla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, che può essere disposta, in sede di opposizione al precetto ai sensi dell’art. 615 c.p.c., con provvedimento non reclamabile. Va, infine, tenuto presente che, quando l’efficacia del titolo esecutivo è subordinata ad una cauzione, l’esecuzione forzata non può essere iniziata finché la cauzione stessa non sia stata prestata: così dispone l’art. 478 c.p.c. L’art. 475 c.p.c. dispone che: Le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, debbono essere muniti della formula esecutiva, salvo che la legge disponga altrimenti. La spedizione del titolo in forma esecutiva può farsi soltanto alla parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l'obbligazione, o ai suoi successori, con indicazione in calce della persona alla quale è spedita. (Il rilascio della formula può avvenire a favore dei titolari dell’azione esecutiva ossia a coloro che dal titolo risultano creditori, ma anche a favore dei loro successori, ciò che implica un’estensione a questi ultimi dell’azione esecutiva sotto il profilo attivo). La spedizione in forma esecutiva consiste nell'intestazione "Repubblica italiana - In nome della legge" e nell'apposizione da parte del cancelliere o notaio o altro pubblico ufficiale, sull'originale o sulla copia, della seguente formula: "Comandiamo a tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e a chiunque spetti, di mettere a esecuzione il presente titolo, al pubblico ministero di darvi assistenza, e a tutti gli ufficiali della forza pubblica di concorrervi, quando ne siano legalmente richiesti". IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 35 scrittura privata autenticata). In quest'ultimo caso l'ufficiale giudiziario, prima della relazione di notificazione, deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale. Il precetto deve inoltre contenere (non a pena di nullità)la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. In mancanza le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui è stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso. Il precetto deve essere sottoscritto a norma dell'articolo 125 (e quindi ad opera della parte personalmente o del difensore)e notificato alla parte personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti. Il precetto a pena di nullità deve contenere i requisiti indicati nell’art. 480, commi 2 e 3 e l’intimazione ad adempiere. Il precetto è atto recettizio del creditore nei confronti del debitore nel senso che non produce alcun effetto, se non in quanto portato a conoscenza mediante notificazione del suo destinatario. La notificazione del precetto, che è atto distinto dal precetto stesso in quanto atto dell’ufficiale giudiziario, è un atto strumentale ed insostituibile rispetto al precetto, allo stesso modo di come lo è la notificazione dell’atto di citazione rispetto a quest’ultimo. L’art. art. 481 c.p.c. dispone che: Il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l'esecuzione. Se contro il precetto è proposta opposizione, il termine rimane sospeso e riprende a decorrere a norma dell'articolo 627. L’efficacia del precetto è, dunque, limitata a 90 giorni dalla notificazione di conseguenza il precetto diventa inefficace se nel termine di 90 giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione. Se entro tale termine l’esecuzione forzata non viene iniziata, l’avvenuta notificazione non è più utilizzabile nel senso che per dare validamente inizio all’esecuzione occorre un nuovo atto di precetto da notificare, ferma invece rimanendo l’efficacia dell’avvenuta notificazione del titolo esecutivo, di cui si dovrà far menzione nel nuovo precetto. Ai sensi dell’art. 482 c.p.c.: Non si può iniziare l'esecuzione forzata prima che sia decorso il termine indicato nel precetto e in ogni caso non prima che siano decorsi dieci giorni dalla notificazione di esso; ma il presidente del tribunale competente per l'esecuzione o un giudice da lui delegato, se vi è pericolo nel ritardo, può autorizzare l'esecuzione immediata, con cauzione o senza. L'autorizzazione è data con decreto scritto in calce al precetto e trascritto a cura dell'ufficiale giudiziario nella copia da notificarsi. Il precetto deve contenere la concessione di un termine, di regola non inferiore a dieci giorni, che naturalmente (trattandosi di termine dilatorio) deve essere interamente decorso prima che si possa validamente dare inizio all’esecuzione, salvo il caso in cui vi sia pericolo nel ritardo (per es. nel caso in cui il rispetto di tale termine sia controproducente agli effetti della funzionalità dell’esecuzione in quanto il debitore potrebbe approfittare di esso per occultare i suoi beni, per occultare la cosa da consegnare o comunque pregiudicare i successivi atti esecutivi) come dispone l’art. 482 c.p.c. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 36 L’ESPROPRIAZIONE (o esecuzione forzata in forma generica) Regole generali Nell’ambito dell’espropriazione possiamo distinguere: - l’espropriazione mobiliare presso il debitore; - l’espropriazione mobiliare presso terzi: ha per oggetto beni mobili del debitore che sono detenuti presso terzi (dei quali il debitore non può disporre direttamente) o crediti del debitore verso terzi; - l’espropriazione immobiliare. 1. IL PIGNORAMENTO L’espropriazione forzata ha inizio con il pignoramento (eccezion fatta per l’espropriazione delle cose soggette a pegno o ad ipoteca, in tale ipotesi è consentita l’istanza di vendita senza il previo pignoramento), successivamente al suo deposito (seguito dal deposito del titolo esecutivo e del precetto) viene formato il fascicolo dell’esecuzione e designato il giudice. Il pignoramento deve essere effettuato non prima di 10 giorni e non oltre 90 giorni dalla notificazione del precetto (art. 481-482 c.p.c.). Il pignoramento è atto dell’ufficiale giudiziario, il quale lo pone in essere su istanza del creditore e dietro esibizione, da parte di quest’ultimo, del titolo esecutivo e del precetto notificati. Dopo il pignoramento ed il deposito in cancelleria dello stesso (seguito dal deposito del titolo esecutivo e del precetto) il cancelliere forma, per ogni procedimento d'espropriazione, un fascicolo, nel quale sono inseriti tutti gli atti compiuti dal giudice, dal cancelliere e dall'ufficiale giudiziario, e gli atti e documenti depositati dalle parti e dagli eventuali interessati. [--- Il pignoramento mobiliare è effettuato ad istanza del creditore dall’ufficiale giudiziario munito di titolo esecutivo e precetto. Nell’espropriazione mobiliare, l’ufficiale giudiziario compiute le operazioni (di ricerca del bene da pignorare, apprensione del bene, ingiunzione al debitore di astenersi dal compiere qualunque atto di disposizione, nomina del custode) consegna senza ritardo il processo verbale, il titolo esecutivo e il precetto al creditore il quale entro 15 giorni dalla consegna, (pena la perdita di efficacia del pignoramento), deve depositare nella cancelleria del tribunale la nota di iscrizione a ruolo corredata dalle copie conformi del verbale, del titolo esecutivo e del precetto. Al momento del deposito, il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione. Il pignoramento di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi si esegue mediante notificazione al debitore e successiva trascrizione nei pubblici registri di un atto nel quale si indicano esattamente i beni e i diritti che si intendono sottoporre ad esecuzione, e gli si fa l'ingiunzione di astenersi da qualsiasi atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni assoggettati all’espropriazione. Il pignoramento contiene altresì l'intimazione a consegnare entro dieci giorni i beni pignorati, nonché i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all'uso dei medesimi, all'istituto vendite giudiziarie autorizzato ad operare nel territorio del circondario nel quale è compreso il luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. Al momento della consegna l'istituto vendite giudiziarie assume la custodia del bene pignorato e ne dà immediata comunicazione al creditore pignorante, a mezzo posta elettronica certificata ove possibile. Eseguita l'ultima notificazione, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l'atto di pignoramento perché proceda alla trascrizione nei pubblici registri entro trenta giorni dalla comunicazione di avvenuta consegna del bene all’istituto di vendite giudiziarie, pena l’inefficacia del pignoramento. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l'esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell'atto di pignoramento e della nota di trascrizione. Il cancelliere forma il fascicolo dell'esecuzione (art. 521bis) --- Il pignoramento presso terzi si esegue mediante atto notificato al terzo e al debitore che deve contenere, tra l’altro, l’indicazione del credito, l’indicazione delle cose o somme dovute dal terzo, l’intimazione al terzo di non disporre delle cose o somme dovute al debitore, l’ingiunzione al debitore di astenersi da ogni atto diretto a sottrarre IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 37 alla garanzia del credito indicato i beni che si assoggettano ad espropriazione, la citazione del debitore a comparire davanti al giudice competente e con l'invito al terzo a comunicare la “dichiarazione del terzo” al creditore procedente entro 10 giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata; con l'avvertimento al terzo che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere resa dal terzo comparendo in un'apposita udienza e che quando il terzo non compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non contestati ai fini del procedimento esecutivo. Eseguita l'ultima notificazione, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l'originale dell'atto di citazione. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l'esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell'atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro 30 giorni dalla consegna (se il deposito avviene oltre il termine di trenta giorni il pignoramento perde efficacia). La conformità di tali copie è attestata dall'avvocato del creditore. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell'esecuzione Dal giorno in cui gli è notificato il pignoramento, il terzo è soggetto, relativamente alle cose e alle somme da lui dovute e nei limiti dell'importo del credito precettato aumentato della metà, agli obblighi che la legge impone al custode. Con dichiarazione a mezzo raccomandata inviata al creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica certificata, il terzo, personalmente o a mezzo di procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale, deve specificare: 1) di quali cose o di quali somme è debitore o si trova in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna; 2) i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato. Quando all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un'udienza successiva. L'ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione e il giudice provvede alla vendita o assegnazione. Il terzo può impugnare mediante opposizione agli atti esecutivi, l'ordinanza di assegnazione di crediti adottata se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore (art. 548). Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell'esecuzione le risolve, compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza. L'ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile mediante opposizione agli atti esecutivi. --- Il pignoramento immobiliare è un atto a struttura complessa ed a formazione progressiva. In esso è possibile distinguere due diversi momenti processuali: la notifica del pignoramento e la trascrizione dell’atto al competente Conservatore dei Registri. In particolare, il pignoramento immobiliare si esegue mediante: 1) notificazione al debitore di un atto sottoscritto dal creditore col quale si indicano i beni e diritti immobiliari che si intendono sottoporre ad esecuzione e gli si ingiunge di astenersi da atti diretti a sottrarli alla garanzia del credito; 2) successiva trascrizione dell’atto di pignoramento nei registri immobiliari a cura dell’ufficiale giudiziario (nello specifico, subito dopo la notifica del pignoramento l’ufficiale giudiziario consegna copia autentica dell’atto con le note di trascrizione al competente Conservatore dei Registri che trascrive l’atto e gli restituisce una delle note. Tali attività possono essere compiute anche dal creditore pignorante, al quale l'ufficiale giudiziario, se richiesto, deve consegnare gli atti di cui sopra). Eseguita l'ultima notificazione, l'ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l'atto di pignoramento e la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari. Il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l'esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell'atto di pignoramento e della nota di trascrizione, del titolo esecutivo e del precetto, entro 15 giorni dalla consegna dell’atto di pignoramento (se il deposito avviene oltre il termine di quindici giorni il pignoramento perde efficacia). La conformità di tali copie è attestata dall'avvocato del creditore. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo dell'esecuzione. Il conservatore dei registri immobiliari, se nel trascrivere un atto di pignoramento trova che sugli stessi beni è stato eseguito un altro pignoramento, ne fa menzione nella nota di trascrizione che restituisce. Tale eventualità è denominata pignoramento successivo (art. 561) Sarà poi cura del cancelliere inserire il pignoramento successivo nel fascicolo formato in base al pignoramento eseguito in data anteriore. Per effetto della riunione dei pignoramenti si IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 40 Ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, il creditore pignorante ha facoltà di indicare, con atto notificato o all'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, l'esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l'estensione. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati ai sensi del primo periodo entro il termine di trenta giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione. Con l'ordinanza con cui è disposta la vendita o l'assegnazione (ai sensi degli articoli 530, 552 e 569) il giudice fissa, altresì, udienza di comparizione davanti a sé del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a cura di una delle parti. Tra la data dell'ordinanza e la data fissata per l'udienza non possono decorrere più di sessanta giorni. All'udienza di comparizione il debitore deve dichiarare quali dei crediti per i quali hanno avuto luogo gli interventi egli intenda riconoscere in tutto o in parte, specificando in quest'ultimo caso la relativa misura. Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti per i quali hanno avuto luogo interventi in assenza di titolo esecutivo. In tutti i casi il riconoscimento rileva comunque ai soli effetti dell'esecuzione. I creditori intervenuti i cui crediti siano stati riconosciuti da parte del debitore partecipano alla distribuzione della somma ricavata per l'intero ovvero limitatamente alla parte del credito per la quale vi sia stato riconoscimento parziale. I creditori intervenuti i cui crediti siano stati viceversa disconosciuti dal debitore hanno diritto, ai sensi dell'articolo 510, terzo comma, all'accantonamento delle somme che ad essi spetterebbero, sempre che ne facciano istanza e dimostrino di avere proposto, nei trenta giorni successivi all'udienza di cui al presente comma, l'azione necessaria affinché essi possano munirsi del titolo esecutivo. Nel caso in cui il creditore privo di titolo non si attivi con le modalità appena descritte, non può partecipare alla procedura e l’intervento deve essere dichiarato inammissibile. I creditori che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante da pubblici registri devono essere avvertiti dell’espropriazione in corso a mezzo notifica, a cura del creditore pignorante entro cinque giorni dal pignoramento, a ciascuno di essi con un avviso contenente l'indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate. In mancanza della prova di tale notificazione, il giudice non può provvedere sull'istanza di assegnazione o di vendita. 3. LA VENDITA O L’ASSEGNAZIONE L’istanza di vendita o di assegnazione dei beni pignorati è l’atto di impulso successivo al pignoramento che si rivolge al giudice dell’esecuzione entro 90 giorni dal pignoramento, ma non prima del decorso del termine di 10 giorni dal pignoramento, tranne che si tratti di cose deteriorabili delle quali può essere disposta l’assegnazione o la vendita immediata. Trascorsi 10 giorni dal pignoramento il creditore pignorante o ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo posso chiedere la vendita del bene pignorato. A seguito dell’istanza di vendita (nell’espropriazione immobiliare entro 120 giorni dal deposito dell’istanza di vendita occorre allegare l’estratto del catasto, i certificati di iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; in assenza di detta documentazione il giudice dell’esecuzione pronuncia ordinanza di inefficacia del pignoramento relativamente all’immobile per il quale risulti carente la documentazione disponendo la cancellazione della trascrizione del pignoramento e se non vi sono altri beni pignorati il giudice dichiara altresì l’estinzione del processo esecutivo. Nella procedura espropriativa immobiliare assume un ruolo centrale la figura dell’esperto, il quale è incaricato dal giudice di procedere alla stima del bene e di offrire una fedele IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 41 fotografia della situazione giuridica e fattuale del bene immobile attraverso la redazione di una relazione. Terminata la relazione, almeno 45 giorni prima dell’udienza di comparizione delle parti, l’esperto invia ai creditori procedenti copia della stessa. I creditori possono depositare all’udienza note critiche all’elaborato finale dell’esperto il quale interviene all’udienza per fornire i chiarimenti necessari. Il giudice dell’esecuzione con l’ordinanza con la quale provvede sull’istanza di vendita, può, sentiti gli interessati, delegare ad un notaio, avvocato o commercialista il compimento delle operazioni di vendita senza incanto ed eventualmente, in caso di insuccesso, con incanto), il giudice dell’esecuzione provvede a fissare un’udienza per l’audizione delle parti, nella quale le parti possono fare osservazioni circa il tempo e la modalità della vendita o l’assegnazione e debbono proporre le eventuali opposizioni agli atti esecutivi se non sono già decadute dal diritto di proporle. Tale udienza segna il momento preclusivo per l’intervento tempestivo e costituisce il termine ultimo entro il quale, a pena di decadenza, devono essere fatte valere le opposizioni agli atti esecutivi Il giudice dopo aver provveduto sulle eventuali opposizioni con sentenza o se non vi sono opposizioni, dispone con ordinanza la vendita o l’assegnazione. La vendita forzata ha la funzione di trasformare i beni pignorati in denaro liquido, per cui qualora il pignoramento abbia colpito una somma di denaro, questa fase non avviene ed il creditore procedente potrà chiedere senz’altro la distribuzione. La vendita può avvenire con incanto ossia con offerte successive in aumento (asta) o senza incanto (presentazione di offerte in busta chiusa nel termine fissato con l’ordinanza di vendita): l’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene. Il creditore pignorante può chiedere l’assegnazione dei beni pignorati che consiste nell’attribuzione diretta del bene pignorato al creditore sulla base di un determinato valore al fine di soddisfare il suo credito. L’assegnazione è un atto concorrente con la vendita, rimesso alla discrezione dei creditori, entro i seguenti limiti: - espropriazione mobiliare: l’assegnazione può essere chiesta sin dall’inizio per i titoli di credito o per quei beni il cui valore risulti da listino di borsa o di mercato (art. 529); - espropriazione mobiliare presso terzi: se il terzo si dichiara o è dichiarato debitore di somme esigibili immediatamente o in termini non maggiori di novanta giorni, il giudice dell'esecuzione le assegna in pagamento ai creditori concorrenti. Se invece le somme dovute dal terzo sono esigibili in termine maggiore, o si tratta di censi o di rendite perpetue o temporanee o il terzo è possessore di cose appartenenti debitore, e i creditori non ne chiedano d'accordo l'assegnazione, si provvede alla vendita (art. 553); - espropriazione immobiliare: l’assegnazione può essere chieste soltanto dieci giorni prima della data dell’incanto per il caso in cui il precedente incanto non abbia avuto luogo per mancanza di offerte (art. 588). Nell’espropriazione immobiliare il giudice, anziché dar luogo ad un nuovo incanto, può disporre l'amministrazione giudiziaria degli immobili sottoposti all’esecuzione per un tempo non superiore a tre anni ed affidata a uno o più creditori o a un istituto all'uopo autorizzato, oppure allo stesso debitore se tutti i creditori vi consentono. L’amministrazione giudiziaria rappresenta una misura esecutiva eventuale e sussidiaria, sostitutiva del secondo incanto, cui si ricorre per evitare che la vendita dell’immobile avvenga ad un prezzo ad un prezzo troppo svantaggioso ed allo stesso tempo realizza denaro attraverso la riscossione dei frutti dell’immobile da destinare, detratte le spese, alla soddisfazione dei creditori. Durante l’amministrazione, ciascun creditore intervenuto può chiedere che si proceda ad un nuovo incanto o all’assegnazione dell’immobile e chiunque può far offerte d’acquisto secondo le norme della vendita senza incanto. In ogni caso, allo scadere dei tre anni l’amministrazione cessa e viene quindi disposto un nuovo incanto. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 42 Il trasferimento definitivo del bene è collegato ad un provvedimento del giudice dal quale derivano effetti sostanziali e processuali. Sotto il profilo sostanziale si produce l’effetto traslativo (ossia il passaggio del bene nella proprietà dell’aggiudicatario o dell’assegnatario) ed estintivo (consistente nell’ordine del giudice di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie in quanto il bene si trasferisce libero da pesi e vincoli). Dal punto di vista processuale si verifica un mutamento dell’oggetto del processo esecutivo in quanto una volta trasferito il bene, l’oggetto non è più la cosa, ma il prezzo sul quale dovrà soddisfarsi il creditore. Nel caso di mancato versamento del prezzo da parte dell’aggiudicatario o dell’assegnatario: - nella vendita mobiliare all’incanto: se il prezzo non è pagato, si procede immediatamente a nuovo incanto, a spese e sotto la responsabilità dell'aggiudicatario inadempiente (art. 540). - nella vendita immobiliare con incanto: se il prezzo non è depositato nel termine stabilito, il giudice dell'esecuzione con decreto dichiara la decadenza dell'aggiudicatario, pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa e quindi dispone un nuovo incanto. Se il prezzo che si ricava dal nuovo incanto, unito alla cauzione confiscata, risulta inferiore a quello dell'incanto precedente, l'aggiudicatario inadempiente è tenuto al pagamento della differenza. 4. LA DISTRIBUZIONE DELLA SOMMA RICAVATA La distribuzione della somma ricavata rappresenta l’ultima fase del processo di esecuzione e consiste nella ripartizione fra i creditori della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore al fine di realizzare il soddisfacimento dei loro crediti. La distribuzione della somma ricavata avviene secondo le seguenti regole (art. 510): - se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, attribuisce la somma ricavata al creditore procedente fino a soddisfazione del credito; - se vi sono più creditori compignoranti o intervenienti, il giudice dell’esecuzione effettuerà un riparto proporzionale dei vari crediti (progetto di distribuzione), secondo le modalità proprie di ciascun tipo di espropriazione e comunque tenendo conto dei privilegi e della cause di prelazione e previo accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore. In linea generale il giudice procederà nel modo seguente: o dopo aver sentito tutti i creditori viene formato un piano di riparto; o se tale piano viene formato in via amichevole dagli stessi creditori, il giudice si limita ad approvarlo o se manca l’accordo o l’approvazione del giudice, il piano è formato dallo stesso giudice In sede di distribuzione possono sorgere controversie fra i creditori concorrenti o fra creditore e debitore esecutato o terzo assoggettato all’espropriazione, circa la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione. In tale ipotesi il giudice dell’esecuzione, sentite le parti e compiuti i necessari accertamenti, provvede con ordinanza impugnabile mediante opposizione agli atti esecutivi. Il giudice con l’ordinanza può anche sospendere, in tutto o in parte, la distribuzione della somma ricavata. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 45 dei beni ed indica le prevedibili spese di custodia e di asporto. Quando può ritenersi che il valore dei beni è superiore alle spese di custodia e di asporto, l'ufficiale giudiziario, a spese della parte istante, nomina un custode e lo incarica di trasportare i beni in altro luogo. In difetto di istanza e di pagamento anticipato delle spese i beni, quando non appare evidente l'utilità del tentativo di vendita, sono considerati abbandonati e l'ufficiale giudiziario, salva diversa richiesta della parte istante, ne dispone lo smaltimento o la distruzione. Decorso il termine fissato nell'intimazione di asporto, colui al quale i beni appartengono può, prima della vendita ovvero dello smaltimento o distruzione dei beni, chiederne la consegna al giudice dell'esecuzione per il rilascio. Il giudice provvede con decreto e, quando accoglie l'istanza, dispone la riconsegna previa corresponsione delle spese e compensi per la custodia e per l'asporto. Il custode provvede alla vendita senza incanto nelle forme previste per la vendita dei beni mobili pignorati, secondo le modalità disposte dal giudice dell'esecuzione per il rilascio. La somma ricavata è impiegata per il pagamento delle spese e dei compensi per la custodia, per l'asporto e per la vendita, liquidate dal giudice dell'esecuzione per il rilascio. In caso di infruttuosità della vendita nei termini fissati dal giudice dell'esecuzione, si procede allo smaltimento o alla distruzione. Se nel corso dell'esecuzione sorgono difficoltà' che non ammettono dilazione, ciascuna parte può' chiedere al giudice dell'esecuzione , anche verbalmente, i provvedimenti temporanei occorrenti. Si tratta di difficoltà relative a questioni di opportunità e di modalità dell’esecuzione, non di vere e proprie contestazioni di natura giuridica relative al diritto di procedere all’esecuzione in quanto tali contestazioni esigono un giudizio di cognizione e possono essere sollevate soltanto con un’opposizione. - ESECUZIONE FORZATA DI OBBLIGHI DI FARE E DI NON FARE É diretta a far conseguire al creditore la medesima prestazione specifica di fare oggetto del suo diritto ovvero l’eliminazione di quanto posto in essere dal debitore in violazione del suo obbligo di non fare. La funzione propria di tale procedimento esecutivo è quella di far conseguire all’avente diritto un risultato equivalente a quello che avrebbe dovuto derivargli dall’adempimento spontaneo dell’obbligato. Alla luce dell’art. 2931 oggetto dell’esecuzione per gli obblighi di fare possono essere soltanto obblighi di fare fungibili. Il titolo esecutivo è costituito da un provvedimento giudiziale quale una sentenza di condanna o provvedimento ad essa equiparati. L’esecuzione ha inizio con il ricorso presentato al giudice dell’esecuzione ex art. 612. Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione che siano determinate le modalità dell'esecuzione. Il giudice dell'esecuzione, sentita la parte obbligata, provvede con ordinanza a determinare tempo e modalità dell’esecuzione. Nella sua ordinanza designa l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione nonché le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta (art. 612). L'ufficiale giudiziario immette gli operatori (ausiliari) nelle loro funzioni, può farsi assistere dalla forza pubblica e deve chiedere al giudice dell'esecuzione le opportune disposizioni per eliminare le difficoltà che sorgono nel corso dell'esecuzione. Il giudice dell'esecuzione provvede con decreto. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 46 Per quanto concerne il problema dell’esecuzione degli obblighi di fare infungibili o di non fare, il legislatore è intervenuto eliminando questa grave lacuna con l’art. 614bis c.p.c. nel quale sono disciplinate le modalità di attuazione degli obblighi di fare infungibili o di non fare. In considerazione dell’impossibilità materiale di costringere taluno all’esecuzione di una prestazione avente ad oggetto un facere infungibile (per es., sarebbe impossibile ottenere coattivamente la realizzazione dell’obbligo di un pittore di dipingere un quadro), l’attuazione di tale tipologia di obblighi avviene in maniera soltanto indiretta cioè attraverso la determinazione di una certa somma di denaro che l’obbligato è costretto a pagare in caso di inosservanza, violazione o ritardata esecuzione del provvedimento. Ed infatti il citato art. 614bis c.p.c. prevede che con il provvedimento di condanna (con il quale al debitore è ordinato di eseguire una prestazione avente ad oggetto un facere infungibile o di rimuovere un’opera realizzata in violazione di un obbligo di non fare) il giudice fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, salvo che ciò sia manifestamente iniquo. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Dunque, nel caso di provvedimenti che ordinano la rimozione di opere realizzate in violazione di un obbligo di non fare, il medesimo titolo può essere utilizzato ogni qual volta l’obbligato trasgredisca l’ordine, anche se si tratta di condotte successive all’emanazione del provvedimento. Ad esempio, se la pronuncia di condanna alla rimozione di un’opera edilizia abusiva contiene la determinazione di una somma di denaro per l’ipotesi della sua inosservanza, tale pronuncia potrà essere utilizzata come titolo esecutivo per il pagamento della predetta somma anche se l’obbligato, dopo aver abbattuto l’opera riconosciuta illegittima, ne abbia poi costruita un’altra pure abusiva La disposizione di cui all’art. 614bis c.p.c. non si applica alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 47 LE OPPOSIZIONI NEL PROCESSO ESECUTIVO L’opposizione è il rimedio esperibile dal debitore o dal terzo nel caso i cui questi si dolgano di aver subito la lesione di un loro diritto in conseguenza di un atto di esecuzione che ritengono ingiusto. L’opposizione da luogo ad un ordinario processo di cognizione in quanto è diretta ad un accertamento tipico compito del giudice in sede di cognizione. Con l’opposizione si introduce un processo di cognizione autonomo dal processo esecutivo, ma coordinato con esso perché può influire direttamente su di esso eventualmente arrestandolo o sospendendolo. Da un lato, infatti, il giudizio di opposizione è occasionato da un processo esecutivo in quanto è rimesso all’iniziativa della parte che deduce la pretesa illegittimità della procedura esecutiva; dall’altro esso ha un proprio e distinto atto introduttivo e si svolge in modo autonomo rispetto al processo di esecuzione. L’opposizione si inserisce, dunque, come una parentesi di cognizione, nell’esecuzione. Le opposizioni, a qualunque categoria appartengono, presentano delle caratteristiche comuni: - sono consentite nell’ambito di un’esecuzione pendente o minacciata; - si fondano sulla pretesa illegittimità dell’esecuzione nella sostanza (in tal caso l’opposizione riguarda l’esecuzione nel suo complesso) o nella forma (in tal caso l’opposizione riguarda i singoli atti esecutivi); - sono promosse solo su istanza di parte e non d’ufficio; - danno luogo a giudizi di cognizione che possono provocare la sospensione del processo esecutivo fino alla decisione sull’opposizione. Possiamo distinguere tre tipologie di opposizione: A. OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE Con l’opposizione all’esecuzione il debitore (o coloro che in concreto subiscono l’esecuzione), contesta il diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata (si contesta il “se” dell’esecuzione o come si sul dire l’an dell’esecuzione). Tali contestazioni possono riguardare: - l’inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo esecutivo (es., sostengo la nullità del provvedimento giudiziale o che la sentenza esecutiva è stata riformata in appello o cassata); - l’inidoneità soggettiva del titolo a fondare l’esecuzione ad opera di quel soggetto o contro quel soggetto (es., l’esecutato nega la sua qualità di erede del debitore); - l’inidoneità del titolo a fondare quell’esecuzione (es., nego la legittimità dell’esecuzione di un obbligo di fare sulla base di un titolo stragiudiziale); - ragioni di merito attraverso l’allegazione di fatti estintivi o impeditivi, contestando, quindi, la situazione sostanziale così come emerge dal titolo esecutivo (es., sostengo di aver adempiuto il debito dopo il passaggio in giudicato della sentenza). L’opposizione all’esecuzione si può proporre prima oppure l’inizio dell’esecuzione (art. 615):  Prima dell’inizio dell’esecuzione (opposizione preventiva), quando si contesta il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata e questa non è ancora iniziata, l’opposizione si può proporre come opposizione al precetto mediante citazione proposta davanti al giudice competente per materia o valore e per territorio a norma dell'articolo 27. Il giudice, concorrendo gravi motivi, può sospendere, su istanza di parte, l'efficacia esecutiva del titolo (e non del processo esecutivo che difatti non è ancora iniziato). L’ordinanza che provvede in senso negativo o positivo sull’istanza di sospensione è soggetta al reclamo ex art. 669terdecies. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 50 C. OPPOSIZIONE DEL TERZO NEL PROCESSO ESECUTIVO Con tale tipologia di opposizione un terzo (estraneo al processo esecutivo) fa valere eventuali errori nell’esecuzione che, sebbene ritualmente diretta contro il debitore, abbia per errore colpito beni di sua proprietà. Questo fenomeno si verifica tipicamente nell’espropriazione, quando accade (l’ipotesi è particolarmente frequente nell’espropriazione mobiliare presso il debitore) che il pignoramento colpisca, per errore, beni appartenenti non al debitore, ma ad un terzo. Come detto: per errore, poiché sappiamo che il titolo esecutivo non ha alcuna efficacia contro il terzo e l’ufficiale giudiziario non potrebbe colpire scientemente beni di un terzo. Tuttavia, in linea di fatto può accadere che l’ufficiale giudiziario pignori beni di un terzo nella convinzione che essi appartengono al debitore, secondo la presunzione conseguente al fatto che tali beni si trovano in luoghi appartenenti al debitore; né sarebbe concepibile che l’ufficiale giudiziario si astenesse dal pignorare per il solo fatto che il debitore gli affermasse che quei determinati beni appartengono ad un terzo; se ciò fosse sufficiente sarebbe troppo facile, per il debitore, sottrarsi all’esecuzione. Quando ciò accade, la legge lascia l’iniziativa per contestare la legittimità dell’esecuzione non già al debitore, ma a colui che è direttamente interessato ossia il terzo. L’opposizione di terzo crea un litisconsorzio necessario fra terzo opponente, creditore procedente e debitore esecutato il quale deve essere chiamato a partecipare al giudizio. L’opposizione di terzo può essere proposta dal momento in cui il bene viene colpito dall’azione esecutiva, ciò avviene: a) nell’espropriazione forzata, con il pignoramento; b) negli altri casi di esecuzione diretta in cui manca il pignoramento, con il primo atto che segna l’inizio dell’esecuzione. L’opposizione del terzo è tempestiva se proposta prima della vendita o dell’assegnazione; è tardiva se proposta successivamente ed in tal caso i diritti del terzo potranno farsi valere sulla somma ricavata fino a che la somma stessa non sia stata distribuita tra i creditori (art. 620). Il codice, nel disciplinare quest’opposizione, ne determina l’oggetto nella pretesa del terzo di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati Ai sensi dell’art. 619 il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell'esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione dei beni. Il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti (ossia di tutti i soggetti interessati: creditore, debitore, creditori intervenienti e terzo) davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. Con o senza cauzione, può inaudita altera parte (art, 623 comma 2) sospendere l’intrapresa esecuzione. All’udienza di comparizione il giudice dell’esecuzione, sentite le parti, può confermare, modificare o revocare l’eventuale provvedimento di sospensione adottato (reclamabile ai sensi dell’art. 669terdecies) e/o può disporre la sospensione dell’esecuzione. Se all'udienza le parti raggiungono un accordo il giudice ne dà atto con ordinanza, adottando ogni altra decisione idonea ad assicurare, se del caso, la prosecuzione del processo esecutivo ovvero ad estinguere il processo, statuendo altresì in questo caso anche sulle spese; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell'articolo 616 (per l’iter seguito per l’opposizione all’esecuzione) e cioè qualora sia competente per la causa di opposizione il tribunale al quale appartiene il giudice dell’esecuzione, quest’ultimo fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’articolo 163bis, o altri se previsti, ridotti della metà; altrimenti rimette la causa dinanzi all’ufficio giudiziario competente assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa. IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE E IL PROCESSO DI ESECUZIONE 51 Per quanto riguarda l’istruzione l’art. 621 c.p.c. al fine di evitare collusioni fra il debitore esecutato e il terzo opponente pone una notevole limitazione probatoria: il terzo opponente infatti non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore. Il processo si conclude con sentenza impugnabile nei modi ordinari. Qualora l’opposizione venga accolta ed essa riguardi tutti i beni dell’esecuzione, l’effetto dell’accoglimento è l’arresto definitivo dell’esecuzione con la caducazione di tutti gli atti esecutivi compiuti. Se invece l’accoglimento dell’opposizione riguarda soltanto alcuni beni, si procede alla separazione del bene su cui è accertato il diritto del terzo, mentre l’esecuzione prosegue per gli altri beni.
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